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Parenti: seduta 07

Parenti: seduta 07
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Pagina 213
       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                           indi
           DEL VICEPRESIDENTE LUIGI RAMPONI
                          INDICE
                                                        Pag.
Audizione del generale Giovanni Verdicchio, direttore
della DIA, e del dottor Gianni De Gennaro, direttore della
Criminalpol:
  Parenti Tiziana, Presidente ........... 215, 230, 239, 240
                                          245, 247, 250, 251
  Ramponi Luigi, Presidente ............. 226, 232, 234, 239
  Ayala Giuseppe .................................. 235, 242
  Bargone Antonio ...................................... 233
  Bertoni Raffaele ........................... 215, 233, 234
                                          235, 236, 250, 251
  Bonsanti Alessandra ............................. 236, 248
  Campus Gianvittorio ............................. 237, 238
  Cusimano Vito ................................... 238, 239
  De Gennaro Gianni, Direttore della
    Criminalpol ......................... 215, 240, 242, 244
                                     245, 247, 248, 249, 250
  Doppio Giuseppe ...................................... 239
  Imposimato Ferdinando ........................... 226, 230
  Grimaldi Tullio ............................ 232, 244, 245
  Mattarella Sergio .......................... 226, 239, 245
  Scivoletto Concetto ............................. 237, 249
  Stajano Corrado ................................. 236, 249
  Tripodi Girolamo ................. 231, 232, 239, 240, 248
  Verdicchio Giovanni, Direttore della DIA ............. 217
                           226, 244, 245, 247, 248, 250, 251
  Violante Luciano ........................... 238, 240, 247
Pagina 214
Pagina 215
   La seduta comincia alle 9,40.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione del generale Giovanni Verdicchio, direttore
della DIA, e del dottor Gianni De Gennaro, direttore della
Criminalpol.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
generale Giovanni Verdicchio, direttore della DIA, e del
dottor Gianni De Gennaro, direttore della Criminalpol.
   Prima di dare la parola ai nostri ospiti, avverto i
colleghi che presso la segreteria della Commissione sono
disponibili le bozze dei resoconti stenografici relativi alle
sedute del 15, 19 e 27 settembre 1994. Coloro che desiderano
rivedere i loro interventi per apportarvi eventuali correzioni
sono invitati a farlo entro il limite di cinque giorni da
oggi, quindi entro mercoledì prossimo. Dopo tale data, si
passerà alla redazione definitiva del resoconto
stenografico.
   Vorrei poi manifestare rammarico alla Commissione per
quanto è avvenuto l'altro ieri, al termine della riunione
dell'ufficio di presidenza, in quanto - come avevo già detto
ad alcuni colleghi che si sono fermati fino a tardi l'altra
sera per l'audizione del generale Berlenghi - si sono
verificate indiscrezioni di stampa inopportune relative a
quanto si era detto nella sede di ufficio di presidenza,
mentre quanto viene detto in tale sede non può essere riferito
all'esterno, come sapete. Vorrei che questo episodio non
avesse a ripetersi, anche perché alcune delle notizie riferite
erano, fra l'altro, inesatte o fuorvianti. Faccio pertanto
presente ai componenti l'ufficio di presidenza la necessità di
rispettare le più essenziali norme di correttezza e di
riservatezza, che sono fondamentali per il proficuo
svolgimento dei lavori. Vi ringrazio anticipatamente poiché
sono sicura, e me lo auguro, che manterrete la riservatezza,
elemento effettivamente essenziale per una Commissione come la
nostra.
  RAFFAELE BERTONI. Quando le notizie sono segrete, questo
è giusto; per il resto, credo che ognuno sia libero di dire
quello che vuole, anche il presidente.
  PRESIDENTE. Io non ho parlato assolutamente di quanto è
avvenuto nella sede dell'ufficio di presidenza; di altre cose,
credo che ognuno di noi sia libero di parlare, non di quanto
stabilito in quella sede.
   Passiamo all'oggetto dell'audizione, che riguarderà i
seguenti temi: prospettive delle attuali strutture e
coordinamento con l'azione dell'autorità giudiziaria,
risultati dell'attività investigativa e attualità del sistema
di analisi della criminalità. Dopo le relazioni introduttive,
i membri della Commissione potranno rivolgere quesiti ai
nostri ospiti, che replicheranno al termine degli
interventi.
   Do quindi la parola al dottor De Gennaro.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Desidero innanzitutto ringraziare il presidente ed i membri
della Commissione per l'opportunità che mi viene offerta con
l'odierna audizione.
   Non ho predisposto una relazione dettagliata sugli
argomenti oggetto dell'audizione, in quanto su di essi si
soffermerà in termini più ampi il generale Verdicchio,
Pagina 216
direttore della DIA. Se mi consentite, vorrei soffermarmi su
alcuni temi specifici, rendendomi comunque completamente
disponibile rispetto alle domande che vorrete rivolgermi,
anche in relazione ad interventi precedentemente svolti in
questa sede, in particolare quello del capo della polizia,
laddove potessi, da un punto di vista maggiormente tecnico,
integrare o specificare meglio alcuni dei concetti che, per
necessità di sintesi, sono stati resi dal capo della polizia
in termini più di strategia che di tattica.
   Per quanto riguarda la mia funzione di vicedirettore
generale della pubblica sicurezza e direttore centrale della
polizia criminale, come ha già ribadito il capo della polizia
e come aveva accennato il ministro degli interni, essa è tesa,
anche in virtù della norma di legge che prevede l'istituzione
del mio incarico, a cercare di rendere sinergici nel modo
migliore possibile gli sforzi investigativi, a livello sia
territoriale sia centrale. Si tratta di un'attività
specialistica, che deve andare ad integrarsi e deve interagire
con le conoscenze dirette e immediate, nonché gli interventi
sul territorio svolti da tutti gli organismi investigativi.
Questa funzione attiene soprattutto ad un'attività di raccordo
fra il momento specialistico - mi riferisco naturalmente, in
particolare, all'attività di contrasto della criminalità
mafiosa - cioè le iniziative dell'organo specializzato, la
Direzione investigativa antimafia, e le iniziative di tipo
investigativo che vengono svolte dagli organismi territoriali
e da altri organismi specializzati in materia attualmente
operanti.
   Desidero sottolineare, in questa fase introduttiva, il
concetto di interazione, cui facevo riferimento, fra i due
momenti investigativi. E' nostra convinzione che l'attività
investigativa diretta sul territorio, anche negli spazi di
interesse coperti dal punto di vista della giurisdizione,
debba essere effettuata dalle strutture investigative che
operano nello specifico territorio e in quegli spazi, in
quanto esse conoscono perfettamente l'ambiente in cui devono
operare e naturalmente controllano la serie di informazioni
che quotidianamente acquisiscono. Il capo della polizia faceva
riferimento anche ad un'attività più semplice, al controllo di
una persona agli arresti domiciliari, come ad un momento di
presenza sul territorio; una presenza non soltanto per
l'osservazione e il pattugliamento, ma un po' più attenta, sia
pure nella ricerca di un indirizzo che si deve controllare. Mi
riferisco, quindi, ad un'immediatezza, ad una cognizione del
personale investigativo sul territorio, sull'ambiente e sul
contesto in cui si muove.
   Questo tipo di presenza è fonte inesauribile di
informazioni, momento conoscitivo del contesto ambientale,
prima base di raccolta di dati che può garantire e meglio
favorire l'intervento dello specialista. Il ministro
dell'interno ha parlato di specializzazione delle strutture
investigative ed allo stesso tempo di decentramento, laddove
mi sembra si volesse ribadire la necessità di una presenza
specializzata e qualificata, che conosca la materia, che abbia
una visione d'insieme di tutta la realtà criminale su cui si
va ad operare, che abbia un momento conoscitivo delle diverse
sfaccettature della problematica, la quale però non può
prescindere dalla conoscenza diretta, dalle informazioni che
vengono dal territorio.
   Il potenziamento e soprattutto la migliore efficienza
degli organismi investigativi costituiscono anche una forma di
prevenzione, che deriva essenzialmente da tutta quell'attività
investigativa preliminare, anche volta alla ricerca di una
notitia criminis, la quale consente di anticipare
talvolta la commissione di un reato, o anche, proprio a causa
della presenza fisica, di costituire una forma di deterrente
per chi si accinga a commettere un reato. Non è un caso che
molte volte questa attività investigativa, soltanto
apparentemente di valenza minore, è servita a sventare reati
molto più gravi che erano in preparazione. E' molto importante
non disperdere tutte le informazioni che via via, anche in
modo apparentemente discontinuo, vengono ad acquisirsi in
virtù di un'attività investigativa che, ripeto, può sembrare
di valenza minore; non è, però, tale in quanto può costituire
un supporto
Pagina 217
molto importante per tutta l'attività degli organismi
specializzati.
   Quando ho svolto la funzione di direttore della DIA su
questo sono stato molto attento: questi organismi
specializzati devono operare nell'ambito della materia di
propria competenza onde evitare qualsiasi forma di
duplicazione, oltre quelle che già possono essersi realizzate
per la strutturazione stessa del comparto investigativo.
   La legge istitutiva della Direzione investigativa
antimafia, all'articolo 1, istituisce, per volontà del
legislatore, qualcosa di ancora più importante, cioè il
consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata,
che ha, come si può vedere dalla stessa formulazione della
norma, compiti particolarmente importanti quali quelli di
individuare gli obiettivi e le risorse e stabilire priorità.
Tutto questo sotto la responsabilità e la presidenza del
ministro dell'interno. Direi perciò che la legge istitutiva
della DIA ha anche una valenza per l'istituzione del consiglio
generale, proprio per realizzare un momento di raccordo a
livello strategico.
   Inoltre - su questo si soffermerà nel dettaglio il collega
che attualmente svolge l'incarico di direttore della DIA - la
legge stabilisce una stretta competenza per materia per questo
organismo investigativo. Credo sia l'unico caso di un
organismo investigativo, in questa tematica, che trovi la sua
specializzazione nella legge stessa, nel senso che la materia
su cui possono intervenire gli operatori di polizia che
costituiscono l'organico della DIA è predefinita dal
legislatore. In altre parole, a monte del singolo delitto,
deve esserci un'ipotesi di reato di associazione di stampo
mafioso riconducibile al momento ben identificato dalle
fattispecie di cui all'articolo 416-bis.
   Signor presidente, se ritiene posso aggiungere qualcosa a
proposito di dubbi e questioni poste nel corso dell'audizione
del capo della polizia. In particolare, mi preme rispondere ad
una domanda formulata al capo della polizia in ordine al
numero delle informative fornite dalle strutture del
dipartimento per l'applicazione dell'articolo 41-bis. La
discrasia rilevabile in proposito è solo apparente perché le
1301 informative erano riferite anche ad informazioni
reiterate in occasione di nuovo provvedimento emesso dal
ministro di grazia e giustizia sullo stesso soggetto a
scadenza del provvedimento precedente. Posso essere più
preciso: di queste informative (desidero evidenziare il
supporto che diamo, come dipartimento della pubblica
sicurezza, al momento conoscitivo sulla pericolosità del
soggetto), 496 sono state fornite nel 1993 e 805 nel 1994. La
differenza temporale evidenzia la necessità sorta di
aggiornare la situazione sulla pericolosità dei soggetti: in
realtà le informative riguardavano in tutto circa 500 persone
fisiche, per cui non vi è una discrasia numerica tra le
informative e i soggetti destinatari del dato.
   Mi fermerei qui per non togliere spazio alla relazione del
direttore della DIA che sarà ampia e dettagliata e susciterà
probabilmente la necessità di un'integrazione conoscitiva
attraverso le domande che verranno formulate.
   Naturalmente rimango a disposizione dei commissari per
eventuali chiarimenti basati sulla mia esperienza pregressa ed
attuale.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Signor
presidente, le consegno copia della relazione che mi accingo a
leggere.
   Mi sia consentito preliminarmente rivolgere un doveroso
ringraziamento per l'opportunità che mi è stata offerta di
riferire dinanzi ad un consesso così autorevole sullo
status quo dell'organismo di cui ho assunto di recente
la direzione e sulle linee programmatiche alle quali intendo
ispirare il mandato che il ministro dell'interno mi ha
affidato.
   L'esigenza di uno stretto e continuo rapporto tra
l'Assemblea parlamentare e la DIA, è stata sancita, anche
sotto il profilo formale, dallo stesso legislatore che ha
fatto obbligo al ministro dell'interno di riferire al
Parlamento, con cadenza semestrale, sull'attività svolta e sui
risultati conseguiti dall'organismo e, con cadenza annuale,
sull'andamento del fenomeno mafioso. Sino ad oggi sono state
presentate
Pagina 218
cinque relazioni semestrali, dalla lettura delle quali appare
evidente come la DIA abbia già assunto una precisa e spiccata
fisionomia sotto il profilo sia strutturale sia operativo.
   Infatti, il numero e la rilevanza delle operazioni sinora
effettuate, la crescente attività investigativa ed
informativa, ormai estesa sull'intero territorio nazionale ed
anche in ambito internazionale, l'assetto organizzativo
raggiunto testimoniano - credo adeguatamente - la funzionalità
dell'istituzione.
   Ritengo pertanto che il compito che mi attende, anche se
tutt'altro che agevole e sicuramente irto di difficoltà, sia,
almeno per certi versi, meno arduo di quello che avevano di
fronte i vertici della DIA nel dicembre 1992, allorquando il
direttore e il vicedirettore pro tempore, generale
Tavormina e dottor De Gennaro, vennero ascoltati dalla
Commissione antimafia sugli indirizzi e sulle linee di
sviluppo che intendevano imprimere all'allora nascente
organismo investigativo.
   Sono stati due anni - e mi preme ribadirlo - di lavoro
duro ma entusiasmante, contrassegnati da molteplici difficoltà
di ordine logistico ed organizzativo, non peraltro del tutto
superate, durante i quali il personale della DIA ha ampiamente
dimostrato di possedere le qualità necessarie per affrontare
un'opera così impegnativa.
   La decisione di costituire la DIA, pur maturata in un
periodo caratterizzato da una violenta offensiva delle cosche
mafiose, non può inquadrarsi in una logica emergenziale bensì
in una nuova strategia antimafia. Una strategia che poneva al
centro non più le singole manifestazioni delittuose ma
l'organizzazione mafiosa in quanto tale, con il preciso
obiettivo di disarticolarla e colpirla proprio nei suoi punti
di forza, nella sua struttura organizzativa e nei suoi
interessi finanziari.
   Da qui la decisione di dare vita ad un ufficio che potesse
riunire le migliori energie investigative disponibili
all'interno delle forze di polizia e operare contestualmente
ed in tempi operativamente utili sull'intero territorio
nazionale ed all'estero, perseguendo le organizzazioni
criminali in tutte le attività illecite ed in tutte le loro
ramificazioni territoriali.
   Per tali motivi la DIA non è un ufficio di coordinamento
tout court, né un'autonoma forza di polizia ma è una
struttura interforze in cui l'integrazione fra le tre forze di
polizia si risolve in unità ordinamentale: una sorta di
task force che sfrutta al meglio le loro energie.
   Nell'ufficio hanno trovato compiuta esplicitazione i
principi della specializzazione funzionale, essendogli stato
attribuito il compito di concentrarsi, senza alcuna
dispersione di risorse, su un unico obiettivo strategico: la
lotta al crimine mafioso.
   La specializzazione diventa pertanto, nella DIA, criterio
informatore dell'intera organizzazione, unificando il momento
della teoria e quello della prassi, dell'attività informativa
e di quella investigativa, che costituiscono il fondamento di
nuove e più avanzate metodologie operative, in cui lo studio
preventivo del fenomeno criminale diventa ipotesi d'indagine.
L'analista e l'investigatore, entrambi specializzati nel
settore di competenza, costituiscono così i due momenti
essenziali, strettamente interconnessi, di una più moderna
tecnica investigativa, la cui attuazione comporta il
superamento di consolidate abitudini.
   In luogo della logica del risultato immediato sono state
privilegiate le ragioni di un'attività investigativa
concentrata nel perseguimento sistematico dell'obiettivo, che
punta ad acquisire ed elaborare tutte le informazioni
necessarie per ricostruire con precisione le strategie, gli
obiettivi e i metodi delle associazioni mafiose, per giungere
poi a recidere le radici e le contiguità delle stesse, senza
farsi distrarre da fatti contingenti, né subire alcuna
limitazione di natura territoriale.
   L'organismo, come detto, presenta una spiccata proiezione
in ambito internazionale, è articolato in modo flessibile
sull'intero territorio nazionale ed è capace di contrapporsi
con decisione al fenomeno mafioso, ovunque esso si manifesti,
prefigurando un sistema investigativo integrato in cui organi
centrali, articolati verticalmente per competenza e composti
da personale
Pagina 219
specializzato, si affiancano e si integrano con le
strutture tradizionali di polizia a competenza generale.
   La DIA rappresenta una novità anche rispetto agli altri
servizi interforze: ciò sia per l'accentuata caratterizzazione
operativa, sia per una più spiccata fisionomia organizzativa e
funzionale. La connotazione interforze della DIA deve essere
intesa non come sommatoria o giustapposizione di esperienze
diverse, ma come necessario momento di sintesi tendente a
favorire la nascita di una nuova cultura investigativa
omogenea e di un forte senso di appartenenza all'organismo.
   Qualsiasi ipotesi di revisione ordinamentale della DIA che
intendesse privilegiare un solo versante dei suoi compiti
istituzionali a scapito di altri, ad esempio quello delle
investigazioni preventive, oppure riproporre un modulo
istituzionale imperniato essenzialmente sulla funzione di
coordinamento, sortirebbe sicuramente effetti negativi sulla
funzionalità e l'efficacia della struttura ricalcando,
peraltro, esperienze passate, quale quella dell'Alto
commissario, che si sono rivelate inadeguate a fronteggiare la
complessità e le dimensioni assunte dal fenomeno mafioso.
   Credo risulti evidente il ruolo centrale attribuito
dall'ordinamento alla Direzione investigativa antimafia in
tema di delitti di associazione di tipo mafioso o comunque
ricollegabili all'associazione medesima. Tale posizione è
desumibile, tra l'altro, dal fatto stesso che essa è chiamata
in modo esplicito dalla legge a svolgere specificamente le
indagini in questa materia.
   Nella medesima legge è altresì previsto l'obbligo di
cooperazione, in virtù del quale "tutti gli ufficiali e agenti
di polizia giudiziaria debbono fornire ogni possibile
cooperazione al personale investigativo della DIA".
   Si è dunque inteso costruire un sistema integrato di
contrasto al crimine mafioso - cui ha fatto riferimento anche
il ministro dell'interno nel corso della recente audizione -
articolato su diversi livelli, dove ad un organismo altamente
specializzato e privo di una competenza territoriale
predeterminata, si affiancano sia le tradizionali strutture
investigative polifunzionali a competenza territoriale
ripartita, sia i servizi centrali ed interprovinciali, che già
svolgono, all'interno delle rispettive amministrazioni,
compiti investigativi, operativi e di collegamento.
   Il signor ministro dell'interno ha, tra l'altro,
sottolineato l'esigenza di una riorganizzazione complessiva
dell'intero comparto della sicurezza che si muova sui binari
della specializzazione e che, senza ricorrere ad artificiose
sperimentazioni, valorizzi e potenzi tutte le strutture
esistenti, evitando, nel contempo, "parcellizzazioni di
energie investigative e nuovi antagonismi nei medesimi settori
di competenza".
   Sono certo che la DIA potrà svolgere in piena sintonia con
gli indirizzi prospettati dal ministro, in modo sempre più
compiuto, il proprio ruolo di ufficio specializzato nella
prospettiva di un moderno e nuovo sistema investigativo che,
ricalcando il modello delle agenzie federali statunitensi,
riconosca agli specialisti il potere-dovere di affiancarsi ed
integrarsi, nei casi in cui ciò sia ritenuto utile, all'azione
degli altri organismi investigativi di polizia giudiziaria a
competenza generale.
   Non si tratta, dunque, di attribuire alla DIA una
competenza esclusiva nella materia, ma di riconoscerle una
posizione di primazia, rispetto a qualsiasi altra struttura
investigativa, nella conduzione delle indagini sulla
criminalità mafiosa in tutti quei casi in cui venga deciso
nelle sedi competenti il suo intervento, in ragione degli
elevati apporti di specializzazione richiesti o della
necessità di svolgere mirate azioni di collegamento
investigativo.
   La legge n. 410 del 1991 ha stabilito che al vertice della
DIA sia posto un direttore tecnico-operativo con una specifica
esperienza nella lotta alla criminalità organizzata, al quale
compete la definizione degli indirizzi strategici
dell'organismo nonché la gestione e l'impiego del personale.
Egli partecipa inoltre alle riunioni del consiglio generale.
Responsabile generale della DIA è il capo della polizia,
direttore generale della pubblica sicurezza, su delega del
ministro dell'interno. Il direttore della DIA si avvale della
collaborazione
Pagina 220
di due vicedirettori, ai quali sono affidate,
rispettivamente, la responsabilità in materia di attività
operativa e di quella gestionale-amministrativa. Ad uno di
essi sono affidate le funzioni vicarie.
   La soluzione adottata scaturisce anche dal fatto che, con
un provvedimento normativo risalente al dicembre 1993, è stata
attribuita all'organismo un'ampia autonomia gestionale, sotto
il profilo contabile ed amministrativo, che le permette di
avvalersi di procedure rapide e semplificate, necessarie per
far fronte nel modo più efficace alle crescenti esigenze
operative e logistiche. In relazione a ciò, sono stati
appositamente costituiti due uffici centrali, amministrazione
e ragioneria, cui è stato affidato il compito di predisporre
la preparazione e la programmazione del quadro complessivo di
spesa nonché la celere trattazione di tutti gli affari di
natura tecnico-contabile.
   La legge n. 410 del 1991 ha fissato alcuni principi
fondamentali attinenti all'assetto ordinativo ed al
funzionamento della Direzione, prevedendo che la stessa
dovesse essere organizzata "secondo moduli rispondenti alla
diversificazione dei settori di investigazione e alla
specificità degli ordinamenti delle forze di polizia
interessate" e che, "nella prima fase", fosse articolata in
tre reparti: reparto investigazioni preventive; reparto
investigazioni giudiziarie; reparto relazioni internazionali
ai fini investigativi. Il legislatore ha demandato poi al
ministro dell'interno, sentito il Consiglio generale per la
lotta alla criminalità organizzata, il compito di meglio
definire le attribuzioni dei reparti e di adeguare
contestualmente la struttura organizzativa dell'organismo alle
esigenze di volta in volta insorgenti.
   Il ministro dell'interno, con proprio decreto del 19
novembre 1991, ha delineato una prima articolazione della DIA,
definendo le competenze dei reparti ed affiancando agli stessi
un ufficio gabinetto, con compiti diversificati di carattere
organizzativo e gestionale. Contestualmente è stata prevista
l'istituzione delle prime articolazioni territoriali,
denominate centri operativi, dislocate a Palermo, Reggio
Calabria, Roma, Napoli, Bari e Milano, a loro volta suddivise
in una o più sezioni, con il compito di svolgere "specifiche
attività di polizia giudiziaria relative a delitti di tipo
mafioso o comunque ricollegabili all'associazione
medesima".
   Al reparto investigazioni preventive compete
l'acquisizione e l'analisi di informazioni e notizie
concernenti la criminalità organizzata con particolare
riguardo alle connotazioni strutturali delle organizzazioni
criminali, comprese quelle straniere operanti in Italia, alle
loro articolazioni e ai collegamenti sul piano interno e
internazionale. A tale reparto sono state altresì demandate le
investigazioni concernenti gli obiettivi e le modalità
operative delle organizzazioni criminali e il tipo di attività
illegali svolte dalle medesime. Con decreto ministeriale del
1^ febbraio 1994 è stato stabilito che rientra nelle dirette
responsabilità del capo del I reparto "lo svolgimento di studi
e ricerche, avvalendosi anche della consulenza di esperti
esterni all'amministrazione.
   Il reparto investigazioni giudiziarie svolge un'azione di
pianificazione, programmazione e verifica di risultati in
ordine alle indagini di polizia giudiziaria e gestisce le
operazioni in forma coordinata, con particolare riguardo alle
indagini collegate. Il reparto, nelle sue articolazioni
divisionali e periferiche, costituisce servizio di polizia
giudiziaria del quale può disporre il procuratore nazionale
antimafia. Esso si articola in quattro divisioni che
ripartiscono le competenze in relazione alle diverse
organizzazioni mafiose.
   Infine, il reparto relazioni internazionali, articolato in
due divisioni, ha il compito di mantenere i rapporti con le
forze di polizia estere nonché con le organizzazioni
sovranazionali, qual è ad esempio l'Europol, anche per un
reciproco scambio di informazioni sui fenomeni criminali
attinenti direttamente od indirettamente al nostro paese.
Pianifica, inoltre, l'impiego del personale della DIA
impegnato all'estero, fornendo allo stesso il necessario
supporto info-operativo.
   La concreta sperimentazione dei moduli organizzativi e
funzionali delineati ha
Pagina 221
evidenziato la necessità di meglio definire le competenze dei
reparti nonché di provvedere alla costituzione di nuovi uffici
centrali, anche in relazione ai crescenti impegni
istituzionali assunti dalla Direzione in seguito alla delega
al direttore della DIA delle competenze già attribuite
all'Alto commissario per la lotta contro la delinquenza
mafiosa, che ricomprendono, tra l'altro, la facoltà di accesso
presso istituti bancari e di intermediazione bancaria ed il
potere di avanzare proposte per l'applicazione di misure di
prevenzione personali e patrimoniali. Tale esigenza è stata
soddisfatta con il decreto ministeriale del 27 aprile 1993,
che ha disposto una integrazione delle funzioni spettanti ai
reparti e, soprattutto, l'istituzione degli uffici
"ispettivo", "addestramento studi e legislazione" e
"informatica". Inoltre, con recente decreto del ministro
dell'interno del 30 marzo 1994 è stato istituito, tra l'altro,
l'ufficio supporti tecnico-investigativi, con il compito di
assicurare il sostegno alle attività di investigazione
mediante "la gestione di idonee strumentazioni tecnologiche e
lo studio per l'acquisizione delle relative risorse".
   In tale contesto va evidenziata infine l'istituzione,
nell'ambito dei reparti investigazioni preventive ed
investigazioni giudiziarie, di due nuove divisioni
specializzate nel contrasto al fenomeno dell'infiltrazione
della criminalità mafiosa nei settori economici e
finanziari.
   Per quanto riguarda il personale, ho in animo di
potenziare il comparto dell'addestramento, che in un organismo
specializzato come la DIA deve assumere rilevanza centrale
anche al fine di rafforzare ulteriormente l'identità di
appartenenza all'istituzione e di favorire una crescente
integrazione tra le varie professionalità presenti al suo
interno.
   Un rilievo del tutto particolare sarà dato alla formazione
di quadri specializzati nel settore finanziario e delle
indagini patrimoniali, proseguendo le positive esperienze già
avviate che hanno visto la fattiva collaborazione della Banca
d'Italia, dell'UIC, della CONSOB, dell'ISVAP e di altre
importanti istituzioni operanti nel settore.
   L'impegno della Direzione dovrà inoltre concentrarsi sulla
formazione degli analisti, una figura complessa e nuova in
Italia: proprio in questi giorni ha avuto inizio un importante
corso addestrativo indirizzato alla formazione di questa
specifica figura professionale, tenuto da esperti della DEA
statunitense, al quale partecipano funzionari ed ufficiali
della Direzione già destinati a tale specifico impegno.
   E' mia intenzione, altresì, imprimere ulteriore impulso
all'informatizzazione della DIA, sia al fine di dare compiuta
attuazione al progetto, in avanzata fase di realizzazione, di
office automation, sia al fine di incrementare
l'attività di sostegno alle indagini ed alla analisi delle
informazioni, che ha permesso di ottenere positivi risultati
soprattutto nell'ambito dei progetti di cooperazione
internazionale.
   Un settore che intendo valorizzare ulteriormente è quello
relativo all'impiego e all'utilizzazione dei supporti
tecnico-investigativi. Sotto questo profilo, grande attenzione
verrà riservata non solo allo studio ed all'acquisizione delle
strumentazioni tecnologiche, con particolare riferimento a
quelle attinenti all'armamento, alla microfotografia ed alle
intercettazioni telefoniche ed ambientali, ma anche alla
formazione del personale specializzato nel settore,
nell'intento di poter disporre nel breve periodo di vere e
proprie task forces di pronto intervento, composte da
specialisti che sappiano coadiuvare e sostenere, con la
massima competenza e con altrettanta rapidità di intervento,
le attività operative sviluppate sul territorio.
   La lotta alla delinquenza mafiosa impone un continuo
aggiornamento delle tecniche e delle modalità di contrasto:
l'attività investigativa ha bisogno non solo di investigatori
bravi, coraggiosi e fedeli alle istituzioni, ma anche di
strumentazioni sofisticate, di crescente specializzazione
professionale, di modelli organizzativi moderni e
manageriali.
   La creazione di un'articolazione periferica della DIA può
essere considerata un passo determinante nell'evoluzione
dell'assetto
Pagina 222
strutturale dell'organismo, in ragione della necessità
di costituire dei punti di appoggio per le investigazioni e
soprattutto di assicurare una costante presenza in quelle zone
particolarmente sensibili al fenomeno mafioso. L'esigenza di
una bilanciata distinzione organizzativa e metodologica che,
nell'ambito dello stesso centro, differenzi il momento
dell'informazione dal momento operativo e la contestuale
necessità di evitare schemi organizzativi rigidamente intesi
hanno indotto a configurare un assetto dei centri basato su
tre distinte aree di competenza relative alle indagini
preventive, a quelle giudiziarie, nonché alle problematiche di
carattere tecnico-logistico, organizzativo ed amministrativo.
La caratteristica fondamentale delle articolazioni periferiche
consiste nel fatto che, pur essendo organismi localizzati
territorialmente, non è stato loro attribuito un carattere di
territorialità, in quanto sin dal momento iniziale si è inteso
improntarli a criteri di flessibilità di impiego e di
duttilità di intervento. Da ciò consegue che non possono
essere considerati servizi di polizia giudiziaria ai sensi del
codice di procedura penale.
   I centri operativi, per quanto concerne l'attività
investigativa, fanno riferimento direttamente al reparto
investigazioni giudiziarie, che ne coordina l'impiego nel
quadro delle direttive emanate dal procuratore nazionale
antimafia, ma rispondono altresì delle attività svolte e
dell'utilizzo delle risorse, nei diversificati settori di
competenza, agli altri reparti, al gabinetto e agli uffici
centrali della direzione. La struttura periferica della DIA
prevede oggi dodici centri operativi nelle sedi di Torino,
Padova, Genova, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio
Calabria, Palermo, Catania e Caltanissetta e sei sezioni
distaccate nelle sedi di Agrigento, Trapani, Catanzaro, Lecce,
Salerno e Trieste. E' allo studio l'ipotesi di procedere, in
prospettiva, all'apertura di un centro operativo nell'ambito
di ciascun distretto di corte d'appello, anche al fine di
raccordare in modo ancor più efficace l'azione della DIA con
quella dei magistrati addetti alle direzioni distrettuali
antimafia.
   Per quanto riguarda la dotazione di personale,
all'iniziale assegnazione di personale direttivo si è
provveduto attraverso un concorso unico nazionale per titoli.
Inoltre, con decreto interministeriale del 29 dicembre 1992,
si è stabilita, dando formale attuazione a specifica norma,
l'assegnazione alla DIA di un contingente di personale dei
servizi centrali ed interprovinciali, nella misura di 4
funzionari o ufficiali, di 58 sottufficiali e 18 graduati e
militari con qualifiche corrispondenti, per complessive 80
unità per ciascuna forza di polizia. Lo scioglimento
anticipato dell'ufficio dell'alto commissario ha determinato
poi il passaggio ope legis alla DIA del personale in
servizio presso quell'ufficio alla data del 31 dicembre
1992.
   L'attuale dotazione organica, determinata con decreto
ministeriale del 15 aprile 1994, è di circa 1.400 unità, in
gran parte già assegnate dalle amministrazioni di
appartenenza. In particolare, risultano in servizio alla DIA
circa 250 funzionari ed ufficiali e poco meno di 1.000 unità
di personale di polizia appartenenti alle qualifiche
intermedie ed esecutive. Le restanti unità sono rappresentate
dal personale dei ruoli tecnico-scientifici della polizia di
Stato e dei ruoli dell'amministrazione civile dell'interno.
Sono state previste specifiche dotazioni organiche per
ciascuna forza di polizia, articolate in 4 fasce
(dirigenziali, direttive, intermedie ed esecutive), in modo da
assicurare un'effettiva presenza paritaria alle 3 principali
componenti dell'organismo investigativo.
   Una funzione importante - soprattutto in seguito al
riconoscimento dell'autonomia amministrativa - viene svolta
anche dal personale dell'amministrazione civile dell'interno,
destinato alla gestione tecnico-logistica ed alle attività di
natura contabile ed amministrativa, e da quello della polizia
di Stato appartenente ai ruoli tecnico-scientifici, cui spetta
il compito di svolgere delicate funzioni di supporto alle
attività investigative, assicurando un elevato apporto di
competenza e specializzazione professionale. Si pensi alle
indagini balistiche, alle intercettazioni
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telefoniche ed ambientali, al supporto informatico e via
dicendo.
   Si sta valutando l'opportunità di proporre un adeguamento
della forza organica, nel duplice intento di rafforzare le
articolazioni periferiche e di allargare la fascia del
personale esecutivo.
   Gran parte dei centri operativi occupano ormai da tempo
sedi che possono essere definite stabili. E' tuttavia in corso
un ulteriore ed intenso sforzo volto ad acquisire nuove sedi e
rendere ancora più funzionali e sicure quelle esistenti. E'
stato avviato anche un complessivo programma di potenziamento
delle dotazioni, che prevede, fra l'altro, l'acquisizione di
automezzi e di moderni sistemi di telecomunicazione.
   Passando all'esame di un altro argomento posto all'ordine
del giorno della presente audizione, che fa riferimento
all'attualità dei sistemi di analisi delle fenomenologie
criminali mafiose, mi preme evidenziare che il reparto
investigazioni preventive costituisce l'unico ufficio nel
panorama delle istituzioni della sicurezza che sia preposto in
via esclusiva all'analisi ed alla riflessione sistematica
sull'andamento della criminalità organizzata di tipo mafioso.
Si tratta di uno degli elementi più innovativi del progetto
DIA e costituisce un'importante applicazione del principio
della specializzazione funzionale che ne ha ispirato la
creazione.
   La politica di contrasto avviata negli ultimi due anni,
infatti, si è mossa nella direzione di una sempre maggiore
specializzazione delle attività investigative e di
intelligence antimafia, distinguendole nettamente sia da
quelle caratteristiche di organi polifunzionali, che
intervengono nella repressione e prevenzione di tutti i reati
previsti dal codice penale, sia da quelle proprie dei servizi
di informazione e di sicurezza. Il sistema di
intelligence, così come è stato recentemente
strutturato, si sviluppa in diverse fasi.
   La prima consiste nell'individuazione delle tematiche da
approfondire e cioè dei raggruppamenti criminali, delle
attività illecite, dei contesti socio-territoriali, degli
eventi delittuosi ai quali dedicare un'indagine dettagliata e
mirata.
   Una volta individuati gli obiettivi da raggiungere, inizia
la fase di raccolta concreta delle informazioni: in parte esse
vengono estratte dalle fonti investigativo-giudiziarie già
disponibili, in parte sono acquisite tramite l'attivazione
delle ramificazioni periferiche della DIA o sopralluoghi
diretti del personale del reparto.
   La terza fase consiste nella selezione, nell'analisi e nel
collegamento delle informazioni raccolte al fine di
identificare le articolazioni, le dimensioni economiche, le
risorse di un soggetto o di un mercato illecito ed elaborare
ipotesi sull'andamento futuro della fattispecie criminale in
esame.
   La quarta ed ultima fase, infine, comporta l'utilizzazione
concreta delle informazioni in funzione dell'adozione di un
provvedimento di natura preventiva da parte della divisione a
ciò preposta o dell'attivazione di un'investigazione
giudiziaria da parte del II reparto e dei centri
periferici.
   L'attività di analisi, tuttavia, non esaurisce il suo
compito in ambiti meramente conoscitivi in quanto ha il
precipuo scopo di monitorare costantemente l'evoluzione del
fenomeno mafioso, al fine di prevederne e di prevenirne i
possibili sviluppi, individuando e suggerendo agli
investigatori gli obiettivi su cui concentrare la propria
iniziativa.
   L'attività di intelligence condotta ha una valenza
tattica ed una valenza strategica. La prima si riferisce ad
una specifica attività criminale ed è finalizzata a fornire
supporti conoscitivi, ad esempio, per avviare immediate
indagini di polizia giudiziaria, per elaborare proposte di
misure di prevenzione personali e patrimoniali o per proporre
l'applicazione del soggiorno di custodia cautelare (articolo
25-quater della legge n. 356 del 1992). Alla dimensione
tattica dell'intelligence afferisce anche il lavoro
dell'attività di analisi cosiddetta antiriciclaggio, che
gestisce i poteri di accesso e di accertamento, presso
istituti bancari e finanziari pubblici e privati, del
direttore della DIA.
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   L'attività di intelligence, invece, acquista una
valenza strategica quando tende essenzialmente a formare un
quadro complessivo di conoscenza del fenomeno criminale e
delle sue probabili linee evolutive. Lo scopo non è tanto di
attivare nell'immediato un'indagine quanto di offrire agli
investigatori un quadro di riferimento complessivo in modo che
questi ultimi possano meglio orientare e programmare le loro
attività operative.
   L'intelligence antimafia, sia nella sua dimensione
tattica che strategica, è diretta a stimolare un'azione di
polizia giudiziaria immediata o futura ed è quindi, per sua
natura, "empirica", costretta da vincoli cogenti di
concretezza e di fondatezza nei fatti e nelle prove, a
differenza dell'intelligence dei servizi di sicurezza
che ha un'impostazione prevalentemente generale o generica
poiché volta all'individuazione di fattori di pericolosità
all'interno o all'esterno della nazione, da portare
all'attenzione dei responsabili politici, prevedendo solo
raramente uno sbocco di tipo operativo.
   Non è certo possibile in questa sede procedere nel
dettaglio alla disamina del lavoro sviluppato dagli analisti
della DIA in questi ultimi due anni: tutti gli elaborati
prodotti, le cui sintesi sono contenute nelle relazioni
semestrali, sono naturalmente a disposizione della Commissione
parlamentare antimafia e la DIA è pronta a sviluppare, in uno
spirito di massima e doverosa collaborazione, eventuali
approfondimenti che dovessero essere ritenuti necessari ai
fini dell'espletamento dei propri compiti istituzionali.
   Ritengo, tuttavia, particolarmente interessante
focalizzare l'attenzione su alcuni progetti di cooperazione
internazionale avviati dalla DIA: il primo è concepito
nell'ottica di svolgere un'adeguata azione di
intelligence bilaterale con l'FBI statunitense ed il
secondo, attuato con la collaborazione dell'Ufficio federale
criminale tedesco (BKA), è finalizzato a raccogliere una vasta
rete di informazioni sugli italiani appartenenti ad
organizzazioni criminali mafiose che hanno riferimenti in
Germania.
   Il progetto con gli Stati Uniti è diretto a realizzare un
interscambio informativo sulle maggiori organizzazioni
mafiose, in particolare su Cosa nostra, con più specifico
riferimento a soggetti affiliati o comunque collegati alle
"famiglie" italiane trasferitesi negli Stati Uniti per
sottrarsi alle indagini ed alla cattura o per rinsaldare
legami con la criminalità americana.
   La DIA e l'FBI hanno costituito uno stabile gruppo di
lavoro, in cui i titolari dei rispettivi uffici informatici
hanno creato, per la prima volta, collegamenti diretti.
   Un secondo progetto in fase di avanzata realizzazione col
BKA tedesco dovrà parallelamente soddisfare, oltre alle già
citate finalità operative, esigenze di natura strategica,
consentendo la valutazione e la comprensione del fenomeno di
infiltrazione in Germania di organizzazioni di stampo mafioso,
al fine di predisporre un'adeguata attività di prevenzione
generale e di contrasto.
   Tale progetto è stato l'antesignano di un nuovo modo di
intendere la lotta alla criminalità mafiosa, vista non
semplicemente come attività di indagine scaturente
dall'accadimento specifico, ma come pianificazione di una più
ampia strategia di contrasto, che abbia riguardo alle
ramificazioni internazionali del fenomeno mafioso, nonché al
flusso di uomini e traffici illeciti tra le località di
provenienza ed i territori esteri eletti quali scenari di
azione.
   E' stato infine recentemente perfezionato un accordo con
l'Agenzia federale statunitense dell'Immigration and
naturalization service per dar vita ad un ulteriore
progetto, che si prefigge di realizzare un monitoraggio, il
più ampio possibile, sugli italiani che si sono resi
responsabili di reati contro la legge sull'immigrazione negli
Stati Uniti, al fine di verificare l'eventuale presenza, fra
essi, di persone denunciate, condannate e ricercate in Italia
per il reato di associazione per delinquere di stampo
mafioso.
   Va detto, in conclusione, che nel contrasto al riciclaggio
di denaro sporco ed al diffuso fenomeno dell'infiltrazione
mafiosa
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nell'economia, la DIA ha intrapreso verifiche complessive
tendenti a conoscere i movimenti patrimoniali e immobiliari
intervenuti negli ultimi anni, soprattutto in alcuni grandi
centri, con particolare riferimento all'attività di
appropriazione di esercizi commerciali da parte della malavita
organizzata, e una penetrante attività investigativa atta
all'individuazione dei flussi finanziari illeciti e delle
modalità di reinvestimento dei capitali riciclati in attività
finanziarie.
   Nella sfera più direttamente attinente alle attività di
polizia giudiziaria, la DIA ha il compito di effettuare
indagini "... relative esclusivamente a delitti di
associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili
all'associazione medesima".
   La norma dunque non conferisce all'Ufficio una competenza
esclusiva sulla materia, ma si limita ad individuare una
categoria di delitti, invero estremamente ampia e non
predeterminabile, nel cui ambito è legittimato l'intervento
dell'organismo investigativo.
   Il legislatore, a differenza di quanto sancito per le
investigazioni preventive, non ha ritenuto di dover
specificare in cosa consistessero le investigazioni
giudiziarie, essendo evidente che le stesse coincidono con le
indagini di polizia giudiziaria disciplinate dal codice di
procedura penale. Si tratta quindi di un'attività diretta di
indagine che viene attribuita alla DIA, il cui campo d'azione
è delimitato ratione materiae.
   E' evidente che tali investigazioni, siano esse di
iniziativa o delegate dall'autorità giudiziaria, si devono
svolgere sotto la direzione delle procure distrettuali,
risolvendosi in atti procedimentali destinati a confluire
nella fase processuale vera e propria.
   Sino ad oggi l'intesa ed il coordinamento con tali organi
sono stati completi; i rapporti si sono sviluppati in un
proficuo quadro lavorativo, che ha permesso di conseguire
positivi risultati. Purtroppo non sempre è stato possibile,
per ragioni riconducibili alla limitatezza della rete di
uffici territoriali e delle risorse di uomini e di mezzi di
cui la DIA dispone, accedere a tutte le richieste avanzate
dalle direzioni distrettuali antimafia e sviluppare appieno ed
in modo conseguenziale tutte le possibilità che possono
scaturire da una ancor più compiuta azione sinergica tra i due
uffici.
   Parimenti positive e caratterizzate da una reciproca
fattiva collaborazione sono state le relazioni con il
procuratore nazionale antimafia, che si sono sviluppate nella
cornice delineata dal legislatore.
   Nel quadro di una più ampia cooperazione istituzionale, la
Direzione non ha mancato di fornire il suo apporto anche sotto
il profilo informativo e di analisi, ogni qual volta lo stesso
sia stato richiesto dai magistrati della Direzione nazionale
antimafia.
   Occorre tuttavia sottolineare che la DIA, in cui si
concentrano attività di polizia di sicurezza e di polizia
giudiziaria, si pone sotto il profilo istituzionale come
momento talora propedeutico talora ausiliario rispetto agli
ambiti di intervento dell'autorità giudiziaria, dipendendo,
per quanto riguarda la definizione delle strategie di
prevenzione anticrimine, dal ministro dell'interno, che
esercita tale funzione di indirizzo attraverso il Consiglio
generale per la lotta alla delinquenza mafiosa.
   La definizione normativa dei compiti istituzionali della
DIA non ha determinato soltanto inevitabili riflessi
sull'assetto ordinamentale dell'Ufficio, ma soprattutto ha
consentito di avviare la sperimentazione di nuovi e più
avanzati metodi di lavoro, fondati sull'interconnessione tra
le investigazioni giudiziarie e quelle preventive.
   L'introduzione di nuove e peculiari metodologie operative,
imperniate sulla continua interazione tra il momento
dell'acquisizione conoscitiva e quello più strettamente
investigativo, ha favorito, infatti, lo sviluppo di un'azione
di contrasto sistematica ed efficace ed ha trovato ampia e
positiva applicazione anche in organismi esteri analoghi.
   La sintesi della fase conoscitiva rappresenta, come detto,
il punto di partenza per le attività investigative, che, a
loro volta, si concentrano soprattutto sui soggetti e sul
contesto del reato associativo, puntando
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ad individuare le responsabilità, i ruoli, le attitudini
degli affiliati e la valenza criminale delle associazioni, per
giungere solo successivamente alla ricostruzione dei singoli
fatti delittuosi ed alla individuazione dei responsabili. Nel
quadro di una più generale pianificazione strategica delle
attività, l'azione di contrasto si sviluppa contro obiettivi
preventivamente individuati, che vengono aggrediti nel loro
insieme, procedendo poi all'immediata verifica della congruità
delle iniziative assunte rispetto agli obiettivi prefissati,
in un processo di costante e fecondo confronto fra le
elaborazioni degli analisti e le risultanze investigative.
   Per tale motivo la DIA si è dotata di meccanismi interni
capaci di ricondurre le singole vicende delittuose in ambiti
valutativi più generali, ove si tende a far convergere, in
tempi operativamente utili, tutte le informazioni sulle
caratteristiche strutturali e funzionali del fenomeno
criminale oggetto di indagine. Questo compito viene svolto dal
reparto investigazioni giudiziarie che, come struttura
centralizzata di programmazione e di verifica delle attività
investigative, si avvale dei centri operativi.
   L'azione repressiva, che è stata indirizzata sino ad oggi
prevalentemente contro le articolazioni "militari" delle
cosche, deve compiere  (e su questo punto concentrerò in modo
particolare la mia attenzione)...
  LUIGI RAMPONI. Terroristiche, non militari.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. E' un
termine - l'ho riportato tra virgolette - molto usato in
questo specifico contesto. Giustamente il generale Ramponi,
come me, non intende associare il nobile termine "militare"
all'ala cosiddetta militarista della mafia!
  LUIGI RAMPONI. Diciamo "terroristica"; questi non fanno
i militari, fanno i terroristi!
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Si vuole
soltanto esprimere un concetto di potenza ...
  SERGIO MATTARELLA. Nel senso di armata!
  ALESSANDRA BONSANTI. Ormai fa parte del linguaggio!
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. L'azione
repressiva deve dunque compiere un salto di qualità per
tentare di individuare le aree di collusione e di contiguità
dei sodalizi, colpendo i referenti delle cosche che ancora si
annidano nel mondo delle professioni, nelle amministrazioni
pubbliche e nel circuito bancario e finanziario.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. E la politica?
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. E' tutta
politica, questa! Lei pensa forse che il mondo delle
professioni, delle amministrazioni pubbliche, il circuito
bancario e finanziario non sia politica? La politica dà
l'orientamento a queste istituzioni! Per rispetto verso questo
consesso non mi sono permesso di parlare di politica!
  LUIGI RAMPONI. Nulla vieta di considerare anche la
politica!
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Ne
parlerò più avanti.
   In tale ottica è necessario individuare le disponibilità
finanziarie e le attività economiche delle cosche, la cui
rilevanza è testimoniata dai numerosi canali di riciclaggio
accertati e dai rilevanti investimenti registrati in taluni
settori dell'economia, ed allargare la base territoriale delle
indagini, indirizzandole verso quelle aree del centro-nord ove
le organizzazioni mafiose hanno ormai reinvestito gran parte
delle loro ricchezze.
   Una più incisiva azione di contrasto alle formazioni
mafiose potrà essere realizzata, da un lato, confiscando beni
illecitamente acquisiti e sottraendo cespiti patrimoniali
indispensabili per la sopravvivenza delle organizzazioni
stesse e, dall'altro, attraverso un'intensa attività
preventiva che analizzi i flussi finanziari, anche
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prescindendo dalla commissione di specifiche ipotesi di
reato.
   Proprio in questa prospettiva, sono state recentemente
predisposte - come già detto in altra parte della presente
relazione - nuove articolazioni nell'ambito del reparto
investigazioni preventive e del reparto investigazioni
giudiziarie, cui affidare gli specifici compiti di individuare
i flussi illeciti di ricchezza e di aggredire in modo
sistematico e pianificato i patrimoni dei mafiosi, utilizzando
tutti gli strumenti normativi esistenti ed in particolare i
poteri attribuiti al direttore della DIA, quale l'accesso
presso banche, istituti di credito ed intermediari finanziari
o l'effettuazione di operazioni sotto copertura
anti-riciclaggio.
   Nell'ambito delle investigazioni giudiziarie, l'attività
della DIA ha consentito di raggiungere, specie nell'ultimo
periodo, notevoli successi nella lotta al crimine organizzato,
con il parziale conseguimento di alcuni degli obiettivi
strategici individuati dal Consiglio generale per la lotta al
crimine organizzato. Nel 1993 sono state coordinate 38
operazioni, a cui sono da aggiungere le 26 concluse nei primi
otto mesi del corrente anno.
   Tali iniziative - portate a termine dopo complesse
indagini svoltesi precipuamente in Sicilia, Calabria,
Campania, Puglia, Lombardia, Lazio, Toscana e Liguria, ma
coinvolgenti anche altre regioni - hanno consentito
l'emissione, sempre nel decorso anno, di 1.444 provvedimenti
restrittivi a carico di altrettanti affiliati ad
organizzazioni di tipo mafioso. A questi provvedimenti se ne
sono aggiunti altri 916 adottati dalla competenti autorità
giudiziarie nei primi otto mesi del 1994.
   Al conseguimento di questi risultati ha contribuito anche
l'apporto fornito dai collaboratori di giustizia affidati alla
DIA. In proposito va rilevato che lo stato di detenzione
extracarceraria di alcuni di questi presso strutture della
direzione ha determinato un cospicuo assorbimento di personale
e di mezzi, riproponendo in modo pressante l'esigenza di
esonerare il personale della DIA dalla tutela e
dall'assistenza dei collaboratori e di scindere in modo ancor
più netto i compiti di protezione da quelli più propriamente
investigativi. Con questo ribadisco un concetto maturato negli
anni e non solo una mia opinione.
   Va comunque evidenziato che la DIA, pur non trascurando
l'essenziale contributo offerto dai predetti collaboratori,
non ha omesso di attivare, attraverso un ponderato utilizzo di
fonti confidenziali ed indagini di iniziativa, complesse
inchieste nei confronti della criminalità organizzata. Il
programma di sviluppo delle iniziative in itinere si
conferma in crescita, come testimonia il costante incremento
delle operazioni in corso: attualmente 106, contro le 85 del
primo semestre 1993 e le 28 del dicembre 1992.
   Nell'ambito dell'attività investigativa sviluppata nei
confronti delle organizzazioni mafiose siciliane, che ha
portato complessivamente all'emissione di 519 provvedimenti
nel corso di 23 operazioni, la DIA, pur senza tralasciare la
pianificazione e l'attivazione di operazioni contro tutta la
grande criminalità organizzata, ha posto specifica - e, per
certi versi, necessitata - attenzione alle cosche di Cosa
nostra che avevano sconvolto l'opinione pubblica con le
efferate stragi perpetrate a Palermo in danno dei giudici
Falcone e Borsellino e con i successivi attentati dell'anno
1993 di Roma, Milano e Firenze.
   Grazie ad un intenso lavoro investigativo al quale gli
investigatori della DIA hanno offerto un contributo decisivo,
è stato possibile, già negli ultimi mesi del 1993, conseguire
i primi importanti esiti investigativi, in particolar modo per
quanto concerne le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Tali
indagini hanno permesso di ricostruire nel dettaglio le
dinamiche delle varie fasi degli attentati e di individuare
gli assassini dei giudici, i compartecipi, nonché i mandanti
di entrambi i delitti. Si è avuta così conferma che gli stessi
erano stati consumati per espressa decisione dei vertici di
Cosa nostra ed in particolare per volere del suo capo,
Salvatore Riina.
   La successiva attività investigativa, confermando
l'unicità del disegno criminoso e
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la sua connotazione mafiosa, ha permesso di individuare anche
i responsabili degli attentati di Roma, nei cui confronti la
locale procura della Repubblica ha richiesto numerosi ordini
di custodia cautelare.
   Nel complesso può affermarsi che è emerso un quadro dai
contorni definiti in ordine alle modalità attuative degli
attentati, alla responsabilità di esecutori e mandanti ed alle
finalità che gli stessi si ripromettevano di perseguire.
   Anche se si tratta di indagini ancora in corso di
svolgimento, suscettibili di ulteriori sviluppi, può sin d'ora
affermarsi che grazie ad uno straordinario e concorde impegno
di tutti gli organi dello Stato è stato possibile respingere
la violente offensiva delle cosche criminali.
   Attualmente, dopo una stagione di aperta conflittualità
con le istituzioni, Cosa nostra siciliana, sicuramente
duramente colpita ed in seria difficoltà, sembra aver iniziato
a perseguire, anche per necessità, una diversa strategia che,
in luogo degli strumenti della violenza, del terrore e della
sfida aperta allo Stato, preferisce avvalersi di quelli più
insidiosi dell'intimidazione locale e dell'infiltrazione dei
falsi pentiti, nel tentativo di riguadagnare le posizioni di
potere perdute. Non può comunque escludersi che tale disegno
criminale, ove non raggiunga gli obiettivi prefissati, possa
comportare nuovamente il ricorso ad azioni apertamente
terroristiche, finalizzate all'eliminazione di soggetti che
costituiscono a vario titolo simboli dell'impegno
antimafia.
   Se tale lavoro investigativo è stato quello che ha
suscitato il più ampio plauso da parte dell'opinione pubblica,
le iniziative che hanno positivamente sperimentato la nuova
metodologia operativa della DIA sono state molte altre. Per
tutte, valga citare l'operazione, dal grande impatto
psicologico, che ha consentito di assicurare alla giustizia
gli autori dell'omicidio dell'imprenditore Libero Grassi,
assurto a simbolo del mondo imprenditoriale siciliano che
vuole respingere le intimidazioni mafiose.
   L'attenzione riservata dagli organi di informazione e
dall'opinione pubblica alla mafia siciliana, le cui vicende
hanno ormai una risonanza internazionale, non deve indurre a
sottovalutare il peso e l'importanza delle altre
organizzazioni mafiose, prima fra tutte la 'ndrangheta
calabrese.
   Le inchieste svolte dalla direzione nei suoi confronti
sono state particolarmente penetranti ed hanno portato, in
poco più di due anni, alla conclusione di 15 operazioni, con
conseguente emissione di oltre 800 ordinanze di custodia
cautelare. Le stesse hanno permesso di acquisire piena
consapevolezza delle potenzialità criminali delle famiglie
mafiose sviluppatesi in provincia di Reggio Calabria.
   Nel panorama delle numerose iniziative investigative
portate a termine contro la 'ndrangheta, ritengo
particolarmente rilevante quella denominata "Siderno
group", che ha reso possibile accertare l'esistenza di
una vasta organizzazione criminale, composta da emigrati
calabresi provenienti da Siderno e dai paesi limitrofi, con
articolazioni in Canada, Stati Uniti ed Australia, che ha
movimentato per anni ingenti carichi di droga in almeno tre
continenti. L'indagine è proseguita con la costituzione a
Toronto di un gruppo di lavoro permanente, composto da
funzionari della DIA e degli altri organismi esteri
interessati, in modo tale da garantire uno sviluppo concordato
delle ulteriori investigazioni in varie parti del mondo, con
un costante scambio di notizie idoneo a non disperdere alcuna
risorsa informativa.
   Tra le iniziative più recenti, risalenti allo scorso mese
di agosto, va rammentato il sequestro preventivo di oltre 40
miliardi chiesto ed ottenuto dalla DIA nei confronti di beni
riferibili alla pericolosa cosca dei Labate di Reggio
Calabria. Nelle indagini si è riuscito ad evidenziare come le
imprese gestite dal sodalizio criminale non costituissero
soltanto un complesso criminoso destinato al riciclaggio, ma
anche uno strumento essenziale per la realizzazione delle
condotte criminali.
   L'intenso lavoro investigativo svolto nell'attività di
contrasto alle organizzazioni camorristiche dal 1992 ad oggi
ha consentito di portare a termine 10
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operazioni e di dare esecuzione a 249 ordini di custodia
cautelare.
   Le investigazioni, sia quelle già concluse che quelle in
avanzata fase di gestione, hanno dimostrato come la camorra,
apparentemente meno sanguinaria delle similari organizzazioni
dell'Italia meridionale, tenda innanzitutto ad aprirsi
notevoli varchi all'interno dell'amministrazione pubblica e
nella gestione dei pubblici appalti.
   Particolare rilievo ha assunto la collaborazione fornita
da personaggi in precedenza inseriti ai vertici della camorra,
le cui dichiarazioni, debitamente riscontrate, hanno permesso
alla magistratura di avviare procedimenti penali a carico di
esponenti politici, di magistrati ed anche di appartenenti
alle forze dell'ordine.
   Il crescente sviluppo dell'economia verificatosi in Puglia
negli ultimi anni è coinciso con una trasformazione delle
associazioni criminali, che hanno velocemente adeguato la
propria struttura, legata prevalentemente ad una economia
rurale, ad imitazione delle più note ed articolate
organizzazioni mafiose dell'Italia meridionale, stringendo con
le stesse veri e propri accordi o addirittura operando
congiuntamente nel perseguimento di comuni disegni
criminosi.
   Nel quadro di un'ampia strategia anticrimine dal 1992 ad
oggi, la DIA ha rivolto la sua attenzione a tale
organizzazione avviando una intensa attività investigativa che
ha consentito di concludere 14 operazioni, con l'esecuzione di
760 provvedimenti restrittivi nei confronti di altrettanti
affiliati a detta organizzazione criminale.
   Non sono stati trascurati - mi preme sottolinearlo - i
sodalizi criminali di natura mafiosa presenti anche nelle
regioni centrali e settentrionali. Al riguardo sono state
sviluppate numerose iniziative che hanno portato, da ultimo,
alla cattura di alcuni pericolosi latitanti, in possesso di un
rilevante arsenale di armi, evasi in occasione della nota fuga
dal carcere di Padova.
   Sin dalla sua nascita, la DIA, attraverso il reparto
all'uopo delegato, ha dato il massimo impulso all'attività di
indagine in campo internazionale, nel fondato convincimento
che la cooperazione tra gli organismi investigativi dei vari
paesi rappresenti il principale strumento per combattere
l'espansione della criminalità organizzata di stampo mafioso,
le cui illecite attività non conoscono frontiere. Le frontiere
le conoscono soltanto l'autorità giudiziaria e la polizia.
   A tal fine la DIA da una parte si è preoccupata di
rafforzare ed incrementare ulteriormente i rapporti già in
atto con le agenzie investigative estere, dall'altra ha
avviato contatti bilaterali e plurilaterali per ampliare gli
orizzonti info-operativi.
   Questa strategia si è dimostrata vincente, come dimostrano
i numerosi e lusinghieri risultati sinora conseguiti, sia
sotto l'aspetto squisitamente operativo che sotto quello della
pianificazione investigativa ad ampio respiro, consolidando
proficui rapporti di reciproca collaborazione con sempre più
numerosi omologhi organismi esteri, sempre nel rigoroso
rispetto delle proprie competenze istituzionali.
   Proficui contatti, che hanno favorito lo scambio di
reciproche esperienze, sono stati tenuti con l' FBI
(Federal Bureau of Investigation) statunitense, l' NCIS
(National Criminal Intelligence Service) inglese, il BKA
(BundesKriminalAmt) tedesco, il CRI (Centrale
Recherche Informatienst) olandese, la Polizia federale
australiana, l'EDOK (Ufficio specializzato austriaco per la
lotta alla criminalità organizzata) ed il TRACFIN (ufficio
specializzato francese, competente in materia di
riciclaggio).
   Sono ormai numerose le indagini già concluse nelle quali
ha assunto un valore determinante la collaborazione
internazionale tra agenzie investigative. Rimanendo al solo
caso del FBI, basti citare la collaborazione fornita dagli
americani nelle indagini sulle stragi di Capaci e di via
D'Amelio, l'adesione al gruppo di lavoro sul "Siderno
group" e la collaborazione nelle indagini connesse al
processo svoltosi negli Stati Uniti contro John Gambino.
   Sono stati, inoltre, incrementati rapporti di cooperazione
info-operativa con gli organismi investigativi esteri,
concentrando l'attenzione sull'aspetto più
Pagina 230
peculiare della DIA; quello delle indagini preventive
internazionali.
   Il tema dell'espansione del fenomeno concernente la
criminalità organizzata si è arricchito, di recente, di un
nuovo capitolo, relativo ai paesi dell'est europeo. Per fare
fronte al sempre più preoccupante fenomeno dell'interscambio
criminoso tra le cosche italiane e quelle dell'Europa
orientale, si sono moltiplicati gli incontri con gli organismi
investigativi dei paesi direttamente interessati.
   In tale contesto va inquadrato l'incontro quadrilaterale
tra DIA, BKA, FBI e HVOK del ministero dell'interno russo,
svoltosi in Germania, a Wiesbaden, dal 19 al 22 luglio scorso,
al quale ho personalmente partecipato. I lavori, ai quali ha
anche presenziato, su sua richiesta, una delegazione della
polizia federale canadese, sono serviti tra l'altro per
mettere a confronto le esperienze investigative dei paesi
partecipanti e fare il punto sulla lotta alla criminalità
organizzata nei rispettivi territori. Inoltre, sono stati
approfonditi i temi relativi al traffico delle sostanze
stupefacenti, al riciclaggio ed ai collegamenti esistenti tra
le organizzazioni criminali dell'Europa occidentale e quelle
dei paesi dell'est. E' emerso, tra l'altro, che organizzazioni
criminali russe, già molto attive, specie nelle attività di
riciclaggio, in Germania, in Canada e nei paesi del Benelux,
sarebbero in procinto di espandersi su nuovi territori
dell'Europa occidentale.
   L'incontro ha consentito di far emergere l'attualità e
pericolosità del sistema mafioso ed ha rafforzato il
convincimento della necessità di un effettivo e concreto
accordo info-operativo, consacrato nella sottoscrizione di una
comune dichiarazione di intenti. Tale atto, superata la fase,
ormai già realizzata, della attivazione di canali diretti di
comunicazione tra Mosca, Washington, Wiesbaden e Roma, ha
trovato il suo momento qualificante nella costituzione di un
gruppo di intelligence con il compito di raccogliere,
elaborare ed analizzare sistematicamente le informazioni
disponibili nei paesi partecipanti in ordine ai gruppi
criminali attivi in campo internazionale, con lo scopo
precipuo di condurre indagini coordinate.
   In sede di riunione quadrangolare, la DIA ha potuto far
valere, nonostante la sua giovane età, la propria specifica
esperienza, maturata attraverso originali iniziative di
analisi ed investigazioni preventive, inaugurate già da tempo
con la collaborazione degli organismi investigativi tedeschi e
statunitensi, di cui ho già parlato.
   Ho terminato la mia esposizione e mi scuso se mi sono
dilungato nella prospettazione delle tematiche di interesse.
Ho giudicato, tuttavia, doveroso fornire alle signorie loro un
quadro informativo il più possibile completo ed aggiornato
sulla DIA, sui risultati conseguiti, sull'attualità del suo
sistema di intelligence e sulle sue prospettive,
cercando, in particolare, di evidenziare le linee
programmatiche che caratterizzeranno il mio mandato, nel segno
di una armonica e convinta continuità con gli indirizzi
strategici perseguiti dai precedenti direttori.
  PRESIDENTE. Ringrazio il generale Verdicchio. Passiamo
alle domande.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Innanzitutto ringrazio il dottor
De Gennaro ed il generale Verdicchio, i quali hanno svolto una
relazione molto puntuale, anche se purtroppo il tema del
rapporto tra mafia e politica non è stato approfondito;
comunque questo formerà oggetto forse di ulteriori
relazioni.
   Mi preme formulare una domanda in ordine agli attentati,
ai quali hanno già fatto riferimento il ministro Maroni in
precedenza ed il dottor De Gennaro oggi, perché è un tema che
viene sempre affrontato con molta genericità. Credo che
bisognerebbe cercare di fornire alla Commissione elementi più
precisi per quanto riguarda sia le persone che hanno
organizzato questi attentati, sia gli obiettivi degli
attentati, sia il modo in cui questi attentati sono stati
sventati. Si tratta di un tema del quale la Commissione non
può non essere informata, anche per capire se la preziosa
opera di neutralizzazione di fatti di
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estrema gravità sia da attribuire alla collaborazione dei
cosiddetti pentiti oppure ad altre attività investigative.
Desidererei cioè che da parte dei due responsabili che abbiamo
sentito venisse una risposta un po' più esauriente (magari con
la segretezza che il caso richiede) sul problema degli
attentati.
   Vorrei inoltre cercare di sollecitare delle risposte
riguardanti il coinvolgimento di organi istituzionali nei
rapporti tra mafia e politica (ne ha fatto cenno il generale
Verdicchio, il nuovo capo della DIA, al quale formuliamo i
migliori auguri) sia pure nel rispetto della segretezza delle
indagini. Però non è possibile che molto spesso i giornali
parlino di cose di cui la Commissione antimafia deve venire a
conoscenza soltanto in un secondo momento. Fermo restando,
quindi, l'obbligo per i componenti la Commissione antimafia di
mantenere il riserbo su tutte le notizie di cui siamo
informati, anche su questi rapporti che sono stati accertati
dalla DIA sarebbe opportuno avere risposte un po' più
esaurienti.
  GIROLAMO TRIPODI. Abbiamo ascoltato le relazioni del
direttore della Criminalpol, dottor De Gennaro, e del
direttore della DIA, generale Verdicchio, ed abbiamo acquisito
molte informazioni, relative anche al ruolo della Direzione
investigativa antimafia.
   Tutti riconosciamo i risultati che fino a questo momento
sono stati raggiunti grazie all'impegno della DIA. Vorremmo
sapere quale sia oggi, dopo le operazioni che sono state
elencate anche dal generale Verdicchio, la realtà criminale e
mafiosa. Noi che veniamo da zone ad alto rischio, come la
Calabria, la Sicilia, la Campania, la Puglia, cioè dalle zone
maggiormente colpite dalla presenza mafiosa, vorremmo
conoscere quale sia oggi la situazione attuale della presenza
delle organizzazioni mafiose dopo questi risultati, dopo
queste operazioni; è una domanda che abbiamo posto anche ad
altri e sulla quale insistiamo.
   Chiedo se non si evidenzino elementi di preoccupazione in
ordine ad una ripresa dell'organizzazione criminale, del
controllo del territorio, anche attraverso forme nuove, ma che
comunque denotano che la mafia è in ripresa, dopo i colpi che
ha subìto anche a seguito del grande impegno della DIA. Questa
è la prima domanda.
   La seconda domanda, collegata a quella precedente,
riguarda una situazione di stallo che si sta registrando per
quanto concerne la cattura dei latitanti. Non è che la cattura
di Riina abbia sconfitto l'esercito di latitanti esistente in
ogni regione; vi sono ancora latitanti potenti, sia siciliani,
quelli che hanno sostituito la direzione della cupola - se
l'hanno sostituita, ancora non lo sappiamo esattamente - dopo
la cattura di Riina, sia in altre zone del paese.
   Vorremmo quindi sapere cosa sia accaduto e perché non si
registri lo stesso impegno, la stessa tensione in ordine alla
cattura dei latitanti, che poi rappresentano uno dei punti
chiave della presenza sul territorio e quindi
dell'organizzazione dell'attività criminale e delle stesse
cosche. La terza domanda si ricollega al fatto che il generale
Verdicchio ha parlato di individuazione di penetrazioni di
falsi pentiti nell'ambito dell'azione condotta e dei risultati
ottenuti a seguito della collaborazione del pentiti. Vorremmo
avere, se possibile, qualche dato più preciso, non solo quelli
di cui abbiamo avuto notizia dai giornali e che riguardano ciò
che è avvenuto a Napoli; vorremmo sapere qualcosa di più, se
il fenomeno è più esteso e come avviene. Chiediamo quale sia,
in questa strategia, la peculiarità dell'intervento dei falsi
pentiti e quale sia l'obiettivo. Certamente, l'obiettivo è
quello di contribuire alla manovra in corso tendente a
delegittimare il ruolo dei pentiti e questo strumento che è
stato decisivo nella battaglia contro la criminalità
organizzata.
   E' in atto una manovra molto vasta; le vicende che avevano
portato alla rimozione, per così dire alla cacciata - non
sappiamo se poi è stata realizzata - di due personalità
impegnate nella lotta alla criminalità organizzata, come il
dottor
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Vigna ed il dottor Grasso, dalla commissione centrale sui
pentiti...
  LUIGI RAMPONI. E' già stata smentita.
  GIROLAMO TRIPODI. E' stata smentita, ma non basta,
vogliamo avere maggiori chiarimenti, perché la notizia è stata
diffusa.
   Vorrei conoscere l'opinione del dottor De Gennaro e del
generale Verdicchio sui pentiti, se cioè dobbiamo andare
avanti su questa strada, respingendo le manovre tendenti a
delegittimare l'azione contro la criminalità, oppure se
dobbiamo intraprendere nuove iniziative. In quest'ultimo caso,
a mio avviso, si realizzerebbe l'obiettivo di quelli che non
vogliono più combattere la mafia.
   Il dottor De Gennaro, dopo il trasferimento dalla DIA, è
stato nominato capo della Criminalpol; vorrei sapere come
viene realizzato il coordinamento tra la DIA, i ROS dei
carabinieri, lo SCO della polizia e il GICO della Guardia di
finanza. Il suo ruolo le consente di svolgere anche l'incarico
di coordinamento di queste forze autonome?
   Il generale Verdicchio ha esposto in modo dettagliato il
ruolo e la normativa della legge istitutiva della DIA, che
abbiamo contribuito ad elaborare e poi ad approvare; mi sembra
che essa preveda che la DIA svolga autonomamente attività di
investigazione, oltre che su delega dell'autorità giudiziaria.
Recentemente, in un incontro a Reggio Calabria, abbiamo
ascoltato il vicedirigente della DIA, il quale ha dichiarato
che fino a questo momento ha operato soltanto su delega.
Vorrei sapere se ciò si verifichi da per tutto e, se così non
è, vorrei che mi dicesse dove si riscontrino altri elementi di
confusione.
   Infine vorrei avere maggiori informazioni sull'azione
della direzione nazionale rispetto alle sedi periferiche in
materia di coordinamento e se vengono impartite disposizioni
dettagliate sul modo di operare.
  TULLIO GRIMALDI. Il generale Verdicchio ha svolto una
eccellente parafrasi della legge istitutiva della DIA, senza
dubbio utile, ma forse non necessaria in questa sede, visto
che essa è stata approvata dal Parlamento.
   Mi chiedo se, rispetto all'esposizione che lei ha fatto
della dislocazione delle forze e dell'articolazione dei vari
uffici, non vi sia un contrasto con lo spirito che ha dettato
l'approvazione della legge istitutiva della DIA. Sembrerebbe,
dal testo della legge, che i compiti di intelligence,
cioè di investigazione preventiva, debbano essere i compiti
principali ai quali fanno da supporto gli strumenti di
investigazione giudiziaria, altrimenti la DIA non sarebbe
altro che una superpolizia. A questo proposito le domando se è
vero che su 1.400 effettivi della DIA (notizie che ho ricevuto
da fonti interne) soltanto 60-70 ufficiali sono utilizzati in
attività di intelligence, mentre tutti gli altri
svolgono compiti di investigazione giudiziaria, che dovrebbero
essere demandati ai normali corpi di polizia.
   Inoltre vorrei sapere se le risulta che i rapporti fra la
DIA e la direzione nazionale antimafia siano pressoché
inesistenti; in particolare vorrei sapere quali operazioni
siano state svolte su delega della DIA e come siano state
utilizzate le attività di investigazione rispetto ad
operazioni condotte dalla DNA. Dislocare sul territorio nuclei
della DIA in collegamento con le direzioni distrettuali
antimafia non fa altro che confondere e sovrapporre le
funzioni di investigazione di polizia giudiziaria con quelle
di investigazione giudiziaria.
   Per quanto riguarda la gestione dei pentiti, o
collaboratori della giustizia che dir si voglia, vorrei sapere
se essa sia demandata alla DIA, peraltro da una disposizione
interna, perché non mi risulta che ciò sia previsto in una
legge; mi pare che oggi anche il direttore della DIA si sia
detto contrario a che la gestione di quei soggetti sia
affidata alla DIA, che ha tutt'altri compiti. Viceversa la
loro protezione dovrebbe essere attribuita ad altri organi,
sotto la direzione dell'autorità giudiziaria che svolge anche
le investigazioni sul loro conto.
   Come abbiamo detto al ministro, e ripetuto più volte,
dovremmo attuare una
Pagina 233
strategia globale di lotta al crimine in cui la DIA dovrebbe
divenire una sorta di cervello investigativo con il compito di
redigere una mappa ricognitiva sulla penetrazione delle
organizzazioni criminali in tutti i settori della vita del
paese.
  ANTONIO BARGONE. La prima domanda riguarda lo stato
attuale della lotta alla mafia. Vorrei ricordare che in questa
sede il ministro Maroni ha parlato di una strategia
terroristica ed ha anche lanciato un'allarme per il prossimo
autunno, che poi in qualche modo, nelle successive audizioni,
è stato ridimensionato.
   Il procuratore nazionale antimafia ha parlato di un calo
di tensione nella lotta alla mafia, facendo anche riferimento
all'esigenza di una maggiore collegialità da parte delle
istituzioni, e del Governo in particolare, nella lotta alla
mafia, che non deve essere delegata soltanto al ministro
Maroni.
   Da tutto ciò ho tratto l'impressione che le idee non siano
chiare; perciò vorrei sapere dal dottor De Gennaro e dal
generale Verdicchio se abbiano elementi, alla luce delle
investigazioni e delle iniziative in corso, per affermare che
per il prossimo autunno sia probabile un'offensiva della mafia
e se essa si accompagni ad un tentativo di ritrovare uno
spazio, un'accordo, con il potere politico.
              PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
                      LUIGI RAMPONI
  ANTONIO BARGONE. Vorrei sapere se questo calo di
tensione potrebbe essere interpretato come il segnale che il
rapporto sinergico che si è realizzato negli anni precedenti,
nel periodo della coabitazione - come ha osservato la
precedente Commissione antimafia -, si stia ricostituendo.
   La seconda domanda riguarda l'organizzazione; il ministro
Maroni ha parlato di un progetto per la riorganizzazione del
servizio di sicurezza e della possibilità di assegnare un
ruolo diverso alla Criminalpol ed alle squadre mobili, facendo
chiaro riferimento al decentramento ed alla
professionalizzazione. Non mi è chiaro quale dovrebbe essere
il ruolo della Criminalpol, se, come dice il ministro, si sta
progettando di rilanciarne il ruolo ed il rapporto con la DIA.
A proposito di quest'ultima, la relazione parla di una sua
primazia; vorrei sapere come si intenda garantirla, perché o
la DIA interviene direttamente, oppure, se non viene attuata
la disposizione legislativa che prevede la confluenza dei ROS,
GICO, SCO e così via, si porrà un problema di coordinamento,
affinché la DIA possa svolgere quei compiti istituzionali che
la legge stessa prevedeva. Tutto questo mi sembra venga in
qualche modo ostacolato da una confusa definizione legislativa
dei ruoli di ciascuno, ma anche da alcune situazioni di fatto
che si sono create. Ciò mi pare particolarmente grave,
soprattutto per quanto riguarda l'azione di contrasto
all'economia criminale; su questo versante c'è bisogno di
professionalizzazione e di svolgere indagini particolarmente
delicate, anche attraverso l'uso di strumenti molto
sofisticati. Naturalmente, se manca il coordinamento, ma vi è
sovrapposizione tra le varie attività, le conseguenze saranno
negative o comunque potrà verificarsi una dispersione del
lavoro svolto. Quindi, vorrei sapere come si intende risolvere
il problema del coordinamento per quanto concerne il ruolo
della DIA in rapporto alla Criminalpol.
   Infine, dalla relazione risulta che il responsabile
generale della DIA, il capo della polizia ed il direttore
generale della PS operano su delega del ministro dell'interno.
Questa previsione si riferisce al quadro legislativo vigente,
però il ministro ha anche detto che la DIA deve dipendere
gerarchicamente dalla Criminalpol e svolgere, all'interno di
un ruolo diverso e più vasto della Criminalpol stessa,
un'attività investigativa. Che significa ciò? Su questo punto
le idee sono chiare? Lo chiedo al dottor De Gennaro perché il
ministro Maroni ha detto di aver affidato a lui il compito di
articolare questo progetto.
  RAFFAELE BERTONI. Il generale Verdicchio è intervenuto
specificamente sul problema dei collaboratori di giustizia;
pertanto voglio rivolgere a lui ed al prefetto
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De Gennaro una domanda relativa alle dichiarazioni che
ieri tutti i giornali attribuivano al sottosegretario per
l'interno Marianna Li Calzi. Secondo l'intervistata sarebbe in
preparazione un decreto ministeriale con cui, tra l'altro, si
subordinerebbe il programma di protezione dei pentiti ad una
loro preventiva "dichiarazione d'intenti" circa il complesso
delle rivelazioni che i pentiti stessi intendono fare. In
questo modo, con una fonte normativa assolutamente impropria,
si pongono le premesse per stabilire che i collaboratori di
giustizia debbono subito rivelare ciò che sanno, per escludere
che notizie rivelate in un secondo momento siano rilevanti
processualmente. Questa decisione - non solo a mio avviso -
sarebbe estremamente grave. E' parimenti estremamente grave la
dichiarazione dell'onorevole Li Calzi, perché si accompagna a
messaggi ed interventi di vario tipo, per ora frammentari,
spesso equivoci, tuttavia unificati da un disegno unitario
diretto a screditare la validità del contributo che i
collaboratori della giustizia hanno dato e danno nella lotta
contro la mafia. Chiedo allora al dottor De Gennaro e al
generale Verdicchio se concordino con un'ipotesi di questo
genere, o se invece ritengano che i collaboratori della
giustizia, in qualsiasi momento rendano le loro dichiarazioni
(come ha detto Siclari), debbano essere valutati con la
professionalità necessaria da parte degli inquirenti e degli
organi della magistratura e se le loro informazioni possano
essere accettate come elementi di prova nei confronti dei
mafiosi accusati.
   Il generale Verdicchio ha fatto esplicito riferimento alla
camorra. A tale proposito, rivolgo una domanda molto semplice,
alla quale però vorrei avere una risposta altrettanto
semplice: perché la polizia non ha mai localizzato un
commissariato di polizia a Napoli, nei Quartieri, dove fino a
poco tempo fa dominava il clan Mariano e dove ora
(lasciatemelo dire perché qualcosa in proposito ne so anch'io)
dominano indisturbati gli eredi di quel clan? Perché non si
impone al prefetto Improta e al questore Lo Masso di prevedere
un commissariato di polizia nei Quartieri? Spero che i nostri
due interlocutori sappiano cosa sono i Quartieri di Napoli.
Certamente lo sanno, ma non come me!
   Aggiungo che in ordine al primo punto su cui mi sono
soffermato, invierò, insieme ad altri colleghi, una lettera
alla presidenza perché assuma le opportune iniziative al fine
di conoscere l'opinione del ministro Maroni a proposito delle
dichiarazioni del suo sottosegretario. Naturalmente l'ufficio
di presidenza ne dovrà informare la Commissione ed io mi
pregerò di comunicare all'esterno quale sia stata la decisione
assunta; non credo risulti da alcuna norma regolamentare che
questo organo sia tenuto al rispetto del segreto. Se vi è poi
una promessa che la democrazia non ha mantenuto è proprio
quella del rispetto del principio del "pubblico in pubblico".
Francamente mi sembra eccessivo che si predichi qui la regola
in base alla quale si dovrebbe mantenere segreta persino
l'attività di un organo della Commissione.
  PRESIDENTE. Ma su questo dobbiamo essere tutti
d'accordo, non c'è bisogno di istituire un ufficio, un
comitato...
  RAFFAELE BERTONI. Ognuno può riferire quello che ha
ascoltato. Se la Commissione decide di rendere segreto un
fatto, una notizia o un documento, nessuno di noi si
permetterà di parlarne, ma fino a quando ciò non avverrà,
ritengo di poter rendere note le notizie acquisite in
Commissione.
  PRESIDENTE. Ha ragione, senatore Bertoni, basta che il
presidente non abbia affermato che non è il caso di divulgare
determinate notizie; se poi un'ora dopo le medesime notizie
sono divulgate...
  RAFFAELE BERTONI. Certo, è cosa diversa se si tratta di
notizie segrete.
  PRESIDENTE. Voglio solo chiarire che si tratta di una
questione di impegno personale, che poi potremo definire al
nostro interno.
Pagina 235
   RAFFAELE BERTONI. Allora è una questione di comunicazione
preliminare da parte del presidente circa la segretezza di
talune informazioni. Mi dispiace che l'onorevole Parenti non
presieda in questo momento la Commissione.
  GIUSEPPE AYALA. Per quanto mi sia sforzato, non riesco a
trovare una domanda che non sia già stata posta dai colleghi
che mi hanno preceduto, il che alleggerirà di molto il mio
intervento. Al di là della battuta, mi piacerebbe costituisse
oggetto delle risposte che ci verranno fornite il quesito che
si è diffuso (i nostri ospiti lo sanno meglio di me), a torto
o a ragione, anche negli ambienti operativi e che posso così
sintetizzare: la DIA è di fatto diventata una quarta polizia,
oppure no? E' questo il problema centrale, che non attiene,
come è stato già accennato, ai rapporti del servizio
investigativo preventivo o di quello internazionale, ma
riguarda il servizio investigativo giudiziario (con le varie
sigle, che è inutile ripetere perché le conosciamo ormai tutti
a memoria, appartenenti a diverse amministrazioni) e
nell'ambito del Ministero dell'interno i rapporti, che anche
l'onorevole Bargone richiamava, tra DIA e Criminalpol, con
particolare riguardo al nuovo progetto sul quale vorremmo
saperne di più.
   La seconda questione che vorrei porre riguarda i
pentiti.
                PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
                     TIZIANA PARENTI
  GIUSEPPE AYALA. Ciascuna persona ragionevole non può non
concordare sul fatto che non guasterebbe che i problemi di
tutela e protezione dei pentiti fossero affidati ad un
organismo del tipo dei marshall americani, che hanno
proprio questo specifico compito ma non certamente quelli di
polizia giudiziaria. Molto spesso, ciò che in linea di
principio appare migliore, si arresta di fronte a difficoltà
oggettive; ma allora, secondo voi, ammesso che si dovesse
costituire ex novo questo tipo di servizio, che non mi
risulta esista, che tipo di organico comporterebbe? Qualcuno
sostiene che ci vorrebbero almeno diecimila uomini per gestire
il totale dei pentiti, dei familiari e probabilmente anche dei
testimoni. Se questo dovesse rispondere a verità si porrebbe
un grosso problema e sicuramente non si arriverebbe mai a
questo tipo di alternativa che a mio avviso sarebbe ottimale;
in questo caso, infatti, non si risolverebbe il problema della
gestione di pentiti da parte di organismi che hanno anche
compiti di polizia giudiziaria, su cui peraltro molti non
concordano e probabilmente in linea di principio è giusto che
sia così.
   Il ministro Maroni ha lanciato l'allarme sugli attentati
(per la verità ha parlato di timore di attentati); a tale
proposito vorrei sapere quale sia, a giudizio dei nostri
ospiti, lo stato attuale degli equilibri interni a Cosa nostra
e il ruolo che Riina riveste, se lo riveste ancora, malgrado
la sua cattura, giunta dopo 23 anni di latitanza trascorsi a
Palermo, ed anche malgrado l'articolo 41-bis della legge
sull'ordinamento penitenziario, che saggiamente gli è stato
applicato. Dico questo perché a suo tempo mi convinsi (tant'è
vero che ne chiesi l'assoluzione nel pubblico dibattimento)
che Luciano Liggio, del quale si diceva che Riina e Provenzano
fossero i suoi luogotenenti, da anni non contasse più niente.
Al momento di chiederne la condanna, dopo 14 anni costanti di
detenzione, francamente non me la sono sentita (si fosse
trattato di qualche delitto specifico il discorso sarebbe
stato naturalmente diverso) e ne chiesi quindi l'assoluzione.
Certamente questo non è un dato incoraggiante perché, se Riina
non è più pericoloso, ci sarà qualcun'altro che magari è
ancora peggio di lui, forse più sanguinario.
   Ho posto la questione per cercare di capire quale sia
l'assetto interno a Cosa nostra, anche in considerazione del
fatto che dopo dieci anni di impegno costante nel settore, da
tre anni sono ormai fuori dall'aspetto operativo delle
indagini, anche se seguo sempre l'evoluzione del fenomeno,
com'è mio dovere anche in qualità di componente di questa
Commissione. Su questo aspetto, quindi, vorrei conoscere il
Pagina 236
pensiero dei nostri ospiti e le informazioni a loro
disposizione.
   Lei, generale Verdicchio, ha poi fatto un riferimento
scontato, che io condivido, al rischio dei falsi pentiti. E'
inutile ora ripercorrere episodi che lei ha vissuto in prima
persona; vorrei solo sapere se questo suo riferimento de
plano, considerata la sua competenza nella materia, sia
dato per scontato (ma non lo è per me), o se invece sia frutto
di informazioni precise. Chiedo, in sostanza, se avete
elementi precisi e concreti (non voglio sapere i nomi) per
affermare che esiste una strategia attuale della mafia volta
ad infiltrare tra i pentiti veri, che sono sicuramente la
maggioranza, anche quelli falsi, nell'ambito di un disegno di
delegittimazione complessiva. Vi è, cioè, un problema di
delegittimazione esterna, che fa capo anche ad esponenti
politici ed un problema di delegittimazione interna, che
sfrutterebbe il canale dei falsi pentiti.
   Vorrei, infine, rivolgere una domanda riassuntiva anche
per colmare quei vuoti sicuramente presenti nel mio
intervento. Considerato che tra i compiti della nostra
Commissione vi è anche quello della verifica dello stato
attuale della legislazione antimafia, cosa ritenete utile si
debba fare sul piano normativo per rendere nel complesso più
efficienti i compiti istituzionali della DIA e della polizia
giudiziaria?
              PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
                      LUIGI RAMPONI
  ALESSANDRA BONSANTI. Vorrei soffermarmi sul problema
generale dell'attuale strategia di Cosa nostra; se possibile,
poi, vorrei si facesse un ulteriore approfondimento su
un'altra questione. Nella sua relazione il generale Verdicchio
sostiene che la diversa strategia del vertice della mafia si
avvale dell'intimidazione locale e dell'infiltrazione dei
falsi pentiti. A tale proposito, vorrei anch'io sapere se
esistano casi concreti di infiltrati, non di falsi
pentiti...
  RAFFAELE BERTONI. Questo è il punto!
  ALESSANDRA BONSANTI. Vorrei sapere se esistano casi di
infiltrati dalla mafia con lo scopo di dare false
informazioni, voglio solo sapere se esistono, non chi sono.
Nella relazione si dice anche che l'infiltrazione di falsi
pentiti è volta a riguadagnare le posizioni di potere perdute
e che, ove non si raggiungessero gli obiettivi prefissati, si
ricorrerebbe ad azioni terroristiche, cioè all'eliminazione di
soggetti che in prima persona costituiscono un simbolo e
magari anche un rischio dell'impegno antimafia. Cosa significa
l'espressione "nel tentativo di riguadagnare le posizioni di
potere perdute"? E' possibile approfondire questo concetto? E'
incluso in esso anche il ricatto che ha subito lo Stato sul
41-bis e sui pentiti?
   Vorrei poi passare all'argomento dei denari illeciti, cioè
del riciclaggio. Vorrei chiedere ad entrambi i nostri
interlocutori notizia di quanto accade intorno ai centri
storici. Si sa, in particolare, chi e cosa si muova attorno al
centro storico di Palermo?
   E' stato anche detto che vi sarebbero interessi che
riguardano l'informazione. Anche su questo mi piacerebbe avere
qualche dato più preciso: ci si riferisce ad impianti, quali
ripetitori, oppure televisioni private? Mi piacerebbe, ripeto,
che si approfondisse tale questione, così come quella relativa
al traffico di armi, che spesso viene dimenticata.
   Si pone poi il problema dei collegamenti tra la mafia e le
logge segrete della massoneria. Vorrei sapere in che modo si
stia procedendo in questo ambito e se voi riteniate, come mi
pare di capire ritenga il dottor Cordova, che la legislazione
attuale non aiuti lo scioglimento di tali logge. Vorrei quindi
sapere cosa ritenete si debba fare per facilitare il vostro
compito e se siate in possesso di qualche notizia precisa sul
centro di controspionaggio di Firenze che per vent'anni è
stato affidato alla stessa persona, Mannucci Benincasa,
attualmente inquisito.
  CORRADO STAJANO. Qual è, dottor De Gennaro, secondo la
sua profonda esperienza, il giudizio di pericolosità su
Pagina 237
Cosa nostra oggi? In che momento siamo? Osservando il
passato, poi, è sempre facile storicizzare, ma adesso si può
dire che le spine di Cosa nostra, gli strumenti del ricatto
politico, siano i pentiti e il 41-bis?
  CONCETTO SCIVOLETTO. Pongo brevemente quattro domande.
In primo luogo, sul terreno generale, l'attuale fase della
lotta contro la mafia - è stato detto anche da altri colleghi
- è caratterizzata da un'apparente calma o comunque dalla
mancanza di atti eclatanti e, a mio avviso, da un reale
movimento delle cosche mafiose. Si attenua l'azione dello
Stato nei confronti della lotta contro la mafia? Sta cercando,
la mafia, di consolidare nuove interlocuzioni politiche oppure
è in difficoltà rispetto ai colpi ricevuti negli ultimi anni,
e quindi punta in qualche modo a delegittimare gli strumenti
utilizzati nella lotta condotta dallo Stato? Oppure sta
organizzando nuove strategie di intervento nella società
italiana?
   La seconda questione riguarda le zone cosiddette
tranquille; in ogni realtà regionale - per esempio in Sicilia
- o nel contesto nazionale esistono zone che vengono
storicamente definite tranquille. A mio giudizio, queste zone
- penso ad alcune province siciliane, da Ragusa ad Enna, ma
anche a talune aree del nord - acquistano un ruolo sempre più
strategico in rapporto ad una funzione sia di retrovia
logistica sia di aree indisturbate di reinvestimento. Quali
sono in merito le valutazioni dei nostri illustri ospiti, che
ringrazio per aver accolto il nostro invito e per le relazioni
che hanno svolto? Ritengono che l'attenzione rivolta dallo
Stato in queste aree e l'azione di contrasto siano adeguate e
sufficienti?
   La terza questione concerne l'usura. Parlo non del
fenomeno antico ma di quello attuale, caratterizzato da una
virulenza drammatica. Rispetto a questo problema mi permetto
di formulare le seguenti domande: come va valutato, sul
terreno qualitativo e su quello quantitativo, l'apporto di
capitali sporchi, di provenienza illecita, al fenomeno
dell'usura? Vi sono state una fase ed una motivazione
particolari, per cui ad un certo punto la mafia ha deciso di
utilizzare anche questo canale, cioè di riciclare risorse
illecite tramite l'usura?
   L'ultima questione riguarda i piani regolatori generali:
sono in corso le procedure di elaborazione o di varianti
generali a tali piani, per quanto mi risulta, in moltissimi
comuni siciliani e meridionali. Queste procedure
costituiscono, secondo voi, occasione specifica - non generica
- per attività finanziarie mafiose, vale a dire di
riciclaggio, puntando alla trasformazione di aree
inedificabili in aree edificabili? Esistono in proposito
elementi e dati precisi?
  GIANVITTORIO CAMPUS. Mi associo anch'io ai complimenti
ed ai ringraziamenti nei confronti del dottor De Gennaro e del
generale Verdicchio, non tanto per le considerazioni svolte
oggi quanto per ciò che hanno fatto finora per contrastare la
mafia e per tutelare lo Stato, con la speranza di poterli
ringraziare ancora per quanto faranno in futuro.
   Porrò due domande; la prima si riallaccia ad un aspetto
già sollevato. E' per noi fondamentale poter discutere dei
rapporti tra mafia e politica; si è parlato di potenziamento,
di miglioramento e di necessità di maggiore repressione e
prevenzione: allora forse qualcosa impediva una completa
funzionalità della DIA e degli altri apparati preposti alla
lotta alla mafia. Riallacciandomi anche a quanto affermato
dall'onorevole Ayala, siamo qui per sapere cosa vi occorra per
poter condurre la lotta anche e soprattutto a livello delle
connivenze, o meglio dello strettissimo intreccio tra mafia e
politica. La nostra è una Commissione composta di parlamentari
forti di un mandato ricevuto direttamente da chi ci ha eletti,
e sentiamo ancora di più il dovere di tutelare la società
civile che ci ha delegato a rappresentarla; siamo qui anche
per esprimere a voi, che siete in trincea, un senso di
serenità e per darvi assicurazione circa la possibilità di
lavorare senza alcuna costrizione politica, proprio perché non
esistono più, e non devono più esistere, né santuari né aree
protette. Voi
Pagina 238
dovete sapere di avere da parte della classe politica
l'assoluta libertà di agire contro uomini che hanno fatto
politica, che hanno governato e che potrebbero tornare a farlo
se noi non riusciremo a stroncare la connivenza tra mafia e
politica.
   Si tratta di un aspetto fondamentale. Aspettiamo
eventualmente da voi, come diceva l'onorevole Ayala, dei
consigli su ciò che il Parlamento ed il Governo dovranno fare
per garantirvi ancora più strumenti per colpire questa parte,
che purtroppo per tanti anni non è stata colpita e che solo
ora si inizia ad indagare e ad incriminare.
                PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
                     TIZIANA PARENTI
  GIANVITTORIO CAMPUS. La seconda domanda è molto breve e
specifica: vorreisapere chi siano i collaboratori esterni - mi
riferisco non ai pentiti, ma ai collaboratori tecnici, cui ha
accennato il generale Verdicchio parlando del dipartimento
studi e ricerche della DIA -, quale sia il loro compito e
soprattutto quale sia il loro costo e la loro efficacia.
  VITO CUSIMANO. Debbo ripetere alcune considerazioni già
svolte, perché ognuno di noi rappresenta una parte politica e
quindi deve esprimere esattamente il proprio pensiero.
Ringrazio innanzitutto il prefetto De Gennaro ed il generale
Verdicchio per le loro relazioni (ho molto apprezzato i
risultati ottenuti in così poco tempo), ed auguro loro buon
lavoro per il futuro.
   Una cosa mi preoccupa, ed è il problema del controllo del
territorio: un precedente commissario antimafia, in diverse
interviste e in diversi contatti con forze politiche, ha
dichiarato la necessità di iniziare a riconquistare il
controllo del territorio, prevedendo la sconfitta della mafia
oltre l'anno 2000 e preoccupando così moltissimo le vittime
dell'attacco della mafia. Il generale Verdicchio ha parlato di
appropriazione di attività commerciali da parte di
organizzazioni criminali, ed è la cosa più semplice, perché in
mancanza di un controllo statale, il territorio viene
controllato dalla criminalità organizzata. Quest'ultima impone
tra l'altro una propria tassa, la cosiddetta protezione, non
solo all'attività commerciale, ma anche alla piccola e media
industria; la mafia è arrivata a chiedere il pagamento di una
tassa anche per le attività imprenditoriali e professionali.
E' questo l'aspetto fondamentale. D'altro canto - voi siete
molto esperti, mentre io sono un dilettante - se molti
latitanti non vengono catturati è perché restano nel proprio
territorio, perché godono della protezione (con l'iniziale
maiuscola). Abbiamo anche appreso che la protezione è non solo
delle cosche ma anche forse - anzi, senza il forse - dei
politici, tanto che la magistratura in quest'ultimo periodo ha
denunziato alcuni politici anche con responsabilità
ministeriali per connivenza con la criminalità organizzata. La
totale riconquista del territorio da parte dello Stato,
dunque, costituisce il fattore più importante per distruggere
la mafia. Quando e come, secondo i nostri cortesi
interlocutori, si potrà ottenere questo obiettivo, risolvendo
così tutti i problemi che angosciano la gente delle regioni a
rischio?
   La seconda domanda è la seguente: in Sicilia sono stati
sciolti oltre 50 consigli comunali perché non hanno approvato
i piani regolatori generali, e sono in via di scioglimento
altri 100 consigli comunali sempre per lo stesso motivo. Non
adottare il piano regolatore generale significa non dare
certezza al cittadino, ed in mancanza di una normativa certa
evidentemente subentra la criminalità politica oppure quella
organizzata, perché la legge è quella del più forte; non
esistendo una legge uguale per tutti, ci si affida a questi
strumenti. Ha indagato la DIA in ordine a tali problemi? Molte
volte infatti vi sono lottizzazioni fasulle e concessioni
edilizie in aree in cui non potrebbero assolutamente essere
rilasciate: si tratta di una struttura economico-criminale che
favorisce le cosche della criminalità organizzata.
  LUCIANO VIOLANTE. Collega Cusimano, si riferiva alla
Sicilia?
Pagina 239
   VITO CUSIMANO. Sì.
  LUIGI RAMPONI. Intervengo solo per una precisazione
perché, come è già stato detto, le domande sono più che
esaurienti. Durante la visita a Reggio Calabria ho chiesto al
vicedirettore della DIA se avesse ricevuto qualche input
dalla magistratura in ordine alla questione relativa alla
signora Cordopatri, e la risposta è stata negativa; non siamo
però entrati assolutamente nel merito...
  GIROLAMO TRIPODI. L'ho fatta io questa domanda.
  LUIGI RAMPONI. In privato?
  GIROLAMO TRIPODI. No.
  LUIGI RAMPONI. Non mi risulta, o non ricordo, che abbia
detto che il centro...
  GIROLAMO TRIPODI. Ho domandato se abbiano svolto
indagini autonome...
  PRESIDENTE. Comunque, vi sono i resoconti
stenografici.
  LUIGI RAMPONI. D'accordo, c'è il resoconto stenografico,
e agli atti voglio che rimanga la mia affermazione che non
siamo entrati nel merito dell'attività del centro, né
tantomeno sul fatto...
  GIROLAMO TRIPODI. Questo lo dice lei!
  LUIGI RAMPONI. Lo dico io, con lo stesso diritto con il
quale l'ha detto lei!
   Il vicedirettore della DIA di Reggio Calabria non è
entrato nel merito dell'attività della DIA e non ha fatto
alcuna precisazione circa l'attività investigativa in proprio,
da una parte, e di polizia giudiziaria, dall'altra. Questo è
quanto a me risulta.
  PRESIDENTE. Questo è quanto ha detto il senatore
Ramponi; poi vedremo.
  GIROLAMO TRIPODI. Non è un'invenzione. Che interesse
avrei a dire il contrario?
  SERGIO MATTARELLA. Ringrazio il dottor De Gennaro e il
generale Verdicchio per le loro considerazioni. Poiché molti
colleghi hanno posto domande, sarebbe superfluo riproporre
argomentazioni già trattate.
   Mi rivolgo innanzitutto al dottor De Gennaro. La mia non
vuole essere né una precisazione né un'obiezione, semmai una
sottolineatura adesiva (così si può dire) rispetto ad
un'osservazione riguardante la presenza sul territorio,
secondo una considerazione del capo della polizia in questa
sede. Una presenza sul territorio che, più che fisicamente
massiccia e magari sorda o cieca, sia conoscenza del
territorio e capacità di intervenire tempestivamente. Ritengo
che per acquisire quell'indispensabile ingrediente
rappresentato dal consenso della gente, che si è faticato a
conquistare intorno alle istituzioni nella lotta alla mafia,
bisogna evitare sia la sensazione di impotenza, ossia una
presenza formalmente spiegata e forte che però non riesce a
comprendere ed interpretare, sia le iniziative generalizzate
nelle quali non si individua, rispetto alla cittadinanza, lo
specifico mafioso. Una conoscenza approfondita del territorio
ed una tempestiva capacità di intervento visibile, credo siano
due elementi di un'interpretazione moderna ed efficace della
presenza sul territorio.
   Al generale Verdicchio vorrei porre una domanda. Qualche
collega si è soffermato sulla sua affermazione circa la
primazia della DIA: perché ha sentito il bisogno di
affermarla? Vi sono problemi di coordinamento? La stessa
domanda le rivolgo riguardo ad una sua considerazione iniziale
sul rischio di mutamenti in relazione all'ordinamento della
DIA: perché ha avvertito il bisogno di mettere in guardia
circa possibili mutamenti dei compiti della DIA? Vi sono
rischi e prospettive del genere?
  GIUSEPPE DOPPIO. Vorrei rivolgere un quesito telegrafico
al generale Verdicchio: il collegamento della mafia con i
sodalizi criminali nelle regioni del nord Italia - mi
riferisco, per esempio, alle bande
Pagina 240
criminali della riva del Brenta nel Veneto - secondo i dati
in suo possesso è un fenomeno statico, in diminuzione oppure
in crescita ?
  LUCIANO VIOLANTE. Vorrei conoscere dal prefetto De
Gennaro e dal generale Verdicchio quali siano gli attuali
caratteri delle organizzazioni mafiose; in altri termini la
fase qual è? C'è una tendenza alla riconquista silenziosa del
territorio? Vi sono progetti o sono in preparazione - come mi
pare abbia detto il ministro - attentati eclatanti al fine di
indurre ad una contrattazione? Vi è un rapporto continuativo
tra le stragi, i gravi omicidi e gli attentati della primavera
scorsa ed altri in preparazione, come emerge da qualche
provvedimento giurisdizionale? Nel senso che vi è una
strategia del tipo "se vuoi fare la pace, prepara la guerra",
cioè vai ad un attacco durissimo se vuoi costringere gli altri
a contrattare. Questa è la fase oppure ne stiamo attraversando
una di carattere diverso?
  PRESIDENTE. Do la parola al dottor De Gennaro per la
replica, fermo restando che se qualche risposta dovesse essere
riservata sarà disattivato il circuito chiuso.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. La
ringrazio, signor presidente. Le domande che ci sono state
rivolte sono molte ed alcune si sovrappongono; se ciò potrà
essere utile per i lavori che lei dirige, signor presidente,
avremmo concordato con il collega Verdicchio di dare ognuno
una risposta complessiva, integrando la parte di competenza di
ciascuno.
   Ad un certo punto mi permetterò di chiederle di essere
riservato su una risposta.
   La domanda più ricorrente, in senso orizzontale, concerne
lo stato della criminalità mafiosa, anzi l'accento credo sia
riferito alla Cosa nostra siciliana, se non ho capito male.
  GIROLAMO TRIPODI. No, anche alle altre
organizzazioni.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Comunque, la risposta sarà più ampia. Mi sono riferito alla
Cosa nostra siciliana perché mi sembra sia stato ricorrente il
riferimento agli attentati. In argomento, forte
dell'esperienza acquisita alla DIA che ho diretto fino ad un
mese fa, validamente affiancato dal generale Verdicchio,
vicedirettore della struttura, vorrei rifarmi alle conoscenze
in quella veste, in quella funzione.
   Penso di poter dire, non soltanto come valutazione tecnica
di tipo personale, ma anche come riscontro di natura
investigativa - senza svelare assolutamente fatti che sono
suscettibili di accertamenti in sede giudiziaria o
investigativa - che vi è una situazione di attuale, apparente
calma da parte della criminalità mafiosa. Non è soltanto
apparenza, ma è anche, in più casi, un momento di debolezza
dell'organizzazione mafiosa. Questo non esclude la
pericolosità dell'organizzazione e l'attualità, in termini
assoluti, dei problemi del controllo e del contrasto
dell'organizzazione: ripeto, mi riferisco ai problemi
siciliani.
   Durante la sua audizione il capo della polizia sul tema ha
indicato dei fatti abbastanza concreti e precisi. Ha condiviso
- ed io mi associo - il fatto che l'attività stragistica e
terroristica imputata all'organizzazione siciliana Cosa
nostra, risalente agli anni 1992-1993, fosse da ricondurre ad
un'azione di aggressione contro lo Stato per rispondere a
quelle che erano la pressione di carattere istituzionale, la
fermezza e la determinazione, che non sono assolutamente
diminuite.
   A proposito dei latitanti - oggetto di una domanda -
vorrei chiarire alcuni punti, perché sembra quasi che dopo
l'arresto di Salvatore Riina non sia stato arrestato più
nessuno. Mi pare che qualche volta - vorrei anche fornire dati
certi - ci si fermi ai nomi, dimenticando che ve ne sono stati
anche altri, altrettanto importanti e pericolosi. Sarò
esauriente nel prosieguo.
   Sullo stato di salute della criminalità mafiosa, il
contrasto alla criminalità organizzata in Sicilia riveste
un'assoluta attualità;
Pagina 241
si registra un momento di apparente non aggressione, ma
vi è comunque una forte debolezza. Il capo della polizia
ricordava il notevole numero di defezioni tra le file
dell'organizzazione; defezioni intese come tradimento
dell'organizzazione, quanto meno delle regole dell'omertà.
Questo, pur essendo un indice di debolezza, non è l'unico a
cui si deve far riferimento, perché non conosciamo, e non
possiamo assolutamente conoscere in termini di certezza, il
numero di quanti invece confluiscono, giorno dopo giorno,
nelle file dell'organizzazione mafiosa.
   Se si fa riferimento alla figura di Riina come un capo -
attualmente capo - e se, come l'onorevole Ayala ricordava, si
pensa che in carcere si perde l'immediatezza di comando (a
maggior ragione nel caso di Salvatore Riina sottoposto a
vincoli detentivi a cui non era sottoposto Luciano Liggio, per
riprendere l'esempio dell'onorevole Ayala), bisogna estendere
il discorso oltre Riina. Certamente costui non potrà avere
l'immediatezza di comando, altrimenti significherebbe che le
misure restrittive tendenti ad impedire la permanenza di
legami o contatti tra il detenuto mafioso e il mondo criminale
a cui faceva riferimento, sarebbero state vane.
   Ammettere che Salvatore Riina, in questo momento possa
esercitare il proprio ruolo di comando, significherebbe
ammettere che il vincolo dell'articolo 41-bis nei suoi
confronti non ha funzionato, e sarebbe una contraddizione.
   Credo che forse si identifichi il personaggio per la parte
criminale che rappresenta, perciò bisogna ricordare - come ha
fatto il capo della polizia - che personaggi come Provenzano,
Bagarella e Brusca, tutti e tre facenti parte del gruppo più
intimamente legato a Salvatore Riina, sono tuttora in libertà.
In questo senso allora si può parlare di una sorta di attuale
forza e potere di Salvatore Riina non esercitata direttamente,
ma attraverso personaggi a lui legati.
   Ho detto questo perché se tali personaggi sono tuttora in
condizione di delinquere, è chiaro che, per quanto hanno
dimostrato nel recentissimo passato, per la loro determinata
volontà di delinquere - che dai riscontri investigativi finora
acquisiti è emersa - e per la possibilità di agire,
determinano ed individuano un grosso potenziale di pericolo
dell'organizzazione stessa.
   Lo stesso dicasi in termini più estesi per quanto riguarda
le altre organizzazioni criminali dove magari, a differenza
che in Sicilia, si registrano manifestazioni costanti e
quotidiane di fatti o di aggressioni violenti.
   Il controllo del territorio - mi riferisco sempre alla
domanda posta dal senatore Tripodi - non è stato ripreso dalla
mafia dopo i colpi subiti. E' uno dei connotati dell'azione
mafiosa e della criminalità organizzata la possibilità di
esercitare il proprio potere attraverso una serie di azioni
delittuose che consentono il controllo del territorio.
   In proposito, anticipo una risposta sull'usura. Non
bisogna dimenticare la maggiore incisività delinquenziale
dell'estorsione rispetto all'usura. L'estorsione operata in
danno di persone, vittime innocenti della pressione criminale,
consente di esercitare in modo più evidente, come pressione
concreta, una forma di controllo del territorio. Devo
aggiungere che anche l'usura, sia pur in modo indiretto,
consente una forma di controllo del territorio (intendo
riferirmi a questi tipi di reati commessi da organizzazioni
criminali, non dal singolo piccolo gruppo delinquenziale o dal
singolo individuo) nella misura in cui si tratta di una
immissione di denaro che permette di rilevare un esercizio
commerciale - soprattutto se si tratta di piccoli esercizi -
che diventa un bene diretto del gruppo criminale.
   Può anche succedere che il criminale, aderente ad una
organizzazione di tipo mafioso, eserciti una piccola sfera di
influenza sul territorio.
   A questo punto, diventa anch'essa una forma di controllo
del territorio, anche se meno diretta rispetto alle
estorsioni. A ciò si deve contrapporre, come dicevamo,
un'azione capillare, costante, in termini investigativi, come
ricordava l'onorevole Mattarella riferendosi all'introduzione
Pagina 242
della mia relazione. Altrettanto capillare deve essere la
presenza investigativa e tale obiettivo si può raggiungere con
efficienti ed efficaci strutture investigative sul territorio,
che assicurano continuità e quotidianità di intervento, con
l'importante acquisizione di una miriade di dati che possono
poi essere sfruttati come base conoscitiva per gli interventi
di organismi maggiormente specializzati.
  GIUSEPPE AYALA. Mi scusi l'interruzione, dottor De
Gennaro, vorrei sapere, a proposito dell'usura e
dell'estorsione, se sia mai emerso un collegamento tra i due
fenomeni. Questi, a mio parere, sono strettamente connessi tra
loro: è mai risultato qualcosa in proposito? E' una mia
supposizione.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Credo che si possa senz'altro parlare, in molti casi, di
un'identità soggettiva tra chi commette l'uno e l'altro
delitto; naturalmente, può esservi anche un'identità di
vittima, nella misura in cui l'estorsione può rappresentare un
elemento di pressione allo scopo di mettere in difficoltà il
commerciante o l'imprenditore. Ho sentito che vi è stato un
caso particolare - se non erro, verificatosi a Palermo - in
cui il piccolo imprenditore o il commerciante subiva
l'estorsione, dopo di che aveva bisogno, naturalmente, di
denaro e si doveva rivolgere ad un interlocutore che gli
offrisse denaro in modo agevole; in seguito è emerso dalle
indagini che estortore ed usuraio erano la stessa persona, che
da un lato, attraverso l'estorsione, riceveva denaro e metteva
in difficoltà l'imprenditore e, dall'altro, gli dava denaro a
tasso usurario. In questo caso, come si vede, vi è una
coincidenza tra i due reati. Sono, comunque, entrambi delitti
che denotano una forma di controllo del territorio. Contro di
essi, quindi, bisogna intervenire in modo ampio e
generalizzato, facendo ricorso a quelle strutture
investigative che hanno più diretta conoscenza dell'ambiente e
del territorio su cui operano; è su di esse che bisogna far
leva per ricostituire e mantenere quel rapporto di fiducia tra
istituzioni e cittadini, cui faceva riferimento l'onorevole
Mattarella, che si ottiene tramite una continuità
d'intervento. E' chiaro che l'organismo specializzato può
intervenire in un momento non di sovrapposizione, ma di
maggiore efficienza di contrasto, quando si tratta di incidere
su aspetti più ampi del fenomeno, per esempio su società o
gruppi di società finanziarie. In questi casi, infatti, si
richiede una maggiore disponibilità di risorse in termini di
conoscenze investigative, che si acquisiscono dal diretto
controllo del territorio e dalla specializzazione che
l'organismo ha potuto maturare.
   Desidero completare la risposta agli interrogativi posti
dall'onorevole Tripodi sui latitanti. Non lo dico
assolutamente con spirito di polemica, ma ai fini di una
costruttiva conoscenza: dopo Riina sono stati arrestati molti
latitanti importanti, basterebbe ricordare Santapaola, ma ve
ne sono tanti altri. Nel 1994, tra mafia, camorra, 'ndrangheta
e Sacra corona unita, sono stati arrestati 133 latitanti di
spicco: non sono pochi. E' inutile citare tutti i nomi, ma
posso trasmettere l'elenco degli arrestati, corredato dalle
date degli arresti e dalla valenza dei singoli personaggi. E'
vero - sono stato io stesso a riconoscerlo - che vi sono
personaggi particolarmente pericolosi - anche in Calabria,
nella zona della Locride - che debbono essere ancora
assicurati alla giustizia, ma abbiamo anche osservato che
questi latitanti si muovono nel territorio di loro pertinenza:
quasi tutti, tranne rare eccezioni, sono stati arrestati a
casa loro. Mi sembra che anche a proposito di Brusca vi siano
informazioni convergenti su una sua possibile presenza in
alcune zone del territorio, ma si tratta di aree di
difficilissima penetrazione, in cui l'investigazione richiede
tempi lunghi. A proposito di questi personaggi, comunque,
possiamo dire che, sebbene per ben ventitré anni Riina non sia
stato arrestato, alla fine è caduto e lo stesso avverrà per
Provenzano e per altri, man mano che il cerchio investigativo
si restringerà.
   E' stato chiamato in causa il ruolo svolto dal
vicedirettore generale della pubblica sicurezza, che è anche
direttore centrale
Pagina 243
della polizia criminale. L'articolo 4 della legge n.
410 del 1991 dispone chiaramente, al comma 6, che proprio "Al
fine di assicurare i collegamenti tra la DIA e gli altri
uffici, reparti e strutture delle forze di polizia, ivi
compresi i servizi di cui all'articolo 12 del decreto-legge 13
maggio 1991, n. 152 (...)", ossia, i cosiddetti servizi
speciali delle singole forze di polizia, è istituita la figura
del vicedirettore generale della pubblica sicurezza, direttore
centrale della polizia criminale. La finalità, quindi, viene
indicata proprio dal legislatore ed in questa linea, secondo
le indicazioni fornite anche dal ministro Maroni, cercherò di
svolgere l'attività di interazione e di raccordo tra le
diverse strutture investigative. Al di là della DIA, infatti,
che ha una sua valenza in una materia specifica, quella della
lotta alla criminalità mafiosa, la direzione centrale della
polizia criminale (che è, come la DIA, inserita nel
dipartimento di pubblica sicurezza e perciò sottoposta alla
strategica supervisione del capo della polizia) ha proprio
questa funzione di raccordo, di stimolo e di determinazione
delle strategie investigative che debbono essere attuate.
Credo che il capo della polizia, nel suo intervento, abbia
detto con assoluta fermezza che sarà sua intenzione portare
avanti questo tipo di iniziative, per garantire la massima
sinergia tra le strutture investigative. Ciò proprio nella
filosofia, cui ho accennato, di realizzare una sempre maggiore
efficienza delle strutture operanti sul territorio, che
costituiscono, non mi stancherò mai di ripeterlo, uno
strumento importantissimo proprio per "spossessare" le
organizzazioni criminali del territorio. Il senatore Bertoni
invocava una presenza sul territorio con queste finalità: ma
quella presenza, costituita da un'efficace squadra mobile o
reparto operativo o commissariato, certamente non serve a
scardinare la criminalità organizzata di tipo camorristico nel
suo complesso oppure a spezzare i raccordi tra il clan dei
Mariano, che sta ai Quartieri, ed un gruppo camorristico che
opera, per esempio, ad Afragola o ad Acerra. Si tratta di due
momenti diversi: uno è quello del controllo immediato del
territorio da parte di quelle strutture investigative che
hanno con esso una interazione diretta e l'altro quello delle
strutture specializzate, che debbono avere in qualche modo una
visione più ampia.
   Desidero rispondere al senatore Grimaldi. L'articolo 3
della legge n. 410 del 1991, da lui ricordata, affida due
compiti alla Direzione investigativa antimafia e chi applica
la legge (io l'ho fatto fino ad un mese fa, il generale
Verdicchio, attuale direttore, credo continuerà a farlo) si
rifà ai dettami del legislatore. Il primo è un compito di
investigazione preventiva, la cui natura viene spiegata nel
secondo comma dell'articolo 3, proprio perché non vi è
un'altra fonte normativa a cui rifarsi, essendo una vera
innovazione quella di inserire l'indagine preventiva nei
compiti che deve svolgere un organismo investigativo. A tale
compito se ne affianca un altro, descritto nel seguente modo
dall'articolo 3, comma 1: "(...) nonché di effettuare indagini
di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di
associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili
all'associazione medesima" il che, come dicevo in precedenza,
deve prevedere una competenza per materia e l'esistenza del
delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale.
Come dicevo, in relazione all'investigazione preventiva, il
legislatore ha ritenuto di dover specificare a che cosa
facesse riferimento, perché la natura delle indagini di
polizia giudiziaria è direttamente desumibile dal codice di
procedura penale. L'articolo 3, al comma 2, stabilisce
pertanto quanto segue: "Formano oggetto delle attività di
investigazione preventiva della Direzione investigativa
antimafia le connotazioni strutturali, le articolazioni e i
collegamenti interni e internazionali delle organizzazioni
criminali, gli obiettivi e le modalità operative di dette
organizzazioni, nonché ogni altra forma di manifestazione
delittuosa alle stesse riconducibile ivi compreso il fenomeno
delle estorsioni". In altri termini, sono due gli aspetti sui
quali agisce la DIA. Non so se si debba parlare di
superpolizia o di polizia specializzata, ma certamente il
legislatore ha inteso mettere la DIA, come organismo
specializzato,
Pagina 244
in una posizione diversa rispetto a tutti gli altri organismi
investigativi, anche preesistenti. Sempre nell'articolo 3, al
comma 4, si fa riferimento innanzitutto al fatto che "Tutti
gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria debbono fornire
ogni possibile cooperazione", proprio nel senso di
immediatezza di collaborazione sotto l'aspetto operativo ed
anche informativo. Inoltre, si fa riferimento, nel caso in cui
si svolgano indagini collegate, all'obbligo, per i servizi
specializzati delle forze di polizia, di fornire al personale
investigativo della DIA "(...) tutti gli elementi informativi
ed investigativi di cui siano venuti comunque in possesso" e
si stabilisce, altresì, che quei servizi siano "(...) tenuti a
svolgere, congiuntamente con il predetto personale, gli
accertamenti e le attività investigative eventualmente
richieste". Non vi è, in proposito, un obbligo di reciprocità,
per cui la lettura e l'interpretazione della norma lasciano
intendere che vi sia una posizione di specializzazione: è a
quest'ultima che credo il collega Verdicchio intendesse
riferirsi quando ha parlato di "primazia di intervento", una
volta che interviene lo specialista.
   E' chiaro che il numero di 1.400 persone è irrisorio
rispetto alle 200 mila o 300 mila unità dell'organico delle
forze di polizia in genere. A maggior ragione, ciò evidenzia
ancora di più come il ruolo di specialista o dell'organismo
specializzato non debba essere generalizzato ma limitato a
momenti importanti e significativi o di particolare pericolo.
Da questo punto di vista, il direttore della DIA ha precisato
che si tratta di attività da svolgere non in via esclusiva,
considerato che l'obbligo che il legislatore assegna alla DIA
è di fare esclusivamente ciò e di non andare al di fuori della
propria materia.
  TULLIO GRIMALDI. Io non avevo chiesto che lei mi
chiarisse la legge...
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Ma
io devo rispondere solo sul fatto che sia una
superpolizia...
  TULLIO GRIMALDI. Questo avviene se i compiti di polizia
giudiziaria sono esclusivi e prevalenti rispetto a quelli di
intelligence che mi sembra, invece, il legislatore
volesse privilegiare.
   Avevo chiesto, poi, se è vero che soltanto 60 o 70
effettivi siano destinati ai compiti di intelligence. Le
risulta questo? Certo, di polizie ne abbiamo tante, anche con
specializzazioni (abbiamo la polizia giudiziaria, le squadre
mobili, eccetera)...
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Non mi sembra che, in termini quantitativi, la legge dia
prevalenza all'uno o all'altro compito e comunque è detto in
termini quanto meno generici.
   Premesso che su questo non credo che nell'ultimo mese sia
modificato l'assetto - ma in merito potrà rispondere il
generale Verdicchio - devo dire che il primo reparto
investigazioni preventivo della DIA è formato da 60 o 70
uomini, quasi tutti ufficiali. Credo che in nessun altro
organismo vi sia un numero tale di persone con gradi che vanno
da quello di capitano a quello di tenente colonnello; per di
più, in quel reparto vi sono capidivisione che sono colonnelli
e che si dedicano soltanto ed esclusivamente ad alcuni aspetti
d'investigazione preventiva. Inoltre, in tutti i centri
operativi vi è una sezione che ripropone, come proiezione sul
territorio, un'attività di analisi e d'indagine preventiva.
Quindi, se non sono intervenute modifiche da un mese a questa
parte, credo che una grossa energia sia già destinata ad
un'attività di analisi in termini qualitativi, perché,
effettivamente, il lavoro di studio delle carte e di analisi
dei documenti, è stato affidato ad un livello qualitativo
superiore.
   Non so se sono stato esauriente nella risposta, ma è un
termine di qualità...
  TULLIO GRIMALDI. Vedremo i risultati.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Abbiamo
fatto riferimento anche a grossi progetti di analisi in campo
internazionale e bisogna dire che essi
Pagina 245
hanno conferito alla DIA l'ammirazione di organismi di
polizia internazionale di altissimo livello, come l'FBI, il
BKA e il NCIS. Quindi, è quella l'attività di analisi
preventiva.
   Ritengo che spesso si confonda l'attività di analisi con
quella di iniziativa, attività questa che un corpo di pura
forza di polizia esercita anche durante lo svolgimento di una
delega dell'autorità giudiziaria. Dunque, non offre il suo
apporto di iniziativa all'autorità giudiziaria quando viene
delegato a svolgere un'indagine? Anziché essere una polizia
specializzata si ridurrebbe a svolgere meri riscontri. La
risposta che è stata data al senatore Tripodi, non dal
vicedirettore della DIA, ma dal vicedirettore del centro
operativo di Reggio Calabria, forse voleva essere orientata in
questo senso.
  TULLIO GRIMALDI. Non volevo dare suggerimenti alla
Direzione investigativa antimafia...
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. No, lei
sta dando suggerimenti...
  TULLIO GRIMALDI. La mia domanda era sull'effettività di
ciò che si sta facendo. Poi i risultati si vedranno.
  PRESIDENTE. Forse, il collega Grimaldi voleva sapere se
i risultati erano sufficienti.
  SERGIO MATTARELLA. Il rapporto che il generale ha detto
essere, sostanzialmente, di uno a quattro tra ufficiali e
funzionari e gli altri uomini addetti è più alto o più basso
rispetto a quello dei corpi di polizia?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Credo che un rapporto di uno a quattro non ci sia in
nessun'altra parte, né vi sia, in una concentrazione così
ristretta di uomini, una qualità di questo livello
intellettivo e culturale, che si presume sia patrimonio dei
funzionari direttivi e degli ufficiali.
   Voglio poi chiarire, per debito di risposta, che da parte
della DIA nessun'operazione di polizia è stata svolta su
delega della procura nazionale, perché essa non può farne
alcuna, in quanto, non essendo un organismo inquirente, non ha
capacità di questo tipo. Invece, dalla procura nazionale sono
stati assegnati una serie di incarichi alla Direzione
investigativa antimafia in tema di analisi, di informazioni,
non di polizia giudiziaria; inoltre, compatibilmente con tutte
le richieste che provengono anche dalla Commissione antimafia
e da altri organismi - a proposito delle quali il direttore
della DIA ha già detto di essere a totale disposizione - sono
state date risposte in termini di documenti di analisi che,
naturalmente, sono a disposizione di tutti, perché non sono
riservati o segreti come indagini.
   L'ultima domanda atteneva alla gestione dei pentiti. Non
vi è un affidamento specifico alla DIA, se non dall'autorità
giudiziaria: come a tutti gli altri organismi di polizia
giudiziaria è il magistrato che richiede - quindi non chiede -
l'espletamento di determinate attività, normalmente in
relazione all'indagine che si sta svolgendo. E' un problema,
che personalmente ho già posto come direttore della DIA e sul
quale risponderò adesso come vicecapo della polizia, ma anche
come direttore centrale della polizia criminale, da cui
dipende il servizio centrale di protezione dei testimoni (è
stato chiesto - altra domanda - in che termini intendiamo
riorganizzare secondo le direttive impartite dal capo della
polizia).
   Vorrei adesso riprendere il discorso sulla filosofia della
protezione per rispondere all'onorevole Ayala a proposito del
personale destinato a tale compito. Il capo della polizia ha
indicato una strategia: organizzare il sistema di protezione
in termini di sicurezza correlata alla riservatezza e alla
segretezza, cioè con un'azione che consenta di mimetizzare il
soggetto a rischio nel contesto del vivere sociale, al
contempo garantendogli al massimo l'anonimato.
   Parlando di sicurezza non vi è un codice che prescriva in
che modo sia possibile
Pagina 246
attuarla, perché sia i fattori ambientali sia quelli
soggettivi, che dipendono da persona a persona, sono
tantissimi, per cui per ognuno si dovrebbero prevedere
accorgimenti specifici. In questo caso, quindi, il principio
ispiratore è quello della riservatezza, la quale non può
essere garantita per un obiettivo particolarmente esposto,
cioè per chi svolge una funzione per la quale deve muoversi in
modo totalmente scoperto. In questi casi direi che è
necessaria una protezione corporale, quasi ad personam,
con mezzi blindati, con scorte. Invece, nei casi in cui
quest'esigenza non ricorra, la filosofia è quella di rendere
il soggetto teoricamente invisibile al possibile attentatore.
Ma per fare questo gli strumenti che servono non sono tanto la
forza, la vigilanza e la tutela, quanto quelli in grado di
garantire il reinserimento nell'anonimato, che il legislatore
ha previsto e che sono in fase di attuazione.
   Il servizio centrale di protezione può tranquillamente
adempiere all'organizzazione di questi strumenti di protezione
e per fare ciò non serve un numero di persone enorme, anche se
deve essere naturalmente correlato al numero dei soggetti da
proteggere. Devo dire, infatti, che alcune disfunzioni
rilevate nel servizio protezione sono dovute al fatto che,
quando esso è stato istituito, le persone da proteggere erano
già decine e decine, forse centinaia. Dunque, è chiaro che ci
vuole tempo per mettere a punto gli organici e le metodologie
da applicare. Occorre soprattutto stabilire quelle sinergie,
cui si è richiamato anche il capo della polizia nel suo
intervento, con altri enti istituzionali, con altri ministeri,
con i comuni, con le USL, eccetera; in pratica, con tutti
quegli enti che devono interagire con questo organismo e il
Ministero dell'interno per creare una cortina di segretezza e
di anonimato. E' difficile quantificare un numero, ma esso è
correlato alle esigenze che via via vengono a
concretizzarsi.
   Vi è invece un problema, sollevato prima dal direttore
della DIA, cioè quello della detenzione extracarceraria, la
quale impone invece una vigilanza, sia pure ridotta, perché
deve impedire di rendere evidente il luogo di detenzione e al
malintenzionato di individuare l'obiettivo. La detenzione
extracarceraria impone una vigilanza continuata trattandosi di
uno stato di detenzione a tutti gli effetti. Essa comporta
quindi un grosso dispendio di energie, che non deve essere
assolutamente a carico degli organismi investigativi, pena il
decadimento della loro specializzazione anche a livello
territoriale; come dicevo prima, infatti, le squadre mobili o
i reparti operativi sarebbero depauperati di decine di uomini
che verrebbero destinati esclusivamente alla vigilanza fisica
del detenuto in detenzione extracarceraria.
   Mi sembra che ci si stia muovendo su questa linea per
ridurre al massimo questo tipo di realtà. A tal fine, il
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si sta
attrezzando per offrire sempre più luoghi idonei ad una
custodia protetta e compatibile anche con le esigenze della
magistratura inquirente, la quale ha esigenze continue per gli
interrogatori e per gli atti istruttori che devono essere
svolti.
   L'onorevole Bargone ha chiesto un chiarimento a proposito
del ruolo della Criminalpol anche in relazione alle parole ed
alle affermazioni del ministro dell'interno. Credo di averlo
in qualche modo indicato, anche se in termini progettuali. In
ogni caso, anche qui si tratta di applicare correttamente ed
esattamente il dettato normativo. La direzione centrale della
polizia criminale ha la possibilità, per le prerogative che le
derivano, sia dalla legge n. 121 del 1981 sia dalle ulteriori
modifiche intervenute, di cercare di individuare tutti i
metodi di raccordo per uno scambio sempre maggiore di
informazioni tra tutti gli organismi investigativi.
   E' chiaro che devono essere messe a punto le metodologie
circa il modo in cui questo scambio di informazioni possa
avvenire, anche perché, come ricordava il capo della polizia,
vi è tutta la fase dell'attività investigativa preliminare per
l'acquisizione di informazioni che portano ad individuare la
notizia di reato, la quale è di difficile coordinamento, se
non con un forte scambio di informazioni o
con l'individuazione
Pagina 247
di strumenti normativi - che non è compito di noi
tecnici, ma del Governo e del Parlamento - che consentano di
far ciò nel modo migliore.
   Per quanto riguarda l'attività investigativa svolta dalla
DIA, alla quale ha già fatto cenno il generale Verdicchio, mi
piacerebbe ricordare che a seguito di un'attività di
iniziativa - non per smentire il nostro funzionario, ammesso
che lo abbia detto - non certamente delegata dall'autorità
giudiziaria, è stato individuato il covo di due degli autori
della strage di Capaci, o presunti autori dal momento non
abbiamo una sentenza di condanna. Si tratta del covo in cui si
erano resi irreperibili e clandestini Di Matteo e La Barbera,
se non sbaglio. Su un'attività puramente investigativa e di
iniziativa è stato possibile inserire un ascolto ambientale
che ha dato un'importante spinta alle indagini successive. Mi
permetto di ricordarlo come caso più evidente ed eclatante.
   Il senatore Cusimano ha chiesto informazioni in ordine al
problema del controllo e della riconquista del territorio, in
merito al quale credevo in parte di aver risposto proprio
facendo riferimento all'attività investigativa puntuale,
sempre più incisiva da svolgere sul territorio.
   Non vorrei aver dimenticato qualcosa.
  LUCIANO VIOLANTE. Dottor De Gennaro, le chiedevo della
fase in cui ci troviamo.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. La
fase attuale, per quanto riguarda Cosa nostra siciliana in
particolare, può essere di riorganizzazione e di ripristino
all'interno dell'organizzazione di quelle norme che ne hanno
regolato la vita in genere e di ripristino delle risorse
umane. Il generale Verdicchio ha citato prima il numero di
arrestati o di provvedimenti di cattura derivanti dalle
indagini svolte dalla direzione investigativa antimafia, che
rappresentano soltanto una parte rispetto a tutti i
provvedimenti giudiziari e agli arresti eseguiti dalle forze
di polizia nel loro complesso. Tutto ciò ha creato
nell'organizzazione mafiosa la necessità (è un'opinione del
tutto personale, sulla base dell'esperienza specifica
acquisita sul punto) di riorganizzare e rimpinguare tali
risorse.
   Se il presidente consente potrei aggiungere qualche
ulteriore elemento in forma riservata.
  PRESIDENTE. Accogliendo la richiesta del dottor De
Gennaro, proseguiamo i nostri lavori in seduta segreta.
   Se non vi sono obiezioni, dispongo la disattivazione del
circuito audiovisivo interno.
     (La Commissione procede in seduta segreta).
  PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta
pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo
interno.
   Se il generale Verdicchio deve ancora integrare alcune
risposte, può intervenire.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Credo
che il dottor De Gennaro abbia già dato esauriente risposta
alla quasi totalità delle domande, comunque gradirei precisare
che negli ultimi venti giorni certamente non si è modificata
la struttura della DIA soprattutto per quanto riguarda
l'impiego del personale nelle indagini preventive ed in quelle
di polizia giudiziaria. Ovviamente le indagini preventive
potranno dare un frutto più qualificato allorché avremo avuto
la possibilità di addestrare adeguatamente il personale.
Abbiamo già precisato che la figura dell'analista è una figura
nuova nel mondo della sicurezza italiana e per questo la DIA,
avendo anche l'apporto qualificato e generoso di agenzie
straniere, soprattutto della DEA, ha svolto già dei corsi di
base e si propone (ho detto che lunedì scorso è iniziato uno
di questi corsi) di svolgere corsi più avanzati. Quindi, non è
tanto una questione di numeri ma soprattutto di qualità del
personale da impiegare. Ritengo sia anche necessario operare
una distinzione tra quelle che sono le indagini preventive che
normalmente studiano il fenomeno complessivo e quelle di
iniziativa. Come ho già detto prima e come ha precisato molto
Pagina 248
bene il dottor De Gennaro, anche durante lo svolgimento di
un'attività delegata si può svolgere un'attività di iniziativa
qualificante come quella che ha riguardato la strage di
Capaci.
   Per quanto riguarda la DIA quale quarta forza di polizia,
nella mia relazione ho detto che la DIA non è un ufficio di
coordinamento tout court né un'autonoma forza di
polizia, ma una struttura interforze in cui l'integrazione tra
le tre forze di polizia si risolve in unità ordinamentale; una
sorta di task force che sfrutta al meglio le loro
energie. La DIA non potrebbe essere una forza di polizia in
quanto le sue risorse non le possono certamente consentire di
svolgere attività che competono ad una forza di polizia.
   Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Mattarella,
posso dire che non ho voluto mettere le mani avanti ma
soltanto illustrare una situazione. Tutta l'insistenza sulle
indagini preventive evidentemente tende ad un obiettivo. In
giro c'è la voce di limitare l'attività della DIA, facendola
propendere più verso le indagini preventive, verso l'attività
di intelligence. Ho perciò ritenuto doveroso far
presente, prendendo ad esempio una struttura che è stata
recentemente sciolta, che qualunque modifica agli attuali
compiti istituzionali della DIA potrebbe comprometterne
l'efficienza.
   Un commissario, ora non presente, mi ha posto una domanda
in ordine ai collaboratori esterni alla DIA. La legge lo
prevede. Noi siamo alla ricerca di idonee professionalità per
contribuire ad un'analisi più profonda, più complessiva del
fenomeno mafioso ed anche per avere un apporto nella redazione
del rapporto annuale sul fenomeno. Non mi avventuro ad
elencare i collaboratori esterni, ma posso assicurare che non
sono molti e che non costano moltissimo. Attualmente è in
corso una revisione completa perché si è formato nell'ambito
del I reparto una unità organica della quale faranno parte
soprattutto giovani ricercatori che potranno mettere la DIA
più facilmente a contatto con gli enti che istituzionalmente
svolgono determinate funzioni nel campo della statistica,
della sociologia, della criminologia, del diritto. Posso
assicurare che l'importo che viene speso per questi
collaboratori esterni è del tutto limitato.
   Non ritengo di dover aggiungere altre risposte. Per quanto
riguarda il regolamento che deve disciplinare la
collaborazione dei cosiddetti pentiti, non mi sembra che
rientri nella nostra competenza, anche perché la situazione è
de iure condendo.
  ALESSANDRA BONSANTI. Vi abbiamo rivolto alcune domande
molto precise, sulle quali vorremmo una risposta, passando, se
necessario, alla seduta segreta. Vorremmo che fossero
approfonditi i temi relativi alle aree di destinazione degli
investimenti collegati a capitali illeciti, in particolare con
riferimento ai centri storici, all'informazione, al traffico
di armi, alla massoneria e al problema di pentiti e
dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Chiedo scusa, perché avevo appuntato alcune domande sul retro
del foglio.
   Per quanto riguarda falsi pentiti e infiltrati della
mafia, il generale Verdicchio ha già risposto osservando che
si tratta di un rischio rispetto al quale occorre sempre
attenzione.
  GIROLAMO TRIPODI. Sembra che vi siano, in concreto,
elementi molto precisi.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Io ho
formulato soltanto un'ipotesi di strategia della mafia.
  GIROLAMO TRIPODI. Per questo mi ero permesso di
domandare se vi siano elementi più specifici.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. No.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Non ho conoscenza diretta delle indagini sul centro storico di
Palermo; a meno che non possa rispondere il direttore della
DIA, posso soltanto riservarmi
Pagina 249
di riferire in futuro elementi, se disponibili.
   Anche per quanto riguarda l'informazione, non ne ho una
diretta cognizione. Con riferimento al traffico d'armi, quando
ero direttore della DIA, avevo chiesto di svolgere un'attività
di analisi, in termini di investigazione preventiva: abbiamo
svolto un lungo lavoro, che abbiamo trasmesso anche al
procuratore nazionale, in ordine alla situazione del traffico
d'armi, naturalmente analizzando dati che derivavano da fatti
già conosciuti (sequestri di armi, interventi effettuati,
persone arrestate divise per regione e per qualità e tipo di
armi). Si tratta di uno dei lavori cui facevo prima
riferimento, nell'ambito dell'attività di analisi che - come
accennavo all'onorevole Grimaldi - deve essere svolta da
persone che abbiano una conoscenza culturale approfondita e
per il quale occorre puntare sulla qualità più che sulla
quantità della ricerca.
   Questa ricerca e il documento analitico redatto dal
reparto investigazioni preventive della DIA ha evidenziato
come sia stata svolta una grossa attività investigativa, con
notevoli risultati, per quanto riguarda il traffico di armi.
Non ho conoscenza di specifiche indagini in corso: so, però,
che lo sviluppo di questo tipo di indagini era fra gli
obiettivi indicati agli uffici che operano in Puglia, dove più
facilmente si può verificare questo tipo di traffico, per la
possibile attività di contrabbandieri, verso le coste della
Iugoslavia e dell'Albania, sulle quali vi è una maggiore
possibilità di circolazione di armi, anche per i conflitti in
corso. Mi risulta, quindi, che questo tipo di indagini
rientrava nelle strategie che erano state avviate.
   Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e logge segrete,
se non erro, vi sono istruttorie in corso presso la procura di
Palermo; l'ho letto, anche se non ne ho cognizione diretta.
Eventualmente, il generale Verdicchio potrà fornirvi ulteriori
elementi.
   Non ho nessun elemento sul centro di spionaggio di
Firenze, in ordine al quale bisognerebbe interrogare il
competente direttore dei servizi.
   Con riferimento all'opportunità di nuove norme per
favorire lo scioglimento delle logge segrete, immagino che il
magistrato che se ne sta occupando si sarà espresso sul punto.
So, comunque, che nel nostro paese vi sono tante norme che ci
offrono strumenti investigativi utili per il nostro lavoro;
tuttavia, non avendo mai svolto personalmente né un'indagine
né un'istruttoria su tale problema, non saprei indicare se
siano necessarie nuove norme.
  CORRADO STAJANO. Le ricordo un'altra domanda: il
pericolo costituito dai pentiti e dall'articolo 41-bis
rappresentano un tema centrale nell'interesse politico di Cosa
nostra.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol.
Senatore Stajano, penso di avere risposto prima con
riferimento al giudizio di pericolosità su Cosa nostra oggi.
Personalmente ritengo che non soltanto i pentiti (che, come
abbiamo ripetutamente affermato, hanno costituito un momento
di infezione del tessuto criminale mafioso, con la violazione
della regola dell'omertà su cui la struttura criminale basava
la sua potenza) e l'applicazione del regime carcerario
particolarmente duro (che tende al limitare ed impedire i
collegamenti fra il detenuto e il mondo criminale a lui
contiguo ma ancora operante all'esterno), ma anche tutte le
indagini svolte, tutti i risultati investigativi e soprattutto
l'avere individuato una pista investigativa per i delitti più
importanti, con l'acquisizione dei primi riscontri, sia pure
in termini istruttori - se mi si consente l'espressione non
propriamente tecnica - e non ancora di condanne a fine
giudizio, siano una serie di elementi che costituiscono
notevoli spine nel fianco per l'organizzazione criminale.
  CONCETTO SCIVOLETTO. Vorrei sollecitare una risposta dei
nostri ospiti su due questioni che avevo posto. La prima
riguarda le zone apparentemente tranquille di alcune parti del
territorio meridionale (ma non solo meridionale), alle
Pagina 250
quali, ritengo, la criminalità organizzata assegna una
funzione strategica come aree indisturbate per il
reinvestimento di capitali illeciti e come retrovia logistico.
Avevo chiesto una valutazione sull'adeguatezza dell'attenzione
dello Stato verso tali aree.
   Una mia seconda specifica domanda riguardava i piani
regolatori generali in corso di elaborazione. Sembra, infatti,
che la mafia intenda investire i propri capitali illeciti
nell'acquisto di aree oggi non edificabili, che
successivamente, dopo la definizione dei piani regolatori o
l'approvazione delle varianti generali, potrebbero diventare
edificabili. Avevo pertanto chiesto se questo problema fosse
adeguatamente "attenzionato" e se al riguardo risultassero
elementi e dati specifici.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Per
quanto riguarda l'attenzione generale nelle zone a cui lei si
riferisce, vi sono le forze istituzionali territoriali che
ovviamente svolgono la loro attività, sicuramente con molta
attenzione, visto che tali zone sono rimaste sufficientemente
indenni dal fenomeno mafioso. E' chiaro, però, che normalmente
si va a pascolare dove il terreno è più adatto: per questo
motivo cerchiamo, soprattutto con le indagini preventive, di
studiare complessivamente il fenomeno e le organizzazioni, per
controllare dove svolgano la loro attività e verso quali
settori, anche economici, si indirizzino. Le aree cui lei si
riferiva, quindi, non vengono considerate completamente libere
dal fenomeno criminale mafioso e sono sufficientemente
"attenzionate" da parte nostra.
   Per quanto riguarda i piani regolatori, è chiaro che essi
coinvolgono grandissimi interessi economici, soprattutto in
certe zone, per cui interessa anche le grandi consorterie
criminali. Con riferimento specifico alla Sicilia, la DIA non
ha svolto indagini mirate: è comunque uno dei fenomeni cui
dedichiamo una particolare attenzione, per quanto riguarda non
soltanto la parte dei piani regolatori relativa a nuovi
terreni da rendere edificabili, ma anche la ristrutturazione
dei centri storici.
   Anche nella mia relazione, facevo presente che teniamo in
debito conto tutte le grandi acquisizioni immobiliari che
avvengono nei grossi centri e cerchiamo, nei limiti del
possibile, di valutare i flussi finanziari. Ovviamente, però,
non bisogna dimenticare che la nostra è un'attività di
polizia, per cui ha bisogno sia della collaborazione di tutte
le istituzioni finanziarie sia di quelle dei cittadini.
Talvolta si pensa che studiando complessivamente i flussi
finanziari si possano avere indicazioni immediate e precise:
quando ci troviamo di fronte a dieci fenomeni, possiamo
riscontrare le differenziazioni e le qualificazioni
particolari di ciascuno di essi; quando, però, ci troviamo di
fronte a mille fenomeni, abbiamo a che fare con una sorta di
elenco telefonico.
   I movimenti di capitale, soprattutto laddove bisogna
approvare un nuovo piano regolatore (anche per quello che è
successo in passato) o procedere a grandi ristrutturazioni dei
centri storici, sono oggetto di particolare attenzione da
parte della DIA.
  RAFFAELE BERTONI. Dato che dovremo ascoltare i capi del
SISDE e del SISMI, sarebbe opportuno che voi integraste le
vostre considerazioni con i rapporti e la reciproca
collaborazione tra i due.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. La
legge cui ho fatto riferimento più volte, la n. 410, assegna
un compito di raccordo dell'attività dei servizi con quella
delle strutture investigative. Informazioni ed informative dei
servizi ci arrivano e vengono veicolate verso gli organismi
investigativi che le devono sviluppare, tutte le volte che le
medesime abbiano una valenza e la possibilità di essere
ulteriormente riscontrate ed ampliate, o di avviare
un'attività investigativa.
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi ricordo che il dottor
De Gennaro ha fatto presente di dover partire con urgenza per
Reggio Calabria.
Pagina 251
  RAFFAELE BERTONI. Non ho ricevuto una risposta sulle
opinioni dell'onorevole Li Calzi, a proposito del pentito che
non dovrebbe parlare a rate.
  GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Credo di
essere io il responsabile della mancata risposta, poiché ho
detto che si tratta di lavori in corso. Si tratta di de
iure condendo, per cui ritengo che non siamo tenuti ad
esprimere una valutazione sulle opinioni di un sottosegretario
di Stato. D'altra parte, non abbiamo neanche elementi di
conoscenza tali da poter dare un giudizio tecnico.
  RAFFAELE BERTONI. Se i lavori in corso non si fermano
mentre sono in corso si finirà in un baratro!
  PRESIDENTE. Ringrazio il generale Verdicchio e il dottor
De Gennaro per il loro prezioso contributo.
                 Sull'ordine dei lavori.
  PRESIDENTE. Comunico ai colleghi il calendario dei
lavori della Commissione per il periodo dal 4 al 7 ottobre:
martedì 4 ottobre alle 9,30 svolgeremo l'audizione del
comandante generale dell'Arma dei carabinieri e alle 17,30
l'audizione dei direttori del SISDE e del SISMI; per mercoledì
5 ottobre alle 17 sono previsti l'esame del regolamento
interno e, al termine, l'ufficio di presidenza allargato ai
rappresentanti dei gruppi. Venerdì 7 ottobre svolgeremo alle
9,30 l'audizione del Governatore della Banca d'Italia e alle
11, 30 l'audizione del comandante dei ROS.
   Il presidente del Consiglio ed il ministro delle finanze,
a causa di impegni, potranno essere ascoltati solo la
settimana successiva.
   La seduta termina alle 13,10.

 


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