LIBRO TERZO 51. Ma poi che ancora altre utili cose restano a fare uno pittore tale che possa seguire intera lode, parmi in questi commentari da non lassarlo. Direnne molto brevissimo. 52. Dico l'officio del pittore essere così descrivere con linee e tignere con colori in qual sia datoli tavola o parete simile vedute superficie di qualunque corpo, che quelle ad una certa distanza e ad una certa posizione di centro paiano rilevate e molto simili avere i corpi; la fine della pittura, rendere grazia e benivolenza e lode allo artefice molto più che ricchezze. E seguiranno questo i pittori ove la loro pittura terrà gli occhi e l'animo di chi la miri; qual cosa come possa farlo dicemmo di sopra dove trattammo della composizione e del ricevere de lumi. Ma piacerammi sia il pittore, per bene potere tenere tutte queste cose, uomo buono e dotto in buone lettere. E sa ciascuno quanto la bontà dell'uomo molto più vaglia che ogni industria o arte ad acquistarsi benivolenza da' cittadini, e niuno dubita la benivolenza di molti molto all'artefice giovare a lode insieme e al guadagno. E interviene spesso che i ricchi, mossi più da benivolenza che da maravigliarsi d'altrui arte, prima danno guadagno a costui modesto e buono, lassando adrieto quell'altro pittore forse migliore in arte ma non sì buono in costumi. Adunque conviensi all'artefice molto porgersi costumato, massime da umanità e facilità, e così arà benivolenza, fermo aiuto contro la povertà, e guadagni, ottimo aiuto a bene imparare sua arte. 53. Piacemi il pittore sia dotto, in quanto e' possa, in tutte l'arti liberali; ma in prima desidero sappi geometria. Piacemi la sentenza di Panfilo, antiquo e nobilissimo pittore, dal quale i giovani nobili cominciarono ad imparare dipignere. Stimava niuno pittore potere bene dipignere se non sapea molta geometria. I nostri dirozzamenti, dai quali si esprieme tutta la perfetta, assoluta arte di dipignere, saranno intesi facile dal geometra. Ma chi sia ignorante in geometria, né intenderà quelle né alcuna altra ragione di dipignere. Pertanto affermo sia necessario al pittore imprendere geometria. E farassi per loro dilettarsi de' poeti e degli oratori. Questi hanno molti ornamenti comuni col pittore; e copiosi di notizia di molte cose, molto gioveranno a bello componere l'istoria, di cui ogni laude consiste in la invenzione, quale suole avere questa forza, quanto vediamo, che sola senza pittura per sé la bella invenzione sta grata. Lodasi leggendo quella discrezione della Calunnia, quale Luciano racconta dipinta da Appelle. Parmi cosa non aliena dal nostro proposito qui narrarla, per ammonire i pittori in che cose circa alla invenzione loro convenga essere vigilanti. Era quella pittura uno uomo con sue orecchie molte grandissime, apresso del quale, una di qua e una di là, stavano due femmine: l'una si chiamava Ignoranza, l'altra si chiamava Sospezione. Più in là veniva la Calunnia. Questa era una femmina a vederla bellissima, ma parea nel viso troppo astuta. Tenea nella sua destra mano una face incesa; con l'altra mano trainava, preso pe' capelli, uno garzonetto, il quale stendea suo mani alte al cielo. Ed eravi uno uomo palido, brutto, tutto lordo, con aspetto iniquo, quale potresti assimigliare a chi ne' campi dell'armi con lunga fatica fusse magrito e riarso: costui era guida della Calunnia, e chiamavasi Livore. Ed erano due altre femmine compagne alla Calunnia, quali a lei aconciavano suoi ornamenti e panni: chiamasi l'una Insidie e l'altra Fraude. Drieto a queste era la Penitenza, femmina vestita di veste funerali, quale sé stessa tutta stracciava. Dietro seguiva una fanciulletta vergognosa e pudica, chiamata Verità. Quale istoria se mentre che si recita piace, pensa quanto essa avesse grazia e amenità a vederla dipinta di mano d'Appelle. 54. Piacerebbe ancora vedere quelle tre sorelle a quali Esiodo pose nome Egle, Eufronesis e Talia, quali si dipignevano prese fra loro l'una l'altra per mano ridendo, con la vesta scinta e ben monda; per quali volea s'intendesse la liberalità, ché una di queste sorelle dà, l'altra riceve, la terza rende il benificio; quali gradi debbano in ogni perfetta liberalità essere. Adunque si vede quanta lode porgano simile invenzioni all'artefice. Pertanto consiglio ciascuno pittore molto si faccia famigliare ad i poeti, retorici e agli altri simili dotti di lettere, già che costoro doneranno nuove invenzioni, o certo aiuteranno a bello componere sua storia, per quali certo acquisteranno in sua pittura molte lode e nome. Fidias, più che gli altri pittori famoso, confessava avere imparato da Omero poeta dipignere Iove con molta divina maestà. Così noi, studiosi d'imparare più che di guadagno, dai nostri poeti impareremo più e più cose utili alla pittura. 55. Ma non raro avviene che gli studiosi e cupidi d'imparare, non meno si straccano ove non sanno imparare, che dove l'incresce la fatica. Per questo diremo in che modo si diventi in questa arte dotto. Niuno dubiti capo e principio di questa arte, e così ogni suo grado a diventare maestro, doversi prendere dalla natura. Il perficere l'arte si troverà con diligenza, assiduitate e studio. Voglio che i giovani, quali ora nuovi si danno a dipignere, così facciano quanto veggo di chi impara a scrivere. Questi in prima separato insegnano tutte le forme delle lettere, quali gli antiqui chiamano elementi; poi insegnano le silabe; poi apresso insegnano componere tutte le dizioni. Con questa ragione ancora seguitino i nostri a dipignere. In prima imparino ben disegnare gli orli delle superficie, e qui se essercitino quasi come ne' primi elementi della pittura; poi imparino giugnere insieme le superficie; poi imparino ciascuna forma distinta di ciascuno membro, e mandino a mente qualunque possa essere differenza in ciascuno membro. E sono le differenze de' membri non poche e molto chiare. Vedrai a chi sarà il naso rilevato e gobbo; altri aranno le narici scimmie o arovesciate aperte; altri porgerà i labri pendenti; alcuni altri aranno ornamento di labrolini magruzzi. E così essamini il pittore qualunque cosa a ciascuno membro essendo più o meno, il facci differente. E noti ancora quanto veggiamo, che i nostri membri fanciulleschi sono ritondi, quasi fatti a tornio, e dilicati; nella età più provetta sono aspri e canteruti. Così tutte queste cose lo studioso pittore conoscerà dalla natura, e con sé stessi molto assiduo le essaminerà in che modo ciascuna stia, e continuo starà in questa investigazione e opera desto con suo occhi e mente. Porrà mente il grembo a chi siede; porrà mente quanto dolce le gambe a chi segga sieno pendenti; noterà di chi stia dritto tutto il corpo, né sarà ivi parte alcuna della quale non sappi suo officio e sua misura. E di tutte le parti li piacerà non solo renderne similitudine, ma più aggiugnervi bellezza, però che nella pittura la vaghezza non meno è grata che richiesta. A Demetrio, antiquo pittore, mancò ad acquistare l'ultima lode che fu curioso di fare cose assimigliate al naturale molto più che vaghe. Per questo gioverà pigliare da tutti i belli corpi ciascuna lodata parte. E sempre ad imparare molta vaghezza si contenda con istudio e con industria. Qual cosa bene che sia difficile, perché nonne in uno corpo solo si truova compiute bellezze, ma sono disperse e rare in più corpi, pure si debba ad investigarla e impararla porvi ogni fatica. Interverrà come a chi s'ausi volgere e prendere cose maggiori, che facile costui potrà le minori: né truovasi cosa alcuna tanto difficile quale lo studio e assiduità non vinca. 56. Ma per non perdere studio e fatica si vuole fuggire quella consuetudine d'alcuni sciocchi, i quali presuntuosi di suo ingegno, senza avere essemplo alcuno dalla natura quale con occhi o mente seguano, studiano da sé a sé acquistare lode di dipignere. Questi non imparano dipignere bene, ma assuefanno sé a' suoi errori. Fugge gl'ingegni non periti quella idea delle bellezze, quale i bene essercitatissimi appena discernono. Zeusis, prestantissimo e fra gli altri essercitatissimo pittore, per fare una tavola qual pubblico pose nel tempio di Lucina appresso de' Crotoniati, non fidandosi pazzamente, quanto oggi ciascuno pittore, del suo ingegno, ma perché pensava non potere in uno solo corpo trovare quante bellezze egli ricercava, perché dalla natura non erano ad uno solo date, pertanto di tutta la gioventù di quella terra elesse cinque fanciulle le più belle, per torre da queste qualunque bellezza lodata in una femmina. Savio pittore, se conobbe che ad i pittori, ove loro sia niuno essemplo della natura quale elli seguitino, ma pure vogliono con suoi ingegni giugnere le lode della bellezza, ivi facile loro avverrà che non quale cercano bellezza con tanta fatica troveranno, ma certo piglieranno sue pratiche non buone, quali poi ben volendo mai potranno lassare. Ma chi da essa natura s'auserà prendere qualunque facci cosa, costui renderà sua mano sì essercitata che sempre qualunque cosa farà parrà tratta dal naturale. Qual cosa quanto sia dal pittore a ricercarla si può intendere, ove poi che in una storia sarà uno viso di qualche conosciuto e degno uomo, bene che ivi sieno altre figure di arte molto più che questa perfette e grate, pure quel viso conosciuto a sé imprima trarrà tutti gli occhi di chi la storia raguardi: tanto si vede in sé tiene forza ciò che sia ritratto dalla natura. Per questo sempre ciò che vorremo dipignere piglieremo dalla natura, e sempre torremo le cose più belle. 57. Ma guarda non fare come molti, quali imparano disegnare in picciole tavolelle. Voglio te esserciti disegnando cose grandi, quasi pari al ripresentare la grandezza di quello che tu disegni, però che nei piccioli disegni facile s'asconde ogni gran vizio, nei grandi molto i bene minimi vizi si veggono. Scrive Galieno medico avere ne' suo tempi veduto scolpito in uno anello Fetonte portato da quattro cavalli, dei quali suo freni, petto e tutti i piedi distinti si vedeano. Ma i nostri pittori lassino queste lode agli scultori delle gemme; loro vero si spassino in campi maggiori di lode. Chi saprà ben dipignere una gran figura, molto facile in uno solo colpo potrà quest'altre cose minute ben formare. Ma chi in questi piccioli vezzi e monili arà usato suo mano e ingegno, costui facile errerà in cose maggiori. 58. Alcuni ritranno figure d'altri pittori, e ivi cercano lode quale fu data a Calamide scultore, quanto referiscono che scolpì due tazze in quali così retratte cose prima simili fatte da Zenodoro, che niuna differenza vi si conosceva. Ma certo i nostri pittori saranno in grandi errori se non intenderanno che chi dipinse si sforzò ripresentarti cosa, quale puoi vedere nel nostro quale di sopra dicemmo velo, dolce e bene da essa natura dipinto. E se pure ti piace ritrarre opere d'altrui, perché elle più teco hanno pazienza che le cose vive, più mi piace a ritrarre una mediocre scultura che una ottima dipintura, però che dalle cose dipinte nulla più acquisti che solo sapere asimigliarteli, ma dalle cose scolpite impari asimigliarti, e impari conoscere e ritrarre i lumi. E molto giova a gustare i lumi socchiudere l'occhio e strignere il vedere coi peli delle palpebre, acciò che ivi i lumi si veggano abacinati e quasi come in intersegazione dipinti. E forse più sarà utile essercitarsi al rilievo che al disegno. E s'io non erro, la scultura più sta certa che la pittura; e raro sarà chi possa bene dipignere quella cosa della quale elli non conosca ogni suo rilievo; e più facile si truova il rilievo scolpendo che dipignendo. Sia questo argomento atto quanto veggiamo che quasi in ogni età sono stati alcuni mediocri scultori, ma truovi quasi niuno pittore non in tutto da riderlo e disadatto. 59. Ma in quale ti esserciti, sempre abbi inanzi qualche elegante e singulare essempio, quale tu rimirando ritria; e in ritrarlo, giudico bisogni avere una diligenza congiunta con prestezza, che mai ponga lo stile o suo pennello se prima non bene con la mente arà constituito quello che egli abbi a fare, e in che modo abbia a condurlo; ché certo più sarà sicuro emendare gli errori colla mente che raderli dalla pittura. E ancora quando saremo usati a fare nulla senza prima avere ordinato, interverracci che molto più che Asclipiodoro saremo pittori velocissimi, quale uno antiquo pittore dicono fra gli altri fu dipignendo velocissimo. E l'ingegno mosso e riscaldato per essercitazione molto si rende pronto ed espedito al lavoro; e quella mano seguita velocissimo, quale sia da certa ragione d'ingegno ben guidata. E se alcuno si troverà pigro artefice, costui per questo così sarà pigro, perché lento e temoroso tenterà quelle cose quale non arà prima fatte alla sua mente conosciute e chiare; e mentre che s'avolgerà fra quelle tenebre d'errori e quasi come il cieco con sua bacchetta, così lui con suo pennello tasterà questa e quest'altra via. Pertanto mai se non con ingegno scorgidore, bene erudito, mai porrà mano a suo lavoro. 60. Ma poi che la istoria è summa opera del pittore, in quale dee essere ogni copia ed eleganza di tutte le cose, conviensi curare sappiamo dipignere non solo uno uomo, ma ancora cavalli, cani e tutti altri animali, e tutte altre cose degne d'essere vedute. Questo così conviensi per bene fare copiosa la nostra istoria; cosa qual ti confesso grandissima, e a chi si fusse dagli antiqui non molto concessa, che uno in ogni cosa, non dico eccellente fusse, ma mediocre dotto. Pure affermo dobbiamo sforzarci che per nostra negligenza quelle cose non manchino quale acquistate rendono lode, e neglette lassano biasimo. Nitias, ateniese pittore, diligente dipinse femmine. Eraclides fu lodato in dipignere navi. Serapion non potea dipignere uomini; altra qual vuoi cosa molto dipignea bene. Dionisio nulla potea dipignere altri che uomini. Allessandro, quello il quale dipinse il portico di Pompeo, sopra gli altri bene dipignea animali, massime cani. Aurelio che sempre amava, solo dipignendo dee ritraeva i loro visi quali esso amava. Fidias in dimostrare la maestà degli iddii più dava opera che in seguire la bellezza degli uomini. Eufranore si dilettava espriemere la degnità de' signori, e in questo avanzò tutti gli altri. Così a ciascuno fu non equali facultà; e diede la natura a ciascuno ingegno sue proprie dote, delle quali non però in tanto dobbiamo essere contenti che per negligenza lassiamo di tentare quanto ancora più oltre con nostro studio possiamo. E conviensi cultivare i beni della natura con studio ed essercizio, e così di dì in dì farle maggiori; e conviensi per nostra negligenza nulla pretermettere quale a noi possa retribuere lode. 61. E quando aremo a dipignere storia, prima fra noi molto penseremo qual modo e quale ordine in quella sia bellissima, e faremo nostri concetti e modelli di tutta la storia e di ciascuna sua parte prima, e chiameremo tutti gli amici a consigliarci sopra a ciò. E così ci sforzeremo avere ogni parte in noi prima ben pensata, tale che nella opera abbi a essere cosa alcuna, quale non intendiamo ove e come debba essere fatta e collocata. E per meglio di tutto aver certezza, segneremo i modelli nostri con paraleli, onde nel publico lavoro torremo dai nostri congetti, quasi come da privati commentari, ogni stanza e sito delle cose. In lavorare la istoria aremo quella prestezza di fare, congiunta con diligenza, quale a noi non dia fastidio o tedio lavorando, e fuggiremo quella cupidità di finire le cose quale ci facci abboracciare il lavoro. E qualche volta si conviene interlassare la fatica del lavorare ricreando l'animo. Né giova fare come alcuni, intraprendere più opere cominciando oggi questa e domani quest'altra, e così lassarle non perfette, ma qual pigli opera, questa renderla da ogni parte compiuta. Fu uno a cui Appelles rispose, quando li mostrava una sua dipintura, dicendo: «oggi feci questo»; disseli: «non me ne maraviglio se bene avessi più altre simili fatte». Vidi io alcuni pittori, scultori, ancora rettorici e poeti, - se in questa età si truovano rettorici o poeti, - con ardentissimo studio darsi a qualche opera, poi freddato quello ardore d'ingegno, lassano l'opera cominciata e rozza e con nuova cupidità si danno a nuove cose. Io certo vitupero così fatti uomini, però che qualunque vuole le sue cose essere, a chi dopo viene, grate e acette, conviene prima bene pensi quello che egli ha a fare, e poi con molta diligenza il renda bene perfetto. Né in poche cose più si pregia la diligenza che l'ingegno; ma conviensi fuggire quella decimaggine di coloro, i quali volendo ad ogni cosa manchi ogni vizio e tutto essere troppo pulito, prima in loro mani diventa l'opera vecchia e sucida che finita. Biasimavano gli antiqui Protogene pittore che non sapesse levare la mano d'in sulla tavola. Meritamente questo, però che, benché si convenga sforzare, quanto in noi sia ingegno, che le cose con nostra diligenza sieno ben fatte, pure volere in tutte le cose più che a te non sia possibile, mi pare atto di pertinace e bizzarro, non d'uomo diligente. 62. Adunque alle cose si dia diligenza moderata, e abbisi consiglio degli amici, e dipignendo s'apra a chiunque viene e odasi ciascuno. L'opera del pittore cerca essere grata a tutta la moltitudine. Adunque non si spregi il giudicio e sentenza della moltitudine, quando ancora sia licito satisfare a loro oppenione. Dicono che Appelles, nascoso drieto alla tavola, acciò che ciascuno potesse più libero biasimarlo e lui più onesto udirlo, udiva quanto ciascuno biasimava o lodava. Così io voglio i nostri pittori apertamente domandino o odano ciascuno quello che giudichi, e gioveralli questo ad acquistar grazia. Niuno si truova il quale non estimi onore porre sua sentenza nella fatica altrui. E ancora poco mi pare da dubitare che gli invidi e detrattori nuocano alle lode del pittore. Sempre fu al pittore ogni sua lode palese, e sono alle sue lode testimoni cose quale bene arà dipinte. Adunque oda ciascuno, e imprima tutto bene pensi e bene seco gastighi; e quando arà udito ciascuno, creda ai più periti. 63. Ebbi da dire queste cose della pittura, quali se sono commode e utili a' pittori, solo questo domando in premio delle mie fatiche, che nelle sue istorie dipingano il viso mio, acciò dimostrino sé essere grati e me essere stato studioso dell'arte. E se meno satisfeci alle loro aspettazioni, non però vituperino me se ebbi animo traprendere matera sì grande. E se il nostro ingegno non ha potuto finire quello che fu laude tentare, pure solo il volere ne' grandi e difficili fatti suole essere lode. Forse dopo me sarà chi emenderà e' nostri scritti errori, e in questa dignissima e prestantissima arte saranno più che noi in aiuto e utile ad i pittori, quale io, - se mai alcuno sarà, - priego e molto ripriego piglino questa fatica con animo lieto e pronto in quale essercitino suo ingegno e rendano questa arte nobilissima ben governata. Noi però ci reputeremo a voluttà primi aver presa questa palma d'avere ardito commendare alle lettere questa arte sottilissima e nobilissima. In quale impresa difficilissima se poco abbiamo potuto satisfare alla espettazione di chi ci ha letto, incolpino la natura non meno che noi, quale impose questa legge alle cose, che niuna si truovi arte quale non abbia avuto suoi inizi da cose mendose: nulla si truova insieme nato e perfetto. Chi noi seguirà, se forse sarà alcuno di studio e d'ingegno più prestante che noi, costui, quanto mi stimo, farà la pittura assoluta e perfetta.
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