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Attraverso lo specchio: 07

Attraverso lo specchio
di Lewis Carroll

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VII

IL LEONE E L'UNICORNO

L'istante dopo dei soldati arrivavano correndo per il bosco, in principio a due o tre, poi a dieci o venti insieme, e finalmente in tali masse che sembravano riempire tutta la foresta. Alice si rifugiò dietro un albero per paura d'esser travolta e li guardò passare.

Pensava di non aver mai veduto in vita sua tanti soldati proceder con tanta incertezza di gambe; inciampavano sempre su questo o quell'oggetto, e quand'uno cascava, parecchi altri gli cascavano addosso, di guisa che il suolo fu tosto coperto di mucchi di uomini.

Poi vennero i cavalli. Avendo quattro piedi, se la cavavano molto meglio dei fanti; ma anch'essi inciampavano di tanto in tanto, e sembrava che fosse regola normale, quando un cavallo inciampava, che il cavaliere dovesse istantaneamente cadere. La confusione si faceva ogni momento maggiore, e Alice fu lietissima di uscir fuori del bosco in un luogo scoperto, dove trovò il Re Bianco seduto a terra e tutto affaccendato a scrivere nel suo taccuino.

- Li ho mandati tutti, - gridò il Re in tono di grande soddisfazione vedendo Alice. - T'è capitato d'incontrare dei fanti, cara, venendo per il bosco?

- Sì, - disse Alice, - e parecchie migliaia, credo.

- Quattromila duecento e sette è il numero esatto, - disse il Re, riferendosi al libro. - Non ho potuto mandarli tutti, sai, perchè due occorrono al giuoco. E neanche ho mandato i due Alfieri. Entrambi sono andati in città. A proposito guarda sulla strada, e dimmi se vedi qualcuno di essi.

- Nessuno, - disse Alice, dopo aver dato un'occhiata alla strada.

- Mi rallegro con i tuoi occhi, - osservò il Re con tono stizzoso. - Poter veder Nessuno. E a tanta distanza poi! Figurati che è già tanto se mi riesce di veder qualcuno, con questa luce.

Tutto questo non fu sentito da Alice, ancora intenta a guardare sulla strada, facendosi schermo agli occhi con la mano.

- Io veggo qualcuno ora, - finalmente ella esclamò, - ma viene avanti pian piano, e con che strani atteggiamenti! (Perchè l'Alfiere continuava a saltare di qua e di là, e, contorcendosi come una anguilla, veniva innanzi con le mani aperte come ventagli ai due lati.)

- Niente affatto, - disse il Re. - Egli è un Alfiere anglo-sassone... e quelli sono atteggiamenti anglo-sassoni. Fa così quando si sente felice. Si chiama Fortunello.

- Io amo il mio amore con un F. - cominciò Alice, pensando a certo ritornello infantile, perchè egli è Felice. Lo odio con un F. perchè è Fellone. Lo cibo con... con... con Fette di sandwiches e Fieno. Si chiama Fortunello e vive...

- E vive a Firenze, - osservò il Re semplicemente, senza la minima idea di unirsi al giuoco, mentre Alice esitava nel cercare il nome di una città con un F. - L'altro Alfiere si chiama Hatta. Debbo averne due, sai, per venire e andare: uno a venire, e uno ad andare.

- Scusatemi... - disse Alice.

- Non hai fatto nulla per chiedermi scusa - disse il Re.

- Volevo dire che non capivo, - disse Alice, - perchè uno per venire e l'altro per andare?

- Non te l'ho detto, - ripetè il Re, impazientito, - che ne debbo aver due a... ad andare a portare. Uno ad andare e uno a portare.

In quel momento arrivò l'Alfiere: non gli era rimasto tanto di fiato da poter dire una parola; poteva solo accennare dei grandi gesti con le mani, e far le più terribili smorfie al povero Re.

- Questa signorina ti ama con un F. - disse il Re, presentando Alice nella speranza di stornar da sè l'attenzione dell'Alfiere; ma invano. Gli atteggiamenti anglo-sassoni si facevano sempre più straordinari, mentre gli occhi spalancati giravano furiosamente da un lato all altro.

- Tu mi allarmi, - disse il Re. - Mi sento debole... dammi una fetta di sandwich!

- A ciò l'Alfiere, con gran divertimento di Alice, aprì un sacchetto che portava appeso al collo, e diede un sandwich al Re, che lo divorò avidamente.

- Un altro sandwich! - disse il Re.

- Non è rimasto che il fieno, ora, - disse l'Alfiere, guardando nel sacchetto.

- Fieno, allora, - mormorò il Re con un sussurro.

Alice fu lieta di vedere che il fieno lo rianimava.

- Non c'è nulla come il fieno, se uno si sente debole, - egli le osservò, continuando a masticare.

- Forse sarebbe meglio gettarvi dell'acqua fredda addosso, - suggerì Alice, -...o dei sali volatili.

- Non ho detto che non v'è nulla di meglio, - rispose il Re, - ho detto nulla come il fieno.

Il che Alice non s'arrischiò di contestare.

- Chi passava sulla strada? - continuò il Re, stendendo la mano all'Alfiere per avere altro fieno.

- Nessuno, - disse l'Alfiere.

- Per l'appunto, - disse il Re, - l'ha visto anche questa signorina. Allora Nessuno cammina più piano di te.

- Io faccio del mio meglio, - disse l'Alfiere imbronciato, - e son sicuro che nessuno cammina più presto di me.

- È impossibile, - disse il Re, - sarebbe arrivato prima di te. Frattanto, hai ripigliato fiato e puoi dirci ciò che è accaduto nella città!

- Te lo dirò all'orecchio, - disse l'Alfiere, mettendosi le mani alla bocca a guisa di tromba, e chinandosi sull'orecchio del Re.

Alice si dispiacque di quest'atto, perchè voleva saper le notizie anche lei. Però, invece di far un sussurro con le labbra, l'Alfiere strillò con tutti i suoi polmoni:

- La solita battaglia!

- E questo tu lo chiami dirmelo all'orecchio? - gridò il povero Re facendo un balzo. - M'è parso d'avere un terremoto in testa.

- Chi è che fa la solita battaglia?

- Il Leone e l'Unicorno, chi altri può essere? - disse il Re.

- Battagliano per la Corona?

- Certo, - disse il Re, - e il più bello si è che è sempre per la mia corona. Corriamo a vedere

E s'avviarono al trotto, mentre Alice si ripeteva le parole della vecchia canzone:

Battagliar per la Corona il Leone e l'Unicorno,
che fu vinto dal Leone in cittade e intorno intorno,
chi mangiar fe' I'Unicorno, chi mangiare fe' il Leone
pane bianco e pane bruno, pan di Spagna con torrone.

- Chi vince ottiene la corona? - ella chiese, come potè, perchè la corsa le toglieva il fiato.

- Povero me, no! - disse il Re. - Che idea?

- Sareste così cortese..., - disse Alice ansando, dopo aver corso un poco più oltre, - da fermarvi un minuto... per respirare un poco.

- Io sono cortese, - disse il Re, - ma non son forte abbastanza. Vedi, un minuto è così tremendamente veloce. Sarebbe lo stesso che voler fermare un lampo.

Non avendo più fiato per parlare, Alice continuò a correre in silenzio, finchè si trovò di fronte a una gran folla, in mezzo alla quale battagliavano il Leone e l'Unicorno. Erano in una nuvola di polvere così densa, che in principio Alice non potè distinguerli: ma poi capì dal corno qual'era l'Unicorno.

Essa col Re si dispose accanto ad Hatta, l'altro Alfiere, che guardava il combattimento con una tazza di tè in una mano e un pezzo di pane imburrato nell'altra.

- È uscito ora di prigione, e non aveva finito il tè quando ci fu mandato, - sussurrò Fortunello ad Alice: - là dentro non si danno che gusci d'ostriche... così ha molta fame e molta sete. Come stai, caro mio? - egli continuò, mettendo affettuosamente il braccio intorno al collo di Hatta.

Hatta guardò in giro e fece un cenno con la testa continuando a mangiare il pane imburrato.

- Te la passavi felicemente in prigione, amico caro? - disse Fortunello.

Hatta girò ancora intorno lo sguardo, e una lagrima o due gli solleticarono questa volta la guancia; ma non disse una parola.

- Parla, non puoi parlare? - gridò Fortunello impaziente.

Ma Hatta masticava e beveva tè.

- Parla, non vuoi parlare? - gridò il Re. Come si conducono al combattimento?

Hatta fece uno sforzo disperato, e inghiottì un gran pezzo di pane e burro.

- Continuano benissimo, - egli disse con voce soffocata: - ciascuno dei due è caduto circa ottantasette volte.

- Allora si darà loro il pane bianco e il pane bruno?

- Li aspettiamo ora, - disse Hatta, - adesso me ne sto mangiando un pezzo.

Vi fu una pausa nel combattimento in quell'istante, e il Leone e l'Unicorno si sedettero ansando, mentre il Re gridava:

- Son concessi dieci minuti per i rinfreschi. Fortunello e Hatta si misero subito al lavoro, portando vassoi di pane bianco e bruno. Alice se ne prese un pezzo da assaggiare, ma era molto secco.

- Non credo ch'essi combatteranno più oggi, - disse il Re ad Hatta; - dà l'ordine ai tamburi di cominciare.

E Hatta se n'andò saltando come un grillo.

Per un minuto o due Alice se ne rimase in silenzio a guardarlo. A un tratto s'illuminò:

- Guarda, guarda! - ella gridò puntando un dito. - Ecco la Regina Bianca che corre per la campagna. Essa è venuta a volo dal bosco laggiù. Come possono correre presto queste Regine!

- Senza dubbio ha qualche nemico alle calcagna, - disse il Re, senza neanche levar lo sguardo. - Questo bosco n'è pieno.

- Ma perchè non correte ad aiutarla? - chiese Alice, sbalordita di vederlo prender la cosa con tanta tranquillità.

- È inutile, è inutile! - disse il Re. - Corre con tanta rapidità. Sarebbe come voler acchiappare un lampo. Ma io piglierò un appunto su di lei, se tu vuoi... È una creatura così buona! - ripetè pianamente a sè stesso mentre apriva il taccuino. - Creatura la scrivi con due «a»?

In quel momento arrivava trotterellando l'Unicorno, con le mani in tasca.

- L'ho vinto questa volta, - egli disse al Re, dandogli un'occhiata mentre gli passava accanto.

- Un poco... un poco, - rispose il Re con qualche nervosità. - Non avresti dovuto trafiggerlo col corno, però.

- Non gli ho fatto male, - disse calmo l'Unicorno, e stava per continuare quando s'avvide di Alice. Si voltò immediatamente e stette a guardarla con l'aria del più profondo disgusto.

- Che cosa... è... mai? - disse finalmente.

- Una bambina, - rispose subito Fortunello, mettendosi di fronte ad Alice per presentarla, e stendendo ambo le mani verso di lei in atteggiamento anglosassone. - L'abbiamo trovata oggi. È grande al vivo e più che naturale.

- Io avevo creduto sempre che fossero dei mostri favolosi, - disse l'Unicorno. - È viva?

- Può parlare, - disse Fortunello solennemente.

L'Unicorno guardò Alice come in sogno, e disse:

- Parla, bambina.

Alice non potè non schiudere le labbra a un sorriso, mentre cominciava:

- Non sapete, anch'io avevo sempre creduto che gli Unicorni fossero mostri favolosi. Non ne avevo visto ancora uno vivo.

- Bene, ora che ci siamo visti tutti e due, - disse l'Unicorno, - se tu crederai in me, io crederò in te. Accetti il patto?

- Sì, se vi piace.

- Adesso fa portare la torta, caro, - disse l'Unicorno volgendosi da lei al Re. - Per me, niente del tuo pane bruno oggi.

- Certo... certo! - mormorò il Re. e fece cenno a Fortunello. - Apri il sacco, - egli sussurrò. - Presto, non quello... quello è pieno di fieno.

Fortunello trasse una grossa torta dal sacco, e la diede a tenere ad Alice, mentre egli prendeva un piatto e un coltello. Come fossero tutte queste cose uscite dal sacco, Alice non potè indovinare. Era come un giuoco di prestidigitazione, essa pensava.

Il Leone li aveva raggiunti, frattanto: appariva molto stanco e assonnato, e aveva gli occhi semichiusi.

- Che è questo? - disse, dando una pigra occhiata ad Alice, e parlando in un tono di basso profondo, che pareva il rintocco d'una campana.

- Ah, sì, che è questo? - gridò pronto l'Unicorno. - Non l'indovineresti mai! lo non ho potuto.

Il Leone guardò Alice annoiato:

- Sei un animale... un vegetale... un minerale? - disse sbadigliando ad ogni parola.

- È un mostro favoloso! - esclamò l'Unicorno, prima che Alice potesse rispondere.

- Allora servici la torta, Mostro; - disse il Leone sedendosi in terra e tenendosi il mento fra le zampe. - E sedetevi anche voi (al Re e all'Unicorno): e dividi la torta in parti uguali, sai.

Evidentemente il Re non appariva soddisfatto di dover sedere fra le due grandi creature; ma non c'era altro posto per lui.

- Che battaglia potremmo darci per la corona, ora! - disse l'Unicorno, guardando di sottecchi la corona che il povero Re era sul punto di vedersi cader di testa, tanto tremava in tutte le. membra.

- Vincerei facilmente, - disse il Leone.

- Non lo credo, - disse l'Unicorno.

- Sì, ed io ti batto intorno alla città, pollo che non sei altro! - rispose irosamente il Leone facendo l'atto di levarsi mentre parlava.

Allora il Re intervenne per far cessare il litigio: aveva i nervi molto scossi e la voce gli tremava:

Intorno alla città? - egli disse. - C'è molta strada. Andate per il ponte o per la piazza del mercato? Dal ponte si gode un magnifico panorama.

- Non so, - brontolò il Leone, nell'atto di riadagiarsi. - V'era tanta polvere che non si vedeva nulla. Quanto ci mette il Mostro a tagliare quella torta!

Alice s'era seduta sull'orlo d'un ruscelletto col gran piatto sulle ginocchia e tagliava attentamente col coltello.

- Che seccatura! - ella disse, rispondendo al Leone (s'era già abituata ad esser chiamata «Mostro»), - io taglio le fette, ed esse si riappiccicano.

- Tu non sai come si trattano le torte dello Specchio! - osservò l'Unicorno. - Prima devi distribuire le parti e poi tagliarle.

Questo pareva assurdo, ma Alice ubbidientemente si levò, portò in giro il piatto, e la torta si divise in tre pezzi, mentre la bambina andava dall'uno all altro.

- Ora tagliala, - disse il Leone, mentre ella tornava al suo posto col piatto vuoto.

- Dichiaro che non è giusto, - gridava l'Unicorno, mentre Alice, seduta col coltello in mano, non sapeva di dove cominciare. - Il Mostro ha dato al Leone una porzione due volte più grossa della mia.

- Non s'è tenuta la porzione sua, però, disse il Leone. - Ti piace la torta, Mostro?

Ma prima che Alice potesse rispondere, cominciarono i tamburi.

Ella non potè comprendere donde venisse il rumore: l'aria ne sembrava piena, e il fracasso la rintronava in modo da assordarla. Ella balzò in piedi e fece un salto a traverso il ruscelletto per la paura che l'aveva invasa, ed ebbe appena il tempo di vedere il Leone e l'Unicorno levarsi in piedi, con gli sguardi irati per quell'interruzione della loro colazione, prima di cadere in ginocchio e di mettersi le mani alle orecchie, invano tentando di smorzare quello spaventoso fracasso.

«Se questo stamburio non li caccia fuori della città, - ella pensava, - nulla vi riuscirà.»


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