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Prima produzione verghiana

Verga scrive i suoi primi romanzi tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta dell’Ottocento (Amore e patria, I carbonari della montagna, Sulle lagune), opere ancora legate a un romanticismo patetico e risorgimentale, frutto di un gusto un po’ antiquato lontano dalle novità di altri ambienti culturali.

Accortosi della ristrettezza del mondo letterario catanese, Verga sente il bisogno di entrare in contatto con le correnti più moderne e avanzate della cultura italiana; dal 1865 compie viaggi a Firenze, capitale dell’Italia unificata, con una grande voglia di successo e mondanità; è qui che ha i primi contatti con artisti e letterati all’avanguardia, tra cui Luigi Capuana. In questa occasione ha modo di rivedere e arricchire il suo modo di scrivere e di pubblicare i suoi primi due romanzi, Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871).

Nel 1872 si trasferisce a Milano, realtà più dinamica e stimolante al tempo rispetto alla città toscana, di maggiore apertura internazionale, luogo d’incontro privilegiato di artisti e intellettuali. Qui, oltre a Luigi Capuana che lo raggiunge, frequenta Boito e Praga, inizia a leggere Balzac, Zola, ad avvicinarsi al naturalismo francese. La produzione dello scrittore si intensifica velocemente, pubblica Eva (1873), Eros (1874) e Tigre reale (1875), romanzi d’ambientazione borghese, nei quali sono esplicite le influenze del gusto tardo-romantico e scapigliato, accanto ai quali, però, nascono i primi esempi di novelle e bozzetti di ambientazione siciliana, Nedda (1874) e Padron ‘Ntoni, il primo progetto per I Malavoglia (1881).

I romanzi del decennio 1865-1875 hanno subito incontrato il favore del pubblico e sono stati fonte di buoni affari per gli editori dell’epoca; sono opere che hanno molto in comune, innanzitutto la storia ruota, quasi sempre, intorno alla figura di un artista provinciale trasferitosi in una grande città, in secondo luogo si tratta di una sorta di autobiografia in cui l’autore vuole evidenziare le conseguenze dovute all’incontro con un mondo corrotto, immorale, che minaccia l’integrità del protagonista. Questo nuovo mondo è rappresentato sempre dalle donne, dalla loro artificiale e diabolica bellezza. Tema ricorrente è, infatti, il mistero dell’innamoramento, legato al fascino della lontananza e all’illusione che si nasconde dietro la figura femminile; ma anche il mito dell’apparenza: una volta caduti gli apparati scenici, nel momento in cui subentra la quotidianità, la realtà della donna si rivela in tutta la sua povertà e suscita repulsione. Nelle sue opere c’è la volontà di analizzare le passioni, affinché si raggiunga il fine dell’arte che, per Verga, è la rappresentazione del vero. Questo è spiegato dallo scrittore nella prefazione ad Eva, in cui, tra l’altro, Verga polemizza con la società a lui contemporanea, che considera salottiera, frivola, avida di piaceri. L’autore, con i suoi valori provinciali profondi, è affascinato dalla città cosmopolita, dalla sua eleganza e cultura, ma allo stesso tempo vi si sente a disagio e non ne può accettare l’ipocrisia, l’egoismo, il culto del denaro. E’ molto significativo allora che la quasi totalità dei protagonisti, ormai sconfitti nelle passioni e già “vinti” dalla vita, possa trovare pace solo tornando nel paese d’origine, riscoprendo il valore della famiglia, andando ad abitare in campagna, fuggendo così dai mali della città.

In questi primi racconti la personalità dello scrittore non è ancora ben definita, è influenzata da esperienze diverse; ad esempio, Una peccatrice risente molto del romanzo psicologico mentre la narrativa milanese è ispirata ai romanzi francesi d’appendice e fa emergere maggiormente l’intento di denuncia della corruzione e immoralità della società.

Proprio Una peccatrice è stato il primo romanzo di questo “ciclo mondano”, definito così da Lo Castro; una vicenda che è frutto della sensibilità tardo-romantica dell’autore, dell’idea di un amore passionale e travolgente che può condurre unicamente alla disperazione o alla morte. Già in questo racconto la donna è oggetto di desiderio solo per mezzo dell’artificio: modi eleganti, abiti sfarzosi, forme esteriori. Con il passaggio dal mondano al quotidiano il suo fascino decade e la passione dell’uomo si spegne. La figura femminile si abbandona all’avventura con il giovane romantico perché annoiata dalla vita mondana, un atteggiamento che lo scrittore attribuisce alla società borghese con cui polemizza; la protagonista mostra una maggiore capacità di lasciarsi andare alla passione, di non restarne delusa e di rinunciare alla vita quando capisce che il fallimento è definitivo. Per distaccare il lettore dall’estremo romanticismo del protagonista maschile, è inserito un terzo personaggio, il medico Raimondo Angiolini, che analizza la storia con il suo sguardo scientifico. Ancora manca l’ambientazione che Verga riterrà invece necessaria nelle opere veriste, soprattutto per rendere la verosimiglianza dell’azione; la vicenda si svolge, infatti, lontano dalla vita comune. Non si può certo parlare di verismo, ma di realismo sì, anche se visto con un’accezione negativa, come un difetto dei personaggi che va corretto e superato.

Storia di una capinera fa parte di questa produzione ma è un’opera più autentica, già in linea con i futuri romanzi veristi. Scegliendo il tema della clausura forzata di una giovane ragazza, tema molto attuale all’epoca, Verga cerca di far presa sul pubblico femminile borghese. Ma la novità sta proprio nel raccontare la storia dal punto di vista di una donna. I vezzeggiativi e i sentimentalismi, di cui il testo è pieno, sono le espressioni di una ragazza per bene, quale è la protagonista e quali sono le destinatarie del romanzo. Lo scrittore verista si nasconde dietro ai personaggi e preferisce far parlare loro, con il limite della loro cultura e delle loro esperienze. La forma epistolare con cui viene costruito il racconto aiuta a rendere ancora più invisibile la presenza del narratore, risultando come un lungo monologo nel quale la ragazza descrive tutte le sue emozioni e le sue angosce.

Contemporaneamente a questo romanzo Verga scrive Eva, poi terminato e pubblicato a Milano; ci troviamo di nuovo a contatto con uno dei primi personaggi femminili verghiani, che vivono passioni amorose travolgenti ma proiettate verso la delusione e la sconfitta, si avvalgono dell’artificio, del mascheramento estetico. Come in Una peccatrice, si percepisce molto bene il contrasto tra artificio e natura, una natura considerata volgare, da cui alla fine si fugge.

In Eros, a differenza degli altri romanzi di questa stagione letteraria, la vicenda non è racchiusa nel racconto di un’unica passione, bensì introduce un quadro più vasto della vita di un uomo; l’intreccio è più movimentato, la visuale narrativa è allargata a più personaggi. Viene rivelato l’intero corso dell’educazione sentimentale del giovane protagonista, il quale, come esito, non otterrà altro che scetticismo. Verga non concepisce un riscatto morale o una catarsi nei personaggi per risollevarli dalla loro vita, consumata nelle passioni e nella vuota mondanità. Già con questi romanzi lo scrittore sta maturando la consapevolezza delle difficoltà che l’esistenza offre a tutti i livelli sociali. Anche chi, come il marchese Alberti, ha il privilegio di godere di una buona cultura e una posizione sociale invidiabile, è comunque vittima delle menzogne che la società mondana gli offre con amori futili e passioni illusorie. Contro il modello di una vita dissipata e incerta Verga pone la sincera e schietta condotta di Adele, ricca dei valori sani e fermi della vita domestica, di cui godrà anche il marchese, seppure per un breve periodo, accanto alla cugina. Le altre figure femminili che le sono affiancate sono, al contrario, l’emblema della frivolezza, come Velleda, o della infedeltà matrimoniale, come la marchesa Armandi. Le sensazioni immediate del marchese si scontrano con il continuo freno posto dall’etichetta sociale. Verga delega ad un narratore esterno il compito di parlare dei personaggi. Ma il narratore, che si appresta a raccontare la vicenda, non riesce ad approfondire la loro psicologia e la sua capacità di analisi del comportamento umano si ferma alla pura osservazione. Come lo stesso Verga ammetterà Verga nei successivi romanzi, più si sale nella scala sociale, più le passioni degli uomini sono celate e filtrate dalla compostezza imposta dalle regole del vivere civile. Poiché, però, l’uomo è dominato dalle passioni, lì dove vige il buon costume e il silenzio può nascondersi la menzogna di un’emozione non confessata. Una logica di inganno e simulazione, quindi, regola le convenienze e la buona educazione dell’alta società.

Successiva alla pubblicazione di Eros si colloca l’uscita di Tigre reale, scritto in due momenti distinti. La prima stesura si avvicina molto al modello di Una peccatrice, raccontando la storia della passione tra un giovane e una baronessa, e riprende alcuni elementi dal repertorio d’appendice, come un’avventura con i briganti e altri colpi di scena. Nella seconda e definitiva redazione, Verga mette in primo piano la famiglia, rappresentata dalla figura della moglie Erminia. In lei sono racchiuse le virtù femminili e le doti della dolcezza coniugale, caratteristiche che la rendono capace di saper resistere alle passioni proibite, contrariamente al marito Giorgio. Costui è continuamente attratto dal forte coinvolgimento sentimentale per la baronessa russa Nata. Con questa opera, l’ultima del gruppo dei “romanzi mondani”, il narratore si distacca sempre più dalla vicenda. La sua figura è quella di un confidente del protagonista che si limita a riferire le stravaganti disavventure dell’amico mondano, mostrando al contempo la sua distanza dai suoi frivoli comportamenti.

A cura di Federica Savelli e Daniela Pescetelli.

Revisione di Alessandra Ciprari.


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