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Violante: seduta 17
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                         Pag. 635
      AUDIZIONE DEL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA,
                ONOREVOLE CLAUDIO MARTELLI
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                           indi
             DEL VICEPRESIDENTE PAOLO CABRAS
                          INDICE
                                                        pag.
Audizione del ministro di grazia e giustizia,
onorevole Claudio Martelli:
Violante Luciano, Presidente ...................... 637, 638
                      650, 653, 656, 657, 659, 660, 665, 668
Borghezio Mario ................................... 666, 667
Brutti Massimo ..................... 650, 651, 652, 653, 667
Buttitta Antonino ...................................... 662
Cabras Paolo ...................................... 665, 666
Cappuzzo Umberto ....................................... 638
Frasca Salvatore .............. 650, 652, 653, 659, 663, 664
                                                    665, 666
D'Amato Carlo .......................................... 665
D'Amelio Saverio .................................. 638, 657
Martelli Claudio, Ministro di grazia e
giustizia ......................................... 638, 651
                 652, 653, 655, 656, 659, 660, 666, 667, 668
Olivo Rosario .......................................... 666
Scalia Massimo .................................... 656, 657
Taradash Marco ............................... 659, 660, 661
Tripodi Girolamo .............. 654, 655, 656, 664, 665, 666
Per fatto personale:
Violante Luciano, Presidente ........................... 637
Ricciuti Romeo ......................................... 637
                         Pag. 636
                         Pag. 637
La seduta comincia alle 16,45.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
                   Per fatto personale.
  PRESIDENTE. L'onorevole Ricciuti ha chiesto di parlare
per fatto personale. Devo farle presente, onorevole Ricciuti,
che ciò è possibile solo al termine della seduta.
  ROMEO RICCIUTI. Dovendomi allontanare tra poco per
precedenti impegni, chiedo di poter svolgere ora il mio
intervento.
  PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Ricciuti.
  ROMEO RICCIUTI. Non intendo assolutamente far passare
sotto silenzio ciò che è avvenuto al termine della precedente
audizione. Vorrei dire a lei, signor presidente, che nella mia
autonomia di deputato - alla quale tengo molto - intendo porre
tutte le domande che politicamente ritengo qualificate in
relazione all'attività di questa Commissione, e non intendo
eleggere a mio tutore un collega che ritenga di avere il
potere di darmi bacchettate sulle mani!
   Voglio ricordare che, sia prima sia dopo le polemiche sui
giornali, questa Commissione ha svolto una serie di attività e
mi dolgo che nel verbale del 16 novembre non sia riportata una
mia domanda specifica che ella personalmente, presidente, ebbe
a rivolgere al collaboratore della giustizia Buscetta.
Quest'ultimo affermò, senza possibilità di equivoco, che vi
era un tentativo della mafia di realizzare in Sicilia un
movimento separatista molto forte ed organizzato e che gli
ultimi attentati tendevano a questo. L'accumulo di armi che si
era scoperto in Sicilia doveva essere certamente riferito a
questo movimento. Posi la domanda precisa se vi potesse essere
un collegamento tra l'autonomismo siciliano e quello del nord.
Buscetta nella sua autonomia rispose di sì, né questa mia
domanda sollevò alcuno scandalo. Successivamente, ho rivolto
la stessa domanda ad alcuni magistrati, avendo risposte
diverse. Oggi continuerò su questo filone, per approfondire la
mia conoscenza di deputato in quella direzione. Non intendo
assolutamente accettare alcuna censura da parte di
chicchessia, perché intendo far valere appieno il mio diritto
di essere deputato senza la tutela di nessuno.
  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Ricciuti, prendo
atto di quanto lei ha detto.
 Audizione del ministro di grazia e giustizia, onorevole
                    Claudio Martelli.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
ministro di grazia e giustizia, onorevole Claudio Martelli. Ci
scusiamo con il ministro per il ritardo con cui inizia questa
seduta, causato dal protrarsi della precedente audizione.
   Do la parola al ministro Martelli, il quale ha ricevuto un
elenco di quesiti predisposti da alcuni colleghi.
                         Pag. 638
   SAVERIO D'AMELIO. Presidente, lei opportunamente ha
chiesto ai singoli componenti della Commissione di inviare
preventivamente alcune domande. Qualcuno, tra cui chi parla,
per un mero disguido non ha potuto farlo. Le chiedo se sia
possibile ugualmente porre le domande in questa sede.
  PRESIDENTE. Senz'altro.
  UMBERTO CAPPUZZO. Sulla base dell'esperienza della
passata legislatura, quando abbiamo la fortuna di avere di
fronte un ministro, le domande dovrebbero basarsi sulla sua
relazione. Mi sembra che una preventiva formulazione di
quesiti sia un po' limitativa.
  PRESIDENTE. E' preventiva ma non esaustiva.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Signor presidente, senatori, onorevoli colleghi, è trascorso
poco più di un anno dalla precedente audizione e ritengo mio
dovere tracciare, anzitutto, un bilancio di quanto è stato
fatto per porre un argine al crimine, per riaffermare lo Stato
di diritto e un ideale di giustizia che non deve mai essere
abbandonato.
   Voglio ribadire in questa sede che in quest'anno, con la
collaborazione piena dei ministri dell'interno (prima Scotti
poi Mancino), del Governo nel suo complesso, di un'amplissima
maggioranza parlamentare e di questa Commissione, si è
impostata con coerenza, con costanza, con continuità, la lotta
alla mafia attraverso una strategia non più affidata a
interventi occasionali ma unitaria - in un certo senso,
globale - di breve e lungo termine, volta a contrastare con
maggiore efficacia il crimine e possibilmente a sconfiggerlo.
Questo sarà possibile solo se continueremo ciascuno a fare la
sua parte, se unitamente alla magistratura, ai responsabili
delle forze dell'ordine, alle forze sociali, non
interromperemo questo felice momento di consenso politico ed
istituzionale, di impegno costruttivo, di convergenza di
intenti e di modalità di approccio nuove al fenomeno mafioso.
   La lotta al crimine costituisce impegno prioritario del
Governo, in modo tale da poter contrastare quei fenomeni che,
sorti e radicati in alcune regioni d'Italia, si vanno
diffondendo in aree del territorio nazionale sempre diverse e
sino a ieri ritenute erroneamente immuni dalla penetrazione
della mafia. E' finalmente divenuto chiaro che la mafia è oggi
un aggregato criminale organizzato, potente, rigorosamente
finalizzato al perseguimento dei suoi fini: è una
multinazionale del crimine inserita da protagonista nei
circuiti criminali mondiali. Questi caratteri le hanno dato
una forza straordinaria, consentendole di agire, di
attrezzarsi, di adeguarsi con grande rapidità al mutare delle
condizioni politiche, economiche e sociali e di scegliere, su
uno scenario di ampiezza planetaria, tempi, campi e modi
d'azione, sfruttando nel modo più pronto e utile le mille
occasioni e risorse offerte dal mondo di oggi.
   Bisogna quindi consolidare la volontà politica di
affrontare la questione mafia in maniera nuova, con
concretezza e subito, riservando alle attese della gente le
risposte che è possibile dare subito con le strutture e le
forze disponibili e avviando nel contempo le iniziative
necessarie a rafforzare l'azione di contrasto nel medio e
lungo termine.
   Appena qualche tempo fa la situazione legislativa ed
operativa era del tutto inadeguata ad un'efficace azione di
contrasto. Si è impostata una strategia globale - come dicevo
- che, partendo da una valutazione fredda ed impietosa dei
ritardi, delle difficoltà, delle connessioni tra mafia ed
istituzioni, via via si è dotata nella fase successiva di
misure coerenti, volte a scardinare dal di dentro la forza
solo apparentemente monolitica delle organizzazioni mafiose.
   Ricordo che il mio primo atto di Governo fu il decreto
antiscarcerazioni, tanto criticato sotto il profilo giuridico
- si disse che si trattava di un mandato di cattura emesso
dall'esecutivo - ma sacrosanto sotto il profilo della
giustizia sostanziale,
                         Pag. 639
 quella più direttamente percepibile dalla gente. La scelta
successiva fu quella di ricercare una disciplina normativa ed
amministrativa, differenziata rispetto a quella ordinaria, di
fronte agli appartenenti alla organizzazioni mafiose. Una
disciplina che evitasse, nell'applicazione delle misure di
custodia cautelare così come nella concessione di benefici
penitenziari, che persone pericolose potessero sottrarsi al
controllo e tornare a delinquere, come molte volte era
accaduto nel passato, destando grande allarme, giusta
incomprensione e talvolta vera e propria indignazione da parte
dei cittadini. E' in questo contesto che vanno letti i
decreti-legge del marzo 1991, del maggio e del settembre dello
stesso anno, che rappresentano una presa di coscienza da parte
del Governo e del Parlamento dell'impossibilità di consentire
che soggetti ad altissima pericolosità - abituati a fruire
stabilmente dei proventi di un'attività criminale sempre più
estesa, feroce e sofisticata - potessero continuare ad
avvalersi di leggi e di norme che, tanto sul piano sostanziale
quanto su quello processuale, non distinguevano
sufficientemente tra fenomeni e delitti occasionali (o
comunque individuali) e fenomeni espressione di stabili,
permanenti, strutturali organizzazioni mafiose.
   Per di più, era noto quanto un sistema processuale
ispirato a principi in sé più che commendevoli e frutto
certamente di orientamenti illuminati, ma in definitiva
frenato nel suo funzionamento da un sovraccarico di pastoie
che non ha eguali in altri ordinamenti, avesse finito per
piegarsi in troppe circostante agli interessi della
criminalità organizzata, con l'aggravante di una disciplina
penitenziaria ingiustamente generosa e per ciò tale da
consentire l'applicazione a individui pericolosi di attenuanti
di pena giustificabili solo in casi di soggetti fragili e
immaturi, cioè di detenuti raggiungibili da un'azione di
recupero personale e sociale.
   In quel medesimo contesto si collocano anche alcune delle
disposizioni del più recente decreto dell'8 giugno di
quest'anno, successivo alla strage di Capaci, rinforzato dopo
la strage di via D'Amelio. Per la parte più direttamente
processuale, questo decreto stabilisce il regime del
cosiddetto doppio binario, recuperando sulla scia delle
indicazioni della Corte costituzionale il valore di prova dei
risultati raggiunti durante le indagini, troppe volte dispersi
al momento dell'udienza in dibattimento a causa di
intimidazioni, di corruzioni delle fonti di prova che sono
tipiche e caratteristiche nei processi di mafia. Questo per
dire quali effetti produrranno queste modifiche processuali.
E' però certo che quelle già introdotte in materia di custodia
cautelare e di ordinamento penitenziario hanno portato ad un
rilevante incremento del numero di detenuti per fatti di mafia
e di quello dei pentiti che collaborano con la giustizia.
   Un'interpretazione rigorosa delle norme ha poi impedito
ingiuste scarcerazioni di imputati già condannati in appello,
in modo da evitare che potessero godere di misure cautelari,
imputati che troppo spesso nel passato avevano dimostrato di
continuare a delinquere anche in carcere, dove godevano di
incomprensibili privilegi. Si è varata, contemporaneamente,
un'iniziativa che rappresenta uno strumento di sostegno e di
promozione della ribellione, della resistenza, della denuncia
della gente siciliana e in genere del Mezzogiorno e di
chiunque in Italia viene sottoposto ad estorsione, la
cosiddetta legge antiracket. Dopo rinvii, impacci burocratici
e anche esitazioni dovute a preoccupazioni di vario ordine e
in parte anche al rinnovo della legislatura, finalmente
possiamo dare attuazione a questa normativa antiracket. La
materia della lotta contro le estorsioni è tornata di enorme
attualità proprio di recente, non soltanto per i delitti
efferati, ma anche per le segnalazioni che ci giungono e sono
comprovate da un relativo calo della centralità della mafia
siciliana nel traffico internazionale di stupefacenti a
beneficio di altri paesi europei e dunque di un suo rivolgersi
ad altre forme delinquenziali e in particolare a quella
                         Pag. 640
delle estorsioni, sostitutiva, alternativa, integrativa di
profitti in parte perduti sul fronte del traffico di
stupefacenti.
   La seconda linea di condotta è stata quella di
concentrarsi sul problema cruciale costituito dalla
episodicità e dall'individualismo delle indagini antimafia nel
nostro paese. Abbiamo cercato di risolvere questa difficoltà
senza entrare nel dibattito sui massimi sistemi della
collocazione del pubblico ministero nell'ordinamento
giudiziario e delle garanzie di autonomia e indipendenza che
la Costituzione ha previsto, senza tuttavia specificare la
differenza rispetto al giudice ma demandandola alla futura
legge sull'ordinamento giudiziario. Senza contare questo
dibattito, abbiamo cercato di risolvere queste difficoltà
promuovendo strutture istituzionali organizzate in grado di
contrastare efficacemente il carattere organizzato del crimine
mafioso.
   Sono così state istituite le direzioni distrettuali e poi
la Direzione nazionale antimafia, dopo un lungo, vivace, per
alcuni aspetti aspro dibattito politico, e si è suggerito
analogo sforzo e analoga prassi di collegamento per le forze
di polizia, anche qui incontrando dapprima resistenza ad ogni
livello ma finalmente approdando all'istituzione della DIA.
Anche qui è troppo presto per una valutazione ed un bilancio,
anche se giungono segnali confortanti circa i risultati della
scelta fatta di affidare alle direzioni distrettuali le
indagini sui delitti di mafia. La trattazione coordinata delle
informative, l'acquisizione di una visione d'assieme del
fenomeno mafioso e del suo evolversi troveranno ancora
maggiore sviluppo una volta che sarà entrata in funzione a
pieno regime la Direzione nazionale antimafia con la nomina
dei 20 sostituti da parte del Consiglio superiore della
magistratura. A questa struttura sarà affidato anche il
compito di eliminare i contrasti interpretativi che troppo
spesso sorgono tra gli uffici di procura per i più diversi
motivi. Uno sviluppo coerente delle direzioni distrettuali
antimafia sarà la trattazione anche delle misure di
prevenzione personali e patrimoniali nei confronti dei mafiosi
e l'istituzione dei tribunali e delle corti di assise per
giudicare dei delitti di mafia nelle città sede di corte
d'appello (e del resto questa è un'antica raccomandazione che
proviene proprio dalla Commissione parlamentare antimafia,
raccomandazione alla quale penso sia tempo ormai di porre
mano, come ho già preannunciato a Palermo).
   Come frutto indiretto della nuova risposta dello Stato
alla mafia va apprezzata la disponibilità volontaria,
spontanea di decine di magistrati italiani, dalle più diverse
procure e dai più diversi tribunali, a venire a coprire, dopo
le stragi che hanno funestato l'Italia, il vuoto di organico
delle sedi più calde, più esposte e più disagiate. Credo che
si sia operato molto sul piano dell'innovazione legislativa e
penso sia venuto il momento di una pausa normativa che, senza
trascurare i necessari adeguamenti di legge, di ordinamento ai
rapidi processi di trasformazione della mafia, consenta una
sistemazione delle norme a volte contrastanti, a volte di
incerta interpretazione, norme disseminate in centinaia di
leggi. Si pensi ad esempio ad un testo unico sulla criminalità
organizzata e sulle misure di prevenzione, che ho già affidato
all'ufficio legislativo del ministero perché lo rediga nel più
breve termine possibile, in modo da agevolare l'applicazione
delle medesime norme da parte dei magistrati, sulla base di
ragionevoli elementi di certezza valevoli anche per gli
ufficiali di polizia giudiziaria.
   Bisogna poi dare priorità all'attuazione di molte di
queste leggi, ancora non del tutto applicabili per la mancata
emanazione di provvedimenti normativi secondari, ovvero a
carattere meramente amministrativo. Un tema di notevole
complessità è quello che concerne le misure di protezione di
coloro che hanno deciso di collaborare con la giustizia. Solo
di recente, con la legge del 7 agosto del 1992, è stata
prevista delega al Governo per emanare entro il 31 marzo 1993
un decreto legislativo con il quale dovranno essere dettate
specifiche disposizioni
                         Pag. 641
 in materia di stato civile, di diritti della persona, di
esercizio di attività professionali e così via per garantire
l'incolumità del collaboratore attraverso il conferimento di
una diversa personalità giuridica. E' evidente l'estrema
delicatezza della materia, che incide su rapporti che
coinvolgono soggetti terzi, creditori, parenti, nonché
rapporti propri della vita di relazione, acquisti, vendite,
rapporti di lavoro. Della stesura del provvedimento è
incaricato un apposito gruppo di lavoro istituito presso il
Ministero dell'interno, al quale noi concorriamo.
   Per quanto attiene alla legge cosiddetta antiracket, i
provvedimenti regolamentari previsti sono già stati emanati
con i decreti del Presidente della Repubblica nn. 377-396 di
quest'anno e sono ormai in fase di completamento le strutture
operative. E' già stato predisposto e anche trasmesso
all'esame del ministro dell'interno il decreto
interministeriale previsto dal decreto dell'8 giugno scorso,
che deve regolare le modalità di svolgimento e di rilascio di
autorizzazioni ai colloqui a fini investigativi, mentre al
Ministero del tesoro è stato trasmesso il regolamento che
disciplina l'autonomia finanziaria della Direzione nazionale
antimafia e delle direzioni distrettuali. Questo regolamento
nasce dall'esigenza di una conduzione più razionale, moderna e
manageriale dell'interna struttura amministrativa centrale
della giustizia. Del resto è ormai tempo - ma su questo
tornerò in seguito - di avviare iniziative per la riforma di
quel centro motore del funzionamento degli uffici giudiziari
che è o deve essere il Ministero di grazia e giustizia. Il
momento programmatico relativo alle spese necessarie per il
funzionamento della Direzione nazionale antimafia e delle
direzioni distrettuali verrà devoluto ai rispettivi capi degli
uffici, con l'indispensabile coordinamento del procuratore
nazionale che assumerà la veste di funzionario delegato e dei
procuratori distrettuali, che saranno subdelegati, cioè
soggetti con capacità di effettuare acquisti, di stipulare
contratti per dotarsi degli strumenti e dei servizi necessari
all'attività dei loro uffici.
   Per raggiungere l'obiettivo di una gestione più agile e
più diretta da parte delle nuove entità giudiziarie
periferiche si è ritenuto, in deroga alle norme di contabilità
generale dello Stato e di contrattazione ordinaria e
specifica, di intervenire sulle fasi procedimentali che,
seppure in chiave di garanzia, finiscono per risolversi in
defatiganti iter burocratici attraverso enti ed uffici esterni
al Ministero di grazia e giustizia, non sempre caratterizzati
dalla stessa sensibilità ai problemi dell'amministrazione
giudiziaria. Questo naturalmente non è che il primo passo: si
dovrà continuare su questa linea. L'attenzione prestata del
resto dall'amministrazione alle esigenze degli uffici
giudiziari connesse all'aggravarsi dei fenomeni criminali è ai
massimi livelli. Gli interventi mirati alla soluzione di
problemi gravi e urgenti rappresentati da uffici ubicati in
territori ad alta densità mafiosa vengono tuttavia troppo
spesso vanificati da tempi lunghissimi per ottenere pareri, da
vincoli finanziari molto ristretti e dalle normative oggi
esistenti, non di rado a carattere meramente burocratico.
   Nonostante ciò, si è cercato di garantire il massimo del
supporto tecnico e strumentale alle direzioni distrettuali
antimafia, provvedendo alla dotazione di arredi, attrezzature,
impianti, computers, servizi specialistici di natura
informatica, autovetture protette, apparecchiature per
intercettazioni, cercando di soddisfare le richieste pervenute
secondo criteri di priorità rispetto alle risorse esistenti e
seguendo due criteri, il primo tendente ad assicurare a tutti
gli uffici un minimo di attrezzature e servizi e spese di
gestione sufficienti a garantirne la funzionalità, l'altro
mirante ad effettuare tutti quegli interventi caratterizzati
dall'emergenza manifestata di volta in volta da uffici
particolarmente impegnati nella repressione del crimine, nella
celebrazioni di processi particolarmente rilevanti per il
numero degli imputati o per la gravità
                         Pag. 642
dei reati, insomma da tutti quegli uffici per i quali le
strutture esistenti sono risultate assolutamente inadeguate
all'attività giudiziaria da svolgere. In particolare gli
interventi più ampi e più impegnativi sono stati effettuati
per le sedi di Palermo e di Caltanissetta, ove vengono
condotte indagini di estremo rilievo per individuare gli
esecutori e i mandanti delle stragi di Capaci e di via
D'Amelio.
   Qualora questa Commissione venga messa a conoscenza di
carenze strutturali o di personale di uffici giudiziari ed in
particolare di direzioni distrettuali antimafia, mi auguro
vorrà segnalarle agli uffici perché provvedano.
   Per quanto attiene al personale giudiziario, sono sempre
più convinto che bisogna ormai superare la concezione
dell'ufficio del magistrato che si fonda e che si esaurisce
con la presenza del magistrato stesso. Per razionalizzare al
massimo l'utilizzazione delle risorse umane esistenti, sarebbe
preferibile concepire l'ufficio come una struttura piramidale
dotata di una serie di strutture serventi che riservano al
magistrato attività assolutamente non delegabili e il ruolo di
guida, lasciando l'attività esecutiva al personale
amministrativo.
   Nel corso degli ultimi due anni, si è rivolta la massima
attenzione al problema della copertura dei posti di magistrato
e del personale amministrativo, soprattutto negli uffici
giudiziari delle regioni cosiddette a rischio, cioè Sicilia,
Calabria, Campania e Puglia, ed in particolare negli uffici
requirenti. Questo ha provocato un corrispettivo
depauperamento delle risorse di personale degli uffici
giudicanti. Questa situazione appare però destinata ad un
miglioramento rapido per effetto dell'ingresso in magistratura
di un numero di uditori giudiziari tale da consentire nel
prossimo anno la pressoché integrale copertura degli organici.
Naturalmente resta aperto il problema della valutazione della
necessità di elevare l'organico finora previsto.
   Per quanto riguarda la situazione complessiva delle
procure della Repubblica sedi delle direzioni distrettuali
antimafia, la dotazione organica dei magistrati prevede 483
unità. L'attuale percentuale di scopertura è pari all'8 per
cento, a fronte del 12 per cento rilevato alla fine del 1990.
Vi è dunque un netto miglioramento. La dotazione organica del
personale amministrativo delle 26 procure distrettuali prevede
2593 unità e qui la percentuale di scopertura sale al 16,7 per
cento. Sono tuttavia dati che non debbono destare allarme in
ordine al regolare funzionamento di questi uffici, perché
dipendono in massima parte dai recenti aumenti di organico
conseguenti proprio all'istituzione delle direzioni
distrettuali antimafia. Questi incrementi rilevanti vengono
coperti con l'immissione in servizio, per il profilo di
assistente giudiziario degli idonei dell'ultimo concorso
espletato, per i funzionari di cancelleria con un concorso a
618 posti già bandito, per gli autisti con un concorso per
titoli riservato al personale che ha prestato servizio in via
temporanea negli uffici giudiziari.
   Per una migliore comprensione degli incrementi di organico
del personale, sono in grado di depositare agli atti della
Commissione (se interessano) le schede riepilogative
comparative con la situazione del 1990 nonché l'organico della
direzione nazionale antimafia.
   Come è noto, per superare il vigente divieto di assunzioni
nel pubblico impiego si è reso necessario un apposito disegno
di legge, che presentai al Senato fin dal settembre 1990 ma
che soltanto recentemente è divenuto legge, dopo un tormentato
iter parlamentare.
   Premessa indispensabile per una lotta più efficace è
certamente quella di dare attuazione ad aspetti pratici e
concreti dell'organizzazione, di informatizzazione e
irrobustimento della struttura portante degli uffici
giudiziari; ma la svolta decisiva può essere data soltanto
dalla creazione, all'interno del Ministero, di un polo
tecnologico che ricerchi, scopra e collaudi tutte quelle
innovazioni che la scienza e la tecnica riescono a creare, in
modo da utilizzarle prima dei criminali e in maniera riservata
per conoscere e penetrare
                         Pag. 643
l'attuale realtà del tessuto mafioso, per modernizzare le
tecniche di investigazione e per assicurare la conservazione
del materiale probatorio.
   In questo senso, è in stato di avanzata sperimentazione (è
già stata sperimentata in due occasioni) la
videoregistrazione, che è lo strumento ottimale di
documentazione degli atti del processo penale. Introdotta -
come dicevo - in alcune sedi campione, la sperimentazione è
seguita dal monitoraggio costante della direzione degli affari
penali in collaborazione con la speciale commissione del
Consiglio nazionale delle ricerche e potrà essere estesa tra
breve ad un numero significativo di sedi giudiziarie.
   Altra innovazione tecnologica in fase di attuazione è
quella possibile con gli strumenti tecnici approntati dalla
RAI e dalla SIP, che ci consentirà l'interrogatorio e l'esame
dei testi e il dibattimento a distanza. Si tratta di un fatto
di enorme rilievo se si pensa che il trasferimento di
centinaia di boss dall'Ucciardone, a Pianosa e all'Asinara
viene di fatto ripetutamente interrotto dal richiamo, per
processi ed interrogatori, laddove essi si svolgono.
Attraverso questi collegamenti audiovisi sarà dunque
possibile, nel caso di soggetti protetti e anche di pentiti,
l'interrogatorio a distanza. Sono già stati realizzati due
esperimenti proprio a Caltanissetta e a Firenze; una volta a
regime, anche questo si rivelerà come uno strumento di enorme
utilità.
   Mi preme inoltre sottolineare la piena convergenza che
esiste tra gli uffici del pubblico ministero e gli organi di
polizia in conseguenza delle nuove misure adottate con il
decreto dell'8 giugno scorso. Sono queste le novità che ci
hanno consentito di ottenere risultati importanti nelle
indagini, nella ricerca e nella cattura di famosi latitanti,
così come l'uso di intercettazioni ambientali, il ricorso alle
operazioni di agenti sotto copertura, alle perquisizioni per
blocchi di edifici ed anche all'effetto dissuasivo e
deterrente dato dall'impiego di militari in funzione di
protezione passiva di obiettivi prefissati in Sicilia,
Sardegna, Calabria e Puglia.
   Sono certo che nel tempo più breve troverà applicazione
anche il nuovo istituto del soggiorno cautelare, la cui
attuazione dipende dall'apprezzamento del procuratore
nazionale antimafia.
   Un altro punto della strategia è stata la svolta intesa a
modificare la normativa vigente per sollecitare, promuovere e
stimolare la collaborazione processuale (mi riferisco ai
pentiti) rompendo i vincoli di omertà che caratterizzano le
organizzazioni mafiose.
   Questo è il varco decisivo che siamo riusciti ad aprire,
soprattutto di recente, nell'ambito della controffensiva
impostata. Ci si è mossi in una duplice e parallela direzione:
per un verso, prevedendo nuove misure di protezione per coloro
che collaborano con la giustizia, la cui sicurezza viene
salvaguardata attraverso il collocamento provvisorio fuori
degli istituti penitenziari per tutto il tempo necessario a
definire il programma di protezione; per altro verso,
escludendo rigidamente dalla possibilità di fruire di misure
alternative al carcere tutti gli appartenenti alle
organizzazioni criminali che non si decidano a collaborare con
la giustizia (i mafiosi irriducibili).
   Grazie anche all'apporto informativo dei pentiti, sono
stati possibili gli arresti eccellenti di cui sono piene le
cronache (quelle dei Madonia, di Alfieri, di Abatino), nonchè
lo svolgimento di operazioni dell'ampiezza di quelle note
sotto i nomi di Green ice e Leopardo.
   A parte questo, ben altro è oggi il potenziale di
conoscenze di cui oggi dispongono gli inquirenti grazie
all'apporto delle dichiarazioni di chi ha deciso di
collaborare e collabora sia con i magistrati rispetto agli
specifici delitti sia anche con la Commissione parlamentare
antimafia in riferimento agli scenari più generali
dell'attività del crimine.
   A partire dal decreto dell'8 giugno, moltissimi sono i
nuovi pentiti che stanno parlando: secondo il Ministero
dell'interno, essi sono 200 ed il loro numero è
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in progressivo aumento. Naturalmente, ciò comporta anche dei
rischi, come si è visto, ove all'efficacia dei nuovi
provvedimenti e delle nuove misure non si accompagni quello
scrupolo, quella serietà e quella professionalità che erano il
tratto distintivo di magistrati come Falcone e Borsellino e
qualora i pentiti stessi vengano utilizzati strumentalmente
per fini che poco hanno a che vedere con il perseguimento
della verità e della giustizia.
   Si tratta di assicurare oggi un grado più elevato di
efficacia a questi provvedimenti, con una gestione corretta ed
agile dei collaboratori della giustizia, rendendo il
procedimento attuale meno macchinoso e più rispondente alle
effettive necessità investigative processuali.
   Occorre muoversi secondo criteri volti a utilizzare e
tutelare solo i pentiti necessari ai fini del processo, con la
previsione di utilizzare strutture di protezione anche
all'estero. In questo senso, ritengo che in un prossimo futuro
potranno essere stipulate apposite convenzioni con altri
paesi, convenzioni che stiamo preparando.
   Esito dell'insieme delle misure di cui ho parlato, della
maggiore operatività delle forze dell'ordine, del coraggio e
del coordinamento di tanti magistrati è stato anche questo
bilancio di nuovi arresti per delitti di mafia (oltre 2 mila
quest'anno, più di mille a partire dall'8 giugno) con un
incremento del 26 per cento rispetto allo scorso anno.
   Del resto, i dati generali sulla criminalità (non so se
siano stati già resi noti alla Commissione dal ministro
dell'interno) segnalano, per il 1992 rispetto al 1991, un
decremento della criminalità e dei delitti maggiori superiore
all'11 per cento.
   Alla data dell'ultimo aggiornamento i detenuti per mafia
erano 5.247; 1.045 tra questi (quelli di maggior prestigio e
pericolosità nell'ambito delle rispettive organizzazioni
criminali) sono stati assegnati alle case di reclusione
dell'Asinara, di Pianosa, di Spoleto ed altre e sottoposti al
severo regime carcerario di cui all'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario, regime duro che ha sicuramente
favorito la scelta di alcuni detenuti di collaborare con la
giustizia.
   In previsione dell'ulteriore aumento dei collaboratori, si
sta provvedendo a ristrutturare alcune piccole sezioni già
destinate a questo scopo per garantirne l'incolumità e, pur
nel rispetto della normativa vigente, per adeguare il
miglioramento del trattamento carcerario alla scelta fatta.
   Un altro punto importante ai fini delle strategie
antimafia è quello relativo alle sanzioni patrimoniali; il
sistema vigente, come è noto, è inadeguato e inefficace. Tutti
gli italiani si chiedono perché, malgrado sentenze effettive
di condanna, per esempio, i Salvo e i Ciancimino abbiano
potuto conservare pressoché integro il loro patrimonio. Già
nel 1990 era stata disposta un'inchiesta diretta ad accertare
gli anomali ritardi nei procedimenti per misure di prevenzione
personali e patrimoniali instaurati nei confronti di
Ciancimino. Alla luce degli accertamenti allora eseguiti, la
trattazione del procedimento in secondo grado si era
protratta, in maniera talvolta ingiustificata, a causa di
taluni rinvii. Ma il carattere assai complesso degli
accertamenti tecnico-contabili volti a ricostruire l'ingente
patrimoni di Ciancimino aveva sconsigliato l'adozione di
iniziative di ordine disciplinare.
   Ora, a seguito della recente segnalazione del presidente
Violante, che mi ha informato che il procedimento di
applicazione delle misure patrimoniali a carico di Ciancimino
non si era ancora concluso, a metà dello scorso mese di
novembre ho disposto una nuova inchiesta, che a fine mese è
stata estesa anche ad altri fatti frattanto verificatisi: mi
riferisco all'inspiegabile rinvio a tempo indeterminato di
altro procedimento a carico del medesimo imputato per i reati
di associazione per delinquere, peculato e abuso d'ufficio
consumati nella gestione degli appalti del comune di Palermo,
il che comporta la rinnovazione di tutti gli atti già compiuti
nel dibattimento in corso da otto mesi.
                         Pag. 645
Sarà mia cura comunicare alla Commissione l'esito
dell'inchiesta e gli eventuali provvedimenti disciplinari
adottati.
   Un sistema macchinoso ed ipergarantista ha favorito
l'inoperatività delle misure di prevenzione, fino a far
diventare del tutto episodico e casuale il fatto che alla
condanna siano poi seguite vere sanzioni patrimoniali.
Viceversa, l'intervento deve essere radicale e deve partire
dal presupposto, già acquisito all'estero, che il regime di
valutazione della prova in materia di responsabilità
patrimoniale per fatti di mafia deve essere differenziato
anch'esso dal regime vigente per fatti criminosi ordinari.
Vanno quindi accolte le indicazioni di altri sistemi e si deve
prevedere che con la pronuncia di condanna l'imputato subisca
la confisca obbligatoria del controvalore dei profitti
presumibilmente ottenuti dal reato e che la stessa pendenza
del procedimento porti alla sequestrabilità dei beni che siano
effettivamente nella disponibilità dell'imputato. Non solo:
occorre prevedere che nei casi di condanna per reati di tipo
mafioso, caratterizzati da fini di lucro, la confisca riguardi
l'intero patrimonio, salvo che l'imputato non ne provi la
provenienza da attività legittima.
   Un altro complesso problema è quello del riciclaggio. Le
tecniche utilizzate dal crimine organizzato per nascondere la
fonte illecita dei proventi e consentire l'immissione del
denaro sporco in circuiti finanziari ed economici legali
coinvolge sempre di più le istituzioni finanziarie e i
soggetti economici di più paesi. Non vi è praticamente piazza
finanziaria nel mondo che possa ritenersi invulnerabile o
intatta dal denaro sporco.
   La globalità della lotta alla mafia, come è stato ormai
riconosciuto anche in sede internazionale (in parte grazie
anche alla nostra pressione), richiede interventi estremamente
incisivi nella lotta al riciclaggio sotto due profili: il
primo è quello del controllo dei movimenti finanziari e della
circolazione del denaro (soprattutto il contante), attraverso
i coinvolgimento degli intermediari finanziari; il secondo è
quello del controllo sugli addensamenti terminali di ricchezza
in capo a soggetti che non siano in grado di dimostrarne la
legittima acquisizione o provenienza.
   Il primo profilo si trova, in teoria, in uno stadio di
avanzata risoluzione, visto che la recente legge
antiriciclaggio (quella del 1991) pone l'Italia
all'avanguardia tra i paesi europei, almeno quanto a
legislazione, anche se non altrettanto può dirsi quanto ad
applicazione.
   Il secondo profilo induce alla considerazione che non
basta più controllare il denaro mentre circola, ammesso che
ciò sia possibile, ma occorre controllare chi ne ha la
disponibilità ingiustificata. Ciò significa giungere ad un
discorso globale di trasparenza, che deve fare i conti non
solo con il denaro sporco ma anche con un contesto economico
sommerso, tipico della realtà italiana, a cominciare
dall'evasione fiscale per arrivare all'economia in nero.
   La globalità dell'impegno di tutti nella lotta alla mafia
porta dunque alla conseguenza che tutti devono essere disposti
a pagare il prezzo di questa trasparenza, a cominciare dal
settore fiscale.
   In ogni incontro internazionale non perdo occasione di
segnalare ai colleghi ministri della giustizia o dell'interno
(soprattutto europei) che prima arriva il denaro della mafia e
poi arriva la mafia; e che è un errore e una sottovalutazione
grave ritenersi immuni dalla mafia perché non ci sono
"coppole" in vista o in giro se già circolano centinaia o
migliaia di miliardi in finanziarie riservate o in belle e
ordinate banche.
   La natura transnazionale del riciclaggio rende necessaria
la predisposizione di misure eccezionali di cooperazione
investigativa e giudiziaria tra gli stati. Così partecipiamo
attivamente all'azione di organismi multilaterali che sono
impegnati nella lotta al riciclaggio, dalle Nazioni unite al
Consiglio d'Europa e soprattutto al GAFI (Gruppo di azione
finanziaria internazionale). Quest'ultimo organismo, del quale
sono membri più di venti paesi di tutto il mondo, opera già
efficacemente, adottando strumenti normativi internazionali e
controllandone
                         Pag. 646
l'applicazione reale. Anche nel recente consiglio dei
ministri della giustizia e dell'interno della Comunità europea
ho chiesto e ottenuto che alla questione delle riciclaggio
fosse attribuita priorità assoluta nel quadro dei lavori degli
organi comunitari relativi alla criminalità organizzata.
Altrettanto abbiamo fatto in sede di rapporti bilaterali con
gli Stati Uniti e con alcuni paesi dell'America latina,
proprio allo scopo di creare una rete efficace di misure
internazionali che accompagnino i provvedimenti adottati dai
singoli paesi sul piano interno.
   Tra le iniziative legislative in corso di trattazione
dinanzi alle Camere è da sollecitare il disegno di legge di
ratifica e di esecuzione della convenzione europea sul
riciclaggio, stipulata a Strasburgo l'8 novembre 1990, di cui
l'Italia fu la prima sottoscrittrice. Questa convenzione
rappresenta un passo avanti importante nell'apprestamento di
strumenti giuridici più sofisticati perché, oltre ad imporre
la creazione di efficaci normative nazionali, fornisce una
base normativa internazionale che consente la cooperazione
giudiziaria nei casi in cui l'attività di riciclaggio assuma
carattere transnazionale.
   L'adozione delle misure di cui stiamo parlando esige
l'acquisizione, da parte della magistratura, di un'ulteriore
professionalità anche di carattere internazionale. E' finito
il tempo delle troppo approssimazioni nell'affrontare fenomeni
così complessi, che esigono una struttura ed una preparazione
tecnica, scientifica e professionale altrettanto complessa. Al
personale giudiziario va offerta la completa possibilità di
acquisire, anche all'estero, questa formazione, confrontando
così le esperienze proprie con quelle analoghe di altri paesi.
   In questo senso abbiamo stipulato accordi per stage
reciproci di magistrati italiani, francesi e tedeschi. Dal
primo gennaio, come forse saprete, per avviare in modo più
diretto e concreto questa cooperazione, un magistrato francese
- il quale già cooperò con Giovanni Falcone negli anni passati
- lavorerà permanentemente al Ministero di grazia e giustizia
a Roma; e al più presto un magistrato italiano potrà cooperare
con la giustizia francese nella repressione dei fenomeni di
criminalità organizzata che investono anche quel paese.
   Va contemporaneamente studiata con la massima concretezza
la possibilità di rendere non occasionale ma continua la
cooperazione processuale con gli altri Stati. Per far questo
occorre prevedere una sorta di utilizzabilità, cioè di uso,
sovrannazionale degli atti di indagini compiuti dagli altri
paesi, ovvero compiuti congiuntamente da autorità giudiziarie
di più paesi.
   Anche questo è un punto decisivo. Proprio la cooperazione
sistematica rende necessario che sul fenomeno della
criminalità organizzata si formi un osservatorio permanente,
una struttura operativa di coordinamento che abbia come fine
quello di controllare l'evoluzione degli strumenti
legislativi, investigativi e processuali per bloccare
l'espandersi del crimine, per aggiornare e rendere sempre più
incisive ed efficaci le misure esistenti.
   Negli ultimi sei mesi sono stati effettuati interventi
altrettanto importanti per migliorare e rendere più efficace
la cooperazione giudiziaria in ambito internazionale. Sono
state sviluppate intese bilaterali; è stato dato impulso ad
iniziative unilaterali e progettati nuovi organismi interni di
coordinamento.
   Quanto alle imprese bilaterali, le più significative sono
quelle raggiunte con la Francia e l'Argentina. Questi due
paesi sono estremamente importanti in una strategia di
internazionalizzazione dell'azione giudiziaria di contrasto e
repressione del crimine.
   Con l'Argentina è stata raggiunta un'intesa di massima
diretta a superare gli ostacoli giuridici che finora si sono
frapposti alla cooperazione, quali i problemi del procedimento
in contumacia e della doppia incriminazione per il reato di
associazione a delinquere di stampo mafioso. L'Argentina è
sicuramente un riferimento vitale per la cooperazione
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oltrechè un punto di partenza per estendere la cooperazione a
tutto il sud America.
   Ancora più vaste sono le intese raggiunte con la Francia.
Queste vanno dal distacco reciproco di magistrati - come ho
detto - alla promozione di un gruppo di lavoro ad hoc
sulla criminalità organizzata in ambito comunitario, a
colloqui di rappresentanti dell'amministrazione della
giustizia con la Commissione antimafia dell'Assemblea
nazionale francese, come la Commissione parlamentare credo
abbia fatto.
   A quest'ultimo proposito si è avuto modo di sensibilizzare
le istituzioni francesi ai problemi generali di cooperazione,
quali le incriminazioni per associazione a delinquere e quelli
specifici relativi ad appartenenti alla camorra ed a Cosa
nostra rifugiati in Francia.
   Quanto al gruppo di lavoro sopramenzionato, l'iniziativa
proposta alla riunione dei ministri della giustizia e
dell'interno e Bruxelles il 18 settembre scorso si è
sviluppata sino alla costituzione di un comitato di paesi
precursori, il cui coordinamento è stato affidato all'Italia.
In gennaio si terrà a Roma una riunione di esperti del dodici
paesi membri.
   Per organizzare e rendere costante l'attenzione e
l'impegno dell'amministrazione nella cooperazione giudiziaria
internazionale è stata progettata la costituzione di un
comitato permanente, nell'ambito della Direzione generale
degli affari penali, cui convogliare tutto il patrimonio
conoscitivo della mgistratura e in particolare dei magistrati
che professionalmente si occupano della materia o sono in
servizio presso le rappresentanze italiane all'estero o presso
organismi internazionali, nonché di quei magistrati stranieri
che sulla base di intese di reciprocità siano distaccati a
Roma.
   Al Comitato saranno chiamati a partecipare anche i
rappresentanti delle forze di polizia che si occupano di
cooperazione internazionale.
   Ulteriore scopo di questo organismo è la cooperazione
tecnico-giuridica, soprattutto con i paesi dell'est europeo,
stante i segnali allarmanti che provengono da quei paesi, per
le organizzazioni latenti di stampo mafioso e per creare
piattaforme di diritto comuni che favoriscano l'evoluzione
cooperativa.
   Deve essere chiaro che l'impegno deve essere volto, sia
per gli aspetti di legge sia per quelli organizzativi e
professionali, ad assicurare infine un pronto e giusto
processo. Un processo organizzato modernamente, ma
indisponibile a concessioni di alcun genere dettate da
impreparazione, inadeguatezza, sottovalutazione delle
particolari caratteristiche dei processi di mafia. Tutto
quanto si è fatto, quanto si farà e si sta facendo ha ottenuto
non solo risultati pratici e concreti, che devono - senza
generare illusioni - suscitare maggiore impegno, ma anche un
certo cambiamento di clima, grazie - come ho detto - a
magistrati coraggiosi sino al sacrificio e al martirio, al
maggior coordinamento delle forze di polizia, anch'esse non
esenti da vittime eroiche, nonchè grazie alla mobilitazione e
partecipazione di tanta gente onesta: anche tra le persone
inermi e civili non mancano le vittime.
   Gli anni 1991 e 1992 sono stati assorbiti da un'azione che
è giusto definire di emergenza, consenguente all'aggressione
alle fondamenta dello Stato, della democrazia e della
sicurezza dei cittadini. La stagione che inizierà con il nuovo
anno richiede una più ampia prospettiva. Dopo tanti
provvedimenti organici e coerenti, ma settoriali e prevalenti
sul fronte della criminalità, bisogna ridefinire il disegno
unitario della giustizia nell'organizzazione delle persone e
dei mezzi, avendo di mira in modo prioritario l'effettivo
funzionamento dell'apparato, in termini di efficienza, equità,
economicità e trasparenza.
   Quali le strategie e i temi di intervento? Si impone una
nuova legge sull'ordinamento giudiziario (stiamo cooperando
con il Consiglio superiore della magistratura per fissarne le
caratterisiche) dando attuazione alla VII disposizione
transitoria e finale della Costituzione. A questo scopo ho
chiesto al
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professor Livio Paladin, già presidente della Corte
costituzionale, che ha accettato, di presiedere il gruppo di
lavoro che in tempi brevi deve preparare la proposta.
   E' indispensabile dare razionalità alla distribuzione e
dimensione degli uffici giudiziari sul territorio, oltre che
definire meglio la loro tipologia. Poniamoci questa domanda: è
proprio razionale avere più Procure della Repubblica e più
giudici di primo grado? Perché questa irrazionale diffidenza
per il giudice monocratico? In sede parlamentare ho già
annunciato sul punto una iniziativa legislativa.
   Per quanto riguarda il Ministero - come accennavo
all'esordio - questo è rimasto quasi immutato, nonostante le
tante novità registrate dalla Costituzione in poi, rispetto a
quel che era al momento dell'unità d'Italia. Una gestione così
accentrata come quella ereditata dalla situazione di fine
secolo scorso, e confermata nella fase del secondo dopoguerra,
non ha più senso.
   Uno degli aspetti di maggiore criticità del sistema
riguarda proprio l'organizzazione dei servizi giudiziari e
l'attività di sostegno che il Ministero di grazia e giustizia
deve svolgere per ammodernare l'intero sistema. Questa
criticità è legata a fattori antichi e complessi: leggi di
contabilità generale dello Stato farraginose; interventi
normativi con i quali si è tentato di introdurre meccanismi
più agili, ma in ogni caso insoddisfacenti. Inoltre,
disfunzioni protrattesi per tanti anni; interventi di
ammodernamento svolti in modo frammentario e disorganico; la
normativa concernente il personale e la distribuzione sul
territorio, l'impiego del personale non sempre corrispondente
alle esigenze degli uffici.
   In un incontro recentissimo, sollecitato dalle
organizzazioni sindacali - CGIL, CISL, UIL - nonché dal SIULP
e dall'Associazione nazionale magistrati, con la presenza mia
e del ministro dell'interno, è stata sottolineata l'esigenza
che accanto all'azione di contrasto al crimine, condotta dallo
Stato con impegno e maggiore incisività negli ultimi tempi,
occorre un'azione congiunta anche con la partecipazione delle
organizzazioni sindacali interessate. Un'azione che miri non
solo a verificare in concreto tutti gli aspetti del problema,
ma anche a suggerire modifiche normative ed amministrative,
con riferimento agli organici dei magistrati, del personale
amministrativo, alle qualifiche funzionali ed a quanto altro
possa risultare impeditivo del funzionamento degli uffici a
prescindere dalla causa alla quale tale disfunzione sia
riconducibile.
   Abbiamo concordato di individuare due uffici, per così
dire modello, da considerare con priorità assoluta per
evidenti ragioni - Palermo e Caltanissetta - da cui muovere
per individuare un ufficio-tipo (sotto tutti i profili) al
fine di ricavare dall'esperienza di un ufficio "al fronte" un
modulo riproducibile sull'intero territorio.
   Questa presa di consapevolezza coincide pienamente con la
ricognizione che ho fatto svolgere in questo periodo circa il
funzionamento del Ministero e degli uffici giudiziari, nonché
le cause e le possibili soluzioni per conseguire l'obiettivo -
se vogliamo utilizzare un termine proprio del mondo
industriale - di liberare le risorse pregiate (in questo caso
i magistrati) dalle incombenze ripetitive di basso livello, al
fine di consentire il massimo impegno dei magistrati nelle
indagini e nelle attività complesse.
   In sintesi, le attività da svolgere possono essere
enunciate in questa scansione: razionalizzare l'esistente,
utilizzando i vantaggi parziali già conseguiti dalle
realizzazioni che meritano di essere generalizzate;
intervenire in modo da incidere sulla quantità e qualità delle
dotazioni di beni e delle strutture logistiche; intervenire al
fine di modificare i comportamenti umani mediante strumenti
formativi, manageriali e nuove relazioni sindacali;
intervenire per modificare le strutture organizzative e le
procedure, anche di non semplice razionalizzazione, sino ad
investire livelli che potranno essere oggetto di nuove misure
normative e regolamentari. Decisivi saranno anche gli
interventi sul sistema informativo (flussi e
                         Pag. 649
scambi di informazioni tra ministero ed uffici, tra ministero
ed altre istituzioni dello Stato) e successivamente sul
sistema informatico, (tecnologie di supporto) tendenti a
rendere accessibili le informazioni necessarie per la
molteplicità di utenti del sistema giustizia, attraverso
procedure che non appesantiscano l'operatività dei magistrati
e degli addetti con carichi di lavoro aggiuntivi.
   Parallelamente si è avviata un'analisi dello stato di
automazione dei servizi giudiziari. Questo prevede
innanzitutto la ricognizione dell'esistente, al fine di
valutarne il recupero in termini sia funzionali sia di
investimento: arrivando al Ministero di grazia e giustizia
constatai l'esistenza di rilevanti acquisti di materiale
informatico che giaceva inutilizzato oltre che abbandonato
negli uffici per impreparazione del personale nell'uso, per
contraddittorietà o incoerenza degli investimenti.
   Questa ricognizione, effettuata presso tutte le realtà del
Ministero di grazia e giustizia, ha per obiettivo la
valutazione qualitativa e quantitativa dello stato attuale dei
sistemi informatici. Anche il tentativo successivo di affidare
ad un magistrato esperto, che aveva dimostrato nel suo piccolo
mondo di saper informatizzare i propri uffici, si è rivelato
non adeguato ai problemi.
   Il punto finale d'intervento è quello volto a correlare
gli aspetti economici e finanziari con le attività, per
governare i costi del sistema giustizia in relazione alle
prestazioni erogate. La legge finanziaria di quest'anno ha
consentito un leggero incremento rispetto all'anno scorso, se
si tiene conto degli stanziamenti nei bilanci del Ministero
dei lavori pubblici e di quello del tesoro per gli uffici
giudiziari e per le carceri si arriva ad avere quel poco più
dell'1 per cento che era negli obiettivi degli ultimi dieci
anni. Naturalmente è troppo poco, ma considerati i tagli al
bilancio non possiamo lamentarci.
   Il processo di riorganizzazione appena descritto deve
essere accompagnato dalla realizzazione di un sistema di
monitoraggio e controllo di tutti i fattori che determinano
l'efficienza del sistema giustizia. Mi riferisco in
particolare a questi elementi: la durata del procedimento (con
riferimento alle sue singole fasi e gradi); gli aspetti
organizzativo-funzionali relativi alla definizione delle fasi
e dei gradi; l'analisi-controllo dei costi nella loro
principale articolazione, ossia spese di funzionamento, spese
di giustizia con valutazione della loro recuperabilità (questo
è un punto importantissimo se si considera che soltanto per i
sequestri dei beni dei mafiosi nei primi dieci mesi del 1992
sono stati recuperati più di 1.600 miliardi), spese del
personale rapportare alla razionalizzazione dell'utilizzo
delle risorse ed infine eventuali ulteriori strumenti di
misurazione di efficacia e di efficienza delle attività.
   Considerato il rilievo prioritario dell'ufficio del
pubblico ministero, delle procure distrettuali e dell'urgente
raccordo tra queste e il procuratore nazionale, il primo e più
urgente intervento riguarderà questo settore e verrà svolto
con la partecipazione di rappresentanti di questi uffici.
L'individuazione dei parametri normativi ai quali rapportarsi
per rispettare le esigenze di autonomia e di riservatezza è
già stata rivolta ad un gruppo di magistrati esperti, che
hanno collaborato a questo fine con il procuratore nazionale
reggente, dottor De Gennaro.
   Questa analisi non sarebbe completa se non facessi
riferimento ancora una volta alla riforma del Ministero. E' da
tempo che se ne parla ed io stesso ho più volte sostenuto
questa necessità.
   L'esperienza, se da un lato mi ha reso ancora più convinto
dell'urgenza, mi ha fatto anche comprendere che le ipotesi di
modifica immaginate nel passato sono superate dai tempi e
dalla maturazione di nuovi e diversi bisogni. Il personale
amministrativo ed i magistrati non dispongono, per formazione
culturale e professionale, del necessario patrimonio di
conoscenze organizzative, importanti quando si tratta di
interventi di riforma globale e di misure urgenti. Questo
aspetto potrà formare oggetto di azione di
                         Pag. 650
formazione specifica da intraprendere per il futuro. Allo
stato e volendo restituire ciascuno al proprio ruolo, è
indispensabile avvalersi di collaborazioni specialistiche
individuate nel libero mercato o nell'area della dirigenza
pubblica esterna al Ministero di grazia e giustizia. Mi auguro
di non incontrare l'opposizione che dovetti registrare un anno
fa presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati.
   Al fine di predisporre l'intero piano, ho individuato
nella Federazione del terziario avanzato l'interlocutore
qualificato ed adeguato al quale affidare l'incarico di
svolgere nel concreto tutte le attività di analisi e di
programmazione degli interventi elencati. La Federazione del
terziario avanzato avrà come interlocutore, come ho già detto,
un gruppo di magistrati e di funzionari che avranno il compito
di indicare i bisogni degli uffici, lasciando ad altri più
competenti l'onere di individuare le soluzioni idonee.
   Questa è sembrata la scelta più utile e corretta anche
sotto il profilo della trasparenza dell'azione amministrativa,
sulla scia di quanto già fatto, ad esempio, dalla Camera dei
deputati, dal dipartimento della funzione pubblica e dalla
prefettura di Milano.
   L'organizzazione detta Federazione del terziario avanzato
opererà immediatamente, collaborando con le strutture
ministeriali anche per gli interventi che da gennaio in poi si
renderanno necessari per motivi d'urgenza, in attesa della
definizione della fase preparatoria che potrà completarsi
nell'arco di sei mesi. Sempre nell'immediato, la stessa
struttura metterà a disposizione delle procure più esposte
nella lotta al crimine esperti in speciali discipline, in
particolare nell'organizzazione informatica, per fornire una
documentata assistenza per i casi di maggiore urgenza. Sarà
quindi molto utile la collaborazione delle organizzazioni di
categoria, che potranno riversare a questa struttura
specializzata i dati di esperienza e tutti i suggerimenti che
potranno scaturire dall'azione congiunta che andremo a
svolgere.
   In conclusione, spero di avere risposto ai quesiti che mi
sono stati inoltrati, anche se naturalmente non ho potuto
farlo a quelli, provenienti dal senatore Brutti, che ho
ricevuto solo tre ore fa.
   Nell'annunciare che riproporrò la legge delega che la fine
della X legislatura non consentì al Parlamento di esaminare,
resto a disposizione per tutte le integrazioni che possano
derivare da ulteriori domande.
  SALVATORE FRASCA. Se il presidente è d'accordo,
pregherei di fotocopiare il testo letto dal ministro, in modo
che ciascuno di noi possa studiarlo in dettaglio.
  PRESIDENTE. Senz'altro.
   Vorrei far presente alla Commissione che il ministro alle
20 dovrà assentarsi. Pertanto, ove per tale ora non fosse
terminata l'audizione, propongo di aggiornarla a lunedì
pomeriggio, data per cui il ministro ha già assicurato la
propria disponibilità.
  MASSIMO BRUTTI. Ho apprezzato molti aspetti della
dettagliatissima relazione svolta dal ministro Martelli. Le
domande da me formulate sono state recapitate al Ministero
mediante motociclista già da lunedì mattina, per cui il fatto
che il ministro le abbia avute solo tre ore fa mi fa pensare
che siano andate perdute, e questo mi dispiace. Credo,
comunque, che sia possibile ovviare a questo inconveniente
riproponendole immediatamente; su alcune di esse, quelle che
richiedono un accertamento, aspetterò una risposta scritta.
   Desidero riprendere un tema generale toccato dal ministro
nella sua relazione, quello relativo alla valutazione della
prima fase di attuazione del decreto-legge approvato l'estate
scorsa dal Parlamento. Considero la legge di conversione di
quel decreto un punto d'incontro di un lavoro parlamentare
serio e credo che su alcune questioni occorra nuovamente
intervenire.
   In particolare, vorrei chiedere al ministro se sia
d'accordo sulla necessità di intervenire in tempi brevi per
una migliore
                         Pag. 651
 definizione di quella previsione normativa che estende la
fattispecie dell'associazione a delinquere di stampo mafioso e
le sanzioni per essa previste a comportamenti che si
riferiscano al momento elettorale. Per il modo in cui si è
giunti ad un accordo in sede parlamentare, ritengo vi siano in
proposito difficoltà di interpretazioni e problemi aperti.
Penso si possa e si debba tornare presto su quella norma per
renderla più facilmente applicabile e torno a chiedere al
ministro se concordi su questa prospettiva.
   Il gruppo del PDS della Camera ha ripresentato all'inizio
di questa legislatura una proposta di legge recante una nuova
disciplina delle indagini patrimoniali, delle misure di
prevenzione e, in particolare, della confisca dei beni
mafiosi. Chiedo al ministro se da parte del Governo vi sia
disponibilità a trovare in tempi rapidi un punto d'accordo
che, tenendo conto delle nuove norme introdotte con un
decreto-legge approvato la scorsa estate, vari una disciplina
organica delle misure di prevenzione, delle indagini
patrimoniali e della confisca dei beni mafiosi, disciplina che
parta dalle stesse considerazioni che egli faceva e sulle
quali mi dichiaro sostanzialmente d'accordo, almeno quanto
alle linee di fondo.
   Vorrei ora sottolineare alcuni ritardi che credo siano
addebitabili al Governo e allo stesso ministro. Egli ci ha
parlato oggi di riforma del Ministero di grazia e giustizia:
presentate un disegno di legge, fatelo presto, tocca a voi
farlo!
   Vi è poi la questione della necessità (credo avvertita da
tutti) di un potenziamento degli uffici di procura e forse si
pone un problema di intervento normativo. Abbiamo proposto
ormai da quasi un anno l'istituzione di un ufficio del
pubblico ministero che affianchi al magistrato che svolge le
funzioni di pubblico ministero degli assistenti, che consenta
cioè di potenziare la sua azione, con una disciplina speciale
per il reclutamento di questi assistenti. Vorrei sapere se da
parte del Governo vi sia la disponibilità ad arrivare a questa
riforma dell'ufficio del pubblico ministero che, per
l'appunto, prescinde da quei dialoghi sui massimi sistemi ai
quali faceva riferimento il ministro, puntando invece al
potenziamento ed all'efficacia dell'azione.
   Non posso non rilevare che vi è stato un ritardo in merito
alla direzione nazionale antimafia e che si è perso un anno;
in particolare, non posso non valutare negativamente il fatto
che dopo il voto di febbraio presso il Consiglio superiore
della magistratura il procedimento si è bloccato. Oggi, per
fortuna, siamo in grado di mettere alla prova questo istituto
ma per il passato debbo rilevare un ritardo addebitabile al
ministro di grazia e giustizia.
   Sulle direzioni distrettuali antimafia desidero
sottolineare un aspetto sul quale è necessaria una
riflessione: esiste oggi una sproporzione tra la direzione
distrettuale antimafia, l'attività delle procure, le indagini,
le inchieste ed il momento del dibattimento. La grande
inchiesta sui fatti di mafia viene svolta a Palermo, mentre il
dibattimento viene condotto a Termini Imerese, cioè in un
piccolo tribunale. Non è forse il caso di compiere su questo
terreno un ulteriore passo avanti...
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Certo!
  MASSIMO BRUTTI. Benissimo, allora facciamolo.
   Passo ora ai quesiti che le avevo inviato per iscritto e
sui quali sollecito da parte sua una risposta. In ordine al
potere d'inchiesta ed all'esercizio dell'azione disciplinare,
desidero richiamare l'attenzione del ministro su due casi che
considero esemplari: il primo è quello della procura della
Repubblica e, più in generale, del tribunale di Paola dove,
com'è noto, il procuratore ha rassegnato le dimissioni
denunciando lo stato di grave crisi dell'ufficio e dove due
sostituti, i dottori Belvedere e Fiordalisi, si trovano in
situazioni personali assai delicate, che incidono
negativamente sull'esercizio delle loro funzioni. Nei
confronti di uno di essi pende a Messina un procedimento
                         Pag. 652
penale per concussione. Sono stati inoltre rilevati
comportamenti censurabili anche da parte del presidente del
tribunale, dottor Scalfari. Vi è stata già da tempo
un'ispezione ed è stata depositata la relazione del dottor
Graniero circa otto mesi fa. Vorrei sapere dal ministro quali
iniziative abbia assunto o pensi di assumere. In questo caso
vi è un problema di restituzione immediata della credibilità
all'esercizio della funzione giudiziaria, esigenza che non si
soddisfa con l'avvio di un'azione disciplinare che dura
parecchio tempo. Vi sono due strumenti con i quali più
rapidamente si interviene: un provvedimento cautelare che può
essere chiesto dal ministro alla sezione disciplinare del
Consiglio superiore della magistratura oppure un procedimento
per il trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale,
il quale anche può essere sollecitato dal ministro presso il
Consiglio superiore della magistratura.
   Un ulteriore quesito (sul quale è forse opportuno che il
ministro mediti la risposta) riguarda la procura della
Repubblica di Palmi ed una serie di iniziative assunte dal
ministro nei confronti di quella procura: inchieste, ispezioni
straordinarie, da ultimo gli ispettori mandati ancora nei
giorni scorsi. Tali iniziative in alcuni casi traggono spunto
da esposti che sono giunti anche da esponenti del potere
politico locale, proprio nei momenti in cui da quella procura
si avviavano i procedimenti più delicati: penso al sequestro
dei cantieri della centrale ENEL di Gioia Tauro finiti nelle
mani delle cosche mafiose. Quello fu l'avvio dell'attività
persecutoria - diciamo così - che da varie parti veniva a
svolgersi nei confronti di quel procuratore della Repubblica
che allora, nella primavera del 1991, il ministro Martelli sia
a Palmi sia davanti alla Commissione antimafia ebbe modo di
elogiare. Cosa è successo nel frattempo? Non risultano fatti o
comportamenti addebitabili a quel magistrato o ai suoi
collaboratori.
  SALVATORE FRASCA. Il collega Brutti non era presente
all'audizione dei magistrati di Messina.
  MASSIMO BRUTTI. Risulta un episodio riguardo al quale
chiedo chiarimenti al ministro: in data 8 gennaio 1992,
durante una visita del procuratore della Repubblica di Palmi
al ministro di grazia e giustizia, da quest'ultimo
sollecitata, sarebbero state rivolte obiezioni di merito ed
osservazioni critiche, in particolare da parte del capo di
gabinetto del ministro, circa la conduzione delle indagini
nonché le specifiche contestazioni mosse nei confronti di
uomini politici.
   Se ciò è avvenuto, vorrei chiedere al ministro se non
pensi che in quell'occasione vi sia stato nei confronti del
procuratore della Repubblica di Palmi un intervento anomalo,
comunque non accettabile.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Se fosse avvenuto.
  MASSIMO BRUTTI. Sì, intanto le chiedo se sia avvenuto.
   Vorrei ora porre una serie di domande relative
all'esercizio dei poteri del ministro in ordine al concerto.
Quello di procuratore generale presso la corte d'appello di
Reggio Calabria è un ufficio delicatissimo, la cui vacanza non
può protrarsi oltre. La commissione competente del Consiglio
superiore della magistratura ha già formulato una proposta,
sono passati quattro mesi ma il ministro non ha ancora dato il
concerto e non lo ha neppure negato; ciò ha l'effetto di
bloccare il procedimento. Per quali ragioni vi è questa
situazione?
   Quanto alla corte d'appello di Palermo, la vicenda è
pesantissima, visto che la vacanza dura ormai da due anni. Le
osservazioni motivate dal ministro sulla proposta relativa ad
uno dei magistrati in gara sono serie e degne di
considerazione ma non crede il ministro che sia giunto il
momento di sbloccare questa situazione mettendo il
plenum del Consiglio superiore della magistratura di
                         Pag. 653
fronte alle sue responsabilità, perché la situazione non può
rimanere bloccata in eterno?
   Per l'ufficio di procuratore della Repubblica di Patti, la
commissione uffici direttivi del CSM ha proposto il dottor
Gambino ed il concerto è stato dato tempestivamente. Si tratta
di un ufficio rilevante che non può rimanere scoperto;
tuttavia, a quanto mi risulta, la nomina sembra ora messa in
discussione da un'iniziativa anomala della terza commissione
del CSM che ha contemporaneamente proposto, a seguito di una
vecchia pratica, il trasferimento d'ufficio del dottor Gambino
nel posto, finora vacante, di presidente di sezione del
tribunale di Locri. Le chiedo, quindi, se e in che modo
intenda contribuire a sbloccare la situazione. In questo caso,
mentre il comportamento del ministro di grazia e giustizia
credo possa essere giudicato positivamente, riscontriamo
un'iniziativa anomala da parte della commissione del Consiglio
superiore della magistratura.
   Vi sono poi questioni molto delicate, a proposito delle
quali le rivolgerò domande a cui mi auguro voglia rispondermi
in seguito, perché mi rendo conto che difficilmente potrebbe
farlo stasera. Il ministro ha effettuato un monitoraggio sulle
decisioni della prima sezione penale della Cassazione tra 1986
ed il 1992? In caso affermativo, cosa è emerso da tale
accertamento? Cosa risulta in ordine ai criteri di
composizione dei collegi? Vi è stata una scelta discrezionale
da parte del presidente? In base a quale criterio veniva
scelto il relatore?
   Oltre a tali questioni, che considero le più rilevanti, ve
ne sono altre - su cui le ho posto quesiti scritti, signor
ministro -, quali quelle connesse alle dichiarazioni pubbliche
del dottor Carnevale e al procedimento penale relativo alla
liquidazione dei beni di compendio del fallimento della flotta
Lauro.
   Avrei anche voluto sapere in quali carceri risultino oggi
dislocati gli imputati ed i condannati per il reato di cui
all'articolo 416-bis e per quelli ad esso connessi...
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Lei ritiene giusto che a questa domanda risponda in pubblico?
  MASSIMO BRUTTI. Forse no, però sarebbe opportuna una
riflessione sul numero dei detenuti reclusi a Pianosa e
all'Asinara per i reati di cui all'articolo 416-bis,
considerato che molti di loro sono fuori delle carceri potendo
avvalersi del diritto di partecipare ai processi. Dobbiamo
chiederci se siamo in grado di realizzare un trattamento
personalizzato, tale da far sì che ovunque i detenuti si
spostino le condizioni di sicurezza vengano comunque tutelate.
   Richiamo infine la sua attenzione, signor ministro, su
altre questioni particolari, poiché si ha la sensazione che in
talune carceri (Teramo e Caltanissetta) siano possibili azioni
intimidatrici dei mafiosi, e che altre risultino addirittura
nelle mani dei boss mafiosi.
  PRESIDENTE. Mi rendo conto che quando la Commissione
ascolta un ministro, cioè un'autorità politica, è difficile
limitarsi a porre semplici domande senza accompagnarle con
valutazioni politiche. Lascio quindi al senso di
responsabilità di ciascuno di noi il modo in cui svolgere gli
interventi. Mi auguro, comunque, che essi siano tali da
consentire al ministro di acquisire un quadro complessivo
della situazione.
   Considerato il numero degli iscritti a parlare ed il tempo
a nostra disposizione, credo sia opportuno prevedere che il
ministro Martelli risponda in un secondo momento ai quesiti
che gli verrano rivolti.
  SALVATORE FRASCA. Se ci limitassimo a rivolgere solo le
domande, potremmo terminare entro le ore 20, altrimenti.......
  PRESIDENTE. Senatore Frasca, mi rendo conto che è
importante limitarsi alle domande, però trovandoci di fronte
ad un'autorità politica, non credo si possa evitare al singolo
parlamentare di svolgere
                         Pag. 654
 qualche valutazione, sia pure breve, pertinente ai quesiti
che intende rivolgere al ministro.
  GIROLAMO TRIPODI. Ho ascoltato le considerazioni del
ministro Martelli sugli impegni finora sostenuti e sugli
obiettivi che il Governo vorrebbe perseguire (o annuncia di
voler perseguire) per combattere il fenomeno mafioso.
   A me sembra che da tali considerazioni il giudizio emerso
sia quello di un decremento dell'attività criminale. Devo dire
che non lo condivido, perché anche se sono stati inflitti
alcuni colpi alle organizzazioni mafiose, la mafia continua ad
essere molto forte non solo nelle regioni in cui lo è sempre
stata (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) ma anche in altre
regioni del paese, in particolare in quelle del nord.
Constatiamo anche che in queste zone la mafia è divenuta un
potere che decide su tutto, possiamo dire che sia divenuta
Stato, che non sia più l'antistato bensì uno stato mafioso che
ha stabilito rapporti di potere e che elegge i consiglieri
comunali o regionali, i sindaci, i deputati e così via.
Inoltre, la mafia controlla tutte le attività economiche.
   Constatiamo l'intreccio che va sviluppandosi tra mafia e
corruzione, tra mafia e politica. Ma al riguardo, signor
ministro, lei non ci ha dato alcuna risposta, nonostante tale
intreccio sia ormai venuto alla ribalta in molte occasioni,
anche con il coinvolgimento di esponenti politici di primo
piano. Constatiamo il coinvolgimento della mafia con altri
poteri occulti, come dimostra la recente iniziativa
giudiziaria del dottor Cordova contro la massoneria indicativa
di quanto sia inquietante la situazione generale. Anche in
merito a tale aspetto, gradirei una precisazione da parte sua,
perché se non avremo la possibilità di delineare un quadro
specifico, getteremo solo fumo negli occhi delle persone che
vivono nelle zone dominate dalla mafia e che, proprio per
questo, non possono esercitare i diritti loro riconosciuti
dalla democrazia, primo fra tutti quello al lavoro.
   Un'ulteriore questione su cui voglio soffermarmi, e che
pongo anche a lei, signor ministro, è quella relativa alla
necessità di un'azione maggiormente incisiva per ciò che
attiene alle sanzioni patrimoniali. Riteniamo che sia un punto
chiave della battaglia che intendiamo portare avanti. Poiché
lei ha detto che abbiamo recuperato 1.600 miliardi, vorrei
sapere se si tratti di confische o di semplici sequestri,
perché, se fosse valida la seconda ipotesi, credo che dovremmo
meravigliarci di essere ancora a questo livello, in quanto c'è
il rischio della restituzione ai mafiosi, come è avvenuto in
passato.
   Per portare avanti un'azione che giudico essenziale è però
necessario evitare contraccolpi, quali quelli che abbiamo
registrato in talune zone, per esempio a Gioia Tauro, dove
anche l'ambiente mafioso ha organizzato lo sciopero contro le
decisioni assunte dalla magistratura; o a Siderno, dove in
questi giorni i lavoratori dell'azienda Commisso, che è stata
posta sotto sequestro con i recenti provvedimenti assunti
dalla magistratura di Reggio Calabria, protestano davanti al
municipio perché hanno perso il posto di lavoro. In altri
tempi, un caso analogo si è verificato a Palermo.
   Come affrontare, dunque, il problema di garantire la
continuità del posto di lavoro? Come estendere, almeno nella
fase transitoria, la cassa integrazione a questa categoria di
lavoratori? In che modo il Governo intende risolvere tale
questione, considerato che non ha voluto affrontarla tutte le
volte che abbiamo cercato di porla alla sua attenzione? Non
c'è volontà.
   Signor ministro, come è possibile manifestare
l'intendimento di combattere la mafia o di annunciare un
impegno in tal senso, quando poi vengono perseguitati, da
parte sua, proprio i magistrati più esposti e più impegnati
nella lotta alla criminalità organizzata? Mi riferisco ai
magistrati della procura di Palmi, cui poc'anzi ha fatto cenno
il collega Brutti. Dopo il veto da lei posto alla proposta
avanzata dal Consiglio superiore della
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magistratura per la DNA, si è andati avanti con una serie di
iniziative vessatorie.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Questo l'ho chiarito 16 volte in Parlamento! Vuole che lo
ripeta per la diciassettesima volta?
  GIROLAMO TRIPODI. Fino a quando ci sarà ministro di
grazia e giustizia, glielo ripeterò 50 mila volte!
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Se lei mi rivolge le stesse domande, sarò costretto a dare
sempre le stesse risposte!
  GIROLAMO TRIPODI. Aggiungo anche che dopo il veto su
quella questione, vi sono state altre iniziative...
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Non ho mai posto alcun veto, perché, contemporaneamente, il
Consiglio superiore della magistratura ha sollevato un
conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale,
per cui non potevo che attendere l'esito di quel conflitto!
  GIROLAMO TRIPODI. Ho posto questa questione sulla base
delle sue decisioni ufficiali.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Ma non riguardava il caso Cordova, bensì il caso Pasquale
Giardina!
  GIROLAMO TRIPODI. Mi riferisco a Cordova. Dicevo che
abbiamo registrato una serie di altri atti da lei compiuti,
signor ministro, atti di persecuzione nei confronti del
procuratore della Repubblica Cordova e degli uffici della
procura di Palmi, atti che hanno contribuito a destabilizzare
non soltanto l'immagine di quel magistrato ma anche quella
degli uffici di tale procura, i quali in questi anni hanno
svolto l'80 per cento delle indagini riferite alla lotta alla
criminalità organizzata nella provincia, cioè alle grandi
cosche che hanno collegamenti con la piana di Gioia Tauro.
   Mi riferisco alla sua decisione dell'11 agosto, signor
ministro: nel momento in cui ognuno pensava ad andarsene in
vacanza, ha promosso un'inchiesta per accertare un qualcosa
che già era stato accertato, dal momento che l'inchiesta del
mese di giugno si era chiusa con l'archiviazione delle
indagini svolte. Conclusasi ad ottobre l'inchiesta di agosto,
il 4 dicembre è stata predisposta un'altra indagine, sempre su
sua decisione.
   Tutto ciò proprio in quei giorni in cui circolava una voce
secondo la quale era imminente l'invio di un "pacco
indirizzato al dottor Cordova". Naturalmente, si trattava di
un linguaggio mafioso - anzi, in questo caso proveniva da un
ambiente massone -, per cui non poteva esservi alcun dubbio
che si trattasse di un avvertimento, non sappiamo se riferito
a qualche attentato o a qualche decisione che poi a me sembra
essersi concretizzata: può darsi, infatti, che con il "pacco"
in arrivo ci si riferisse all'inchiesta che lei aveva
predisposto.
   Senza dubbio, tutta l'azione portata avanti nei confronti
dei giudici di Palmi ha maggiormente esposto Cordova,
offuscando la sua immagine ed il suo impegno nella lotta alle
cosche più potenti d'Italia. Se l'inchiesta è stata decisa per
motivi di violazione del segreto istruttorio, vorrei conoscere
le sue deduzioni, signor ministro, a proposito del fatto che
qualche mese fa è stata proprio quella procura a promuovere
un'indagine per scoprire i collegamenti emersi tra mafia,
massoneria e poteri occulti. Anche a tale riguardo, signor
ministro, in questo momento i magistrati della procura di
Palmi si trovano in una situazione di sabotaggio, in quanto
lei ha contestato la richiesta di disporre di locali a Roma,
in modo che tali magistrati potessero svolgere con maggiore
funzionalità l'azione giudiziaria che debbono portare avanti.
Nonostante il Ministero dell'interno, tramite i carabinieri e
la polizia, avesse assegnato tali locali, lei ha posto un
altro veto...
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Ma lei cosa sta farneticando?
                         Pag. 656
   GIROLAMO TRIPODI. Mi riferisco alle dichiarazioni che sono
state riportate da fonti ufficiali.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Se lei mi rivolge delle domande, io rispondo. Se calunnia, non
rispondo!
  GIROLAMO TRIPODI. Non calunnio nessuno. Svolgo
considerazioni su suoi gravi comportamenti e rivolgo domande.
Voglio sapere perché non possano essere assegnati quei locali
a Roma e perché, invece, lei abbia proposto locali a Palmi
dove dovrebbe sorgere la procura presso la pretura, a
proposito della quale si conosce già il nominativo del
magistrato che ha vinto il concorso. Anziché l'entrata in
funzione, che eliminerebbe una gran mole di lavoro, lei ha
deciso di rinviare l'inizio dell'attività di tale procura, con
gravi conseguenze per il funzionamento della giustizia.
   Signor ministro, sarebbe opportuno consentire a questi
magistrati, attraverso l'uso di quei locali a Roma, di poter
svolgere più adeguatamente le inchieste sulla massoneria e sui
poteri occulti e far funzionare la procura presso la pretura
di Palmi. Se veramente vuole combattere la mafia, innanzitutto
deve dare alla gente una dimostrazione di coerenza. Queste
questioni toccano certamente tutti noi, perché altrimenti si
rischia di indebolire quei punti centrali, quelle avanguardie
che fermamente sono impegnate nella lotta alla mafia e ad ogni
potere, contrario alla democrazia e alle istituzioni. Sarebbe
opportuno che queste posizioni persecutorie venissero
abbandonate e che il ministro mantenesse quel giudizio che
aveva assunto all'inizio, quando aveva dichiarato che
sarebbero stati necessari cento di quei magistrati come
Cordova per combattere la mafia.
   Ho terminato. Mi auguro di avere delle risposte che
possano tranquillizzare l'opinione pubblica, ponendo fine alla
persecuzione vendicativa nei confronti del dottor Cordova.
  MASSIMO SCALIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei
lavori. Vorrei capire la mia presenza qui.
  PRESIDENTE. La sua presenza qui è stata determinata fin
dall'inizio, credo, da una sua richiesta.
  MASSIMO SCALIA. Mi riferivo alla mia presenza in questa
seduta. Vorrei avere garanzie in ordine a come procede il
dibattito, garanzie che mi può dare solo il presidente.
   Abbiamo presentato per tempo delle domande, come è stata
consuetudine di questa commissione, almeno fino ad oggi. E'
vero che, anche se è presente il ministro, in altre
Commissioni vi è una minore tenacia dei commissari, che non
pongono un milione e mezzo di domande. In tali Commissioni,
per altro, si procede più per affermazioni. Non ho capito
perché di volta in volta - forse ciò è dovuto al fatto che
abbiamo sentito molti collaboratori di giustizia - dobbiamo
rivolgere numerose domande; anzi, in genere noi le
consegnavamo al presidente, che le rivolgeva a chi era
ascoltato.
   Io ritengo che al ministro si possa rivolgere qualche
domanda, ma anche procedere ad un confronto di posizioni.
  PRESIDENTE. Lei propone che il ministro risponda di
volta in volta?
  MASSIMO SCALIA. I casi sono due: o le domande che
abbiamo rivolto, secondo una tradizione che forse oggi avrebbe
potuto essere modificata, hanno una risposta dal ministro,
oppure si sta svolgendo una cosa stranissima, in cui si
continuano a fare altre migliaia di domande, che magari posso
condividere nel merito. Non riesco a capire dove si arriva e
come la vicenda finisce.
   Esiste la sede del sindacato ispettivo e possiamo chiedere
al ministro di partecipare ad un convegno indetto da questa
Commissione sui temi della mafia, della politica e dell'
azione del ministro e confrontarci su questo. Questa strada
intermedia è faticosissima e non so dove ci porti: un po' si
fanno affermazioni politiche, un po' si fanno domande e si
                         Pag. 657
arriverà alle ore venti senza arrivare ad una conclusione.
  PRESIDENTE. Onorevole Scalia, qual è la sua proposta?
  MASSIMO SCALIA. Vorrei che lei definisse un modo di
lavorare. Mi risulta sicuramente molto gravoso continuare ad
ascoltare giustificatissime domande ed affermazioni, ognuna
delle quali va avanti per quarti d'ora: non capisco cosa
debbano fare coloro i quali hanno rivolto domande per
iscritto. Mi sembra che vi sia un poco di confusione.
  PRESIDENTE. Le spiego come stanno le cose.
   Alcuni colleghi, tra cui lei, posero nella seduta
precedente la necessità che questa audizione del ministro
fosse preparata dalla definizione dei temi sui quali
intervenire. Molti colleghi, tra cui lei, hanno mandato delle
richieste, che sono state tempestivamente inoltrate al
ministro, che ha ritenuto di fare una esposizione preliminare:
evidentemente non posso costringere il ministro a rispondere
in un modo oppure in un altro.
   I colleghi che ritengono che questa risposta meriti
ulteriori integrazioni stanno rivolgendo determinate domande.
Come ho già detto prima, essendo un'autorità politica di
fronte a noi, essendo anche tutti noi investiti di funzioni
politiche, è difficile chiedere ai colleghi di porre puramente
e semplicemente una domanda da interrogatorio.
  MASSIMO SCALIA. Si è trattato di interventi di un quarto
d'ora.
  PRESIDENTE. Gli interventi già svolti sono durati, mi
pare, otto minuti l'uno e nove l'altro. Possiamo fare un'altra
cosa, che diventerebbe molto faticosa per il ministro, vale a
dire che, nei limiti in cui egli abbia degli elementi a
disposizione, possa rispondere subito.
  MASSIMO SCALIA. Ribadisco una richiesta, visto che è
presente il ministro. Mi pare che dagli interventi emerga
l'esigenza di un confronto politico con il ministro: se
quest'ultimo è d'accordo, possiamo pensare ad un seminario, ad
un convegno o ad una iniziativa del genere.
  PRESIDENTE. La Commissione parlamentare d'inchiesta è
già una sede di confronto politico.
  SAVERIO D'AMELIO. Ringrazio il ministro per
l'esposizione svolta, che trovo completa e ricca di molti
spunti positivi, che lasciano ben sperare nella continuità
dell'azione della lotta contro la mafia e nello stesso tempo
ipotizzare una possibile vittoria, un possibile successo,
anche se il procuratore della repubblica di Messina,
precisando poche ore fa alla Commissione un suo rapporto, ad
un certo punto ha richiamato l'affermazione del ministro
guardasigilli secondo cui la mafia non è un'emergenza ma un
elemento stabile della vita nazionale con il quale dovremo
convivere per parecchio tempo.
  PRESIDENTE. E' un'affermazione resa da un altro ministro
guardasigilli.
  SAVERIO D'AMELIO. La precisazione è ovvia, però mi serve
per agganciarmi al discorso del ministro. Quell'affermazione
mi richiama alla mente quella analoga che l'Alto commissario
De Francesco fece agli inizi degli anni ottanta, allorché
sostenne che la mafia non avrebbe potuto essere vinta prima
del duemila. In quella circostanza in ognuno di noi vi fu un
moto di reazione; tuttavia il duemila si sta avvicinando e
vediamo che sostanzialmente questa lotta non è vinta, anche se
dobbiamo riconoscere che lo Stato in questi ultimi anni ha
predisposto una serie di iniziative ed altre si accinge a
predisporne, come abbiamo sentito dal ministro Martelli.
   Passiamo ora alle domande. Ad un certo punto il ministro
si è riferito all'apparente monolitismo della struttura
mafiosa. Condivido questo concetto, però vorrei una
spiegazione: questo apparente monolitismo lo riferisce al
fatto che appaiono sulla scena e per fortuna si
                         Pag. 658
incrementano i cosiddetti pentiti o vi sono altre ragioni che
fanno praticamente accreditare un'ipotesi del genere?
   Per quanto riguarda i cosiddetti pentiti, credo che ognuno
di noi, me compreso, apprezzi il valore ed il significato di
certe dichiarazioni e confessioni, dell'aiuto che essi hanno
dato nella lotta alla mafia, però vorrei ricordare,
richiamando il ministro, che esistono dei rischi. Ad un certo
punto nella relazione egli ha infatti pronunciato le parole
"pur con tutti i rischi che questo comporta".
   Condivido questa affermazione: ricordo che in altri tempi,
quando si facevano certe affermazioni a proposito della lotta
al terrorismo, si correva il rischio, pur essendo
responsabili, di essere tacciati di fascismo; adesso, appena
si parla di questi collaboratori e si pongono dei dubbi sulle
dichiarazioni dei cosiddetti pentiti, si corre il rischio di
essere messi alla gogna e sottoposti al linciaggio. Spesso
anche autorevoli esponenti della stampa ricorrono a questo
sistema del linciaggio.
   Ebbene, io corro questo rischio e dico che comprendo il
valore delle dichiarazioni dei cosiddetti pentiti, però tutti
dobbiamo tenere presente il rischio altissimo che correrebbe
lo Stato democratico ove la magistratura utilizzasse i
cosiddetti pentiti senza aver preventivamente compiuto i
dovuti riscontri e cercato le dovute prove.
   Vorrei pregare il ministro di trovare spunti e occasioni
per richiamare tutti, magistrati compresi, al senso di
responsabilità, altrimenti questo Stato democratico va allo
sfascio. A tale riguardo, anche se può sembrare improprio, non
condivido la permanenza del cosiddetto avviso di garanzia, un
istituto che si è tramutato, da garanzia per il cittadino nei
confronti del quale il magistrato avvia delle indagini e al
quale questa circostanza viene comunicata, in una pronuncia di
condanna senza appello, tanto più irreversibile e grave quanto
più sulla stampa si sparano notizie che spesso alla resa dei
conti risultano essere non valide e non rispondenti a nessun
fatto.
   Anche sotto questo aspetto prego l'onorevole ministro di
intraprendere sollecitamente una qualche iniziativa
legislativa. Delle due l'una: o si richiamano i magistrati al
dovere del segreto istruttorio (neppure in quest'aula i
magistrati ci dicono tutto quello che poi dicono alla stampa e
si trincerano dietro il segreto istruttorio) oppure occorre
modificare la legge. Io non sono tra coloro i quali danno
addosso alla stampa, perché a questa le notizie arrivano e,
quando ciò avviene, essa ha il diritto-dovere di pubblicarle,
anche se dovrebbe essere tenuta presente l'etica
professionale. Ora, l'etica è un fatto che attiene alla
coscienza, qui dobbiamo restare con i piedi per terra, alla
legge, che credo vada rivista e il ministro dovrebbe fare di
tutto per richiamare i magistrati ai loro compiti
istituzionali.
   Un'altra domanda riguarda i traffici finanziari ed il
riciclaggio. So che è stato fatto molto. Il ministro stesso ha
avanzato una serie di proposte che vanno nella direzione della
lotta e, quindi, dell'abbattimento del riciclaggio, però i
traffici finanziari esistono e si svolgono in tutto il mondo,
attraversano tutti i paralleli e i meridiani. Ritengo che non
sarà possibile vincere la lotta al riciclaggio se non vi sarà
la collaborazione delle banche centrali. Non ci illudiamo, le
banche centrali sono il referente. Credo che non ci voglia
molto a richiamare queste banche alla piena collaborazione.
   Le banche non collaborano, anzi sono diventate un
colabrodo, sia quelle nazionali nei confronti delle banche
estere, sia quelle estere per il ritorno del denaro sporco in
Italia: e consentono il passaggio di tutto. Dobbiamo allora
uscire da un equivoco. Capisco che sto dicendo una cosa molto
grave e pesante, ma se permane questa situazione e dentro il
cosiddetto segreto bancario si verificano tutti questi flussi
che spesso sono criminali, dobbiamo abbattere il segreto
bancario, se non vi è altra via.
   Capisco che il tema è delicatissimo, ma se non vi è altra
via, dobbiamo puntare all'abbattimento del segreto bancario,
                         Pag. 659
 diversamente non arriveremmo a scoprire il riciclaggio.
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, evidentemente dovremo
proseguire l'audizione del ministro Martelli in altra seduta.
  SALVATORE FRASCA. Domani, però, sulla stampa deve
esservi un panorama globale degli interventi svoltisi in
questa sede...
  PRESIDENTE. Se il senatore Frasca ci consente di
proseguire, anche il suo intervento verrà riportato domani
dalla stampa. Ci dovremmo accordare ora su quando proseguire
l'audizione del ministro Martelli, in relazione agli impegni
dello stesso ed ai lavori di Camera e Senato. Il ministro è
disponibile lunedì pomeriggio?
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Sì, però almeno alle ore 18 per avere il tempo di preparare le
risposte più tecniche; quelle politiche posso darle subito.
  PRESIDENTE. Bene, resta pertanto stabilito, se non vi
sono obiezioni, che l'audizione del ministro Martelli
proseguirà lunedì alle 18.
   Riprendiamo ora con gli interventi dei colleghi.
  MARCO TARADASH. Desidero innanzitutto osservare che la
relazione del ministro è stata molto interessante, anche per
l'accento posto sul tema dell'organizzazione della giustizia.
L'avere preannunciato una moratoria di tipo legislativo ed una
maggiore cura, invece, per gli aspetti pratici, tecnici e
materiali dell'organizzazione giudiziaria è a mio avviso molto
importante, perché in genere il difetto nazionale è quello di
pensare di poter affrontare a colpi di legge problemi che non
si risolvono grazie all'organizzazione del sistema. Questo,
intanto, è un dato importante che viene anche a seguito di un
lavoro - è giusto riconoscerlo - svolto dall'attuale ministro
della giustizia e dagli ultimi due ministri dell'interno, che
ha dato frutti importanti in materia di lotta alla mafia.
   Nell'ambito delle innovazioni sul piano legislativo
apportate al sistema giustizia, vorrei pregare il ministro di
riflettere anche su aspetti che considero alla lunga negativi,
anche se nell'immediato può sembrare che offrano sbocchi
positivi. Il ministro ha parlato della giustizia sostanziale,
che si contrappone ai formalismi, come della giustizia che
viene immediatamente compresa dalla gente: vi possono essere
sicuramente aspetti positivi, ma se andassimo dietro
all'opinione pubblica ed ai suoi desideri, francamente, in
momenti come i presenti, dovremmo chiederci in che modo la
nostra giustizia dovrebbe trasformarsi. Credo che sia una
strada molto pericolosa e minata e che il fine non ci debba
far dimenticare i mezzi.
   Quando, in particolare, è stato introdotto nella nostra
procedura penale il regime del doppio binario, a mio avviso è
stata aperta una ferita molto grave: sono d'accordo sul dare,
nella fase dell'indagine e dell'istruttoria, i più ampi
poteri, compatibilmente con le norme generali di diritto e di
democrazia, alla polizia e ai magistrati della pubblica
accusa, ma ritengo che quanto maggiori siano tali poteri tanto
più il dibattimento debba essere un sacro momento di
neutralità. Non possiamo chiedere al giudice di essere parte
nella lotta contro la mafia anche nel dibattimento: credo che
questo sia un elemento di diritto importantissimo e negare
tale principio in nome della giustizia sostanziale ci porta
verso un ordinamento di tipo diverso da quello democratico e
di diritto, aprendo le porte a qualsiasi tipo di abuso.
Ritengo che sia stato compiuto un errore con quella parte del
decreto-legge (non con tutto) convertito dalle Camere
nell'agosto scorso che introduce questi elementi di giustizia
sostanziale, che rappresentano in prospettiva un errore molto
grave e che rendono anche oggi molto difficile nel nostro
paese...
                         Pag. 660
   CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Lei parla del giudice, vero, non del pubblico ministero?
  MARCO TARADASH. Sto parlando del momento dibattimentale
e del fatto che, per esempio, gli elementi di prova acquisiti
dalla polizia possono essere portati in aula al di fuori dei
meccanismi normali del procedimento e costituire una prova.
Questo è uno degli aspetti, oltre a tutte le limitazioni del
processo accusatorio che sono state introdotte anche a seguito
dell'ultimo decreto.
   Si tratta di un punto che dovrebbe essere riletto anche
alla luce di quanto sta avvenendo e del numero sempre maggiore
di pentiti: da un certo punto di vista questo è ovviamente un
fatto positivo, ma lo rimane solo se i pentiti vengono gestiti
severamente, senza lasciare ad un poliziotto o a qualche altro
tale gestione. D'altro canto, nelle audizioni della nostra
Commissione scopriamo che i pentiti che ora vanno per la
maggiore sono gestiti da anni dai servizi segreti, senza che
il giudice lo sapesse o lo riferisse appunto alla nostra
Commissione. Leonardo Messina ci è stato presentato dai
magistrati di Caltanissetta - tra i quali il giudice Tinebra,
che è stato ascoltato da noi - come un pentito per nobilissima
causa, avendo visto in televisione la moglie di un poliziotto
ucciso dalla mafia piangere ed invocare il pentimento, mentre
poi abbiamo scoperto, dalle sue stesse parole, che almeno dal
1986 era in rapporto di confidenza con i servizi segreti...
  PRESIDENTE. Dato che siamo in seduta pubblica, preciso
che Messina ha detto di essere stato in contatto con persone
che si erano qualificate come appartenenti ai servizi.
  MARCO TARADASH. Sì, e da queste persone ha ottenuto
favori giudiziari: se tali favori possono essere ottenuti in
Sicilia anche da persone che si qualificano soltanto come
funzionari dei servizi segreti, deve essere svolto un discorso
di carattere più generale.
   Si tratta di un problema importante: occorre sapere come
certi pentiti vengono utilizzati e ciò vale d'altronde anche
per gli omissis. Desidero evidenziarlo in questa sede:
questa "legge" degli omissis ci fa scoprire dai
giornali, o da qualche deputato imputato, che vi sono altri
personaggi politici che sono stati chiamati in causa, di cui
non avevamo alcuna notizia, per cui tanto vale rispedire al
mittente gli omissis, oppure è meglio che non ci vengano
neanche inviati determinati verbali: altrimenti se indaghiamo
sui rapporti mafia-politica e scopriamo che determinate
persone sono state chiamate in causa senza che ne sapessimo
nulla, si tratta di un fatto grave.
   Sempre con riferimento ai pentiti, ed in particolare a
Buscetta, non so come vengano organizzati i suoi pranzi o
convocate le sue conferenze-stampa, ma fatto sta che lo stesso
ha rilasciato un'intervista ufficiale nella quale comunica che
andrà via dall'Italia, che riferirà soltanto ai giudici quanto
ha da dire e che non aggiungerà più nulla sui rapporti fra
mafia e politica che conosce. Si tratta di cose sorprendenti
per il modo in cui vengono comunicate e per la gestione nei
confronti della stampa e della nostra Commissione.
   Lei, signor ministro, ha detto che in questo momento la
mafia sembra avere un minore interesse nel traffico degli
stupefacenti...
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Non vorrei essere frainteso: è stata esclusa da una parte del
traffico, non è che non ha più interesse...
  MARCO TARADASH. Sì, ho detto un minore interesse; lei ha
detto: "a beneficio di altri paesi europei", con una sorta di
lapsus usando il termine beneficio. Pino Arlacchi
continua da anni a dirci che il traffico di droga ha
pochissima incidenza...
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Ho ricavato la mia affermazione
                         Pag. 661
 dai dati della polizia, per la verità, ed anche da qualche
segnale internazionale. Posso aggiungere, comunque, qualche
informazione: alcune correnti del traffico internazionale di
stupefacenti che usavano la "portaaerei" siciliana, come si
diceva nel passato, approfittando del disfacimento di Stati,
giurisdizioni, polizie, magistrature delle società dell'est e
della stessa condizione, per così dire, un po' più aperta in
Germania, si sarebbero spostate in quella direzione. Si tratta
di questo, e niente di più.
  MARCO TARADASH. Queste sono teorie che vengono esposte
da Pino Arlacchi da molti anni e che vengono continuamente
smentite dai fatti. Lo stesso Pino Arlacchi scrive su
l'Espresso di questa settimana che non vi è in Colombia
beneficio dal traffico di droga, ma poi si scopre che il
beneficio non è per il Governo (e grazie!) ma resta per i
trafficanti: la tesi viene però sbandierata, per cui il
traffico di droga sembra poco incidente persino sui profitti
dei narcotrafficanti, ed è veramente il massimo!
   Vorrei ora segnalare che la portaaerei Sicilia, in realtà,
non esiste più da molti anni perché si è trasferita a Rozzano
sul Naviglio, a Verona, a Trieste e via via in altre zone
d'Italia diverse dalla Sicilia, che è sotto un controllo più
diretto: ciò nondimeno il controllo mafioso su questi traffici
resta immutato, almeno in Italia. Come riferisce la stampa
estera, che leggo e che riporta notizie derivate dai rapporti
riservati dei servizi segreti, di cui purtroppo non dispongo,
l'apertura dei mercati ad est ed il traffico di denaro a
Berlino, che precede naturalmente quello della droga, si sono
accompagnati al controllo e all'insediamento mafioso italiano.
Praga, per esempio, è una centrale operativa della mafia
siciliana, non soltanto per il denaro ma anche per la droga,
che purtroppo comincia ad essere consumata anche lì. Il
controllo delle produzioni nei paesi ex comunisti, come
il Kazachistan o la Russia, si accompagna sempre a presenze
mafiose italiane.
   Il dato che ci deve interessare di più, però, è non quello
percentuale sulla presenza della mafia tradizionale italiana
in questi traffici (sia esso del 10, del 20, o del 25 per
cento), ma quello dei volumi complessivi, per vedere se i
traffici internazionali di droga aumentano o diminuiscono.
Personalmente, infatti, mi interessa poco che la gestione sia
di una cosca siciliana, marsigliese, o spagnola, quando
sappiamo che l' internazionalizzazione del crimine rende
generale il problema, chiunque sia colui che detiene il
controllo specifico, in questo o quel periodo, anche a seconda
degli scontri "concorrenziali" tra le varie bande. Sappiamo
che la produzione è in aumento e che il consumo non è in
diminuzione (probabilmente segue l'andamento dell'offerta),
per cui il problema del narcotraffico resta fondamentale.
   Lei, signor ministro, è d'accordo sul fatto che la
sottrazione del traffico di droga alle organizzazioni
criminali rappresenterebbe un duro colpo ed ha ripetuto anche
recentemente che si tratta, però, di un problema
internazionale. Lei sa che su questo sono, e siamo, d'accordo:
mi preoccupa però la possibilità che, dovendosi trovare una
soluzione internazionale, nessuno faccia niente perché non
esiste un "luogo internazionale". Se nessuno comincia ad
assumere un'iniziativa per affrontare il problema e preparare
le strutture di uno Stato a fronteggiare i problemi che pone
la legalizzazione, evidentemente non si potrà neanche parlare
a livello internazionale del problema, dato che non vi saranno
i presupposti concreti per realizzare questa sottrazione di
immensi capitali ai trafficanti. Eppure il ministro sa che in
molti paesi, non solo in Europa ma anche in America latina, si
cerca di opporre una strategia concreta al potere sia dei
narcotrafficanti sia degli Stati Uniti che, attraverso la
lotta al traffico di droga, esercitano un potere molto forte
di controllo militare e politico su alcuni paesi, lasciando in
realtà crescere quel traffico.
   La questione che pongo in concreto al ministro è la
seguente: abbiamo approvato
                         Pag. 662
 alla Camera, con il parere favorevole del Governo, un ordine
del giorno che impegna lo stesso Governo italiano ad aprire a
livello internazionale la discussione sul tema del
proibizionismo, dei suoi effetti, delle alternative possibili
e ad organizzare a tale scopo una conferenza nazionale ed
internazionale. Chiedo quindi se sono stati fatti i passi
necessari al riguardo, dato che si tratta di aspetti molto
importanti, considerando l'evoluzione internazionale e
l'ingresso di nuovi soggetti "mafiosi senza coppola" come
quelli dei paesi dell'est europeo, che sono usciti dal
comunismo e che con la democrazia hanno incontrato tutti i
grandi capitali di cui possono disporre.
              PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
                        PAOLO CABRAS
  MARCO TARADASH. I paesi baltici sono considerati
centrali importantissime del riciclaggio del narcotraffico,
anche nazionale.
   Vorrei rivolgere ancora una domanda al ministro: il
segretario di un partito della maggioranza ha dichiarato, in
un'intervista a Il Giorno, di temere di essere
assassinato. Tale dichiarazione non è stata ripresa da alcuno,
ma poiché i partiti di maggioranza sono quattro, vorrei sapere
come mai l'onorevole Vizzini ritenga di poter essere
assassinato in Sicilia e lo comunichi alla stampa senza che vi
sia alcun tipo di reazione.
  ANTONINO BUTTITTA. Ho già parlato di acta
bollandiana e non mi ripeterò. Mi ha meravigliato il fatto
che ancora una volta sia stata rappresentata la degna e nobile
figura di un magistrato come quella di un perseguitato.
Ritengo si tratti di materia opinabile, ed io sono di parere
contrario. Credo tuttavia che se vi è una cosa che nel nostro
paese risulta oggetto di forti persecuzioni è il senso della
misura, elemento assai importante in una società.
   Ritenevo - e ritengo ancora - che l'ottima relazione del
ministro assorbisse tutti i problemi che ci siamo posti in
questi pochi mesi di lavoro. Ho constatato che, purtroppo, per
alcuni colleghi non è così. Ritenevo - e ritengo ancora - che
alcuni aspetti della relazione, concernenti i quesiti che ci
siamo posti, potessero e dovessero essere approfonditi. Il
ministro, per esempio, ha segnalato di essersi impegnato nel
potenziamento di alte tecnologie ai fini del rafforzamento
della struttura in direzione di una migliore e più efficace
lotta al fenomeno mafioso; ha anche accennato ad un rapporto
con il CNR. Giudico questo un fatto assai importante e
desidero sapere dal ministro se si sia formulata l'ipotesi di
una formalizzazione di tale rapporto con una struttura che,
proprio nel settore delle alte tecnologie, possa recare un
contributo ed un apporto assai utile anche alla lotta al
fenomeno mafioso.
   L'altra domanda che vorrei rivolgere riguarda un aspetto
della relazione del ministro che giudico il più interessate;
mi riferisco all'importanza che viene attribuita dal ministro
alle indagini patrimoniali. Un'importanza che, al contrario,
non risulta dalle relazioni che finora hanno portato avanti
sia le forze dell'ordine sia la magistratura. Si tratta, al
contrario, del cuore del potere mafioso. La forza finanziaria
della società mafiosa consiste proprio nelle sue strutture
patrimoniali che, come giustamente ha segnalato il ministro,
non sono costituite soltanto da beni fisici, ma soprattutto da
flussi finanziari. Il quesito che mi pongo, e che ripropongo
al ministro, è il seguente: non trova strano il fatto che né
da parte delle forze dell'ordine né da parte della
magistratura fino a questo momento sia venuta un'organica e
forte iniziativa in relazione a indagini da promuovere, in
vista di una conoscenza di ciò che avviene all'interno di
molte agenzie finanziarie più o meno oscure e di alcune banche
che in questi ultimi tempi hanno avuto una storia rapsodica e
sussultoria ma che, comunque, hanno conosciuto, rispetto al
loro recente passato, successi che devono necessariamente far
sospettare
                         Pag. 663
 un'origine comunque incerta dei flussi finanziari che le
alimentano?
  SALVATORE FRASCA. Il ministro ci ha presentato una
relazione molto completa ed esauriente ed, ascoltandolo, io
(che sono da tempo un addetto ai lavori, quasi un milite
solitario nella lotta contro la mafia), ho detto a me stesso:
finalmente lo Stato comincia ad agire ed a comportarsi
seriamente nella lotta contro la mafia. Non vado oltre per
quel che concerne le considerazioni politiche.
   Si è parlato di riforma del Ministero. Attualmente, signor
ministro, il Ministero di grazia e giustizia si presenta come
un lembo del potere giudiziario nel potere esecutivo. E' una
sorta di anomalia che bisogna superare e correggere, facendo
in modo che i direttori generali del Ministero più che
magistrati siano funzionari vincitori di un concorso, giunti a
ricoprire quel posto con le modalità che si seguono per
diventare direttori generali negli altri ministeri.
   Un'altra questione che intendo sollevare riguarda le
informazioni di garanzia, un tempo comunicazioni giudiziarie;
tale istituto era stato creato a garanzia dei cittadini e
adesso si ritorce contro di loro. Qual è il pensiero del
ministro in ordine a tutto questo?
   Non c'è dubbio che nel corso di questi anni la carriera
dei magistrati si sia sviluppata per la presenza che essi
hanno avuto nelle sedi politiche anziché in quelle
giudiziarie; non c'è dubbio, altresì, che nella società dello
spettacolo molte volte si è dato luogo a processi che hanno
avuto una certa risonanza ma che si sono poi conclusi nel
nulla. Tutto questo è servito al magistrato proponente per
diventare deputato o senatore. Il Governo intende evitare tale
inconveniente, per esempio presentando un disegno di legge in
virtù del quale il magistrato non possa presentarsi come
candidato nel collegio in cui abbia esercitato il suo ruolo?
Seguendo l'esempio di altri paesi, si potrebbe anche
introdurre per i nostri magistrati l'esame psicoattitudinale.
Dico questo anche in riferimento a talune inchieste
ministeriali nelle quali si parla di comportamenti
caratteriali dei magistrati. Se un macchinista deve essere
sottoposto all'esame psicoattitudinale prima di essere posto
alla guida di un treno, penso che un magistrato debba
dimostrare di avere un equilibrio psicofisico prima di essere
introdotto nell'amministrazione della giustizia.
   Sempre con riferimento ai magistrati, nel 1974 o 1975 (non
lo ricordo), con la sola opposizione dei veterani del
Parlamento, vale a dire gli onorevoli Ugo La Malfa e Francesco
De Martino, venne approvata una legge in virtù della quale
furono aboliti i concorsi, così che attualmente i magistrati
possono passare da un grado all'altro per carriera. Tutto
questo non ha prodotto magistrati più qualificati e
professionalmente più preparati. Si è del parere di
reintrodurre con un disegno di legge il principio del
concorso?
   Signor ministro, al superattivismo del Ministero
corrisponde un'eccessiva lentezza del Consiglio superiore
della magistratura; vengono quindi rimproverati a lei,
ministro di grazia e giustizia, fatti secondo me imputabili al
Consiglio superiore. Non vi è dubbio, infatti, che è in suo
potere promuovere inchieste e trasmetterne le risultanze al
CSM, ma è quest'ultimo che deve poi intervenire. Mi dispiace
che il collega Brutti, che è anche stato membro del Consiglio
superiore della magistratura, non abbia rilevato tale aspetto,
perché tutto questo spiega il perdurare di certe situazioni,
che sussistono perché il CSM non si muove e che rappresentano
un pugno nell'occhio rispetto alla realtà che vogliamo
determinare.
                PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
                      LUCIANO VIOLANTE
  SALVATORE FRASCA. Quanto alla situazione di Paola, i
suoi ispettori, in più di un'occasione e con un rapporto di
3-4 mila pagine (di cui disponiamo), hanno dichiarato
l'assoluta disistima in cui versano quei magistrati. Vi è un
presidente
                         Pag. 664
del tribunale che partecipa ad attività affaristiche e
speculative confinanti con attività mafiose. Quel presidente
può rimanere al suo posto? Presso la procura troviamo il
procuratore che rimprovera i sostituti procuratori di non
fargli fare il proprio dovere e questi ultimi (tutti e tre
inquisiti) che rimproverano al procuratore di non poter fare
il proprio dovere perché questi glielo impedirebbe. E'
un'allegra situazione, ma non è comunque una cosa seria. Dal
mese di luglio sono state effettuate le necessarie ispezioni,
ma non è accaduto niente; la gente non crede
nell'amministrazione di quella giustizia e sostiene che sia,
piuttosto, ingiustizia.
   Questo vale per quanto riguarda il tribunale di Paola;
nelle varie province del circondario si riscontra una
giustizia di ordine familiare, gestita da alcuni magistrati
legati dal sistema del "comparaggio", dal sistema familiare,
da interessi personali e ad alcuni avvocati. Il tutto si
riduce in una sorta di monopolio detenuto da quattro avvocati
e qualche magistrato. In una situazione del genere, le cause
non si fanno. Sergio Zavoli, nell'ambito della famosa
inchiesta sul Mezzogiorno, ha affermato che presso il
tribunale di Castrovillari vi sono 20 mila processi inevasi.
Vorremmo sapere cosa avviene in quel tribunale dove, per
altro, c'è un procuratore della Repubblica che ha iniziato la
sua carriera 30-35 anni fa come pretore nella stessa sede.
Egli fa parte di un sistema di potere e, come tale, usa
l'azione penale nei confronti dei cittadini, discriminandone
alcuni e favorendone altri. E' questa una situazione che non
può perdurare perché la gente non crede in quel tipo di
giustizia.
   Inoltre, presidente, è avvenuto un fatto veramente grave.
Vi sono state molte inchieste legate alla lotta contro il clan
mafioso dei Cirillo che operava nella zona di Sibari; il
processo si è concluso in istruttoria (vi era, allora, il
vecchio rito) a Castrovillari e la gente afferma che tutto
questo è accaduto perché uno dei principali imputati era il
figlio del presidente dell'ordine degli avvocati.
   Per quanto riguarda Cordova, non sono favorevole ad
un'esaltazione dei magistrati ma neanche ad una loro
crocefissione; credo che debba esservi nei loro confronti un
atteggiamento equilibrato e che tale debba essere il nostro
giudizio. Ho rivolto al ministro una domanda scritta. A tale
proposito, vorrei dire al ministro, per inciso, che dovrebbe
rispondere alle interrogazioni; è, sotto tale profilo, il
ministro più reticente. Si tratta di una piccola critica
rivoltale da un collega di partito: dovrebbe far presente ai
suoi uffici la necessità di metterla nelle condizioni di
rispondere alle interrogazioni.
   Come dicevo, ho rivolto al ministro una domanda scritta:
quali sono state le risultanze delle varie inchieste a
proposito del procuratore della Repubblica di Palmi? Mi pare
che non si tratti di quel santo che afferma il collega
Tripodi. Lo seguo da molto tempo, fin dall'epoca in cui fu
giudice istruttore nel primo maxiprocesso che fu celebrato (il
presidente Violante lo ricorderà)...
  GIROLAMO TRIPODI. E' stato il primo processo contro la
mafia con pesanti condanne inflitte ai boss mafiosi.
  SALVATORE FRASCA. Infatti. Il processo si celebrò presso
il tribunale di Reggio Calabria. Insieme a Tripodi e ad altri
andai a deporre e tutto quello determinò una flessione
elettorale...
  GIROLAMO TRIPODI. Sei intervenuto al dibattimento, non
all'istruttoria, com'era doveroso.
  SALVATORE FRASCA. Non andai all'istruttoria perché già
allora non avevo fiducia in Cordova. Andai a deporre al
processo tra il clamore e le minacce dei mafiosi e quella
deposizione mi costò cara dal punto di vista elettorale.
   Quindi, ho seguito quel giudice da allora e lo conosco
molto bene. E' un giudice che, secondo le risultanze delle
inchieste ministeriali, ha difetti caratteriali. Cosa
significa che ha difetti caratteriali? Significa che egli,
volendo fare il
                         Pag. 665
protagonista, commette quegli strafalcioni nell'esercizio
della sua attività, di cui abbiamo avuto conferma questa sera
attraverso le parole del procuratore della Repubblica di
Messina.
  PRESIDENTE. Non ha parlato di strafalcioni, ha detto che
avendo chiesto dei documenti, non ha avuto risposta.
(Commenti del deputato Tripodi).
  SALVATORE FRASCA. Onorevole Tripodi, mi lasci
continuare! La verità bisogna ripristinarla una buona volta!
Se avete dei tabù, cercate di porvi delle domande e di avere
spiegazioni dalla vostra scatola cranica ma consentite che io
possa far funzionare il mio cervello!
   Ho chiesto al procuratore della Repubblica di Messina se
fosse vero che il procuratore di Palmi - che indagava
abusivamente, perché non aveva competenza, da sei mesi contro
il presidente della propria corte d'appello e contro un
deputato nazionale - al momento in cui si è spogliato
dell'inchiesta avesse mandato (cosa non prevista dal codice)
delle fotocopie incomplete del fascicolo anziché gli
originali. Questo il procuratore di Messina l'ha confermato e
ha detto anche che non era vero tutto quello che non due
pentiti ma due emeriti filibustieri avevano dichiarato (questi
due erano stati spie della polizia e al servizio dell'Alto
commissariato e poi denunciati per ricatto allo stesso Alto
commissariato).
   Dovrei leggere altre interrogazioni su fatti che stanno a
testimoniare come ci sia un uso personale, strumentale,
politico della giustizia in quella procura della Repubblica.
Questo va detto ad alta voce! Non può accadere, signor
ministro, che due giorni prima delle elezioni, senza aver
concordato niente con il procuratore generale presso la corte
d'appello da cui dipende e interessandosi anche di parti
dell'area calabrese che non erano di sua competenza, questo
procuratore abbia avviato una maxi inchiesta sui facsimile
elettorali, per vedere dove erano e se i mafiosi ne
disponevano o meno! Non può accadere che due giorni prima
delle elezioni vengano pubblicati i nomi dei candidati per i
quali erano stati trovati dei facsimile elettorali presso le
case di certi mafiosi! Chi di noi non distribuisce dei
facsimile? E non può accadere che, distribuendoli ad una
persona perbene, questa poi li dia a qualcun'altro?
  CARLO D'AMATO. Tra l'altro, non sono stati comunicati i
nomi di tutti i candidati in quella situazione, perché sono
stati trovati facsimile di molti altri candidati di altri
partiti dei quali non si è saputo nulla!
  GIROLAMO TRIPODI. Questa è la conferma delle
persecuzioni nei confronti del procuratore Cordova!
  SALVATORE FRASCA. Voi vedete persecuzioni dappertutto.
Credo che l'opinione pubblica non possa sentirsi tranquilla
per queste cose. Vogliamo sapere se presso il tribunale di
Palmi la giustizia debba essere amministrata in conformità
alle nostre leggi, se quella procura si debba muovere
nell'ambito del rispetto del codice di procedura penale oppure
no. Altri fatti, che non sto ad elencare ma che il ministro
conosce, ci dicono il contrario.
   E' venuto il momento di fare piena luce anche su Palmi,
tanto più che a me risulta che processi a carico dei mafiosi
presso il tribunale di Palmi non vengano mai celebrati.
  GIROLAMO TRIPODI. Non è vero! E' totalmente falso!
  SALVATORE FRASCA. Ci sono cinquanta processi di mafia,
risulta dal prospetto che ci ha inviato lo stesso procuratore.
Si fanno processi spettacolari per acquisire privilegi e
conquistare determinate posizioni.
  PAOLO CABRAS. Allora si fanno i processi! Prima dice che
non si fanno e poi che si fanno!
  SALVATORE FRASCA. Non mi ha ascoltato. Ho detto che non
si fanno molti processi di mafia e si fanno altri processi.
                         Pag. 666
Questo è quel che intendevo dire. C'è un rigore logico nel
mio ragionamento.
  PAOLO CABRAS. Comunque non è esatto.
  SALVATORE FRASCA. Può non essere esatto per lei, ma è
esattissimo per me. E' la sacrosanta verità. Chi le ha detto
che non è esatto? Non siamo in uno Stato bulgaro!
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Mi aiuti a capire: prima ha detto che non si fanno processi di
mafia...
  SALVATORE FRASCA. E si fanno processi spettacolari.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Di altro genere?
  SALVATORE FRASCA. Di altro genere.
   Signor ministro, faccia accertare se sia vero o no che si
fanno processi nei confronti di alcuni sindaci e non a carico
di altri sindaci, perché rappresentano gli avamposti più
avanzati del procuratore Cordova nel Parlamento e nel paese.
  GIROLAMO TRIPODI. E' una provocazione! Non può fare
insinuazioni! Potrei dire molte cose di lei!
  SALVATORE FRASCA. All'onorevole Tripodi potrei
rispondere rincarando la dose ma non voglio trasformare la
Commissione nella sede di una rissa da osteria.
   Parlando delle questioni di carattere generale mi ero
dimenticato di accennare ai beni dei mafiosi. Signor ministro,
non so se lei sa che nel mio comune, cinque anni fa, di tre
grandi aziende che appartenevano ad un mafioso ho fatto una
comunità per tossicodipendenti che attualmente ospita 350
persone. E' la comunità più grande nel Mezzogiorno. E' un
esempio che testimonia come sia possibile utilizzare i beni
sequestrati o confiscati ai mafiosi. Però dobbiamo intervenire
sul serio. Possono intervenire i sindaci, i prefetti, si
possono realizzare altre cose. Nella legislazione sono stati
compiuti passi avanti sulla linea di questo precedente di
Sibari ma in Campania, in gran parte della Calabria ed in
Sicilia i beni sequestrati tornano al mittente. Dobbiamo
cercare di interrompere il circuito.
  ROSARIO OLIVO. Innanzitutto, rivolgo un apprezzamento
non rituale alla relazione del ministro, che giudico di alto
spessore e che testimonia il grande impegno antimafia del
ministro Martelli.
   Vorrei sollecitare un approfondimento da parte del
ministro su alcune dichiarazioni di pentiti in ordine alle
tentazioni separatiste di Cosa nostra. Inoltre, vorrei un
approfondimento sul rapporto tra Cosa nostra e 'ndrangheta.
  MARIO BORGHEZIO. Sollecitato dall'intervento del
senatore Frasca, vorrei premettere alle domande che intendo
porre sulla relazione del ministro, una brevissima
osservazione. Se eventualmente fra i numerosi magistrati
ancora parcheggiati al Ministero di grazia e giustizia ve ne
fosse qualcuno, magari anche con qualche leggerissimo difetto
psicologico, ma dotato di altrettanta grinta e capacità
lavorativa del procuratore Cordova, pregherei il ministro di
indirizzarlo in uno dei numerosi uffici giudiziari in cui
necessita la presenza e l'attività di uomini coraggiosi,
decisi e determinati nella lotta alla mafia.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
In diciotto mesi il numero dei magistrati che lavorano presso
il Ministero di grazia e giustizia è sceso dai 127 che erano
quando ho assunto il mio incarico agli attuali 100. Quindi più
di 20 sono stati restituiti agli uffici giudiziari. Non ci
sono precedenti, visto che i miei predecessori in genere
tendevano ad allargare il numero dei magistrati distaccati
presso il Ministero. Naturalmente, finché non abbiamo la
riforma del Ministero, per legge certe funzioni fondamentali
possono essere assolte soltanto da
                         Pag. 667
magistrati. Bisogna modificare la legge per poter sostituire
in certi incarichi organizzativi, di tipo aziendale,
finanziario e anche industriale, i magistrati con altri
dirigenti prelevati dal libero mercato o da altre
amministrazioni pubbliche.
  MASSIMO BRUTTI. Ha accertato quanti ce ne sono presso
altri ministeri?
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Ne parlammo nella Commissione giustizia del Senato. Posso dire
che ho resistito a tutte le richieste che provengono da altre
amministrazioni dello Stato, ivi comprese le Commissioni
parlamentari. La verità è che c'è una ricerca costante del
magistrato (non solo quella del posto non giudiziario da parte
degli stessi magistrati), perché molti si sentono meglio
garantiti quando hanno dei magistrati nelle loro
amministrazioni. Questa tendenza viene contrastata, ripeto,
solo da diciotto mesi a questa parte. Qualche beneficio
modesto si è prodotto, con la restituzione agli uffici
giudiziari di un numero limitato di magistrati.
  MARIO BORGHEZIO. Prendo atto del leale riconoscimento
del ministro che fino ad ora era invalsa l'abitudine di
aumentare il numero dei magistrati impiegati al Ministero di
grazia e giustizia. Confermo il mio invito a far sì che tutti
coloro che non sono impiegati in compiti specifici vengano al
più presto indirizzati al lavoro giudiziario, tenendo conto
dei gravi problemi posti dall'emergenza mafiosa.
   Sulla relazione del ministro nutro alcune riserve. La
prima è che ho l'impressione - come d'altronde ho avuto in
tutte le altre audizioni, compresa quella delle autorità di
polizia - vi sia una sensibilità limitata in ordine alla
necessità di reprimere il processo sicuramente molto
silenzioso ma non per questo meno reale di penetrazione della
mafia al nord. Eppure anche nell'ultima audizione di un
collaboratore della giustizia abbiamo avuto dati molto
impressionanti: si parla di commissioni regionali in Piemonte
e in Lombardia, con un'organizzazione provinciale ed una
struttura molto articolata. Chi, come me, vive in queste
regioni ne sa qualcosa, perché i segnali sono numerosi.
D'altronde, i fatti di cronaca e i recenti arresti di capi
mafiosi in zone del nord lo confermano.
   Inoltre, ci sono le parole pronunciate due anni fa dal
procuratore generale presso la corte d'appello di Torino al
momento dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, in merito
alla penetrazione delle cosche in quelle zone.
   Ritengo che il Ministero debba avere altra e più
approfondita attenzione a questo problema.
   Vorrei sapere qualcosa di più, anche in relazione alle
dichiarazioni rese di recente dal procuratore di Milano, sulle
indagini che si intende promuovere sulla penetrazione mafiosa
nel settore della borsa, particolarmente nelle piazze
finanziarie più importanti del paese. Anche a questo proposito
sono convinto che l'attività di indagine sia ad un livello
ancora molto arretrato nel nostro paese, a fronte di una
realtà sicuramente preoccupante, perché gli elementi di
valutazione sono numerosi. Di recente, ho avuto un colloquio
con il curatore fallimentare di uno dei più grossi scandali
finanziari degli ultimi anni. Egli, sapendo che sono membro di
questa Commissione, mi ha incoraggiato a portare avanti questo
discorso perché gli elementi di cui gli addetti ai lavori
dispongono sono convergenti. Se il ministro, per esempio,
ascolterà, attraverso gli opportuni strumenti, le opinioni
degli uffici giudiziari di Torino e Milano, ne avrà senz'altro
conferma.
   Nella relazione del ministro ho riscontrato pochi elementi
su un punto nodale. In questi giorni, il finanziamento dei
partiti è al centro del dibattito politico. Il rapporto
mafia-politica costituisce il cuore della lotta alla mafia.
Inoltre, si stanno svolgendo indagini a tappeto sul voto
mafioso. Sarebbe opportuno sapere quali siano le indicazioni
provenienti dalle varie procure e direzioni antimafia anche in
relazione al finanziamento dei partiti. Questo problema non
riguarda certamente un solo partito. Se pensiamo
                         Pag. 668
a quale sia stato in questi anni l'intreccio dei rapporti tra
le nomine pubbliche, gli affari, gli appalti e il
finanziamento, ci rendiamo conto che questo è un livello molto
alto e delicato di fronte al quale, finora, si sono fermati un
po' tutti; e capiamo che dobbiamo partire di qui, facendo
chiarezza una volta per tutte e fugando ogni sospetto. Per
essere chiaro, io ho il sospetto, anzi ne sono convinto, - non
dico di avere prove oggettive, ma ragiono con il buon senso -
che la mafia non possa essere estranea ai grandi appalti,
anche internazionali, ai movimenti sui cambi, alle
speculazioni sulle valute e ai giochi di borsa. Il rapporto
affari-politica è anche questo, il finanziamento in nero dei
partiti o di correnti o di gruppi politici, magari settoriali
o regionali. Poiché in questo settore mi sembra che siamo
ancora molto indietro, su questo aspetto richiamo l'attenzione
del ministro.
  PRESIDENTE. Con l'intervento dell'onorevole Borghezio
sono terminate le richieste dei colleghi. Tuttavia, se qualche
collega avesse ancora qualche breve richiesta da formulare
(per esempio, il senatore Cappuzzo ha chiesto di porre una
questione), con l'assenso del ministro potremmo concedergli
nella prossima seduta un minuto prima della replica.
  CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia.
Senz'altro, presidente.
  PRESIDENTE. Il seguito dell'audizione è rinviato alla
seduta di lunedì 21 dicembre, alle ore 18.
La seduta termina alle 19,20.

 


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