Il gioco del Cottabo Cottabos
Il gioco del cottabos viene citato a proposito delle cause dell'avvio della guerra del Peloponneso; questo aveva reso brilli i giovani autori del rapimento di Simaetha dalla città di Megara Nisea. In greco il movimento del polso sulla coppa veniva detto ankilé, e quel poco di vino scagliato latage. Ateneo riferisce che Callimaco chiamò tale 'sculatura' nel fondo del bicchiere siciliane (668; e). Ma sono tanti i letterati che parlano del gioco alla moda, istigatore d'ubriacature quando si voleva avere più lanci a disposizione alla fine della bevuta: come Dionisio Calco, Bacchilide, Eschilo, Antifane, Cefisodoro, Callia, Eupolio, Ermippo, Crizia, Ulpiano. (Ateneo; XV, 666 ed oltre). Diogene Laerzio, nella Vita di Diogene, riferisce sul gioco: "Ad un giovinetto che giocava al cottabo nel bagno pubblico disse: 'Quanto meglio giochi, tanto peggio per te'". (Libro sesto, op. cit.). Prima regola era imparare a reggere la coppa tenendo le dita in "posizione simile a quelle del suonatore di flauto" (Dicearco da Messina) poi facendo oscillare il polso dosando la forza dello stesso si lanciavano le gocce residue mirando ad un piccolissimo piatto in metallo (simile ad una sottotazza da caffé) posto in equilibrio sopra una sottile asta di ferro. L'asta, posta al centro della sala circolare appositamente costruita per il gioco, aveva a mezza altezza un altro piatto più grande, dove andava a raccogliersi il liquido che precipitava assieme al piccolissimo bersaglio che, se centrato dal vincitore, cadeva. |