CAPO I
Quindi segue la città di Atene. La via è amena, tutta coltivata, la qual alla vista
ridente invita gli uomini.
La città è tutta arida, non avendo acque: per l'antichità fu male tagliata. Molte case
sono fatte per la frugalità: poche però sono comode. Guardandola di botto gli stranieri,
dubiteranno, se essa è la decantata città di Atene, ma poco dopo lo crederanno.
Vi ha il più bel teatro, che vi sia nell'abitato, il dicevole, il grande, e ammirando
tempio di Minerva, suntuoso, spettabile da ogni luogo, e degno di vedersi. Il Partenone,
locato sopra il teatro, fa stupire a chi lo guarda; l'Olimpo, tutto che imperfetto,
sorprende nel disegno dell'edifizio; sarebbe ottimo, se fosse compito. Vi sono tre
ginnasi, l'Accademia, il Liceo, e il Cinosargho, tutti piantati di alberi, e pieni di
erbosi pavimenti.
Vi ha feste di ogni genere, gabbi e riposo dell'anima; molti trattenimenti di ogni sorta
di Filosofi, e continui spettacoli. I frutti della terra sono inestimabili e
pregevolissimi al guasto, ma un po' scarsetti. Atene, abitata dagli stranieri, i quali vi
dimorano, risponde ai desideri di ciascuno: distraendo la mente al piacere, fa dimenticare
la servitù. La gentuccia pegli spettacoli, e pe' trattenimenti è insensibile alla fame,
facendo dimenticare questa città di pigliar cibo. Per chi ha poi le spese da viaggiare
non ve ne ha alcuna così piacevole. Ma molte altre cose, e gradite a questo comune:
perciocché lunghesso vi sono città suburbane agli Ateniesi.
Quelli, che l'abitano, buoni sono con ogni artifizio a conciliarle gran fama presso
chiunque, esibendo segni di grandissima cortesia che è un'ammirando documento all'uomo,
che si distingue dagli animali privi di sentimento.
CAPO II
Degli abitanti altri son Attici, altri Ateniesi. Gli Attici son amanti discorsi, che
montan cavelle, simulatori, calunniatori, e spioni della vita de' forestieri: gli Ateniesi
sono magnanimi, candidi nelle maniere, e sinceri custodi dell'amicizia. Discorrono per la
città certi cattivelli parolai, i quali, callunniando i male agiati pellegrini, e i
ricchi passaggieri, non se ne vanno, se qualche cosa non ne scroccano: come il popolo
imprigiona costoro, li avviluppa in duri castighi. I veri Ateniesi agramente apparan le
arti; e per dire il tutto in brieve pe' continui spettacoli e per li molti trattenimenti
quanto le altre città nel piacere, e nella direzione della vita differiscono dalle
campagne, tanto Atene delle altre città è più pregevole.
CAPO III
Si devon evitare con cura grandissima le meretrici, affinché non l'ignori chi
soavemente va a perdersi.
Questi sono i versi di Lisippo: "Se tu non hai veduto Atene, sei
un tronco; se l'hai veduto e non ne sei preso, un asino; se volentieri te ne allontani,
asinaccio".
Questa città è Ellena, la qual simile alle rose contiene fraganza, e insiem molestia;
perciocché le feste solari sono di un gran trattenimento, e l'anno solare mi fa gire in
pazzia. Allorché però taluno di loro dice il pioppo bianco esser solar corona mi crucio
in modo contra di essi, che vorrei piuttosto morir di fame, che ciò ascoltando soffrire.
Tante tenebre si spargono sopra gli stranieri.
CAPO IV
Di quivi ad Oropo per Delfinio, e il Tempio di Anfiarao la via, a chi cammina libero di
ogni peso, avviene erta per un giorno: ma la frequenza degli ospizij, che hanno
abbondevoli le cose necessarie alla vita, e i riposi impediscono di venir fastidio ai
viandanti.
La città degli Oropj è propria de' Tebani. Da molto tempo educata in un'estrema
malvaggità di mercantile guadagno, e di un esorbitante arricchire de' gabellieri:
perciocché riscuoton le gabelle pure per quelle cose, che presso loro si dovranno
introdurre. Molti di loro nel conversare sono aspri, ricevono però di buon grado gli
uomini prudenti.
Negando esser Beozj, sono Ateniesi Beozj. Ecco i versi di Senone: "Tutti
gabellieri, tutti sono rapaci. Mal fine avvenga agli Oropj".
CAPO V
Di quivi a Tanagra vi ha cento trenta stadj. La via è per paese piantato di ulivi, e
di alberi, netta di ogni timor di ladri. La città è scoscesa, e alta, ma bianca è di
superficie e argillosa, ornata di antiporti, e di bellissimi encaustici doni. Il suo
territorio non abbonda troppo di frumenti, ma primeggia nel vino, che si produce nella
Beozia.
Gli abitatori sono splendidi nel vestire, e negli addobbi; nel vitto però, e nel
conversare semplici: tutti agricoltori, nessun artefice. Buoni custodi della giustizia,
della fede, e dell'ospitalità, i quali di tutto ciò, che hanno, ne tolgono le primizie,
e generosamente ne regalano i poveri cittadini, e chi vagando passa la vita lontano dalla
patria in bistento. Sono eglino alieni di ogni ingiusto guadagno.
Questa è città sicurissima di tutte quelle di Beozia per vivere agiatamente i
forestieri; poiché è lontano il severo e austero odio de' malvaggi per la frugalità, e
amore alla fatica degli abitanti. Io non osservai in questo comune giammai il pendio a
quel genere di intemperanza, pel quale molto spesso si commettono dagli uomini grandissimi
delitti: perché a chi basta il necessario non viene pensiere di guadagno, difficilmente
s'ingenera la scelleratezza.
CAPO VI
Di quivi a Platea vi ha stadj dugento. La via è alquanto solitaria, e petrosa; ma
volgendosi verso Citerone, non è molto mal sicura.
Questa città, secondo Posidippo autor di commedie, è "due
Templi, un portico, un nomme, un bagno, e la gloria di Serambo. Il di più certamente è
lido; pegli uomini liberi e la città".
I Cittadini non hanno altro nella bocca, che sono coloni degli Ateniesi, e che presso loro
fu la pugna tra i Greci e i Persiani. Ei sono Ateniesi-Beozj.
CAPO VII
Di quivi a Tebe vi ha ottanta stadj. La via è tutta piana, e senza rialti. La città
è locata in mezzo della Beozia, ha di circuito settanta stadj, ed è tutta piana, di
figura rotonda, e di color nericcio. La città è antica, ma si è nuovamente in vie rette
divisa: perché tre volte, come dicon le storie, fu diroccata per la gonfiatura, e
arroganza degli abitanti.
E' buona altrice di cavalli, abbondevole tutta di acque, erbosa, e un po' elevata. Ha
moltissimi ortaggi sopra tutte le città Greche. Dappoiché scorron per essa due fiumi,
che abbeverano tutto il campo, che sta di sopra. Si narra, che l'acqua, la qual disparve
da Cadmea, fosse condotta per doccioni, come dicono, anticamente da Cadmo costrutti.
Questa è la città.
CAPO VIII
Gli abitatori sono magnanimi, e ammirevoli nello sperar buone le cose della vita; ma
audaci, ingiuriosi, gonfj, e presti a porre le mani addosso, e implacabili con ogni
forestiere, e popolano; dispreggiatori di ogni cosa giusta, i quali non diffiniscon i
dubbj, che nascono dalle convenzioni, con la ragione, ma usano audacia, e mani violente.
Se ne' ginnici combattimenti fosse fatta loro violenza, se la riserbano quando si terrà
ragione. Per lo che le cause presso costoro s'introducono almanco nell'anno trentesimo.
Che se alcuno fa ricordanza di siffatta cosa al popolo, e prestamente non si allontana
dalla Beozia, ma resta per poco nella città: non molto dopo, insidiato di notte da
coloro, che non voglion far diffinire le cause, ne paga il fio con morte violenta. Gli
omicidj presso loro accadono per cagioni leggierissime. Così sono gli uomini, ma ve ne ha
alcuni e magnanimi, e commendevoli di ogni perpetua amicizia.
CAPO IX
Le donne Tebane per grandezza della persona, per incedere, e nella misura de' passi
sono compostissime, e bellissime sopra tutte le donne Greche. Dice Sofocle:
"Parli di Tebe, che ha sette porte, ove i mortali generano Dee".
Il velo delle vesti sopra il capo è fatto in modo, che sembra come ad un mascherato
occultare tutto il volto: appariscono gli occhi soli, il resto del viso viene dalle vesti
occupato. Tutte le portano bianche: hanno bionda la capellatura, legata sino al vertice
del capo, la qual si addimanda dai nativi del paese Facella.
Le scarpe loro sono leggieri, non pesanti, di color violaceo fiammeggiante, e umili, e
allacciate in modo, che quasi nudi si vedono i piedi. Nelle compagnie non han modi Beozj,
ma costumi Sicioni piuttosto che no. La loro voce è grata; quella degli uomini
spiacevole, e grave. E' ottimo paese per passarvi l'està, perché ha molta acqua, e
fredda, e molti giardini; vi spirano buoni venti, ed ha la prospettiva erbosa, lungo
autunno, e di merci estive venali abbondevole. Ma non ha legno, e nell'inverno vi si sta
male assai pe' fiumi, e pe' venti; perciocché nevica, e ha molto fango. Questi sono i
versi di Laone. Scrive però in lode di loro, e non dice il vero; poiché
l'adultero sorpreso se ne andava via libero, comperando l'offeso con poco denaro. "Ama
il Beozio, non fuggire dalla donna Beozia; perché quegli è compiacente, questa è
cortese".
CAPO X
Di quivi ad Antedone vi ha cento sessanta stadj. La via è obliqua, il cammino pe'
campi è da calesso. La città non è grande, ed è locata nello stesso mare Euboico. Ha
il Foro pieno tutto di alberi, e circondato di due portici. Abbonda di vino, e di pesce,
ma di frumento scarseggia, perché il territorio è sterile. Gli abitanti sono quasi tutti
pescatori, ricevendo il sostegno della vita dagli ami, dai pesci, dalle porpore, e dalle
spugne. Invecchiano nel lido, nell'alga marina, e ne' tugurj. Di colore rossastri, tutti
però gracili. Hanno le estremità delle ugne corrose nelle opere marittime: molti sono
affezionatissimi ai porti, e fabbricano navi. Non solo non coltivano i campi, ma né pur
ne hanno, dicendo esser posteri di Glauco Marino, il quale era pescatore
notissimo. Questa è la Beozia.
CAPO XI
Imperocché Tespie ha solamente l'onore di uomini illustri, e statue non perfette, e
nient'altro più. Narrano i Beozj le loro proprie miserie, dicendo: Risedere in Oropo il
desiderio di un turpe guadagno, l'invidia in Tanagra, la discordia in Tespie, l'insolenza
in Tebe, la rapacità in Antedone, la curiosità in Coronea, la millanteria in Platea, la
febbre in Onchesto, la insensibilità in Aliarto. Da tutta la Grecia scorsero siffatti
malanni nelle città Beozie. Ecco il verso di Ferecrate: "Se la
pensi con senno fuggi la Beozia". Questa è adunque la Beozia.
CAPO XII
Da Antedone a Calcide fin a Salganeo vi ha settanta stadj. La via per la spiaggia è
tutta piana, e facile, ora volgendosi al mare, ora verso una collinetta piena di boschi, e
di acque perenni innaffiata. La città di Calcide è più di settanta stadj, spazio della
via, che là conduce da Antedone. E' tutta elevata, e ombrosa. Ha delle acque, ma molte
sono salse: un ruscello però dalla fonte detta Aretusa un po' larghetto, potabile, e
freddo scorre quanto basta per dar acqua dalla sorgente a tutti gli abitanti della città.
La città è variamente adorna di pubblici ginnasj, portici, templi, teatri, pitture, e
statue, essendo benissimo locate nella piazza le opere pel commenzio. Imperocché le acque
da Salganeo della Beozia, e dal mare Euboico in quel luogo unendosi, e nell'Euripo,
scorrono per le medesime mura del porto, ove la porta è rimpetto al mercato. A questa
porta è contigua la piazza, la qual è larga, e chiusa da tre portici. Essendo locato
vicino alla piazza il porto, e com'è veloce il trasporto delle merci che si fa dalle navi
da carico; molta frequenza vi ha nel mercato di marinai, che discendono: perché l'Euripo,
doppia avendo l'entrata, tira al mercadante nella città. La regione tutta è piantata di
ulivi; ma il mare è proficuo.
Gli abitanti sono Elleni non solo per origine, ma nel parlare senza che fossero istruiti
nelle scienze cortesi verso i forestieri, e modelli di lingua. Tollerano generosamente i
casi avversi della patria: perciocché, stati per molto tempo servi, e di ingegno liberi,
hanno acquistato un grand'abito di sofferir pazientemente le sventure. Questo è il verso
di Filisco: "Calcide è nelle probissime città Ellene".
CAPO XIII
Io termino l'Ellade cominciando dal Peloponneso sino ad Omolio de' Magneti, e a Tempe
de' Tessali. Da alcuni forse ci si apporrà ad errore, che noi numeriam la Tessaglia
nell'Ellade: costoro sono poco istruiti della verità de' fatti. Imperocché Ellade
quand'era città fu fabbricata, e così chiamata da Elleno padre di Eolo,
essendo nella regione de' Tessali, locata in mezzo a Farsalo, e la città de' Melitei.
Gli Elleni sono coloro, che discendono da Elleno, e nel parlare Ellenizzano. Gli Ateniesi,
i quali abitano l'Attica, sono Attici di stirpe, e nel parlare Atticizzano. Come i Dori, i
quali discendono da Doro, nel linguaggio Dorizzano: Eolizza chi da Eolo,
Ionizza chi discende da Iono figlio di Suto. Per lo che Ellade era nella
Tessaglia quando un tempo era, non già nell'Attica: perciò il Poeta dice:
"Si chiamano Mirmidoni, Achei, e Elleni". Chiamando Mirmidoni coloro,
che sopra la Tessaglia abitavan Ftia; Elleni quelli, che poc'anzi ho detto; Achei quelli,
che tutt'ora abitano Melitia, e Larissa, addimandata Cremaste, e le Tebi Acaide, prima
chiamate Filace, dond'era Protesilao, che militò in Troja. (...).
Sia ciò detto contra coloro, i quali non istimano esser la Tessaglia nell'Ellade, né i
Tessali, posteri di Elleno. Ellenizzare. Separando l'Ellade all'imboccatura de' Tessali, e
ad Omolio de' Magneti, terminando la narrazione, facciamo fine al discorso.
I Frammenti di Dicearco da Messina,raccolti e illustrati dall'avvocato Celidonio
Errante. Palermo, presso Lorenzo Dato, 1822. |