da "Per le vie" (1883)
L'osteria dei «Buoni Amici»
La prima volta che agguantarono Tonino in questura, un sabato grasso, fu
per via di quelle donne di San Vittorello, che l'Orbo l'aveva strascinato a far baldoria
coi denari della settimana. Per fortuna non gli trovarono addosso la grossa chiave colla
quale aveva mezzo accoppato il Magnocchi, merciaio.
Erano stati a mangiare e a bere all'osteria dei «Buoni Amici», lì in San
Calimero, e l'Orbo aveva raccattato pure il Basletta e Marco il Nano - pagava Tonino.
Dopo, pettoruto per la spesa che aveva fatto, disse: - S'ha da andare al
Carcano? - che c'era veglione quella sera. Ma subito rientrato in sé si pentì della
scappata, e contava nella tasca adagio adagio i soldi che gli restavano.
Gli altri lo sbeffeggiavano. - Hai paura della mamma, neh? o della Barberina
che ti tratta a sculacciate, come un bambino? - Già se loro andavano al veglione il
biglietto lo pagavano a spintoni, tutti e tre ragazzi che gli bastava l'animo di passare
sotto il naso delle guardie col mozzicone in bocca. E lì in teatro brancicamenti e
pizzicotti alle mascherine, che non cercavano altro, tanto che il Nano e Basletta escirono
a cazzotti, nel tempo che Tonino aveva condotto a bere una Selvaggia, la quale leticava
coi cappelloni ogni volta, a motivo di quel gonnellino di piume che sventolava come una
bandiera. Al caffè, coi gomiti sul tavolino, si erano dette delle sciocchezze, e la
Selvaggia ci rideva su, col petto che gli saltava fuori, dall'allegria. Tonino gli avrebbe
pagata mezza la bottega, sinché ne aveva in tasca, tanto erano ladri quegli occhi tinti
col carbone, e quel fiore di pezza nei capelli, che gli avevano fatto come
un'imbriacatura. E gli proponeva questo, e gli proponeva quell'altro, come uno che se ne
intendeva ed era del mestiere, tavoleggiante al caffè della Rosa, lì a San Celso.
L'Orbo, accorso all'odor del trattamento, andava dicendo che Tonino era figlio della prima
erbaiuola del Verziere, e poteva spendere. Ma la ragazza voleva tornare a ballare, to'!
Era venuta pel veglione. Poi non aveva più sete; grazie tante; un'altra volta. Tonino
più s'accendeva: - Ancora un valzer, bellezza! - E ci si metteva tutto, col suo bel garbo
di giovane di caffè, pettinato a ricciolini, dimenando il busto, le gambe che
s'intrecciavano a quelle di lei, e sotto il naso quel petto che gli infarinava il vestito.
- Mi lasci andare, caro lei, in parola d'onore. Ci ho lì il mio ballerino che mi ha
pagato il costume, quel turco che fa gli occhiacci. Se vuol venire a trovarmi sa dove sto
di casa, a San Vittorello; cerchi dell'Assunta -.
Tonino, rosso come un gallo, gli avrebbe mangiato il naso a quel turco, anima
sacchetta! L'Orbo, che gli stava alle costole non avendo altro da fare, lo calmava così:
- Finiscila, e andiamo a bere -.
Là fuori aspettavano Marco il Nano e Basletta, masticando un mozzicone di
sigaro, e colle mani in tasca. Per scaldarsi andarono insieme dal Gaina. Tonino, che gli
bruciava il sangue dal bere e dalla gelosia, ed anche di quel che gli dicevano che stesse
sotto le gonnelle di sua sorella, sbraitava che voleva fare uno sproposito, porca l'oca!
Voleva andare ad aspettare l'Assunta in barba al turco, proprio sulla sua porta, a San
Vittorello! E gli altri, Marco il Nano e Basletta, a ridergli sul naso.
Lui, per mostrare che era in sensi, non l'avrebbero tenuto in quattro. -
Lascia andare, via! A quest'ora non ci aprono più ti dico. Piuttosto andiamo dal
Malacarne che ha il valpolicella buono! - Tonino, buon figliuolo, da un momento all'altro,
dimenticava ogni cosa e si lasciava condurre dove volevano, allegro come un pesce,
sgolandosi a cantare la Mariettina, e come incontravano delle maschere gli
gridavano dietro delle porcherie.
Il Nano che aveva il vino donnaiuolo, tornò al discorso dell'Assunta, un bel
tocco di ragazza, per bacco, con quel vestito da selvaggia! E allora Tonino s'infuriava
coi compagni che non lo lasciavano andare dove gli pareva e piaceva, e lo tenevano davvero
per un ragazzo! Così leticando, e colla lingua grossa, avevano fatto senza accorgersene
il Corso di San Celso e via Maddalena, che Tonino alla cantonata si mise a correre per via
San Vittorello, e voleva che gli aprissero a ogni costo, giacché di sopra c'era ancora il
lume. Le donne al sentire i sassi alle finestre e i calci con cui picchiavano alla porta,
si misero a gridare come se venissero ad accopparle, e non per altro.
Magnocchi il quale era ancora di sopra coi compagni, scese in istrada.
- Cosa venivano a cercare? Volevano un salasso pel vino che avevano in corpo?
- Te lo darò io il salasso, barabba! -
Nel parapiglia si udì gridare: - Ahi! m'ammazzano! - E l'Orbo fu appena in
tempo di buttar via la chiave con cui Tonino aveva rotto il capo a quell'altro, che il
ragazzo, pallido come un morto, non sapeva da che parte scappare, e già si udivano gli
stivali delle guardie.
Ai parenti andarono a dirglielo il giorno dopo, mentre la sora Gnesa disfaceva
il banco, e la Barberina, fuori la baracca, guardava inquieta di qua e di là se spuntasse
il fratello, perché il padrone del caffè l'aveva mandato a cercare. Fu l'Adele, la
ragazza del barbiere che era venuta a vedere se ci avessero ancora due soldi di ravanelli
rossi, per dopo tavola, e l'aveva sentita in bottega. - Hanno ammazzato quel che vende i
nastri in via San Vittorello, e Tonino era nella rissa -. Per fortuna il Magnocchi non era
morto; ma le donne, madre e figlia, si misero a strillare che Tonino li aveva precipitati.
In un momento tutto il Verziere fu in rivoluzione. Barberina afferrò in mano le sottane,
e via a chiamare il babbo, che solennizzava la domenica grassa dall'Ambrogio, il
primogenito, il quale teneva pizzicheria in via della Signora. - Hanno arrestato Tonino in
via San Vittorello! - Il sor Mattia, ancora male in gambe, prese il cappello per correre a
San Fedele, e Ambrogio anche lui, scongiurando la sorella di chetarsi, per non rovinargli
il negozio. In Questura li accolsero come cani, padre e figlio. Li lasciavano lì, sulla
panchetta, senza che nessuno gli badasse, a far perdere tempo al pizzicagnolo, quella
giornata, col cappello fra le mani. Il maresciallo che lo conosceva, gli disse burbero: -
Torni domattina. Ha un bell'arnese di fratello, sa! -
Poi Tonino escì a libertà, col cappelluccio sulle ventitré. Alla sora Gnesa
che piagnucolava e brontolava, rimbeccò: - Orsù! finitela, mamma! Che son stufo, veh! -
E accese la pipetta. La Barberina invece non voleva finirla. Gli strillava che
era un boia, e loro marcivano sotto la tenda in Verziere per mantener il signorino in
prigione e pagargli i vizi. Tanto che il fratello voleva darle due ceffoni, e fregarle
quella sua faccia di pettegola colla sua stessa insalata, fregarle! In quella arrivò il
babbo, e si rimise la pipa in tasca, mogio mogio.
- Brigante! - cominciò il sor Mattia. - Cattivo arnese! non vedi come si
lavora noi, tua mamma, tua sorella e Ambrogio? Ti pare che abbiamo a mantenere i tuoi
vizi? Prima che ti accoppino gli sbirri voglio strozzarti colle mie mani piuttosto! Voglio
romperti le ossa!
- Ohè! - sclamava Tonino pallido come un cencio, e schermendosi coi gomiti. -
Ohè! non giocate colle mani, babbo! non giocate! -
La sora Gnesa strillava peggio di un oca, e la Barberina faceva accorrere
tutto il Verziere. Il babbo diceva le sue ragioni a tutti. Per dargli uno stato aveva
messo Tonino cameriere al caffè della Rosa, uno dei primi, e il padrone era suo amico.
Quando si fosse impratichito si poteva aprir bottega anche loro; Ambrogio pizzicagnolo, le
donne erbaiuole, lui al banco, tutta un'architettura che faceva rovinare quello
scapestrato! Il sor Mattia soffocava dalla bile. Per non lasciarsi andare a qualche
sproposito se ne tornò in via della Signora.
Ambrogio corse a trovare il padrone del caffè, pregandolo di ripigliare
Tonino, che era pentito e prometteva di far giudizio.
- Caro lei, è impossibile. Nel mio mestiere è un affare serio. Ora che in
questura hanno preso gusto a vostro fratello, non mi piace di vedermi quelle facce tutto
il giorno in bottega, che vengono a cercarmelo in cucina e dietro il banco. Ci va del mio
negozio. Voi lo pigliereste? -
Ambrogio non voleva che suo fratello bazzicasse neppure nella sua bottega,
dacché un questurino gli aveva battuto sulla spalla come a un vecchio amico.
Le donne, il babbo e tutti si sfogavano allora sul malcapitato, buono a nulla,
che restava di peso alla famiglia, e nessuno lo voleva. - Ero buono soltanto quando
portavo a casa i denari delle mance! - brontolava il ragazzone, che gli facevano mancare
quel che si dice il bisognevole, e lo tenevano in casa come un pitocco.
Un giorno che Basletta lo incontrò a girandolare fra i banchi del mercato
esclamò:
- Tò! Sei qui? È un pezzo che non ti si vede. Mi paghi da bere? -
Tonino rispose che non aveva soldi. I suoi di casa gli avevano fatte delle
scene per quella storia di San Vittorello. Basletta, come passavano vicino alla baracca
della sora Gnesa, adocchiò la Barberina che ammazzolava delle rape, colle belle braccia
rosse, nude sino al gomito.
- Finiscila! - borbottò Tonino. - Non mi piacciono gli scherzi a mia sorella.
-
- Guarda! adesso che sei stato in tribunale ti sei fatto permaloso! Non te la
mangio mica tua sorella! Bel modo di accogliere la gente! -
Voleva condurlo a salutar gli amici, cent'anni che non lo vedevano. Tonino,
nicchiava. - Bestia! pel conto che fanno di te i tuoi parenti! Piantali, via -.
Ai Buoni Amici trovarono l'Orbo, che voleva salutar Tonino anche lui, e
giuocava a briscola in un cantuccio con dei carrettieri. Al Verziere non ci veniva più,
perché la sora Gnesa lo accusava di guastargli il figliuolo, e Barberina gli faceva delle
partacce. - Un gendarme, quella ragazza! - Poi dissero che volevano andare a cercare il
Nano, il quale aveva disertato dai Buoni Amici dacché l'oste non gli faceva più credito.
Prima di scovare dove avesse dato fondo il Nano dovettero girare mezza dozzina
d'osterie. Marco adesso era come un uccello sul ramo, dacché aveva piantato i Buoni
Amici. L'Orbo, che aveva vinto a briscola, pagò due volte da bere. Poi col Nano si
abbracciarono e baciarono come se uscissero tutti di prigione; e stavolta pagò il Nano.
- Voi altri, - conchiuse, - vi fate ancora rubare i quattrini da quel dei
Buoni Amici. - Belli, quelli amici! Tutte guardie travestite, la sera! -
Sicché, per farla corta, escirono in istrada ch'era acceso il gas, e Basletta
doveva ancora andare a fare la mezza giornata del lunedì col principale, che l'aspettava
in via dei Bigli, - c'era da mettere dei tappeti, prima di sera, che arrivavano i padroni!
- Orbè! - rispose il Nano. - Arriveranno senza tappeti, e il principale aspetterà. Io ho
piantato il mio, e piglio lavoro in casa, quando capita, da ebanista. È che ci vogliono
capitali. Ma intendo lavorare a modo mio -.
L'Orbo non gliene importava, perché s'era guadagnata la giornata a briscola.
Egli non aveva mestiere fisso. Faceva di tutto, facchino, tosatore di cani, stalliere,
sensale. Guadagnava dippiù, ed era libero come l'aria. - Viva la libertà! - esclamò
Basletta. - Quando verrà la repubblica non ci saranno più né giovani né principali -.
E tutti e quattro andavano ciondolando sul bastione, cantando a squarciagola,
e giuocando a spintoni verso il fossato.
Prima d'arrivare a Porta Romana videro luccicare nel buio le placche dei
carabinieri. Risposero che tornavano dal lavoro. Tonino allora salutò la compagnia.
- Torna a casa, va, ragazzo! Se no la Barberina ti dà le sculacciate! - gli
gridavano dietro.
- Dacché è stato a San Fedele quel ragazzo è diventato un pulcino bagnato,
- disse l'Orbo. Ma ei non dava retta. All'Orbo, che lo stuzzicava più davvicino, gli
diede una gomitata che quasi lo faceva ruzzolare nel fossato.
In casa aiutava al negozio delle donne. Si alzava di notte, per scaricare i
carri degli ortolani, rizzava il banco, accendeva il caldaro per le bruciate. Più tardi
scambiava delle barzellette coi banchi vicini, giuocava di mano colle servotte, pispolava
alle ragazze che passavano. Poi sbadigliava e si stirava le braccia. Ogni giorno leticava
colla sorella che gli lesinava il soldo per la pipa.
- Gli serve per quelle donnacce di via Pantano, che gli fanno pissi pissi
dietro le persiane! - borbottava la Barberina. Ella non avrebbe dato un cavolo a credenza
neppure al sor Domenico, il vinaio lì sulla cantonata, che era un uomo stagionato e
facoltoso, e doveva sposarla. Tutta intenta al suo negozio, quella ragazza! Il sor
Domenico stesso, alle volte, si muoveva a compassione del ragazzaccio, e gli dava il soldo
ridendo. Tonino, rosso come un pomodoro, lo prendeva perché dovevano essere cognati; ma
gli cuoceva dentro, perbacco!
- Lavora! - gli rinfacciava il sor Mattia. - Fa quello che facciamo noi,
poltronaccio! - E non si sarebbe mosso per cento lire dal suo posto, accanto al banco del
pizzicagnolo, colle mani in croce sul bastone.
Gli amici, ogni volta che incontravano Tonino, gli dicevano:
- O scioccone! non vedi che ti tengono peggio di un cane? Fossi in te li
pianterei, loro e il pane che ti fanno sudare -.
L'Orbo aggiungeva che lui non voleva mischiarcisi, perché la Barberina
minacciava di cavargli gli occhi, se lo vedeva bazzicare con suo fratello.
- Un accidente, quella ragazza! - Ora lui cercava di vivere in pace e avere il
suo pane assicurato. S'era messo a fare il facchino in una drogheria. Un buon impiego,
niente da fare, e qualcosa spesso da mettersi in tasca. Tonino giurava che a lui gli
bastava l'animo di pestargli il muso come i gatti, a sua sorella. Volevano vedere?
Ai Buoni Amici era una vergogna dovere accettare sempre le gentilezze degli
altri; o se facevano un litro alla mora, e gli toccava pagarlo, esser costretto a segnarlo
sul muro, col carbone. Gli davano a credenza perché sapevano di chi era figlio, e che in
fin dei conti avrebbe pagato. Inoltre s'ingegnava con le carte da giuoco, a briscola o a
zecchinetta, talché alle volte andava a finire a pugni e a calci, e l'oste li cacciava
tutti fuori, per non compromettere l'osteria. Già i questurini la tenevano d'occhio, a
motivo di quelle facce che vi bazzicavano, e ogni volta che c'era da fare una retata per
primo mettevano le mani ai Buoni Amici.
Aveva ragione il Nano di dire che quel posto era peggio del bosco della
Merlata. Non si era mai sicuri d'andare a dormire nel suo letto, quando si passava la sera
in quella bettola. Ma egli stesso vi era tornato per la malinconia di non poterne fare a
meno. Là si radunavano l'Orbo, Basletta, ed altri amici dello stesso fare, che alle volte
conducevano pure delle donne, e si stava allegri, mondo birbone!
A trovare il Basletta veniva spesso Lippa, una bruna alta appena così, ma col
diavolo in corpo, e dicevano che doveva sposarla in estremis. Basletta brontolava
quando lo chiappava a cena; ma ella gli ficcava le mani nel piatto senza domandare il
permesso, e come non bastasse, alle volte, si tirava dietro anche la Bionda, magra e
allampanata, che ci volevano gli spintoni per risolverla ad entrare, e si mangiava i
piatti cogli occhi. Tonino stesso, per compassione, una volta l'aveva invitata, e così
s'era fatta la conoscenza. Dopo venivano fuori a passeggiare all'aria aperta sul bastione.
- Mia sorella non vuol capirla che alla mia età ho bisogno di denari anch'io!
- brontolava fra di sé. - Gli par che tutti non abbiano altro in mente fuori del negozio,
come il suo vinaio.
- E tu ingégnati! - gli rispose l'Orbo. Marco il Nano in quei giorni aveva
fatto un negozio, che arrivava sempre colle tasche piene, e gli altri ne parlavano
sottovoce fra di loro. Le guardie di questura quando venivano a fiutare il vento, e
vedevano che cambiavano discorso, o tacevano subito, battevano sulla spalla di Tonino, e
gli ripetevano: - Bada bene, che ci torni a San Fedele! -
La Bionda, se leticavano sul bastione, perché Tonino era geloso, gli diceva
colla faccia pallida: - Hai ragione, tò! ma io sono una povera ragazza, e bisogna che
m'aiuti! - Lui si struggeva sentendosela spiattellare in faccia, con quella voce calma, e
quegli occhi grigi che lo guardavano tranquillamente sotto il lampione. Spesso erano
insieme, lui, l'Orbo e Marco il Nano colla Bionda, briachi tutti e quattro, che ogni volta
allungavano le manacce Tonino avrebbe fatto un omicidio. E poi da solo ruminava ciò che
gli rinfacciava la Barberina, che bisognava prima d'ogni altro ingegnarsi.
E s'ingegnò davvero. La Barberina non sapeva che dovesse ingegnarsi appunto
col suo cassetto, una notte che tutti dormivano in bottega, e che si era messo a lavorare
attorno al banco con un chiodo storto in punta. Fatto il tiro spalancò l'uscio, e si mise
a gridare al ladro, come se la Barberina fosse donna da lasciarsi infinocchiare. Ma essa
lo abbrancò pel collo, in camicia com'era, e voleva mandarlo in galera senza dar retta a
lui che giurava e spergiurava, colle mani in croce, di non saper nulla. Accorsero la
mamma, Ambrogio e il sor Mattia, a fargli vomitare il morto, e così lo cacciarono via
nudo e crudo, che la Bionda, quando lo vide arrivare con quella faccia, non ebbe il
coraggio di chiudergli l'uscio sul naso.
L'Orbo, che era diventato amico di casa, gli predicava: - Se vuoi vivere alle
spalle di quella povera ragazza, sei un maiale ve'! -
Lei pure gli seccava d'averlo sempre attaccato alle sottane, che non gli
lasciava mezz'ora di libertà colla sua gelosia; e lo mandava a lavorare. Egli sospettava
che fosse per godersela insieme all'Orbo.
- Ti giuro che voglio bene soltanto a te! - rispondeva lei. - Ma che vuoi
farci? Non son mica una signora! -
E lui se ne andava, col cuore stretto in un pugno.
Un bel giorno arrestarono il Nano e Basletta, per un furto di certi pacchi di
candele nella drogheria dov'era l'Orbo, e Tonino pure, col pretesto che l'avevano trovato
sul canto di via Armorari a far la guardia. Lui e il suo avvocato giuravano che era a far
tutt'altro, e ci si trovava per una sua occorrenza. Ma fu inutile: lo condannarono alla
prigione. Nel carcere però correva voce che la Bionda s'era messa coll'Orbo, e aveva
fatto la spia per levarsi Tonino di fra i piedi, e papparsi le tre lire della denuncia.
Tonino non voleva crederci; eppure il babbo, la mamma, suo fratello Ambrogio, persino la
Barberina, erano venuti a visitarlo in carcere, rinfacciandogli che glielo avevano
predetto. - Ma tant'è, erano venuti! E lui piangeva e si sentiva alleggerire il cuore. -
Ma la Bionda no!
Dicevano che avevano visto l'Orbo coi panni di Tonino, una giacchetta a
scacchi, che era ancora nel cassettone della Bionda, quando l'avevano arrestato.
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