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Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions Capitolo II - Il software nella evoluzione della dottrina e della giurisprudenza

CAPITOLO II - IL SOFTWARE NELLA EVOLUZIONE DELLA DOTTRINA E DELLA GIURISPRUDENZA

TENDENZE DELLA DOTTRINA ITALIANA: LA TUTELA BREVETTUALE

Sulla base degli avvenimenti nazionali ed internazionali la dottrina italiana non poteva certo rimanere inerte. Infatti il dibattito dottrinale può essere sintetizzato da tre tendenze prevalenti: la rivalutazione dello strumento brevettuale nonostante il divieto legislativo cui fanno capo, per fare dei nomi, le posizioni di Ghidini, Afferni, Borruso; il ricorso alle norme sul diritto d'autore (Santini, Pardolesi, Pastore, Frignani, Sena); e l'appello per l'introduzione di una disciplina speciale (Spolidoro, Ciampi, Franceschelli). Ripercorreremo questo quadro con specifico riferimento ad alcuni di questi autori, essendo impossibile (per vastità di argomenti, non certo per i contenuti) darne un quadro completo.

Sicuramente, nell'ambito della prima tendenza merita attenzione la posizione di Ghidini (51). La sua analisi comincia con la descrizione del programma come consistente in articolate "istruzioni", formulate in linguaggio di tipo matematico e fissate su supporti materiali (ad es. nastri o dischi magnetici), che guidano il funzionamento dei computer. Un tipo di programmi, detto "di base" o "di controllo", riguarda e governa esclusivamente i modi di funzionamento degli elaboratori come macchine consentendo loro, ad esempio di svolgere contemporaneamente più operazioni. Da questo tipo suole distinguersi il programma cosiddetto applicativo: quello cioè che, utilizzando specifiche informazioni fornite dall'operatore, consente al computer di conseguire, in tempi rapidissimi, specifici risultati vuoi di ordine conoscitivo in senso stretto (come l'elaborazione di informazioni) vuoi d'ordine propriamente pratico (come la sincronizzazione del movimento di parti diverse di una macchina). Il conseguimento dei risultati attesi dai programmi applicativi può richiedere, in alcuni casi, la mera attivazione del computer (così, ad esempio, per programmi volti a realizzare una previsione meteorologica sulla base di informazioni fornite dall'operatore), in altri, invece, l'inserimento funzionale dell'elaboratore programmato in un più ampio procedimento o apparato industriale (così, ad esempio, per programmi volti ad assicurare un più economico funzionamento dei motori).

L'autore prende coscienza della tendenza dominante emergente nel dibattito internazionale: lo sforzo, cioè, di negare o restringere il possibile ruolo dello strumento brevettuale nella protezione dei programmi e per converso quello di difendere la prospettiva imperniata sul diritto d'autore. Può dirsi prevalente, infatti, l'affermazione che la brevettabilità dei programmi può concepirsi, per così dire, solo per relationem rispetto ad altro trovato (direttamente) suscettibile di tale forma di protezione: in altri termini, solo se il programma inerisca funzionalmente a un prodotto (macchina) o procedimento industriale.

La esclusione della brevettabilità viene ricondotta al postulato della non brevettabilità di (enunciazioni di) ideazioni astratte, quali principi scientifici, leggi naturali, metodi matematici, ecc., osservandosi che i programmi per elaboratore si esprimono in formule matematiche (cosiddetti algoritmi), e utilizzano direttamente, di norma, principi logici e/o statistici e/o matematici.

Questa tendenza, sottesa peraltro alla redazione dell'art. 52 par. 2 della Convenzione di Monaco sul brevetto europeo, viene confutata da Ghidini il quale rileva che il carattere matematico dei programmi non coincide con la enunciazione di regole matematiche. La formulazione matematica rappresenta di per se stessa soltanto un linguaggio, nel quale si possono esprimere e descrivere anche fenomeni, relazioni tra fenomeni, affatto specifici. Nello stesso linguaggio si possono esprimere e descrivere anche le istruzioni per realizzare ben determinate macchine e/o procedimenti: esattamente come (in diverso linguaggio) avviene per qualsiasi descrizione brevettuale. E' indubitabile che, di regola, i programmi utilizzano direttamente principi scientifici (statistici, logici, matematici) e/o leggi naturali, ma questo non costituisce necessariamente valido motivo per la negazione della brevettabilità, salvo il caso che il richiamo al "carattere matematico" esaurisca il contenuto ideativo del programma.

Più in particolare l'autore sostiene che i programmi costituiscono specifica applicazione di principi scientifici capace di produrre con immediatezza risultati pratici e riproducibili con caratteri costanti.

Attraverso una ricognizione dell'"oggetto del programma" nelle sue componenti tipiche, Ghidini, ha cercato di superare l'argomentazione letterale: "l'elemento immateriale dei programmi per elaboratori (quello "fisico" attinente alla loro incorporazione in supporti materiali, è sostanzialmente estraneo alla problematica che ci occupa), lungi dal costituire un tutt'uno, è scindibile in parti distinte. Anzi tre, per la precisione, che indicheremo nell'ordine logico di successione: 1) il principio o i principi della logica e/o statistica e/o matematica e/o fisica, ecc., cui il programma fa riferimento fondamentale; 2) il metodo (procedimento) talora designato come "schema di correlazione", mediante il quale i predetti principi sono applicati a più specifici dati (in concreto scelti ed immessi dall'operatore, ma del tipo, e con le modalità, previste dell'ideatore del programma) per conseguire il particolare risultato atteso; 3) la formulazione delle istruzioni in cui consiste il programma in uno di quei particolari "linguaggi", (FORTRAN, COBOL, ecc.) che consentono alla macchina elaboratrice l'applicazione e lo svolgimento del programma stesso".

Se dunque, in questa prospettiva, è agevole escludere dalla brevettabilità le componenti dei programmi rientranti nel n. 1 e 3, quand'anche in esse si individuassero ideazioni nuove ed originali, la stessa conclusione non può adattarsi alla componente indicata al n. 2. Infatti al n. 1 il riferimento è ad enunciazioni di principi scientifici e regole generali; al n. 3 ad una "traduzione" del programma in un linguaggio convenzionale per elaboratori, e dunque, ad una forma di mera "presentazione di informazioni" (entrambe le componenti sono di per sé insuscettive di produrre uno specifico e immediato risultato industriale nel senso cioè di risultato pratico e riproducibile con caratteri costanti, precluse alla brevettabilità in forza dell'art. 122 lett. a) e b)); al n. 2, invece, si dovrà verificare la possibilità che detta componente esprima una nuova e particolare connessione (schema di correlazione) fra i principi "di base" e i dati introdotti nel computer dall'operatore conformemente alle indicazioni del programma, capace di produrre, mediante la mera attivazione della macchina elaboratrice, uno specifico risultato pratico utilizzabile, direttamente o indirettamente, nella produzione di beni o di servizi. In altre parole, dice l'autore, la verifica sarà decisiva al fine di ammettere la brevettabilità della "invenzione di programma" riconducibile alla previsione dell'art. 2585c.c.. e all'art. 12 legge brevetti.

Questa tecnica di protezione non riguarda solo la forma del programma ma si estende anche all'idea.

La brevettabilità di un'"invenzione di programma" postula che lo schema di correlazione applichi principi scientifici/logici/matematici a dati espressivi di fenomeni empirici: è questa la condizione per poter individuare nel predetto schema un'"applicazione tecnica di un principio scientifico". A ben poco servirebbe contestare la brevettabilità sulla base della mancanza della materialità tanto dello strumento-programma che del risultato producibile mediante il programma. Secondo Ghidini, infatti, i programmi si realizzano in forma immateriale, essenzialmente per ragioni di economicità e convenienza pratica: nulla vieta che il medesimo "procedimento" venga realizzato in forma di hardware, sub specie di particolare conformazione dei circuiti interni della macchina elaboratrice (come avviene per i programmi di base o di controllo), comunemente ritenuti brevettabili. Una simile scelta realizzativa del programma comporterebbe, ovviamente, che ciascuna macchina elaboratrice potrebbe svolgere una sola funzione, in luogo delle tante realizzabili attraverso l'inserimento di programma in forma "immateriale".

Ciò non può che rafforzare l'opinione che tra hardware e software non c'è differenza "ontologica" rispetto al problema della brevettabilità.

Per quanto, poi, attiene al risultato specifico di un programma, essendo riferito per lo più ad un "prodotto" di ordine immateriale attinente al campo dei servizi (accelerazione di tempi, regolarità di funzioni), questo non costituisce ostacolo alla brevettabilità, dal momento che la legge stessa non esclude la brevettabilità di invenzioni di servizi specificando tassativamente quali di questi ultimi non siano brevettabili.

La stessa Cassazione, in numerose decisioni (52), ha più volte sostenuto che i risultati di ordine immateriale non sono ostativi alla brevettabilità dei procedimenti che li generano.


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