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Parenti: seduta 04
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Pagina 79
       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                           indi
         DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE ARLACCHI
                          INDICE
                                                        Pag.
Comunicazioni del ministro di grazia e giustizia,
onorevole Alfredo Biondi, sulla situazione dell'ordinamento
giudiziario e dell'ordinamento penitenziario, con particolare
riferimento alle misure di contrasto della criminalità
organizzata:
  Parenti Tiziana, Presidente ........... 81, 86, 87, 94, 95
              98, 99, 103, 108, 109, 111, 113, 115, 116, 117
  Arlacchi Giuseppe, Presidente ............... 91, 107, 116
                          Ayala Giuseppe   92, 101, 116, 117
  Bargone Antonio ...................................... 104
  Bertoni Raffaele .................................. 92, 95
  Biondi Alfredo, Ministro di grazia e
   giustizia ............ 81, 86, 87, 90, 91, 92, 93, 94, 95
                         96, 97, 99, 100, 101, 102, 103, 104
                      105, 107, 108, 109, 110, 113, 116, 117
  Bonsanti Alessandra ........................ 108, 109, 110
  Di Bella Saverio ................................. 95, 116
  Imposimato Ferdinando ............................. 93, 94
  Mattarella Sergio ..................................... 91
  Meduri Renato ......................................... 94
  Ramponi Luigi ........................................ 110
  Scozzari Giuseppe ............... 94, 97, 98, 99, 100, 116
  Stajano Corrado ...................................... 117
  Tanzilli Flavio ...................................... 103
  Violante Luciano ...................................... 86
Comunicazioni del presidente:
  Parenti Tiziana, Presidente ..................... 117, 118
                                               119, 120, 121
  Arlacchi Giuseppe ............................... 120, 121
  Ayala Giuseppe ....................................... 119
  Bonsanti Alessandra ........................ 118, 119, 121
  Di Bella Saverio ........................... 118, 120, 121
  Mattarella Sergio .................................... 119
  Ramponi Luigi .............................. 118, 119, 121
  Scozzari Giuseppe .................................... 119
  Stajano Corrado ................................. 119, 120
Pagina 80
Pagina 81
   La seduta comincia alle 16.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Comunicazioni del ministro di grazia e giustizia,
onorevole Alfredo Biondi, sulla situazione dell'ordinamento
giudiziario e dell'ordinamento penitenziario, con particolare
riferimento alle misure di contrasto della criminalità
organizzata.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del
ministro di grazia e giustizia, onorevole Alfredo Biondi,
sulla situazione dell'ordinamento giudiziario e
dell'ordinamento penitenziario, con particolare riferimento
alle misure di contrasto della criminalità organizzata. Ancora
più in particolare, l'audizione avrà riferimento alle
specifiche problematiche legate all'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario, alla situazione dei
collaboratori di giustizia (collaboratori e testi, ovviamente)
nei processi di mafia e criminalità organizzata in genere,
all'attività della Direzione nazionale antimafia e delle
procure distrettuali e alle questioni attinenti ai tribunali
distrettuali.
   Su questi temi darò ora la parola al ministro di grazia e
giustizia, che svolgerà una relazione al termine della quale i
commissari potranno rivolgere le loro domande, in modo il più
possibile sintetico, alle quali il ministro risponderà
immediatamente secondo l'ordine degli iscritti a parlare.
Ricordo ai colleghi che potranno svolgere un solo intervento,
con il quale porre una o più domande, per consentire a tutti
di rivolgere quesiti e perché non ci siano accavallamenti di
questioni e di interventi.
   Do quindi la parola al ministro Biondi.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Onorevoli senatori, onorevoli deputati, prima di tutto rivolgo
un saluto e un augurio alla Commissione. So che avete lavorato
molto; questa è la prima volta che ci incontriamo e sono molto
lieto di stare insieme a voi per una prima - penso - occasione
di scambio di opinioni, a disposizione come sono e sarò della
presidente e di tutti voi per le necessità che venissero via
via colte dalla Commissione, per le quali in ipotesi possa,
secondo la vostra disponibilità, essere utile l'apporto del
ministro di grazia e giustizia.
   E' importante che questa riunione si svolga proprio alla
vigilia di un importante fatto giudiziario, dove il delitto è
combattuto efficacemente dal diritto: si terrà domani
l'udienza preliminare del processo per la strage di Capaci.
Credo che questo sia un fatto molto importante da ricordare
prima di ogni altra considerazione di ordine più specifico,
che mi permetterò di leggere per non esondare come faccio di
solito nel corso delle mie esposizioni. Desideravo ricordarlo
perché anche questo è il risultato - e mi fa piacere averlo
colto in alcune dichiarazioni del collega Maroni che mi sono
state lette - di un proficuo e attivo lavoro investigativo e
giudiziario. Questo ha consentito a tutti noi di cogliere un
momento non solo di soddisfazione ma anche di convincimento
che la battaglia che si conduce da parte delle forze
dell'ordine e la rigorosa attività che compete all'autorità
giudiziaria sollecitano
Pagina 82
il ministro a dire una parola di apprezzamento e di
valutazione positiva.
   Faccio questa affermazione ritenendo che quel che dobbiamo
fare insieme, nei rispettivi ambiti, sia il consolidamento di
un rapporto per la sicurezza dello Stato contro ogni forma
criminosa e criminogena, come la mafia e le altre associazioni
malavitose che fanno della loro attività uno strumento non
solo di delitto, di violazione di norme di carattere penale,
ma anche di ulteriore potenziale squilibrio sul piano
economico, sociale e civile. Il perdurare di questo fenomeno
richiede un'attenzione particolare, una severità particolare e
una garanzia nella severità particolare, perché il rispetto
delle regole - premessa dell'azione - porta lo stato di
diritto a misure e comportamenti coerenti: da un lato, ad
assicurare la sicurezza e, dall'altro, a determinare le
garanzie che fanno della sicurezza una delle ragioni di
contrasto forte contro la mafia, che fa del delitto la sua
arma mentre noi del diritto facciamo la nostra arma di
risposta, che non è meno efficace, se applicata.
   E' con questo spirito che partecipo a questa seduta e farò
qualche riferimento in ordine all'impegno del Governo su
questo versante.
   Anche nel discorso programmatico del Presidente del
Consiglio, ripetuto poi in altre occasioni, la lotta al
crimine organizzato costituisce impegno prioritario per il
Governo, e ciò non solo per ragioni di ordine pubblico ma
anche per ragioni politiche e istituzionali. Il crimine
organizzato è nato e cresciuto in assenza di una vera
democrazia liberale, di un vero Stato di diritto. Come
osservavano sin dal 1876 Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino,
la mafia vive nell'incertezza del diritto. In questa delicata
fase politico-istituzionale è necessaria perciò la massima
determinazione per contrastare ogni tentativo da parte della
malavita organizzata di inserirsi nel processo di crescita e
di sviluppo della società italiana, consolidando le posizioni
acquisite nel passato. I segnali purtroppo sono ancora
allarmanti, soprattutto sul fronte della criminalità
economica. La mafia oggi è capace di operare attraverso
strumenti apparentemente legali, assorbendo all'interno del
proprio impero economico attività imprenditoriali già messe in
crisi dal taglieggiamento e dall'usura. Appare quindi evidente
come Cosa nostra abbia interpretato questa delicata fase della
vita del nostro paese come un'occasione, forse irripetibile,
per inserirsi in un circuito economico-sociale ben più ampio
di quelli nei quali è abituata ad operare. D'altra parte, lo
Stato, proprio in virtù del processo di crescita civile e
politica che caratterizza la nostra vita pubblica, ha
un'occasione unica per stroncare ogni ambizione
espansionistica di Cosa nostra.
   Il Governo perciò intende contrastare con la massima
risolutezza quei fenomeni criminosi sorti e sviluppatesi in
alcune regioni d'Italia, purtroppo anche in aree del
territorio nazionale e internazionale diverse da quelle
tradizionali, aree una volta ritenute immuni dalla
penetrazione mafiosa, dove le associazioni criminogene e
criminali hanno ormai consolidato strutture organizzative
ispirandosi al modello di Cosa nostra.
   La malavita organizzata non si sviluppa più solo secondo
il tradizionale modello verticistico ma segue un modello di
espansione più complesso, caratterizzato da una capacità di
penetrazione a tutti i livelli della vita socio-economica. Tra
l'affiliazione e l'estraneità è cresciuta una zona grigia,
nella quale è faticoso distinguere il lecito dall'illecito,
l'abuso dal crimine. Solo la certezza del diritto e la cultura
delle regole possono consentire alla comunità di estirpare
questa mala pianta. L'attività di contrasto al crimine
organizzato deve mirare soprattutto alla concreta interruzione
del ciclo economico malavitoso, rafforzando nel contempo
l'azione repressiva attraverso nuovi strumenti investigativi.
La linea politica e giudiziaria che è stata seguita finora ha
portato e porta a distinguere nel complesso delle attività
criminali le manifestazioni malavitose che siano espressione
di stabili e strutturali organizzazioni di tipo mafioso o di
altro genere. Laddove il vincolo associativo si configura come
condizione dell'esercizio dell'attività criminale, il
legislatore è intervenuto per
Pagina 83
agevolare la rescissione del rapporto criminoso tra la mafia
e gli ambienti politici, istituzionali ed economici che si
erano ad essa assoggettati (e forse lo sono ancora). Numerose
leggi al riguardo sono state approvate nelle passate
legislature: in materia penale, di organizzazione dello Stato
e degli enti locali, di appalti e subappalti, del sistema
bancario e finanziario.
   In relazione a questa esigenza sono nati nuovi soggetti
istituzionali: la Direzione nazionale antimafia, la direzione
distrettuale antimafia e la DIA, che costituiscono nel loro
complesso una risposta o per lo meno un'indicazione
strategica, anche dal punto di vista del coordinamento, che lo
Stato ha scelto per individuare e confliggere contro la
unitarietà del rapporto mafioso. Questa continuità può essere
combattuta anche attraverso una maggiore concretizzazione
delle strutture e attraverso modalità di articolazione e di
esercizio dell'attività di queste organizzazioni. Sono passati
più di due anni dall'istituzione della DNA e il periodo di
sperimentazione del nuovo organismo ha fatto emergere problemi
interpretativi e applicativi in ordine alle norme introdotte
dal decreto-legge n. 367 del 20 novembre 1991, convertito
nella legge n. 8 del 20 gennaio 1992. Già lo stesso
procuratore nazionale antimafia, nell'audizione del 28 aprile
1993 proprio dinanzi a questa Commissione parlamentare,
evidenziava l'esistenza di alcune questioni interpretative cui
dà luogo l'attuale normativa e sottolineava altresì la
rilevanza di alcuni temi quale quello concernente il
cosiddetto accesso al collaborante ai fini del funzionamento
della struttura.
   In estrema sintesi si elencano alcune delle più
significative questioni riguardanti la materia. In primo
luogo, non vi è univocità interpretativa sull'ambito temporale
dell'esercizio dei poteri del procuratore nazionale. Secondo
diversi procuratori della Repubblica, l'articolo 15 del
decreto-legge n. 376 del 1991 va interpretato nel senso di
escludere dall'ambito di applicazione del decreto i fatti di
mafia accaduti prima della sua entrata in vigore, sottraendo
così alla competenza della DNA una serie di indagini
preliminari rientranti nella materia che la legge le
attribuisce. Su questo punto è intervenuto il Consiglio
superiore della magistratura, che proprio in una relazione
abbastanza recente, del 26 gennaio 1994, sull'organizzazione
ed il funzionamento della Direzione nazionale antimafia,
auspica un intervento normativo diretto ad estendere a tutti i
procedimenti pendenti per i reati di cui all'articolo 51,
comma 3-bis, del codice di procedura penale, ivi
compresi quelli iscritti in data anteriore al 20 novembre
1991, (giorno di entrata in vigore del decreto di modifica
della norma codicistica), l'applicazione dell'articolo
371-bis del codice di procedura penale.
   Quanto al diritto di accesso del procuratore nazionale al
registro delle notizie di reato ed alle banche dati delle
direzioni distrettuali, l'interpretazione accolta da vari
procuratori della Repubblica è quella di considerare come
unico momento di esplicazione del potere di coordinamento
soltanto l'acquisizione di notizie, informazioni e dati
attinenti alla criminalità organizzata (articolo
371-bis, comma 3, lettera c) del codice di
procedura penale), negando conseguentemente al procuratore
nazionale la facoltà di acquisire gli atti dei procedimenti
per fatti di mafia. Su questo punto, il Consiglio superiore
della magistratura, nella stessa relazione che ho già
ricordato, affronta espressamente il tema contestando la linea
seguita da alcuni procuratori distrettuali, auspicando
interventi normativi diretti a: una ridefinizione del testo
dell'articolo 371-bis per una sua più decisa
armonizzazione con le essenziali funzioni di coordinamento,
anche attraverso il chiarimento di precisi limiti di eventuali
attività meramente promozionali della Procura nazionale
antimafia, in particolare delineando con maggiore precisione i
limiti dei poteri di impulso; una netta e chiara affermazione
del pieno e non limitato diritto di accesso al contenuto degli
atti di indagine da parte della Direzione nazionale
antimafia.
   Passando ai rapporti tra procuratori ordinari e
procuratori distrettuali, vi sono problemi di coordinamento
fra le procure
Pagina 84
ordinarie e le direzioni distrettuali: accade per esempio che
si verifichino contrasti circa la facoltà dei procuratori
distrettuali di delegare l'assunzione di atti al procuratore
ordinario, come prevede l'articolo 370, nonché sul diritto del
primo a conoscere fatti aventi connotati di mafiosità avvenuti
nel territorio della procura ordinaria. Ciò incide anche sul
funzionamento degli organi di polizia giudiziaria, che nel
trasmettere l'informativa del reato possono incontrare
difficoltà nell'individuare la competenza dell'uno o
dell'altro organo.
   Criteri differenti di ripartizione degli affari fra le due
procure vengono praticati dai vari uffici, e ciò a causa della
generica formulazione dell'ipotesi residuale di attribuzione
delle indagini alla direzione distrettuale antimafia: infatti,
secondo l'articolo 51, comma 3-bis, rientrano nella
competenza della direzione distrettuale antimafia anche i
reati connessi "al fine di agevolare l'attività" delle
associazioni mafiose. Criterio questo, però, quanto mai
aleatorio, anzi talvolta ipotetico, perché non si tratta del
nesso teleologico, ma di qualsiasi reato che in qualsiasi modo
non sia riconducibile a moventi meramente individuali
dell'associato.
   Come rilevato dal Consiglio superiore della magistratura
nel parere reso in ordine al disegno di legge sull'istituzione
dei tribunali distrettuali, tale criterio, per essere
concretamente applicabile, presupporrebbe un avanzato
svolgimento delle indagini da parte della procura ordinaria,
con trasferimento alla direzione distrettuale antimafia solo
quando emerga tale nesso. Tuttavia bisogna riconoscere che la
norma è stata applicata secondo i più vari accordi tra le
direzioni distrettuali antimafia e le procure locali:
trattazione diretta della procura locale e trasmissione alla
direzione distrettuale antimafia non appena appaia il nesso,
o, al contrario, iniziale trattazione di quest'ultima e
successiva eventuale trasmissione alla prima quando il delitto
non risulta nel contesto dell'associazione delittuosa.
   Appare quindi evidente che vi sono delle misure da
assumere, ed io sarò molto lieto se anche da questa
Commissione arriveranno indicazioni e valutazioni che mi
consentano di svolgere (o direttamente o recependo iniziative
che i singoli parlamentari potranno assumere) il mio compito
al fine di rendere più chiaro, meno conflittuale e - come dice
il Consiglio superiore - meno ambiguo questo rapporto e
affinché questa actio finium regundorum, cioè questa
verifica dei rispettivi confini, avvenga in modo che non si
presti né a intromissioni né a esondamenti di competenze.
   Quanto ai colloqui investigativi, il potere di procedere
ad essi è stato ed è oggetto di fondate perplessità,
evidenziate dallo stesso CSM nella relazione già indicata. Si
tratta di un potere "ibrido", privo di qualsiasi
regolamentazione sia con riferimento alle modalità di
documentazione sia con riguardo alla utilizzazione del
materiale acquisito. Attribuendo al procuratore nazionale il
potere di procedere ai colloqui investigativi gli si
conferisce, nella sostanza, un potere di indagine che può
apparire confliggente con gli altri suoi poteri, e pone un
importante interrogativo sulla generale funzione del nuovo
organismo, nato essenzialmente per finalità di impulso,
servizio e coordinamento.
   Il CSM, su questo punto, ha adottato una posizione di
grande cautela, ritenendo che il colloquio investigativo debba
essere ricondotto nell'alveo della generale funzione di
conoscenza che tende a realizzare l'autonomia informativa e
con essa il presupposto necessario per una completa azione di
individuazione e coordinamento delle indagini collegate delle
varie direzioni distrettuali antimafia. Lo stesso CSM
sollecitava inoltre un protocollo rigido di assunzione che non
deve prescindere dalla verbalizzazione, come garanzia di
trasparenza, rimettendo al legislatore la decisione sulla
presenza del difensore e sulla eventuale regolamentazione
dell'utilizzabilità dell'atto.
   I problemi sopra evidenziati non possono affrontarsi in
modo isolato - questa è una mia conclusione - ma vanno
ricondotti nel discorso generale riguardante gli assetti
organizzativi e le forme di funzionamento
Pagina 85
della Direzione nazionale antimafia; va purtuttavia
osservato come nessuna modifica della normativa vigente può
allo stato essere concepita se prima non vengano sentiti tutti
i soggetti e gli operatori che per vario verso risulteranno
interessati. E questo mi sembra - anche se non è necessario
che io dia suggerimenti - un compito di raccordo e di verifica
delle posizioni dei soggetti con competenze e ruoli diversi
che questa Commissione potrebbe utilmente esperire, aiutando
così il ministro ad assumere le misure che gli competono sulla
base di uno spettro di valutazioni più ampio.
   Per quanto riguarda la banca dati della Direzione
nazionale antimafia, essa è in fase di avanzata realizzazione:
è una banca dati di tipo relazionale da collegare con i
sistemi informatici delle procure distrettuali, consentendo
così alla DNA, con la nuova rete informativa, di svolgere in
modo efficace la sua funzione istituzionale di impulso e di
coordinamento.
   Quanto ai tribunali distrettuali, nella passata
legislatura è stato presentato il disegno di legge relativo
alla determinazione della competenza per i dibattimenti
concernenti i reati di criminalità organizzata. Il
provvedimento veniva indicato come complemento necessario
all'istituzione delle direzioni distrettuali antimafia e si
proponeva di razionalizzare le energie esistenti, concentrando
mezzi e risorse presso le città sede di corte d'appello, di
valorizzare specifiche esperienze professionali, di tutelare
la sicurezza di magistrati, detenuti e collaboratori di
giustizia, di decongestionare, infine, gli uffici giudicanti
non distrettuali.
   Dei tribunali distrettuali si è discusso in una delle
ultime sedute del Comitato nazionale per l'ordine e la
sicurezza pubblica - non so se ve ne abbia già parlato il
ministro Maroni -, ove è stata presa in considerazione l'idea
di inviare al Consiglio superiore della magistratura un nuovo
schema di disegno di legge modificato nella parte relativa
alla composizione del tribunale, che verrebbe costituito a
rotazione dai giudici in servizio nell'ufficio giudiziario nel
quale il tribunale distrettuale è istituito.
   L'iniziativa è scaturita dall'intento di ottenere un nuovo
parere da parte del CSM, che sul primo disegno di legge si
espresse in senso contrario all'istituzione del nuovo ufficio.
Le proposizioni contrarie alla proposta di costituzione del
nuovo organismo, nel parere del CSM, vengono così
sintetizzate: primo, benché l'intervento risulti formalmente
limitato ad una modifica della competenza territoriale per
taluni reati, esso si iscrive comunque in una logica di tipo
emergenziale, estranea ad una visione organica
dell'ordinamento giudiziario ed anzi in contrasto con la
prospettiva di favorire una presenza armonica e diffusa degli
organi giurisdizionali sul territorio; secondo, accentrare le
competenze presso determinati organi può comportare l'effetto
negativo di dar vita ad una sorta di doppia magistratura: la
prima affidataria dei processi di maggiore importanza e
rilievo sociale, la seconda destinataria degli affari
correnti, col rischio di provocare conflittualità all'interno
degli uffici, demotivazioni e alterazioni nello stesso ruolo
della giurisdizione; terzo, differenziare gli interventi
giurisdizionali in relazione alla diversità dei soggetti e dei
reati potrebbe condurre alla previsione di giurisdizioni
diverse, in contrasto con il principio di unità della
giurisdizione e con la natura di potere diffuso che da tale
unità deriva e che ad essa è propria.
   Il proposto accentramento della competenza territoriale
risponderebbe non già ad esigenze presenti sull'intero
territorio nazionale bensì a situazioni particolari di taluni
distretti, con conseguente inopportunità di tradurre in norma
generale una sollecitazione nascente da spinte locali.
   Sempre secondo il Consiglio superiore, le esigenze di
concentrazione, specializzazione, sicurezza ed efficienza
possono trovare una diversa soluzione, più rispettosa del
principio del giudice naturale, più compatibile con le
necessità di razionalizzare l'organizzazione della
giurisdizione sul territorio e più produttiva di cultura
investigativa diffusa. A riguardo, viene fatto presente che la
normativa istitutiva
Pagina 86
della Direzione nazionale antimafia e delle direzioni
distrettuali antimafia ha molteplici possibilità espansive,
che occorre avere presenti e valutare a fondo prima di
accedere a settoriali modifiche ordinamentali. In sostanza, si
sostiene che il lavoro iniziato si trova ancora in una fase di
sviluppo: ne consegue che gli interventi normativi finalizzati
a contingentare tale lavoro potrebbero finire per limitarne le
potenzialità espansive. L'istituzione dei cosiddetti tribunali
distrettuali contribuirà ad accentuare l'elefantiasi dei
grandi uffici, già oggi difficilmente governabili. Si pensi al
caso di Napoli, dove si è dovuto ricorrere all'istituzione di
un'apposito organismo per la gestione ordinaria degli
immobili.
   Gli argomenti a sostegno, come quelli contrari,
all'istituzione del nuovo ufficio sono certamente fondati su
ragioni obiettivamente valide.
  LUCIANO VIOLANTE. Perché parla di nuovo ufficio? Si
tratta solo di una modifica connessa alla competenza per
territorio.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Certo, ma dal punto di vista della formazione di questo
organismo occorrerà incidere sull'ordinamento giudiziario, in
modo da destinare soggetti attualmente impiegati in una
funzione e in un ruolo diversi ad una struttura che avrà la
natura di un ufficio riassuntivo di una competenza più vasta
che sarà attribuita. Non sarà un nuovo ufficio, ma si tratta
comunque di competenze nuove.
   Mi pare che l'argomentazione evidenziata dal Consiglio
superiore della magistratura...
  LUCIANO VIOLANTE. Mi scusi, ministro, ma questo è un
punto importante. Forse parliamo di cose diverse...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Io
sto parlando dei tribunali distrettuali.
  PRESIDENTE. State parlando della stessa cosa, sia pure
definendola in modo diverso.
  LUCIANO VIOLANTE. Il tribunale distrettuale implica
soltanto competenza per territorio...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Questo l'ho detto!
  LUCIANO VIOLANTE. ...poi i processi vengono distribuiti
normalmente tra le singole sezioni. Quindi, non c'è un
ufficio.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Attraverso la competenza si realizza una struttura che ha una
natura diversa da quella precedente.
  LUCIANO VIOLANTE. Per i reati tributari e per quelli di
borsa è così; eppure non vi è stata alcuna modifica!
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Io
sto citando il parere del CSM...
  LUCIANO VIOLANTE. Lo conosciamo.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Va
bene, lo conoscete, ma...
  LUCIANO VIOLANTE. Il problema è se il ministro pensa ad
un nuovo ufficio o soltanto ad una competenza per
territorio.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Questa non è la mia opinione, perché la mia opinione circa
l'opportunità dei tribunali distrettuali non l'ho ancora
espressa. Ho solo citato le valutazioni, che qualcuno
considera positivamente, formulate dal CSM. Ho anche detto che
nascerà da una iniziativa comune, che è stata messa in
cantiere in seno al Comitato per l'ordine e per la sicurezza
pubblica, una proposta che sottoporremo al parere del CSM.
  LUCIANO VIOLANTE. E' già stata trasmessa al CSM!
Pagina 87
   ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. E'
stata mandata al CSM. Si tratta di un'impostazione che, dal
punto di vista strutturale, non modifica un ufficio ma che
invece comporta modifiche sotto il profilo della competenza;
richiede quindi l'utilizzazione di soggetti che dovranno
essere spostati da un'ufficio all'altro per avere la
possibilità di svolgere il maggior numero di processi in
un'area diversa rispetto a quella in cui questi ultimi
potrebbero tenersi normalmente.
  PRESIDENTE. Eventuali osservazioni potranno essere
rivolte al ministro al termine della sua relazione.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Appare opportuno inserire la problematica dei tribunali
distrettuali nel contesto più ampio delle modifiche
ordinamentali, per evitare i rischi di iniziative isolate e
disancorate dalle linee di fondo che dovranno essere delineate
dalle commissioni già costituite. Al riguardo, sono
significativi i dati risultanti dall'attività di monitoraggio
della Direzione generale degli affari penali con riferimento
alle pendenze dei procedimenti penali per delitti di
criminalità organizzata di stampo mafioso. Risulta, infatti,
che nel 1993 presso gli uffici giudicanti pendono
complessivamente 659 procedimenti per delitti di criminalità
organizzata, di cui 495 (pari al 75,4 per cento) negli uffici
sede di capoluogo di distretto e 164 (pari al 24,6 per cento)
nei restanti uffici giudicanti. Da tali dati è possibile
dedurre che, a fronte di modifiche strutturali e organizzative
di portata complessa, quali quelle conseguenti alla necessità
di rivedere gli organici dei tribunali locali, di dilatare
quelli dei tribunali dei capoluoghi distrettuali e di
moltiplicare presso tali sedi il numero delle corti di assise,
l'effetto positivo per i sostituti delle direzioni
distrettuali antimafia sembrerebbe assai modesto in rapporto
al contenuto numero dei procedimenti da celebrare presso i
tribunali periferici.
   Quanto al trattamento processuale e penitenziario dei
collaboratori di giustizia, sotto l'aspetto processuale la
questione delle verifiche sulle dichiarazione dei
collaboratori va approfondita e studiata adeguatamente per
stabilire se sia possibile pervenire a soluzioni più
soddisfacenti e rigorose rispetto a quelle previste
dall'articolo 192 del codice di procedura penale. E' indubbio,
infatti, che il concetto di "riscontro" subisce troppo spesso
difformi e non sempre condivisibili interpretazioni, anche se
la professionalità e lo scrupolo della magistratura
costituiscono una garanzia di obiettività rispetto alla
difficile valutazione di questo elemento.
   Sotto l'aspetto del trattamento penitenziario, va attuata
la separazione degli organi di investigazione da quelli di
protezione, rivedendo nel suo complesso la disciplina
elaborata dalla legge n. 82 del 1991, anche per ciò che
riguarda i compiti della commissione centrale costituita
d'intesa tra i Ministeri dell'interno e di grazia e giustizia.
La materia dei collaboratori di giustizia è comunque oggetto
di esame congiunto da parte dei Ministeri di grazia e
giustizia e dell'interno i quali, nel gennaio 1994, hanno
costituito un gruppo di lavoro composto da rappresentanti
dell'uno e dell'altro dicastero. Il gruppo ha elaborato uno
schema articolato riguardante la protezione dei collaboratori
di giustizia, che sarà licenziato dopo gli opportuni e
congiunti approfondimenti, non appena perverrà il parere della
commissione centrale. Lo schema di provvedimento, previsto
dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 8 del 15 gennaio
1991, contiene alcune proposte significative, quali: la
previsione che, prima della formulazione della proposta di
programma di protezione, il procuratore della Repubblica
acquisisca dal collaboratore di giustizia una dichiarazione
(cosiddetta dichiarazione di intenti) contenente l'indicazione
dei fatti rilevanti a sua conoscenza dei quali intende
riferire e idonea, perciò, sia a consentire un primo esame
sulla serietà e qualità del contributo sia a modulare
consapevolmente gli interventi processuali e di protezione da
adottare; la previsione che la dichiarazione di intenti sia
trasmessa al procuratore antimafia perché
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questi, grazie ai poteri di coordinamento e di conoscenza di
cui dispone, favorisca i contatti con i magistrati delle
diverse procure distrettuali eventualmente interessati alle
dichiarazioni del collaboratore, coordinando l'utilizzazione
processuale di queste ultime e valutando, infine, la rilevanza
in relazione alle misure di protezione che dovranno essere
deliberate dalla commissione.
   Le proposte contenute nel citato schema di regolamento,
pur non avendo carattere esaustivo (ponendosi in sede di
normazione secondaria), consentono di affrontare i temi
processuali dell'utilizzazione e delle verifiche di
attendibilità e costituiscono un primo passo verso la strada
della "razionalizzazione" e del rafforzamento sistematico
della normativa in tema di collaboratori di giustizia.
   Per quanto attiene all'ordinamento penitenziario, la
politica penitenziaria sviluppata dall'attuale e dai
precedenti governi negli ultimi anni ha operato una
restrizione dell'ambito applicativo dei benefici penitenziari
nei confronti dei soggetti condannati per delitti di natura
mafiosa. Deroghe al regime di maggior rigore sono previste
solo dinanzi ad un atteggiamento di collaborazione processuale
indicativo dell'avvenuto superamento dei legami con le
associazioni criminali di appartenenza. Può quindi dirsi che
il regime penitenziario è particolarmente attento alle
esigenze di sicurezza della collettività e che esso non merita
attualmente, per i detenuti più pericolosi, alcuna
revisione.
   Resta tuttavia l'opportunità di pensare ad una complessiva
revisione delle norme ordinarie di ordinamento penitenziario
per assicurare al sistema una maggiore organicità e ridurre il
pesante sovraffollamento che impedisce qualsiasi seria
politica di trattamento rieducativo. Di tali norme si è
ritenuta necessaria una urgente anticipazione, specie per ciò
che riguarda i presupposti e le caratteristiche di alcune
misure alternative alla detenzione. Il disegno di legge in
materia penitenziaria, attualmente all'esame del Governo,
costituisce pertanto un primo passo - per la verità non ancora
avanzato - verso l'obiettivo della razionalizzazione e, nel
contempo, rappresenta una risposta ad alcune delle esigenze
più impellenti del mondo delle carceri. Il fine principale
delle nuove previsioni è quello di raggiungere negli istituti
penitenziari un trattamento personalizzato attraverso la
revisione dei presupposti di ammissibilità delle misure
alternative, ancorandole ad una pericolosità attuale ed
effettiva e sensibilizzando maggiormente la magistratura di
sorveglianza e i centri di servizio sociale ad una più attenta
osservazione, nel contempo potenziando e valorizzando il ruolo
della polizia penitenziara. Si tratta comunque di ampliamenti
che non contrastano con le esigenze di sicurezza della
collettività, ma che possono ridurre le tensioni carcerarie ed
il sovraffollamento degli istituti penitenziari.
   Le esigenze della sicurezza e quelle della garanzia, in
una società come la nostra, rappresentano due facce della
stessa medaglia ed esigono una realtà articolata che porti ad
una modificazione significativa, anche attraverso l'adozione
di circuiti differenziati. A tale riguardo va precisato che
l'obiettivo da conseguire in tempi brevi è quello della netta
separazione dei detenuti giudicabili dai definitivi e,
all'interno delle due grandi aree, dei detenuti giovani e
adulti meno pericolosi dagli ultraventicinquenni e più
pericolosi. Dovrà essere altresì assicurata la
diversificazione di istituti per detenuti comuni e istituti
riservati a detenuti ad alto indice di pericolosità.
   Per quanto riguarda l'articolo 41-bis della legge 26
luglio 1975, n. 354 (norme sull'ordinamento penitenziario),
esso è applicabile nei confronti dei detenuti più
pericolosi.
   Il nucleo originario della norma, costituito oggi dal
primo comma, venne introdotto nel 1986 (con la cosiddetta
legge Gozzini) per fronteggiare situazioni generiche ed
episodiche di turbamento all'interno delle carceri. In
origine, la ratio della norma era quella di porre
rimedio a stati transitori di crisi di origine ambientale e
non legati a particolari fenomeni di permanente illegalità,
realizzata
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nel circuito carcerario dalla criminalità organizzata.
   Ben diverse sono, invece, l'origine e la ratio della
norma aggiuntiva (introdotta con il cosiddetto decreto legge
Martelli nel 1992). Il secondo comma, infatti, si differenzia
dal primo per due caratteristiche: mira a fronteggiare non già
situazioni di emergenza interne alle carceri, ma piuttosto una
situazione di pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica
esterni (tanto che è espressamente previsto, e
istituzionalizzato, il potere di richiesta del Ministero
dell'interno); tale situazione di pericolo per l'ordine e la
sicurezza è intimamente connessa al potere illegale
esercitato, anche all'interno del sistema carcerario, da
soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, specie di
tipo mafioso, ovvero da soggetti responsabili di altri
gravissimi delitti, costituenti pure, normalmente, espressione
del crimine organizzato.
   Il secondo comma dell'articolo 41-bis è quindi
ancorato alla capacità della criminalità organizzata di
infiltrarsi nel circuito penitenziario con indubbi pericoli
per la tenuta della legalità all'interno delle carceri e con
propagazione all'esterno di impulsi criminosi. La norma
rappresenta perciò la risposta dello Stato ad una situazione
di minaccia per la sicurezza interna ed esterna alle carceri,
e la sua efficacia temporale (limitata a 3 anni) è
geneticamente collegata al permanere del pericolo rilevato.
   Spetta, dunque, al Governo, nella sua collegialità, ed al
Parlamento verificare lo stato della sicurezza, che non è,
come già detto, solo quello dei e nei penitenziari, ma anche
quello più generale della collettività (ed in questo senso
deve essere acquisito anche il parere del ministro
dell'interno), per decidere sulla proroga dell'efficacia della
norma che, proprio per le sue connotazioni oggettive e per le
ragioni che ne determinarono la nascita, non può che essere di
natura temporanea, anche se non sembra il caso, in questo
momento, di mettere in discussione la permanenza delle
motivazioni che ne determinarono la previsione e che,
purtroppo, sono tuttora sussistenti.
   Stamane ho saputo che è stata presentata una proposta di
legge parlamentare per rendere - per così dire - definitiva la
norma. Ho un'opinione che in questo momento non esprimo, ma
apprezzo tutte le iniziative che consentono, nell'ambito di un
confronto, di valutare il limite della protrazione e la
necessità, in un momento come questo, di non abbassare la
guardia né di dare la speranza che la guardia possa essere
abbassata di fronte al perdurare di un pericolo la cui
sussistenza è purtroppo ancora viva e produttiva di gravi
rischi per la collettività in generale.
   Non vi sono, quindi, all'interno del Governo, problemi che
non debbano essere valutati nella collegialità e nella
responsabilità di non cedere a tentazioni che apparentemente
possono sembrare legalitarie ma in realtà potrebbero
determinare un grave rischio per il protrarsi delle condizioni
che tuttora sussistono e che riceverebbero un'incentivazione
nel caso in cui avessimo la debolezza di non rispondere in
termini di grande fermezza.
   Questa è - lo ripeto - l'opinione del ministro
guardasigilli; al momento opportuno, la confronterò con il
ministro dell'interno e con gli altri responsabili della
politica governativa ed avremo con il Parlamento il rapporto
necessario per esaminare tutte le strutture e gli strumenti
che potranno essere ritenuti validi nel momento in cui dovremo
assumere una determinazione.
   Su un piano più strettamente operativo, va osservato che
la giurisprudenza della Corte costituzionale, seguita poi
dalla Corte di cassazione, prevede la reclamabilità e la
sindacabilità dei provvedimenti con i quali l'amministrazione
penitenziaria, ai sensi dell'articolo 41-bis, comma
secondo, dell'ordinamento penitenziario, disponga la
sospensione delle normali regole di trattamento nei confronti
di determinati detenuti (quelli caratterizzati da questo tipo
di potenzialità criminosa). Il reclamo, in applicazione
analogica dell'articolo 14-ter del suddetto ordinamento,
va proposto al competente tribunale di sorveglianza.
Quest'ultimo, chiamato a pronunciarsi a seguito del reclamo,
verifica, da un
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lato, se il provvedimento possa essere ricollegato ai fatti
ed alle situazioni addotti dal Ministero come causa del suo
intervento e, dall'altro, se le limitazioni imposte appaiano
funzionali al perseguimento dell'obiettivo finale dell'atto
amministrativo.
   La disamina delle numerose pronunce della magistratura di
sorveglianza in tema di legittimità dei provvedimenti adottati
consente di rilevare alcuni elementi significativi, che
desidero sottolineare in questa sede.
   In linea generale, viene affermata la legittimità del
decreto di differenziazione, ritenendo in tal modo
giustificato l'intervento del ministro. Vengono invece
dichiarate inefficaci le limitazioni più significative, perché
ritenute non idonee allo scopo sotteso alla ratio del
provvedimento, che è quello di ridurre al minimo i contatti
del detenuto con l'esterno, per evitare pericolose
interferenze con attività criminali di tipo associativo,
gestite in libertà da altri. Di norma sono dichiarati
inefficaci: il divieto di corrispondenza telefonica con
familiari e conviventi, perché si ritiene che la facoltà di
audizione e di registrazione riduca il rischio di interferenze
nell'attività delittuosa (si tratta di cose che nascono dalle
interpretazioni giurisprudenziali e che segnalo solo perché la
Commissione ne tenga conto); il divieto di colloqui ordinari
con familiari e conviventi eccedenti il numero di uno al mese
per la durata di un'ora, poiché le modalità del colloquio
(vetri di separazione) e la possibilità di renderlo, oltre che
visivo, anche auditivo non aumentano i pericoli di intervento
criminale; il divieto di acquisto di generi alimentari che
richiedono cottura, perché non si rileva alcun aggancio con le
finalità perseguite dal provvedimento ministeriale; il limite
di due ore per fruire del passaggio all'aria, poiché si
ritiene che la prescrizione non abbia alcun riflesso sulla
sicurezza esterna.
   Sulla base di queste valutazioni di ordine
giurisprudenziale e attuativo e di tale orientamento, è stata
segnalata la necessità di raccogliere ogni utile informazione,
presso le autorità giudiziarie e di polizia, che possa servire
a giustificare l'efficacia del provvedimento, in modo da
motivarlo adeguatamente e renderlo insuscettibile di censura
da parte degli organi giurisdizionali. Si tratta di un fatto
molto importante al fine di evitare che, a causa dell'adozione
di misure che possono avere un carattere meramente afflittivo,
si metta in discussione il bene primario rappresentato
dall'isolamento "stagno" del soggetto che può essere ancora
pericoloso all'esterno.
   Su tale linea è impegnata l'amministrazione, che si pone
come prioritari i problemi di sicurezza dei detenuti più
pericolosi, e intende perciò assumere tutte le iniziative che
si renderanno utili per evitare che questi detenuti possano
provocare illeciti all'interno del carcere ovvero far entrare
dall'esterno oggetti vietati e che essi possano svolgere opera
di propaganda criminale o di proselitismo, offrendo protezione
o aiuto ad altri detenuti, ovvero strumentalizzandoli o
ricattandoli, acquisendo, in tal modo, rispetto o posizioni di
supremazia o privilegio.
   In questo senso, si intende operare, come già detto,
mediante la realizzazione di circuiti differenziati, che
consentirà di separare questi detenuti dagli altri e, nel loro
ambito, i capi dai gregari, nonché di custodire i capi, ossia
coloro che hanno un grado più alto nella gerarchia militare,
in istituti lontani dalle città e regioni di provenienza,
perché ciò rende loro più difficili i collegamenti con gli
ambienti sui quali esercitavano influenza e inoltre determina
un serio colpo al loro "prestigio criminale".
              PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
                    GIUSEPPE ARLACCHI
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Proprio questo malinteso "prestigio criminale" è spesso una
delle ragioni che avvincono ancora in stato di cattività
coloro che possono, da questo abbassamento di prestigio, far
derivare anche una minore capacità di adesione o di
soggezione.
   Quella che ho fatto è una prima elencazione - forse un po'
troppo minuziosa e
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parziale - che quindi non è esaustiva dei problemi molto
gravi che abbiamo di fronte e che dovremo affrontare, come ho
detto all'inizio, insieme, con grande confidenza, reciproca
fiducia e fattiva collaborazione. Vi ringrazio per
l'attenzione.
  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Biondi per la sua
esposizione.
  SERGIO MATTARELLA. Vorrei chiedere al ministro soltanto
un chiarimento, perché mi è parso di cogliere una differenza
di opinione rispetto a quanto ha affermato questa mattina il
ministro dell'interno circa il regime carcerario.
   Questa mattina il ministro Maroni ha sostenuto di essere
favorevole ad una trasformazione in norma permanente e a
regime della famosa disposizione di cui il ministro Biondi ci
ha appena parlato, incontrando consensi negli interventi
svolti in Commissione.
   Personalmente sono favorevole a quanto ha affermato questa
mattina il ministro Maroni e desidero chiedere al ministro
Biondi un chiarimento su un aspetto che non ho ben compreso:
dapprima egli ha affermato che la norma in questione non può
che essere di per sé transitoria e successivamente ha detto
che non avrebbe espresso la sua opinione.
   Vorrei allora comprendere quale sia l'opinione del
ministro e se egli non ritenga che una norma del genere,
perennemente transitoria, possa provocare, tra le altre
conseguenze negative del suo carattere transitorio,
l'insorgere, ad ogni scadenza, di campagne intimidatorie, che
dispongono degli strumenti delittuosi che ben conosciamo.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Premetto che ho soltanto letto notizie di agenzia, perché sono
appena arrivato da Genova e non vi era stato tra noi alcun
coordinamento sulla posizione relativa alla determinazione
dello stato di permanenza della misura in questione. Quella
del ministro Maroni è un'opinione rispettabile, e ho detto che
le decisioni saranno assunte dal Governo nella sua
collegialità. Quando ho affermato che si tratta di una norma
che per sua natura è attualmente temporanea, ho detto qualcosa
di ovvio e di lapalissiano: comunque, trattandosi di una norma
a termine, essa potrà essere prorogata fissando un altro
termine congruo oppure resa definitiva e permanente senza
prevedere termini ad quem.
                PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
                     TIZIANA PARENTI
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Si
tratta conseguentemente di un problema di carattere politico,
che il Governo affronterà certamente; la mia opinione è che
misure di questo tipo, che attengono ad una modalità con la
quale nella vita carceraria si differenzia un soggetto
dall'altro, obbediscono a motivi particolari che le
legittimano ed anzi le impongono.
   Da questo punto di vista, non ho dubbi circa la necessità
della reiterazione della norma. Quanto ai termini della stessa
reiterazione, mi sarà consentito di avere un'opinione che
evidenzierò dopo aver effettuato un'ulteriore valutazione,
anche sulla base di ragionamenti e di dialoghi con altri
colleghi all'interno e al di fuori del Governo.
   Allo stato, ritengo di poter dichiarare che le motivazioni
che hanno reso presente e attivo l'articolo 41-bis e che
permarranno fino alla scadenza del 1995, purtroppo sussistono
tuttora; di conseguenza, quello della reiterazione non è un
problema che si pone al Governo e al ministro di grazia e
giustizia. L'entità della reiterazione formerà oggetto di una
mia attenta considerazione, senza preclusioni ma anche senza
anticipi di valutazioni che finora non ho compiuto.
   Apprezzo naturalmente l'opinione del ministro Maroni, che
sonderò meglio nell'ambito dei rapporti intercorrenti tra noi;
se poi mi formerò un'opinione più precisa verrò a riferirne in
Parlamento o presso questa stessa Commissione, se sarò
chiamato a risponderne.
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   GIUSEPPE AYALA. Portando questo discorso alle estreme
conseguenze potremmo "temporizzare" l'articolo 416-bis
del codice penale.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Mi
sono riferito ad un nesso di temporaneità, non di usualità;
alla scadenza una norma può essere o meno reiterata, ed io
ritengo che debba essere reiterata. Quanto ai tempi, mi
riservo una valutazione.
   Certamente, sarebbe bello se non vi fosse l'articolo
416-bis, naturalmente nel caso in cui la mafia fosse
sconfitta definitivamente; il fatto stesso che si tratti di un
articolo 416-bis significa che c'è un articolo 416.
  RAFFAELE BERTONI. Proprio su questo argomento ho
presentato questa mattina un disegno di legge al Senato, come
hanno fatto d'altra parte i colleghi progressisti alla Camera,
che tende ad abrogare l'articolo 29 della legge del 1992 che
fa cessare dopo tre anni - quindi nell'agosto prossimo -
l'articolo 41-bis, in modo che quest'ultimo entri a
regime.
   Nel rivolgere al ministro due domande, devo rilevare
innanzitutto che mi sembra chiaro che il suddetto articolo 29
volle dare all'articolo 41-bis un carattere eccezionale;
ma poiché la mafia esiste, evidentemente l'articolo
41-bis deve seguire la mafia stessa e non può
ragionevolmente seguire una previsione di cessazione del
fenomeno mafioso, tant'è vero che a due anni di distanza ci
accorgiamo che la mafia non è affatto finita e che non è
cessata la sua pericolosità né quella dei detenuti mafiosi.
   Chiedo allora al ministro Biondi una risposta precisa, che
in sostanza egli ha dato, ma almeno per me (e credo anche per
altri, visto che anche l'onorevole Ayala ha espresso
un'opinione simile) non è soddisfacente. Allora, il punto
centrale consiste nell'affermare che, fino a quando la mafia
esisterà, vi sarà questo regime per i detenuti mafiosi; appena
la mafia avrà cessato di essere pericolosa come è oggi, la
legge potrà essere modificata. In caso contrario, si farà
un'altra previsione che poi potrà rivelarsi sbagliata, con un
grave pericolo, come giustamente rilevava l'onorevole
Mattarella, per la credibilità dello Stato nei confronti dei
mafiosi.
   Vi è poi un altro aspetto importante, su cui ho insistito
nella relazione introduttiva al mio disegno di legge e che ora
sottopongo al ministro: vorrei sapere se quest'ultimo ritenga
che il disegno di legge si debba esaminare nell'imminenza
della scadenza oppure subito, senza attendere la scadenza
stessa. A mio avviso, infatti, se non si procede subito, si
continuano a favorire le polemiche che falsi garantisti, a
cominciare da Tiziana Maiolo, che ricopre una carica
istituzionale importantissima, hanno messo in giro quest'anno,
e soprattutto si fomentano e si favoriscono le aspettative dei
mafiosi. Questo lo Stato non può permetterselo!
   Vorrei quindi dal ministro Biondi una risposta precisa
circa l'opportunità di esaminare subito il disegno di legge,
così come in modo preciso ci ha risposto il ministro Maroni il
quale ha affermato che, per quanto lo riguarda, lo farebbe
subito.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Senatore Bertoni, lei ritiene che le risposte precise siano
quelle che corrispondono ai suoi desideri (Commenti del
senatore Bertoni). Ho dato una risposta precisa.
   Ho letto del suo disegno di legge su notizie di agenzia e
lo leggerò poi nella sua interezza, inclusa ovviamente la
relazione introduttiva, che immagino sia, come sempre,
convincente.
   Per quanto riguarda le determinazioni che il ministro di
grazia e giustizia in questo momento intende assumere, si è
trattato soltanto di un'anticipazione, perché la decisione
competerà al Governo, sentito il ministro dell'interno, quando
sarà il momento di farlo. Naturalmente, si potrà procedere
anche prima, perché non è escluso che si possa decidere prima
l'adozione di una norma che dia una maggiore, non garanzia, ma
certezza, perché la garanzia circa la volontà del Governo di
lottare contro la mafia non è seconda a
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quella di nessuno, né quella del ministro è seconda a quella
di altri, e non è con le declamazioni che si combatte la
mafia. Credo nella mia vita privata di aver fatto qualcosa che
lo dimostri. Comunque, il problema, che voglio superare da
questo punto di vista, è che si tratta di stabilire se una
legge che ha una scadenza debba averne un'altra
successivamente, una volta reiterata. Esaminerò con tutta
l'attenzione, non solo per rispetto delle opinioni altrui,
l'utilità di uscire - come diceva il collega Mattarella - da
una situazione in cui si creano rischi anche per le persone,
perché non è detto che un ministro quando afferma che
reitererà, come io farò, un decreto non corra rischi al pari
degli altri: le minacce sono uguali per tutti. E c'è chi le
riceve più di una volta in una settimana.
   Una indicazione che crei una cesura tra le diverse
aspettative può darsi che sia essenziale. Ritengo doveroso in
questa fase, parlando in una Commissione, dire che il ministro
guardasigilli si farà carico di sottoporre al Governo una
proposta di reiterazione, i cui termini saranno valutati
collegialmente. Ovviamente, se ci sarà anche da parte del
Parlamento una richiesta di decisione più ravvicinata, se il
Governo stesso la riterrà utile, perché si possa procedere con
maggiore speditezza, posso garantire che non ho alcun freno su
questa linea di possibile ed ulteriore chiarimento.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Riprendo il discorso relativo
all'articolo 41-bis per ricordare ai colleghi, e
soprattutto a me stesso, due questioni. Come voi certamente
ricorderete, c'è stata una presa di posizione del capo di Cosa
nostra, Totò Riina, rispetto all'articolo 41-bis, e ciò
mi sembra estremamente significativo. Vorrei ricordare che
durante le indagini svolte dalla Commissione antimafia nel
corso della XI legislatura è emerso in maniera abbastanza
evidente che alcune delle stragi che sono state consumate
negli anni 1992 e 1993, ma soprattutto nel 1993, si
collegavano all'esigenza di indurre lo Stato a modificare il
regime carcerario in ordine all'articolo 41-bis. Vorrei
anche aggiungere che nella lotta al terrorismo il problema
dell'isolamento dei terroristi ha portato a diversi omicidi,
come quello di Tartaglione ed altri. Vedo, quindi, una
strategia mafiosa diretta all'eliminazione dell'articolo
41-bis.
   Fatte queste osservazioni, che credo siano basate su dati
ufficiali, vorrei sapere dal ministro - senza violare il
segreto istruttorio, dal momento che gli organi di stampa ne
hanno parlato - se è a conoscenza del fatto che da parte della
DIA e di organi dell'autorità giudiziaria sono stati svolti
accertamenti che hanno stabilito che alcune stragi sono state
commesse proprio al fine di indurre lo Stato a modificare il
regime carcerario ed abrogare l'articolo 41-bis.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Desidero rispondere dicendo che ho una conoscenza non
ufficiale, non avendo avuto comunicazioni che mi abbiano messo
in condizione di acquisire questi dati, tanto della DIA quanto
dell'autorità giudiziaria, come riferiti dagli organi che lei
ha ricordato. So che esistono motivazioni che attengono a
questa finalità e possono avere avuto questo impulso, ed è per
questo che mi sono permesso di dire poco fa, non con una
battuta ma con la volontà di non ritenermi estraneo al
problema o allergico alla sua soluzione anche più radicale,
che ne terrò conto perché so che un'aspettativa determina uno
stimolo, una domanda che si avvicina alla parte finale per
ottenere magari una preoccupante posizione di attesa, che
anch'io temo.
   Esaminerò, quindi, molto presto con il ministro Maroni,
anche per la chiarezza con cui ha espresso le sue opinioni e
con altri colleghi le misure da adottare in un aperto dialogo
con il Parlamento, anche in relazione agli strumenti attivati.
Si tratta infatti di un argomento che, come ho già detto altre
volte, riguarda non soltanto il Governo, ma anche la sicurezza
dell'intera collettività e che quindi coinvolge anche
l'opposizione. Al riguardo non vedo alcuna differenziazione di
ruoli e ritengo estremamente utile che ci sia apertura e - mi
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sia permesso di dire - confidenza e fiducia sugli strumenti
da adottare.
   Vorrei assicurare la Commissione che in merito non vi è
alcuna posizione aprioristica.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Lo spero bene!
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Posso avere un'opinione sbagliata ma non per questo sono
intriso dall'errore fino alla morte.
  RENATO MEDURI. Signor ministro, come lei sa, sono un
senatore di Reggio Calabria. Lei ultimamente ha ricevuto,
forse subito prima delle ferie estive, i membri del consiglio
dell'ordine degli avvocati di Reggio Calabria che hanno
protestato per l'assoluta carenza degli organici al palazzo di
giustizia di Reggio Calabria. Credo che anche nella lotta alla
mafia uno dei pilastri principali sia rappresentato dalla
possibilità di rendere giustizia celere a tutti i cittadini
anche per evitare che essi si rivolgano ad altre forme di
giustizia. So che a volte vi è l'impossibilità di celebrare
processi, e del resto difficoltà se ne incontrano nel palazzo
di giustizia di Reggio come del resto in quello di Palmi. Ci
troviamo in un territorio particolare e credo che una
situazione di carenza di organico, ad esempio, nel palazzo di
giustizia di Parma potrebbe sussistere senza creare i danni
che determina in quello di Reggio Calabria. Come prima domanda
le chiedo cosa intende fare lo Stato, il Governo, per sanare
questa situazione con urgenza assoluta, privilegiandola
rispetto ad altre.
   Vorrei anche sapere se il Governo non ritiene di
cominciare a guardare ad una possibile riforma degli
ordinamenti che preveda la temporaneità della presenza dei
magistrati sul territorio. Ritengo che non sarebbe inopportuno
se si pensasse a riformare le regole per unificarle a quelle
che prevedono la sostituzione dei questori e dei prefetti o di
altre autorità dello Stato a scadenze determinate. Una
soluzione del genere, tra l'altro, eviterebbe al magistrato
tutta una serie di difficoltà che nascono dalla sua
permanenza, dall'inizio alla fine della carriera, sul
territorio (Commenti del deputato Scozzari).
  PRESIDENTE. Ognuno ha diritto di esprimere le proprie
opinioni senza per questo suscitare ilarità.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Per carità!
  PRESIDENTE. Un minimo di rispetto!
  RENATO MEDURI. Un'attenzione particolare il Ministero di
grazia e giustizia dovrebbe riservarla alla situazione
carceraria di Reggio Calabria. Come è noto, a Reggio vi è un
carcere costruito cento anni fa, che ha un organico
assolutamente carente. Al pari di altre città italiane, a
Reggio c'è stata una protesta per le condizioni assolutamente
non civili in cui sono costrette a vivere le persone recluse
nel carcere di quella città. Lei sa che a Reggio, come in
altre città del sud, in estate si raggiungono temperature di
40 gradi all'ombra; quando ho visitato quel carcere, il
direttore mi ha detto  che la sera era costretto per carenze
d'organico a far chiudere i blindati, impedendo così la
circolazione di aria e determinando gravi difficoltà non solo
per chi deve avere un regime carcerario duro ma anche per chi
deve scontare una pena non particolarmente grave.
   Anche queste situazioni creano difficoltà e vanno
osservate con un occhio particolare.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Per quello che si riferisce alla carenza di organici e alle
difficoltà oggettive in cui purtroppo si trovano le carceri di
Reggio Calabria ed anche di altre città, posso dire che in
questi giorni ho preso contatto con il nuovo vicepresidente
del Consiglio superiore della magistratura, in quanto, come è
noto, in questa materia il ministro ha molte responsabilità e
pochi poteri dal punto di vista attuativo e dispositivo.
L'ultimo concorso non è ancora concluso per diversi motivi,
tra i quali le difficoltà di natura economica che incontrano
le commissioni, la mancanza del numero
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legale dei commissari d'esame o altre situazioni penose
che a volte si sono determinate, così come mi è stato riferito
dal precedente vicepresidente. Comunque, tutte le misure che
potranno servire ad accelerare un reclutamento più rapido, a
sveltire e ad incentivare il completamento di organici saranno
adottate nel modo più semplificato possibile, anche facendo
ricorso ad uno screening informatico preliminare per
concentrarsi poi su coloro che, avendo superato questo primo
barrage, avranno la possibilità di essere più
rapidamente assunti.
   Quanto alle zone dove la criminalità organizzata, ed anche
disorganizzata, è molto forte e che per questo necessitano di
una risposta giudiziaria, e non solo di polizia, più forte e
più continua, farò tutto il possibile non limitandomi a fare
ricorso al volontariato dei molti magistrati, soprattutto
giovani, che hanno scelto sedi disagiate. Quei giudici, che
qualcuno ha chiamato "giudici ragazzini", in realtà hanno
assunto posizioni pericolose, rischiose, di prima linea.
Quindi, se sarà possibile agire in quella direzione certamente
lo farò, mentre non sarei d'accordo sul richiamato criterio
della limitazione temporale, cogente, già prevista, come si
trattasse di funzionari dello Stato. Si tratta, sì, di
funzionari dello Stato, ma di altro livello, con altra
funzione ed appartenenti ad un ordine che ha come essenzialità
l'indipendenza, e quindi con la necessità che tutto ciò che
attiene alla loro presenza e alla loro mobilità debba avvenire
in modo migliore, magari modificando quella riforma del 1941
che, salvo le modifiche successive, è ormai antica ed
antiquata, avendo di mira un nuovo dialogo con il Consiglio
superiore della magistratura che ci consenta di utilizzare le
professionalità e le capacità più idonee ad una società
moderna, come la nostra, che non richiede che dalla culla alla
tomba si debba stare nella stessa pretura. Questo problema va
affrontato senza mettere in discussione il principio della
inamovibilità che vuol essere un principio di garanzia per chi
giudica ed anche per chi è giudicato, perché l'effetto
dell'indipendenza è bilaterale.
  RAFFAELE BERTONI. Altrimenti figuriamoci Di Pietro dove
starebbe a quest'ora!
  PRESIDENTE. Farebbe il ministro!
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Credo che il dottor Di Pietro stia bene dove sta.
   Quanto alla situazione carceraria di Reggio Calabria,
purtroppo c'è da dire che è analoga a quella di altre città.
La riforma del sistema carcerario non deve tradursi in una
pezza colorata su questo o quel caso ma deve essere vista nel
più ampio spettro di soluzioni.
   Anche dal punto di vista dell'attualità, si può
intervenire con strutture particolari che stiamo cercando di
mettere in cantiere - è proprio il caso di dire così - con il
Ministero dei lavori pubblici, con un sistema più semplice di
utilizzo di strutture prefabbricate o fabbricate in modo tale
che possano aderire (ma non so se a Reggio Calabria sia
possibile) a strutture carcerarie che abbiano una consistenza
più significativa. Mi riferisco a strutture che possano essere
realizzate per altri soggetti, per soddisfare cioè particolari
e più limitate esigenze; pensiamo a chi ha la semilibertà, a
soggetti per i quali vi è la possibilità di una soluzione che
non affolli il carcere e liberi da quella asfissia carceraria
che lei poco fa denunciava.
   In proposito vi è la volontà del Governo di agire in
maniera coordinata: sto preparando un disegno di legge che
porterò presto all'attenzione del Consiglio dei ministri. Mi
riferisco non al provvedimento limitato ai problemi della
modifica della carcerazione in custodia domiciliare per
determinati, piccoli, limitati reati, ma ad un provvedimento
che abbia un significato più vasto per rendere meno angosciosa
la vita di chi sta in carcere a titolo diverso e per dividere
in maniera efficace chi è in attesa di giudizio da chi è in
esecuzione di pena e chi ha una sanzione di un livello da chi
ne ha una di diverso livello.
Pagina 96
   SAVERIO DI BELLA. Onorevole ministro, lei ha inviato -
spero senza volerlo - una serie di segnali negativi sulla
volontà effettiva di questo Governo di combattere la mafia. Ne
cito solo due. Il primo è il comportamento da lei tenuto, in
occasione della visita a Palermo, nei confronti dei
magistrati. Il secondo è il silenzio, salvo mia ignoranza, da
lei mantenuto in relazione alle vicende di un magistrato - in
questo caso di Catanzaro - che, per motivi di sicurezza, è
stato invitato a dormire in carcere.
   Questi segnali sono importanti anche alla luce di quello
che è stato ricordato sulle dichiarazioni di Totò Riina in
merito al 41-bis, nel senso che ogni esitazione, ogni
apparente mancanza di volontà decisa di combattere la malavita
viene letta dalla mafia come propensione al dialogo. Siccome
abbiamo una serie di precedenti di ministri di grazia e
giustizia che invitavano a convivere con la mafia (le
dichiarazioni di Vassalli), credo che tutto questo debba
essere tenuto presente.
   Vengo alla domanda. Nella legge finanziaria per il 1994,
nonostante i vuoti esistenti negli organici della
magistratura, il Governo di allora prevedeva tre anni per la
conclusione dei concorsi. Il Governo attuale intende
rispettare quei tempi? Abbreviarli? Allungarli? Quali risorse
finanziarie pensa di destinare alla giustizia perché questa
possa essere in grado di combattere efficacemente la mafia?
   Il problema dell'affollamento delle carceri è drammatico
anche per le carceri minorili. Tenendo conto della gravità
della situazione ed anche del fatto che se non li recuperiamo
noi, come società civile, questi ragazzi finiscono per essere
avviati definitivamente alla malavita, quali iniziative
immediate il Governo intende assumere in questa direzione?
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Per quanto attiene ai segnali che lei ha creduto di cogliere
in un fatto vergognosamente falso, che ho già smentito sui
giornali accusando il giornalista che l'ha scritto di falso
ideologico (trattasi del giornalista D'Avanzo della
Repubblica che aveva travisato totalmente il mio
contemporaneo incontro con la magistratura e con l'avvocatura
di Palermo insieme nell'aula magna del palazzo di giustizia),
debbo precisare - rispondo su questo perché lei considera un
elemento negativo un fatto che io invece giudico altamente
positivo e qualificante una delle mie prime esperienze
ministeriali - che a Palermo, presso la Fondazione Falcone,
dove mi ero recato per discutere un problema riguardante uno
dei temi oggi affrontati, quello dei collaboranti di
giustizia, ho avuto il piacere, andando a braccetto con il
procuratore generale della corte d'appello di Palermo, di
recarmi prima nella sua stanza insieme con tutti i magistrati,
e poi con loro per il corridoio del palazzo, che ero solito
frequentare anche come avvocato difensore di parte civile in
un processo piuttosto importante, forse a lei noto, quello
cioè in difesa della famiglia Dalla Chiesa.
   In quella occasione, dicevo, mi sono portato nell'aula
magna dove erano seduti insieme avvocati e magistrati. In
platea era seduto Caselli; accanto a me c'erano il procuratore
generale e il presidente del tribunale; ho rivolto a tutti lo
stesso discorso. Questo è l'atto da me compiuto, che ha avuto
la comprensione e anche, diciamolo francamente, l'espressa
solidarietà dei magistrati presenti. Le invierò le lettere di
protesta per quell'articolo, lettere che mi hanno inviato i
magistrati; gliele farò avere per sua cultura, che non si deve
fermare alla facciata prima di elevare sospetti nei confronti
di un ministro e di un galantuomo come me. Su questo penso di
poter rispondere in tal modo, fugando qualsiasi dubbio al
riguardo.
   Per quanto riguarda il magistrato di Catanzaro, segnalo
che il mio ministero se ne è occupato immediatamente. Non ho
fatto proclami pubblici, ma mi sono attivato per conoscere la
situazione in cui il magistrato si era trovato ad operare e
purtroppo la scelta del magistrato - così mi è stato detto -
ha corrisposto ad una sua valutazione, nemmeno comunicata in
anticipo, per cui non l'ho potuta né frenare né anticipare. Si
è trattato di una decisione
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che il giudice ha assunto in base alla sua sensibilità e, se
volete, anche in base alla sua legittima preoccupazione.
Rispetto ad essa non posso dire altro che si tratta di una
scelta personale, sulla quale non mi permetterei mai di
esprimere un giudizio. Come cittadino, prima ancora che come
ministro, sono dispiaciuto che un magistrato che lavora in
quelle condizioni e con quei rischi debba trovare come
extrema ratio tale soluzione, ma questo è un fatto di
polizia, di controllo e, se volete, anche di reciproca
sensibilità tra gli organi di sicurezza locali e le condizioni
in cui il magistrato è chiamato ad operare.
   Ci tengo, anche sul piano personale ed umano, che lei su
questo punto non abbia il dubbio che ciò possa avere
incentivato la mafia ad avere un occhio di riguardo nei miei
confronti. Vi assicuro che non ce l'ha di riguardo, e che ha
un altro occhio da cui mi debbo difendere, talvolta anche con
qualche difficoltà.
   Per quanto riguarda i concorsi, ho già detto che ho preso
immediatamente contatti con il Consiglio superiore al fine di
studiare tutte le misure incentivanti e quindi anche,
occorrendo, di adottare tutti i mezzi necessari per rendere
più rapidi i tempi, cioè il triennio (che io ritengo si debba
e si possa ridurre), eventualmente anche dotando, come dicevo
prima, gli esaminatori di mezzi diversi da quelli con i quali
oggi è talvolta difficile assolvere ad un ufficio di quel
rilievo.
   In merito al bilancio della giustizia, che in parte è
connesso ai problemi già ricordati, ho dichiarato più di una
volta, nel Consiglio dei ministri ed in due interventi svolti
prima alla Camera e poi al Senato illustrando il programma
sulla giustizia, che chiederò al Governo, se possibile, il
raddoppio dell'attuale misero stanziamento, pari all'1 per
cento del PIL. Ho fatto svolgere anche un'indagine per vedere
come mai, nonostante la miseria dell'1 per cento, vi siano
residui passivi; il risultato è stato che la spesa risulta
difficile, e ciò per la lentezza delle procedure e la
farraginosità della modulistica, insomma per un insieme di
cause che purtroppo vanificano anche la buona volontà, pur -
ripeto - nella scarsezza dei mezzi a disposizione. Al riguardo
intendo dunque assicurarle che il Governo presterà la massima
attenzione perché con la legge finanziaria non solo si eviti
un'ulteriore strangolamento, ma si allenti il laccio e si
lasci respirare il polmone della giustizia.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Onorevole ministro, ormai grazie alle
audizioni presso la Commissione giustizia ed in questa sede,
ci vediamo per fortuna spesso.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Ne
sono contento anch'io.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Signor ministro, non condivido alcune
sue affermazioni, quando dice che riferirà al Governo, che non
esprime il suo giudizio, che trattasi di decisioni...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Vorrei precisare - perché lei possa essere, se possibile, da
questo punto di vista, tranquillo e perché io non sembri
ambiguo - che io non posso ora dire se la misura di
rinnovazione del termine potrà essere prefissata in una data
oppure divenire definitiva, come suggerisce nella sua proposta
di legge il senatore Bertone. Preciso che non ho la
possibilità di dirlo in questo momento; ho acquisito gli
elementi che il ministro dell'interno Maroni, che ha
certamente elementi di valutazione molto rilevanti a questo
fine, potrà fornire nella sede dei nostri rapporti, nel
Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, oppure ancora
di più nel Consiglio dei ministri. Quando avrò questi
elementi, mi formerò una opinione più precisa di quella che ho
ora; però è precisa quella che ho ora in ordine al non venir
meno delle motivazioni che hanno determinato allora il
41-bis, motivazioni che, permanendo, debbono portare
alla sua proroga.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Continuo nel sottolineare che non
chiediamo qui, come non abbiamo chiesto questa mattina, la
volontà ed il parere del Governo inteso come istituzione,
nella sua collegialità; abbiamo chiesto il parere e la volontà
di un
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uomo che fa parte del Governo e del quale questa Commissione,
visto che si tratta della sua audizione quale esponente del
Governo, desidera conoscere le volontà ed il modo in cui egli
si comporterà nel Consiglio dei ministri quando si parlerà del
41-bis e di quant'altro riguarda la mafia.
   La mafia in fondo vive anche di gestualità, di segnali,
che possono essere più o meno palesi. L'incertezza è per la
mafia un segnale fortissimo. La sua incertezza, onorevole
ministro, contrapposta alla certezza di un altro ministro,
crea una situazione di obiettivo imbarazzo nel paese, una
situazione di obiettiva scopertura del ministro che è certo
rispetto a quello che è incerto.
   Maroni oggi ha detto - e mi dispiace che non abbia
elementi così precisi come li ha lui - una cosa molto
semplice: il primario obiettivo è quello di garantire
l'effettivo isolamento dal mondo esterno dei principali
capimafia, nonché di incidere sulla loro posizione
carismatica. Il 41-bis- lo chiarisco a me stesso - è il
pilastro attraverso il quale lo Stato ha cercato di recidere i
legami tra coloro che sono stati arrestati ed il mondo
esterno, i legami che, prima della vigenza del 41-bis
esistevano e consentivano alla mafia di continuare ad essere
potente all'interno e all'esterno del carcere.
   Il ministro Maroni ha poi precisato che egli si adopererà
perché il Parlamento mantenga questa linea di fermezza, la cui
efficacia viene testimoniata anche dagli elementi conoscitivi
raccolti nell'ambito di recenti attività investigative.
   Perché il ministro di grazia e giustizia non conosce gli
elementi raccolti nell'ambito di recenti attività
investigative? Noi progressisti siamo forse oggi un po'
ostinati nell'insistere su tale argomento, ma abbiamo capito
che questo è uno degli istituti fondamentali attraverso i
quali si fa capire alla mafia qual è l'orientamento dello
Stato. Si tratta peraltro di elementi sulla base dei quali
alcuni boss mafiosi possono o meno decidersi a collaborare con
lo Stato. La provvisorietà alimenta speranze nei boss mafiosi,
la definitività certamente induce comportamenti, atteggiamenti
ed uno stato psicologico diversi rispetto all'incertezza. Ecco
perché chiediamo chiarezza al ministro di grazia e giustizia;
ecco perché non mi sento di condividere l'atteggiamento di chi
dice di volersi confrontare nell'ambito del Governo per
anticipare eventualmente il provvedimento rispetto alla
scadenza o per renderlo definitivo. In fondo, se sconfiggiamo
la mafia, il 41-bis non avrà più modo di essere
applicato anche se fosse reso definitivo nel sistema
penitenziario; comunque, lo si potrebbe successivamente
abrogare. La verità è un'altra, signor ministro: molte volte
nella maggioranza gli orientamenti, le dichiarazioni e le
valutazioni di alcuni esponenti sono stati gravemente
contrastanti.
   Mi riferisco alle gravissime dichiarazioni che, sui
collaboratori di giustizia, sul 41-bis, sulla chiusura o
apertura delle carceri di Pianosa e dell'Asinara - chiedo che
il ministro di grazia e giustizia esprima le proprie
valutazioni su questi argomenti, dica cioè se queste carceri
debbono essere chiuse per consentire ad altri di costruire e
cementificare le coste o se, considerato qual è il problema
delle carceri, dobbiamo mantenerle - fa sovente purtroppo il
presidente della Commissione giustizia. Non è il presidente di
una commissione qualsiasi!
   Dico allora, come primo punto: qual è la volontà del
ministro Biondi in materia di carceri (Pianosa, l'Asinara)?
Qual è la volontà del ministro Biondi non rispetto alla
costruzione di nuove carceri, ma rispetto alla possibilità di
utilizzare le nuove carceri che sono già state costruite?
Palermo ed Agrigento sono i primi esempi che mi vengono in
mente.
   Occorre tener presente che una delle questioni che a volte
fa perdere credibilità allo Stato è proprio la mancanza di
incisività e di prontezza.
  PRESIDENTE. Onorevole Scozzari, la prego di attenersi
alla formulazione di domande.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Sto formulando domande,
presidente.
Pagina 99
   Per quanto riguarda la confisca dei beni mafiosi e la loro
utilizzazione a fini sociali, i tempi sono troppo lunghi,
signor ministro. Cosa intende fare il Governo e cosa intende
fare il ministro di grazia e giustizia per ridurli? Il tempo
medio è di quattro anni. Questa mattina ho rivolto la stessa
domanda al ministro dell'interno; evidentemente vi sono temi
che coincidono rispetto alle competenze dei due ministeri.
   Cosa pensa, inoltre, signor ministro, dell'istituzione dei
tribunali distrettuali antimafia?
  PRESIDENTE. Lo ha già detto! Faccia una domanda
specifica perché non può riprendere l'intero argomento!
  GIUSEPPE SCOZZARI. Ho ascoltato più la relazione del
Consiglio superiore della magistratura che la volontà del
ministro.
   Infine, cosa intende fare il Governo in materia di
depenalizzazione?
  PRESIDENTE. La depenalizzazione non è un argomento che
rientra nella competenza della Commissione. Vorrei pregare
tutti i colleghi di  rivolgere le loro domande su argomenti
attinenti al merito dell'audizione.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Lo sto facendo, se me lo consente!
   Sgravare alcune procure della Repubblica di reati di
carattere chiaramente amministrativo può consentire di meglio
utilizzare i magistrati nella lotta alla mafia...
  PRESIDENTE. In tribunale no, onorevole Scozzari! Non ci
sono reati che si possano depenalizzare in tribunale.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Signor giudice, per fortuna...
  PRESIDENTE. Non mi chiami signor giudice!
  GIUSEPPE SCOZZARI. Signor presidente, io sono un
avvocato, lei è un magistrato, si è trattato di un
lapsus (Si ride).
   L'organico della magistratura non riceve al suo interno
una rigorosa attribuzione dei compiti.
   A me fa paura che dai banchi della maggioranza vengano
moniti nel senso di omologare il regime dei giudici - mi
riferisco al collega di alleanza nazionale - a quello dei
questori e dei prefetti. Il giudice naturale è precostituito
per legge, mi pare dica la Costituzione; ritengo allora che il
Governo debba essere estremamente chiaro in materia, visto che
all'interno della maggioranza si fanno questi gravissimi
svarioni.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Tante domande sono connesse tra loro.
   Parto dalla prima: ripeto che l'opinione del ministro
Biondi (che è il ministro di grazia e giustizia) è un'opinione
che deve collimare, non a titolo personale ma istituzionale,
con quella del Governo di cui fa parte e di cui è espressione
per il settore della giustizia.
   Ho ascoltato il pregevole parere dell'onorevole Maroni,
ministro dell'interno, che riveste una posizione istituzionale
diversa da quella del ministro della giustizia sotto il
profilo delle competenze, che trovano però sede di comune
confronto nel Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Ho letto una nota di agenzia secondo la quale il 27 settembre
egli porrà il problema; quando esso sarà posto, nell'ambito
delle mie responsabilità, esprimerò il mio giudizio.
   Innanzitutto tale mio giudizio è favorevole al
mantenimento del vincolo posto dall'articolo 41-bis.
Quanto ai tempi, come ho già detto, non ho ora un'opinione (se
vuole, onorevole Scozzari, anche di tipo personale) circa la
definitività di una rimozione di questa che era una misura di
carattere temporaneo.
   Riconosco - aggiungo purtroppo - che le cause che hanno
determinato questa misura, che incide sulla par condicio
di chi sta in carcere, permangono ancora in termini di
pericolosità criminosa e criminogena. Ho enunciato nella mia
lettura, forse non interessante, che gli argomenti che
militano a favore di essa non solo permangono,
Pagina 100
ma si riferiscono anche ad un malinteso prestigio che
circonda chi dimostra di avere qualche santo in paradiso e di
poter sperare di poter rimuovere una misura che potrà essere o
meno modificata. Questo è uno degli elementi che possono
giovare alla impostazione data poc'anzi dal senatore Bertoni e
da altri colleghi. E' un argomento molto forte e ne terrò
conto.
   Non ritengo tuttavia obbligatorio per il ministro della
giustizia, a differenza di quanto ha ritenuto di fare il
ministro dell'interno, esternare la mia personale opinione.
Peraltro, penso che occorra una pausa di riflessione che verta
non sull'an ma sul quantum. Si tratta quindi di un
problema che valuterò nel momento in cui riterrò opportuno
farlo.
   Se ne parleremo in Parlamento, non vi è dubbio che il
Governo dovrà dire la sua parola, che dovrà essere
coordinata.
   Quanto ai colleghi di maggioranza che rivestono cariche
importanti (lo sono tutte ma intendo soprattutto
istituzionali), questo problema riguarda l'opinione e la
sensibilità di ciascuno ed io non ho l'abitudine di esprimere
giudizi su alcuno, né di maggioranza né di opposizione.
   Per quanto attiene alla questione carceraria dal punto di
vista della depenalizzazione, ho proposto, relativamente a
reati diversi da quelli che trattiamo in questa sede, il
massimo livello di impegno in tal senso. Stiamo facendo uno
studio di quali possibilità di depenalizzazione restino ancora
praticabili. Si tratta di una "cimosa" molto stretta. Anche
recentemente ho presentato al Consiglio dei ministri un
disegno di legge (ora all'attenzione del ministro Mastella)
per talune norme che si riferiscono al lavoro. Ma si tratta
anche in questo caso di misure a doppio taglio, perché in
certi casi si rischia, favorendo la depenalizzazione, di
impoverire la tutela della sicurezza dei lavoratori. Mi sono
chiesto quindi se fosse giusto o meno depenalizzare. Il
Parlamento avrà modo di valutare, ma ho voluto rilevare che a
volte si può incidere su settori per i quali la quantità di
processi depenalizzati non è poi elevata mentre l'effetto
psicologico può essere devastante per il mondo del lavoro. Ho
fatto questo esempio per dire quali siano le questioni che si
pongono per ciascuno di noi quando affronta un problema così
rilevante.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Per quanto riguarda Pianosa e
l'Asinara?
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Quando sentii dire al ministro dell'ambiente Matteoli che
sarebbe stato bene che tali carceri venissero abbandonate, non
per renderle appetibili alla speculazione - spero proprio di
no! - ma per consentire una maggiore fruibilità delle isole
(con la costituzione di parchi ed aree protette; essendo stato
ministro dell'ecologia ho particolare sensibilità per questi
argomenti), dissi che mi pareva una buona idea. Naturalmente
però ciò significa costruire carceri, quando sarà possibile
farlo, in aree diverse, sicure ed impermeabili. Ho usato la
parola "stagne" riguardo  alla possibilità dell'andata e del
ritorno di notizie, di uomini, di mezzi e di strumenti che
rendono possibile l'aggressività anche di chi è recluso in
carcere, utilizzando i picciotti che sono rimasti fuori. Sarei
contento se si potesse determinare una situazione migliore, ma
allo stato non vedo come sarebbe possibile modificare una
realtà che è l'unica capace di garantire un isolamento che per
ora ha dimostrato la sua efficacia.
   Ritengo che non ci si debba confrontare sulla volontà di
mantenere una condizione di sicurezza e di inviolabilità della
realtà carceraria quando essa è prodromica alla commissione di
altri reati. Su questo gradirei almeno le attenuanti
generiche, se non l'assoluzione.
  GIUSEPPE SCOZZARI. E le carceri costruite, ministro?
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Ho
parlato anche con il ministro Radice di una serie di progetti
che possa consentire il ricorso ad una realtà modulare
relativamente a situazioni carcerarie di nuova o di fresca
costruzione in aree che consentano incastri di strutture
diverse, più facilmente realizzabili e destinabili,
Pagina 101
in situazioni di minore necessità di sicurezza. Mi
riferisco, ad esempio, all'area dei tossicodipendenti, a
coloro che devono scontare una pena minore, ai delinquenti
minorili che possono ricevere una custodia diversificata.
Quando parlo di realtà minorile intendo riferirmi ai giovani
criminali che possano avere un trattamento diverso.
   Questo si può fare, e si può fare con un provvedimento che
consenta l'immediatezza, anche superando limiti e vincoli
attualmente esistenti nella contabilità dello Stato al fine di
assumere una determinazione legislativa di più rapida e pronta
attuazione. Si tratta di questioni che stiamo esaminando: gli
uffici sono all'opera e spero di potervi dare in breve tempo
indicazioni e proposte precise, presentando un disegno di
legge in materia.
  GIUSEPPE AYALA. Sono costretto a porre molto rapidamente
le mie domande, avendo condiviso la decisione dell'ufficio di
presidenza di porre questioni molto secche e concisamente,
invitando il ministro a rispondere con altrettanta brevità.
Naturalmente, non voglio fare un appunto al ministro.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Sono qua solo io! (Si ride).
  GIUSEPPE AYALA. Circa il problema dell'articolo
41-bis evito, grazie al collega Scozzari, di porre la
domanda concernente l'Asinara che avevo predisposto. Le tue
osservazioni, ministro, sono comunque assai tranquillizzanti.
Tutti desidereremmo che si potessero costruire nuove carceri
capaci di garantire quanto garantiscono queste isole. Avrei
voluto vivere in un paese in cui all'Asinara non avessero
dovuto finirci Falcone e Borsellino eppure ci stettero per più
di un mese, quasi un mese e mezzo. Ma erano tempi
particolari!
   Le tue osservazioni sull'articolo 41-bis mi hanno
non solo tranquillizzato, ma, conoscendoti, anche confortato
circa il fatto che di qui al 27 sarai sicuramente d'accordo
per una proroga dell'articolo 41-bis da approvare subito
e tale da rendere definitiva la misura.
   Per quanto riguarda le nuove carceri, vi è tra queste il
carcere di Palermo. Ebbene, ho assistito ad una cosa
incredibile per tutti noi. Sai dell'enorme questione
determinatasi a Palermo a causa del problema dei ricoveri
ospedalieri (indagini che non portarono a niente, condotte
anche dal Ministero della giustizia). Ora, apprendemmo tutti
con soddisfazione, in sede di progettazione del nuovo carcere
(la materia è quasi importante quanto quella dell'articolo
41-bis ai fini della rottura dei collegamenti con
l'esterno), che era prevista la realizzazione di un centro
clinico specializzato interno ad esso. Ciò per evitare i
ricoveri finti, la possibilità del ricorso al reparto speciale
dell'ospedale civico e l'enorme facilità di contatti con
l'esterno (sull'argomento esiste una letteratura). Ebbene,
signor ministro, voglio informarti del fatto, attivando il tuo
senso di responsabilità nel dartene conoscenza, che, mentre il
carcere è quasi finito, il centro clinico specializzato non è
stato ancora neanche finanziato. La materia riguarda
ovviamente anche il ministro dei lavori pubblici; ti prego
pertanto di prendere un appunto in merito. Ritengo che tu
possa dare un utile e concreto contributo rispetto al
problema.
   Hai opportunamente citato le dichiarazioni programmatiche
del Presidente del Consiglio dei ministri e le enunciazioni in
esse contenute in materia di giustizia e di risposta alla
criminalità organizzata. Ebbene, ricordo che esse contenevano
un'affermazione circa la necessità di cambiare la legge sui
pentiti. Vorrei sapere se questo argomento è ancora attuale e
se il ministro della giustizia è sensibile ad esso.
   In particolare, il riferimento all'articolo 192 del codice
di procedura penale (è superfluo dire che evidentemente ti
riferivi al terzo comma) è attuale e in quali termini? Vi è
un'iniziativa del Governo in materia? Vorremmo esserne
informati.
   Mi sono trovato due o tre volte a confrontarmi con un
sottosegretario del tuo Ministero, l'ottimo Contestabile, che
su certi punti dice una cosa giustissima. Ne
Pagina 102
dice anche altre, per carità! Non mi fate fare apprezzamenti
che non voglio fare. Si nomina sunt consequentia rerum è
un disastro! Ma ovviamente in questo caso non lo sono. Ebbene,
spesso mi sono sentito controbattere dal sottosegretario
Contestabile con un accenno all'argomento dell'incredibile
durata dei processi, alla lentezza della giustizia ed a
quant'altro. Ed alle mie ovvie rimostranze circa il fatto che
si tratti di problemi del Governo e non della magistratura né
del cittadino comune, mi è stato risposto una prima volta "noi
siamo al Governo da due mesi" ed una seconda volta "noi siamo
al Governo da tre mesi"; adesso da quattro. Voglio sapere da
Alfredo Biondi se abbia messo a punto o stia lavorando, come
ritengo (un aspetto per me importante è il rapporto con il CSM
e tu mi hai anticipato dicendo che tale rapporto è buono,
fatto questo che credo giovi molto alla causa comune), ad una
strategia che tenda, attraverso mezzi normativi ma anche
strumentali, a fare qualcosa di serio per accelerare i tempi
dei processi.
   Ribadisco di riferirmi ad interventi di tipo normativo
oltre che strutturale perché non vi è dubbio che la lunghezza
dei processi produce una ricaduta anche sul protrarsi della
custodia cautelare e quindi sulla situazione carceraria, oltre
a non soddisfare le esigenze di giustizia. Qualcuno disse
tempo fa che non vi è peggiore giustizia della tardiva
giustizia. Si chiamava Jhering, come tutti sappiamo.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Per quanto riguarda il carcere di Palermo, segnalo che
dovrebbe essere già pronto, in quanto mancano misure puramente
attuative, per esempio per ciò che attiene agli arredi. Per il
nuovo carcere di Palermo, ho dato incarico al dottor Capriotti
del DAP  non solo di assumere tutte le informazioni sul perché
di questa lentezza, ma anche di capire se sia necessario
approvare una legge speciale - come quella per il palazzo di
giustizia di Napoli - per creare le condizioni che consentano
di fare subito ciò che lentamente si sta facendo con gli
appalti e con tutte quelle misure che, pur essendo sacrosante,
risultano però frenanti. Voglio comunque tranquillizzare
l'onorevole Ayala dicendo che su tale problema sono
disponibile a dare un colpo all'acceleratore piuttosto che al
freno.
   In merito al centro clinico, ho preso nota delle sue
osservazioni per appurare se vi siano negligenze addirittura
di tipo operativo e di finanziamento. Aggiungo che me ne ha
parlato anche il ministro Costa, al quale avevo chiesto di
inviarmi un appunto, perché credo che egli si sia recato di
persona sul posto. Comunque, assicuro che mi interesserò
immediatamente della questione del centro clinico.
   Per ciò che attiene alla legge sui pentiti, voglio
precisare che sia il ministro Maroni sia io sia il Comitato
abbiamo soltanto consentito che si procedesse, con gli stessi
soggetti e con la stessa intenzione, a dar vita ad una
normativa di carattere meramente regolamentare, di modo che vi
sia una razionalizzazione effettiva tra la fase in cui il
pentito è a disposizione dell'autorità giudiziaria e quella in
cui la custodia si rende necessaria. In quell'ambito a suo
tempo vi è stata la proposta, tramite la dichiarazione di
intenti ricordata, di destinare al procuratore generale
antimafia il compito di una più viva e diretta possibilità di
assunzione degli elementi iniziali. Si tratta però di
un'ipotesi che non è stata ancora valutata nella sua
correlazione con le indagini; infatti, mi sembra che proprio
dal procuratore Caselli fu paventato il rischio - di cui io
tenni conto - che una divaricazione, una gestione del pentito
da parte di un soggetto che non ha l'attitudine ad acquisirne
direttamente e meglio le potenzialità espressive e
dichiarative potesse costituire un freno anziché
un'accelerazione. Quindi, non vi è alcuna intenzione di far
nulla che renda meno agevole l'acquisizione del pentito, salvo
naturalmente controllare, con questa dichiarazione d'intenti,
la proiezione che il pentimento ha. Ciò al fine di ottenere
una migliore visione della serietà della dichiarazione e per
un minor rischio processuale: una dichiarazione
affrettatamente acquisita o espressa in termini di
accettazione acritica potrebbe veramente inquinare il
Pagina 103
processo, conseguentemente legittimando, come è accaduto in
molti casi, elementi di critica a posteriori.
   In merito all'articolo 192 del codice di procedura penale,
mi limiterò soltanto ad un commento: ho detto che non avevo in
cantiere alcuna norma, ma auspico che si possa individuare -
mi rendo conto però che è difficile - qualcosa che superi il
libero apprezzamento, il confronto tra le parti e tutto quello
che è previsto attualmente. Molte volte mi è capitato, anche
nella mia esperienza professionale, di trovare che in alcune
giurisprudenze vi siano differenziazioni di valutazione, le
quali sono giunte fino ai supremi sindacatori. Sarebbe
auspicabile una maggiore specificazione, ma già mentre lo dico
mi rendo conto di quanto sia difficile raggiungerla. Ripeto,
ho fatto solo un accenno, che non vuole incrinare nulla. La
vera garanzia sta nella professionalità, nella serietà e
nell'attendibilità del magistrato cui è demandato questo
grande dovere del controllo.
   Sulla lunghezza dei processi, lasciatemi dire che,
rispetto a Mussolini, il quale diceva "Abbiamo pazientato
quarant'anni, ora basta!", sia io sia il sottosegretario
Contestabile siamo al Ministero di grazia e giustizia da
quattro mesi. Nei confronti delle lentezze della giustizia, di
pazienza il popolo italiano ne ha avuta, per cui, se è vero
che oggi tutti noi ci rendiamo conto che occorre procedere più
speditamente, non possiamo però calzare gli stivali delle
sette leghe perché è cambiato il Governo. Possiamo soltanto
tentare di fare insieme - ripeto, insieme - un'opera di
razionalizzazione, a proposito della quale forse qualche
errore dal punto di vista dell'immedesimazione è stato
compiuto da tutte le funzioni istituzionali.
   Va detto, francamente, che la lunghezza dei processi è
anche conseguente alla dislocazione della magistratura sul
territorio e, a volte, all'attività di impugnazione che esiste
nel nostro paese. Tante cose vanno riviste per coordinare la
sicurezza alla garanzia. So che ciò è molto difficile da
realizzare, perché non è facile privare un imputato del
diritto di impugnare la sentenza: è difficile persino farlo
accedere ai riti abbreviati e uscire dalla posizione di
negazione. Si tratta di una cultura che nel nostro paese
riguarda l'intera collettività, non solo gli avvocati, i
magistrati o gli imputati, cioè i cosiddetti soggetti addetti
ai lavori.
   In questo senso, vi sono state norme di carattere
processuale che hanno modificato il codice, ma mi permetto di
dire che talune norme, che sono state molto criticate, possono
consentire un avvicinamento all'accettazione della
responsabilità, alla restituzione del maltolto, alla
eliminazione del soggetto che ha determinato sgomento nella
collettività violando norme morali assieme a norme giuridiche
e anche le attendibilità personali dalle quali è dipeso un
affidamento incauto. Su uno strumento a ciò preposto ho
constatato che vi sono opinioni di diversa natura, per cui
credo che, quando esse avranno la possibilità di confrontarsi
con le mie, troveremo una formula che invogli ad accedere più
rapidamente - come qualche collega del gruppo progressista ha
fatto - al rito abbreviato: è necessario consentire una
possibilità che invogli al patteggiamento e, quindi,
all'accettazione della responsabilità. E' auspicabile che gli
altri processi avvengano con tutta l'attenzione e la velocità
resi possibili da un ordinamento giudiziario più
articolato.
  PRESIDENTE. Ma questo per i processi di mafia o in
generale?
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. In
generale.
  PRESIDENTE. Atteniamoci agli argomenti, altrimenti
divaghiamo troppo.
  FLAVIO TANZILLI. Sempre a proposito dell'articolo
41-bis, signor ministro, ricordo che in occasione di una
visita della Commissione giustizia al carcere di massima
sicurezza di Pianosa abbiamo avuto modo di notare che numerosi
detenuti erano assenti per partecipare ai processi. Il
problema è che nel momento in cui vengono tradotti in posti
diversi dal carcere di massima sicurezza, essi non sottostanno
più a quel regime a cui dovrebbero essere
Pagina 104
sottoposti, bensì semplicemente a quello ordinario. Il
problema che va affrontato è quindi quello di non offrire a
questi detenuti l'occasione di stravolgere la ratio
giustificatrice dell'articolo 41-bis, cioè la
possibilità di avere collegamenti con l'esterno. A suo avviso,
signor ministro, quali correttivi devono essere assunti?
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Si
tratta di un problema serio, perché il trasferimento delle
carceri dalle isole comporta uomini, mezzi e strumenti, oltre
a quelli necessari per inserire i detenuti in un'altra realtà
carceraria.
   Purtroppo, dal punto di vista del regime cui è
assoggettato il detenuto, nella fase processuale questa
"tenuta stagna" è molto più difficile da realizzarsi rispetto
alla fase in cui si è dentro il carcere: è facile che
spostandosi si possano avere occasioni, sia pure indirette, di
incontri o di copresenze nelle stesse realtà carcerarie dove
non vi è lo stesso rigore nell'attuazione delle misure. Per
esempio, quando nel corso del processo Riina ebbe ad
esprimersi, a mio modo di vedere, un po' liberamente, qualcuno
osservò che poteva farlo perché le misure non permanevano nel
momento in cui si svolgeva il dibattimento.
   La mia opinione è diversa e l'ho anche espressa
pubblicamente. Dal punto di vista della verifica delle
condizioni, e quindi della permanenza di questo dovere di
controllo e di non agibilità ad altri del detenuto, credo che
le misure debbano essere assunte con grande rigore. Uno dei
motivi per cui si dice che i tribunali distrettuali potrebbero
avere una maggiore efficacia è che si potrebbe costruire,
nella sede in cui il tribunale agisce, un carcere adeguato ed
averne un'utilizzazione - com'è successo nel processo di
Palermo - che consenta l'immediatezza della presenza e la
sicurezza che dal carcere alla sede processuale non vi siano
immissioni di altri o possibilità di inserzioni che limitino i
vincoli del 41-bis. Questo è uno degli elementi che mi
aveva portato a ritenere - naturalmente ci stiamo ragionando
sopra - che la differenziazione delle carceri e la costruzione
delle carceri speciali possano dare la possibilità di
realizzare la traduzione e il ritorno  di detenuti sottoposti
a regime di massima sicurezza con maggiore velocità, cosa
estremamente difficile da ottenere con le carceri ordinarie.
Comunque, le assicuro che tale questione sarà oggetto, della
mia attenta valutazione.
   ANTONIO BARGONE. Desidero collegarmi molto brevemente alle
cose dette dal ministro nell'ultima parte della risposta al
collega Ayala. Questo Governo si è proposto un ruolo di
rottura, di discontinuità rispetto al passato. Ho avuto la
fortuna - o la sfortuna, dipende dai punti di vista - di
sentire molti ministri della giustizia nel corso di questi
anni. Parto da una premessa e poi formulo una domanda. Mi pare
che questo Governo - naturalmente prescindo dalla qualità
delle persone, parlo degli indirizzi di Governo - non si
discosti affatto dalla politica del passato. C'è una tendenza
a spingere il dibattito sempre verso modifiche legislative;
nella prima parte di questo dibattito ci si è addirittura
spinti ad ipotizzare proposte di modifiche gravi - poi
rientrate - come quelle che riguardavano la questione dei
pentiti e l'articolo 41-bis, e non si è parlato affatto
della giustizia come servizio. Lo dico perché anche nella
relazione di questa sera non è stato presente questo elemento,
nemmeno come indicazione strategica.
   Anche se il Governo è in carica da quattro mesi, dovrebbe
farci capire qual è il suo programma strategico perché la
giustizia diventi qualcosa di diverso da quel che è stato nel
passato. Ciò vale soprattutto riguardo alla criminalità
organizzata, perché il rapporto di fiducia con i cittadini si
è rotto, soprattutto con il mancato funzionamento della
giustizia come servizio. Bisogna dire che ci sono alcune
realtà del paese in cui la sostituzione della criminalità
organizzata allo Stato è avvenuta soprattutto nell'ambito
giudiziario; si vedano, per esempio, i casi della giustizia
civile (recupero crediti, divisioni, eccetera), dove agisce
soprattutto il boss criminale e non la giustizia.
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   Perciò dire che bisogna fare presto i processi e che
"siamo qui da quattro mesi", va bene e ne prendo atto. Qual è
però il progetto del Governo perché la giustizia diventi un
servizio che funziona e, anche rispetto al fenomeno della
criminalità organizzata, un'istituzione che dà fiducia ai
cittadini? Per esempio, nella legge finanziaria c'è un
orientamento del Governo per aumentare l'incidenza della spesa
per la giustizia fino al 3 per cento del bilancio dello Stato?
Lo dico provocatoriamente, però è chiaro che non si può
parlare della possibilità di far svolgere rapidamente i
processi soltanto modificando il codice di procedura! Questo è
assurdo! E' una logica vecchia, una logica emergenziale! E la
logica emergenziale porta sempre ad una discussione che nel
migliore dei casi - proprio perché sorgono divisioni sulle
possibili proposte modificative della legge, in particolare
quando sono modificative dell'ordinamento giudiziario - lancia
segnali di insicurezza dello Stato nei confronti della
criminalità organizzata, cosa che peraltro è avvenuta.
   Chiedo quindi al ministro se rispetto a questo problema -
che secondo me è fondamentale e che pone la questione
giustizia, rispetto al rapporto con il cittadino e al fenomeno
della criminalità organizzata, come uno snodo importantissimo
- vi sia una strategia che punti, sia pure nel tempo ma in
modo chiaro, a rendere giustizia, perché il rendere giustizia
è un argine fortissimo nei confronti della criminalità
organizzata, e  soprattutto è un modo per prosciugare il brodo
di coltura dentro il quale la criminalità organizzata si
alimenta.
   E' chiaro che siamo portati naturalmente a discutere solo
della giustizia penale e dei processi che si svolgono nei
confronti della criminalità organizzata, perché questa è la
nostra competenza più immediata; però è evidente che se
rispetto a tale problema vogliamo un'apertura che ci faccia
uscire dalla logica vecchia ed emergenziale e ci ponga in
un'ottica nuova, allora dobbiamo pensare alla giustizia come
servizio e quindi come strumento per rinsaldare il rapporto
con il cittadino.
   Invece, ministro, vedo che di tutto ciò non si parla. Non
c'è una strategia del Governo su questo aspetto - non l'ho
sentita, forse mi è sfuggita - e, siccome siamo alla vigilia
della finanziaria, ho il timore di dover assistere per
l'ennesima volta - sono in Parlamento dal 1987 - ad una
finanziaria in cui la giustizia è la cenerentola ed a un
dibattito che si svolge tutto in un ambito ristrettissimo, in
cui l'unico spazio è quello di modificare le norme già
esistenti e soprattutto quelle procedurali, spesso con
contrapposizioni anche ideologiche, lasciando sullo sfondo il
funzionamento della giustizia, che invece è la cosa che più
importa ai cittadini. Questo è il senso della mia domanda.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. E'
una domanda molto vasta. Mi permetto di dire di essere stato
abbastanza leale verso il Parlamento ed anche verso i miei
doveri - credo di essere il primo ministro ad averlo fatto -
nel presentare tempestivamente una relazione al Parlamento,
dopo aver avuto il tempo di fare un consuntivo delle cose
importanti che ci sono da fare e di quelle che pensavo di
poter fare.
   Alla Camera e al Senato ho svolto due discorsi che hanno
trovato qualche modesto, ma per me molto significativo,
consenso da parte della maggioranza e qualche più rilevante
consenso da parte dell'opposizione. Ho descritto una strategia
che attiene non a misure particolari - che pure avevo
evidenziato, sia sulla custodia cautelare sia sul
patteggiamento: cose su cui si può discutere e si è discusso,
anche con qualche prevenzione - ma ad un tessuto generale,
costituito da un riordinamento delle procedure, comprese
quelle civili, non solo con la fissazione di una scansione
temporale a ottobre e a dicembre per il giudice di pace e per
la prima riforma del codice di procedure civile, ma anche con
una visione più organica, che il Ministero ha allo studio, di
una riforma generale del codice di procedura civile, anche con
il ricorso a misure alternative, pattizie, che consentano di
abbreviare i termini incredibili, biblici, della durata dei
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processi. Questo anche per evitare, come diceva lei, che alla
giustizia civile si sostituisca la giustizia "incivile" di
quelli che fanno i bonari - ma non tanto - compositori di
vicende, che entrano nel cuore dei problemi della gente, che
transigono in modo iugulatorio, che si sostituiscono allo
Stato. E' una misura più generale che ho enunciato nella fase
in cui potevo enunciarla.
   Anche per il processo penale non mi sono limitato a dire
quel che ho detto (e ho anche proposto) in tema di custodia
cautelare. Rimango della stessa opinione: che la custodia
cautelare sia una misura eccezionale rispetto alla regola.
Credo che da questo punto di vista una velocizzazione dei
processi consenta di ricorrere quando è necessario alla
custodia cautelare, in maniera non temporalmente così lunga da
renderla una specie di acconto sulla pena da scontare, una
specie di acconto certo su una res dubia. Credo altresì
che questo discorso troverà più concordia di quanto non si
creda quando sarà affrontato non in termini schematici come lo
ho affrontato io e su cui posso fare tutte le autocritiche
(che insieme alle critiche che ho ricevuto, non cambierebbe
molto il peso sulla bilancia). Tuttavia, pensavo di poter
incidere anche in questo senso non per quei quattro, cinque,
sette od otto che in controluce sono stati visti nel decreto
ma nei confronti di quei molti militi ignoti che sono usciti
dal carcere - 2730 - e che non erano nè colletti bianchi né
grand commis dello Stato ma poveracci che stavano in
carcere in attesa di giudizio e che i giudici non hanno poi
ricatturato (il che significa che forse non era una misura
parziale, come qualcuno ha ritenuto con qualche fretta e
approssimazione di dichiarare).
   Riconosco che questo era un argomento solo parziale, ma
sono convinto che una riforma delle norme processuali che
consenta di decongestionare il processo - come proprio in
quest'aula si riteneva all'entrata in vigore del codice
Vassalli -, cioè di arrivare al dibattimento per il 10, 20, 25
per cento al massimo dei processi e di eliminare tutto ciò che
è possibile eliminare, possa far sì che nel penale (tanto per
i processi di mafia, quanto per quelli non di mafia ma
altrettanto gravi e per quelli meno gravi, che pure turbano la
gente, della criminalità delle periferie) la sanzione colpisca
in modo incisivo e rapido, come la gente vuole.
   Sulla fiducia nella giustizia, mi permetto di dire che ho
un'opinione del tutto contraria. La gente ora ha fiducia nella
giustizia; forse non ha fiducia nel Governo e nella classe
politica, ma nella giustizia ha fiducia. Questo è un merito
dei magistrati. Mi permetto di dire che l'indice di gradimento
della giustizia, intesa come attendibilità degli uomini che vi
si dedicano, è molto elevato. Questo è un patrimonio molto
rilevante che va conservato. Si possono muovere critiche su
questo o su quell'atteggiamento ma non su questo valore, che è
sopraggiunto, perché non era tale prima. Sono vecchio e posso
paragonare come era prima a come è ora: ora la gente ha
fiducia nella giustizia; semmai non ha fiducia negli
strumenti, nel servizio che la giustizia riesce a rendere, per
gli strumenti di cui la dotiamo. Ho già detto in Consiglio dei
ministri e ripeterò in sede di finanziaria che la dotazione di
mezzi alla giustizia deve essere meno parsimoniosa di quello
che è avvenuto per altre realtà molto importanti ma non
altrettanto vitali nella realtà di oggi.
   Da questo punto di vista, se ho taciuto qui, non ho
taciuto in altre occasioni su questo argomento; basta forse
una sommaria rilettura dei miei discorsi alla Camera e al
Senato per osservare che una strategia sulla giustizia l'avevo
indicata. Ho poi avuto delle pause derivanti da difficoltà
politiche, perché affrontando questi temi si affrontano anche
le diversità che anche nelle migliori famiglie sussistono
quando si devono prendere decisioni non da tutti condivise con
lo stesso spirito. Io le affronto con uno spirito liberale,
che significa dare a ciascuno il suo, avere anche il dubbio
della legittimità o dell'opportunità dei propri comportamenti;
altri hanno visioni diverse che bisogna raccordare. Ecco
perché ritengo che un collegamento più forte - che intendo
avere - con
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il Parlamento mi potrà consentire di confrontare le poche
cose che posso adunare nell'ambito delle disponibilità di oggi
e quelle maggiori che potrò avere domani. Comunque, posso
garantire l'onorevole Bargone che questo tema della dotazione,
al servizio di una giustizia attendibile, di strumenti
adeguati è una delle ragioni per le quali sento più forte
l'impegno in questa fase della mia vita politica e anche
personale.
  GIUSEPPE ARLACCHI. La mia è una domanda un po' monotona
perché rientra nel tema dell'articolo 41-bis ma in
compenso è breve. Essa riguarda un aspetto che non è stato
affrontato: l'applicazione concreta di questa misura con
riferimento alle condizioni detentive.
   Quest'estate, preoccupato da una serie di notizie di
stampa ma anche da dichiarazioni di autorità e di parlamentari
circa il verificarsi di episodi di maltrattamento, di
violenza, di eccesso di zelo nell'applicazione del dispositivo
dell'articolo in questione, mi sono recato sull'isola
dell'Asinara dove, utilizzando i miei poteri ispettivi di
parlamentare, ho visitato gran parte delle celle del carcere
in cui sono detenuti i principali esponenti di Cosa nostra,
'ndrangheta e camorra. Ho conversato con diversi di loro a
proposito delle condizioni di detenzione ed ho verificato di
persona la situazione generale, carceraria, logistica e così
via. Ho potuto così riscontrare una condizione detentiva
indubbiamente dura ma che, se confrontata alla media delle
situazioni detentive ordinarie per quanto riguarda alcuni
standard elementari come l'affollamento delle celle, la
qualità della vita, la temperatura (la mia visita si svolgeva
in piena estate), l'accesso all'informazione, la possibilità
di guardare la televisione, di ricevere giornali, di leggere
libri, era indubbiamente migliore per molti aspetti.
   Non ho trovato sovraffollamento, perché nelle celle vi
erano al massimo tre o quattro detenuti; ho riscontrato che le
celle sono grandi e ben areate e che la qualità del vitto è
decisamente discreta; ho trovato nello stesso tempo le forti
limitazioni derivanti dalla legge che erano oggetto delle
lamentele dei detenuti. Soprattutto, non ho trovato nessun
detenuto appartenente ai vertici di Cosa nostra che mi abbia
minimamente confermato l'esistenza o il verificarsi di episodi
di maltrattamento a danno suo o di altri. Mi hanno tutti detto
che il carcere prevede condizioni di detenzione dure, ma che
non esiste alcun problema di rapporto negativo, di scontro, di
conflitto con le guardie carcerarie e con la direzione. Da
questo punto di vista, quindi, sono rimasto rassicurato, anche
se i detenuti hanno ovviamente molto insistito sui gravi
disagi sofferti nel contatto con i familiari, disagi derivanti
anche dalla distanza dell'isola dell'Asinara dal continente;
mi hanno quindi confermato che l'articolo 41-bis ha
funzionato e funziona molto bene.
   La mia domanda è molto semplice: poiché le voci che
riportavo all'inizio del mio intervento continuano ad essere
diffuse - non so con quali intenti -, le chiedo se a lei
risultino fondate. Può anche darsi che vi sia stata una
manipolazione, o una messinscena organizzata apposta per il
mio arrivo, non so, ma vorrei sapere se le risultino episodi
di maltrattamento, di tortura, di eccesso di zelo nelle
carceri ordinarie e speciali nelle quali viene applicato
l'articolo 41-bis.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Le
sono innanzitutto grato per la testimonianza che conferma i
dati che ho acquisito attraverso relazioni che hanno la
caratteristica dell'ufficialità, anche se qualche volta
qualcuno dubita della sincerità nell'ufficialità. Per le
informazioni che ho anch'io assunto direttamente, vi è in
effetti una corrispondenza con la durezza insita nel regime in
sé, dal punto di vista non solo logistico e dei rapporti
interpersonali con i familiari ma anche per le difficoltà, da
qualcuno lamentate, di mantenere i rapporti con gli avvocati,
con riferimento al diritto di difesa stabilito in termini di
possibilità, e quindi anche di mezzi e di disponibilità di
tempo. Tale argomento, però, attiene non alla durezza in sé ma
alle modalità con le quali il rapporto
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si instaura nell'esecuzione delle norme previste dalla
legge.
   Credo comunque di poter escludere che mi siano stati
segnalati rapporti vessatori o di carattere punitivo, che pure
in passato sono stati talvolta denunciati, non soltanto al
ministro ma anche all'autorità giudiziaria. Personalmente non
ho avuto alcuna particolare segnalazione in questo periodo,
altrimenti avrei ovviamente svolto le opportune inchieste e
avanzato le denunce per questo tipo di violazioni dei diritti
umani e talvolta anche del codice penale, per quanto avvenute
all'interno del carcere. Da questo punto di vista confermo che
non vi è stata una realtà dura perché indurita in termini di
sopraffazione.
   Per quanto attiene invece alle modalità di attuazione
della legge, mi sono permesso di leggere prima, forse un po'
noiosamente, alcune considerazioni delle autorità di
sorveglianza, anche in ordine alla possibilità di rendere meno
dura quella che già può essere considerata una situazione di
inutile afflittività. Quest'ultima è stata in qualche caso
rilevata nelle motivazioni dei giudici di sorveglianza con
riferimento all'ora d'aria, alla possibilità di prepararsi un
pasto caldo e un caffè da soli, o di avere determinati piccoli
vantaggi della vita interna al carcere di cui godono gli altri
detenuti e che vengono invece negati al detenuto soggetto
all'articolo 41-bis, senza che ciò incida sulla finalità
di questo tipo particolare di carcerazione, quella cioè di
impedire le relazioni all'esterno - come abbiamo più volte
evidenziato - e la possibilità di protrazione dell'attività
criminosa. Si tratta, a volte, di misure che potrebbero anche
essere evitate senza che questo grande interesse dello Stato
venga compromesso.
   Posso comunque affermare - ripeto - che le norme
dell'articolo 41-bis vengono applicate con rigore ma con
nessuna particolare crudeltà. Rimangono poi i problemi legati
alla lontananza dai familiari e ad altre difficoltà, ma si
tratta di questioni che non si possono affrontare in questo
momento, per quanto attiene alle isole, dovendosi attendere la
realizzazione altrove di carceri che abbiano le stesse
caratteristiche di sicurezza.
  ALESSANDRA BONSANTI. Mi scuso con il ministro se insisto
sul tema dell'articolo 41-bis, ma siccome so che domani
qualcuno se la prenderà con i giornalisti che scriveranno:
"41-bis: scontro in Commissione tra Maroni e Biondi", le
rivolgo una domanda precisa, alla quale potrà rispondermi con
un sì o con un no ...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Non vi è stato né un incontro né uno scontro!
  ALESSANDRA BONSANTI. Aspetti la mia domanda precisa: lei
è pronto a sostenere il ministro Maroni, il quale chiederà che
subito l'articolo 41-bis diventi definitivo? Mi dica sì
o no.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Subito vuol dire da stasera?
  ALESSANDRA BONSANTI. No, vuol dire dal prossimo 27,
quando si svolgerà questo incontro.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Se
mi convincerò della bontà della misura, lo farò senza bisogno
di incentivazioni.
  ALESSANDRA BONSANTI. Aggiungo un altro paio di domande
altrettanto precise. Mi sembra che lei fosse l'avvocato
difensore di Scarantino ...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
No, non so nemmeno chi sia.
  ALESSANDRA BONSANTI. E' una notizia che ho letto...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Mi
avevano avvisato telefonicamente, ma non ho avuto il piacere
di conoscerlo né prima, né dopo, né durante.
  PRESIDENTE. Non mi sembra, comunque, che le domande
personali siano rilevanti in questa sede. Il fatto che il
ministro fosse o meno difensore di Scarantino
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esula dal nostro interesse, che è di carattere
istituzionale.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Se
lo fossi stato, comunque, non sarebbe cambiato il fatto che
essere un avvocato difensore non è ancora un reato.
  ALESSANDRA BONSANTI. Passando ad un'altra domanda: lei
sa che esiste un problema molto serio di intrecci fra
massoneria deviata e mafia, in relazione al quale si pone
anche il problema dello scioglimento di alcune logge segrete,
sulle quali però è molto difficile intervenire, anche da un
punto di vista legislativo. In proposito, lei considera
sufficiente l'attuale legge del 1981 per sciogliere le logge
segrete, oppure concorda con alcuni magistrati, come Cordova e
Vigna, per quanto riguarda la necessità di introdurre qualche
strumento più efficace? Non mi interessa assolutamente sapere
se lei sia o meno massone...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Non lo sono!
   ALESSANDRA BONSANTI. Ho detto che non mi interessa...
  PRESIDENTE. Non insistiamo sulle domande personali!
  ALESSANDRA BONSANTI. Certo: d'altronde alcuni lo dicono,
altri no. Comunque mi interessa sapere se il ministro sarebbe
disposto a sostenere una legislazione più precisa per quanto
riguarda lo scioglimento delle logge segrete.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Basta così?
  ALESSANDRA BONSANTI. Se vuole, le parlo di
Cordopatri...
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Prego.
  ALESSANDRA BONSANTI. Lei conosce il caso della baronessa
Cordopatri di Reggio Calabria. Si pone un problema di uso
abusivo dei terreni e degli immobili da parte della
'ndrangheta. Le domando quindi: cosa sta facendo? Lei pensa
che si possa intervenire per risolvere al più presto i
contenziosi aperti al riguardo? Intende compiere una verifica
sull'utilizzazione dei fondi CEE a sostegno dell'agricoltura,
che pare siano andati direttamente anche alle organizzazioni
di Mammoliti e di altri?
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Rispondendo subito sul caso Cordopatri, preciso che ho avuto
da vari colleghi comunicazioni verbali, anche precise,
relative a tale situazione. Sono state presentate alcune
interrogazioni al riguardo ed un collega che fa parte di
questa Commissione ha promesso di farmi avere una
documentazione più precisa; ho già detto che, anche sulla base
di essa, potrò rispondere agli strumenti del sindacato
ispettivo e compiere gli opportuni accertamenti, eventualmente
anche al fine di valutare le misure da proporre per una
modifica delle leggi vigenti, se non idonee.
   Per quanto riguarda le associazioni segrete ed in
particolare quelle in ipotesi deviate, non ho allo studio
alcuna modifica della legge attualmente vigente. Ciò non
toglie che, se dal lavoro di questa Commissione, da altri
impulsi che possono giungere dal Parlamento o da verifiche che
io stesso posso promuovere, si evidenziasse che il legame
stretto in determinati casi fra la malavita organizzata e le
logge deviate non è episodico ma ha un carattere di contiguità
di maggiore rilievo, potrebbero risultare opportune misure
idonee a svolgere un compito di ordine non solo preventivo ma
anche repressivo. Del resto, se si stabilisse questo rapporto,
le leggi vigenti non richiederebbero una specialità ma una
possibilità di indagine più corrispondente all'entità del
rischio che la società corre per questo non casto connubio.
Sono pertanto disponibile ad esaminare in tal caso le
opportune modifiche. Allo stato, però, non ho allo studio
alcuna ipotesi specifica.
   Per quanto riguarda le domande che mi sono state rivolte
sul piano personale e professionale, confermo quanto avevo già
Pagina 110
fatto chiarire telefonicamente. Del resto, talvolta circolano
delle voci che sono malevole per il solo fatto che vengono
indirizzate ad un ministro che prima faceva l'avvocato e che
potrebbe aver avuto la fiducia di clienti o avere consentito
l'accesso al proprio ufficio a persone alle quali, però,
sostengo che si può dire di sì...
  ALESSANDRA BONSANTI. Non vi era alcun intento
malevolo!
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Voglio essere molto chiaro: a certe cause si può dire di sì o
di no; non è vero che la difesa sia obbligatoria. Non sono
d'accordo con coloro che sostengono che la difesa è
obbligatoria: la difesa è una garanzia per la lealtà della
vita processuale e quindi ogni avvocato che si assume
l'incarico di difendere ha una dignità che non è assimilabile,
né per osmosi né per altro motivo, a quella che può essere la
personalità del cliente. Non è, però, che uno possa fare tutte
le cause: vi sono cause che ho accettato ed altre che non ho
accettato. Non posso dire che non ho accettato una causa che
non mi è stata nemmeno proposta, né prima, né durante, né
dopo.
  LUIGI RAMPONI. Signor ministro, vorrei sapere se
nell'ambito della magistratura lei abbia riscontrato, con
particolare riferimento all'attività investigativa che ha per
oggetto la criminalità organizzata, una obiettiva difficoltà
nell'esercitare il controllo sulle movimentazioni finanziarie
e nell'acquisire elementi atti a seguire i processi di
reimpiego soprattutto dei grandi capitali che ormai da tempo
sono acquisiti dalla criminalità organizzata. Qual è a tale
riguardo l'opinione dei magistrati, cioè dei veri operatori
del suo ministero? Le hanno denunciato una obiettività
difficoltà e, ove ciò sia accaduto, gliene hanno indicate le
motivazioni?
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. La
difficoltà è in re ipsa, stante l'attitudine delle
organizzazioni criminali a procedere avvalendosi di
professionisti spesso compiacenti e di società di
intermediazione che svolgono un ruolo di depistaggio, di
occultamento, di costruzione di situazioni che non consentono
una facile ed immediata penetrazione. Io ho avuto sempre un
riscontro positivo circa la possibilità per i magistrati di
giungere - grazie alla loro abilità e professionalità,
supportata dall'azione della polizia giudiziaria e, in
particolare, della Guardia di finanza - ad individuare
fenomeni come quelli da lei rilevati, senatore Ramponi, anche
all'estero ed in zone molto difficili, e di scoprire le
filiali - se così possiamo definirle - della realtà malavitosa
che si tramuta in realtà economica, finanziaria e di capitali.
Tutto questo avviene senza che si riscontrino grandi
difficoltà. Certo, vanno considerati problemi di carattere
internazionale che attengono alla diversità dei regimi
bancari, ai differenti tipi di collaborazione ed alle diverse
sensibilità di alcuni Stati rispetto ad altri. In questo
senso, nel corso di grandi confronti internazionali vertenti
su questa materia, si è manifestata l'esigenza di promuovere
iniziative anche a livello di Unione europea. Analoga esigenza
è stata avvertita dai ministri della giustizia e dell'interno
chiamati frequentemente a lavorare congiuntamente nell'ambito
delle istituzioni internazionali. In particolare, è stata
sottolineata l'opportunità di rendere più agevole la
cooperazione giudiziaria nonché l'accesso a determinate zone
difficilmente espugnabili (veri e propri santuari). In
definitiva, comunque, si tratta più di una difficoltà tecnica
e collegata a rapporti di reciprocità che non di una
insufficienza dei mezzi di indagine. Dico questo anche sotto
il profilo del coordinamento, che credo sia oggi più forte che
in passato. Ciò non significa che in tale direzione non
possano essere conseguiti ulteriori miglioramenti.
   Ritornando alla sua domanda, senatore Ramponi, le confermo
che i miei uffici non mi hanno segnalato e le relazioni
predisposte dall'ufficio ispettivo, nelle ipotesi in cui siano
state manifestate doglianze, non hanno mai fatto rilevare
presenti motivazioni di particolare e più grave difficoltà
rispetto a quelle riscontrabili in re ipsa in una
materia, per così dire, molto scivolosa e difficilmente
penetrabile. Del
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resto, onorevole collega, la sua esperienza in materia è
certamente più vasta della mia.
   Credo che dovremo lavorare per intraprendere nuove
iniziative e per dotarci di nuovi mezzi. Se si considera
quanto tempo ha avuto la mafia per lavorare in un settore -
come dire? - tanto appetitoso, qual è quello in cui,
utilizzando mezzi sporchi attraverso il riciclaggio, si arriva
ad attingere ad economie a volte anche tanto lontane dalla
nostra (mi riferisco anche ai paesi dell'est), e che talvolta
vi è la difficoltà di collegare le strutture di indagine a
nostra disposizione con i mezzi di solidarietà e di
collegamento nelle indagini che non esistono in tutti gli
Stati (e che a mio avviso vanno attivati), si comprende che
nuove iniziative sono necessarie. A Malta, del resto, si è
svolta una conferenza sulla corruzione nel corso della quale
la relazione del ministro che vi sta parlando è stata
approvata all'unanimità. Un'altra conferenza si è tenuta
recentemente a Courmayeur e un'altra ancora si svolgerà a
Napoli il 21 novembre, sotto l'egida dell'ONU, con la
partecipazione di tutti i paesi interessati alla lotta contro
il terrorismo. Questo appuntamento potrà rappresentare un
punto di riferimento, anche perché da colloqui diretti che ho
avuto con i ministri di grazia e giustizia degli altri paesi è
emersa la volontà di agire e la consapevolezza che il
problema, per affrontare il quale l'Italia ha dato un certo
impulso, ha una dimensione internazionale.
  PRESIDENTE. Anch'io, ministro, vorrei rivolgerle alcune
domande in merito all'articolo 41-bis della legge
sull'ordinamento penitenziario ed alla questione dei
collaboranti di giustizia. Non intendo certo chiederle di
esprimere le sue dichiarazioni di intenti, così come molte
volte è stato invitato a fare. Penso piuttosto che il problema
si possa porre in termini diversi: invece di affrontare sempre
il discorso sulle leggi speciali, sarebbe importante inserire
in un quadro più generale e più ampio i sistemi differenziati
di carcerazione, ponendo come sistema generale (anche
nell'ipotesi in cui la consistenza numerica della criminalità
organizzata dovesse ridursi: non possiamo escludere che si
possa registrare un ripresa del terrorismo o del fenomeno dei
sequestri di persona) una normativa che differenzi le
situazioni di massima pericolosità che - ripeto - richiedono
un regime carcerario differenziato dalle altre. Tale
differenziazione, d'altra parte, sarebbe necessaria anche per
i livelli di minore potenzialità criminale e dovrebbe essere
collegata anche all'indicazione di sistemi alternativi di
custodia (non necessariamente deve trattarsi del carcere), che
oggi si impongono in particolare per i tossicodipendenti e per
gli extracomunitari.
   Una normativa di questo tipo, che disciplini il problema
della strutturazione carceraria, sarebbe molto più importante
di una proroga triennale oppure dell'inserimento definitivo
nel nostro ordinamento dell'articolo 41-bis, che
resterebbe comunque non collegato agli altri problemi di
necessaria differenziazione del regime carcerario. Piuttosto
che proporre un discorso un po' propagandistico ispirato alla
richiesta "vogliamo il 41-bis!", sarebbe invece
auspicabile la definizione di un sistema carcerario ispirato
ad un regime differenziato che tenga presente, con l'obiettivo
di garantire la difesa della società, la posizione diversa di
coloro i quali presentano una elevata potenzialità
criminale.
   Per quanto riguarda i collaboratori di giustizia, credo
che i relativi problemi non siano stati sufficientemente
affrontati. Ci troviamo anzitutto di fronte ad una questione
di protezione che dovrebbe essere considerata fin dall'inizio.
Il primo punto è di stabilire se, prima ancora che si sia
arrivati ad un adeguato accertamento di quanto riferito dal
collaborante, il sistema debba consistere nella misura
immediata della libertà o, invece, nella detenzione. Ho
ascoltato diversi magistrati, alcuni dei quali sostengono che,
almeno fino ai riscontri necessari da eseguirsi sulle
dichiarazioni rese (senza perciò arrivare alla sentenza di
primo grado), sarebbe opportuno prevedere una continuità nella
custodia cautelare, anche se da applicarsi in luoghi idonei,
separati dagli altri e
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muniti di particolari sistemi di protezione.
   Signor ministro, non ritiene necessario - così come
avviene negli Stati Uniti - che fin dal primo momento il
collaborante sia protetto da un personale diverso da quello
che deve provvedere alle indagini e ai riscontri sulle
dichiarazioni rese? Tale sistema si adotterebbe per tutto il
periodo della protezione, al punto che nessuno dovrebbe sapere
dove si trova una certa persona o se essa abbia o meno una
nuova identità. Oggi invece si registra una situazione
notevolmente preoccupante in quanto la protezione viene
garantita a livello locale dalle stazioni dei carabinieri o
dalle questure, con un'avvicendamento di fax tra ministeri ed
enti locali che certamente non giova alla riservatezza e che a
mio avviso potrebbe dar luogo a grossi problemi a livello di
sicurezza. A suo parere, non sarebbe necessario rivedere e
razionalizzare l'attuale sistema prima che si verifichino
situazioni molto gravi?
   Per quanto riguarda gli stanziamenti finalizzati al
mantenimento di queste persone (che sono non solo collaboranti
che abbiano commesso reati, ma anche testimoni che
probabilmente si sono esposti allo stesso modo o forse di
più), registriamo già numerose lamentele per la modestia
dell'entità dell'assegno offerto dallo Stato e per la
disparità che a volte si determina tra i trattamenti dei
diversi pentiti. In tale settore si stanno creando situazioni
che potrebbero in qualche modo intralciare i processi. Se si
tiene conto che queste persone sono abbastanza giovani, che
hanno moglie e figli, che si trovano ad affrontare moltissimi
problemi, che incontrano difficoltà ad inserirsi nel mondo del
lavoro... Sappiamo anche che ottenere il cambiamento del nome
e del cognome non è certo facile. Tra l'altro, a mio avviso,
risulta ancora più difficile tenere in qualche modo riservata
questa variazione, proprio perché essa non risale al momento
dell'inizio della collaborazione. In che modo il ministro e il
Governo intendono agire in questo settore? I collaboranti di
giustizia sono ormai quasi 800 e speriamo che tale numero si
incrementi, sempre che ovviamente si tratti di collaboranti di
qualche livello. Come si pensa di provvedere alla situazione
futura di queste numerose persone e alla loro sistemazione
nella società, ove questi ritengano e scelgano di rimanere in
Italia e non si rechino all'estero?
   Vorrei inoltre chiedere al ministro se sia stato eseguito
un monitoraggio per stabilire se gli 800 collaboranti siano
tutti imputati per reati di mafia o se vi sia stato un certo
allargamento ed allentamento nel senso che anche persone che
hanno collaborato per fatti non di mafia o comunque di
criminalità organizzata di un certo spessore abbiano poi
goduto permanentemente del trattamento previsto. Il ministro
ritiene necessario, per coloro i quali collaborano con
riferimento a reati privi di particolare gravità, operare un
mantenimento del trattamento limitato nel tempo?
   Per quanto riguarda la velocizzazione dei processi, penso
che si registri un forte rallentamento non tanto per effetto
del codice attuale, che in qualche modo può comunque avere
influito, ma perché - almeno per quanto ho potuto constatare
fino a pochi mesi fa - vi è un grosso problema di
demotivazione e di allentamento. Ormai si è creata una scala
di priorità, che da un certo punto di vista può essere anche
considerata giusta ma che comunque deve in qualche modo far
riflettere. Soltanto per i processi relativi a reati contro la
pubblica amministrazione (che oggi hanno una particolare
risonanza mentre una volta si svolgevano in tempi tali da
essere prescritti) e per quelli riguardanti la criminalità
organizzata si riscontra uno svolgimento più celere. Al
contrario, tutti gli altri processi - che spesso non sono di
scarso rilievo e che non sempre sono lontani, da un punto di
vista della continuità, dalla criminalità organizzata -
subiscono rallentamenti che a mio avviso sono dovuti ad un
inceppamento della macchina giudiziaria legato sicuramente
agli scarsi strumenti a disposizione ma anche ad una
demotivazione che penso potrebbe anche incrementarsi.
Constatiamo, per esempio, come nei rapporti tra le procure
distrettuali e le procure ordinarie emerga molto
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spesso una conflittualità che talvolta pregiudica addirittura
la conoscenza di fatti di effettiva criminalità organizzata,
proprio perché la procura ordinaria si sente in qualche modo
depotenziata e messa da parte rispetto allo svolgimento di un
lavoro quotidiano che spesso è faticoso, così come lo è quello
delle altre procure. Talvolta assistiamo, ad esempio, alla
mancata contestazione di un titolo di reato al fine di evitare
che il processo venga poi trasferito alla procura
distrettuale. Si corre anche il rischio che per i tribunali
distrettuali, per quanto la loro utilità sia evidente per
motivi logistici, si creino disparità tali per cui la
giustizia finirebbe per esistere soltanto con riferimento ad
alcuni reati,  connessi non soltanto al settore penale ma
anche e soprattutto a quello civile.
   In definitiva, signor ministro, vorrei sapere cosa intenda
fare per riportare il tutto alla sua propria fisiologia e per
agevolare una maggiore collaborazione tra gli uffici
giudiziari. Le chiedo, infine, se anche nella rilettura dei
rapporti tra DDA, DNA e procure ordinarie - eventualmente tra
tribunali ordinali e distrettuali - non vi sia la possibilità
di un raccordo tale che consenta una maggiore collaborazione,
un minore livello di conflittualità tra gli uffici, una più
efficace produttività nei processi e nell'attività
giudiziaria.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Mi
è stata posta una serie di domande molto interessanti alle
quali risponderò partendo dalla questione del confine
esistente tra l'articolo 41-bis e quelli che ho definito
circuiti differenziati. Credo che vi sia, al riguardo, la
differenza che separa una norma speciale (tale essa era), con
una durata nel tempo, da principi generali che possono trovare
attuazione nella generalità e diversità di situazioni - che mi
sono permesso di enunciare in termini forse un po' sintetici -
nelle quali può trovare attuazione quel principio di
permanenza della misura che impedisce il protrarsi e quindi la
prosecuzione di azioni criminose, nonché il mantenimento del
prestigio e delle funzioni di capo o di boss; nello stesso
tempo, va considerata una realtà generale nella quale tale
differenza si collochi come un criterio di specialità,
inserito però in un discorso più organico.
   Considero questa come un'esigenza strutturale del sistema
penitenziario, che va rivisto nel suo complesso; può quindi
crearsi all'interno di questa realtà una situazione
caratterizzata dalla necessità di misure che attengano a un
tipo di reato, di soggetto o a comportamenti che abbiano
bisogno, in questa differenziazione, di una condizione più
generale; questo è, a mio avviso, un criterio al quale occorre
attenersi ed è anche quello che grosso modo avevo
evidenziato nella mia relazione. Ma siccome l'articolo
41-bis scadrà, non possiamo neppure dare ora la
sensazione che, "aspettando Godot", si possa nel frattempo
creare un'area nella quale l'indifferenza rispetto
all'importanza del tema o la lentezza nell'attuazione di
misure denotino una riduzione dell'impegno.
  PRESIDENTE. Il discorso era riferito al futuro.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Sono d'accordo, nel senso che occorre ora adottare una misura
e inquadrarla in un ambito più vasto, in cui potrà essere una
parte rispetto a un tutto. E' altresì necessario creare
un'organizzazione diversa e maggiormente idonea ad offrire
garanzie anche rispetto agli effetti negativi di una minore
attenzione verso la vita carceraria, che in passato vi è stata
ed alla quale l'articolo 41-bis ha ovviato in termini di
specialità.
   Il discorso sta diventando di vivissima e premente
attualità non perché qualcuno ne faccia strumento di
propaganda - non credo questo - anche se comunque può sempre
servire a creare quelle differenze che possono esistere in
ogni uomo e in ogni compagine tra chi vede le cose con
l'occhio del presbite e chi con l'occhio del miope. Da parte
mia, soffro più di presbitismo che di miopia, per cui sono
convinto che adotterò le misure con la necessaria gradualità e
attenzione ai problemi generali, non agli effetti speciali.
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   Per quanto attiene ai collaboranti di giustizia, ricordo
che già il precedente Governo (in particolare, il ministro
Conso), in sede di Comitato per l'ordine e la sicurezza
pubblica, aveva costituito un gruppo di lavoro che si è
occupato proprio di tale questione ed anche di problemi
particolari, che attengono alle modalità di protezione ed alla
differenziazione della fase processuale, nella quale però
l'attività di protezione può essere più efficace se svolta fin
dall'inizio dagli stessi soggetti. Questo è uno degli studi in
corso, che mi auguro giungano presto ad una conclusione
positiva.
   Per la parte in cui, oltre quest'ambito, si potranno
individuare altre soluzioni, sono assolutamente convinto che
sia necessario (potremo forse procedere insieme) adottare
questa misura che oggi non può essere individuata con
precisione, perché si colpirebbe la possibilità selettiva che
può sussistere nella fase iniziale del pentimento circa la
necessità che il dichiarante resti in carcere oppure in un
altro posto, affinché le dichiarazioni possano essere accolte
con maggiore possibilità di verificarne l'attendibilità, ma
anche con minor timore nell'esprimerle.
   Questo è l'argomento che milita a favore di coloro i quali
sostengono che per il dichiarante si può anche prevedere una
sede di custodia diversa da quella carceraria. Se, una volta
tanto, posso esprimere un mio parere, rilevo che sono
d'accordo con la presidente nell'affermare che in certi casi,
fino a quando non vi è una più precisa verificabilità della
base di attendibilità, la realtà carceraria può consentire
ugualmente lo svolgimento delle indagini. Non si deve, quindi,
far uscire subito il pentito dal carcere per il solo fatto che
collabora, quasi si trattasse di un premio di incoraggiamento,
ma occorre prevedere misure tali da garantire al tempo stesso
la sicurezza e la verifica dell'attendibilità. Ecco perché si
è parlato di un "programma di pentimento", di una linea di
riferimento che, affidata anche alla valutazione del
procuratore nazionale antimafia, consenta relativamente al
tempo e all'entità delle dichiarazioni, che esse non siano
utilizzate soltanto in rapporto ad una vicenda ma che, se vi è
una linea di riferimento più complessiva, ne possano usufruire
anche altri uffici giudiziari. Quindi, credo che un obiettivo
da perseguire sia quello di razionalizzare il sistema sia
della custodia sia dell'assunzione delle dichiarazioni,
rendendole più attendibili e nello stesso tempo più sicure
quanto alla persona ed alle modalità di acquisizione.
   Nella riunione del 27 settembre del Comitato per l'ordine
e la sicurezza pubblica, si parlerà anche di tali argomenti,
perché su questo è possibile portare avanti un lavoro che, pur
non essendo ancora di carattere legislativo, può creare i
prodromi di un'attuazione più sicura delle misure, oltre a
consentire di valutare le possibilità di differenziazione di
soggetti che sono certamente diversi.
   Dal punto di vista della diversità, occorre evitare che vi
siano pentiti di serie A e altri di serie B, con riferimento
alle misure di sostegno finanziario alle famiglie, anche per
evitare che coloro i quali non hanno tale possibilità
rimangano scoperti nel momento in cui rischiano di più.
   Il problema va studiato di concerto dal ministro di grazia
e giustizia e da quello dell'interno, evidentemente con mezzi
diversificati a seconda dei casi, ma sulla base di una
valutazione collegata all'effetto che si intende produrre e
non all'ottenimento, in un caso o nell'altro, di un sostegno
processuale che si incentiva e poi, per così dire, si usa e si
getta, il che può essere molto pericoloso dal punto di vista
della vita del pentito, della sua famiglia, nonché
dell'utilizzazione delle dichiarazioni che, se il pentito
viene deluso, possono essere rese diversamente nei vari gradi
del giudizio, determinando problemi molto gravi.
   Quanto alla velocizzazione dei processi, sono certamente
vere le osservazioni della presidente, ma è anche vero che è
difficile stabilire il grado di demotivazione di qualcuno che,
in periferia o altrove, si sente meno gratificato. Ricordo
che, per il solo fatto di aver affermato che i giudici si
distinguono solo per funzioni e non per nome e cognome, mi
hanno detto che ho bacchettato questo o quello. E' necessaria
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una forma di adempimento dei propri doveri meno legata agli
effetti speciali, alla ridondanza esterna, e collegata, come
avveniva un tempo, ad una manifestazione meno rumorosa
dell'attività processuale; ma non si può rimproverare alla
stampa, se il fatto è così clamoroso, che si abbia una
risonanza diversa l'uno dall'altro. Spesso gli avvocati si
sono vantati di avere clienti importanti, al punto di portare
avanti la causa gratuitamente pur di vedere il proprio nome
sui giornali, per cui conosco tali situazioni e non me ne
faccio un cruccio. Però è anche vero che questo effetto di
minore impegno può esserci, ma si tratta di un fatto che
riguarda la deontologia del singolo ed è difficile stabilire i
motivi per cui qualcuno si sente meno attivo o qualcun altro è
eccessivamente attivo o troppo noto.
   Spero che da questo punto di vista si possa portare avanti
un'azione volta a rendere i processi più rapidi, nel senso che
si vada al dibattimento il minor numero di volte possibile -
questa è una mia opinione - in modo che sia i processi grandi
sia quelli medi sia quelli che creano (nessuno parla mai delle
parti lese) un grande allarme sociale, particolare, personale
anche nelle piccole realtà cosiddette periferiche, possano
svolgersi più rapidamente.
   Quanto alla scala di priorità e ai rapporti di
conflittualità tra la procura distrettuale e quella ordinaria,
si tratta di un problema che esiste e mi sono permesso di
enunciarlo anche nei riscontri su cui il Consiglio superiore
della magistratura si è fatto carico di dare delle
indicazioni. Ho voluto parlare con la bocca di chi ha
esaminato tali questioni con spirito distaccato, non di parte,
e sulla base di una panoramica molto più vasta di quella che
potevo avere io su questo tema. Effettivamente, vi sono stati
conflitti e resistenze ed esistono gelosie.
   Da parte mia, sarei propenso a valorizzare, più di quanto
sia stato fatto finora, il compito del procuratore nazionale
antimafia con riferimento alla sua funzione di impulso, di
coordinamento e di conoscenza, che qualche volta non gli viene
attribuita volentieri. Credo che ciò consentirebbe di
sollecitare quelle collaborazioni, di stimolare quelle
iniziative e di assolvere ai compiti che sono stati attribuiti
al procuratore nazionale antimafia anche sotto il profilo
avocativo. Questa è, a mio avviso, una delle misure che
possono essere considerate utili e importanti.
  PRESIDENTE. Desidero fare soltanto un'integrazione che
riguarda il lavoro della Commissione. Forse non ho parlato
delle problematiche che i giudici di sorveglianza stanno
aprendo sulla revoca della misura prevista dall'articolo
41-bis su istanza del sottoposto alla misura stessa.
   Vorrei chiedere al ministro di inviare alla Commissione
una documentazione sui provvedimenti degli uffici di
sorveglianza, perché l'ufficio di presidenza della Commissione
ha deciso di raccogliere, dagli stessi uffici di sorveglianza,
la documentazione relativa alle problematiche connesse
all'articolo 41-bis, con riferimento al numero dei
sottoposti a tale misura e a tutto quello che è stato disposto
in merito.
   A tal fine abbiamo bisogno anche di una documentazione da
parte del ministro, perché le case circondariali del genere
sono molto più numerose delle isole.
   Chiedo inoltre al ministro Biondi, come ho già fatto
questa mattina con il ministro dell'interno, di inviarci una
documentazione sui collaboratori di giustizia, e quindi sul
trattamento al quale sono sottoposti fin dall'inizio a livello
di protezione, nonché sulla spesa complessiva dello Stato e
sulla sua ripartizione tra i diversi collaboranti. Vorrei
inoltre sapere se vi sia eventualmente qualche proposta di
razionalizzazione, di aumento della spesa, o comunque che cosa
si propone per il futuro, quali problemi si siano incontrati
nel cambiamento di nome, soprattutto con riferimento a quelli
che a mio avviso sta ponendo, o almeno dovrebbe porre, il
fatto che alla protezione provvedano organi territoriali.
Vorrei sapere quali siano gli organi territoriali e
soprattutto quale protezione assicurino, oltre a presentarsi
sotto casa del collaborante in divisa e con la macchina
provvista di lampeggiatore.
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   Vorremmo inoltre acquisire dati non sulla distribuzione
nel territorio dei collaboranti ma sui luoghi nei quali sono
avvenuti i reati, quindi sulla collocazione dei reati stessi
sul territorio rispetto ai collaboranti, a livello statistico
e senza l'indicazione di nomi e cognomi, nonché sapere quali
reati vengano imputati, ossia se si è trattato per tutti
dell'articolo 416-bis o anche di altro titolo di
reato.
   Vi è poi la questione del regolamento sul trattamento dei
pentiti, sul quale non esprimeremo il nostro parere, ma che
vorremmo comunque conoscere, sia pure non ufficialmente.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Si
riferisce anche alle proposte in itinere?
  PRESIDENTE. Sì, anche alle proposte in itinere,
perché ci aiutano nel nostro studio.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Va
bene, signor presidente.
  SAVERIO DI BELLA. A proposito dei collaboratori di
giustizia, rientro tra quei cittadini che restano perplessi
nel momento in cui si rendono conto che a volte si assiste a
delle telenovelas, per cui gli stessi collaboratori di
giustizia dicono una parte della verità, qualche anno dopo ne
dicono un'altra parte, poi un'altra ancora e così via.
   Vorrei che da questo punto di vista si procedesse
"all'americana", in modo serio, non solo prevedendo le misure
necessarie per tutelarli ma anche per far capire loro che il
rapporto con la giustizia è un rapporto serio, perché abbiamo
a che fare con una realtà drammatica. Occorre procedere con
serietà estrema.
  PRESIDENTE. Certo.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. E'
uno dei problemi che avevo avanzato durante un incontro a
Palermo, parlando delle confessioni "a rate". Ayala sa
benissimo che, essendo mutate le condizioni politiche di un
paese, un pentito che prima non dichiarava può farlo dopo. E'
difficile contingentarlo. Comunque, il programma di pentimento
dovrebbe tendere proprio a realizzare subito una escursione
sui temi di disponibilità.
  GIUSEPPE AYALA. E' un problema di grandissima
delicatezza la cui esigenza è da tutti avvertita. La vicenda
Buscetta...
  PRESIDENTE. Le problematiche che si aprono possono
essere diverse.
  GIUSEPPE ARLACCHI. ... presuppone che questa serietà non
ci sia stata, ed allora va motivata, spiegata.
  PRESIDENTE. Non è questa la sede per aprire polemiche;
che almeno sia prevista per il futuro.
   La Direzione nazionale antimafia dovrebbe avere più potere
sul parere da dare in ordine al programma di pentimento, se
effettivamente esiste. Dovendo avere la Direzione nazionale
antimafia un quadro completo e mi auguro lo abbia...
  GIUSEPPE SCOZZARI. Non può.
  PRESIDENTE. Non so se possa o non possa, ma avendo
questo quadro complessivo ha anche la possibilità, rispetto
alla procura distrettuale di un determinato luogo, di sapere
se il nome fatto da quel collaborante può o meno destare
perplessità e quindi necessitare di una maggiore attenzione.
Quindi, sarebbe molto più utile un parere di questo genere
piuttosto che una commissione chiamata ad esprimere un parere
di natura amministrativa.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. A
volte anticipando un argomento si può dare una errata
sensazione; si tratta di un problema che si presta a diverse
letture, quale, ad esempio, quella di garantire la possibilità
processuale di avere subito una dichiarazione o una serie di
dichiarazioni che possano risolvere una serie di casi. Nessuno
più del magistrato può avere la percezione della attendibilità
di chi parla, grazie anche ai controlli che può effettuare, e
naturalmente con la
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prudenza che mi auguro ci sia sempre in casi di questo
genere.
  GIUSEPPE AYALA. All'inizio si è partiti con un
collaborante, sia pure molto importante, e sembrava
incredibile, ed oggi si gestiscono ottocento collaboranti e
non credo siano tutti calunniatori!
  PRESIDENTE. E' necessario verificare lo spessore di
ognuno.
  GIUSEPPE AYALA. Adesso c'è bisogno di una pausa di
riflessione per migliorare il sistema.
  PRESIDENTE. Ho usato il termine "spessore" perché - poi
lo verificheremo nei numeri - non tutti sono collaboranti di
mafia, in quanto molto spesso si tratta di reati di altra
natura (Commenti del deputato Ayala). Il crimine
organizzato è la mafia. Tuttavia, sarà bene verificare quanti
sono effettivamente i collaboranti in tema di organizzazioni
mafiose (Commenti del senatore Ramponi).
  GIUSEPPE AYALA. Senza i confidenti la polizia non fa
nulla, lo sappiamo tutti!
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Chi vive nelle città di porto sa a chi vengono rilasciate le
licenze di pubblica sicurezza.
  CORRADO STAJANO. Questo problema grave e delicato va al
di là del sistema giuridico. Non si può dire ad una persona
che se intende collaborare deve farlo ora o mai più. Una
situazione di questo genere coinvolge non solo il momento
politico, ma anche l'animo umano  e la nostra diversità.
L'uomo muta, l'uomo è differente di anno in anno. Stabilire
delle demarcazioni così forti credo sia umanamente
impossibile. Bisogna ascoltare e naturalmente sarà compito del
magistrato fare le opportune verifiche.
   In tema di mafia la figura del pentito compare sulla scena
nel 1984 con Buscetta, mentre nel 1973, quando compare Vitale,
nessuno gli crede, tanto appare incredibile il fenomeno. Se si
fosse ascoltato Vitale quanti morti e quanto dolore innocente
si sarebbe evitato!
  GIUSEPPE AYALA. Era pazzo per noi, non per loro, tant'è
vero che hanno aspettato dieci anni e poi lo hanno
ammazzato.
  CORRADO STAJANO. Era tutto vero quello che aveva
detto.
  PRESIDENTE. Si tratta di un problema delicato che
bisogna affrontare con molta attenzione.
   Ringrazio il ministro Biondi.
  ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia.
Sono io che ringrazio la Commissione. Ho cercato di rispondere
nel modo più sincero, cosa che del resto non mi è né inusuale
né difficile; può darsi che non abbia soddisfatto, ma non in
termini di chiarezza per ciò che pensavo e penso. Come ho
detto all'inizio e ripetuto in diverse occasioni, sono sempre
a disposizione non solo per la parte documentale ma anche
tutte le volte che la Commissione riterrà di avere uno scambio
di opinione, eventualmente anche in sede di ufficio di
presidenza.
  PRESIDENTE. Grazie.
Comunicazioni del presidente.
  PRESIDENTE. Comunico che l'ufficio di presidenza,
riunitosi nel pomeriggio, ha deliberato - anche considerando
che il lunedì è la giornata di minore affluenza dei commissari
- di recarsi lunedì 26 settembre a Reggio Calabria per
assumere informazioni sulla vicenda della baronessa Cordopatri
dal questore, dal prefetto, dal procuratore della Repubblica e
dal comandante dell'Arma dei carabinieri, oltre che dalla
stessa baronessa.
   A questo riguardo il ministro Tremonti mi ha fatto sapere
telefonicamente che non è in possesso della documentazione
inerente alla situazione fiscale della baronessa Cordopatri e
che quindi non è in grado di prendere una decisione. Mi ha
detto che un'eventuale decisione di sospensione
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è molto complessa a causa della legislazione
vigente in materia, assicurandomi tuttavia che bloccherà la
situazione. Ha dato assicurazione che, una volta avuta la
documentazione, la richiesta avrà seguito. Mi ha detto che non
ci sarà alcun problema, e credo che ciò possa essere
sufficiente.
  ALESSANDRA BONSANTI. Sarebbe opportuno che ci fosse
qualcosa di scritto.
  PRESIDENTE. Certamente la cosa sarà messa per iscritto.
Ho detto al ministro che nella giornata di martedì gli porterò
la documentazione affinché provveda immediatamente. Mi ha
assicurato per quello che lo riguarda, essendo già informato,
sia pure genericamente, della situazione.
  SAVERIO DI BELLA. Sarebbe opportuno avere una
comunicazione per via istituzionale, attraverso il
prefetto.
  PRESIDENTE. Invieremo un comunicato al prefetto del
luogo, riguardo all'impegno del ministro, affinché l'istanza
della baronessa Cordopatri venga accolta.
   L'ufficio di presidenza allargato ai rappresentanti dei
gruppi è convocato alle 15 di mercoledì 28 settembre per
cominciare ad affrontare la formulazione del programma.
Ricordo ai membri della Commissione che eventuali proposte di
modifica al regolamento interno provvisorio devono essere
presentate entro la giornata di martedì 27 settembre.
   L'ufficio di presidenza ha altresì deliberato che la
Commissione, nel pomeriggio di martedì 27 settembre, alle
16-16,30, proceda all'audizione del capo della polizia e alle
18-18,30 del comandante generale dell'Arma dei carabinieri.
   Sempre mercoledì, la Commissione dovrebbe svolgere le
audizioni del ministro delle finanze alle 17,30, e del
comandante generale della Guardia di finanza alle 19. Il
ministro delle finanze ha però fatto presente la necessità di
rinviare la propria audizione a dopo il 30 settembre essendo
in corso l'esame della legge finanziaria.
   Venerdì 30 settembre alle 9,30 è stata fissata l'audizione
del direttore della DIA e del capo della Criminalpol e alle
11,30 quella del capo della DNA.
   L'ufficio di presidenza ha ritenuto di dover sentire anche
il governatore della Banca d'Italia (al quale il ministro
Maroni ha fatto più volte riferimento) con riferimento al
problema della criminalità economica, che affronteremo più
approfonditamente. Assieme al ministro delle finanze, sarebbe
opportuno ascoltare anche il governatore della Banca d'Italia
per avere un quadro più completo della situazione.
  SAVERIO DI BELLA. Vorrei sapere se a Reggio Calabria
vada soltanto l'ufficio di presidenza.
  PRESIDENTE. Si è deciso in questo senso.
  LUIGI RAMPONI. Mercoledì potremmo ascoltare il capo
della DNA e il direttore della DIA.
  PRESIDENTE. Però il dottor De Gennaro, capo della
Criminalpol, è l'ex direttore della DIA; pertanto ascoltandolo
insieme al suo successore potremmo avere un quadro più
completo, che altrimenti risulterebbe spezzettato.
   Possiamo però anticipare a mercoledì pomeriggio
l'audizione del capo della DNA. Se non vi sono obiezioni,
rimane così stabilito.
     (Così rimane stabilito).
  ALESSANDRA BONSANTI. Vorrei sapere perché si è deciso
che a Reggio Calabria deve andare l'ufficio di presidenza.
  PRESIDENTE. Non è escluso nessuno.
  ALESSANDRA BONSANTI. Se un commissario vuole, può
andare?
  PRESIDENTE. L'ufficio di presidenza è composto da cinque
membri, che rappresentano un po' tutto l'arco delle forze
parlamentari e, dunque, per evitare di appesantire la
delegazione con un numero eccessivo di parlamentari,
trattandosi peraltro
Pagina 119
di audizioni riservate, si è ritenuto che limitare la
delegazione all'ufficio di presidenza stesso consentisse un
lavoro più veloce.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Speriamo che non diventi
un'abitudine.
  PRESIDENTE. Non l'ho deciso io; così è stato concordato
in ufficio di presidenza. Possiamo anche cambiare e decidere
che ci vadano altre quattro persone.
  LUIGI RAMPONI. Vi sono anche i due parlamentari del
collegio.
  ALESSANDRA BONSANTI. Non è un problema personale.
  PRESIDENTE. E' un problema di organizzazione. La
prossima volta si potrà decidere diversamente: non si tratta
di una decisione vincolante. Ovviamente, in Calabria si reca
l'ufficio di presidenza non in quanto tale, ma come
rappresentanza della Commissione. Naturalmente la delegazione
riferirà poi alla Commissione nella seduta successiva;
mercoledì, quindi, vi sarà una relazione in proposito.
  CORRADO STAJANO. D'accordo, il problema è di non creare
una differenziazione tra l'ufficio di presidenza che decide
oligarchicamente e la Commissione.
  PRESIDENTE. Non si tratta di una decisione oligarchica,
ma di una scelta di organizzazione del lavoro. Il problema era
anche quello di avere l'organo più istituzionale per dare
maggiore risalto all'incontro.
  GIUSEPPE AYALA. Una volta vigeva la regola per cui non
partecipava il deputato eletto nei luoghi in cui la
Commissione si recava.
  PRESIDENTE. Anche questo potrebbe essere un criterio;
oggi abbiamo deciso il contrario.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Premesso che non intendo andare in
Calabria, ritengo che se un membro della Commissione avanza
formale richiesta di partecipazione al presidente, questa non
possa essere rifiutata.
  PRESIDENTE. Certo, non si tratta di un criterio di
esclusione, è solo un problema di praticità. Non possiamo
andare con una delegazione di quindici membri perché si
appesantirebbe il lavoro. Ritengo che le delegazioni non
possano essere composte da più di cinque membri e ciò, ripeto,
proprio per assicurare maggiore snellezza alle nostre
iniziative.
   Ripeto che si tratta solo di un problema di
organizzazione; possiamo anche decidere un criterio di
rotazione tra i membri della Commissione.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Se le pervengono delle richieste,
dunque, le valuterà?
  PRESIDENTE. Certo, nessuno è escluso, vorrei comunque
ribadire le ragioni di praticità, nel rispetto dei criteri di
rappresentanza, alla base della scelta dell'ufficio di
presidenza.
  SERGIO MATTARELLA. Vorrei invitare i colleghi a non
sopravvalutare la questione. Non si tratta di una delegazione
che si rechi sul posto per esaminare le condizioni generali e
parlare con le autorità del luogo e con i vari addetti: si
tratta di un accertamento puntuale su un caso specifico e
probabilmente è utile che esso venga compiuto dall'ufficio di
presidenza in quanto tale. Se vi è un gruppo che dovrebbe
dolersi di questo, dovrebbe essere il mio che ha una certa
consistenza e non è presente nell'ufficio di presidenza,
mentre gli altri, direttamente o indirettamente, vi sono
rappresentati.
   Perché l'accertamento sia puntuale non mi sembra neanche
opportuno che sia fatto da una delegazione molto nutrita.
L'ufficio di presidenza in quanto tale mi sembra il più
adatto; non come delegazione perché, ripeto, si tratta di un
accertamento puntuale su un fatto specifico.
  CORRADO STAJANO. Non ho l'ambizione di un viaggio a
Reggio Calabria, anche perché ho avuto processi dolorosi per
Pagina 120
libri scritti proprio a proposito di questa regione, e per
questo mi sento di poter esprimere un giudizio sgombro da
altre considerazioni.
   Il problema è generale. Temo che si crei una
differenziazione tra l'ufficio di presidenza e i membri della
Commissione. Lei, signor presidente, ha usato due parole:
"maggiore autorevolezza" e per questo...
  PRESIDENTE. Intendevo autorevolezza in termini
istituzionali.
  CORRADO STAJANO. ... ho usato l'aggettivo "oligarchico".
Questo punto importante va deciso un po' da tutti perché si
possono creare delle frizioni-frazioni. Credo che non avrete
nulla in contrario. Non credo che in questo modo vi sia una
maggiore autorevolezza. Si possono fissare dei criteri; in
alcuni casi può darsi effettivamente che la Commissione abbia
maggiore autorevolezza se rappresentata dal presidente o dai
vicepresidenti.
  PRESIDENTE. Non ho parlato di autorevolezza in questo
senso.
  CORRADO STAJANO. D'accordo, la decisione è stata
assunta, però parliamone. (Commenti del deputato
Bonsanti).
  PRESIDENTE. Ciascuno lavora nell'ambito delle proprie
competenze. Io non ho la possibilità di obbligare il ministro
Tremonti a fare alcunché. Posso fare un intervento a nome
della Commissione, ma evidentemente ognuno ha le proprie
responsabilità. Le parole del ministro mi sembra siano state
molto chiare. Non vedo perché si debba avere una sfiducia che
sarebbe preconcetta.
  GIUSEPPE ARLACCHI. L'impegno del ministro va reso
pubblico.
  PRESIDENTE. Mi impegno a diramare un comunicato.
  SAVERIO DI BELLA. La mia preoccupazione rispetto al
ministro Tremonti nasce da una constatazione. Mi è sembrato
sorprendente che il ministro non abbia elementi. La baronessa
avrà presentato la dichiarazione dei redditi l'anno scorso e
dunque saranno disponibili tutti i dati catastali,
eccetera.
  PRESIDENTE. Non è così chiaro, neanche al catasto. Lo so
con certezza perché mi sono informata. Al catasto non
risultano i terreni della signora. Come ha detto il ministro,
la situazione è obiettivamente di una certa complessità.
  SAVERIO DI BELLA. Saranno ancora intestati al fratello
ucciso, ma risulteranno.
  PRESIDENTE. No, purtroppo. Al catasto non risultano
chiaramente gli elementi riferiti ai terreni. Accerteremo
tutti questi elementi e li porteremo a conoscenza del
ministro, il quale ha già dato assicurazioni che comunque
interverrà; per un intervento più preciso, però, ha bisogno di
alcuni elementi.
  SAVERIO DI BELLA. La discussione sulla composizione
della delegazione deriva dalla diversa impressione che abbiamo
circa ciò che la delegazione stessa andrà a fare. Io ho
compreso che la delegazione andrà ad esprimere
solidarietà...
  PRESIDENTE. Niente affatto. Non amo queste espressioni
semplicistiche. Ho già detto che la delegazione andrà ad
ascoltare il prefetto, il questore, il procuratore della
Repubblica, il comandante dei carabinieri ed anche la signora
e quanti hanno responsabilità istituzionali. Non andiamo a
sentirli per esprimere solidarietà ma perché ci spieghino la
situazione.
  SAVERIO DI BELLA. Credo che una regola occorra fissarla,
perché decidere che di questo tipo di delegazione fanno parte
o meno i parlamentari della regione nella quale gli incontri
si svolgono è rilevante. Nella regione Calabria, infatti, è
stato eletto, ad esempio, il senatore Meduri, il quale non è
presente in questo momento ma è certamente interessato a
sapere in che modo sarà composta la delegazione.
Pagina 121
   LUIGI RAMPONI. Saranno presenti tutti e due i senatori del
luogo.
  PRESIDENTE. Sì, ma non obbligatoriamente. Se vogliono
intervenire, possono farlo.
  SAVERIO DI BELLA. Io sono il terzo componente della
Commissione eletto in Calabria e, se andranno gli altri due,
andrò anch'io; diversamente non andrò neppure io. Intendo dire
che occorre chiarire se saranno presenti i membri della
Commissione originari della regione, perché se ne saranno
presenti due e mancherà il terzo, questo fatto potrà essere
letto in un certo modo.
   Se l'indicazione della presidenza è che i membri della
Commissione rappresentanti della regione possono intervenire,
giacché due colleghi hanno già manifestato la volontà di
partecipare, verrò anch'io. Se viceversa l'indicazione, per
mille comprensibili motivi, è un'altra, non verrà alcuno.
  PRESIDENTE. Ritengo che per questa volta si possa
seguire il criterio della partecipazione, ovviamente non
obbligatoria. Per il futuro vedremo.
  ALESSANDRA BONSANTI. Le chiederei, signor presidente, di
informarsi se la signora ha sospeso lo sciopero della fame. Mi
sembra infatti che sia decisa a non interrompere il digiuno
fino a che non intervenga un atto formale.
  PRESIDENTE. Faremo così.
  GIUSEPPE ARLACCHI. Non vi è un atto formale, ma vi è un
impegno pubblico.
  PRESIDENTE. Vorrei pregare infine i colleghi presenti di
non rendere dichiarazioni su questo argomento. Concorderemo
questa sera il testo con il ministro e poi dirameremo un
comunicato che manderemo alla signora, al ministro e agli
organi di stampa.
   La seduta termina alle 20.

 


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