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Parenti: seduta 05

Parenti: seduta 05
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Pagina 123
       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                          INDICE
                                                        Pag.
Audizione del capo della polizia, prefetto Fernando
Masone:
  Parenti Tiziana, Presidente ........... 125, 134, 135, 136
                 139, 140, 142, 146, 150, 153, 157, 158, 159
  Arlacchi Giuseppe ............................... 140, 141
  Ayala Giuseppe ................... 136, 138, 139, 140, 142
                                     149, 151, 153, 154, 158
  Bargone Antonio ....................... 135, 142, 143, 144
  Bertoni Raffaele ........................... 134, 135, 154
  Bonsanti Alessandra ........................ 148, 149, 150
  Brutti Massimo ....................................... 140
  Caccavale Michele .................................... 158
  Campus Gianvittorio .................................. 154
  Del Prete Antonio .................................... 151
  Florino Michele ................................. 144, 157
  Garra Giacomo ................................... 149, 150
  Imposimato Ferdinando ................................ 136
  Manconi Luigi ......................... 135, 136, 145, 146
  Masone Fernando, Capo della polizia .................. 125
            135, 136, 137, 139, 140, 141, 143, 144, 145, 146
            147, 148, 149, 150, 151, 153, 154, 155, 157, 158
  Ramponi Luigi ........................................ 154
  Scozzari Giuseppe ..................... 144, 146, 148, 150
  Simeone Alberto ...................................... 154
  Tarditi Vittorio ................................ 143, 150
  Vendola Nichi ................................... 156, 157
  Violante Luciano ...................... 137, 138, 139, 140
Comunicazioni del presidente:
  Parenti Tiziana, Presidente ................ 159, 160, 161
                                               162, 163, 164
  Arlacchi Giuseppe .................................... 161
  Bargone Antonio ................................. 159, 160
                                               161, 162, 163
  Ramponi Luigi ................................... 161, 162
  Scozzari Giuseppe .................................... 163
  Simeone Alberto ...................................... 159
Pagina 124
Pagina 125
   La seduta comincia alle 16,50.
     (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
            Audizione del capo della polizia,
                 prefetto Fernando Masone.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
capo della polizia, prefetto Fernando Masone, ed ha per
oggetto lo stato attuale della lotta alla criminalità
organizzata e il coordinamento delle strutture a ciò
preposte.
   Do la parola al prefetto Masone.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Signor
presidente, onorevoli membri della Commissione parlamentare
antimafia, voglio anzitutto ringraziare per l'opportunità che
mi è stata offerta di esporre in un consesso così autorevole,
nella mia nuova veste di direttore generale della pubblica
sicurezza, alcune considerazioni sullo stato della criminalità
mafiosa e sulla conseguente azione di contrasto.
   Dato il breve tempo trascorso dalla data del conferimento
dell'incarico ad oggi, porrò maggiormente l'accento su
programmi di intervento del dipartimento, muovendo comunque da
un'analisi del fenomeno delinquenziale per delineare la mia
futura azione propulsiva e di indirizzo.
   La dinamica dei temi che sono oggi in discussione in
questa sede non mi esime comunque da un sia pur sintetico
riferimento al contesto generale dell'ordine e della sicurezza
pubblica del paese, logico presupposto delle ulteriori
valutazioni in ordine alla fenomenologia mafiosa, alla luce
degli effetti interattivi tra macro e microcriminalità.
   Per una maggiore incisività del mio intervento e per
lasciare spazio alla formulazione di più specifiche
considerazioni in merito alle tematiche in trattazione mi
permetterò di consegnare, via via, al signor presidente una
serie di schede analitiche che tratteggiano, in dettaglio,
alcuni aspetti più significativi.
   Il panorama complessivo della sicurezza pubblica, oggetto
di attento e costante monitoraggio da parte del dipartimento
della pubblica sicurezza, delineato nell'allegata scheda sulla
situazione della criminalità (allegato 1), permane sicuramente
caratterizzato dagli effetti sinergici di diversi fattori,
costituiti dall'associazionismo di stampo mafioso, dal
traffico e spaccio di droga e da talune gravi fattispecie
criminose, tra cui in primo luogo gli omicidi, che hanno
interessato in misura maggiore le aree meridionali.
   In tale ambito la delinquenza comune, solita esprimersi
essenzialmente attraverso furti e rapine, ha manifestato un
elevato livello di pericolosità, specialmente nei centri
urbani ad alta densità abitativa.
   Nel contesto generale si può comunque affermare che
segnali positivi di una efficace reazione delle componenti
istituzionali sono stati accompagnati da risultati di
indiscutibile valore, che trovano conferma nella cospicua
inversione della tendenza della delittuosità in generale che,
già registrata nel corso del 1992, si è consolidata nel 1993 e
nei primi sette mesi del 1994. Tale favorevole trend,
pari al -5,47 per cento per il 1993 rispetto all'anno
precedente, resta confermato anche nel periodo gennaio-luglio
1994, nei termini del -4,24 per cento.
Pagina 126
   Il complesso dei delitti rilevati fino allo scorso luglio
è stato di 1.273.555: il 61,06 per cento dei reati è
costituito dai furti; circa il 44 per cento dei furti riguarda
automezzi e motomezzi od oggetti custoditi in auto. Si tratta,
in altre parole, di microdelinquenza che forma però il
serbatoio da cui la grande criminalità attinge le sue risorse
umane.
   Nel delineato panorama, attesa la gravità del delitto,
assume particolare valenza il calo degli omicidi volontari
che, attestatosi sul -26,25 per cento tra il 1992 ed il 1993,
ha fatto registrare, al 31 agosto ultimo scorso, un'ulteriore
contrazione pari al -10,28 per cento, con apprezzabili
diminuzioni in Puglia (-13,43 per cento), in Campania (-5,51
per cento) ed in Calabria (-3,80 per cento), mentre in Sicilia
il dato è rimasto stazionario (184 episodi nei primi otto mesi
sia del 1993, sia del 1994). Rammento in proposito che nelle
predette quattro regioni viene consumato in media oltre il 60
per cento degli omicidi.
   Dal quadro ora descritto, sinteticamente evidenziato da
una serie di elaborazioni grafiche che allego (allegato 2),
emerge un andamento delle manifestazioni delinquenziali che
contiene sicuri elementi di positività e che conferma
l'efficacia dell'azione statuale. Si tratta peraltro di dati
numerici ancora particolarmente elevati, tali da imporre
l'ulteriore affinamento degli strumenti di prevenzione e
repressione, la ricerca di sempre più adeguate metodologie e
stategie anticrimine che meglio soddisfino le istanze di
sicurezza provenienti dai cittadini e che tengano conto della
minaccia che proviene dalle fenomenologie delinquenziali
cosiddette minori, ma che incidono profondamente sulla civile
convivenza.
   Direttamente funzionale a tale obiettivo primario della
mia azione, sarà la completa realizzazione del già avviato
programma di presidio e controllo del territorio che è mia
intenzione portare a termine nel più breve tempo possibile.
   Sotto tale profilo, valutata l'eventuale opportunità di
una migliore redistribuzione delle risorse umane allo stato
disponibili, mi propongo di rendere sempre più efficienti i
presidi territoriali, perché svolgano, nel modo più compiuto,
il loro fondamentale ruolo di garanti del territorio e di
fonti primarie di informazioni investigativamente utili.
Duplice sarà il positivo effetto che ne conseguirà: una più
concreta realizzazione della funzione preventiva ed un
ampliamento del patrimonio conoscitivo che è essenziale
presupposto dell'attività più direttamente repressiva.
   A tale scopo svolgerò una diretta azione di impulso e mi
recherò personalmente nelle zone maggiormente interessate
dall'infezione criminale, ove riunirò i responsabili degli
organismi di polizia chiamati a contrastare le manifestazioni
delinquenziali. Ciò mi consentirà di acquisire anche una
diretta conoscenza delle problematiche esistenti e la messa a
punto di una precisa metodologia di intervento, la cui
attuazione sarà poi garantita dagli uffici centrali del
dipartimento, che attraverso un'ulteriore opera di
monitoraggio potranno delineare le strategie più efficaci.
   Solo attraverso una costante raccolta di dati ed
un'affinata capacità di analisi e di elaborazione degli stessi
(e ci stiamo sempre più attrezzando in questo senso), sarà
possibile elevare il livello delle indagini e, superando la
frammentaria e disorganica visione delle iniziative criminali,
prefigurare le loro linee di tendenza, nel tentativo di
anticiparle. E' infatti un'esigenza ineludibile la
pianificazione strategica delle attività, senza dispersione di
risorse informative e di energie investigative, per il
raggiungimento degli obiettivi di sicurezza individuati come
prioritari.
   Siffatto programma anticrimine, peraltro già impostato dal
dipartimento ormai da alcuni anni, non potrà prescindere
dall'adozione di idonee iniziative intese ad una costante
verifica dell'adeguatezza delle procedure e del riscontro dei
risultati conseguiti. Essenziale sarà a tal fine il ruolo
della Direzione centrale della polizia criminale, che dispone
degli strumenti idonei a predisporre calibrate strategie e ad
assicurare il raccordo delle molteplici iniziative
investigative in ambito dipartimentale, fungendo altresì da
supporto tecnico
Pagina 127
alla mia azione, che sarà indirizzata alla ricerca di intese
operative tra le diverse forze di polizia.
   Il carattere polivalente delle imprese illegali che
disegnano il volto della criminalità organizzata di tipo
mafioso, analizzata nelle sue varie espressioni nell'allegata
scheda (allegato 3), e la combinazione dei fattori della
produzione illecita rappresentano le note peculiari
dell'attuale processo evolutivo della delinquenza nazionale ed
internazionale.
   In tale contesto Cosa nostra, camorra, 'ndrangheta, Sacra
corona unita, costituiscono le più potenti e pericolose
componenti della grande criminalità del nostro paese. Esse
sono in grado di operare simultaneamente nei segmenti più
lucrativi dei principali mercati illeciti, scambiando beni e
servizi di diverso genere e provenienza ed intrecciando
relazioni con una pluralità di altri soggetti criminali.
   In particolare, Cosa nostra siciliana ha, rispetto alle
altre organizzazioni similari, un'importanza prevalente e
tenta di costituire un modello organizzativo e comportamentale
per gli altri aggregati di tipo mafioso. Sua caratteristica
fondamentale è la tendenza al confronto, da pari a pari, con
lo Stato ed i suoi rappresentanti, nonché all'infiltrazione in
esso tramite relazioni occulte con esponenti dei suoi
apparati.
   In piena sintonia con le valutazioni espresse in
proposito, in questa sede, dal ministro dell'interno, nel
ricordare la peculiare valenza delle stragi mafiose del 1992 e
del 1993, cercherò di andare oltre nella disamina del
fenomeno, al di là dei suddetti gravi episodi.
   Si impone infatti alla mia specifica funzione l'obbligo di
disporre, sulla base delle prefigurate linee di tendenza del
fenomeno mafioso, idonee misure atte a prevenire nel tempo le
aggressioni alla sicurezza pubblica.
   Per assolvere a tale doveroso compito mi propongo di
orientare l'azione investigativa nei confronti dell'intero
sistema criminale mafioso, utilizzando mirate strategie,
apparati investigativi specializzati e apposite metodologie
operative, a livello tanto nazionale quanto internazionale.
Tutto ciò nell'ottica di assolvere ad un compito primario di
previsione delle linee di sviluppo del fenomeno mafioso - o,
più in generale, criminale - per evitare che si sia
costantemente costretti ad inseguire le situazioni di volta in
volta emergenti.
   Funzionale allo scopo sarà la continua interazione tra il
momento dell'acquisizione conoscitiva, volta ad individuare le
connotazioni strutturali e le modalità operative delle
associazioni mafiose, e quello della fase più propriamente
investigativa, diretta a colpire in modo mirato e conseguente
i centri nevralgici delle stesse strutture criminali.
   Il cennato programma di potenziamento e riorganizzazione
del sistema di presidio del territorio si integra, sotto il
profilo metodologico, con tale strategia antimafia, e fornisce
a quest'ultima un supporto indispensabile. Non solo quindi
specializzazione ma ancoraggio al territorio: questo è quello
che in sintesi voglio dire.
   Le indagini tuttora in corso debbono sicuramente indurre
ad una doverosa prudenza nell'anticipare conclusioni che
potrebbero rivelarsi inesatte o solo parzialmente esatte al
vaglio dell'ulteriore sviluppo dell'azione investigativa.
Peraltro, non si può disconoscere l'attualità del pericolo
mafioso.
   Conduce anzitutto a tale conclusione un processo
logico-deduttivo che tenga ben presente il bisogno di rivalsa
delle organizzazioni mafiose nei confronti dello Stato dopo i
numerosi successi da questo conseguiti, nonché la notevole
forza criminale che quei sodalizi conservano nelle cosiddette
regioni a rischio, nonostante gli innumerevoli arresti
effettuati.
   Per altro verso, ad ulteriore riscontro, sussiste la
cognizione concreta sul piano investigativo di disegni
criminali volti a colpire in maniera eclatante uomini che
rivestono un ruolo importante nella lotta antimafia.
   Paradossalmente sono dell'avviso che le progettate azioni
cruente, così come le stragi compiute in un recente passato,
lungi dal confermare il potere mafioso, testimoniano l'attuale
stato di malessere
Pagina 128
della Cosa nostra siciliana che è protesa a ristabilire la
sua forza aggregante, la sua capacità di infiltrazione e le
sue ferree regole dell'omertà. Ritengo significativo segnale
in tal senso la continua emorragia dall'organizzazione mafiosa
di numerosi affiliati che decidono di violare la regola
dell'omertà e di avviare un rapporto di collaborazione con le
strutture dello Stato, evidenziando in tal modo la costante
disgregazione della struttura e dell'impianto di Cosa nostra,
nonché del suo originario codice d'onore.
   E' notizia di questi giorni, già peraltro resa pubblica,
l'inizio della collaborazione di Giuseppe Pulvirenti. Altri
episodi analoghi sono in atto. Dalla scheda che consegno
(allegato 4) emergono alcuni significativi dati in tal senso e
colpisce in particolare come l'incremento dei collaboratori di
giustizia, costante nel tempo, sia passato da un numero di 349
che si registrava nel mese di aprile del 1993, al numero
attuale di 886 con aumenti, dallo scorso mese di maggio ad
oggi, valutabili in percentuale tra il 105 e il 154 per cento
(naturalmente rispetto al dato iniziale).
   Fermo restando che non si può prescindere dall'azione
investigativa avviata e sviluppata autonomamente dagli
organismi di polizia, capaci di percepire tempestivamente sul
territorio i segnali dell'evoluzione del fenomeno criminale e
talora di prevenirne le manifestazioni, lo strumento della
collaborazione - nonostante il suo ineliminabile riferimento
retrospettivo - si rivela fondamentale per penetrare
all'interno della compagine mafiosa e raccogliere materiale
probatorio in ordine agli episodi delittuosi perpetrati.
   Sulla base di tale premessa ritengo doveroso soffermarmi
in modo analitico sul problema della protezione dei
collaboratori della giustizia, premettendo che condivido
l'assoluta necessità del riordino della disciplina che la
regolamenta, che peraltro è già allo studio.
   Il fenomeno del pentitismo ha preso avvio nel nostro paese
solo dieci anni fa. Nel 1984 si registra infatti la
collaborazione di Tommaso Buscetta, che ha rappresentato il
germe iniziale di infezione del tessuto criminale mafioso. Se
pensiamo, poi, che le norme che disciplinano, sotto il profilo
della sicurezza, il contributo offerto dai pentiti e la
condizione dei collaboranti della giustizia, risalgono al
1991, è del tutto evidente che ci troviamo di fronte ad una
legislazione su di una materia estremamente complessa che non
ha ancora avuto un'adeguata sperimentazione.
   E' necessario quindi considerare l'attività svolta nel
settore della tutela dei collaboratori come una base di
esperienze dalle quali ricavare una serie di utili
indicazioni.
   Il raggiungimento di questo obiettivo consentirà di
migliorare la specifica tecnica di contrasto del fenomeno
mafioso e di incentivare future collaborazioni.
   Ciò deve avvenire nei tempi più rapidi per non rallentare
l'azione statuale contro l'aggressione mafiosa, arrogante e
violenta, e per non perdere l'occasione rappresentata da
questo momento particolarmente favorevole nella lotta alla
mafia, avendo la possibilità di utilizzare adeguatamente la
positiva esperienza di altri paesi.
   Partendo da questa premessa è necessario definire
chiaramente le linee di azione da seguire e fissare alcuni
princìpi di carattere generale.
   Per affrontare proficuamente il problema della protezione
dei testimoni occorre valutare a pieno la complessità e la
delicatezza delle problematiche connesse, sia sotto il profilo
dell'inquinamento del materiale probatorio sia sotto quello
dell'incolumità dei pentiti, dei loro familiari e degli stessi
operatori di giustizia. Presupposto imprescindibile che ciò
avvenga è l'esigenza di un reale rapporto di fiducia tra la
pubblica opinione e le istituzioni deputate ad assolvere un
compito così importante.
   La protezione di interi nuclei familiari esposti a
rischio, assoggettati a profondi stress in conseguenza della
scelta di vita di un loro congiunto, è cosa non agevole, anzi
difficilissima. Per conciliare le necessità di protezione con
quelle di una serenità di vita delle persone sottoposte a tale
regime, è importante ispirarsi ad un principio di
Pagina 129
carattere generale che escluda la possibilità di una
vigilanza continuativa e costante.
   Sarebbe infatti di ardua realizzazione e assolutamente
inaccettabile in termini di oneri un apparato imperniato sulla
tutela individuale di tutti i soggetti che fruiscono di un
programma di protezione. Un sistema siffatto richiederebbe
l'impiego di elevatissimi contingenti di personale - peraltro
altamente specializzato - e rischierebbe addirittura di
comportare costi superiori ai benefici. Nel parlare di costi
intendo riferirmi non solo a quelli prettamente economici, ma
anche a quelli attinenti alle condizioni psicologiche delle
persone tutelate ed alla effettiva loro sicurezza.
   Un apparato siffatto non assicurerebbe, del resto, la
completa tutela dei collaboratori, e ciò in quanto il
dispiegamento di ingenti forze rende più elevato il rischio ed
il pericolo di circolazione incontrollata di notizie
riservate.
   Il sistema di protezione dovrebbe invece essere improntato
ad un criterio che si basi sull'equazione "sicurezza uguale
segretezza" e che consista nell'assoluta mimetizzazione delle
persone protette nel contesto sociale in cui sono inserite dal
personale preposto all'attuazione dello specifico
programma.
   Per il perseguimento di tali finalità e metodologie
operative è indispensabile disporre di una rigida disciplina
regolamentare e di apposite strutture specializzate che
svolgano, in via esclusiva, tale compito.
   L'attuazione di un piano di sicurezza improntato a tali
princìpi è funzionale al reinserimento di chi ha violato la
legge e si è ravveduto nel contesto sociale e soccorre, al
contempo, a precise esigenze operative e di sicurezza.
   E' evidente che il pentito ed il suo nucleo familiare
debbano essere inseriti in un programma di protezione che
consenta loro una normale vita di relazione. Prescindendo,
difatti, dagli stress psichici cui i soggetti tutelati
sarebbero altrimenti esposti, ha una sicura incidenza negativa
sull'efficacia dell'apparato di protezione la presenza di
giovani in età scolare che non ottemperino all'obbligo
scolastico o la circostanza che un capofamiglia conduca una
vita dignitosa senza svolgere alcuna attività lavorativa. Tali
anomalie non farebbero che ingenerare curiosità ed esposizioni
a rischio di individuazione da parte di malintenzionati.
   Una adeguata politica di sicurezza non deve, per altro
verso, prescindere dall'adozione di regole appositamente volte
a disciplinare e definire nel tempo le modalità e la misura
dell'erogazione di contributi al soggetto tutelato, allo scopo
di non abituarlo ad un mero assistenzialismo di tipo
pensionistico e di sottrarlo all'inattività che crea disagio e
favorisce il possibile ritorno agli ambienti criminali.
   Una volta accettata la filosofia di sicurezza ispirata a
tali canoni ed approvata una politica che sia improntata alle
suesposte direttrici, provvederò a riorganizzare le già
esistenti strutture di protezione, curando meglio l'aspetto
della specializzazione. Per il raggiungimento dell'obiettivo,
è necessaria la collaborazione di tutte le istituzioni
interessate e, soprattutto, della magistratura inquirente, che
dovrà offrire il suo concorso nell'attuazione di una siffatta
strategia di protezione, limitando alcune richieste ed
adeguando le proprie iniziative alle esigenze di sicurezza che
le verranno prospettate dai tecnici del settore. Di converso,
impartirò, nelle sedi opportune, precise direttive perché gli
organismi di polizia giudiziaria forniscano agli uffici del
pubblico ministero puntuale ed incondizionato apporto di
energie per il migliore espletamento dell'attività
investigativa.
   Sempre in tema di contrasto alla criminalità mafiosa e di
strumenti vieppiù efficaci per sconfiggerla, piena e totale è
la fiducia mia personale e del dipartimento della pubblica
sicurezza nell'applicazione dell'articolo 41-bis della
normativa penitenziaria.
   In quest'ottica, le competenti articolazioni del
dipartimento - in primis la Direzione centrale della
polizia criminale - e la Direzione investigativa antimafia
continueranno a fornire tutte le informazioni
Pagina 130
necessarie per l'adozione dei provvedimenti del caso da parte
degli uffici a ciò preposti.
   A tal proposito posso dire che fino ad oggi sono stati
forniti dalla citata direzione centrale al Ministero di grazia
e giustizia 1.301 contributi informativi su detenuti di
spiccata pericolosità. Allo stato i soggetti sottoposti al
regime di cui all'articolo 41-bis sono 444, pari allo
0,82 per cento della popolazione carceraria.
   L'esigenza di contribuire con crescente efficacia di
contrasto alla criminalità in genere, ed in particolare a
quella di tipo mafioso, ha comportato tra l'altro lo sviluppo
di strategie mirate e coordinate anche nello specifico ed
importante settore della ricerca dei latitanti, che ha
rappresentato uno degli obiettivi prioritari delle forze di
polizia, come meglio si evidenzia nella specifica scheda
(allegato 5).
   La loro localizzazione, anche in ambito internazionale, ha
richiesto spesso il superamento di non lievi difficoltà,
determinate principalmente dal legame che il latitante
mantiene solitamente con gli ambienti ed i gruppi di
appartenenza, da cui riceve supporto per sfuggire alla
giustizia e mantenere la sua posizione nell'illecito.
   Attendono a tale impegno investigativo qualificati gruppi
di operatori, per agevolare ed orientare l'opera dei quali è
stato attivato lo speciale programma del gruppo integrato
interforze per la cattura dei 30 latitanti di spicco della
criminalità organizzata ed è stato redatto un opuscolo
contenente i nominativi di 500 pericolosi catturandi.
   Nel 1994 sono stati assicurati alla giustizia 196 soggetti
pericolosi, 12 dei quali inseriti nello speciale programma,
responsabili dei reati di associazione di tipo mafioso,
sequestro di persona a scopo estorsivo ed altri gravi fatti
delittuosi.
   Inoltre sono stati tratti in arresto 59 elementi compresi
nel citato opuscolo. Sempre nel 1994 sono stati assicurati
alla giustizia altri 125 latitanti.
   Nel medesimo arco temporale, utilizzando proficuamente il
solco delle relazioni internazionali, sono state altresì
arrestate all'estero 140 persone, tra cui ricordiamo Salvatore
Ciulla (Bolivia), Roberto Pannunzi (Colombia), Carmelo Iamonte
(Polonia), Giuseppe Li Calzi (Germania), Salvatore Palazzolo
(Germania), Enrico Dionisi (Romania), Mario Esposito (Spagna)
e Giuseppe Autorino (Venezuela).
   Sono state inoltre perfezionate 105 pratiche di
estradizione.
   I positivi risultati conseguiti, in ambito internazionale,
nello specifico settore della ricerca dei latitanti impongono
anzi di rammentare, in termini più ampi, come attualmente
l'impegno contro la criminalità non possa essere più
circoscritto all'interno dei confini nazionali.
   La scelta delle organizzazioni criminali di considerare
prioritario il loro impegno in determinati settori di
illegalità che, per loro stessa natura, implicano risvolti di
carattere internazionale, hanno favorito l'espandersi della
criminalità organizzata al di fuori dei paesi d'origine. Lo
sviluppo del mercato illecito a livello internazionale ha
determinato una costante interconnessione tra i più importanti
gruppi criminali, i quali sono così riusciti ad incrementare
la loro potenza aggressiva.
   Di converso, acquisita la consapevolezza della funzione
determinante della collaborazione tra le forze di polizia dei
vari paesi, si è cercato, attraverso molteplici iniziative, di
dar vita ad un'unitaria azione anticrimine a carattere
ultranazionale, capace di contrapporsi adeguatamente
all'unitarietà dell'azione illegale del crimine
organizzato.
   Tra i più recenti esempi di tali forme di cooperazione nel
settore investigativo merita una particolare citazione
l'operazione ONIG che, condotta a termine dalla Polizia di
Stato in collaborazione con gli organismi investigativi
statunitensi, ha consentito di trarre in arresto oltre cento
soggetti appartenenti alla mafia italiana ed a Cosa nostra
americana, i quali avevano creato un'unica, compatta
organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti.
   In tale prospettiva, oltre il successo operativo
raggiunto, il dato più significativo offerto dalla menzionata
indagine consiste proprio nello scenario che ne è
Pagina 131
emerso: la compattazione dei gruppi criminali che operano a
livello internazionale in un cartello o addirittura in
un'unitaria organizzazione con interessi in specifici,
circoscritti settori dell'illecito.
   Non è questo un caso isolato, ma piuttosto una delle
molteplici estrinsecazioni di un generale processo di
integrazione che, prendendo le mosse da necessitate dinamiche
di interazione tra distinti sodalizi criminali attivi in
ambito internazionale, si è ulteriormente sviluppato fino a
lasciar spazio a consapevoli strategie delinquenziali,
finalizzate ad accrescere enormemente il potere criminale
delle organizzazioni attraverso la loro fusione permanente od
in occasione di specifiche attività delinquenziali, quali il
contrabbando, il commercio clandestino delle armi e,
ovviamente, il traffico di droga.
   Di fronte a tale realtà, è mia precisa intenzione
continuare sulla strada, già tracciata, di incrementare i
canali di cooperazione esistenti e di utilizzare
sinergicamente tutte le potenzialità offerte dal sistema,
seguendo in tale ottica la linea guida tracciata dal signor
ministro dell'interno, che ha peraltro direttamente avviato
precise iniziative nel settore.
   Sotto quest'ultimo profilo si è operato nei giorni scorsi
in seno al comitato bilaterale Italia-USA per la lotta alla
criminalità organizzata ed al traffico della droga, ove sono
state raggiunte intese finalizzate ad un affinamento delle
procedure di collaborazione tra i due paesi, anche con una più
incisiva attuazione del trattato di assistenza giudiziaria del
1984.
   Nell'ambito di tali intese è stata offerta agli operatori
americani la possibilità di aderire al sistema informativo
Teledrug sul traffico di stupefacenti provenienti dalle rotte
europee della droga. Quest'ultimo è frutto di un trattato di
collaborazione internazionale che ha visto l'Italia promotrice
di un progetto di interscambio telematico di informazioni e si
caratterizza per l'ampio spettro di aree territoriali
coinvolte, dalla Russia alla Bielorussia, all'Ucraina, alla
Croazia, alla Romania, alla Repubblica ceca, alla Slovenia,
all'Albania, alla Grecia, a Malta, a Cipro ed al Cile.
   L'inserimento del partner nordamericano nel
descritto circuito risulterebbe, evidentemente, di grande
importanza e potrebbe consentire agli Stati Uniti di fruire
direttamente del patrimonio informativo dei paesi partecipanti
e di avviare un dialogo di collaborazione più immediato con le
polizie europee che aderiscono al progetto Europol.
   Europol, sul cui stato di attuazione ho predisposto
l'allegata scheda che indica altresì i momenti più
significativi della sua evoluzione (allegato 6), è l'organismo
che, secondo quanto previsto dal trattato di Maastricht del
1991, è destinato alla gestione coordinata, in ambito
comunitario, delle informazioni di polizia ai fini della
prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico
degli stupefacenti e la criminalità organizzata.
   Appare pertanto chiaro che si intende proseguire sulla
strada già tracciata della collaborazione internazionale,
cercando per altro di favorire lo scambio di informazioni.
   In questa ottica provvederò, quale direttore generale del
dipartimento della pubblica sicurezza, ad omogeneizzare le
procedure di collaborazione, a razionalizzarne le forme ed a
individuare i referenti abilitati, nel nostro paese, a
mantenere relazioni con i loro interlocutori esteri. Solo
così, di fronte all'aumentato volume di rapporti di
cooperazione, si potranno cogliere i frutti del sistema di
assistenza internazionale, senza duplicazioni, sovrapposizioni
e dispersione di risorse. Nella stessa logica organizzativa
avvierò all'interno del dipartimento idonee iniziative per
razionalizzare il complesso dispositivo dei rappresentanti
delle nostre forze di polizia, che operano all'estero in
qualità di esperti o di ufficiali di collegamento.
   Particolare attenzione verrà altresì dedicata alla ricerca
di ulteriori soluzioni operative che, coerenti con la
direzione già intrapresa, siano finalizzate a rendere sempre
più efficaci gli strumenti a disposizione per aggredire i
patrimoni mafiosi o di illecita provenienza.
Pagina 132
   La lotta all'economia criminale ha, del resto, ormai
assunto un ruolo strategico nell'ambito della più generale
attività di contrasto alla criminalità organizzata ed è venuta
addirittura ad allargare la sua valenza iniziale.
   Se già da tempo si era acquisita la consapevolezza che il
modo più incisivo di colpire e neutralizzare l'organizzazione
criminale è quello di depauperarla delle sue ingenti
disponibilità economiche, si è ora aggiunta un'ulteriore,
pressante esigenza che spinge ad orientare in tal senso
l'azione degli apparati statuali: la necessità di impedire le
gravi distorsioni del sistema finanziario prodotte
dall'infiltrazione criminale nell'apparato economico.
   Al riguardo debbo per altro premettere che sono già stati
conseguiti, su tale versante, lusinghieri risultati sia grazie
alla costante opera di monitoraggio, di indirizzo e di
raccordo svolta dagli organismi centrali del dipartimento,
sia, in ambito preventivo, attraverso l'attività propositiva
dei questori sulla base delle segnalazioni loro pervenute
dagli organismi investigativi di tutte le forze di polizia.
   In particolare, nel 1994, secondo una stima provvisoria in
corso di verifica, sono stati operati sequestri per un
ammontare di 2.001,161 miliardi di lire, di cui 981,426
miliardi in Sicilia, 656 in Campania, 166,680 in Calabria e
39,690 in Puglia. Sempre nell'anno corrente, risultano emessi
dall'autorità giudiziaria provvedimenti di confisca di beni
per un valore complessivo di 74,106 miliardi di lire.
   Lo scarto rilevabile tra i dati relativi ai sequestri e
quelli afferenti alle confische è dovuto ai diversi
presupposti ed alla diversa funzione delle due misure: il
sequestro viene disposto in pendenza di procedimento penale
per il delitto di associazione di tipo mafioso o di quello
diretto all'irrogazione di una misura di prevenzione, mentre
la confisca richiede che l'iter giudiziale sia stato ultimato
con sentenza di condanna ovvero con la definitiva applicazione
della misura di prevenzione.
   Sempre in tema di difesa dell'economia legale, ho già dato
indicazioni affinché sia elaborato e predisposto un piano di
intervento su tutto il territorio nazionale contro l'usura. Si
tratta di una fenomenologia criminale cui si deve annettere
particolare importanza, non potendola più considerare come una
mera manifestazione della criminalità comune, bensì - come
dimostrato da recenti indagini su organizzazioni di tipo
mafioso - quale braccio operativo di cui possono servirsi i
sodalizi criminali per riciclare denaro e rilevare aziende in
difficoltà.
   Sotto quest'ultimo profilo, in particolare, non si può
dimenticare che tale attività delittuosa rappresenta
un'ulteriore forma di infezione del mondo imprenditoriale, in
quanto agevola l'acquisizione di quote societarie di imprese,
cui sia stato inizialmente precluso il ricorso al credito
bancario.
   Il compito delle forze di polizia non è facile perché il
fenomeno si presenta ancora in larga misura sommerso e la sua
completa conoscenza è ostacolata sia dall'omertà dei soggetti
passivi sia dal fatto che organizzazioni secondarie si
nascondono spesso dietro lo schermo di pseudosocietà
finanziarie.
   Considerata, in ogni caso, la notevole forza espansiva
della fattispecie criminosa, cui sono riconducibili anche
delitti contro la persona, saranno dedicate ad essa indagini
sempre più scrupolose, con frequenti rilevazioni, oltre alla
costante sensibilizzazione degli organi operativi.
   I risultati finora conseguiti non sono modesti: quasi 2
mila persone sono state denunciate lo scorso anno, mentre
quest'anno le stime proiettive consentono di prevedere un
andamento ancora più lusinghiero dell'azione repressiva, che
viene ormai sempre più ad essere svolta in modo sistematico ed
omogeneo secondo una preordinata pianificazione, piuttosto che
in maniera occasionale nei confronti del singolo episodio
delittuoso.
   Né sarà minore l'attenzione che verrà dedicata alla
fenomenologia estorsiva, che reputo altrettanto grave data la
sua duplice valenza di mezzo di illecito arricchimento e di
violento strumento di controllo del territorio.
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   Recenti esperienze investigative hanno altresì indicato
che anche il fenomeno estorsivo favorisce l'infiltrazione dei
capitali illeciti nei circuiti dell'economia legale. Anche in
tale ambito provvederò ad impartire idonee direttive affinché
venga svolta un'attività di contrasto sistematica e diffusa,
che vada oltre il singolo fatto delittuoso.
   In questa prospettiva posso assicurare che non ci saranno
sovrapposizioni con l'attività del commissario straordinario
antiracket.
   Quest'ultimo, infatti - come ha chiarito a questa
Commissione il signor ministro dell'interno - non rivolgerà la
propria attenzione alla prevenzione e repressione delle
manifestazioni delittuose attraverso l'azione di polizia
giudiziaria, bensì in un'ottica più ampia mediante la
razionalizzazione delle utili e significative iniziative che
promanano dalle componenti sociali e che ormai trovano una
fattiva estrinsecazione attraverso le associazioni
antiracket.
   In particolare, ritengo che, in tale ambito, sarà cura del
commissario straordinario valutare e razionalizzare gli
apprezzabili interventi episodicamente intrapresi
(installazione di numeri verdi, sensibilizzazione di
associazioni di categoria, raccomandazioni di strutture
centrali - anche bancarie - a quelle periferiche, eccetera) in
sintonia con le strategie anticrimine avviate dal
dipartimento.
   Desidero infine destinare l'ultima parte del mio
intervento ad alcune riflessioni che possano costituire base
eventuale per un'elaborazione progettuale in ordine alla
tematica del coordinamento delle attività delle forze di
polizia sul territorio nazionale. Si tratta di una
problematica di estrema attualità, avvertita ormai come
esigenza concreta non solo dagli operatori di giustizia, ma
anche da molteplici categorie di cittadini che sono
destinatarie del prodotto sicurezza. Occorre preliminarmente
riconoscere che in questo settore è già stato fatto
moltissimo. Al riguardo, si può rammentare la proficua opera
del gruppo interforze, incaricato di predisporre e seguire il
già citato programma per la cattura dei latitanti di spicco
della criminalità organizzata.
   Si può ancora ricordare che, nell'ambito della lotta al
crimine mafioso, notevole è stato l'impegno finalizzato a
potenziare l'azione di coordinamento in chiave ricognitiva
delle strutture criminali e dei soggetti che vi sono inseriti.
Per tali finalità sono stati attivati sia a livello centrale
che periferico gruppi di lavoro interforze, incaricati di
analizzare il patrimonio informativo complessivamente
disponibile in ordine alle organizzazioni criminali, per poi
renderlo fruibile, con specifici programmi informatizzati a
tutti gli organismi di polizia territoriali ed alle strutture
investigative specializzate nelle inchieste sul crimine
organizzato.
   Molteplici iniziative sono state altresì adottate in tema
di coordinamento in ambito locale per quanto concerne il
dispositivo di presidio e controllo del territorio. Basti
rammentare i piani interforze elaborati a livello provinciale
con l'intento di delineare in modo razionale un programma di
interventi delle varie forze dell'ordine, in relazione a
diversificate aree di competenza.
   E' un mio preciso impegno quello di proseguire in questa
direzione, migliorando ulteriormente i circuiti di scambio
informativo e favorendo la circolazione dei dati conoscitivi,
premesse entrambe ineludibili per evitare la
compartimentazione e favorire il coordinamento. In tale logica
si inserisce altresì la possibilità di far sempre meglio
interagire tra di loro le centrali operative delle diverse
strutture di polizia.
   Forme di coordinamento sono indispensabili anche e
soprattutto nel settore della polizia giudiziaria.
   Quando si parla di polizia giudiziaria, occorre tenere
presente che la stessa non si esaurisce nell'ambito operativo
rientrante nella sfera di esercizio di poteri e competenze del
magistrato inquirente; di conseguenza, non sempre si trova in
quest'ultimo un utile punto di riferimento per la
realizzazione di un efficace coordinamento.
   La competenza diretta del magistrato investe infatti
soltanto un aspetto dell'azione
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di polizia giudiziaria, quello cioè rappresentato dalla
fase successiva alle iniziative svolte per la ricerca della
notitia criminis. Tutta la fase precedente costituisce
infatti uno spazio di indagine che prescinde dall'intervento
del magistrato e che la novella legislativa del 1992 ha
ulteriormente ampliato e valorizzato. Ed è proprio questo
stadio delle indagini, che scaturisce dalle autonome
iniziative dell'investigatore, a richiedere l'attivazione di
forme di coordinamento quando chiamati a svolgerla sono
organismi di polizia a competenza generale.
   Ed è proprio in questo settore che è mio desiderio
impegnarmi a promuovere una ancora più fluida e rapida
circolazione delle informazioni, perché vengano evitate
pericolose sovrapposizioni o sprechi di risorse.
   Ringrazio per la cortese attenzione e rimango, signor
presidente, a disposizione per tutti i chiarimenti che ella e
gli onorevoli membri della Commissione vorranno
richiedermi.
  PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Masone per la sua
esposizione molto ampia e dettagliata.
   Do la parola ai parlamentari che intendano avanzare
richieste di chiarimenti o porre quesiti.
  RAFFAELE BERTONI. Ho molto apprezzato la relazione
svolta dal prefetto Masone per la impostazione burocratica che
la caratterizza, che non poteva risultare maggiore.
   Ho colto, però, nella relazione due aspetti che, dal mio
punto di vista e - credo - da quello della Commissione, mi
paiono molto importanti. Il primo è che il prefetto Masone è
convinto che le mafie siano non soltanto criminalità, ma
criminalità che hanno, oltre al versante militare, anche un
versante politico costituito dalle ricerche e talvolta
dall'attuazione di connivenze con apparati istituzionali e
politici.
   Il secondo aspetto che ho colto nella relazione è che il
prefetto Masone pensa - giustamente, a mio avviso - di seguire
l'evoluzione della mafia con quello che ha definito
monitoraggio. Sono convinto che la mafia - per lo meno finora
- abbia sempre anticipato lo Stato e che quest'ultimo, quando
vi è riuscito, l'ha inseguita; e quando vi è riuscito, ha
conseguito qualche successo nella repressione e soprattutto
nella individuazione dei collegamenti con gli apparati
istituzionali di cui parlavo. Occorrerebbe, invece, non essere
anticipati dalla mafia e prevederne - nei limiti del possibile
- le mosse per prevenirle. Occorrerebbe inoltre combattere la
mafia non nel passato - che pure è importante, ovviamente - ma
nell'attualità, perché così - a mio giudizio - si potrà
vincerla.
   Detto ciò, vorrei porre alcune domande che hanno tali
presupposti.
   Il ministro Maroni disse esplicitamente - e fu la risposta
che destò maggiore impressione ed attenzione nella Commissione
e fuori - che pensava che la mafia potesse nel prossimo futuro
ritornare ad un'azione di tipo stragista, di tipo eversivo,
mettendo in essere attentati del tipo di quelli già commessi
nel passato. Il prefetto Masone è della stessa opinione?
   Il secondo punto che vorrei approfondire è il seguente:
anche questa sera il prefetto Masone ha affermato che le
stragi più recenti di Roma, Milano e Firenze sono di origine
mafiosa. Che siano di origine mafiosa è una certezza basata su
elementi che evidentemente non ci possono essere rivelati ma
che sono tuttavia esistenti, ma assieme all'origine mafiosa vi
sono anche altre origini, altre componenti? Con tale quesito
mi riallaccio all'opinione espressa dal prefetto sulle mafie
che non sarebbero soltanto criminalità organizzata.
   Questo vale anche affinché il prefetto risponda alla prima
domanda, quella relativa alla possibilità di un attentato. Se
il ministro Maroni ci disse questo, evidentemente disponeva di
elementi. Il capo della polizia è in possesso di tali elementi
e questi ultimi hanno un dato di certezza, anche se non ci
possono essere rivelati? Su tale argomento vorrei, anzi credo
che
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l'opinione pubblica vorrebbe una risposta puntuale.
   Il terzo quesito che le pongo è il seguente: l'assetto
militare della mafia è quello che conosciamo o è cambiato in
qualcosa? Riina è veramente il capo della mafia siciliana o
qualcuno lo ha sostituito? O la polizia pensa che qualcuno lo
abbia sostituito?
   Vorrei inoltre sapere quali specificità abbia o si pensa
che abbia la mafia attualmente: agisce o pensa di agire in
termini soltanto militari o sfrutta la finanza illecita in
modo diverso da come ha fatto nel passato? E se così stanno le
cose, in che modo, in quali direzioni e verso quali
destinatari ciò si verifica?
  PRESIDENTE. Trattandosi di numerosi quesiti, ritengo
opportuno che il prefetto Masone risponda subito.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Ringrazio il
senatore Bertoni per l'attenzione che mi ha dedicato.
   Certo, egli mi ha posto una serie di domande
obiettivamente complesse. Per quanto riguarda la premessa
concernente il versante militare o politico della mafia, penso
che quest'ultima - proprio perché tale - viva delle due
componenti: altrimenti non sarebbe mafia ma solo delinquenza.
Una sua caratteristica è proprio quella di essere subdola.
Lasciamo stare la politica: il suo aspetto caratteristico -
ripeto - è l'essere subdola e non solo militare, altrimenti
non la chiameremmo mafia ma banditismo.
   Per quanto concerne il seguire l'evoluzione della mafia,
questa è la nostra intenzione, signor presidente. Le linee che
ho tratteggiato sono appunto rivolte a far sì che una volta
tanto si cominci ad anticipare la mafia, senza dover sempre
inseguire.
  RAFFAELE BERTONI. Perlomeno andare insieme!
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. E' chiaro che
per fare tutto ciò dobbiamo ricorrere ad ipotesi. Non so se
riusciremo a formularne: certamente ci proveremo. Siamo
comunque assai avanti rispetto al passato e quindi possiamo
fare previsioni azzeccate.
   La mafia può colpire? Certo, può farlo sempre; non ritengo
assolutamente che la sua forza militare sia scaduta soltanto
perché è stato arrestato Riina. Devo dire francamente che non
è che per fare un attentato sia necessario l'esercito, da un
punto di vista tecnico. Questa è la maggiore insidia per noi
operatori quando lavoriamo "sulla strada". Forse si pensa che
per mettere la bomba a via Fauro sia dovuto succedere chissà
che cosa. In realtà si è trattato di due o tre persone che
hanno lavorato e hanno trasportato una macchina. Non c'è
quindi la possibilità assoluta di prevedere: possiamo fare
previsioni ed io condivido quanto ha detto il ministro
dell'interno in questa sede: la mafia può colpire, ma non
credo che egli abbia lanciato un segnale di allarme, almeno
stando a quanto ho letto.
  ANTONIO BARGONE. C'è la relazione scritta!
  RAFFAELE BERTONI. Il ministro lo disse: mi creda,
prefetto, perché l'ho ascoltato con grande attenzione come ho
fatto con lei. E poi è scritto negli atti.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Per quanto
riguarda gli elementi certi, nella mia relazione ho fatto
riferimento a piani, che sono stati scoperti, riguardanti
l'attacco a determinate persone. Non è quindi improbabile,
evidentemente, che il signor ministro si sia riferito a questi
elementi.
  LUIGI MANCONI. Signor prefetto, quello che lei dice a
pagina 10...
  PRESIDENTE. Onorevole Manconi, quando il capo della
polizia avrà terminato l'esposizione, lei potrà rivolgere la
sua domanda.
  LUIGI MANCONI. Volevo intervenire solo su quello che il
Capo della polizia ha appena detto.
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   PRESIDENTE. Per evitare di sovrapporsi, una volta che il
prefetto Masone avrà terminato la sua risposta, lei potrà
rivolgere la sua domanda.
  LUIGI MANCONI. Non era un'altra questione!
  GIUSEPPE AYALA. Manconi si riferisce alle ultime righe
della pagina 10 e alle prime della pagina 11 della
relazione!
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Ho detto
proprio questo!
  GIUSEPPE AYALA. Non voglio assumere il ruolo
dell'interprete autentico!
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Ho capito
benissimo!
  PRESIDENTE. Il prefetto risponde per le cognizioni che
ha: non dobbiamo suggerire le risposte. C'è la relazione e
risponderà alle domande integrando quest'ultima: indurre a
fare domande su cui sta già rispondendo...
  LUIGI MANCONI. Se mi permette, presidente...
  PRESIDENTE. Vogliamo lasciare finire il prefetto, per
favore? Poi farete tutte le domande che vorrete.
  LUIGI MANCONI. Signor presidente, mi permetta: il capo
della polizia stava trattando proprio questo punto. Ho chiesto
conferma del fatto che le parole che il prefetto aveva appena
pronunciato fossero quelle che trovo nella relazione che ci ha
appena consegnato a pagina 10 e 11.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Confermo: è
esattamente quello che ho detto.
   Per quanto riguarda il resto delle domande dell'onorevole
Bertoni, credo di aver già risposto esaurientemente; le
interruzioni mi hanno portato un po' fuori campo, anche se
erano dovute solo ad incomprensioni, nel senso che non ci
eravamo capiti bene. Confermo comunque quanto ho detto, che mi
pare sufficiente.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Vorrei anzitutto ringraziare il
capo della polizia Masone per l'ampia ed esauriente relazione
svolta ed augurargli buon lavoro.
   Vorrei poi aggiungere alcune domande, suggerendo però - se
mi è consentito - l'opportunità che il capo della polizia
possa riservarsi in qualche caso di rispondere a domande che
possano non ricevere una risposta immediata. Anche in altre
sedute della Commissione antimafia ciò è avvenuto per dare la
possibilità a chi deve rispondere di documentarsi: deciderà
poi il presidente come procedere.
   La prima domanda riguarda un'affermazione che è contenuta
nella relazione. A pagina 8 si parla di infiltrazione della
criminalità organizzata nello Stato tramite relazioni occulte
con esponenti dei suoi apparati. Vorrei ricordare che
moltissime audizioni di collaboratori della giustizia da parte
della Commissione antimafia hanno messo in evidenza questi
rapporti, basati anche sulla mediazione della massoneria. Di
questa parola non vedo però menzione nella relazione: si parla
solo di relazioni occulte. Vorrei quindi sapere dal capo della
polizia se dalle ultime indagini degli investigatori sia
ancora una volta emersa la presenza di camorristi appartenenti
in qualche modo ad associazioni di tipo massonico, tenuto
conto del fatto che sembra che anche Carmine Alfieri, nelle
sue ultime dichiarazioni, abbia parlato di rapporti con la
massoneria.
   In secondo luogo, non mi pare che nella relazione si parli
dell'ultima importantissima operazione della polizia e della
magistratura che è stata compiuta a Napoli e che ha riguardato
non solo il caso Cirillo, ma anche rapporti abbastanza stretti
tra criminalità, imprenditoria, politica ed esponenti del
Governo. Sono fatti in parte antichi ma anche di una certa
attualità. Volevo sapere se, rispetto ad eventi di così grande
allarme ed anche ad indagini in corso relative ai rapporti con
l'imprenditoria campana - in particolare nella provincia di
Caserta -, la polizia sia a conoscenza di tali fatti di
estrema gravità e se sia in corso un'indagine del Ministero
dell'interno sui rapporti con esponenti
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delle amministrazioni locali, che dovrebbero sussistere
tuttora e che potrebbero risultare assai allarmanti, visto che
nei prossimi mesi si dovrà votare in molti comuni delle
province di Caserta e di Napoli.
   Infine, nella relazione si parla dell'arresto di esponenti
della criminalità in paesi dell'America latina come la
Bolivia, la Colombia ed il Venezuela, oltre che nei paesi
dell'est; non si parla invece del traffico di ordigni nucleari
di cui abbiamo letto sui giornali e saputo grazie ad inchieste
televisive. Vorrei sapere se - rispetto a fatti tanto gravi,
che addirittura lascerebbero ritenere che la criminalità
organizzata si stia rifornendo di tali ordigni micidiali - si
dispone di elementi più precisi ed allarmanti che potrebbero
lasciar credere - ripeto - che gli attentati di cui ha parlato
il capo della polizia possano consumarsi addirittura
attraverso l'uso di ordigni nucleari.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Ringrazio il
senatore Imposimato anche per gli auguri, di cui ho tanto
bisogno.
   Rispondo brevemente. Per quanto riguarda le infiltrazioni
negli apparati dello Stato, la mafia - lo ripeto, è un
discorso che ho già fatto in precedenza - è tale appunto
perché ha come strategia l'intromissione nelle varie
strutture.
   Mafia e massoneria. In relazione soprattutto all'indagine
napoletana non ho toccato l'argomento volutamente. L'indagine
è in pieno sviluppo, alcuni interrogatori sono in corso;
onestamente non ho avuto la possibilità di seguire la vicenda
di persona e quindi avrei dovuto affidarmi a relazioni
asettiche, che comunque non mi avrebbero consentito di
rispondere alla vostra esigenza di conoscenze. Si tratta di
un'inchiesta non conclusa, in pieno svolgimento: per questo
motivo ho preferito non affrontare il problema. Eventualmente,
non appena avrò avuto la possibilità di disporre di elementi
di conoscenza tali da poter essere sottoposti all'esame della
Commissione, invierò un documento esplicativo.
   Per quanto riguarda gli arresti in America latina e
soprattutto per quanto concerne l'allarmante problema del
traffico di materiale nucleare, fino a questo momento non vi è
nulla di concreto dal punto di vista delle segnalazioni e dei
ritrovamenti. Non abbiamo alcun elemento. Tutte le volte in
cui i giornali hanno parlato di ritrovamenti, non abbiamo
avuto alcun riscontro nei contatti avuti con i paesi esteri.
Per cui c'è un pericolo ipotetico, che però finora non ha
trovato alcun riscontro obiettivo presso di noi.
  LUCIANO VIOLANTE. Mi scusi, prefetto, vorrei un
chiarimento su un passaggio della relazione alla pagina 19. Si
parla di "1.301 contributi informativi su detenuti di spiccata
pericolosità". Si tratta di contributi che riguardano 1.301
persone?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Sì, 1.301
persone.
  LUCIANO VIOLANTE. Quindi il dato desta un certo allarme,
perché di fronte a segnalazioni - sulla base di vostri dati -
relative a 1.301 persone pericolose, quelle sottoposte a
regime differenziato sono 444.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. No. Voglio
precisare che non tutte le 1.301 segnalazioni sono negative,
sono cioè tali da consentire l'applicazione dell'articolo
41-bis.
  LUCIANO VIOLANTE. Chiedo scusa, ma vorrei un ulteriore
chiarimento in proposito.
   A pagina 18 si dice: "Sempre in tema di contrasto alla
criminalità mafiosa e di strumenti sempre più efficaci per
sconfiggerla, piena e totale è la fiducia mia personale e del
Dipartimento (...) nell'applicazione dell'articolo
41-bis (...). In questa ottica, le competenti
articolazioni del Dipartimento (...) e la Direzione
investigativa antimafia continueranno a fornire tutte le
informazioni necessarie per l'adozione dei provvedimenti del
caso (...). A tal proposito (...) sono stati forniti dalla
citata Direzione centrale (...) 1.301 contributi informativi
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...". Sembra, quindi, che le 1.301 segnalazioni riguardino
l'applicazione dell'articolo 41-bis.
   Dico questo perché, come lei sa, nell'applicazione di
queste misure vi è un problema giurisdizionale abbastanza
grave: la magistratura di sorveglianza annulla, a mio avviso
con eccesso, molte di queste misure (o in parte o totalmente a
seconda dei casi). Siccome si tratta di una questione di
particolare rilevanza, della quale credo che la Commissione
dovrà occuparsi, è necessario cogliere con precisione se voi
riteniate che esista uno scarto - diciamo così - fra esigenze
ed applicazione. Potrebbe essere uno scarto legittimo, dovuto
alla legge, nel qual caso occorrerebbe vedere se è necessario
correggere la legge. E' chiaro che non è un problema di
polemica, ma che si tratta di capire se esista uno scarto fra
le esigenze e la risposta dal punto di vista dell'articolo
41-bis.
   La seconda questione riguarda il problema degli attentati.
Il ministro Maroni aveva detto - e credo che ciò venga fuori
anche da un recente provvedimento di qualche autorità
giudiziaria - che la strategia oggi sarebbe quella di cercare
di costringere lo Stato ad una trattativa alzando il livello
dello scontro ad un punto tale da indurre a trattare
(piuttosto che essere disposti a sopportare un certo tipo di
costi). Se non sbaglio, un provvedimento reso pubblico
recentemente indica una riunione in provincia di Enna avvenuta
alla fine del 1991, nel corso della quale il vertice regionale
di Cosa nostra avrebbe stabilito di avviare una strategia che
avrebbe avuto come suoi connotati gli omicidi che conosciamo
(Lima...), le due stragi, i successivi attentati di tipo
intimidatorio (abbiamo detto "di negoziazione"), probabilmente
altri attacchi ancora in cantiere. Sulla base di quello che si
conosce, la strategia sarebbe questa. Se è così, evidentemente
chiudere oggi qualunque spazio e qualunque prospettiva di
contrattazione significa anche prevenire ulteriori stragi. Se
infatti si facesse capire con grande chiarezza che non esiste
alcuno spazio per una contrattazione, ciò significherebbe che
anche le stragi sono inutili; se invece, all'interno del mondo
politico o di parte di esso, vi fossero tendenze, idee,
suggerimenti, propositi diretti a far sperare che ci possa
essere un elemento di contrattazione, evidentemente questo non
farebbe che accelerare ed aumentare la possibilità di
attentati.
   La terza questione riguarda Giovanni Brusca, nato nel
1957.
  GIUSEPPE AYALA. L'"autista"...
  LUCIANO VIOLANTE. Secondo una serie di voci questo
signore starebbe fra Corleone e San Giuseppe Jato; avrebbe
avuto recentemente un figlio da una signora che vive in una
delle due località (era fidanzato a San Giuseppe Jato). Se
conosciamo questi dati noi, credo che li conoscano anche le
autorità di polizia.
   Non abbiamo alcun dubbio che vi sia stata una rigorosa
azione nei confronti dei latitanti: i risultati lo dicono. Sta
di fatto che vi è un problema di concentrazione su alcuni in
particolare: se infatti si catturasse questo, che forse sta
formando la nuova leva militare all'interno di Cosa nostra,
evidentemente si metterebbe a segno un colpo anche dal punto
di vista organizzativo (altri colleghi, poi, segnaleranno
ulteriori questioni specifiche). La domanda è dunque: se nei
confronti di Giovanni Brusca del 1957 vi sia un'attenzione
particolare. Se è già in corso, non c'è problema. Il fatto è
che l'area di movimento è quella del Vigneto, un'area molto
ristretta: ciò dovrebbe consentire un'azione dagli utili
particolarmente rilevanti.
   Da questo punto di vista volevo dirle che le modalità
della presenza delle forze armate in Corleone sono tali - non
per colpe soggettive, ma per ragioni oggettive - da avviare
molto spesso un conflitto fra cittadini e forze armate stesse.
I cittadini di quell'area hanno l'impressione che le forze
dispiegate si trovino in zona non tanto per controllare il
territorio e perseguire i latitanti, quanto per fare
contravvenzioni; non dico che non sia necessario anche
notificare contravvenzioni, ma lei sa bene che se non si apre
un meccanismo di
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cooperazione e di collaborazione, se i cittadini sentono
quelle forze come nemiche e non come amiche, scatta un
meccanismo che non è di cooperazione e di integrazione, ma di
avversità. Siccome abbiamo bisogno del massimo di
collaborazione e di fiducia, non so se sia possibile -
verificando queste notizie, naturalmente - dar luogo ad un
atteggiamento tale da far nascere collaborazioni piuttosto che
ostilità.
   La quarta questione riguarda le priorità.
  PRESIDENTE. Prego di giungere subito alla domanda - con
premesse più sintetiche - per stringere al massimo i tempi,
poiché molti colleghi hanno già chiesto di intervenire.
  LUCIANO VIOLANTE. Devo dire, presidente, che questi
elementi saranno utili per il lavoro successivo. Comunque, la
ringrazio.
   Lei ha indicato una serie di interventi: vorrei sapere
quali sono le sue priorità. Ha accennato per esempio al fronte
economico: io vorrei capire bene quali sono i dati specifici
su questo versante.
   L'ultima questione è relativa ai rapporti con la politica.
Non ci interessa sapere con chi, come oggi si instaurino tali
rapporti; lo vedrà la Commissione, se potrà. Vorrei invece
conoscere quali siano a suo avviso le azioni da intraprendere
in campo parlamentare, politico, al fine di isolare,
disincentivare al massimo la possibilità di rapporto e dialogo
tra mafia e mondo istituzionale, politico. Sulla base della
sua esperienza vi è qualcosa in particolare che si può o si
deve fare anche per evitare di creare illusioni sulla
possibilità di rapporto?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Per quanto
riguarda la precisione del dato da lei richiamato, ritengo che
siano 1.301 i contributi forniti. Sono poi stati applicati,
perché la legge lo prevedeva, i casi...
  LUCIANO VIOLANTE. Vi si è arrivati attraverso una serie
di procedimenti giudiziari...
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Esatto. In
ogni caso per la precisione, per specificare bene le invierò
un documento ad hoc.
   La strategia stragista della mafia è una delle ipotesi. La
mafia - lo sappiamo - è in grado di organizzare stragi, le ha
realizzate, purtroppo per tutti noi, per tanti motivi. Questa
strategia rientra dunque nei suoi piani.
   Sono fermamente deciso nell'affermare che non si viene a
patti; non so come si possano ipotizzare cose del genere. Più
che a stragismo per ottenere qualcosa penso alla volontà di
dimostrare la propria forza, alla necessità di provare con
atti, anche eclatanti, che si è vivi, per avere con ciò la
possibilità di ottenere sempre più accoliti. Giovanni
Brusca...
  GIUSEPPE AYALA. Comunque non sarebbe mai lei
l'interlocutore del patto.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Certo.
  PRESIDENTE. Onorevole Ayala...
  GIUSEPPE AYALA. Presidente, se ho una cosa da dire me la
faccia dire!
  PRESIDENTE. Però le domande sono molte e il capo della
polizia deve rispondere...
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Assolutamente
non mi ritengo...
  PRESIDENTE. Onorevole Ayala, abbia pazienza, chiedere al
capo della polizia se sia l'interlocutore del patto...
  GIUSEPPE AYALA. Ho escluso che lo sia. A mio modesto
avviso...
  PRESIDENTE. ...mi sembra veramente offensivo
(Interruzione del deputato Ayala). Con il rispetto di
tutti, ivi compreso di chi viene ascoltato...
  GIUSEPPE AYALA. Il rispetto da questa parte non manca
mai.
Pagina 140
  PRESIDENTE. Nemmeno da questa.
  GIUSEPPE AYALA. Questo mi fa molto piacere.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Lei,
onorevole Violante, mi dice che Giovanni Brusca starebbe tra
Corleone e San Giuseppe Jato; francamente non posso darle una
risposta.
  LUCIANO VIOLANTE. Sulla fidanzata?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Non posso
darle una risposta; mi riferisco a quando io ero a Palermo,
potevo essere più vicino all'ambiente e sapere. Sono notizie
sulle quali mi devo documentare, perché caso mai sono in
possesso di investigatori sul posto.
  MASSIMO BRUTTI. C'è un gruppo specifico?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. In ogni caso
vi è un gruppo di persone che lavora per la cattura e Brusca,
insieme a Bagarella, è conosciuto come uno dei soggetti più
pericolosi. Ritengo per la verità che lo sia molto più Brusca,
alla luce della mia memoria e dei fatti.
   Per quanto riguarda la presenza delle forze armate a
Corleone, che hanno creato il clima di sfiducia dei cittadini,
francamente non sono stato informato. Tenga però presente - e
mi dispiace dover rispondere in questo modo - che chiaramente
non posso essere esaustivo; ho cominciato quest'attività il 1^
settembre.
  LUCIANO VIOLANTE. Segnalavo il problema, poi lei
vedrà.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Certamente la
ricerca dei latitanti è tra le priorità. Ogni latitante
catturato è davvero un colpo secco che si dà alle
organizzazioni criminali in genere. I miti che aleggiano sono
perniciosi, pericolosi e creano aggregazioni di tutti i
tipi.
   Altra priorità è il controllo del territorio. Credo molto
in esso, perché la gente avverte questa esigenza; se riusciamo
ad effettuare un serio controllo sul territorio togliamo
ossigeno alla mafia sia perché la malavita non costituisce un
serbatoio sia perché la gente non vede nell'antistato, nella
malavita, chi possa proteggerla. Punto dunque sul controllo
del territorio organizzato, coordinato, per quanto possibile.
I mezzi ci sono; cominciamo subito a coordinare bene
l'attività del dipartimento. Comunque considero tale controllo
tra le misure prioritarie.
  GIUSEPPE ARLACCHI. Prefetto, come lei certamente sa,
negli ultimi tempi sia il concetto sia la realtà della
criminalità organizzata della mafia sono molto cambiati.
Quando parliamo di mafia non ci riferiamo più esclusivamente a
gruppi criminali operanti in Sicilia, Calabria o altrove, ma
ad un paesaggio che è diventato più variegato.
   So che il Ministero dell'interno, in particolare il
dipartimento della pubblica sicurezza, tempo fa ha intrapreso
una specie di ricognizione generale, configurando una mappa
sia delle famiglie mafiose intese in senso ampio sia di quelle
appartenenti a Cosa nostra. Era un'esigenza sentita da lungo
tempo, perché soltanto quando conosciamo quanti gruppi mafiosi
abbiamo di fronte, quanti membri ne facciano parte, quali
siano le famiglie associate a Cosa nostra, siamo in grado di
capire chi abbiamo davanti e di misurare i nostri successi o
le nostre sconfitte. Vorrei dunque sapere in primo luogo a che
punto siamo, se abbiamo una mappa delle famiglie di Cosa
nostra, se sia stato ultimato il lavoro ed eventualmente a
quale punto sia la ricognizione dell'aggregato.
   Nella sua relazione lei ha usato spesso l'espressione
"criminalità organizzata" ed ha indicato, sia pure in termini
molto generali, alcune componenti della criminalità
organizzata. Vorrei sapere se abbiamo mappe delle formazioni
criminali organizzate anche diverse dalla mafia italiana. Lei
certamente è a conoscenza - e si può dedurre da alcuni
riferimenti della sua relazione - del fatto che vi è un
fenomeno di internazionalizzazione, arrivato anche in Italia.
In larghe parti del paese, soprattutto nei più grandi centri
metropolitani o
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nell'Italia del nord, intere sezioni dei mercati criminali
sono ormai nelle mani non della mafia siciliana o calabrese ma
di gruppi di varia coloritura nazionale. Le chiedo, quindi, se
l'istituzione che lei dirige si sia posta il problema e se
abbia cominciato a lavorare in questa direzione, nel senso di
vedere quanti sono i gruppi, quali sono, da dove vengono, come
si muovono e così via.
   Per quanto concerne la criminalità economica, siamo di
fronte ad un concetto ormai accettato; in Commissione parliamo
continuamente di economia criminale, criminalità economica,
necessità di studiare, analizzare e colpire il fenomeno. Mi
domando se l'istituzione che lei dirige si sia posta il
problema di una ricognizione. Quando parliamo di criminalità
economica, di finanza illecita o di criminalità economica
collegata alla finanza illecita di che cosa ci stiamo
occupando? Secondo lei quali sono i gruppi di aggregati della
criminalità economica più pericolosi del paese?
   Vorrei sapere, infine, quale sia la sua opinione, la sua
valutazione circa i rapporti tra criminalità classica e
corruzione politica. I precedenti capi della polizia che
venivano ascoltati dalle Commissioni parlamentari negli ultimi
tempi fornivano dati sul numero di amministratori pubblici
inquisiti per corruzione, dati dai quali era possibile avere
un'idea di come si ponesse nel nostro paese il fenomeno della
corruzione politica.
   Qual è la sua sensazione? Gli amministratori inquisiti,
gli uomini politici corrotti e collegati con la criminalità
organizzata oggi sono diminuiti, aumentati o il loro numero è
rimasto uguale? Qual è la sua opinione su un dato che a noi
serve per capire come si evolvano oggi i rapporti tra mafia e
una parte importante del sistema istituzionale?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Per quanto
riguarda l'internazionalizzazione del fenomeno mafioso e della
criminalità organizzata in genere, stiamo avvertendone già da
molto tempo la portata. Le misure cui ho accennato, e cui ha
accennato il ministro dell'interno nell'audizione che
recentemente ha fatto in questa sede, cioè la creazione di
Europol, Teledrug, eccetera, prendono tutte le mosse dal
convincimento che la mafia e in genere l'organizzazione
criminale non sono più un fenomeno nazionale e stanno sempre
più aumentando le loro mire ed espandendosi. Per tale motivo è
necessaria l'azione di contrasto che è già stata avviata.
   Per quanto riguarda le mappe sull'internazionalizzazione,
come lei sa, tali mappe anche per le organizzazioni criminali
e mafiose note sono sempre in divenire: in un certo periodo vi
è una determinata situazione, ma è sufficiente l'arresto di
alcuni latitanti per cambiare completamente lo scenario.
Quindi non solo abbiamo le mappe, ma le aggiorniamo
continuamente. Per quanto riguarda quelle di carattere
internazionale, il discorso è più complesso; tuttavia ci
stiamo muovendo nel senso di avere sempre il massimo della
collaborazione sia attraverso l'Interpol, della quale proprio
in questi giorni a Roma si tiene una sessione...
  GIUSEPPE ARLACCHI. Può far avere una copia di queste
mappe alla Commissione?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia.
Senz'altro.
   Come dicevo, oltre che quella dell'Interpol ricerchiamo la
collaborazione anche dell'Europol; abbiamo cercato poi di
coinvolgere - lo accennavo nella mia relazione - gli Stati
Uniti attraverso lo scambio di notizie informatizzate. Questa
è la scommessa del futuro: l'informatizzazione e la
circolazione delle notizie.
   A proposito della criminalità economica, va notato che se
ne parla da sempre ma in materia si concretizza poco; abbiamo
qui il generale Ramponi, che è un esperto nel campo. E' vero
che ho dedicato poco spazio nella mia relazione a questa
tematica; comunque predisporrò un documento aggiornato che
fotografi la situazione attuale secondo il dipartimento e lo
farò recapitare alla presidenza nel più breve tempo
possibile.
Pagina 142
   L'ultimo aspetto riguardava il rapporto tra criminalità e
corruzione politica. Mi riservo di far conoscere il numero
esatto dei comuni attualmente commissariati. Ritengo,
comunque, che vi sia una diminuzione rispetto al passato, ma
questo è ovvio perché vi è stata l'esplosione del fenomeno,
poi il massimo del contrasto e adesso tutti, prima di
muoversi, ci pensano sopra o comunque adottano misure che
rendono più difficile scoprirli. In ogni caso, farò pervenire
alla Commissione un documento sulla materia.
  ANTONIO BARGONE. Vorrei fare riferimento ad un progetto
di riorganizzazione del comparto della sicurezza, del quale ha
parlato il ministro Maroni e di cui non c'è traccia nella
relazione del capo della polizia. Il ministro ha affermato che
vi è la necessità di riorganizzare tale comparto affidandosi
soprattutto al decentramento e alla specializzazione. Nella
definizione degli strumenti il ministro è stato più vago; in
ogni caso ha fatto riferimento all'attuazione dell'articolo 4
della legge n. 410 del 1991, quindi al ruolo della Criminalpol
soprattutto dal punto di vista del coordinamento delle forze.
Si è parlato anche della specializzazione attraverso corsi di
formazione diretti alle forze di polizia in particolare per
quanto riguarda la criminalità economica. In relazione a tale
aspetto non è stato predisposto un programma.
   Vorrei invece comprendere meglio alcuni riferimenti
contenuti nella sua relazione. Lei, per esempio, a pagina 5 e
a pagina 9 della relazione, parla di maggiore efficienza, di
mirate strategie, di apparati investigativi specializzati;
ebbene, vorrei sapere di che si tratta e se in tale progetto
sia previsto e quale sia il ruolo della DIA. Infatti su tale
punto il ministro non è stato chiaro. Vorrei inoltre sapere se
si intende applicare la legge e quindi far convergere nella
DIA, ROS, SCO e GICO oppure se vi sono orientamenti di tipo
diverso. Ciò è naturalmente importantissimo per stabilire
quale ruolo debba svolgere la DIA e quale debba essere la sua
incisività nel progetto.
   Un'altra questione che intendo sottoporle riguarda gli
attentati agli amministratori comunali siciliani e calabresi.
Tali crimini si ripetono con una sempre maggiore frequenza,
tanto che ormai vi è allarme per l'agibilità democratica dei
comuni in cui si è votato recentemente. Nella maggior parte
dei casi, tra l'altro, si tratta di consigli comunali sciolti
per infiltrazioni mafiose. Vi è quindi la preoccupazione,
sentita non solo dagli amministratori ma dai cittadini, che si
possano riprodurre quelle situazioni che hanno comportato
l'effetto traumatico dello scioglimento. Chiedo, dunque, a che
punto siano le indagini, se vi siano già dei risultati e se
siano state adottate misure per tutelare gli amministratori e
consentire loro di gestire i comuni in una situazione di
maggiore agibilità democratica.
   Un ulteriore tema concerne il rapporto tra mafia e
politica. La Commissione antimafia della scorsa legislatura
era partita dalla valutazione della coabitazione tra potere
politico e mafia, della sinergia tra questi due poteri. Lei ha
prima affermato che la mafia di per se stessa implica
un'attività politica in senso lato, poiché ha bisogno di
sinergie con quanti gestiscono il potere politico. Poiché si è
detto - non riprendo l'argomento considerato che lei ha anche
già risposto - che vi è una strategia terroristica - come ha
dichiarato anche il ministro Maroni -, le chiedo se a suo
giudizio ciò significhi che la mafia e le organizzazioni
criminali stiano cercando un nuovo patto con le forze
politiche, che di fatto vi potrebbero aderire anche
involontariamente, uno spazio che venga garantito da una certa
accondiscendenza verso l'illegalità diffusa. Per esempio,
l'onorevole Parenti qualche mese fa ha fatto riferimento ad
infiltrazioni in un importante partito di Governo.
  PRESIDENTE. Si può anche dire...
  GIUSEPPE AYALA. Rischio!
  PRESIDENTE. Il rischio riguarda tutti i partiti, non
solamente il movimento cui appartengo; si può anche dire il
nome.
Pagina 143
  ANTONIO BARGONE. Signor presidente, non mi sento inibito a
fare il nome...
  VITTORIO TARDITI. Neanche noi siamo inibiti! Abbiamo
anche chiesto un'indagine.
  ANTONIO BARGONE. Voglio rassicurare il presidente che
quando parlo scelgo quello che voglio dire e quindi non c'è
bisogno che mi si tuteli da questo punto di vista. Ho scelto
di dire che c'era un rischio - come notava giustamente Ayala -
di infiltrazione e quindi chiedo se in questa ottica vi siano
elementi che facciano ritenere che c'è una sorta di spinta
delle organizzazioni criminali a ritrovare lo spazio per un
rapporto tra mafia e potere politico, così come si era
affermato in quella relazione.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Per quanto
riguarda il decentramento e la specializzazione, secondo il
mio modo di vedere debbono esserci due momenti che vanno poi
coordinati, questo è un po' lo spirito di tutta la mia
relazione. Parlo di decentramento perché tutte le indagini
vanno compiute sul territorio. Non si può, cioè, estraniarsi
completamente o tenere al di fuori delle indagini le forze che
operano sul territorio. Quindi, il decentramento dell'azione
anche investigativa, di prevenzione e di repressione, deve
essere affidato anche alla polizia giudiziaria che opera sul
territorio. Il tutto deve essere coniugato, appunto, con
organismi specializzati. Cosa voglio dire? Faccio riferimento
ad un periodo perché forse così riesco ad essere più efficace.
E' infatti molto difficile non avere ancora iniziato
un'attività di ampio respiro e rispondere a tanti quesiti.
Forse riesco a chiarire il mio pensiero con un esempio.
   Quando ero questore di Palermo, se si doveva svolgere
un'indagine ed emergevano elementi concreti ed utili per lo
sviluppo di tale indagine, non esitavo un attimo a coinvolgere
l'organismo centrale specializzato. Mettevo così insieme le
forze operanti sul territorio e l'organismo centrale
specializzato, utilizzando la conoscenza del territorio e, nel
contempo, la sorpresa dovuta al fatto che operavano elementi
specializzati e non conosciuti. In questo senso vedo il
coniugarsi delle due cose.
   Il problema degli attentati agli amministratori comunali è
gravissimo. Non posso dire molto per quanto riguarda
l'andamento delle indagini, che comunque non credo
nell'immediato possano presentare lati estremamente positivi.
Come far fronte al problema? Questo è il punto del controllo
organico del territorio. Se siamo presenti noi, penso che la
malavita possa ritrarsi o, perlomeno, attenuare la propria
attività. Risponderemo in questo modo cercando di attrezzarci
meglio e di essere presenti nel modo migliore.
   In merito alla coabitazione tra mafia e politica, premesso
il concetto di carattere generale che un'organizzazione
criminale si definisce mafia quando ha la possibilità di
infiltrarsi, di avere connivenze e così via, allo stato non
sono in grado fornire elementi obiettivi - non perché non
voglia parlarne, ma perché non ne sono a conoscenza - che
possano far ritenere che sia in atto questa commistione,
questo tentativo di coabitazione.
  ANTONIO BARGONE. Mi scusi, ma le avevo fatto una domanda
sulla Criminalpol e sulla DIA.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. La
Criminalpol, la direzione centrale della polizia criminale,
rimane nel dipartimento il centro motore di tutte le attività
che riguardano l'organizzazione dei servizi di polizia
giudiziaria.
   La DIA, che ha una sua struttura particolare, ha
certamente un collegamento - ed a mio avviso per lavorare
meglio deve averlo sempre più stretto - con il centro. Ciò
appunto perché una serie di notizie, di valutazioni e di
elementi raccolti vanno vanificati perché manca il
coordinamento. Se ognuno procede lungo la propria strada e la
propria direttrice non ci sarà mai un risultato che sia il
frutto di un'azione sinergica. Vi saranno
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risultati e si vedranno sempre di più quelli positivi quando
sono risultati...
  ANTONIO BARGONE. Lei pensa che bisogna far
confluire...
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Non
confluire; tutte le notizie debbono essere coordinate e
collegate attraverso sistemi informatici. Poc'anzi ho fatto
riferimento addirittura a quel momento dell'attività di
polizia giudiziaria che è antecedente all'intervento del
magistrato per dire che vi è tutta una fase in cui una serie
di notizie vanno sprecate. Mi spiego con un esempio: se ad un
certo punto mi riferiscono che un certo latitante - oppure un
trafficante di droga - si trova in un determinato luogo,
svolgo un accertamento e non mi risulta che, in quel momento,
la persona in questione sia nel luogo indicato, od anzi
l'informazione assunta mi dice che non esiste, per me la
notizia finisce lì. Può darsi invece che un altro organismo, a
conoscenza della notizia, possa costruire un castello. Questo
è il senso del collegamento che intendo praticare: tutte le
notizie, specie quelle che non vanno all'autorità giudiziaria
- perché quelle che giungono all'autorità giudiziaria vengono
coordinate dal magistrato e poi arriveranno a destinazione -,
ma anche quelle precedenti all'attività investigativa vera e
propria, debbono confluire, debbono essere in qualche modo
utilizzate. Vedremo quale sia il modo legale e migliore perché
ciò avvenga.
  MICHELE FLORINO. Porrò due sole domande (ad una di esse
forse il capo della polizia ha già risposto, ma vorrei però
ribadirla), la prima delle quali riguarda un tema di fondo già
affrontato negli anni scorsi, quello cioè del mancato
coordinamento delle forze di polizia preposte alla lotta
anticrimine. Vorrei sapere se oggi tale problema sia stato
risolto o se persista.
   La seconda domanda parte da una considerazione. Nessuno
dei colleghi ha voluto affrontare fino in fondo il problema:
se noi siamo stati informati (non solo dagli elementi che lei
ci ha fornito questa sera ma anche da quelli che ci vengono
sempre propinati dai giornali) di una sconfitta della mafia
(ecco perché io non la chiamo mafia, ma criminalità), se
questo è il risultato dei 1.300 pentiti, degli arresti, di una
mafia messa in ginocchio, dove è andata ad annidarsi
l'evoluzione della criminalità? Le domando se in questo
momento c'è un'evoluzione della criminalità.
   Dal mio punto di vista voler ribadire - come hanno fatto
con persistente monotonia alcuni colleghi - il rapporto
politico-mafioso, che pure è esistito, invece di puntare
direttamente ad una collusione tra poteri istituzionali, che
non sono solo quelli politici - e in parte quelli politici
caduti con gli effetti di Tangentopoli - ma sono quelli che
vedono forze istituzionali, fra cui la stessa magistratura,
complice della criminalità organizzata...
  GIUSEPPE SCOZZARI. Quali casi?
  MICHELE FLORINO. I casi sono all'ordine del giorno.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Quali?
  MICHELE FLORINO. Centinaia.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Faccia i nomi!
  MICHELE FLORINO. I nomi sono presenti nelle inchieste,
non li dico a lei.
   Non a caso, nell'ultimo intervento che svolsi in questa
Commissione mossi accuse con dovizia di particolari, dicendo
che era stato violato finalmente il santuario sacro della
magistratura e mettendo in luce i persistenti rapporti di
collusione tra criminalità e magistratura. Ad alcuni, infatti,
non fa comodo affrontare ed estirpare decisamente il bubbone.
Rispetto a quella considerazione ormai di appiattimento finale
con i morti che ci date in pasto - quelli di Riina - che non
contano più, ma conta un'evoluzione della criminalità verso
una forma di élite con poteri economici che vedono
senz'altro dei poteri istituzionali che la dirigono.
   Rispetto a questa situazione, le forze di polizia
coordinate riescono ad aprire il
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cancello del portone sacro della magistratura e a snidare
coloro che direttamente gestiscono con la manovalanza il
potere criminale, non solo in Italia ma anche in Europa? E
rispetto ad alcuni settori della magistratura collusi con la
criminalità, lei, che è capo della polizia, ritiene di fare
pulizia anche all'interno di corpi istituzionali preposti alla
lotta contro la mafia coinvolti in casi eclatanti di
collusione con la delinquenza e la criminalità?
   Solo se lei può dare una risposta a queste domande si
potrà arrivare al nocciolo del problema, senza più tirare in
ballo i politici (che sono alibi di comodo) o la mafia (che
non esiste). Infatti, in questo momento state dando
all'opinione pubblica cadaveri che non servono, visto che il
potere e l'evoluzione della criminalità si annidano e vengono
gestiti molto in alto.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Per quanto
riguarda lo stato del coordinamento delle forze di polizia,
devo dire che esso non è certamente ottimale ma che rispetto
al passato abbiamo fatto e stiamo facendo passi da gigante.
Siamo ormai arrivati a tracciare competenze precise, per
esempio su alcune materie; il discorso se la competenza debba
essere per materia o per territorio deve essere ancora
affrontato. Ribadisco che siamo veramente molto avanti
rispetto al passato, per lo meno in base all'esperienza che ho
vissuto. A Roma, per esempio, abbiamo delineato piani organici
di controllo del territorio e abbiamo applicato il cosiddetto
traslaudio (faremo in modo di applicarlo anche in tutte le
altre questure), il quale consente alle forze di polizia (ad
esempio, alla sala operativa della questura) di comunicare
direttamente con le auto dei carabinieri, e viceversa. Le
notizie urgenti ed importanti, quindi, possono essere
comunicate direttamente dall'operatore della polizia o dei
carabinieri a coloro che operano sulla strada.
   Non so se si tratti di piccole cose; ma sono proprio le
piccole cose che portano alle grandi. Posso assicurare ancora
una volta che rispetto al passato stiamo progredendo e che
faremo di tutto (l'ho scritto nella relazione perchè è uno dei
punti ai quali tengo maggiormente) affinchè il coordinamento
possa essere realizzato nel migliore dei modi.
   Per quanto concerne l'esistenza della mafia e l'evoluzione
della criminalità, devo rilevare che tutto è possibile ed
opinabile e che tutte le tesi sono buone. Ma, se ci
allontaniamo dalle cose reali che vediamo tutti i giorni,
rischiamo di fermarci; e la nostra azione non può fermarsi.
Quando ho parlato di mafia sottolineando il carattere subdolo
dell'associazione mafiosa, non mi riferivo necessariamente
alla politica, ma anche al settore istituzionale. Abbiamo
avuto casi che sono stati chiariti e lei, senatore Florino, ha
giustamente evidenziato che nei vari settori delle istituzioni
vi sono state persone colluse. Non ho alcuna remora ad
ammettere tutto questo.
   D'altra parte, posso dire che la Polizia di Stato, cioè il
dipartimento di pubblica sicurezza, da tempo ha deciso di
usare il massimo rigore in proposito. Non ci spaventiamo,
anche se possiamo dispiacerci come ad ognuno di noi dispiace
scoprire che nella propria famiglia qualcuno non fa bene il
proprio dovere. Però, non ci martoriamo, anzi ci consideriamo
fortunati quando riusciamo a fare pulizia, a capire
determinati meccanismi e ad espellere le famose mele marce.
  LUIGI MANCONI. Chiedo scusa se poc'anzi il mio
intervento è risultato irrituale e ha creato confusione. Il
mio intento era quello di ricollegarmi alle parole appena
pronunciate (ormai credo un'ora fa) dal capo della polizia e
chiedere chiarificazioni proprio in merito a quanto aveva
appena esposto, confrontandolo con ciò che avevo letto nella
relazione consegnatami in quel momento.
   La mia sensazione è che la relazione del prefetto vada ben
oltre le parole pronunciate dal ministro dell'interno. Alla
pagina 10 già citata, si legge: "Per altro verso, ad ulteriore
riscontro sussiste la cognizione concreta sul piano
investigativo di disegni criminali volti a colpire in maniera
eclatante uomini che rivestono un ruolo
Pagina 146
importante nella lotta antimafia". Credo di non sbagliarmi se
dico che questa affermazione è ben più puntuale, precisa e
dettagliata (anche nell'uso dei termini e degli aggettivi) di
quanto fosse la formulazione, approssimativa e comunque già
inquietante, fornita dal ministro dell'interno.
   Perchè insisto su questo punto? Perchè credo sia per un
verso ingiusto e per altro verso superfluo lamentarsi dell'uso
che i giornali possono fare di una informazione di questa
natura. Poichè ciò è stato detto immediatamente dopo
l'audizione del ministro e ribadito oggi in quest'aula, devo
rilevare che a mio avviso il problema non può essere ridotto a
scandalismo dei giornali, ad enfasi eccessiva o ad
esagerazione. Fatta salva la riservatezza delle informazioni
di cui lei dispone (che non si intende violare in questa
sede), credo sia importante adottare una linea precisa su tale
punto, perchè vi è il rischio di una banalizzazione
dell'allarme. A ritmo costante, con periodicità regolare, da
fonti non approssimative ma istituzionalmente autorevoli,
emerge l'annuncio (come in questo caso) di una cognizione
concreta sul piano investigativo di un disegno criminale (che
qui significa proprio attentato volto a colpire).
   Credo si debba stare molto attenti quando si danno simili
annunci, perchè, ripeto, vi è per un verso il rischio di una
banalizzazione dell'allarme; per usare un linguaggio ancora
più ordinario, il richiamo "al lupo, al lupo" rischia di
risultare scarsamente efficace nell'indurre vigilanza. Per
altro verso, se non si tratta di un annuncio generico ma
concreto (insisto nel voler usare questo aggettivo perchè è
scritto nella relazione), chiedo al prefetto Masone se, nei
limiti della riservatezza prima richiamata, possiamo avere
informazioni più puntuali.
   Vengo ora molto rapidamente alla seconda domanda. Il
collega Bertoni ha sollevato una questione che non credo sia
di mera curiosità ma che ha anche natura investigativa e
attiene all'ordine pubblico e alla sicurezza dello Stato.
Dobbiamo considerare Totò Riina un cane morto o abbiamo, per
esempio, informazioni (che possano essere rese note in questa
sede) sulla continuità del suo ruolo di leadership?
Oppure dobbiamo presupporre che una nuova leadership si
sta affermando e sta imponendo il suo dominio all'interno
dell'organizzazione criminale?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Per quanto
riguarda la prima domanda, posso ribadire esattamente quello
che ho scritto. Per quel che riguarda, invece, la possibilità
di esplicitare il motivo per cui ho detto quelle cose e a chi
intendo riferirmi, non posso assolutamente farlo in questa
sede.
  LUIGI MANCONI. Non certo i nomi dei bersagli,
figuriamoci! Sarebbe irresponsabile.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. E' detto che
qualcuno impegnato sul fronte antimafia corre questi rischi
perché se ne è avuto riscontro in alcuni atti giudiziari. E'
questo quello che ho detto e penso di non poter dire più di
questo.
  LUIGI MANCONI. Atti investigativi.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Esatto, atti
investigativi.
   Totò Riina cane morto? Andrei molto cauto. Secondo me non
possiamo ancora dire una cosa del genere. Anche perché sia
Bagarella sia Brusca erano persone molto vicine a Totò Riina
nel momento in cui era libero. Se quindi sarà provato, come è
probabile, che Bagarella o Brusca hanno preso le redini di
Cosa nostra in mano o stiano per farlo, vorrà dire che Riina
ha ancora il suo valore. Non posso considerare chiusa la
partita Riina perché francamente non lo è ancora.
  PRESIDENTE. Vi sono ancora molti iscritti a parlare. Vi
prego pertanto di sintetizzare le domande, anche perché così
saranno più ampie le risposte.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Si è parlato di usura. Giusto qualche
ora fa stavamo esaminando la proposta di legge in materia in
Commissione giustizia della Camera, della
Pagina 147
quale faccio parte. La prima domanda, de iure condendo,
è quali suggerimenti puntuali può dare il capo della polizia
affinché il Parlamento possa varare una legge che sia la più
efficace possibile nella lotta all'usura. Non chiediamo una
prospettazione della legge, ma uno o due consigli da portare
in Parlamento.
   Sempre con riferimento all'usura, bisogna dire che le
società finanziarie costituiscono lo strumento attraverso il
quale si foraggia e si incrementa in modo incredibile tale
fenomeno. Anche e soprattutto perché le società finanziarie
non sono registrate in modo regolare e molte di esse operano
al di fuori di ogni sistema di controllo legislativo. Con
quali forze ed in che termini la polizia intende combattere il
fenomeno terribile rappresentato dal dilagare delle società
finanziarie e, quindi, dal moltiplicarsi dell'usura?
   Circa la commissione per i pentiti, presieduta da Marianna
Li Calzi, fondatissime voci affermano e danno quasi per certa
l'espulsione o l'allontanamento - chiamiamolo come vogliamo -
di due autorevolissimi componenti, due magistrati, il dottor
Grasso e il dottor Vigna, i quali hanno dato un contributo
straordinario nella gestione dei collaboratori di giustizia;
ritengo che in questo momento specifico essi possano fornire
un ulteriore contributo, visto che si sta procedendo a
regolamentare la gestione dei collaboratori stessi.
   Sempre in materia di collaboratori di giustizia, prendiamo
atto che il capo della polizia, con la cui opinione concordo,
è contrario, per motivi giusti e validissimi, ad un corpo di
vigilantes incaricato di tutelarli. Ho assistito alcuni
collaboratori di giustizia e uno dei problemi più gravi era
che la commissione che dovrebbe varare il programma di
protezione e individuare chi sia collaboratore di giustizia e
chi no si riuniva raramente, senza la costanza e la dovuta
periodicità, richiesta dal numero crescente di collaboratori.
Ciò creava incertezza in capo al collaboratore che causava
rallentamenti nelle indagini ed uno stress psicologico
incredibile in capo al collaboratore, ma soprattutto in capo
ai magistrati che si assumevano - e si assumono -
responsabilità nei confronti dei collaboratori di giustizia o
potenziali tali. La commissione che vara il programma di
protezione si riunisce periodicamente o continua a farlo in
maniera poco coordinata e poco tempestiva?
   Riprendo ora quanto affermato dal collega Bargone con
riferimento agli attentati ai sindaci progressisti nel
meridione. Il prefetto potrà riservarsi di rispondere a questi
quesiti, trattandosi di argomenti molto specifici. Vorrei
sapere se continua a lavorare il gruppo interforze istituito
dal ministro Maroni subito dopo gli attentati a Piana degli
Albanesi e a Corleone. Questo gruppo interforze, che dovrebbe
servire a comprendere la dinamica degli attentati ed
eventualmente a individuarne le cause, i mandanti e i
responsabili, continua ad interagire nel territorio? Desidero
inoltre sapere se questo gruppo interforze ha anche funzioni
di controllo del territorio, ossia se agisce come un sensore
per una più adeguata tutela degli amministratori esposti in
prima linea.
   Una delle province siciliane cui ritengo che lo Stato
abbia prestato minore attenzione, tanto è vero che negli
ultimi mesi si è verificata una serie di attentati e anche di
omicidi, è quella di Agrigento. Mi riferisco per esempio ad
alcuni imprenditori, come Bennici a Licata e Panepinto a
Bivona. Desidero sapere cosa intende fare lo Stato per
potenziare e rendere ancora più efficace il controllo del
territorio. Per esempio, a Bivona la mattina hanno ucciso un
imprenditore e un suo operaio (con le stesse tecniche
utilizzate tre mesi prima) e nel pomeriggio hanno rubato una
macchina e rapinato un tabaccaio. Ciò significa che lo Stato
ha rinunciato a qualsiasi controllo del territorio.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Consigli
circa il problema dell'usura. Come lei stesso ha detto poco fa
è in corso di esame una legge: il contributo del dipartimento
vi è certo stato nel dire la propria sull'argomento,
nell'esporre il proprio punto di vista.
   La cosa che non poteva essere tollerata era l'ufficio
della procura della Repubblica
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presso la pretura, perché di fatto ha impedito le
investigazioni; addirittura c'erano delle duplicazioni e
comunque si trattava di una situazione che andava rimossa e la
legge sta pensando a fare giustizia di questo.
   Quanto alle società finanziarie, trattandosi di un settore
estremamente tecnico, sono molto prudente perché richiede un
approfondimento che allo stato non sono in grado di fare.
Posso riferire che (dico questo in base alla mia pregressa
attività di questore in sede) si registra (questa situazione
avrebbe fatto felice a suo tempo il generale Ramponi) una
sempre maggiore volontà di specializzazione della polizia, per
cui le indagini non vengono demandate in toto alla
Guardia di finanza che riteniamo un organismo essenziale per
questo tipo di lotta le cui forze, però, vanno risparmiate per
essere indirizzate in modo più proficuo verso altri
settori.
   Sulle espulsioni dalla commissione per i pentiti non posso
risponderle, onorevole Scozzari, perché il fatto non mi
risulta. Fino a ieri ho incontrato magistrati che lavoravano
sulla questione. Le cose che lei dice a me non sono state rese
note. Ha osservato che in passato la Commissione si è riunita
in maniera episodica: mi sembra che allo stato compia il
proprio dovere, perché il numero crescente di pentiti richiede
un intervento della commissione, che è un atto dovuto.
   Per quanto riguarda il settore (dal punto di vista
burocratico, non legislativo) che si occupa dei cosiddetti
collaboratori di giustizia, ho già dichiarato che è mia
intenzione compiere una rivisitazione di tutto l'apparato, che
è sorto quasi improvvisamente e perciò necessita di una
regolamentazione.
   Sugli attentati ai comuni cercherò di farle avere una
documentazione perché devo ancora ricevere conferme sulla
possibilità di far proseguire l'azione di questi gruppi
interforze che, senza dubbio, quando sono all'opera,
rappresentano ottimi sensori del territorio.
   Anche sulla provincia di Agrigento non ho con me la scheda
riguardante le forze in campo.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Sono molto poche.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Sono poche,
dice lei; bisogna verificare quante siano in rapporto alla
totalità delle forze e all'incidenza delinquenziale. Anche al
riguardo le invierò una scheda completa di cui non dispongo al
momento.
  ALESSANDRA BONSANTI. Comincio da qualcosa che il
prefetto Masone sicuramente conosce molto bene. C'era una
volta la banda della Magliana, laddove felicemente
convivevano, a Roma, piduisti, mafiosi, servizi segreti,
politici romani; era un'organizzazione molto pericolosa (ho
parlato di mafiosi, c'era Pippo Calò).
   Vorrei sapere se le risulta se vi sia ancora un residuo di
quell'organizzazione (così la definiva Sica). A proposito di
piduisti - anche questi il prefetto li conosce bene (ripenso
ai sequestri dei primi anni settanta) - vorrei sapere se
continuano i controlli, da parte della polizia e della DIGOS,
sui frequentatori di villa Wanda, dove ancora risiede Gelli.
Vorrei sapere se tali controlli siano stati rallentati ovvero
in che modo continui tale vigilanza e se risultino contatti
tra ambienti mafiosi e il venerabile o l'ex venerabile della
P2.
   Infine, le chiedo di essere più preciso quando parla delle
motivazioni delle stragi, perché ho l'impressione che lei
abbia privilegiato, non so se volontariamente o no, una
spiegazione che fino ad ora sembrava secondaria, quella cioè
che la mafia avesse bisogno di dimostrare la propria potenza
in quel modo, piuttosto che quello che dovesse ricattare su
problemi che le premono molto, come le questioni relative
all'articolo 41-bis o ai pentiti.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Ricordiamo
tutti le imprese della banda della Magliana, i cui componenti
abbiamo visto crescere; ho seguito fin dai primi furti coloro
che successivamente si sono associati dando luogo ad una
pericolosissima organizzazione. La banda è stata sconfitta
completamente? Non credo. Periodicamente vengono svolte
indagini che
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portano alla luce tronconi che sono sempre innestati in quel
tessuto: basti pensare alla gestione del gioco d'azzardo nella
città di Roma e alla scomparsa del piccolo Nicitra insieme
allo zio, fratello del Nicitra componente della banda della
Magliana che è attualmente detenuto. Sono tutti sintomi di una
grossa attività perché quando si ricorre a questi tipi di
vendette, vuol dire che l'organizzazione esiste ancora ed è
forte.
   Per quanto mi riguarda, non ho mai smesso di considerare
questa organizzazione ancora esistente; periodicamente e
puntualmente si sono verificati episodi che hanno confermato
questa ipotesi. Occorre quindi prestare la massima attenzione
all'organizzazione che controlla a Roma il gioco d'azzardo
clandestino e il traffico di droga.
  ALESSANDRA BONSANTI. Ci sono le proprietà
immobiliari!
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Sì; abbiamo
effettuato a Roma, fatto che non si era mai verificato in
passato, sequestri molto importanti per centinaia di miliardi
nel settore delle proprietà immobiliari.
   Per quanto riguarda la domanda sulla P2, sulle misure di
vigilanza a villa Wanda, le invierò una documentazione sui
controlli effettuati, perché al momento ricordo solo vagamente
un episodio relativo ad una scorta.
  GIUSEPPE AYALA. Posto che lei non frequenta villa Wanda!
(Si ride).
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Quanto alle
motivazioni delle stragi, non credo alla mafia che compie
l'attentato per ottenere qualche cosa dallo Stato. Non riesco
a concepire oggi, nel 1994, una situazione di questo genere;
qualsiasi azione è fatta soltanto per manifestare la propria
forza.
  ALESSANDRA BONSANTI. Lo hanno detto dei pentiti!
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Mi limito ad
esprimere una mia convinzione: ci sono dei pentiti che dicono
oppure fraintendono (il limite è molto fragile, molto tenue)
che un certo attentato è stato fatto per ottenere
un'attenuazione... Io non lo credo, perché non l'otterranno.
Credo che questa Commissione (e non solo) non potrebbe mai
tollerare una cosa del genere. Il discorso è diverso: dare
dimostrazione di forza, fare accoliti e riuscire ad
intimidire; in questo senso potrebbero riuscire ad ottenere
qualcosa, non portando tout court un attacco violento al
quale, spaventati, si risponde facendo concessioni. Questo non
esiste, o perlomeno io ne sono profondamente convinto.
  GIACOMO GARRA. Certamente il prefetto Masone è a
conoscenza delle dichiarazioni che ha reso il detenuto
Giuseppe Pulvirenti, meglio noto con il nomignolo di
Malpassotu. Egli ha detto che lo Stato ha vinto la battaglia,
che la mafia è allo sfascio, nella polvere. Egli ha detto,
quasi novello San Giovanni Battista: "Compagni, pentitevi!".
Il tutto in stridente contrasto con la realtà siciliana. Non
dimentichiamo che la Sicilia a molti - me compreso - è parsa
un territorio sul quale lo Stato esercitava la propria
sovranità a macchia di leopardo. E laddove non c'erano queste
macchie di leopardo con la presenza dello Stato, vi era invece
la sovranità della mafia. Se trovavamo nelle prefetture, nei
palazzi di giustizia la presenza dello Stato, probabilmente
non sempre questo accadeva a livello di comuni o a livello di
uffici regionali. Ebbene, in un momento nel quale ancora la
mafia, per la sua presenza diffusa, esprime quasi una
sovranità sul territorio in contrapposizione a quella dello
Stato, sentiamo dichiarazioni del tipo di quelle rese dal
Malpassotu.
   Vengo alla domanda. Avrà notato che quello adoperato dal
pentito Pulvirenti è un lessico forbito, un lessico quasi da
copione. Allora domando al prefetto Masone: è un copione che
un consulente, chiunque esso sia, o persone esperte che può
aver contattato gli hanno suggerito, o per caso
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(non vorrei che fosse vera la seconda ipotesi, e al riguardo
gradirei avere una risposta dal capo della polizia) è un
copione che gli è stato fornito a livello di organi di
polizia? Perché è molto inquietante pensare che...
  ALESSANDRA BONSANTI. Va bene che Catania è Catania, ma
insomma...
  GIACOMO GARRA. Collega, io ho ascoltato con attenzione
il suo intervento...
  VITTORIO TARDITI. Abbiamo ascoltato solo i vostri
interventi!
  GIUSEPPE SCOZZARI. Se non vi siete iscritti!
  GIACOMO GARRA. Scusi se ho rotto il monopolio!
  VITTORIO TARDITI. E' possibile che abbiate alzato la
mano solo voi?
  PRESIDENTE. Chiudiamo la polemica. Io ho iscritto tutti
coloro che lo hanno chiesto.
  GIACOMO GARRA. Presidente, io credo di aver portato alla
cortese attenzione del capo della polizia non un grappolo di
domande ma una sola domanda. E qui mi fermo.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Per quanto a
mia conoscenza, Pulvirenti ha cominciato la sua collaborazione
solo da qualche giorno. Non sono assolutamente a conoscenza
delle dichiarazioni fatte. Non posso esserlo in quanto capo
della polizia, tenuto conto che ancora non sono pubblici gli
interrogatori di questa persona. Le notizie e le dichiarazioni
che sono attribuite al Pulvirenti le ho apprese pure io
stamattina dalla stampa, e su di esse, francamente, non mi
sento di fare commenti. Posso soltanto dire che non credo
affatto che organi di polizia (della polizia di Stato,
perlomeno), che tra l'altro, nel caso specifico, non penso
siano nelle condizioni di farlo in quanto non mi pare abbiano
a che fare con Pulvirenti, possano essere ispiratori di tali
dichiarazioni. Non ritengo vi sia un interesse del genere. E
non credo vi sia nella polizia di Stato, nelle forze di
polizia, gente disponibile per fare operazioni di questo
genere.
  VITTORIO TARDITI. Signor prefetto, sarò rapidissimo.
Riallacciandomi al suo dichiarato intento di privilegiare il
controllo del territorio (e penso principalmente ai confini),
quali sono le misure che intende attuare il suo ufficio in
relazione al fatto che la criminalità organizzata nazionale ed
internazionale collegate lucrano sull'immigrazione clandestina
e sulla tratta di donne avviate alla prostituzione?
   Quanti ritiene che siano, secondo i dati in suo possesso,
gli extracomunitari clandestini oggi in Italia? E in quale
proporzione, sempre secondo i dati in suo possesso, costoro
partecipano alle attività criminose?
   E infine, quali sono le misure che intende proporre per
attuare la difesa del confine del territorio italiano così
come è già stabilita negli altri paesi dell'Unione europea e
in America?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Io non ho la
possibilità di fornire i dati che lei mi chiede, prima di
tutto perché quando si tratta di clandestini si può parlare
solo per approssimazione appunto perché siamo in presenza di
clandestini. I dati che ricordo indicano per Roma 200 mila
regolari. Si pensa a circa un 30 per cento di irregolari. Il
tutto va poi rapportato al territorio nazionale. Roma comunque
ha il numero più alto di cittadini stranieri
extracomunitari.
   Per quanto riguarda il controllo alle frontiere, che tra
l'altro è difficilissimo per la conformazione territoriale del
nostro paese, non credo che il problema principale sia questo.
Certo, i clandestini entrano pure dai porti e dagli aeroporti,
ma entrano anche in altre maniere, provenendo da altri paesi e
così via. L'elemento sul quale bisogna incidere è la
possibilità dell'espulsione. Noi infatti i clandestini li
troviamo, non è questo il problema. Non è difficile, dal punto
di vista preventivo e repressivo,
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trovare extracomunitari non in regola. Non siamo di
fronte ad un problema di polizia, per cui bisogna fare chissà
che cosa. Il problema è come mandarli via. Allo stato attuale,
infatti, non si riesce, se non in pochi casi, a raggiungere
questo risultato. Per ottenere questo prima ci deve essere un
decreto di espulsione con l'intimazione a lasciare entro
quindici giorni il territorio nazionale. Dopo di che si può
procedere all'espulsione. Ma occorre trovare sia il giorno in
cui c'è il volo per il paese dove l'espulso è destinato, sia
il posto sull'aereo. Insomma, al termine di un'operazione che
ha visto impegnati centinaia di uomini, si giunge a portare
all'aeroporto solo tre o quattro persone. Il problema serio,
quindi, è questo. Da lì dipende tutto il resto.
   Se oggi è data la possibilità di espellere 50 clandestini
dediti alla prostituzione, stia tranquillo che domani sera non
li troverà certo nelle stesse condizioni. Cercheranno infatti
perlomeno di cambiare il posto, di essere meno visibili e meno
esposti. Il problema vero, pertanto, è questo.
  ANTONIO DEL PRETE. Signor prefetto, ho apprezzato la sua
diagnosi sulla capacità di adattamento della mafia. E' vero,
la mafia vuole convivere con lo Stato, anche perché - e vengo
alla domanda - a mio avviso queste organizzazioni criminali,
italiane e non, guardano con interesse ai fertili campi
dell'est.
   La domanda è: il capo della polizia è a conoscenza di
fatti accertati o accertabili comprovanti rapporti o affari di
organizzazioni criminali nostrane con omologhe dell'est Europa
o dell'ex Unione Sovietica (io mi rifaccio alla sua relazione)
ove, come è noto, sono da tempo in svendita materiali vari ed
armi da guerra provenienti dagli arsenali militari? Se ne ha
contezza, di quali episodi può parlarci e quali concludenti
iniziative può o intende prendere in relazione?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. La ringrazio
molto per avermi posto questa domanda. In altra parte della
relazione lei avrà visto che abbiamo cercato di dare un senso
pratico ai rapporti internazionali con tutti i paesi
dell'est...
  ANTONIO DEL PRETE. L'ho molto apprezzato.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia.
...segnatamente con quelli che hanno aderito, poiché avvertono
le esigenze che sentiamo anche noi. Le iniziative, essendo a
livello di polizia, non sono provate e quindi non possono
essere raccontate; per poter riferire in ordine ad esse
occorre infatti che vi siano stati risultati apprezzabili,
anche dal punto di vista investigativo, che hanno interessato
l'attività giudiziaria.
   Tuttavia, se più Stati avvertono questa esigenza, vuol
dire che il problema c'è e noi cercheremo di fare in modo che
sia sempre più approfondito il rapporto con tutti i paesi,
segnatamente con quelli dell'est che attualmente possono
apparire come terra di conquista.
  GIUSEPPE AYALA. Innanzitutto vorrei unirmi agli auguri
che le sono stati rivolti, non per estorcerle un
ringraziamento, ma perché mi pare che lei li meriti. D'altra
parte, la sua relazione dimostra un impegno che sicuramente
spenderà nel nuovo incarico, come già in passato le è capitato
di fare nei ruoli che ha rivestito.
   Vorrei svolgere una brevissima premessa per poi scendere
nello specifico. Ascoltandola, riflettevo su un dato che
secondo me è molto significativo, sia dal punto di vista
politico sia da quello generale. Come forse lei ricorderà, ho
sempre sostenuto, al di là delle persone - oggi potrebbe
apparire un'affermazione legata alla cronaca giornalistica, ma
sono cose che dico da anni -, che il monopolio democristiano
del Ministero dell'interno di fatto ha costituito, a giudizio
mio e di molti, una struttura tale per cui probabilmente lì si
poteva trovare la spiegazione dei risultati che tutti
auspicavamo ma che non arrivavano.
   Ripeto che non desidero fare alcun processo sommario, che
non compete né a me né a nessuno dei presenti, nei confronti
delle singole persone. E' un discorso
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generale (Commenti del senatore Bertoni). No, non ci
compete in questa sede.
   Riflettevo sul fatto che - senza avanzare alcuna riserva
nei confronti di Parisi (tanto per fare i nomi e i cognomi):
ci mancherebbe altro - il dato storico oggettivo è che lei è
il primo capo della polizia successivo alla fine - da molti e
da me, anche in atti parlamentari della precedente
legislatura, personalmente auspicata - di quel famoso
monopolio democristiano. Inoltre, il ministro dell'interno
mostra quotidianamente di essere assolutamente scevro da
qualunque tipo di condizionamento del genere noto a molti (a
me sicuramente, visto che l'ho sperimentato anche in prima
persona) e lei può dunque trovarsi con le mani finalmente
libere nello svolgere un'azione realmente efficace,
naturalmente con i mezzi, gli uomini e le strutture di cui
dispone (è un limite che graverebbe su chiunque e graverà
fatalmente anche su di lei).
   Una risposta da lei fornita che mi ha molto interessato è
stata quella relativa alle priorità. Lei giustamente - e può
immaginare quanto io condivida le sue affermazioni - ne ha
individuato due fondamentali: la ricerca dei latitanti, che è
una priorità assoluta, ed il controllo del territorio, che lo
è talmente tanto che è difficile stabilire quale delle due
collocare al primo posto.
   Le vorrei chiedere, signor prefetto, se non sarebbe il
caso, finalmente, di porre una terza priorità per un serio
impegno di carattere soprattutto investigativo (con le
modalità che ella riterrà naturalmente di organizzare) che si
occupi non tanto del famoso nodo tra mafia e politica - che è
generico e del quale molto si è parlato e poco si è scoperto,
anche se qualcosa sta emergendo (ma, ripeto, questo è compito
della magistratura) - quanto dell'altro che, secondo molti che
di queste cose un po' se ne intendono, è più subdolo e forse
più importante, e cioè del nodo mafia-burocrazia,
mafia-amministrazioni locali. Ciò anche al fine di far
funzionare meglio una disposizione di legge importante quale
quella relativa allo scioglimento dei consigli comunali.
   Bisognerebbe cioè ritenere prioritaria tutta questa fascia
(soprattutto riguardo alla burocrazia) che - mi pare sia
riconosciuto da quanti hanno competenza sull'argomento -
rappresenta la vera continuità del rapporto. Si può vedere la
mafia come una organizzazione criminale che esprime una grande
potenza militare (e su questo purtroppo siamo tutti d'accordo,
perché vi sono fatti eclatanti che lo confermano); la si può
vedere - e già vedo che questa sensibilità, per fortuna, si
diffonde - come una organizzazione criminale che esercita una
fortissima influenza sul piano economico-finanziario (è
altrettanto certo).
   La mafia è una struttura di potere - queste cose le ho
scritte (lei forse lo ricorderà) nel 1988, e ne ho pagato
anche il prezzo -, è stata una componente organica ad un
sistema di potere che dovrebbe (me lo auguro) essere venuto
meno (non ho segnali contrari e quindi continuo a ritenerlo
anche perché, probabilmente, il suo incarico ne è una
dimostrazione). Quindi, questa componente non è meno
importante né della componente finanziaria, né di quella
internazionale, né di quella militare, ma è quella che emerge
di meno. Essa è rimasta nell'ombra per ragioni che possono
essere anche ipotizzabili ma che preferirei trascurare di
evidenziare, augurandomi che appartengano al passato (mai al
presente e, tanto meno, al futuro). Questa è la componente che
omologa la mafia nella cogestione del sistema di potere, senza
scomodare le grandi collusioni politiche, che pure ci sono
state, probabilmente anche a livelli elevatissimi. Sul piano
investigativo la ragnatela di rapporti intessuti a livello di
burocrazia e di amministrazioni locali è una componente
fondamentale, insieme con il suo controllo del territorio, che
è succedaneo a quello carente dello Stato, con la potenza
finanziaria, che aumenta sempre più, giungendo addirittura a
condizionare l'economia o, tanto per fare un esempio, con
l'influenza sugli appalti.
   Questo tipo di investigazione, questo tipo di indagine, di
sensibilità e di accortezza non le pare che meriti oggi di
conquistare quella priorità che già avevano
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conquistato la cattura dei latitanti - che ha fornito
risultati che sono sotto gli occhi di tutti - ed il controllo
del territorio (anche se forse i risultati sono stati
inferiori)?
   Le vorrei poi chiedere più specificamente una cosa. Lei
ritiene - è una mia vecchia opinione - che, soprattutto per
quanto riguarda le prime due priorità da lei indicate (la
cattura dei latitanti ed il controllo del territorio), i
servizi segreti possano svolgere una funzione diversa e più
pregnante rispetto al passato? Mi riferisco alla famosa
attività di intelligence, che è l'esatta alternativa
alla militarizzazione del territorio: si possono utilizzare
pochi uomini professionalmente e qualitativamente
attrezzati...
  PRESIDENTE. Onorevole Ayala, molti altri colleghi devono
ancora parlare e l'ora è molto tarda. La pregherei pertanto di
sintetizzare le sue domande.
  GIUSEPPE AYALA. Se lei sapesse, presidente, lo sforzo di
sintesi che sto facendo!
  PRESIDENTE. Lo immagino, ma cerchi di capire anche le
nostre esigenze.
  GIUSEPPE AYALA. Faccio appello alla sua generosità,
nella speranza che voglia concedermi ancora qualche minuto.
   Un'ultima cosa riguardo al ruolo di Riina (lo riprendo
brevissimamente). Io credo che un'attività di indagine -
certo, mi rendo conto, complessa, non facile - sull'attuale
ruolo di Riina sia molto importante perché egli segna un
discrimine nella storia di Cosa nostra (che, per esempio, ho
indicato nei motivi di appello nel maxiprocesso del 1988), ed
è quello di aver talmente premuto l'acceleratore sulla
componente militare da aver creato, all'interno
dell'organizzazione, un effetto di intolleranza nei confronti
di un sistema di potere fondato sulla violenza non soltanto
verso le istituzioni ma anche all'interno dell'organizzazione
stessa.
   Da lì è discesa, come era facile prevedere, la
proliferazione dei pentiti.
  PRESIDENTE. Faccia la domanda, però, onorevole Ayala.
  GIUSEPPE AYALA. Sto facendo le domande. Non può passare
il tempo ad interrompermi, perché non mi fermo! Sintetizzo al
massimo.
  PRESIDENTE. Lei in questo modo toglie spazio agli altri
perché il prefetto ha degli impegni e non può trattenersi più
oltre. Faccia la cortesia, abbia pazienza!
  GIUSEPPE AYALA. Di fronte agli impegni del prefetto, che
cosa vuole che ci importi del ruolo di Riina oggi nella mafia?
Ho finito!
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Onorevole
Ayala, la ringrazio moltissimo per la domanda. Nella mia
illustrazione ho posto determinate priorità per operare una
compensazione, dal momento che vi è stato un notevole sviluppo
dell'attività investigativa in questi ultimi tempi ed i
risultati si sono visti. Ritengo però che quei risultati non
sconfiggano l'organizzazione, la colpiscono duramente, però,
se non riusciremo ad estromettere la mafia dal territorio, non
vinceremo, anche se otterremo dei grandissimi risultati. Di
proposito, quindi, non ho voluto inserire tra le priorità lo
sforzo investigativo, perché già c'è.
   Per quanto riguarda la burocrazia, lei dice bene. Tenga
presente però che ormai non ci sono più tappe da percorrere.
Lei mi insegna che non si può iniziare un'attività
investigativa per vedere come si comporti la burocrazia o un
determinato burocrate; però tutte le volte che dovesse
sopravvenire la necessità o indagini dovessero rivelare
connessioni e collusioni, stia tranquillo che nessuno ferma né
fermerà questa macchina.
   Per quanto riguarda i servizi segreti, ben venga l'azione
di intelligence. L'abbiamo sempre apprezzata, anche
perché fare dell'intelligence significa venire
naturalmente a conoscenza di tante cose. Non si può fare una
differenziazione dicendo che una certa cosa ci interessa ed
un'altra no. Si può fare soltanto per il SISMI, che è
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proiettato verso l'esterno, ma per quanto riguarda l'attività
normale sul territorio di un organismo di intelligence,
dal momento che capita di tutto, è opportuno che esso sia
efficiente, perché in tal modo riuscirà a captare maggiori
elementi anche nel campo della criminalità organizzata.
  LUIGI RAMPONI. Vorrei rivolgere una preghiera a tutti i
colleghi. Ogni volta che sento parlare di componente
"militare", provo un notevole senso di fastidio. E' una
componente terroristica, non è una componente militare.
  GIUSEPPE AYALA. La definirei sanguinaria!
  LUIGI RAMPONI. Parlate, se volete, di componente armata,
ma non è corretto che tutti coloro che sono militari vengano
accostati ... Siccome mi avete capito benissimo, vi sarò grato
se eviterete di adoperare tale espressione che è ormai
invalsa.
  RAFFAELE BERTONI. Hai ragione!
  GIUSEPPE AYALA. Absit iniuria verbis!
  GIANVITTORIO CAMPUS. Sarò molto breve perché sono capace
di fare della sintesi, dote che pare molto rara in questa
sede.
   Signor prefetto, dato che l'esistenza di collegamenti
stretti tra camorra, classe politica e vertici dello Stato di
centro e di sinistra da anni, per rimanere nell'ambito
napoletano, rappresenta un segreto di Pulcinella, lei pensa
che solo ora, essendo cambiato lo scenario politico nazionale,
la polizia e le altre forze investigative abbiano finalmente
la possibilità di agire liberamente e completamente senza
impedimenti o compressioni? Altrimenti perché solo ora si può
indagare e colpire così in alto? Colgo inoltre l'occasione per
invitarla a continuare ad operare con il massimo rigore (per
citare le sue parole).
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Tenga
presente che il contributo che abbiamo avuto dai pentiti e
dall'arresto dei grandi latitanti, ormai avvenuto qualche anno
fa, è enorme.
   Molto spesso si dice che una cosa non viene fatta perché
non la si vuole fare. Ebbene, vi assicuro che molto spesso si
sbatte la testa contro il muro senza sapere che strada
imboccare. Per quanto mi riguarda, quando stavo alla squadra
mobile, ero sempre animato da questa filosofia: quando vedevo
che non si riusciva a portare avanti un'indagine, puntavo su
un'altra indagine, perché poteva darsi che ne derivasse
qualche elemento favorevole per il primo caso.
   Ho detto questo per spiegare che il contributo che abbiamo
ricevuto per quanto attiene alla conoscenza delle
organizzazioni è notevole. Infatti, è facile, quando non si
hanno dei riscontri, dire che un certo fenomeno non esiste o è
poca cosa; si è portati a credere che sia una fantasia di un
confidente o di chi sa chi. Quando, invece, il tutto si
inserisce in esperienze maturate sulla base di testimonianze
rese con grande sacrificio o con pericolo di vita da parte di
altre persone, dei collaboratori o di altri testimoni, i vari
elementi vengono visti in tale ottica, e quindi più facilmente
si riescono a conseguire dei risultati. Lei non è convinto ma
le assicuro che è così.
  ALBERTO SIMEONE. Signor prefetto, in primis vorrei
rivolgerle i miei auguri più affettuosi. Spero che lei me lo
consenta in virtù del fatto che apparteniamo alla stessa
terra; una terra che non ha conosciuto fenomeni di gravissima
criminalità e che mi auguro non ne conosca o quanto meno che
non conosca la virulenza dei fenomeni che hanno infestato
altre zone del paese.
   Nella sua relazione ha parlato di sequestri e di
confische. Ritengo che quanto lei ha detto si debba
interpretare nel senso che i duemila sequestri siano relativi
a procedimenti penali iniziati, ma non conclusi e che le
settanta confische siano relative a processi conclusi.
Diversamente sarebbe tragico il divario tra i sequestri e le
confische.
Pagina 155
   La seconda domanda attiene all'usura. Si tratta di un
fenomeno molto vasto, che affonda le sue radici nel tempo ed
anche in una legislazione che per molti versi fa paura.
D'altronde il fenomeno della mafia in Sicilia si sostanzia
forse anche della proliferazione di finanziarie che trovano
posto ad ogni angolo di ogni strada. Non è il caso, allora, di
interessare anche la Banca d'Italia? Il capo della polizia non
ritiene sia il caso di rivedere la legge istitutiva delle
finanziarie anche per una regione a statuto speciale come la
Sicilia?
   In ordine all'articolo 41-bis, di cui si sta molto
dibattendo anche in Commissione giustizia, il capo della
polizia non crede che sarebbe opportuno arrivare, attraverso
gli strumenti adeguati e suggeriti dalla legge, anche al
teledibattimento, che eviterebbe di spostare i mafiosi ed i
camorristi da un luogo dove tale articolo viene applicato ad
un altro luogo dove la promiscuità è tale da poter impedire
l'applicazione di questa norma?
   Ritengo che il controllo del territorio non dovrebbe
essere attuato con un dispiegamento di forze che assume
l'aspetto di un'operazione di polizia vera e propria - come è
accaduto in Sicilia, con l'operazione Vespri siciliani, ed in
Calabria -, ma dovrebbe essere davvero continuo, anche se dai
toni più contenuti ma in grado di evitare la nascita di
fenomeni criminosi. Cito gli esempi della zona dell'aversano,
del napoletano, del casertano, nella zona che va sotto il nome
di agro aversano, da una parte, e di zona domiziana,
dall'altra, dove proliferano la prostituzione - in maniera
davvero molto grave - e l'abusivismo edilizio - che è
anch'esso un gravissimo reato - in maniera virulenta.
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Onorevole
Simeone, la ringrazio per gli auguri che mi ha rivolto e che
accetto volentieri avendo, tra l'altro, una comunanza di
origini.
   Affronterò per prime le questioni dei sequestri e delle
confische. I sequestri vengono disposti dal magistrato in
occasione dell'applicazione delle misure di prevenzione o
nelle fasi processuali; la confisca arriva al termine del
procedimento. A questo è dovuto il divario.
   Sulla questione dell'usura mi sono già soffermato
rispondendo ad un quesito dell'onorevole Scozzari che ha detto
che il Parlamento sta esaminando la legge relativa a tale
fenomeno. A prescindere dal progetto di legge che si sta
esaminando, già l'istituzione del commissario straordinario
per l'antiracket e per l'usura da parte del ministro
dell'interno sta a significare che si è voluto dare un valore
veramente importante al fenomeno. Non ci aspettiamo miracoli,
ma un coordinamento, una unitarietà di intenti e
l'acquisizione di notizie da più parti, per pervenire poi ad
una serie di dati comuni a tutti gli operatori.
   La legge sulle finanziarie rappresenta effettivamente un
punto dolente specialmente, ma non solamente, per la regione
siciliana. Quella sulle società finanziarie, le pseudosocietà
finanziarie o le finanziarie con prestanome, rappresenta
veramente la parte più difficile dell'investigazione nella
quale è impegnata in modo serio la Guardia di finanza. Se
verranno predisposte iniziative legislative in materia,
saranno ben accolte. Tutto ciò che può facilitare il lavoro
degli investigatori trova il capo della polizia certamente
favorevole.
   Per quanto riguarda la questione del teledibattito e
dell'articolo 41-bis, sono d'accordo. Mi pare, peraltro,
che sia già previsto dalla legge; deve essere richiesto dai
magistrati. Quando nella relazione ho fatto riferimento alle
richieste dei magistrati, sostenendo che bisognava fare in
modo che potessero essere coniugate con il problema generale
della sicurezza a proposito dei pentiti, mi riferivo proprio a
questo. Sono quindi favorevole all'utilizzo di tali
strumenti.
   Per quanto riguarda il controllo del territorio, anch'io
non sono favorevole alla sua militarizzazione. Il controllo
del terriorio rappresenta, a mio avviso, qualcosa di diverso:
l'acquisizione di informazioni. Il controllo del territorio si
attua anche trattando burocraticamente la pratica del porto
d'armi o dello straniero che si è recato
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in un ufficio di polizia per chiedere qualcosa.
L'importante è venire a conoscenza di notizie e fare in modo
che esse siano messe in circolazione tra le forze di
polizia.
   Quando si osserva (mi riferisco ad esperienze pratiche,
che danno comunque l'idea di quella che è la realtà; perché le
cose reali sono quelle che poi riguardano gli operatori di
polizia e dei carabinieri sulla strada) che molte persone
escono dal carcere e sono mandate agli arresti domiciliari,
sostengo che si tratta di un fatto positivo. Esprimo tale
punto di vista non perché sono favorevole agli arresti
domiciliari ma perché sapere dove sta una persona, significa
conoscere il palazzo, la strada e via dicendo. Nella sostanza,
quindi, un elemento negativo quale è quello dell'accresciuto
carico di lavoro può diventare un fatto positivo perché si
ricavano informazioni che possono risultare utili. Concepisco
pertanto il controllo del territorio in questo modo e non come
un ricorso ai mitra o ai fermi di polizia.
  NICHI VENDOLA. Credo che gli auguri rivolti al capo
della polizia siano in generale i più sinceri, anche perché
contengono un sentimento di "legittima difesa" da parte nostra
e della gente che rappresentiamo.
   Signor prefetto, ieri la Commissione parlamentare
antimafia ha compiuto la sua prima missione. Siamo stati in
una città di frontiera, nella città martoriata di Reggio
Calabria, per acquisire informazioni a proposito della
emblematica vicenda della baronessa Cordopatri.
   In tale occasione abbiamo avuto due rappresentazioni del
fenomeno, quello specifico e quello generale, degli espropri
mafiosi, tra di loro in contraddizione. Da un lato, una
conoscenza approssimativa e confusa da parte sia delle
autorità di governo sia di quelle di polizia e, dall'altra,
una descrizione precisa, dettagliata ed agghiacciante da parte
dei magistrati. Il procuratore generale di Reggio Calabria ci
ha riferito che nella Locride, nel Reggino e nella piana di
Gioia Tauro forse l'80 per cento dei terreni non sono
sfruttati dai loro legittimi proprietari, ma sono nelle mani
della criminalità organizzata.
   Il controllo del territorio riguarda anche un problema
come questo. Auspico che lei avrà la possibilità di leggere il
resoconto stenografico delle audizione di ieri perché potrà
così trarre le sue deduzioni su un fenomeno così inquietante.
Le pongo quindi tale problema: come si risponde a questo
fenomeno?
   Accanto a questo, visto che parliamo di territorio e di
terra, vi è il fenomeno del caporalato, che riguarda, questa
volta, la mia regione, cioè la Puglia. Vi sono due normative
nell'ambito del mercato del lavoro e dell'assunzione della
manodopera (per esempio, ora vi è la chiamata nominativa in
agricoltura) che possono avere un impatto negativo, nel senso
di favorire il fenomeno del caporalato.
   Non so se lei conosce questa fattispecie di reato, ma
terribile, una specie di sequestro collettivo, con ricatto,
violenza ed esproprio di tempo e di lavoro. Vorrei conoscere
la sua opinione al riguardo.
   Passo ora alla terza questione. Siamo, siete certamente
tutti impegnati nel tentativo di colpire il traffico degli
stupefacenti; credo, però, che oggi sia aperta una questione,
che è dinnanzi agli occhi di tutti: il bisogno di trarre un
bilancio delle strategie complessive che si pongono in essere
riguardo al problema della droga.
   Molti operatori di polizia a livello internazionale hanno
sviluppato un ragionamento argomentato di critica fortissima
alle politiche proibizionistiche e "punizionistiche". Le
premetto che non voglio entrare nel merito della normativa
vigente in Italia dal punto di vista dei danni sociali che ha
provocato. Il problema che le pongo nella sua qualità di capo
della polizia è il seguente: il proibizionismo in Italia è
particolarmente drammatico perché consente a Cosa nostra di
essere il monopolista della raffinazione, oltre che della
commercializzazione, dell'eroina. Lei sa, infatti, che le
tecnologie della raffinazione sono elementari; ed è molto
facile costruire in un capannone un laboratorio di
trasformazione di queste materie
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prime, che sono a bassissimo costo e che giungono
dall'America latina.
   Infine, pongo il problema del rapporto tra mafia e
politica. Vorrei rassicurare i colleghi che non lo faccio in
maniera polemica: si tratta di un terreno sul quale nelle
piazze ognuno dice la propria opinione e ci si scontra, ma io
parlo di questo problema da un punto di vista oggettivo. La
mafia - lei ha usato un aggettivo che non credo sia di
carattere morale ma analitico - è un fenomeno subdolo.
Possiamo dire che si tratta di un sistema opportunistico,
dotato di una straordinaria capacità di adattamento. La mafia,
anzi, riesce a trasformare ogni modificazione sociale,
politica, istituzionale, economica in una nuova chance
per nuovi affari: ha un'incredibile capacità mimetica.
   Rispetto a tutto ciò, siccome è crollato un regime e
dentro il nuovo che avanza, come si dice, sono diverse le
nuove formazioni politiche ed anche i gruppi emergenti, il
rischio di un traghettamento verso questo "nuovo" dei vecchi
ceppi o di forme rinnovate della criminalità organizzata è
molto forte. Le chiedo allora quale attenzione mirata si vuole
porre al riguardo.
   Colleghi, non sto ponendo un problema di parte: da questo
punto di vista, so per chi hanno fatto votare nella mia terra
gli spacciatori di droga (non per chi hanno votato, perché non
sono entrato nella cabina); ma questo ce lo diremo nelle
piazze.
  MICHELE FLORINO. Hanno votato e continuano a votare a
sinistra!
  PRESIDENTE. Non facciamo polemiche.
  NICHI VENDOLA. Io pongo un problema serio: la sua
interruzione non lo è!
  PRESIDENTE. Ponga la sua domanda.
  NICHI VENDOLA. La domanda è proprio questa:
cinquant'anni...
  MICHELE FLORINO. Questo è un dibattito politico, non è
più una domanda!
  NICHI VENDOLA. E' sempre un dibattito politico: anche le
sue interruzioni lo sono.
  PRESIDENTE. Procediamo, senza interruzioni.
  NICHI VENDOLA. La tecnica terroristica dell'interruzione
non è adeguata al tono civile che sto adoperando.
  PRESIDENTE. Concluda e ponga la sua domanda, onorevole
Vendola.
  NICHI VENDOLA. Siccome ci siamo trovati, signor capo
della polizia, in una situazione nella quale, come diceva
prima il collega Ayala, non denunce vaghe ma inchieste in
corso hanno sottolineato che non soltanto una classe politica
genericamente, ma coloro che all'interno di essa erano
preposti istituzionalmente alle politiche dell'ordine
pubblico, sono stati coinvolti in inchieste per associazione
mafiosa, pongo il problema - fermo restando che il giudizio
sulle responsabilità individuali lo daranno le sentenze, oltre
a tutto ciò che appartiene alla nostra cultura garantista - di
quale attenzione mirata si stia attuando verso
l'infiltrazione.
   Occorre usare sobrietà in questo discorso: lo dico perché
non tutta la polizia o la magistratura ma parti delle
istituzioni sono state coinvolte. In che modo costruite
un'attenzione mirata su questo terreno?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. Grazie degli
auguri, onorevole Vendola.
   Ho seguito l'attività svolta ieri dalla Commissione a
Reggio Calabria per quanto mi è stato possibile. Non ho ancora
avuto l'opportunità di leggere il resoconto stenografico: lo
farò quanto prima e con la massima attenzione, anche perché
Reggio e la Calabria in genere meritano tutto ciò da parte del
capo della polizia; ciò è fuori di dubbio.
   Ho detto, ad un certo punto della relazione, che voglio
andare personalmente
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(mi si deve dare un po' di tempo per farlo) nei centri più
importanti e dove maggiore è la forza delle organizzazioni
criminali per rendermi conto dell'esistenza e dell'efficacia
dell'azione di contrasto. In quella sede cercherò di fare
tutto il possibile, tenuto conto delle risorse di cui
disponiamo, per far sì che queste ultime vengano
effettivamente utilizzate per svolgere tale attività.
   Per quanto riguarda il caporalato, esso è uno dei reati
forse più antichi che purtroppo ci affliggono. Per fortuna
esso non ha un'estensione particolare in Italia, perché non ha
avuto seguito. A Roma hanno provato a crearlo in alcune
occasioni, specialmente per quanto riguarda gli
extracomunitari (faccio l'esempio di Roma per la mia
esperienza diretta). Per fortuna siamo riusciti sempre ad
intervenire ed il fenomeno non si è esteso. Convengo comunque
nel dire che si tratta di uno dei fenomeni più gravi, che
affligge particolarmente la Puglia.
   Per quanto riguarda il traffico della droga ed il
proibizionismo, la liberalizzazione degli stupefacenti è una
teoria: lascerei il tutto alla competenza del Parlamento e
della classe politica. Noi dobbiamo cercare di applicare le
leggi. Entrare in un discorso di questo genere non è
opportuno: lo possiamo fare in privato ed ognuno ha le sue
idee, ma in questa sede non posso parlare di ciò.
   Per quanto concerne il rapporto mafia-politica, mi pare
che abbiamo espresso concetti abbastanza vicini. La mafia è
criminalità organizzata più qualcosa, e questo qualcosa è la
penetrazione. Allo stato c'è una situazione di questo genere?
Non posso risponderle ma non perché non voglia farlo. Le dico
soltanto che teniamo alta la guardia e pare comunque che i
fatti stiano dimostrando che di fronte ad elementi concreti
non si ferma nessuno: questo è un impegno che posso
assumere.
  MICHELE CACCAVALE. Signor prefetto, la ringrazio per la
sua relazione, che ho apprezzato molto.
   A me interessa l'opera di prevenzione che dovrebbe essere
svolta nelle zone dove la mafia sta emigrando. Prendendo
spunto da alcuni brani della sua relazione, vorrei farle tre
brevissime domande.
   Lei precisa che Cosa nostra siciliana si distingue dalle
altre organizzazioni malavitose perché ha la caratteristica di
tendere al confronto da pari a pari con lo Stato e con i suoi
rappresentanti, nonché all'infiltrazione in esso tramite
relazioni occulte con esponenti dei suoi apparati.
   Vorrei allora pregarla di rispondere a queste sintetiche
domande: cosa intende per relazioni occulte? Quali sono gli
apparati cui lei si riferisce? Come avvengono le infiltrazioni
alle quali lei fa riferimento?
  FERNANDO MASONE, Capo della polizia. La ringrazio,
onorevole Caccavale.
   Per quanto riguarda le relazioni occulte, mi riferisco a
tutte le cose che non sono note, a tutto quanto non è palese,
comprendendo anche associazioni che non hanno la
caratteristica della pubblicità.
   Quali sono gli apparati? Certamente sono apparati della
burocrazia e comunque istituzionali. Come ho detto, la mafia
per me è qualcosa che ha quel connotato in più rispetto alla
malavita organizzata; cerca le infiltrazioni nelle
amministrazioni, intendendosi con ciò tutte le medesime e non
soltanto quelle locali: dipende dall'interesse. Questo intendo
dire e null'altro.
  MICHELE CACCAVALE. E come avvengono le infiltrazioni?
  GIUSEPPE AYALA. Voglio sentire la risposta!
(Commenti).
  PRESIDENTE. Mi pare che l'ora tarda consigli una
maggiore sobrietà!
  MICHELE CACCAVALE. Voglio capire!
  GIUSEPPE AYALA. Ci mancherebbe altro!
  FERNANDO MASONE. Capo della polizia. Per quanto
riguarda le modalità di infiltrazione, dipende dalle
amministrazioni nelle quali si realizza la penetrazione. Se
sono organismi elettivi, è chiaro che si comincia
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dal voto: evidentemente è lì che può avvenire il primo
approccio, il primo contatto. Se si tratta della burocrazia,
le modalità possono essere molteplici, e comunque si chiamano
in ogni caso "corruzione". Questo è quello che posso dire.
  PRESIDENTE. Mi pare che abbiamo esaminato tutti gli
elementi possibili, in un certo senso "tutto lo scibile" che
potevamo esaminare.
   Ringrazio a nome della Commissione il prefetto Masone per
il suo contributo.
   Avverto che gli allegati alla relazione svolta dal
prefetto Masone sono a disposizione dei parlamentari presso la
segreteria della Commissione.
              Comunicazioni del presidente.
  PRESIDENTE. Comunico che domani, mercoledì 28 settembre,
alle ore 15 è prevista la riunione dell'ufficio di presidenza
integrato dai rappresentanti dei gruppi; la Commissione è
convocata per le ore 17,30, per l'audizione del dottor Bruno
Siclari, procuratore nazionale antimafia, e per le ore 19, per
l'audizione del generale di corpo d'armata Costantino
Berlenghi, comandante generale della Guardia di finanza.
   L'audizione del procuratore nazionale antimafia avrà per
oggetto: i rapporti fra procure distrettuali antimafia e
direzione nazionale antimafia; procure distrettuali e procure
ordinarie; istituzione dei tribunali distrettuali.
   L'audizione del comandante generale della Guardia di
finanza avrà per oggetto: infiltrazione della criminalità
nelle attività economiche e nella struttura di controllo dei
movimenti finanziari, con particolare riferimento alla
problematica del riciclaggio.
   Naturalmente si tratta di temi ampliabili a seconda delle
esigenze della discussione ed in ogni caso la rappresentazione
di cui ho appena dato comunicazione è sintetica.
   Per quanto riguarda le audizioni di ieri a Reggio
Calabria, non è ancora pronto il resoconto stenografico. In
proposito sarebbe forse stato opportuno svolgere una
relazione. Ancora poc'anzi mi stavo tenendo in contatto per
sapere se vi erano novità; ma essendo in corso la discussione
per la legge finanziaria, non sono riuscita a parlare con il
ministro delle finanze né con il capo di gabinetto. Quindi,
per questa sera non siamo riusciti ad avere notizie. Se volete
un resoconto sull'attività tenutasi ieri, posso svolgere
un'ampia relazione; eventualmente, ove dimenticassi qualche
elemento, i colleghi che erano presenti potrebbero integrare.
In ogni caso sarà disponibile il resoconto stenografico.
  ALBERTO SIMEONE. Non è necessaria una relazione
dettagliata, leggeremo lo stenografico.
  PRESIDENTE. Sta bene. L'ho detto soltanto perché in
precedenza eravamo rimasti d'accordo per una relazione.
  ANTONIO BARGONE. Presidente, vorrei sollevare
un'eccezione rispetto a questo, che riguarda un aspetto
regolamentare ed anche di rapporti istituzionali.
   Era stato deciso che una delegazione si recasse per un
sopraluogo a Reggio Calabria, poi in sede di ufficio di
presidenza si è deciso all'unanimità che la delegazione
coincidesse con l'ufficio di presidenza stesso.
Successivamente ho appreso che l'ufficio di presidenza ieri ha
svolto audizioni, con resoconto stenografico. Vorrei far
presente che non era questo il mandato affidato alla
delegazione. E' la Commissione che svolge le audizioni: solo
su mandato della Commissione la delegazione può dar luogo a
questo tipo di attività. Il compito della delegazione in
realtà era circoscritto: realizzare un sopralluogo. Nelle
precedenti Commissioni antimafia se ne sono fatti molti...
  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Bargone, non si trattava
di un sopralluogo, ma di vedere quale fosse la situazione
ascoltando le persone. "Sopralluogo" significherebbe,
altrimenti, andare a vedere un luogo.
Pagina 160
  ANTONIO BARGONE. Presidente, le audizioni sono un'altra
cosa. "Audizione" significa convocare le persone...
  PRESIDENTE. Comunque, controlleremo sul resoconto
stenografico che cosa fosse stato deciso.
  ANTONIO BARGONE. Audizione significa convocare le
persone ed ascoltarle. Le audizioni si svolgono solo su
mandato della Commissione, un mandato che in questo caso non
c'era.
  PRESIDENTE. Era proprio questo, invece, il mandato della
Commissione.
  ANTONIO BARGONE. Non era questo, presidente.
   Tra l'altro, quando si svolgono audizioni è prevista una
relazione che la Commissione deve discutere in seduta
plenaria.
   Quello di cui stiamo parlando, invece, mi sembra un caso
tipico per un sopralluogo da parte di una delegazione, la
quale naturalmente si renda conto della situazione - so cosa
si intenda per "sopralluogo" - ed intervenga per risolvere un
problema. Ecco cosa è previsto dal regolamento e cosa
presuppone la stessa natura della Commissione.
   Se, invece, si tratta di una delegazione che si reca in
loco per un problema specifico, abbastanza marginale
rispetto all'attività complessiva della Commissione, quando in
realtà si svolgono audizioni è chiaro che si finisce per
ricavare da questo materiale risultati che sono fuori dal
mandato conferito dalla Commissione e quindi anche dagli
obiettivi che la stessa Commissione si è posta.
   Non sollevo il problema per un puntiglio, per porre
questioni di lana caprina o per creare contrapposizioni: si
tratta di regolare i lavori di questa Commissione in piena
lealtà, affinché tutto sia realizzato nella maniera più
trasparente, in modo che ogni commissario si senta tutelato
dalle attività della Commissione. Vi è infatti un rischio che
in passato qualche volta si è corso (parlo sempre sulla base
di esperienze): che l'ufficio di presidenza in qualche modo
espropri la Commissione delle sue funzioni e possa quindi
allontanarsi dagli obiettivi che la stessa Commissione si è
data.
   Parlo quindi in maniera del tutto costruttiva, per dare un
contributo; credo che questo serva anche a chiarire i
rapporti, per un'interpretazione applicativa del regolamento
che ci aiuti a lavorare nella maniera migliore possibile.
  PRESIDENTE. Onorevole Bargone, io prendo atto di quello
che lei dice. Comunque, la Commissione si è recata nell'area
non per un sopralluogo - che sarebbe stato completamente
inutile e solamente di facciata -, ma per assumere elementi
conoscitivi e per intervenire. Cosa che la Commissione ha
fatto: ha assunto elementi conoscitivi sulla situazione della
baronessa Cordopatri, che costituiva un problema urgente (come
riconosciuto e, fra l'altro, come richiesto dalla
Commissione). Si è trattato, dunque, di attività conoscitiva:
e non si può conoscere se non si parla con le persone, perché
i luoghi da soli non parlano...
  ANTONIO BARGONE. Presidente, questo vuol dire
audizioni!
  PRESIDENTE. Ma è solamente acquisendo osservazioni...
  ANTONIO BARGONE. Si può parlare con una persona senza
fare un'audizione, che è una cosa diversa!
  PRESIDENTE. No. Non si può fare così.
  ANTONIO BARGONE. Come no?!
  PRESIDENTE. No, perché le cose devono restare...
  ANTONIO BARGONE. L'abbiamo fatto sempre! Basta leggere i
verbali delle Commissioni precedenti...
  PRESIDENTE. No, onorevole Bargone, non sono fatti
colloquiali, ma fatti istituzionali. Poiché le vicende
riguardanti la baronessa Cordopatri costituiscono un
Pagina 161
fatto grave, era necessario che le affermazioni delle persone
in grado di riferire sulla condizione della baronessa
Cordopatri fossero registrate affinché venissero a conoscenza
di tutta la Commissione. Questo è quanto.
  ANTONIO BARGONE. Prendo atto della sua risposta.
  PRESIDENTE. Fra l'altro, c'è stato un intervento per
risolvere il caso della baronessa Cordopatri: ci siamo
trattenuti fino ad ora tarda ed ancora oggi mi sono
interessata per cercare di contattare il ministro delle
finanze, il quale però non è disponibile a causa della
concomitante riunione del Consiglio dei ministri per l'esame
della legge finanziaria.
   Mi pare quindi che la Commissione abbia assolto ampiamente
al suo compito, come avrete modo di rilevare dal resoconto
stenografico.
   Mi pare anche che sia un po' ingiusto rinfacciare alla
Commissione di avere operato perché questo caso venisse alla
luce. Per venire alla luce occorre che le persone siano
investite ...
  ANTONIO BARGONE. Presidente, nessuno sta rinfacciando
niente! Non si può lavorare così in questa Commissione! Io ho
sollevato un problema regolamentare; che c'entra
"rinfacciare"! Poi lei, presidente, sta parlando a nome della
Commissione. Anch'io "sono" la Commissione; lei sta parlando a
nome dell'ufficio di presidenza ...
  PRESIDENTE. Che era stato delegato dalla Commissione, mi
pare all'unanimità. Non solo; era allargato ad altri
commissari, tant'è che a Reggio Calabria erano presenti anche
altri membri della Commissione.
  GIUSEPPE ARLACCHI. Penso che vi siano due problemi. Il
primo è quello della differenza tra "sopralluogo" e
"audizione"; questa differenza non era a me chiara, ma non
penso costituisca un grande problema stabilirla adesso come
regola di azione della Commissione stessa.
   La differenza tra "sopralluogo" ed "audizione" non mi
sembra grandissima: consiste nel fatto che un sopralluogo è
una serie di incontri informali, nel senso che non vengono
registrati e stenografati, con autorità locali. L'audizione è
un sopralluogo nel quale tutti gli incontri sono stenografati
e poi resi pubblici o segretati a seconda delle decisioni
dell'ufficio di presidenza. E' una distinzione di carattere
formale che è bene non annullare, non sottovalutare, ma che
non è stata assunta con chiarezza dalla Commissione. Tutti i
membri della Commissione erano qui e si è stabilito che una
parte, in questo caso l'ufficio di presidenza, rappresentasse
la Commissione stessa nel viaggio a Reggio Calabria. A dire la
verità credo che questa distinzione sia sfuggita a me come ai
più.
   Visto che vi è un atteggiamento costruttivo, penso che il
problema possa essere tranquillamente superato stabilendo
d'ora in poi di volta in volta se si tratti di un sopralluogo,
a carattere informale e senza registrazione, o di audizioni.
La Commissione può anche delegare - questo è importante,
Bargone - l'ufficio di presidenza o una parte di se stessa,
che sia rappresentativa, a fare qualcosa; altrimenti può
crearsi un ostacolo non da poco di carattere pratico, se tutta
la Commissione ogni volta deve compiere l'audizione. E'
importante che non venga interpretato in questo modo;
altrimenti, ripeto, diventa un ostacolo al lavoro della
Commissione.
   Penso che il problema possa essere così superato; di volta
in volta deve essere ben chiaro ai membri della Commissione
che cosa si sta delegando, i limiti della delega e se si
tratta di audizione o sopralluogo.
  LUIGI RAMPONI. Apprezzo sempre il fair play; lei,
collega, ha detto bene, è cooperativo ed io voglio rimanere in
questo campo. Mi preoccupa un po' il discorso della lealtà;
spero che lei non pensi che vi sia stato un tentativo,
un'astuzia, per carità.
   Voglio solo farle presente, ribadendo e chiarendo quanto è
stato detto, che in un primo tempo si decise di non andare a
sentire la baronessa e di chiedere alle autorità
Pagina 162
competenti di risolvere i problemi e di comunicarci
come si erano regolate nei confronti dei problemi che
angustiano la baronessa. In un secondo tempo nell'ufficio di
presidenza si è deciso di ascoltare la baronessa. Non riesco a
capire: la differenza starebbe nell'effettuare o meno la
registrazione. Ieri siamo andati e abbiamo detto che
desideravamo sentire le autorità interessate al discorso. Come
le avremmo dovute sentire? Invitandole ad entrare ed a
parlare; oppure, non so, in un angoletto ... Non riesco a
capire. Se la differenza vera tra sopralluogo e audizione è
quella per cui si va ad ascoltare qualcuno o a chiedergli
conto di qualcosa, su mandato della Commissione, ma in un caso
non si fa la registrazione e nel secondo la si fa, non riesco
a capire quale sia questa differenza: comunque in Commissione
o il testo registrato o il rapporto fatto sulla base di
appunti presi da chi ha ascoltato può essere sempre
dibattuto.
   Non riesco ad afferrare quale sia stato l'errore che
avremmo compiuto essendo andati a Reggio Calabria e avendo
detto ai signori (che avevamo mandato di ascoltare) di dirci
che cosa sapessero della questione.
  ANTONIO BARGONE. La differenza è sostanziale. In
incontri di tipo informale chi parla non si assume la
responsabilità di quello che dice.
  LUIGI RAMPONI. Non era informale.
  ANTONIO BARGONE. Quando si fa un sopralluogo e si
raccolgono informazioni soltanto per avere un chiarimento
sulla situazione, che serve alla Commissione per intervenire,
chi viene ascoltato in maniera informale non si assume la
responsabilità di ciò che dice; fornisce, dunque, informazioni
in maniera informale. Le audizioni ...
  LUIGI RAMPONI. Scusi, si sente il prefetto, il questore,
il comandante dei carabinieri, in maniera informale?
  ANTONIO BARGONE. Certo.
  LUIGI RAMPONI. Che cosa si va a fare in maniera
informale? E' un sopralluogo.
  ANTONIO BARGONE. Scusate, voi potete anche ridere, ma
vent'anni di Commissioni antimafia testimoniano di questa
differenza sostanziale.
   Audizione significa fare domande che presuppongono la
responsabilità di chi risponde; queste domande può farle solo
la Commissione, che delega qualcuno. Se non si è delegati non
si possono fare domande al prefetto o al questore, perché si
potrebbero anche fare domande che esulano dagli obiettivi
della Commissione.
  LUIGI RAMPONI. Questo è un altro aspetto.
  ANTONIO BARGONE. No, questo è l'aspetto ...
  LUIGI RAMPONI. Rimaniamo sull'aspetto del nostro
mandato; voglio chiarire: siamo andati ...
  ANTONIO BARGONE. Lei ha detto che il mandato è stato
dato dall'ufficio di presidenza ...
  LUIGI RAMPONI. No, dalla Commissione.
  ANTONIO BARGONE. Io non lo ricordavo, ma lei ha fatto
una ricostruzione di questo tipo: la Commissione aveva deciso
di non sentire la baronessa, poi l'ufficio di presidenza ha
stabilito di sentirla. Non vi è, dunque, il mandato, che è
stato dato dall'ufficio di presidenza.
  PRESIDENTE. L'aveva dato la Commissione. Comunque,
prendiamo atto e per il futuro saremo più chiari.
  ANTONIO BARGONE. La questione è importante, perché non
si tratterà soltanto di andare a Reggio Calabria per la
baronessa Cordopatri, ma di fare anche altro. La Commissione
non si deve trovare nelle condizioni di leggere verbali di un
certo tipo.
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  PRESIDENTE. E' stato fatto proprio per rendere la
Commissione il più possibile edotta di quanto è accaduto ed
eventualmente dare suggerimenti in merito a cosa fare.
  ANTONIO BARGONE. La drammatizzazione del problema non
serve a risolverlo. Mi sembrava che l'onorevole Arlacchi
avesse dato una risposta di buon senso, che accontentava
tutti. Se drammatizziamo la questione non ne usciamo più,
perché ognuno rimane sulle proprie posizioni da questo punto
di vista.
   Volevo soltanto dare un contributo che servisse per il
futuro, per regolarci...
  PRESIDENTE. Ci regoleremo meglio.
  ANTONIO BARGONE. ...anche sul mandato che deve dare la
Commissione alle delegazioni. E' una cosa importantissima, non
di poco conto. Ad esempio adesso che vi sono state le
audizioni la relazione è obbligatoria; non si può chiedere
alla Commissione se la si debba predisporre. La relazione deve
essere approntata perché occorre capire che cosa sia
successo.
  PRESIDENTE. Certamente.
   L'onorevole Scozzari ha chiesto di fare una
comunicazione.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Intendo portare a conoscenza della
Commissione un fatto estremamente grave; all'inizio della
seduta ho chiesto al presidente di essere autorizzato ad
esporlo in maniera velocissima.
   Si tratta di ciò che sta succedendo in provincia di
Agrigento (poco fa con il capo della polizia lo abbiamo
accennato): purtroppo in questi mesi si sta susseguendo una
serie di omicidi nei confronti di imprenditori. Non sto a
specificare se gli imprenditori siano vittime del racket o se
siano persone che in un certo senso condividono i rischi di un
sistema alquanto pericoloso. Infatti la vicenda è sotto il
vaglio dell'autorità giudiziaria e quindi non ho notizie
precise.
   In questa sede intendo rappresentare il clima estremamente
pesante che si sta vivendo nella provincia di Agrigento.
Alcuni mesi fa un imprenditore, Bennici, è stato ucciso nella
sua cava a Licata; tre mesi fa è stato ucciso il fratello di
Calogero Panepinto; in questi giorni, nello stesso luogo, con
gli stessi mezzi e tecniche è stato ucciso l'altro fratello
del Panepinto: due fratelli sono stati uccisi a distanza di
tre mesi nello stesso posto. Purtroppo è deceduto anche un
operaio, Francesco Maniscalco, ed è stato ferito gravemente il
figlio Davide del Panepinto. Ciò che voglio dire è che in
questa provincia la guerra di mafia sta assumendo toni
estremamente pesanti. Che si tratti di mafia lo dimostra anche
il fatto che prima indagava la procura della Repubblica di
Agrigento mentre ora le indagini sono state avocate dalla
direzione distrettuale antimafia di Palermo, che si sta
appunto occupando di tali delitti.
   Oltre a portare la Commissione a conoscenza di questi
fatti - poiché ritengo sia opportuno che prenda atto della
situazione estremamente grave in cui versa quel territorio -
intendo informarla di un altro avvenimento. Venerdì 30
settembre nella città di Bivona in provincia di Agrigento si
terrà una manifestazione per i fatti estremamente gravi che si
sono verificati. Tale manifestazione è stata preceduta da un
durissimo documento unitario dei sindacati nel quale si parla
chiaramente di attentato ai diritti fondamentali
costituzionalmente previsti: il diritto alla libertà
economica, al lavoro e naturalmente alla vita.
   I sindaci dei quattro comuni della zona (Bivona,
Alessandria, Cianciana e mi sembra Cammarata o San Giovanni)
mi hanno interpellato chiedendomi di essere loro tramite
presso la Commissione per rivolgere al presidente, all'ufficio
di presidenza e a tutti i commissari disponibili l'invito a
partecipare alla manifestazione alla quale io sarò presente
tutto il giorno. So che venerdì mattina sono previste delle
audizioni. Nel pomeriggio, alle 16,30 circa, i quattro
consigli comunali si riuniranno unitariamente alla presenza
anche del vescovo, monsignor Ferraro, che ha colto la
drammaticità della situazione e degli episodi delittuosi,
tanto da partecipare personalmente
Pagina 164
alle manifestazioni della giornata nonché alla
fiaccolata che si terrà la sera di venerdì 30.
   Ho ricevuto tale mandato e rappresento la questione alla
Commissione, chiedendo la massima partecipazione possibile
nonché un'iniziativa volta a sollecitare gli organi che hanno
l'onere e il dovere di controllare il territorio. Si tratta di
un territorio espropriato; lo dimostra il fatto che la mattina
si uccidono un imprenditore e un operaio e il pomeriggio
tranquillamente alcuni malviventi rubano un'automobile e
compiono una rapina in un tabaccaio della stessa città. Ciò
significa che ormai in quella zona non esistono più regole.
   Mi auguro che la Commissione voglia essere presente non
solo inviando parole di solidarietà e di attenzione nei
confronti di quella provincia, in cui lo Stato purtroppo ha
difficoltà ad agire, ma anche con una presenza concreta.
Grazie.
  PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi che domani la prima
audizione è prevista alle ore 17,30 e che alle 15 è convocato
l'ufficio di presidenza.
  La seduta termina alle 20,15.

 


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