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Violante: seduta 12

Violante: seduta 12
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                         Pag. 341
AUDIZIONE DEL COLLABORATORE DELLA GIUSTIZIA
                     TOMMASO BUSCETTA
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Sui lavori della Commissione
Violante Luciano, Presidente ...................... 343, 349
                      350, 428, 430, 431, 432, 434, 435, 436
Acciaro Giancarlo ...................................... 433
Angelini Piero Mario ................................... 431
Ayala Giuseppe Maria ................................... 350
Bargone Antonio ................................... 429, 434
Biondi Alfredo ................ 348, 350, 429, 432, 434, 435
Biscardi Luigi .................................... 346, 428
Borghezio Mario ........................................ 429
Brutti Massimo .................................... 344, 435
Calvi Maurizio ......................................... 346
D'Amato Carlo .......................................... 430
Ferrara Salute Giovanni ...................... 345, 429, 432
Ferrauto Romano ........................................ 344
Fumagalli Carulli Ombretta ........................ 346, 430
Galasso Alfredo ......................... 347, 350, 429, 435
Imposimato Ferdinando .................................. 349
Matteoli Altero .................... 345, 350, 430, 432, 435
Ricciuti Romeo .................................... 350, 430
Riggio Vito ............................................ 433
Scalia Massimo ......................................... 347
Taradash Marco .......................... 343, 344, 429, 435
Tripodi Girolamo .................................. 344, 429
                         Pag. 342
Audizione del collaboratore della giustizia
Tommaso Buscetta
Violante Luciano, Presidente ...................... 351, 353
                      354, 355, 356, 357, 358, 359, 360, 361
                 362, 363, 364, 365, 366, 367, 368, 369, 370
                           371, 372, 373, 374, 375, 376, 377
                 378, 379, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 386
                           387, 388, 389, 390, 391, 392, 393
                 394, 395, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 402
                           403, 404, 405, 406, 407, 408, 409
                 412, 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421
                           422, 423, 424, 425, 426, 427, 428
Acciaro Giancarlo ...................................... 410
Angelini Piero Mario ................................... 414
Ayala Giuseppe Maria .............................. 367, 392
Bargone Antonio ........................................ 411
Biondi Alfredo ................ 366, 380, 384, 390, 391, 411
                                          412, 422, 425, 428
Biscardi Luigi .................................... 410, 417
Borghezio Mario ................................... 402, 412
Boso Erminio Enzo ...................................... 412
Brutti Massimo ......................................... 411
Buscetta Tommaso ................... 351, 353, 354, 355, 356
                           357, 358, 359, 360, 361, 362, 363
                 364, 365, 366, 367, 368, 369, 370, 371, 372
                                373, 374, 375, 376, 377, 378
                 379, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 386, 387
                                388, 389, 390, 391, 392, 393
                 394, 395, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 402
                                403, 404, 405, 406, 407, 408
                 409, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, 422
                                423, 424, 425, 426, 427, 428
Buttitta Antonio ....................................... 409
Cafarelli Francesco .......................... 358, 409, 419
Calvi Maurizio .................................... 357, 413
D'Amato Carlo ........................... 364, 377, 396, 415
Ferrara Salute Giovanni ........................... 405, 409
Ferrauto Romano ........................................ 412
Florino Michele ........................................ 412
Fumagalli Carulli Ombretta ............................. 412
Galasso Alfredo ............... 382, 393, 399, 411, 413, 424
Grasso Gaetano ......................................... 412
Imposimato Ferdinando ............................. 378, 410
Matteoli Altero .............................. 381, 389, 414
Olivo Rosario .......................................... 413
Ricciuti Romeo ............................... 393, 404, 414
Riggio Vito .................................. 371, 406, 409
Scalia Massimo ......................................... 410
Taradash Marco ..................... 368, 373, 387, 388, 410
Tripodi Girolamo ....................................... 410
ALLEGATO ............................................... 437
                         Pag. 343
  La seduta comincia alle 10,35.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta
precedente).
              Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. Prima di dare inizio all'audizione prevista
all'ordine del giorno, do la parola all'onorevole Taradash.
  MARCO TARADASH. Signor presidente, prendo la parola per
porre la questione della pubblicità dell'audizione del
collaboratore della giustizia Buscetta, riguardo alla quale mi
sembra che si sia creata all'esterno un'aspettativa, maturata
anche dopo l'audizione di Calderone, che credo non giovi ai
lavori della Commissione, il cui compito è quello di
investigare anche sui rapporti tra mafia e politica. La
magistratura, o almeno la parte più corretta di questa, ha
sempre avuto una gestione dei pentiti ben sapendo che tra
quello che dice il pentito e la verità c'è almeno lo spazio
del riscontro; invece, se le nostre audizioni continuano ad
essere come quella di Calderone, in realtà non vi è alcuna
gestione da parte della Commissione delle posizioni assunte
dai pentiti. Credo che questo sia il nostro problema. E' molto
importante ascoltare personaggi ritenuti di grande
attendibilità ma non possiamo dare per scontato che tutto ciò
che viene detto sia vero né possiamo eccedere nello zelo e
trasformare in fatti concreti quelle che sono soltanto cose
sentite.
   Ritengo che mantenere un certo riserbo sulle audizioni di
questo tipo giovi al lavoro della Commissione. Dovremmo perciò
dichiarare segreta la seduta odierna ed affidare all'ufficio
di presidenza il compito di riferire, attraverso una
conferenza stampa, quello che si riterrà opportuno, mantenendo
riservate le parti che debbono divenire materia di lavoro
della Commissione.
  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ad un oratore per
gruppo su tale questione, informo i colleghi di avere inviato,
il 12 novembre scorso - il giorno successivo all'audizione di
Calderone - ai Presidenti di gruppo della Camera e del Senato
e, per conoscenza, ai Presidenti della Camera e del Senato la
seguente lettera: "Onorevole Presidente, alcuni colleghi
appartenenti a diversi gruppi parlamentari hanno presentato
atti idonei a provocare un dibattito d'aula in relazione a
dichiarazioni rese a questa Commissione dal collaboratore
della giustizia Antonino Calderone nel corso di un'audizione
svoltasi l'11 novembre 1992. Tale audizione si inquadra in
un'indagine sui rapporti tra mafia e politica che la
Commissione a larghissima maggioranza dei suoi componenti ha
formalmente deliberato di condurre e che concluderà,
probabilmente, entro il prossimo mese di dicembre. E' di tutta
evidenza che ogni elemento raccolto nel corso dell'indagine
predetta dovrà essere sottoposto ad un rigoroso accertamento
per valutarne fondatezza e idoneità e dar luogo a conclusioni
di carattere politico. Al termine dei lavori la Commissione
presenterà al Parlamento un'apposita relazione. Non sfuggirà
certamente alla sua sensibilità che le iniziative parlamentari
condotte sulla base di elementi acquisiti dalla Commissione
prima che ne siano state valutate
                         Pag. 344
fondatezza ed attendibilità rischiano di favorire,
indipendentemente dalle intenzioni dei proponenti, distorsioni
interpretative dannose per la reputazione di singole persone e
per il lavoro stesso della Commissione. D'intesa con l'ufficio
di presidenza ho ritenuto di sottoporre alla sua attenzione le
considerazioni che precedono per le valutazioni che ella
riterrà opportuno trarne.
   Prima di inviare questa lettera ho interpellato tutti i
colleghi dell'ufficio di presidenza, ad eccezione
dell'onorevole Tripodi con il quale, nonostante numerosi
tentativi, non sono riuscito a mettermi in contatto.
  MASSIMO BRUTTI. Anche secondo me è giusto fare una
valutazione prudente delle dichiarazioni rese dal
collaboratore della giustizia Calderone e di quelle che
renderà oggi il collaboratore Buscetta. Non si può non
deplorare il fatto che l'audizione odierna sia stata in
qualche modo resa nota da alcuni organi di stampa e poi
ripresa "a cascata" da tutti gli altri.
   Stabilire a priori il segreto su quanto verrà oggi
qui detto non è del tutto giusto poiché non sappiamo ancora
come si svolgerà l'audizione. Peraltro, fissare un vincolo
rigido di segretezza può accentuare la fuga di notizie, le
indiscrezioni che l'uno o l'altro può lasciarsi sfuggire
all'esterno. Direi quindi che, senza adottare un criterio
generale rigido, possiamo ora ascoltare il collaboratore delle
giustizia Buscetta, il quale probabilmente, come ha fatto
Calderone, renderà spontaneamente una dichiarazione, alla
quale seguiranno le domande predisposte dal presidente. La mia
proposta è di procedere all'audizione riservandoci di decidere
al termine di essa, sulla base di quello che avremo sentito,
quali parti debbano essere poste sotto il vincolo della
riservatezza e quali, invece, possano essere rese pubbliche
senza difficoltà e senza problemi.
   Credo che, in generale, l'opinione pubblica abbia il
diritto di conoscere notizie circa il funzionamento
dell'organizzazione criminale della quale questi collaboratori
ci parlano ed anche circa la rete di connivenze e di
complicità. Tuttavia, se dovessero esservi motivi fondati per
non rendere note alcune parti, potremo prendere tale decisione
al termine dell'audizione.
  ROMANO FERRAUTO. Credo che l'iniziativa assunta dal
presidente sia opportuna e la condivido, anche sulla base del
ragionamento fatto poco fa dal collega Taradash circa
l'attendibità delle affermazioni che vengono fatte.
   Dunque, intervenendo proprio nel merito della
pregiudiziale Taradash, ritengo che debba essere rinviata al
termine dell'audizione la valutazione in merito alle
rivelazioni che potrà fare il pentito Buscetta, decidendo in
quella sede quali parti possano essere comunicate alla stampa
e quali, invece, meritino una riservatezza particolare.
  MARCO TARADASH. Saranno quelle che tutti conosceranno
prima, allora!
  ROMANO FERRAUTO. Concordo con la proposta di mantenere
segreta l'audizione, per poi valutare rapidamente i fatti alla
sua conclusione.
  GIROLAMO TRIPODI. Desidero innanzitutto dare atto al
presidente dell'iniziativa che ha preso e dichiarare che
concordo con la posizione molto responsabile che ha assunto
prospettando ai Presidenti delle due Camere l'inopportunità
che nelle aule parlamentari si discuta di cose delle quali la
Commissione antimafia si sta occupando.
    Detto questo, ritengo anch'io che dobbiamo evitare che
quanto ascolteremo abbia eccessiva diffusione ed anche
interpretazioni diverse. Ciò non toglie che alla fine dovremo
trovare il modo di informare l'opinione pubblica nazionale,
per evitare di trovarci poi di fronte a fughe di notizie che,
invece, avrebbero potuto essere
                         Pag. 345
date dalla Commissione. Condivido dunque la proposta,
avanzata dal collega Brutti, di decidere al termine
dell'audizione quali parti debbano essere mantenute segrete e
quali possano essere rese pubbliche. Decideremo anche se
affidare al presidente l'incarico di comunicare, eventualmente
attraverso una conferenza stampa, quanto si ritenga giusto.
   Chiarito questo punto, desidero anche precisare che se
ognuno di noi ha assunto le posizioni che riteneva opportune
quando abbiamo varato il programma, adesso il lavoro che
abbiamo deciso e che abbiamo iniziato a svolgere non può
essere messo in discussione anzi, dobbiamo dimostrare in ogni
momento molta serietà, per non trovarci di fronte ad
un'oscillazione di posizioni che potrebbe ostacolare lo
svolgimento stesso del lavoro che ci siamo proposto.
  ALTERO MATTEOLI. Non vi è dubbio che la pregiudiziale
posta dall'onorevole Taradash abbia una forte motivazione. Ma
devo essere sincero: senza offendere nessuno, ritengo ridicolo
parlare di segretezza stamani, dopo quello che è accaduto da
venerdì in poi. Neanche i rappresentanti di gruppo in
Commissione - tra i quali rientro anch'io - erano stati
informati su chi fosse il pentito che avremmo dovuto ascoltare
oggi ed alcuni colleghi di gruppo - fortunatamente non si
tratta del mio caso - sono arrivati a pensare che questi
sapessero il nome ma non volessero dirlo. Dopo di che - altro
che qualche indiscrezione! - abbiamo letto sui giornali ed
ascoltato da radio e televisione tutte le notizie possibili
sul "posto segreto".
   Aggiungo che non sono assolutamente d'accordo con la
proposta di delegare all'ufficio di Presidenza il compito di
tenere una conferenza stampa perché, non me ne vogliano i
colleghi dell'ufficio di presidenza, ritengo che i maggiori
responsabili di quanto è accaduto siano loro.
   Pensiamo anche al modo in cui è stato organizzato il
nostro arrivo qui: siamo stati per mezz'ora davanti al palazzo
di Montecitorio ad aspettare, come tanti ragazzini, un mezzo
che ci conducesse in questa sede. Come tanti ragazzini, lo
ripeto, mentre alcuni colleghi si sono alzati alle 4 o alle 5
del mattino per essere puntuali all'audizione! Quindi, non
delego a nessuno la conferenza stampa e trovo assurdo che si
parli di segretezza quando non siamo stati capaci di tenere
segreta un'audizione così importante come quella odierna.
   Cosa vogliamo fare? Stabilire che la seduta sia segreta
mentre poi ciascuno di noi - includo anche me - si rivolgerà
al giornalista amico per fornire indiscrezioni? E'
assolutamente fuori luogo il solo avanzare la proposta di
seduta segreta, visto il comportamento che è stato tenuto.
   Dunque, che la seduta sia pubblica. Saranno i giornalisti
a valutare ciò che vorranno o non vorranno scrivere e questa
decisione sarà rimessa alla loro responsabilità, non a quella
di qualcuno di noi.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. A me pare che non vi sia alcun
bisogno di esprimere un giudizio critico sull'accaduto. Il
dato di fatto è che queste cose non sono segrete, non possono
rimanerlo e - per inciso - io mi chiedo anche se sia giusto.
Dopo tutto, noi siamo parlamentari, responsabili verso il
corpo mistico del Parlamento italiano; siamo gli eletti dal
popolo, responsabili verso gli elettori e non capisco perché
io, ad esempio, dovrei tenere nascosto ai miei elettori quanto
ho saputo nell'esercizio dell'attività parlamentare. Ma questa
è una questione di principio che non possiamo risolvere qui.
    In pratica, se dopo l'audizione odierna (prescindo dal
fatto se essa debba tecnicamente essere segreta o meno, perché
si tratta di una scelta importante ma secondaria) i componenti
della Commissione faranno i misteriosi, per cui all'esterno si
viene a sapere che in questa sede sono state dette alcune cose
che la Commissione ha ritenuto di tenere segrete, il risultato
sarà in primo luogo che queste cose diventeranno ugualmente
pubbliche; e in secondo luogo, che si speculerà sul fatto che
                         Pag. 346
la Commissione voglia tenerle segrete, quasi vi fossero comuni
interessi inconfessabili da tutelare; in terzo luogo, si
fantasticherà sulla base di ciò che verrà rivelato, per cui
non avremo una realtà correttamente censurata ma del tutto
deformata. A mio avviso, è perfino più pericoloso, sotto il
profilo della serietà, cercare di mantenere il segreto.
   Esistono, invece, problemi più specifici: possono emergere
in questa sede notizie che è necessario rimangano segrete per
non intralciare la prosecuzione delle indagini giudiziarie; si
tratta di una selezione che personalmente non sono in grado di
fare e che più opportunamente potrà essere fatta solo in virtù
di un rapporto con l'autorità giudiziaria che sta compiendo
determinate indagini. In questo senso, e solo in questo senso,
bisogna chiedersi cosa effettivamente possa essere utile non
diffondere: a tal fine, ritengo che la presidenza possa avere
l'autorità di operare una simile selezione; per il resto, mi
rimetterei ad un rapporto responsabile ma realistico con
l'opinione pubblica e con la stampa.
  LUIGI BISCARDI. Desidero associarmi ai rilievi che sono
stati mossi in ordine all'ampia informazione che è stata data
dell'audizione odierna. Da ciò conseguono due esigenze: da un
lato, quella dell'informazione che dobbiamo fornire
all'opinione pubblica che di certo attende notizie;
dall'altro, quella della riservatezza da parte della
Commissione, soprattutto per ciò che concerne alcuni aspetti
che possono risultare importanti per le indagini in corso.
   Ho ascoltato l'intervento del collega Ferrara Salute e
sono anch'io convinto che debba esservi un rapporto tra
parlamentari ed opinione pubblica ma credo che la Commissione
possa dare alla presidenza il mandato di redigere un
comunicato ufficiale che indichi i passi cruciali
dell'audizione, naturalmente con la cautela necessaria in
occasioni come queste.
  MAURIZIO CALVI. Vorrei sottolineare che sotto il profilo
istituzionale esiste un obbligo per tutti i membri della
Commissione quando questa assuma i poteri della magistratura;
in questo senso, non vi è dubbio che, nel momento in cui
agiamo come una Commissione d'inchiesta, il requisito della
riservatezza deve essere ancor più assicurato. Il secondo
aspetto riguarda il fatto (previsto dalla legge) che i
commissari sono tenuti all'obbligo della riservatezza e sono
sottoposti a tutte le conseguenze, anche di carattere penale
(lo dico tra virgolette), nel momento in cui questa venga
meno.
   Si devono fare valutazioni non solo politiche ma anche di
ordine istituzionale e queste ultime debbono risultare
assorbenti in questa fase, altrimenti si corre il rischio di
far venir meno gli effetti del lavoro compiuto dalla
Commissione ai fini della relazione conclusiva che essa
presenterà al Parlamento. A mio avviso, in questa fase si
rafforza l'elemento della riservatezza, nel senso che i membri
della Commissione sono tenuti ad offrire all'esterno
valutazioni in qualche modo contenute.
   Se riuscissimo a mantenere la riservatezza di cui ho
detto, certamente aumenterebbe anche l'interesse del paese nei
confronti del nostro lavoro (un lavoro più esposto di altri,
proprio per il carattere particolare della materia) e la
considerazione nei confronti della Commissione.
   Per tali ragioni, riterrei opportuno in questa fase
mantenere la segretezza dei nostri lavori, fermo restando che
al momento della predisposizione della relazione finale sarà
possibile offrire all'opinione pubblica una serie di elementi
di carattere generale. Sotto tale profilo, condivido
l'osservazione del collega Taradash relativamente all'obbligo
della riservatezza, salvo un giudizio di carattere generale
che potrà in seguito essere espresso.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Concordo con l'onorevole
Taradash e con gli argomenti da questi portati, argomenti che
non ripeterò. Mantenere la riservatezza mi sembra doveroso,
anche perché
                         Pag. 347
tra ciò che viene affermato qui e l'effettiva verità vi è
tutto l'aspetto del riscontro, che impone l'obbligo della
riservatezza. Probabilmente abbiamo fatto male a non porci il
problema già in occasione dell'audizione di Antonino
Calderone. Se poi qualcuno verrà meno all'obbligo della
riservatezza, diremo che egli ha violato una regola etica: non
possiamo sostenere l'opportunità di fare a meno della
riservatezza in ragione del fatto che qualcuno la violerà.
   Per quanto riguarda la conferenza stampa, riterrei più
sensato decidere se e come tenerla alla fine dell'audizione
odierna, valutando anche l'eventualità di diramare un
comunicato.
  MASSIMO SCALIA. Non ripeterò le osservazioni del collega
Ferrara Salute, che condivido puntualmente. Ritengo che la
questione della riservatezza vada affrontata dal punto di
vista metodologico, a meno che nello stabilire cosa sia
riservato non ci si voglia riferire al buon senso e ad
elementi pragmatici. A proposito del segreto istruttorio -
problema sollevato dal collega Ferrara - proporrei al
presidente di sottoporre alla Commissione, dopo lo svolgimento
dell'audizione, quali aspetti di essa possano configurare
ipotesi ricadenti sotto la fattispecie del segreto
istruttorio, che è il solo che in qualche modo mi fa sentire
vincolato a certi comportamenti.
   Tutto il resto, infatti, mi sembra francamente assai poco
definito. Ad esempio, può configurare riservatezza una
conferenza stampa, da chiunque indetta? Dobbiamo, quindi,
decidere anche su questi aspetti del problema perché
altrimenti, se tutto non viene definito in modo preciso,
l'unico limite che possiamo porci - lo ripeto - è quello del
segreto istruttorio.
  ALFREDO GALASSO. Ritengo che le complicazioni nascano da
un errore iniziale, quello di aver deciso di ascoltare i
pentiti mentre sono in corso indagini giudiziarie. E' inutile,
quindi, star qui a stracciarsi le vesti.
   La questione che ora ci si pone è quella della sicurezza
che può scaturire sia dalla segretezza sia dal suo contrario,
vale a dire dal massimo della trasparenza. Poiché non credo
che la responsabilità sia dell'ufficio di presidenza o del
presidente, dico subito che sono stupefatto di quanto è
accaduto: non riesco a capire per quale motivo un'audizione,
che avrebbe dovuto essere segreta per ragioni di sicurezza,
sia stata pubblicizzata in un modo tanto eccessivo, con un
contorno di dichiarazioni e di aspettative tali da
rappresentare - e lo dico senza esitazioni - quasi una
provocazione. Siccome, sulla base della mia esperienza,
considero ciò nient'affatto casuale, mi riservo di chiedere
una discussione approfondita nel merito, che vada al di là
della protesta per il modo in cui è stata platealmente
pubblicizzata l'audizione di oggi. Ritengo che vi sia qualcosa
di più profondo, che va analizzato e puntualmente
approfondito.
   Una volta superate, mi auguro senza danno, le conseguenze
di questa grave negligenza della disciplina della sicurezza,
non penso ci sarà alcuna ragione - non foss'altro che per non
creare disparità di trattamento in tutte le direzioni - per
svolgere un'audizione segreta. Sul punto si potrà
eventualmente decidere dopo, ma il mio parere è nettamente
contrario perché si stanno "pasticciando" mille cose: la
sicurezza, il riserbo, il riguardo dovuti alle persone che
eventualmente potranno essere nominate, le aspettative che
possono essersi create. Stando così le cose, sul piano
politico-istituzionale la migliore difesa per la Commissione è
proprio quella della visibilità, della trasparenza, quindi
della pubblicità.
   Ritengo necessario, signor presidente, sottolineare
l'assoluta opportunità di una riflessione - anche prima
dell'epoca prevista - su queste vicende, in particolare sulla
natura delle rivelazioni dei cosiddetti pentiti. Abbiamo
infatti il dovere di fare chiarezza sul piano
politico-istituzio-nale: non è possibile che i pentiti vengano
immediatamente creduti, allorquando si tratta di accusare 200
o 300 persone, che poi vanno in galera, mentre quando si
                         Pag. 348
parla di politici o di magistrati, altrettanto immediatamente
vengono considerati inattendibili. Così non va assolutamente
bene! Ed è questione, presidente, che ci riguarda
direttamente, perché è politica ed istituzionale e non
giuridica. Ribadisco, quindi, la necessità di affrettare i
tempi di un dibattito sul tema, magari attraverso la
fissazione di una seduta straordinaria.
   Concludendo, desidero precisare che concordo soltanto
sulla prima parte della lettera inviata dal presidente ai
Presidenti delle Camere e non sulla seconda perché, a mio
avviso, ciascun parlamentare deve assumersi - se non viola
alcuna norma di legge - la responsabilità di presentare le
interpellanze che crede avendo il diritto e il dovere di
valutare ed in qualche caso di esplicitare quanto ha
ascoltato: singolo o gruppo che sia.
  ALFREDO BIONDI. L'atmosfera da "gita scolastica" di
questa mattina ha davvero un po' turbato tutti perché abbiamo
avuto la sensazione - o almeno l'ho avuta io - che la
riservatezza quanto meno non fosse accompagnata al genio
dell'organizzazione.
   Elevo una formale protesta, perché è perfettamente inutile
pretendere da noi comportamenti coerenti, seri e riservati
dopo ciascuna audizione quando sui giornali si legge quel che
si legge. Stamani ho telefonato a mia moglie per dirle che
andavo a una riunione un po' segreta; lei mi ha risposto:
"La Gazzetta del lunedì dice che interrogate Buscetta".
Siccome è l'ultimo giornale in Italia ad avere le notizie
fresche, ciò significa che la notizia era davvero stagionata!
   Queste situazioni francamente dispiacciono perché creano
il problema opportunamente posto dal collega Ferrara, vale a
dire fino a che punto si possa tenere nascosta una cosa di cui
la gente si aspetta di aver contezza ed oltre quale limite
l'esigenza di dar conto delle azioni che ciascun parlamentare
compie - anche nella sua qualità di rappresentante di
interessi e di valori - non impinga nelle realtà processuali,
nella reputazione delle persone; aspetto, questo, non
certamente trascurabile ed opportunamente richiamato dal
collega Galasso quando sottolineava il valore delle parole di
chi accusa tutti o qualcuno, sceglie le accuse stesse,
utilizza gli spazi vuoti che gli si presentano magari per
levarsi qualche soddisfazione personale e forse non solo
personale, visto che molte volte le domande sollecitano le
risposte. Basta leggere i verbali e chi li legge per mestiere
sa benissimo che certe cose vengono fuori a seconda delle
sollecitazioni che si fanno, mentre altre invece si glissano,
sicché appare un aspetto piuttosto che un altro o per lo meno
non appare tutto ciò che noi vorremmo invece dimostrare
esistere per essere fonte di prova.
   Ci troviamo, dunque, di fronte a questo problema: possiamo
limitare le notizie quando il consesso di cui mi onoro di far
parte è così numeroso e non controllabile sul piano personale,
politico e parlamentare? Diceva bene il collega Galasso
allorquando si chiedeva fino a che punto ciascuno possa
contenere i propri doveri di esplicitazione. Non ho risposta
per la domanda che ho posto, ma posso portare il contributo
della mia esperienza. Ho fatto parte della Commissione di
inchiesta sugli eventi del giugno-luglio del 1964, cioè della
cosiddetta "Commissione SIFAR". Anche allora si interrogavano
persone molto importanti o presunte tali in ragione della loro
collocazioni in settori della vita militare, politica ed
amministrativa. Onestamente devo dire che tutti hanno
ottemperato all'impegno di non dir mai nulla. Non
dimentichiamo, inoltre, che in processi anche molto gravi, sui
quali le notizie sono molto attese, i giudici - che sono pure
numerosi in camera di consiglio, come capita nelle giurie
popolari - non raccontano di certo quello che è accaduto in
tale sede.
   Penso che tutti noi si debba assumere l'impegno d'onore
che alcune cose - che possiamo individuare a conclusione del
l'au dizione - non vanno dette perché, come diceva il
professor Biondi (mio omonimo ma non parente) "'un è utile e
'un si pole". Chi le dice commette un
                         Pag. 349
fatto disdicevole sul piano etico, come ha sostenuto poc'anzi
la collega Fumagalli Carulli. Oppure diciamo che siamo tutti
liberi, ma non procediamo alle "somministrazioni" parziali
attraverso un comunicato, accompagnato dalle dichiarazioni del
più disinvolto tra noi. Procedere in tal modo è pericoloso,
incontrollabile e fa correre il rischio di dare una
valutazione strumentale che può indebolire le conclusioni
finali alle quali si perverrà. Senza un'analisi, uno studio,
una "camera di consiglio" al termine della quale esprimere un
giudizio complessivo, si corre il rischio di svolgere un
lavoro inutile e dannoso.
   Dunque, si cominci da oggi, perché l'audizione precedente
è stata ampiamente considerata un esperimento da non ripetere,
sia dagli organi di stampa sia dalle interrogazioni
parlamentari presentate.
   Questa è la mia opinione, che non intendo imporre agli
altri: esorto però a decidere, assumiamo impegni precisi -
stavo per dire da "uomini d'onore", ma in questa sede non è
conveniente! - da persone perbene, e rispettiamoli. Per il
resto, affidiamo all'ufficio di presidenza il compito di
fornire le notizie che non interessano a nessuno: l'opinione
pubblica vuole vedere l'iride, non vuole meline, vuole capire
che cosa è davvero successo. Ma se ciò non può essere detto
perché crea problemi alle indagini o alle persone, assumiamo
l'impegno di non dirlo. Per quanto mi riguarda, assumo tale
impegno pur essendo tra i più loquaci, come ho dimostrato
sempre.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Ho già avuto occasione di
manifestare le mie perplessità sulle audizioni dei
collaboratori della giustizia perché temevo si verificasse
quanto puntualmente sta accadendo. Tuttavia, una volta deciso
di ascoltare i collaboratori della giustizia considerata la
disponibilità dei magistrati a permettercelo, credo che il
rischio di interpretazioni, falsificazioni o
strumentalizzazioni delle dichiarazioni di Buscetta, e degli
altri che incontreremo, non possa essere assolutamente
evitato.
   Non penso che l'impegno di non parlare possa essere
rigorosamente mantenuto, perciò ritengo che l'unica
possibilità di evitare strumentalizzazioni sia di dare
pubblicità all'audizione di Buscetta.
   In proposito, vorrei richiamare alla vostra attenzione un
particolare importante: quando sono stati emessi i mandati di
cattura nei confronti di taluni mafiosi a seguito delle
dichiarazioni di Marchese e Mutolo, la stampa era in possesso
della copia dell'ordinanza di custodia cautelare che
saggiamente, secondo me, la polizia giudiziaria - d'accordo
con i magistrati - aveva consegnato. E' stata proprio la
possibilità data alla stampa di leggere le dichiarazioni ad
evitare quegli interventi strumentali che senz'altro si
sarebbero verificati.
   Ritengo sia possibile impedire la strumentalizzazione
delle dichiarazioni di Buscetta solo consentendo alla pubblica
opinione di partecipare all'ascolto delle dichiarazioni dei
pentiti, come del resto avviene negli Stati Uniti d'America,
dove le audizioni dei mafiosi vengono trasmesse in
televisione. Ovviamente, ciò non significa che le
dichiarazioni rappresentino il Vangelo, perché devono essere
verificate e riscontrate, ma questo è un lavoro che svolgeremo
noi da una parte ed i magistrati dall'altra. Ciò non toglie,
ripeto, che così facendo si eviterà a qualcuno di noi il
ricorso a dichiarazioni strumentali, parziali o faziose sulle
affermazioni di Buscetta.
  PRESIDENTE. Mi rincresce per l'inconveniente segnalato
dai colleghi Biondi e Calvi che, devo dirlo, non è dipeso
dagli uffici del Parlamento, in quanto del trasferimento dei
parlamentari si erano incaricati gli uffici di polizia. Anzi,
la Camera è intervenuta con una certa rapidità per mettere a
disposizione mezzi e consentire ai parlamentari di giungere in
tempo. Ci attiveremo affinché per il futuro non si ripetano
più questi fastidiosi inconvenienti.
                         Pag. 350
   Per quanto riguarda la questione di merito, sono state
avanzate diverse proposte: quella di procedere in seduta
segreta - che a norma di regolamento deve essere sostenuta da
cinque membri della Commissione - sarà posta immediatamente in
votazione, salvo la possibilità, in una successiva verifica,
di valutare quali parti dell'audizione possano essere rese
pubbliche.
   Voglio dire ai colleghi che a conoscenza dell'audizione
del signor Buscetta erano formalmente i capigruppo, i
componenti l'ufficio di presidenza (ai quali è stato
consegnato venerdì un riassunto delle dichiarazioni di
Buscetta), gli uffici di polizia che trattano con il signor
Buscetta, e che non avevano alcun interesse a divulgare la
notizia, nonché alcuni uffici giudiziari.
   Devo altresì ricordare alla Commissione che, a seguito
d'intese intervenute con le autorità giudiziarie di Palermo,
non verrano poste domande su due specifiche questioni su cui
sono in corso indagini preliminari da parte di quell'autorità.
Per il resto, l'autorità giudiziaria palermitana non ha posto
difficoltà né sulla forma né sull'estensione dei quesiti.
  ALTERO MATTEOLI. Signor presidente, non ho ben compreso
di quali questioni si tratti.
  PRESIDENTE. Infatti, non le ho riferite essendo materia
di indagine. Forse non mi sono spiegato: l'autorità
giudiziaria di Palermo ha chiesto di non porre domande su due
questioni che naturalmente ha indicato ma che per delicatezza
io non dirò.
  GIUSEPPE MARIA AYALA. E' corretto muoversi in tal senso.
  ALFREDO GALASSO. L'autorità giudiziaria di Palermo dice
a noi che cosa dobbiamo o non dobbiamo chiedere?
  ALTERO MATTEOLI. Se non sappiamo di che cosa si tratta,
rischiamo di porre al signor Buscetta proprio queste domande.
  PRESIDENTE. Semmai, onorevoli colleghi, pregherò di non
insistere su una particolare domanda. E' lo stesso criterio
seguito la volta scorsa.
   Nella prima parte dell'audizione verranno poste alcune
domande al signor Buscetta, poi seguirà una sospensione. Il
signor Buscetta uscirà dalla sala in cui ci troviamo e i
colleghi potranno formalizzare altre domande da porre. A quel
punto, se tra le domande che i colleghi formuleranno rientrerà
anche la materia indicata dai giudici di Palermo, pregherò i
colleghi di non insistere.
  ALFREDO GALASSO. Insisto affinché al termine della
seduta si svolga una discussione, perché non si può andare
avanti così.
  ALFREDO BIONDI. Non credo che i magistrati possano dirci
quello che dobbiamo fare. E' un questione di principio!
  PRESIDENTE. Può darsi, ad ogni modo, che non venga posta
alcuna domanda sulle questioni indicate dalle autorità
giudiziarie di Palermo.
  ROMEO RICCIUTI. Siamo avvisati per il futuro.
  ALTERO MATTEOLI. Signor presidente, vi un'altra
questione che intendo evidenziare. Siamo tutti membri della
Commissione, con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Il
presidente non può essere a conoscenza di notizie diverse
rispetto a quelle note agli altri commissari, altrimenti si
tratta di una gestione personalistica, che non possiamo
accettare.
  PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di svolgere
in seduta segreta l'audizione del signor Tommaso Buscetta. Al
termine dell'audizione, decideremo se e secondo quali modalità
rendere pubbliche alcune parti della medesima e in che modo
dare informazioni all'esterno.
   (La Commissione approva).
                         Pag. 351
  (E' accompagnato in aula il signor Tommaso Buscetta).
               Audizione del collaboratore
            della giustizia Tommaso Buscetta.
  PRESIDENTE. Signor Buscetta, le chiedo di declinare le
sue generalità.
  TOMMASO BUSCETTA. Mi chiamo Buscetta Tommaso, sono nato
a Palermo il 13 luglio 1928.
  PRESIDENTE. Intende svolgere una dichiarazione
preliminare?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, preferirei: sono stato invitato,
negli ultimi anni, dalla Commissione del Senato americano
sulla criminalità ed anche lì mi hanno chiesto di preparare
una relazione prima di presentarmi a loro, in modo che
avrebbero potuto farmi delle domande sulla mia relazione. Così
ho fatto. Se voi volete, posso fare così.
  PRESIDENTE. Ha già preparato una relazione?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Va bene, la esponga.
  TOMMASO BUSCETTA. Premetto che sono un uomo libero. Non
ho più nessun conto da regolare con la giustizia. La mia
presenza in questa sala è volontaria; non avrò più sconti di
giustizia, non dovrò particolari ringraziamenti. Vengo in nome
di quella causa che abbracciai nel 1984.
   Credo fermamente che l'apporto dei collaboratori, così
come è visto oggi, sia una cosa molto importante. Non
perdetelo di vista: è una cosa che mai si era verificata in un
processo siciliano, cioè di avere collaborazione da parte di
gente appartenente a Cosa nostra.
   Vorrei chiarire - datemi l'opportunità di dire - che
alcuni giornali, qualche politico parlano di suggerimenti. Non
sono stato mai "suggerito" da nessuno. E' una cosa che mi
offende. Io ho suggerito agli altri, non sono stato mai
"suggerito" ed ho scelto una mia linea di condotta
indipendentemente dai suggerimenti che mi potessero arrivare.
Che sia ben chiaro. Perché si deve sfatare questa continua
rincorsa: il politico al giornale, il giornale al politico, il
politico al giornale e si fanno dei processi su cose
inesistenti.
   Vorrei che questa mia presenza, per lo meno
desidererei...scusate il mio italiano che è quello di un uomo
che ha fatto la quinta elementare e certe volte fa confusione;
questi sono i miei limiti.
   Vedo molto consenso oggi. La morte dei due giudici ha dato
la possibilità che lo Stato italiano si svegliasse da quel
torpore che l'ha sempre accompagnato, dal 1984 fino a pochi
mesi fa, e desse quel contributo che doveva dare come forze di
Stato per combattere il fenomeno mafioso.
   Il fenomeno mafioso non è comune, non è il brigatismo, non
è la solita criminalità di cui la polizia si intende (e la
combatte bene). Il fenomeno mafioso è qualcosa di più
importante della criminalità: è la criminalità più
l'intelligenza e più l'omertà. E' una cosa ben diversa.
   Un altro punto per me importante - ho fatto una scaletta e
se non faccio bene, vi prego di scusarmi - è che è difficile
per chi collabora con la giustizia puntellare le sue accuse
con prove certe. Le accuse mafiose rimangono sempre
nell'ambito mafioso, cioè omertose: quello che dico a te non
lo dirai ad altri. Allora, quando avviene questo rapporto fra
me e la persona a cui si rivolge il mafioso, sono cose che
rimangono tra me e lui, cioè che non dovrò riferire neanche ai
miei più diretti amici. Quando poi negli anni si parlerà di
queste cose, quali sono le cose che potrà sostenere un
collaboratore della giustizia? Potrà dire: io so questo. Sta a
voi stabilire fino a dove arriva la prova per parlare di
queste cose. Perché altrimenti nessuno parlerà mai più a
favore della giustizia, perché diventa una cosa molto
ridicola. Certamente mi domanderete perché fino a
                         Pag. 352
pochi mesi fa non avevo parlato di politica; vi prevengo e
rispondo subito: il giudice Falcone - che in pace riposi -
venne molte volte negli Stati Uniti per chiedermi se fossi già
pronto per parlare di politica. Credo che sia venuto tre volte
e sempre ho risposto di no, fino a pochi mesi fa; se fosse
ancora vivo il giudice Falcone, io risponderei di no, perché
le sentenze ... A me non interessa se l'imputato venga
condannato o no, è una cosa che non mi interessa, a me
interessa però che quando pure in tribunale riescono a fare
una sentenza che poi arriva a Roma e sento che il processo
ricomincia tutto da capo, non capisco più niente, rimango
nella mia ignoranza e dico: ma cosa succede? Cosa è successo
di nuovo? Perché lo Stato italiano non vuole combattere la
mafia, questo è il mio modesto parere. Quindi quando Falcone
mi domandava, io ero sicuro che dovevo rispondere di no.
Questa scelta non era mai stata condivisa dal giudice Falcone,
perché egli voleva la mia collaborazione fra mafia e politica
e io avevo sempre detto "no", anche all'avvocato Galasso,
parte civile nel maxiprocesso.
   Ho avuto la possibilità di leggere un documento nella
rivista Avvenimenti sull'incontro fra me ed il giudice
Falcone agli inizi di quest'anno. Credo che tutti voi
conoscevate la dignità morale del giudice Falcone, tutti voi
conoscevate la persona seria, la persona battagliera, ma era
una persona che seguiva i canoni e la rigidezza della legge,
egli non deviava. Il giudice Falcone venne molte volte a
trovarmi negli Stati Uniti, ma sempre in compagnia di altri
giudici e di poliziotti, mai solo. Ho avuto incontri con il
giudice Falcone; non ho avuto telefonate con il giudice
Falcone, io avrò telefonato al giudice Falcone negli anni
1986-1987. Da quell'epoca non ho mai più telefonato al giudice
Falcone e lui neppure a me, perché non sapeva a quale numero
trovarmi. Ma c'è di più: questo documento è falso perché dice
che l'FBI ha registrato quello che io ho detto al giudice
Falcone. E' stato commesso un grossolano errore: io non sono
mai stato con l'FBI, io sono stato con l'FBI nel primo
periodo, cioè fino a Natale 1984; dopo quel periodo sono stato
preso in consegna dalla DEA e affidato a un uomo della DEA e
anche quando dovevo parlare col giudice Falcone nel
Dipartimento di giustizia americano, lo incontravo con la DEA.
Quindi questa notizia sull'FBI è falsa.
   Che cosa è cambiato dopo la morte del giudice Falcone e
Borsellino? E' cambiata una predisposizione nuova, un
interessamento maggiore, una volontà a fare meglio di come si
è fatto fino a pochi mesi fa; quindi mi trovo pronto alla
collaborazione. Oggi in questa sede non ho nessuna intenzione
di fare nomi di politici, non ho nessuna intenzione di
sollevare polveroni; ho intenzione di farli e li farò ai
giudici i quali non solleveranno polveroni, faranno indagini
ed il nome del politico verrà fuori quando sarà opportuno che
ciò accada. E' assurdo che si debba sentire che Buscetta
Tommaso parla a ruota libera con la trasmissione seguita, per
poi domani sentirmi denunziare per calunnia. Non voglio essere
calunniato e non calunnio. Le mie sono verità, ma quelle mie;
se poi posso provarle o no, sarà competenza della giustizia
appurare se le mie dichiarazioni siano vere o no.
   E' mia convinzione che con le opportune inchieste
giudiziarie, con il mio apporto - perché sono totalmente a
disposizione - si potrà scoprire effettivamente questo
rapporto. Non è il terzo livello, signori, scordatevelo: non
esiste il terzo livello.
   Con il giudice Falcone abbiamo fatto delle lotte non
comuni ma per me non è mai esistito e non esiste il terzo
livello. Non vi sono politici che ordinano i mafiosi; non
esiste questa possibilità e non è mai esistita. Il mafioso ha
usato il politico e non viceversa.
   Avevo preso un appunto ma è di questa notte e quindi ero
un po' assonnato; avevo scritto: "Lo Stato sa fare molto bene
i funerali di Stato".
   Ho visto alla fine degli anni settanta, quando ero
carcerato a Cuneo insieme con i terroristi, tutte le forze
politiche
                         Pag. 353
italiane convergere senza corrente, né di sinistra né di
destra, per combattere il fenomeno terroristico. Perché questo
non è stato fatto per la mafia? E' quello che mi domando, è
quello che domando a voi politici. Perché non è stato fatto?
Perché ancora ci sono le correnti per nominare un giudice, per
fare un superprocuratore? E' perché non si vuole combattere o
perché vi siete abituati a stare insieme ai mafiosi? I mafiosi
non guarderanno in faccia nessuno; chi non farà a loro comodo
è destinato ad andarsene, ora o più tardi.
   Convincetevi, signori miei, convincetevi: il fenomeno
mafioso non è solo criminale, è un fenomeno che porta molto
più lontano di quello criminale.
   I mafiosi non fanno volantini, non scrivono al compagno. I
mafiosi hanno intese con qualunque ceto della società. Il
mafioso sa accedere a tutti i livelli.
   Prima di finire voglio dire soltanto una cosa a me molto
cara. Per me la morte del giudice Falcone e del giudice
Borsellino non è la solita morte di una persona comune; per me
è stata qualcosa di più. Il giudice Falcone per me era il faro
di questa lotta contro la mafia: lo Stato italiano non si è
reso conto di chi fossero il giudice Falcone e il giudice
Borsellino; non li hanno valutati, li hanno denigrati,
specialmente il giudice Falcone.
   Io so leggere bene tra le righe ed ho in questo
un'esperienza che vorrei trasmettere ad altri. Non so
spiegarmi bene a parole, ma ho molta esperienza. Ho visto la
delusione negli occhi del giudice Falcone tutte le volte che
l'ho incontrato, ma egli sempre rideva. L'hanno accusato di
essere una primadonna, anch'io lo sapevo che l'accusavano di
essere una primadonna: ma era una primadonna che lavorava, era
una primadonna che voleva seriamente combattere la mafia. Se
era primadonna, lo era per questa ragione, non certo per
andarsene a casa a vivere tranquillo e sfoggiare la sua
consapevolezza nei ristoranti o nei night. Era una
primadonna che viveva come un carcerato. E' a lui che nasce
l'idea della superprocura, è a lui che nasce l'idea della DIA.
Signori miei, sosteneteli; li avete gli ordini.
   Per me - per me, sottolineo - la mafia sta rantolando.
L'ho detto anche al dottor Biagi nella mia intervista: per me
la mafia sta rantolando. Ha bisogno di sentire che lo Stato
non ne può più ma voi siete vicini a vincere. Resterà la
criminalità, quella criminalità che la polizia saprà come
combattere; ma la mafia è sull'orlo del fallimento:
approfittatene. Ho finito, grazie.
  PRESIDENTE. La ringrazio, signor Buscetta. Prima di
passare alle domande, desidero informarla che la Commissione
ha deciso di procedere in seduta segreta a questa audizione,
riservandosi poi di decidere alla conclusione se rendere
pubbliche alcune parti e quali.
   Lei, interrogato il 1^ febbraio 1988 dal giudice
Falcone, disse, tra l'altro, che il nodo cruciale del problema
mafioso è costituito dal rapporto mafia-politica, cui ha fatto
riferimento anche in questa sua esposizione. Può spiegare alla
Commissione parlamentare il significato di tale affermazione?
  TOMMASO BUSCETTA. Come significato o come personaggi?
  PRESIDENTE. Cosa significa l'affermazione che il
rapporto mafia-politica è tanto importante?
  TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto voglio dire una cosa. Non
so se rispondo bene, ma siamo qui e possiamo andare avanti
fino all'eternità, non ho il problema di far presto.
   Fin dagli anni nei quali si costituì la nuova Repubblica
italiana e si formarono i partiti, la mafia votò sempre, anche
per lo spauracchio che c'era - ci fu sempre, in tutte le
epoche - del comunismo, dalla democrazia cristiana tutto a
destra, senza il partito fascista, perché questo era un altro
partito da non votare. Si aveva la possibilità di scegliere il
candidato: cioè io potevo appoggiare un candidato della
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democrazia cristiana ed un altro poteva appoggiare un altro
signore di un altro partito ma sempre dal lato destro. Quindi
noi non abbiamo mai votato partiti di sinistra.
   Non mi parlate del 1987 o del 1989 perché credo che già
sappiate la risposta. Ma negli anni precedenti si è sempre
votato dalla democrazia cristiana fino al limite del partito
fascista italiano.
   Non so se ho risposto perché non ho capito bene la
domanda.
  PRESIDENTE. Questo l'abbiamo capito. Lei sostiene che il
problema più importante è dato proprio dal rapporto tra mafia
e politica, più importante del rapporto tra mafia e finanza,
più importante del rapporto tra mafia ed altri strati della
società. E' così o no?
  TOMMASO BUSCETTA. Io credo di sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare perché è così importante?
  TOMMASO BUSCETTA. Il mafioso ha sempre cercato -
naturalmente dico fino al 1984, perché la mia vita si è
fermata lì, quindi devo dire fino ad allora e non posso
parlare di oggi - ed aveva l'appoggio politico del personaggio
che a lui interessava per tutte le cose che si sarebbero
svolte, non parliamo processualmente, perché allora non
esistevano i processi o i processoni, ma per le deleghe per
una importazione. Io stesso nel 1963 ero un importatore di
burro a Milano, quindi anch'io avevo i miei politici ai quali
rivolgermi per avere le licenze per l'importazione; quindi sto
parlando in prima persona. Non dobbiamo pensare al processo,
dobbiamo pensare a tutto quello che può essere inerente anche
commercialmente.
   Quindi ogni candidato vendeva la sua disponibilità
elettorale contro i voti. Punto e basta. Credo di non avere
altro da aggiungere.
  PRESIDENTE. Può fare alla Commissione esempi concreti di
favori ricevuti da politici? Lei adesso ha parlato di licenze
di commercio, può fare altri esempi?
  TOMMASO BUSCETTA. Non possiamo aspettare che siano i
giudici istruttori a comunicare questo a voi?
  PRESIDENTE. Io le ho chiesto esempi, non di indicare
quella licenza o quel favore.
  TOMMASO BUSCETTA. Ho già fatto il mio personale esempio
per quanto riguarda l'importazione di burro. Nel 1963 (non so
se è ancora così) lo Stato concedeva delle licenze di
importazione, cioè misurava l'importazione, dava 200
tonnellate a te, 250 tonnellate a lui e quindi era una bolgia
per vedere chi poteva ottenere la licenza e chi poteva fare
questo. Io no: quindi avevo bisogno di qualcuno che mi
rappresentasse, in politica.
  PRESIDENTE. Per quanto lei ne sa, a parte le
importazioni, gli appalti rientravano in questa logica?
  TOMMASO BUSCETTA. L'importazione delle banane è un'altra
cosa, e non è il maxiprocesso in cassazione. E' l'importazione
delle banane: io sapevo dell'importazione delle banane. Questi
sono gli esempi che posso portare. Ma queste cose vanno dette
in una maniera che si possa indagare prima di sollevare
polveroni e fare preparare a chi sarà indagato ... facendo la
figura di ...
  PRESIDENTE. Gli appalti rientravano in questa logica?
  TOMMASO BUSCETTA. Certo.
  PRESIDENTE. Quali erano i suoi rapporti con Badalamenti
e con Antonio Salamone?
  TOMMASO BUSCETTA. Sotto quale aspetto? Perché erano
buoni con tutti e due.
                         Pag. 355
  PRESIDENTE. Di che tipo di rapporto si trattava? Era un
rapporto di confidenza, le parlavano, sia pure come avviene
tra uomini d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, sì. Avevo con tutti e due un
rapporto molto buono. Con Badalamenti prima degli anni
1975-76; poi nuovamente, perché mi faceva pena come era stato
trattato nel 1980.
  PRESIDENTE. Perché Badalamenti fu accantonato, è vero?
  TOMMASO BUSCETTA. Fu accantonato. Credo nel 1978.
  PRESIDENTE. Sì.
  TOMMASO BUSCETTA. Con Salamone sempre buoni, fino al
1984, s'intende.
  PRESIDENTE. Salamone era uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Era rappresentante...
  PRESIDENTE. Di quale famiglia?
  TOMMASO BUSCETTA. San Giuseppe Iato.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione la struttura
di comando di Cosa nostra? Come funziona Cosa nostra secondo
ciò che lei sa?
  TOMMASO BUSCETTA. La struttura di Cosa nostra come
commissione, come famiglie?
  PRESIDENTE. Sì.
  TOMMASO BUSCETTA. Le famiglie sono riunite a tre a tre
ed esprimono un capo mandamento. Il capo mandamento è la
persona votata dalle tre famiglie per rappresentarle nella
commissione. Quindi, noi abbiamo le famiglie, un capo
mandamento che rappresenta tre famiglie e una commissione.
Dopo la commissione c'è la commissione interprovinciale, che è
costituita dai rappresentanti delle province di Palermo,
Catania, Caltanissetta, Agrigento e Trapani. Questa è la
commissione interprovinciale, che sta sopra la commissione
provinciale.
  PRESIDENTE. Quali sono i compiti della commissione
interprovinciale?
  TOMMASO BUSCETTA. La commissione interprovinciale tratta
problemi che vanno al di sopra dell'interesse della piccola
borgata. Se si dovesse decidere (è solo un esempio) un colpo
di Stato, si riunirebbe la commissione interprovinciale.
  PRESIDENTE. Chi comanda davvero nella commissione
interprovinciale? Hanno tutti lo stesso peso o c'è qualcuno
che comanda di più o di meno, per quello che lei sa?
  TOMMASO BUSCETTA. Facciamo da uno a dieci: Palermo 10,
Agrigento 8, Trapani 8, Caltanissetta 6, Catania 4.
  PRESIDENTE. Quando dice Palermo, a chi intende riferirsi
in particolare?
  TOMMASO BUSCETTA. Intendo dire la provincia di Palermo.
  PRESIDENTE. Ma all'interno di questa provincia quale
gruppo ha più peso?
  TOMMASO BUSCETTA. Oggi io ...
  PRESIDENTE. Più o meno peso nell'evoluzione dei tempi?
  TOMMASO BUSCETTA. Se devo rispondere per oggi, sono i
corleonesi.
  PRESIDENTE. Da quando hanno cominciato la loro ascesa?
  TOMMASO BUSCETTA. E' complessa questa domanda; beh, io
posso rispondere.
                         Pag. 356
La loro ascesa - escalation, direbbero gli americani - è
cominciata nel 1963.
  PRESIDENTE. Con la strage di Ciaculli? All'epoca di
quella strage?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì; si sono sciolte tutte le famiglie.
  PRESIDENTE. Perché si sono sciolte le famiglie?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché la polizia a quell'epoca fece
sul serio, veramente, mandò in galera tutto il fior fiore e
disturbò gli altri mandandoli al confino. Quindi, mancando a
quell'epoca quella che era la sfera più alta, la commissione,
che era già stata costituita da Salvatore Greco, detto
Cicchitedda, si sbandò. Allora, si sciolsero tutte le
famiglie, anche perché fu poi la volontà di un tale Cavataio
Michele che si sciogliessero tutte le famiglie per riformarle
secondo come lui aveva pensato nei lunghi anni che aveva
passato in carcere. Ma nel 1963 il Cavataio si era reso
responsabile di una cosa gravissima: aveva messo delle bombe
in una macchina ed erano morti dei poliziotti ed anche gente
civile. A Villabate, per esempio, è morto un fornaio; la bomba
era destinata ad un certo Li Peri, ma il Li Peri non scese di
casa, passò il fornaio, vide la portiera della macchina aperta
e la chiuse. A quell'epoca fu ritenuta una cosa molto grave da
parte del Cavataio usare bombe come potrebbero averle usate i
terroristi degli anni settanta. Da parte di tutti,
all'unanimità (escluso solo il gruppo di Cavataio), fu
giudicato che loro avrebbero dovuto pagare, fosse anche tra
cento anni, quello che avevano commesso. La guerra si era
svolta tra di noi negli anni 1963 e la sola cosa che era
uscita fuori dai binari era stata la morte dei poliziotti e di
quel civile di Villabate, e fu uno scandalo per Cosa nostra.
Ora, invece, i corleonesi possono mettere le bombe per fare
saltare in aria i giudici: questa è la loro Cosa nostra, la
nuova Cosa nostra.
   Morendo il Cavataio, loro hanno perduto un uomo in
quell'azione, Bagarella. Approfittando dell'allontanamento di
Salvatore Greco detto Cicchitedda, nonché dell'allontanamento
mio, di Badalamenti e di Stefano Bontade, loro imposero che la
nuova commissione fosse costituita da tre persone: Salvatore
Riina in sostituzione di Liggio...
  PRESIDENTE. Che era in galera?
  TOMMASO BUSCETTA. No, non era in galera, era molto
ammalato, aveva un problema di reni, di vescica. Oltre a
Salvatore Riina, Badalamenti e Bontade. Ma da questo momento
ha inizio veramente la lotta contro tutti gli amici di
Salvatore Greco, perché egli era responsabile di aver chiesto
a Luciano Liggio negli anni sessanta perché avessero ammazzato
Navarra. Qui noi andiamo a fare la storia e non so se abbiamo
il tempo per poter ...   Allora, Luciano Liggio non aveva
sopportato questo affronto da parte di Cicchitedda e cominciò
gradualmente ad eliminare tutte quelle persone che potevano
essere vicine a Salvatore Greco, tra cui Badalamenti, Bontade,
i Di Maggio, gli Inzerillo e ciò per una questione di potere.
Potrei essere più dettagliato ma preferisco fermarmi qui,
altrimenti facciamo ...
  PRESIDENTE. Quali sono le caratteristiche dei
corleonesi? In che cosa si differenziano come logica e come
comportamenti rispetto a Cosa nostra tradizionale?
  TOMMASO BUSCETTA. La ferocia, non c'è un'altra
differenza.
  PRESIDENTE. C'è un uso della violenza molto più ...
  TOMMASO BUSCETTA. Ma non c'era prima, assolutamente,
neanche da parte loro. E' una cosa che è nata ... e questo mi
fa sorgere molti dubbi e mi fa pensare molto, per cui arrivo a
delle conclusioni
                         Pag. 357
che preferisco non dire, perché sono cose che vanno oltre il
problema mafioso e il problema criminale. Ci sono riflessioni
molto profonde da parte mia.
  PRESIDENTE. Può per cortesia accennare alla Commissione
parlamentare ...
  TOMMASO BUSCETTA. No, signor presidente, perché io sono
certo che la seduta è segreta e che siete tutti delle
rispettabilissime persone, non c'è dubbio. Però è politica,
dovete fare delle dichiarazioni quando uscite da quest'aula ed
io dovrei dire delle cose che possibilmente creerebbero panico
ed io non voglio assolutamente che ciò si verifichi. Non
voglio essere preso per pazzo, non ho quest'intenzione.
  MAURIZIO CALVI. Senza fare nomi e cognomi, può fare
delle riflessioni?
  TOMMASO BUSCETTA. Le mie riflessioni sono gravi senza
fare nomi e cognomi. Io non parlo di fare nomi e cognomi,
parlo di riflessione personale e voi potreste benissimo dirmi:
"Signor Buscetta, guardi, la smetta, se ne può tornare in
America e lasciarci tranquilli".
  PRESIDENTE. Quindi, sostanzialmente, lei teme che queste
riflessioni, che sono sue, possano in qualche modo ...
  TOMMASO BUSCETTA. Signor presidente, io dico una cosa.
Nel 1979 io sono carcerato. L'avvocato Galasso forse si
arrabbierà con me - non vedo l'avvocato Galasso ... Nel 1979
io ero carcerato a Cuneo. Non pensate che le carceri siano
invalicabili; le carceri sono valicabili. In carcere si viene
con un documento falso ed entra qualsiasi persona. Io ne ho
avuto.
  PRESIDENTE. Documenti falsi?
  TOMMASO BUSCETTA. Io ho ricevuto i capi mandamento
dentro il carcere. Io ho ricevuto Michele Greco dentro il
carcere. E mi veniva raccomandato un dottore che era stato
carcerato, quindi non pensate che le carceri siano
invalicabili: sono valicabili. Era il dottore Musumeci: i
poliziotti avevano arrestato una serie di collaboratori perché
sembrava che gli apparecchi dentali ... Noi abbiamo in bocca
non so quanti denti, mentre sembrava che fossero 92. Erano
troppi denti per una sola persona. Ed allora Greco entrò nel
carcere, si rivolse a me ...
  PRESIDENTE. In quale carcere?
  TOMMASO BUSCETTA. All'Ucciardone, raccomandomi il dottor
Musumeci, dentista. Mi disse: "Masino, mi raccomando a te. E'
una persona perbene". Lui andò via poco tempo dopo, 8 o 15
giorni dopo, e andò all'ospedale e dall'ospedale poi andò in
libertà. Però, io voglio dire che ho ricevuto visita anche da
parte del capo della commissione.
  PRESIDENTE. Stava dicendo che nel 1979 era a Cuneo.
  TOMMASO BUSCETTA. Ero a Cuneo e mi mandarono
l'imbasciata per parlare con i terroristi se si ammazzava il
generale Dalla Chiesa in qualsiasi posto d'Italia e i
terroristi avrebbero accettato di rivendicarlo, di fare il
loro volantino. Io circuii un brigatista che era con me,
importante perché aveva partecipato al sequestro Moro, e gli
dissi, logicamente non facendo affermazioni, allo stile
mafioso: sarebbe stato bello uccidere il generale Dalla Chiesa
perché a voi vi dà disturbo. Ma se qualcuno lo ammazzasse il
generale Dalla Chiesa, voi lo rivendicate? "No, no, noi
rivendichiamo il generale Dalla Chiesa solo se uno di noi
partecipa". Io mandai l'imbasciata indietro e il generale
Dalla Chiesa, in quella occasione, rimase vivo perché io credo
- io credo! - che l'entità che aveva chiesto il favore alla
Cosa nostra di uccidere il generale Dalla Chiesa non voleva
strascichi non si trovando chi aveva ucciso il generale Dalla
Chiesa. Allora: ferma! Punto!
                         Pag. 358
  Ma qual è il rimedio per uccidere il generale Dalla Chiesa?
Secondo me - signori miei, non prendetemi per pazzo, per
favore! - il generale Dalla Chiesa viene ucciso perché mandato
in Sicilia ad andare a disturbare i mafiosi; e i mafiosi
avrebbero dovuto liberarsi come un fatto fisiologico: tu ci
disturbi, noi ti ammazziamo. Ma è vero questo il motivo perché
viene ammazzato Dalla Chiesa? Non mi sono saputo spiegare?
Solo così posso spiegarmi.
  PRESIDENTE. Nel 1979, però, che interesse c'era ad
eliminare il generale Dalla Chiesa?
  TOMMASO BUSCETTA. Bravo! Se lo spieghi da solo.
Spiegatevelo voi che siete intelligenti più di me. Io non so
spiegarvelo. Certo che ancora non aveva disturbato nessun
mafioso.
  PRESIDENTE. Appunto.
  TOMMASO BUSCETTA. O mi sbaglio?
  PRESIDENTE. Ricorda se era la fine dell'anno oppure la
prima parte del 1979? Era dopo l'assassinio di Terranova, che
avvenne il 25 settembre del 1979, o prima?
  TOMMASO BUSCETTA. Questo non posso ricollegarlo.
  PRESIDENTE. Non ricorda se faceva caldo o freddo, visto
che a Cuneo le stagioni si sentono?
  TOMMASO BUSCETTA. Io posso ricollegarlo, attraverso il
contatto con il brigatista che entrava dalla libertà, in che
epoca è stato.
  PRESIDENTE. Può dire il nome del brigatista?
  TOMMASO BUSCETTA. E poi lo mandiamo fuori, e già va dal
brigatista. Io lo posso dire, ma non lo so ... Signor
presidente ...
  PRESIDENTE. Non è un reato aver ascoltato una proposta
di questo genere. Poi lei decida come ritiene. Non è che la
inguaia.
  TOMMASO BUSCETTA. No, non in questo senso. Siccome io ho
intenzione di farli, questi discorsi, con i giudici istruttori
di Palermo, i quali ho sentito giovedì, non dicendo questi
discorsi, si intende. Io preferirei che il giudice istruttore
poi facesse delle indagini per incontrare a questo per dirgli:
ma qualche volta Buscetta ti parlò?
  PRESIDENTE. Ho capito. Chi era la persona, o in che modo
lei era stato contattato per fare questa proposta nel 1979?
  TOMMASO BUSCETTA. Come?
  PRESIDENTE. Come lei aveva ricevuto questo messaggio nel
1979?
  TOMMASO BUSCETTA. E' molto semplice, veniva mio figlio,
venivano i miei amici, attraverso ...
  PRESIDENTE ... la persona che veniva da lei.
  FRANCESCO CAFARELLI. Possiamo capire "l'entità"? A cosa
si riferisce, nella scala gerarchica, quando parla dell'entità
che prima aveva deciso e poi aveva deciso di non farlo?
  PRESIDENTE. Soprassiederei a questa domanda.
  TOMMASO BUSCETTA. Forse l'onorevole Cafarelli vuole
sapere l'entità di Cosa nostra che aveva deciso questo?
L'entità politica no! Però, se parliamo di entità di Cosa
nostra, posso dirlo benissimo: la commissione.
                         Pag. 359
  PRESIDENTE. Comunque, mi pare che lei abbia detto
questo: che qualcuno, secondo la sua idea, potrebbe aver
chiesto a Cosa nostra se si poteva fare quel tipo di
operazione.
  TOMMASO BUSCETTA. Ecco, sì. Perché, alla Cosa nostra
cosa ci interessava il generale Dalla Chiesa? Nel 1979 non
aveva niente contro i siciliani, in quel momento.
  PRESIDENTE. Non c'è dubbio. Visto che stiamo toccando la
questione Cuneo, lei ricorda che fu contattato anche per la
vicenda Moro.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione in che termini
fu contattato, che cosa successe?
  TOMMASO BUSCETTA. Anche questo io vorrei ... Io fui
contattato, ma addirittura per questa cosa ne vorrei parlare
ai giudici. Non c'è da parte mia dire: no, non voglio parlare.
No! Sono già aperto. Ma da questa parte qua io ho da suggerire
ai giudici di andare a rintracciare delle bobine telefoniche,
che appartengono a dei processi, dove si parla molto
chiaramente dell'interessamento mio per essere trasferito di
carcere per andare a parlare con i brigatisti se si può
salvare la vita di Moro. Questo è nelle telefonate, ed io le
ho lette le telefonate.
  PRESIDENTE. Si, ma questo lei l'ha già detto davanti
alla corte d'assise di Palermo.
  TOMMASO BUSCETTA. Ed allora si deve avvicinare la
persona che telefonava e che telefonava anche a mia moglie
dicendo: noi stiamo facendo il possibile perché Masino sia
trasferito a Torino. E poi sono andato a finire prima a Milano
e poi a Napoli. Quindi sono andato in tutt'altro posto.
  PRESIDENTE. Quindi lei doveva andare a Torino per
cercare ...
  TOMMASO BUSCETTA. Avrei dovuto andare a Torino.
  PRESIDENTE. ... di tenere contatto con qualcuno. Le
dissero con chi dovesse prendere contatto?
  TOMMASO BUSCETTA. No, questa me la dovevo vedere io.
Loro mandavano a chiedere il favore, ma non mi indicavano la
persona. Ero io che dovevo vedere a chi mi potevo rivolgere di
loro.
  PRESIDENTE. Il compito che lei aveva, se non ho capito
male, era quello di cercare di ottenere la liberazione di
Moro. E' così?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Era stata la commissione a chiederle questo?
  TOMMASO BUSCETTA. Era stata la commissione ed erano
stati anche elementi della malavita milanese. Dico questo
perché la commissione è una cosa che non si ascolta più perché
non si è ascoltata mai, mentre l'elemento milanese è
chiarissimo nelle telefonate dove dice: "non vogliono liberare
a Moro". L'interlocutore che parla di Roma con questa persona
a Milano, dice: non vogliono farlo liberare a Moro. Questo è
nelle telefonate. Queste non sono mie dichiarazioni.
  PRESIDENTE. Certo. Quindi lei fu contattato tanto da
esponenti della commissione, quanto da persone della
criminalità comune. E' così che ha detto?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Per cercare di entrare in contatto con un
brigatista perché fosse liberato Moro.
  TOMMASO BUSCETTA. E' esatto.
                         Pag. 360
  PRESIDENTE. La commissione era d'accordo su questa
strada?
  TOMMASO BUSCETTA. Questo non posso stabilirlo, ma il
messaggio mi veniva da Stefano Bontade. Io credo che la
commissione era d'accordo. Non si sarebbe lui lanciato a
capofitto in una cosa di questo genere senza che la
commissione non lo sapesse. Io avrei potuto metterlo nei guai
dicendo "a me Stefano mandò a dire di interessarmi".
  PRESIDENTE. Dov'era a Palermo?
  TOMMASO BUSCETTA. No, ero a Cuneo.
  PRESIDENTE. A Cuneo ebbe questa sollecitazione?
  TOMMASO BUSCETTA. No, no. Sono stato tre anni a Cuneo.
  PRESIDENTE. Quando era a Cuneo ebbe questa
sollecitazione?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. E doveva essere trasferito a Torino?
  TOMMASO BUSCETTA. A Torino, dove c'erano i brigatisti.
Invece sono stato portato prima a Milano e dopo a Napoli.
  PRESIDENTE. Quindi, non ebbe la possibilità di parlare
di questa cosa.
  TOMMASO BUSCETTA. No, credo che Moro era già morto. Non
ricordo bene... si è perso là.
  PRESIDENTE. Calò era d'accordo su questa linea?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. Non lo so questo.
  PRESIDENTE. Non ha saputo di dissensi all'interno di
Cosa nostra su questa questione?
  TOMMASO BUSCETTA. Su questo proposito no.
  PRESIDENTE. Le pongo la domanda per capire quali
strategie lo Stato deve avere contro Cosa nostra: che cosa
disturba di più, che cosa teme di più Cosa nostra? Che cosa
possiamo fare per dare il massimo fastidio possibile? Capisce
che cosa voglio dire?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. A voi non vi teme; non teme la
giustizia perchè un mafioso per la strada si sente molto
forte. La collaborazione di gente anche non mafiosa - questo è
bene che lo fate rilevare nelle vostre interpretazioni - ...
parliamo solo di mafia, mafia, mafia, ma c'è gente che
collabora che non è mafiosa e collabora ad un livello
altissimo, perché dà contributi notevolissimi.
   Quello che disturba veramente la mafia è non poter
adempiere alle promesse fatte ai carcerati. L'uomo d'onore va
in carcere sicuro, in tutte le epoche, che la sua famiglia
starà bene, non passerà fame e che si interesseranno al
massimo per poter farlo uscire. Non ci sarà mai un uomo
d'onore, non c'era stato mai - correggo - un uomo d'onore che
avesse temuto qualcosa su questo proposito. Ora, non mantenere
questi impegni li preoccupa. Questo è molto grave.
   Quando dico "Riina sta rantolando" è perché veramente lo
Stato ha risposto adesso a Riina. Ho sentito la sentenza di
sabato, a lui non importa che gli abbiano dato l'ergastolo, ma
ha un impegno morale con i Madonia, li ha portati allo
sbaraglio, lui sarà molto, ma molto cattivo in questo momento.
  PRESIDENTE. Quindi, la cosa che si teme è un rigore
della giustizia tale da non consentire a Riina, ai capi, di
mantenere le promesse. Un'altra persona ha detto "aggiustare i
processi".
                         Pag. 361
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto. E' una parola tecnica.
  PRESIDENTE. Che cosa vuol dire "aggiustare i processi"?
  TOMMASO BUSCETTA. E' una parola tecnica. Come spiegare?
Aggiustare i processi s'intende "ho parlato con il
presidente", "ho parlato con il pubblico ministero", "ho
parlato con il commissario", "ho parlato con un agente", "ho
parlato con il testimone", "ho parlato con la giuria". Questo
è aggiustamento di processo.
  PRESIDENTE. Quindi, quando questo non è possibile, c'è
un problema delicato.
  TOMMASO BUSCETTA. Eh, diventa delicato.
  PRESIDENTE. E' un problema in quanto uno come Riina
promette "state tranquilli perché poi si aggiusta il processo"
o lo è indipendentemente da questo?
  TOMMASO BUSCETTA. Lui si è lanciato alla conquista della
Sicilia, perché la Sicilia è sua; non pensiamo alla provincia
di Palermo in mano a Riina perché è assurdo, lui ha tutte le
province della Sicilia. Credo che l'interprovinciale era una
cosa, lui la mantiene però ci mette i pupi che dice lui.
   Che cosa stavo dicendo?
  PRESIDENTE. Stava dicendo che Riina comanda e che in
questo momento ha lanciato una sfida molto elevata.
  TOMMASO BUSCETTA. Ecco, ha lanciato una sfida molto
grande allo Stato e ai perdenti. I perdenti sono finiti ormai.
Non ci sono più i perdenti. Dovevamo stabilirlo e non siamo
riusciti a stabilirlo nel processo chi erano i perdenti,
perché io appartenevo ai vincenti. Calò ha vinto, io com'ero,
perdente o vincente? Non l'abbiamo stabilito.
  PRESIDENTE. Non c'erano né vincenti né perdenti.   Nel
passato, si aggiustavano i processi?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma certo, mica erano cose campate...
il processo dei 114 recente, a Palermo, è una cosa che mi
consta.
  PRESIDENTE. Fu aggiustato?
  TOMMASO BUSCETTA. C'era il pubblico ministero, dottor
Pedone se non vado errato, che sosteneva l'accusa e per tutta
la durata del processo disse "ah, all'ultimo parlerò del
presidente dell'associazione; all'ultimo parlerò di Gaetano
Badalamenti, perché all'ultimo..." e tutti aspettavamo
all'ultimo richieste. All'ultimo parlò di Badalamenti e fece
la richiesta: il carcere espiato. Cioè Badalementi ha preso un
anno e undici giorni e io due anni. E lui doveva parlare
all'ultimo del presidente dell'associazione! Questi sono
fatti, non dico bugie; sono fatti registrati: "all'ultimo
parlerò del presidente di questa associazione".
  PRESIDENTE. I processi si aggiustavano solo a Palermo o
anche fuori?
  TOMMASO BUSCETTA. No, anche fuori di Palermo.
Specialmente in Calabria e nel napoletano. Senz'altro.
  PRESIDENTE. E a Roma? Scusi, che cosa interessava a Cosa
nostra di quello che succedeva a Napoli o in Calabria?
  TOMMASO BUSCETTA. Signori, vogliamo smetterla? Volete
pensare che non è vero che a Napoli, in Campania e in Calabria
ci sia solo la 'ndrangheta e la camorra? Non è vero, c'è la
Cosa nostra!
  PRESIDENTE. Spieghi questo.
  TOMMASO BUSCETTA. C'è la Cosa nostra e loro sempre
continuano con la 'ndrangheta. Non è vero; la 'ndrangheta
esiste ancora, ma a livello di servire la Cosa nostra, non
come entità che fa quello che gli pare e piace. Lasci
sbagliare qualcuno della 'ndrangheta; lasci sbagliare Cutolo
che fu l'idolo della camorra.
                         Pag. 362
Cosa nostra dalla Sicilia, insieme ai napoletani, distrusse a
Cutolo. Chi è Cutolo oggi?
  PRESIDENTE. Sì, è vero.
  TOMMASO BUSCETTA. Ne hanno ammazzati mille e mille di
persone, i siciliani e i napoletani. E' Cosa nostra, non
camorra.
  PRESIDENTE. Quindi, quando i processi riguardavano
uomini d'onore Cosa nostra si attiva?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Si attiva soltanto quando i processi
arrivano in Cassazione oppure in tutti i livelli?
  TOMMASO BUSCETTA. In tutti i livelli. Posso bere un
bicchiere d'acqua?
  PRESIDENTE. Certo. Vuole fumare? Vuole un caffè?
  TOMMASO BUSCETTA. No, no, non fumo grazie. Ho smesso di
fumare quattro anni fa.
  PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato che cosa reca maggiore
danno a Cosa nostra: ebbene, che cosa reca maggiori vantaggi a
Cosa nostra? Quali sono gli errori più gravi che, secondo lei,
sono stati compiuti nella lotta contro Cosa nostra e che non
bisogna ripetere?
  TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto una giustizia no più
dura, più giusta. No più dura perché già è dura la giustizia!
Una giustizia giusta; la giustizia che veramente faccia i
processi e non accetti... allora sì che è veramente una
battaglia a Cosa nostra. E poi, come dissi al Senato
americano, principalmente far vedere da parte dello Stato che
è lo Stato quello che comanda, non è il mafioso. Perchè
purtroppo nelle borgate siciliane chi comanda è il mafioso,
non lo Stato. Sconoscono lo Stato. La figlia che scappò con il
tizio? Non è allo Stato che ci si rivolge, ma al mafioso.
Ancora oggi si rivolgono a Riina; tremano di paura per Riina
ma si rivolgono a lui!
   Invece, facciamo vedere che lo Stato si interessa anche di
queste cose!
  PRESIDENTE. Quando Cosa nostra comincia a trafficare in
stupefacenti?
  TOMMASO BUSCETTA. Beh, ironicamente posso dire che sono
"il re dei due mondi"... invece non è vero, sono un uomo
povero, non possiedo una casa di proprietà. Questo fa parte
della strategia di Cosa nostra. Sono stato perseguito e
inseguito da lettere anonime che parlavano del mio
contrabbando. Ma dove sono i soldi del contrabbando della
droga che io avrei? Non lo so. Sinceramente non lo so!
   Una volta il giudice Falcone mi disse: "Va bene, signor
Buscetta, anche l'uscere del tribunale sa che non è vero che
lei trafficava in droga". Ma era tardi, tardi, già la nomea.
Uno scrittore come Galluzzo scrive un libro e si inventa che
sono stato arrestato nel centro di New York con una valigia
con 85 chili di merce.
   Quindi parliamo di essere arrestato e portato in carcere.
Falso! Come si può scrivere così? Lui è bugiardo; non è uno
scrittore, è un bugiardo ambulante. Io non sono mai stato
arrestato con una valigia che conteneva 85 chili di droga.
Lasciamo perdere, questa è stata una deviazione.
   Comunque, sarà cominciato intorno al 1978, c'è stato un
salto di qualità. Prima c'era il contrabbando delle sigarette;
poi questo non servì più e si entrò nella fase del
contrabbando di droga. E lo fecero con grande rilevanza.
  PRESIDENTE. Tutto ciò verso la fine degli anni settanta?
  TOMMASO BUSCETTA. Verso il 1978 cominciarono il vero e
proprio... Quando uscii, nel 1980, vidi che i valori si erano
persi. Chi aveva la villa al mare, chi in montagna.
                         Pag. 363
  PRESIDENTE. Quindi, il traffico di stupefacenti ha
portato cambiamenti dentro Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. E' stato il traffico di stupefacenti
che ha deviato Cosa nostra, che ne ha fatto perdere i valori.
   Non ridete, per favore. Sono nato così e difficilmente si
può cambiare. Io credevo in quella cosa.
  PRESIDENTE. Quali sono stati i cambiamenti più
importanti che si sono verificati per effetto del traffico di
stupefacenti?
  TOMMASO BUSCETTA. Tutta la strategia corleonese.
Possiamo seguirla passo passo. Per poter fare un uomo d'onore
nei miei anni...
  PRESIDENTE. Quando è stato fatto uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo nel 1946. Ero molto giovane,
direi bambino.
   Si mandavano dei biglietti per tutte le famiglie e per
tutta la Sicilia, per sapere chi aveva da dire contro il
giovane proposto per diventare uomo d'onore. Negli anni
ottanta, adesso, si fa uomo d'onore chi sa sparare, mentre
prima c'erano dei valori più morali. Non era necessario che
sapesse proprio sparare; era necessario che ci fossero quelli
che sapevano sparare, ma per essere uomo d'onore non era
necessario. Sono stati fatti uomini d'onore avvocati, dottori,
ingegneri, principi. Questi non vanno a sparare e non andavano
a sparare. Erano fatti uomini d'onore perché servivano alla
causa comune, chi perché aveva il feudo, chi perché doveva
curare le ferite.
  PRESIDENTE. Anche per le perizie mediche?
  TOMMASO BUSCETTA. Certamente, per le perizie mediche.
   Quindi, Cosa nostra aveva bisogno di queste persone, che
aderivano con molta volontà. Cosa nostra non si accingeva a
fare un nuovo uomo d'onore se non dopo averlo sperimentato,
sperimentato, sperimentato.
  PRESIDENTE. Adesso, invece?
  TOMMASO BUSCETTA. Adesso!
  PRESIDENTE. Sono cambiati i rapporti tra gli uomini
d'onore e tra le varie famiglie per effetto del traffico di
stupefacenti?
  TOMMASO BUSCETTA. Sono cambiati perché si ha valore nel
contrabbando della droga secondo l'entità della famiglia. Si
aveva valore, perché adesso non lo so più. Questo si intende?
  PRESIDENTE. Sì.
  TOMMASO BUSCETTA. Si aveva valore per l'importanza che
l'individuo aveva in seno a Cosa nostra. Per importanza, fino
a quando sono uscito nel 1980, si intendeva chi aveva saputo
sparare di più.
  PRESIDENTE. Quale può essere, in questa fase, la
reazione di Cosa nostra, in particolare di Riina? Cosa può
accadere?
  TOMMASO BUSCETTA. Possiamo procedere sulle ipotesi?
  PRESIDENTE. Sulle ipotesi e sulla base delle sue
conoscenze.
  TOMMASO BUSCETTA. Sulle ipotesi, credo che Riina farà
cose molto gravi. Voglio dire una cosa, una primizia.
   Sono stato giovedì con i giudici e, ai tre che mi hanno
interrogato, ho detto: state tranquilli, non siete voi quelli
che va cercando Riina in questo momento. Non è per sempre; sto
dicendo: in questo momento non è voi che Riina cerca. Riina
cerca chi sta creando tanto fastidio a lui.
                         Pag. 364
  Non facciamo nomi. Non sono un suggeritore e non vorrei che
Riina non ci stesse pensando e io gli suggerisco a chi deve
pensare.
   Sta cercando chi gli sta creando tanti disturbi, perché
questa faccenda del pentitismo sta diventando veramente grave
per lui. Non più il processo, adesso.
   Ecco perché dico che la mafia rantola. Non è più il
processo in Cassazione che la interessa. Adesso ha un problema
molto più grave: il pentitismo. Signori miei, non denigrate i
pentiti, non li prendete per napoletani.
  CARLO D'AMATO. Anch'io sono napoletano!
  TOMMASO BUSCETTA. Chiedo venia. Mi riferivo ai processi,
non ai napoletani. Per l'amor di Dio, nessuna allusione, come
mi potrei permettere!
   Non confondiamo il processo di Tortora con i processi
mafiosi. Per favore. I mafiosi, per quanto mi risulta, non
prendono gli elenchi telefonici. C'è un detto a Palermo: "u
carbuni si nun tinci, mascaria"; il carbone, se non tinge,
sporca. Se le dichiarazioni dei pentiti non saranno al 100 per
cento di vostro gradimento, state certi che il 70 per cento
c'è: approfittatene, non denigrateli e non fate che la stampa
li denigri, così come è stato fatto nei miei confronti.
   Ma io sono forte, non c'è niente da fare, sono forte
moralmente, sono un uomo d'onore, non uomo d'onore di Totò
Riina: sono nato uomo d'onore e non mi distruggono. Sono qua.
  PRESIDENTE. Lei ci stava spiegando che Riina, in questo
momento, starebbe pensando a qualcosa di importante,
probabilmente non sul versante dei giudici.
  TOMMASO BUSCETTA. Non credo.
  PRESIDENTE. Piuttosto sul versante dei pentiti, per
cercare di bloccare questo fenomeno.
  TOMMASO BUSCETTA. Per bloccare questo apparato dello
Stato che sta facendo tanto bene sotto questo profilo.
   Io credo che voi abbiate in mano la chiave d'oro per
potervi spiegare tanti "perché" del passato e del presente.
Avete la chiave d'oro per aprire il passato e il presente.
  PRESIDENTE. Anche il presente?
  TOMMASO BUSCETTA. Anche il presente.
  PRESIDENTE. Questa chiave sono i pentiti?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. I pentiti e le nuove strutture che
voi avete fatto.
  PRESIDENTE. E' prevedibile un'altra guerra di mafia?
  TOMMASO BUSCETTA. E chi la fa la guerra a Riina?
   E' possibile solo una cosa: distruggendo Riina, ci saranno
le guerre di mafia veramente, dove la mafia si autoannullerà.
Riina lascerà come eredità tanti rancori nei gruppi mafiosi
che si ammazzeranno come bastardi in prossimo futuro.
  PRESIDENTE. Come è possibile che Riina sia da tanti anni
latitante?
  TOMMASO BUSCETTA. Queste domande dovrebbe rivolgerle
alla polizia, non a me.
  PRESIDENTE. Come si fa a sfuggire alla cattura? Si vive
all'estero?
  TOMMASO BUSCETTA. Ora no, ma parliamo del passato, un
passato molto vicino. Liggio stava a Palermo, non era
necessario che andasse nei giardini o nei boschi (ora credo
che ci sia); ma i mafiosi stanno in città. Quando ero
latitante, nel 1980 sono stato in città, non sono andato certo
a seppellirmi in un bosco.
                         Pag. 365
  PRESIDENTE. E nessuno è venuto a cercarla?
  TOMMASO BUSCETTA. Abitavo in un condominio...
  PRESIDENTE. In via della Croce Rossa, vero?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, in un condominio di via della
Croce Rossa, dove abitava mio figlio Antonio. Io abitavo con
mio figlio e nel palazzo di fronte abitava il commissario De
Luca.
  PRESIDENTE. E non si affacciava alla finestra?
  TOMMASO BUSCETTA. Certo che non mi affacciavo alla
finestra né potevo dire: guardate io sono qua!
  PRESIDENTE. Quindi, non è venuto a cercarla nessuno?
  TOMMASO BUSCETTA. No; è tanto che non sono stato
arrestato; facciamo come Contorno: lei ha visto Pippo Calò?
No, è qua. Se lo avesse visto, lo avrebbe ammazzato. Io non
sono stato arrestato a Palermo e all'inizio del 1981 me ne
sono andato in America.
  PRESIDENTE. Lei pensa che Riina in questo momento sia in
Sicilia?
  TOMMASO BUSCETTA. C'è forse qualche dubbio? In quale
altro modo potrebbe sostenere i lacci che manovra? Deve stare
là.
  PRESIDENTE. Poiché uno dei problemi più importanti da
risolvere riguarda proprio l'arresto dei latitanti...
  TOMMASO BUSCETTA. E' logico.
  PRESIDENTE. ... può suggerire alla Commissione quali
azioni sarebbe utile intraprendere a tal fine?
  TOMMASO BUSCETTA. A me sembra una presunzione spiegare a
voi cosa si debba fare per arrestare i latitanti. Avete creato
un organo di Stato, di cui fanno parte, se non erro,
carabinieri, Guardia di finanza e polizia; costoro avranno i
mezzi, se voi politici li aiuterete, non mi rivolgo a lei
personalmente ma alla classe politica italiana. Sosteneteli,
perché la superprocura è una cosa importante. Dico che è
importante non perché condivido quest'idea o perché vedevo in
Falcone la persona degna di essa ma perché è assurdo che ogni
procura spezzetti e l'altra non sappia... Lei è stato un
giudice, vero?
  PRESIDENTE. Sì.
  TOMMASO BUSCETTA. E' assurdo che le procure non abbiano
contatti fra di loro. E' bella l'idea di un centro
d'informazione perché è in questo modo, processualmente, che
li colpirete veramente!
  PRESIDENTE. Per arrestare i latitanti non c'è bisogno di
tutte queste strutture; si potevano arrestare anche prima.
Come facevate se si voleva trovare una persona che si
nascondeva?
  TOMMASO BUSCETTA. Come facevo io? Ma c'era differenza
tra come facevo io e come faceva Cosa nostra!
  PRESIDENTE. Lo so.
  TOMMASO BUSCETTA. Io andavo da 'o zù Peppino, poi 'o zù
Peppino ciu ricìa 'o zù Ciccio, 'o zù Ciccio ciu ricìa 'o zù
Jachino e poi arrivavo alla persona. Quindi è una cosa ben
diversa. Forse lei, da torinese, non ha capito una parola di
quello che ho detto.
  PRESIDENTE. Ho capito perfettamente.
   Quindi, è possibile che una persona sia a Palermo da
latitante perché nessuno la va a cercare?
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  TOMMASO BUSCETTA. E' possibilissimo, anche perché credo
che a Palermo ci sia stata molta polizia accondiscendente. Nel
1980, quando ero a Palermo e mi recavo a casa di Stefano
Bontade, incontravo tutti. Allora mi raccomandavano: "Per
favore, non uscire prima dell'una e mezza e non tornare a
Palermo dopo le quattro e mezza!". Cosa significa? Non che
fossero stati corrotti i poliziotti ma si sapeva che in
quell'orario nessuno della polizia era in servizio, non so se
rendo l'idea. Ecco perché mi si diceva di non uscire prima
dell'una e mezza e di non tornare dopo delle quattro e mezza.
Che devo dire di più?
  PRESIDENTE. Molti di voi latitanti eravate a casa
vostra.
  TOMMASO BUSCETTA. Questo poteva essere anche cattivo
servizio! Io non ho corrotto nessuno, perché direi una
tremenda falsità, ma il fatto è che a casa di mio figlio non
veniva nessuno. Devo anche premettere che nella casa di mio
figlio ero stato come "regolare": avendo avuto alcuni permessi
in stato di semilibertà per recarmi a Palermo, avevo dato
l'indirizzo di mio figlio dove andavo a dormire. Quindi la
casa di mio figlio era già conosciuta perché vi avevo già
abitato.
  PRESIDENTE. E lei tranquillamente se ne è andato lì da
latitante?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Dove altro è stato da latitante?
  TOMMASO BUSCETTA. Sono stato in casa di Stefano Bontade,
di Inzerillo. Vi dirò che il luogo dove Inzerillo teneva i
suoi affari si trovava a cento metri dall'aeroporto di Bocca
di Falco e si affacciava su un burrone da dove, a distanza di
100 metri, si alzava un elicottero - non ricordo se era della
polizia o dei carabinieri - che sorvegliava la città di
Palermo. Come ho detto, si sollevava a 100 metri di distanza
dalla proprietà di Inzerillo dove, come minimo, erano
parcheggiate cinquanta automobili, a volte anche cento. Mai
però questi poliziotti si sono domandati: "Guarda, sembra un
posteggio! Qui non c'è un supermercato, cosa fanno qui tutte
queste automobili?". Nessuno se l'è mai chiesto. Io mi
lamentavo con Inzerillo e gli dicevo: "Tu fai qui tutte queste
riunioni nonostante l'elicottero che si alza proprio da sotto
casa tua!". La risposta: "Ah, non si preoccupi!".
  PRESIDENTE. E lei non si preoccupava?
  TOMMASO BUSCETTA. Io invece continuavo a preoccuparmi,
tanto che non ci andavo molto spesso. Mi preoccupavo di
quell'elicottero che si alzava in volo a cento metri dalla sua
proprietà.
  PRESIDENTE. Può fare un passo indietro e fare
riferimento all'omicidio di Scaglione?
  TOMMASO BUSCETTA. Dell'omicidio Scaglione parlai con il
dottor Falcone ma oggi devo aggiungere qualcosa di più a
quelle dichiarazioni fatte al dottor Falcone. Nel 1970...
(Alcuni deputati conversano tra loro). Signor
presidente, mentre gli altri parlano io posso continuare,
vero?
  PRESIDENTE. Colleghi, ci rendiamo tutti conto che stiamo
procedendo all'audizione di un teste? Egli domanda se può
continuare la sua esposizione anche mentre parlano gli altri.
  ALFREDO BIONDI. Mi pare che possa farlo.
  PRESIDENTE. Il problema è di evitare che si parli in
due.
  TOMMASO BUSCETTA. Perdo la forza perché sembra che
quello che dico non
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sia interessante e allora non vale la pena neanche parlarne,
cioè io perdo quella carica agonistica...
  PRESIDENTE. Abbiamo capito perfettamente.
  GIUSEPPE MARIA AYALA. Carica agonistica?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, carica agonistica. Stavo dicendo -
molto brevemente e, se sarà opportuno, ci torneremo - che nel
1970 mi incontrai con Salvatore Greco per un colpo di Stato in
Sicilia; da quel momento, dopo aver parlato di colpi di Stato
e di incontri...
  PRESIDENTE. Ci arriveremo.
  TOMMASO BUSCETTA. ... io e Salvatore Greco andammo via.
Luciano Liggio stabilì di sua volontà di creare un clima di
tensione nell'ambiente politico per preparare il colpo di
Stato. Ognuno prese le sue mosse su quale fosse il politico da
colpire. A Palermo mi pare che sia stato colpito un fascista,
se non ricordo male.
  PRESIDENTE. Sì, Nicosia.
  TOMMASO BUSCETTA. Ma io non ero a Palermo. Queste sono
cose che ho sentito in carcere.
   Un altro. L'obiettivo di Luciano Liggio fu il procuratore
Scaglione. Perché il procuratore Scaglione? Perché aveva già
incominciato l'escalation. Lui sapeva cosa ne pensasse
Salvatore Greco di Vincenzo Rimini, un mafioso della provincia
di Trapani. Cicchitedda vedeva in questo Vincenzo Rimini
qualche cosa di padre, qualche cosa di grande, tanto da
offrirgli - lui ed io - di farlo evadere dal carcere, nel
1970. Ma Vincenzo Rimini - guardi la mentalità! - mandò a dire
a me e a Totò Cicchitedda se eravamo pazzi. Lui era stato
condannato, innocente, e doveva espiare la pena, non doveva
fuggire dal carcere. Guardi la mentalità: che metamorfosi di
mentalità mafiosa. Ci mandò a dire: siete pazzi; no, no io non
scappo dal carcere.
   E scelse il procuratore Scaglione...
  PRESIDENTE. Liggio scelse il procuratore Scaglione?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, perché in quel momento, in quei
tempi il procuratore Scaglione era interessato alle
rivelazioni di una donna che aveva accusato Vincenzo Rimini e
che era stato provato che era falsa. Diceva, fra l'altro, di
aver dato anche un appartamento. Io ricordo confusamente
adesso...
  PRESIDENTE. Ad una figlia, sì.
  TOMMASO BUSCETTA. Ma già Luciano Liggio mirava come
poteva annientare quel grande uomo che era Vincenzo Rimini,
che poteva ancora influenzare la provincia di Palermo
attraverso l'ascendente della propria personalità. Se ne era
liberato perché lo lasciava in carcere: già c'era in carcere,
ci rimaneva. Allora fa ammazzare il procuratore, lo fa
ammazzare nel territorio dove io appartenevo, con la
conseguenza che poi abbiamo visto: hanno detto che il
procuratore era vicino agli uomini d'onore, lo hanno denigrato
pure dopo morto. Ma la verità non è questa, la verità era
minare le basi dello Stato. Lui si è scelto Scaglione, ma non
c'era niente contro Scaglione.
  PRESIDENTE. La scomparsa del giornalista De Mauro
rientra nella stessa logica?
  TOMMASO BUSCETTA. Rientra in questa logica. E' per
questo che io non voglio parlare e non voglio essere preso per
pazzo; perché io ho esperienza della vita e le mie esperienze
possono essere giudicate da pazzo. Si può dire: questo qua è
venuto dall'America per confonderci le idee. Quindi devo
andare passo per passo.
                         Pag. 368
  PRESIDENTE. Certo, come sta facendo.
   Dunque, lei ha detto che l'omicidio di Scaglione fu deciso
da Liggio. E la scomparsa di De Mauro?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma tutti, tutti furono decisi da
Liggio. Cioè da Liggio, da Badalamenti e da Bontade, non
salviamo nessuno. Da Liggio, da Badalamenti e da Bontade.
  PRESIDENTE. Anche le bombe che esplosero a Palermo in
quel periodo rientrano in questo quadro?
  TOMMASO BUSCETTA. Le bombe le preparava Francesco
Madonia.
  PRESIDENTE. Ho capito.
  TOMMASO BUSCETTA. Ma Francesco Madonia fu trovato in
possesso di bombe a casa sua, o fu trovato mentre metteva le
bombe, non ricordo bene. Comunque era Francesco Madonia.
  PRESIDENTE. Quindi rientrava in questo quadro?
  TOMMASO BUSCETTA. Rientrava in questo quadro.
  PRESIDENTE. Dunque, sostanzialmente, tanto l'omicidio di
Scaglione quanto la scomparsa di De Mauro quanto queste bombe
rientrano in un quadro che è quello di preparare le condizioni
per ....
  TOMMASO BUSCETTA. Per fare il colpo.
  PRESIDENTE. Ho capito. Può spiegare cosa sa ...
  MARCO TARADASH. Nei verbali c'è scritto che non sapeva
niente. Quindi questa è una novità.
  PRESIDENTE. Ha detto all'inizio che aveva da dire una
novità, ha esordito così.
   Signor Buscetta, può spiegare bene alla Commissione questa
storia del tentativo di colpo di Stato del 1970, quello di
Borghese, del quale lei ha anche parlato ai giudici? Come ne
viene a conoscenza?
  TOMMASO BUSCETTA. Ci chiama Giuseppe Calderone, insieme
al Di Cristina.
  PRESIDENTE. Cosa intende dire con "ci chiama"?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché eravamo negli Stati Uniti,
anche Cicchitedda. Allora ci chiama per farci sentire che è
stato preparato un colpo di Stato e che Borghese avrebbe
intenzione di usare i mafiosi per farsi appoggiare in Sicilia.
  PRESIDENTE. Possiamo essere chiari? Vi telefona Pippo
Calderone ...
  TOMMASO BUSCETTA. Ma non c'è bisogno di telefonare,
viene uno e ci avvisa.
  PRESIDENTE. Dunque, viene uno ad avvisarvi in America e
a questo punto voi partite. Chi viene vi dice che c'è un
tentativo di colpo di Stato: vi fa anche il nome di Borghese?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. A quel punto voi cosa fate?
  TOMMASO BUSCETTA. Andiamo in Sicilia. Direttamente dalla
Svizzera andiamo in Sicilia.
  PRESIDENTE. Quindi andate dall'America in Svizzera e poi
dalla Svizzera...
  TOMMASO BUSCETTA. A Catania, direttamente. A Catania ci
incontriamo con Calderone che ci spiega...
  PRESIDENTE. Avevate i vostri documenti o documenti
falsi?
                         Pag. 369
  TOMMASO BUSCETTA. Falsi. Io mi chiamavo Barbieri e Totò
Cicchitedda si chiamava Caruso.
  PRESIDENTE. Avete preso una macchina a nolo in Svizzera?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, l'abbiamo lasciata a Catania.
  PRESIDENTE. E allora?
  TOMMASO BUSCETTA. Chi sapeva tutto esattamente dei miei
movimenti fino ad arrivare in Sicilia, e poi dalla Sicilia
tornare in Svizzera fino ad arrivare in America, è il
colonnello Russo. Sapeva tutto.
  PRESIDENTE. Perché?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché faceva parte del colpo. Il
colonnello Russo era la persona indicata che doveva andare ad
arrestare il prefetto di Palermo. Quindi quando io sono
arrestato per i 114 e lui fa l'associazione dei 114, lui è il
poliziotto più sicuro della vita, perché lui lo sapeva. Lui
era incaricato, quando veniva il momento X, di andare ad
arrestare il prefetto di Palermo. Poi la risposta dei massoni
è stata "l'abbiamo addormentato", e io mi sono svegliato.
  PRESIDENTE. Chi "abbiamo addormentato"?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, è una parola tecnica.
  PRESIDENTE. Lo so, ma le chiedo a chi si riferivano.
  TOMMASO BUSCETTA. Al colonnello Russo.
   Era addormentato. E io gli ho detto: "Sì, e io mi sono
svegliato dentro il carcere all'Ucciardone" pagando
l'associazione, perché io sono venuto solo a questo scopo.
  PRESIDENTE. Dunque, quando ci fu il processo dei 114
qualcuno protestò con i massoni per questo?
  TOMMASO BUSCETTA. Io non so se protestarono o no, ma i
massoni si sono interessati del processo dei 114.
  PRESIDENTE. Può spiegare come?
  TOMMASO BUSCETTA. Ah non lo so, non lo so. Fino a questo
punto posso andare.
  PRESIDENTE. Come fa a sapere che si sono interessati?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché l'abbiamo detto tra noi, che i
massoni si sono interessati per il processo dei 114. Perché il
processo dei 114 verteva tutto nel fermo di una macchina a
Milano, macchina nella quale eravamo io, Gerlando Alberti,
Giuseppe Calderone, Martino Caruso e Badalamenti.
  PRESIDENTE. Quindi, voi...
  TOMMASO BUSCETTA. Questa era l'associazione dei 114. E i
114 erano avvenuti così chiari perché il colonnello Russo
sapeva tutto, dalla a alla zeta. Andò in Svizzera a trovare
niente meno - questo il mio avvocato non se lo spiegava - il
biglietto che io avevo scritto essendo ospite di
quell'albergo.
  PRESIDENTE. Sì. Mi scusi, la morte del colonnello Russo
è legata in qualche modo a questa vicenda?
  TOMMASO BUSCETTA. No, no.
  PRESIDENTE. E' indipendente, non c'entra.
   Quindi, lei stava dicendo che dopo essere stati avvertiti
negli Stati Uniti voi andate in Svizzera, dove prelevate una
macchina - mi pare d'aver letto da qualche parte che si
trattasse di una Volvo ...
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  TOMMASO BUSCETTA. Poi l'ho lasciata a Catania.
  PRESIDENTE ... e dalla Svizzera scendete in macchina
fino a Catania. Cosa trovate a Catania? Con chi parlate?
  TOMMASO BUSCETTA. Giuseppe Calderone e Luciano Liggio.
  PRESIDENTE. Che era a Catania.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Latitante, che prendeva il bagno
nudo...
  PRESIDENTE. Sì, l'abbiamo saputo. E cosa vi dicono?
  TOMMASO BUSCETTA. Abbiamo deciso che volevamo delle
garanzie, perché si diceva che i mafiosi dovevano mettersi al
braccio un bracciale per essere riconosciuti e voleva l'elenco
di tutti i mafiosi della Sicilia. Noi dicemmo "sta scherzando,
ma chi glieli dà?"; poi finisce come Mussolini e lui ha
l'elenco delle persone. Allora si mandarono Giuseppe Calderone
e Di Cristina a Roma per incontrarsi con il principe Borghese.
Si incontrarono con il principe Borghese ed ottenevano niente
fasce e niente nomi.
   E si aggiustavano i processi di Riina, di Natale Rimi e di
Luciano Liggio, i due che erano veramente i più inguaiati.
  PRESIDENTE. Questa fu l'offerta che fece Borghese:
niente liste, niente segni di riconoscimento, si aggiustavano
i processi per le persone più esposte e voi in cambio cosa
dovevate fare?
  TOMMASO BUSCETTA. Fare parte della rivolta e fare in
modo che non ci fossere contrattacchi da parte dei civili,
della polizia.
  PRESIDENTE. Questo soltanto in Sicilia o dappertutto?
  TOMMASO BUSCETTA. Io posso parlare solo per la Sicilia;
non so cosa sia avvenuto nelle altre regioni.
  PRESIDENTE. E poi come è andata?
  TOMMASO BUSCETTA. Abbiamo detto a Calderone, a Di
Cristina, a Bontade noi che ci siamo riuniti in quella famosa
giornata in cui venne fermata la macchina con dentro me,
Badalamenti e Caruso, avevamo finito una riunione a Milano ...
abbiamo detto di fare in modo di non dare i nomi e poi di far
mantenere quegli impegni che lui aveva preso. E ritorniamo in
America; non appena sbarco in America, vengo arrestato e la
prima cosa che mi domanda la polizia americana è: "Lo fate o
no il golpe in Sicilia?", questa è la prima cosa che mi è
stata chiesta non mi è stato chiesto quanta droga avessi
portato o quanti omicidi compiuto ma soltanto: "Lo fate o no
questo golpe?". Io gli ho detto: "Ma quale golpe?" "Quello con
Borghese". Io dissi di non capire di cosa stessero parlando e
quindi negai tutto ma gli americani ne erano a conoscenza. La
risposta che poi mi arrivò negli Stati Uniti fu che il golpe
non si era potuto fare perché c'era una flotta russa nel
Mediterraneo, ma che gli Stati Uniti erano d'accordo. Se è
vero o non è vero questo non lo so né posso controllarlo.
  PRESIDENTE. Cosa sa di Giuseppe Calderone?
  TOMMASO BUSCETTA. Era mafioso, era rappresentante.
  PRESIDENTE. L'idea della commissione regionale viene da
Calderone, che lei sappia?
  TOMMASO BUSCETTA. No, credo di no, non lo so.
  PRESIDENTE. Nel corso dell'interrogatorio dell'11
settembre ...
  TOMMASO BUSCETTA. Comunque, si ricordi che alla
provincia di Catania ho dato valore 4.
                         Pag. 371
  PRESIDENTE. Catania valeva meno di tutte, insomma.
Adesso è Santapaola il referente di Riina?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma vale sempre 4.
  PRESIDENTE. Perché vale così poco?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché non hanno il carisma, la forza
che può avere quello della provincia di Palermo.
  PRESIDENTE. Ho capito, c'è proprio un problema di peso.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Nel corso dell'interrogatorio dell'11
settembre scorso, lei ha detto: "Per la verità, mi risulta
anche personalmente che esponenti di primo piano di Cosa
nostra hanno avuto contatti politici a Roma utilizzando come
ponte i cugini Salvo anche senza l'intervento di Salvo Lima.
D'altra parte, come oggi ha detto, Lima Salvo era uno dei
principali interlocutori politici di Cosa nostra ma non il
solo. Ad esempio, per limitarci a Palermo, ci si rivolgeva
anche ad altri uomini politici, ciascuno dei quali aveva un
proprio punto di riferimento a Roma". Per quali questioni ci
si rivolgeva a Lima?
  TOMMASO BUSCETTA. Se dovessi parlare fino al 1984 ...
  PRESIDENTE. Certo, per quello che sa lei.
  TOMMASO BUSCETTA. ... sempre per quegli appalti e ... Io
personalmente ... e lui si era scusato con me, aveva detto di
non essersi potuto interessare perché il mio nome era troppo
eclatante e ci saremmo fatti male a vicenda: lui politicamente
ed io da un altro punto di vista. Mi disse comunque che si
riteneva a mia disposizione. Quindi, Lima li aveva gli agganci
a Roma per interessarsi per i processi, solo con il mio nome
non si era potuto interessare.
   Quando chiediamo cosa facesse Lima per la mafia e di cosa
si interessasse, io rispondo della vita quotidiana, di ciò di
cui si può aver bisogno. Non possiamo chiedere se si
interessasse di una specifica cosa, certamente non si
interessava di droga (su questo potrei dare la mia parola
d'onore, è fuori discussione), però si interessava di tutte le
altre cose quotidiane, per esempio una licenza di caccia o un
passaporto; tutte quelle cose quotidiane per ottenere le quali
si ha bisogno di un'entità politica a Lima si chiedevano, sì,
ma si chiedevano anche ad altri uomini politici. Io parlo di
Lima e ne parlo perché si è fatta tanta polvere; mi sono
lamentato con i tre giudici che sono venuti a trovarmi a
Milano dicendo: "Voi avevate un impegno che avevamo scritto
nel verbale: avevamo scritto che queste cose non si sarebbero
... per lo meno quando l'indagine fosse stata più completa".
Però, loro erano contenti perché avevano trovato il tribunale
della libertà a favore della loro indagine e quindi mi sono
calmato un po'.
   Però, ritengo che queste cose debbono essere fatte più
saggiamente: non vi potete permettere di essere deboli nei
confronti di Riina, perché Riina - ricordatevelo - ... Forse
questa audizione lascerà uno strascico cattivo nei miei
confronti, ma io sono così, sono quello che voi vedete. Non è
all'intelligenza di Riina che dovete mirare, non sappiamo chi
Riina abbia dietro di sé perché lui ha la ferocia, lui ha gli
uomini mafiosi in mano ma è una cosa intelligente quella che
sta succedendo da Lima ad oggi?
  VITO RIGGIO. Si spieghi meglio.
  TOMMASO BUSCETTA. No, non lo posso spiegare, non lo
posso spiegare e lei non si deve offendere.
  PRESIDENTE. A cosa si riferisce dicendo "quello che sta
succedendo da Lima in poi"?
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  TOMMASO BUSCETTA. Alle stragi, non mi riferisco ad
altro. Mai in nessun'epoca si era verificato un caso come
l'omicidio di Chinnici, come quelli del dottor Falcone e del
dottor Borsellino, mai.
  PRESIDENTE. Perché non mette anche Ignazio Salvo in
questo quadro?
  TOMMASO BUSCETTA. Ignazio Salvo non serviva più a Totò
Riina, gli era d'incomodo, non serviva più.
  PRESIDENTE. E Lima? Serviva ancora?
  TOMMASO BUSCETTA. Lima serviva a denigrare Andreotti, ma
queste sono supposizioni mie, signori miei, per favore
fermiamoci, non andiamo oltre. Non è che io non sia disposto a
dare la mia collaborazione e la mia esperienza, sono
dispostissimo; io faccio un atto notarile, se lo volete. Io
sono un uomo libero, vado, vengo quando voglio, mi siedo,
dormo perché non sono più il "soldatino" che deve obbedire,
che sta deponendo per ottenere uno sconto di pena, oggi non ho
sconti.
  PRESIDENTE. Lei sta formulando un'ipotesi per quello che
riguarda fatti che si sono verificati mentre lei era detenuto.
Poiché lei nello stesso quadro ha inserito Lima e poi Falcone
e Borsellino mentre non ha parlato di Ignazio Salvo, le chiedo
perché lei sostenga che Ignazio Salvo non serviva più.
  TOMMASO BUSCETTA. Secondo me non serviva più.
  PRESIDENTE. Non serviva più da vivo?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma noi dobbiamo andare indietro. Non
posso così in due parole determinare un argomento. I Salvo,
quando incontrarono me - che hanno visto Dio in terra
incontrando me - fra le altre cose mi dissero che chi aveva
sequestrato Corleo era stato proprio Totuccio Riina, che loro
non avevano la forza di dimostrarlo perchè era tanto segreto.
Ma oggi lo sappiamo più perfetto. Era stato Riina, era stato
Scarpuzzedda, erano stati tra di loro anche con il signor
Calò. Quindi quando i Di Salvo mi vedono a me ...
  PRESIDENTE. Cioé Ignazio Salvo?
  TOMMASO BUSCETTA. Ignazio e Nino.
  PRESIDENTE. I due Salvo?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, i due Salvo. Dicono: possiamo
cominciare a fare la guerra a questi "quattru viddani"?
"Viddani" significa contadini. Io dissi che non ne valeva la
pena, perché i valori si erano perduti ed ognuno pensava al
suo contrabbando se andava in porto, se dall'America
arrivavano i soldi. Si erano perduti quei valori, quindi io
non vedevo via d'uscita. Dissi a Stefano Bontade: tu sei un
uomo morto perché ti vedo già morto. E me ne andai in Brasile.
   Quindi, quando Salvo è sempre in una posizione di buon
equilibrio fra politica e mafia, a Riina lo lascia tranquillo:
vai avanti! Nel momento in cui non serve più, è da eliminare.
Perché il parente di quel Corleo che continua ancora ad
indagare per vedere dove si trova il morto, perché vogliono
anche il morto, le ossa ...
  PRESIDENTE. Anche a tanti anni di distanza?
  TOMMASO BUSCETTA. Anche a tanti anni di distanza. Non
so, ma mi sembra che ci siano cose di eredità. E' una cosa
molto complessa.
  PRESIDENTE. Invece Lima, lei dice, serviva ancora da
vivo. O no? Non ho capito bene. Abbiamo capito che Ignazio
Salvo non serviva più e quindi a questo punto è fatto fuori,
anche perché sta continuando a cercare una cosa che non doveva
cercare. Per Lima, invece?
                         Pag. 373
  TOMMASO BUSCETTA. Per Lima, invece, è un politico e può
darsi che non abbia mantenuto un impegno o può darsi che
dietro la morte di Lima ci sia una cosa molto superiore
all'impegno processuale. Siamo nel campo delle ipotesi.
  PRESIDENTE. Lei ha fatto un cenno ed ha detto: Lima
serviva a denigrare Andreotti.
  TOMMASO BUSCETTA. Può darsi.
  PRESIDENTE. Lima da vivo o Lima da morto?
  TOMMASO BUSCETTA. Lima da morto. Da vivo no, certamente
no.
  PRESIDENTE. Quali erano i referenti romani di Lima?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Non lo sa o preferisce non dirlo?
  TOMMASO BUSCETTA. Preferisco non dirlo.
  PRESIDENTE. Quando lei preferisce non dirlo, lo dica.
Quando non lo sa, dica che non lo sa, altrimenti non capiamo.
  MARCO TARADASH. A questa domanda possiamo rispondere
noi.
  PRESIDENTE. Quali erano i referenti palermitani di Lima?
  TOMMASO BUSCETTA. Principalmente i Salvo.
  PRESIDENTE. Lima era parlamentare europeo ed era uomo
anche abbastanza importante nella vita politica per cui non
poteva occuparsi di tutto.
  TOMMASO BUSCETTA. Ma mica gli dicevano: vammi a fare la
spesa tutti i giorni. Chiedevano un favore oggi e un altro
dopo un mese. Quindi erano impegni che poteva ...
  PRESIDENTE. ... mantenere. Al di là dell'onorevole Lima,
facendo riferimento alle cose che lei ha detto ai giudici l'11
settembre, quali erano gli uomini politici cui si rivolgeva
Cosa nostra a Palermo ed a Roma? Lei ha detto che non era solo
Lima e che c'erano anche altri.
  TOMMASO BUSCETTA. Io preferirei dirlo ai giudici che
farebbero delle indagini.
  PRESIDENTE. Ho capito. Ci sono uomini politici che erano
uomini d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Sono tuttora in vita, in attività?
  TOMMASO BUSCETTA. Alcuni.
  PRESIDENTE. In attività politica?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di no. Ho dato una carrellata.
  PRESIDENTE. Può fare i nomi?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Li farò, però.
  PRESIDENTE. Preferisce non farli.
  TOMMASO BUSCETTA. Li farò, però.
  PRESIDENTE. Quali sono gli uomini sostenuti da Cosa
nostra nelle campagne elettorali?
  TOMMASO BUSCETTA. Come corrente, come partito?
  PRESIDENTE. Come persone. Quali candidati?
                         Pag. 374
  TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto si cerca la corrente.
  PRESIDENTE. La corrente vuol dire il partito?
  TOMMASO BUSCETTA. Se è comunista, se è ... niente da
fare.
  PRESIDENTE. Comunisti e fascisti niente. Poi?
  TOMMASO BUSCETTA. Poi ...
  PRESIDENTE. Va bene, ho capito.
  TOMMASO BUSCETTA. Si sceglie quello che ha già una
caratteristica ad essere avvicinato, cioè quello a cui si
possono, quando lui sarà eletto ... perché non è vero il fatto
che si pattuisca prima: se tu diventerai onorevole, tu mi
darai e io ti farò avere mille voti. Non è vero, per lo meno
non si è mai usato, anzi si è detto: onorevole, io per lei
farò le cose, speriamo che lei quando sarà onorevole non si
dimenticherà. Quando poi diventa onorevole, c'è una forma di
parlare con l'onorevole che è: o me la fai o me la fai! E
l'onorevole fa. Sempre!
  PRESIDENTE. Questo accade per tutti quelli che sono
stati votati da Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. No, perché molte volte si fa
confusione. Non si può stabilire quanti voti ha preso il Tizio
o il Caio. E' una cosa molto difficile, solo il votato sa se
ci sono stati, se sono affluiti i voti che Cosa nostra doveva
dare per lui. E poi non è Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Ci spiega un po' bene?
  TOMMASO BUSCETTA. E' il personaggio della Cosa nostra,
non Cosa nostra. Il personaggio non dice all'altro della Cosa
nostra che lui... o meglio dice: il presidente è cosa mia
quindi, se tu hai bisogno di un favore dal presidente, devi
rivolgerti a me. Mica ci devi andare direttamente. Quindi è
una specie di monopolio il candidato eletto da me, che è
differente dal candidato eletto da questo signore qui.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come funziona
questo meccanismo prima del voto? Bisogna scegliere un
candidato da votare ...
  TOMMASO BUSCETTA. No, non si sceglie il candidato da
votare. Non è nè la commissione ...
  PRESIDENTE. Mi faccia completare la domanda. Lei dice
che non è Cosa nostra che sceglie, ma il singolo uomo d'onore.
E' così?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, che se lo sceglie.
  PRESIDENTE. Anche la famiglia o solo il singolo?
  TOMMASO BUSCETTA. No, è quasi personale.
  PRESIDENTE. Ho capito. Lei dice che questa scelta non è
un contratto secondo cui io faccio questo e poi tu mi dai
quest'altro.
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Si fa intendere. Però, si prendono prima
contatti con quello che si voterà oppure no?
  TOMMASO BUSCETTA. Certo.
  PRESIDENTE. Può accadere che vi sia un uomo politico che
è votato anche in zone, in quartieri dove una famiglia comanda
senza che quest'uomo politico lo sappia?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Anzi, si può candidare qualsiasi
persona. Non solo, avevamo la bontà di non impedire che lui si
candidasse. Noi impedivamo solo il partito comunista nel vero
senso
                         Pag. 375
della parola. Andavamo famiglia per famiglia a dire: partito
comunista niente, è la cosa peggiore che esiste. Questo sì, ma
per quanto riguarda tutti gli altri partiti, lasciavamo
libertà a chi si voleva candidare. Era per questo, anzi, che
l'uomo politico cercava il mafioso, perché sapeva che lui
poteva ottenere molto di più di quello che si era candidato
per conto suo.
  PRESIDENTE. Cioè senza sostegno.
  TOMMASO BUSCETTA. Senza sostegno.
  PRESIDENTE. Poteva accadere che un uomo d'onore o più
uomini d'onore decidessero di non votare più per un partito, o
per certi candidati perché questi non li avevano sostenuti a
sufficienza?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. A lei non risultano cose di questo genere?
  TOMMASO BUSCETTA. No, a me non risultano queste cose.
  PRESIDENTE. Per capire, se andiamo a vedere come si sia
votato in un quartiere dove comanda quella certa famiglia si
può dire, secondo lei, che l'uomo politico votato è persona
con cui chi comanda in quel quartiere ha preso contatti?
  TOMMASO BUSCETTA. Guardi, lei domanda una cosa tecnica
alla quale non so rispondere. Credo che non si può vedere.
L'uomo politico abitualmente - lei lo sa meglio di me - sa le
preferenze che avrà, già ha una percentuale. Ha già la sua
visione, ma quando questa percentuale aumenta lui sa
benissimo...
  PRESIDENTE. Vorrei capirlo meglio. Mi presento in un
quartiere dove comanda una famiglia mafiosa particolarmente
importante: se nelle elezioni precedenti ho preso pochi voti,
mentre nelle attuali ne prendo tanti, ciò che significa che
sono stato appoggiato? Oppure può accadere che la gente voti
liberamente?
  TOMMASO BUSCETTA. No, è stato appoggiato. Se il suo
quoziente in quella borgata è di cento voti e improvvisamente,
quando lei ha raggiunto un accordo con me, così, di
benevolenza - non trattative, non ci sono trattative, per lo
meno nell'ambiente mafioso - vedrà trecento voti, saprà che
duecento sono venuti da parte mia, dal mio interessamento.
Quindi, lei meglio di nessuno sa che mi deve rispettare perché
quei voti saranno sempre suoi.
  PRESIDENTE. Non può accadere, secondo quanto lei sa, che
un uomo politico venga votato in modo massiccio, in un
quartiere mafioso, dominato dalla mafia, se la mafia non ha
deciso di votarlo.
  TOMMASO BUSCETTA. E' molto difficile.
  PRESIDENTE. In un interrogatorio davanti al dottor
Falcone sostiene che Badalamenti mentre era con lei a Belem il
3 settembre 1982, avendo appreso dalla televisione
dell'assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, ritenne che
l'omicidio era stato effettuato dai corleonesi, aiutati dai
catanesi, che erano a loro più vicini, ed aggiunse
(Badalamenti a lei) che "qualche uomo politico si era
sbarazzato, servendosi della mafia, della presenza, troppo
ingombrante ormai, del generale". Può spiegare alla
Commissione il significato di questa ipotesi di Badalamenti?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo che l'ho fatto mezz'ora fa, più
o meno. Già l'ho fatto questo, già ho dato questa risposta.
  PRESIDENTE. Ho capito.
  TOMMASO BUSCETTA. Lo stesso Badalamenti non si spiega
perché nel 79 deve morire, perché nel 1979 lui non è più...
                         Pag. 376
  PRESIDENTE. Non è ancora.
  TOMMASO BUSCETTA. No, non è più il capo della
commissione. E' finito; come uomo è finito, già è espulso da
Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Certo.
  TOMMASO BUSCETTA. Lui non si spiega come nel 1979 si
doveva uccidere Dalla Chiesa da parte nostra e farlo
rivendicare ai brigatisti.
   Poi, quando viene a Palermo il generale Dalla Chiesa e
viene a disturbare i mafiosi (perché io so che li ha
disturbati veramente)... lui non si spiega. Il fatto dei
catanesi è un pour parler dicono i francesi, è uno
scambio di vedute. Io penso che avranno usato anche i catanesi
nell'omicidio, perché siccome devono agire nella pubblica via,
nelle vie più centrali di Palermo, hanno usato gente
sconosciuta. Lui già sapeva dei collegamenti tra Riina, i
Greco e i catanesi.
  PRESIDENTE. Il fatto che il generale Dalla Chiesa
cominciasse a dare fastidio alla mafia e che fosse ucciso a
Palermo, non necessariamente poteva far pensare al fatto che
ci fosse un altro interesse ad uccidere il generale oltre a
quello di difesa pura della mafia.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma vede è il primo omicidio
eccellente Dalla Chiesa e viene cercato. E' difficile che io
trasferisca questa mia logica a voi.
  PRESIDENTE. Lo sta facendo capire benissimo.
  TOMMASO BUSCETTA. E' difficile. Mai la mafia si era
spostata a questi livelli. Solo perché aveva detto che i fogli
rosa non si dovevano dare più. Noi avevamo subìto il prefetto
Mori e non lo si era ammazzato - dico noi, forse non ero nato,
lo dico per sentito dire -. Non si era ammazzato il prefetto
Mori né quando era prefetto, né quando si ritirò.
   Cercare a Dalla Chiesa nel 79 non è più un problema
mafioso; è un problema che va al di là della mafia. Poi si
ammazza perché sta andando ad indagare sui costruttori di
Catania o sulle patenti: è troppo in alto che si va. Questa è
la mia opinione.
  PRESIDENTE. Quali sono gli altri omicidi di mafia che
fanno sorgere tali tipi di dubbio: quello di La Torre, poco
prima dell'uccisione del generale Dalla Chiesa, può far
nascere questo dubbio?
  TOMMASO BUSCETTA. La Torre... Poi loro hanno attuato la
legge La Torre, l'hanno messa in pratica e hanno sequestrato
tutti i beni dei perdenti.
  PRESIDENTE. Quando La Torre fu ucciso, il 30 aprile
1982, la legge non c'era ancora.
  TOMMASO BUSCETTA. Non c'era ancora, ma loro pensavano
che si stesse interessando. In virtù di tutte queste cose -
perché lei, stringi stringi, si ricorda il suo mestiere di
giudice istruttore e ritorna sempre sullo stesso argomento -
ed è l'opinione che mi sono creato da solo, non è vero che si
vuole ammazzare perché quello merita di essere ammazzato: è un
mezzo. Pio La Torre stava facendo la legge antimafia per il
sequestro dei beni; va bene, allora l'ammazziamo tanto...
l'ammazziamo per questa ragione, poi vediamo se...
   Stanotte stavo leggendo un libro di Caponnetto ... no,
scusate del giudice Falcone, scusate la deviazione, in cui
riferisce che una volta io raccontai a lui una barzelletta.
Gli dissi che un tizio ricorre al dottore per un'infezione in
un posto che, per la presenza di donne, non specifico. Disse
il dottore "guardi, se è stato il filo spinato è una cura; se
è stata un'altra cosa è un'altra cura! Dottore, lei mi dia
l'altra cura, ma le giuro che è stato il filo spinato!".
  PRESIDENTE. Ho capito.
                         Pag. 377
  TOMMASO BUSCETTA. Quindi ... Andiamo al fatto vero: è
inutile che io divago e parlo di un'altra ipotesi. Mi sono
fatto una mentalità mia che può non andare d'accordo con la
realtà. Non mi piace essere deriso e di essere preso in giro
dicendo che sono un pazzo da legare. Le mie verità le affiderò
ai giudici; le prove che loro troveranno, le porteranno
avanti. Non desidero diffamare nessuno.
  PRESIDENTE. Lei deve tener conto che la Commissione
parlamentare ha il dovere di porre una serie di domande.
  TOMMASO BUSCETTA. Ha ragione signor presidente.
  PRESIDENTE. Quali sono gli altri omicidi che fanno
nascere questo tipo di sospetto?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma tutti!
  PRESIDENTE. Tutti?
  TOMMASO BUSCETTA. Tutti. Il giudice Falcone è stato
ucciso da Cosa nostra perché fu uno strenuo lottatore contro
la mafia. Strenuo, onesto e dignitoso! Però è un mezzo per
coprire altre cose, secondo il mio punto di vista. E' ucciso
perché combatte la mafia; è ucciso dai mafiosi. Non si venga a
dire che la mafia non c'entra! Perché se ne intendono quanto i
dottori si intendono di astrologia. Io vedo altre cose intorno
a queste cose.
  CARLO D'AMATO. Lei ha detto che il terzo livello non
esiste.
  TOMMASO BUSCETTA. Non esiste il terzo livello.
  CARLO D'AMATO. E allora chi c'é dietro?
  TOMMASO BUSCETTA. Eh, ma questo è un terzo livello
interessato. Questo è un terzo livello interessato. Insisto
che non c'è il terzo livello, perché i mafiosi non prendono
ordini, ma possono i mafiosi dire ad altri "noi faremo così!".
  PRESIDENTE. E voi cosa ne pensate?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di averlo fatto capire cosa ne
penso.
  PRESIDENTE. No, i mafiosi dicono "noi faremo così" e
chiedono all'altro "e voi cosa ne pensate?". E l'altro
risponde di sì o di no.
  TOMMASO BUSCETTA. Quello dice sì. Tranne che non è
prospettato, come dire faremo questo, questa grande cosa.
   In sostanza mi trovo con dei rebus. Questi miei rebus li
affiderò ai giudici e i giudici li svolgeranno.
  PRESIDENTE. E' chiaro.
  TOMMASO BUSCETTA. Se poi diranno "signor Buscetta, dei
rebus che lei ci ha dato non comprendiamo niente", tanto di
guadagnato. Credo che potrò dare a loro qualche chiave perché
loro possano andare avanti.
  PRESIDENTE. Dobbiamo sospendere la seduta per cambiare
la cassetta della registrazione televisiva.
La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle 14.
  PRESIDENTE. Badalamenti le ha mai detto altro su Carlo
Alberto Dalla Chiesa?
  TOMMASO BUSCETTA. In questo momento non ricordo. Credo
di no. In questo momento non sono molto... Mi sono alzato
questa mattina alle 5 per venire qui.
  PRESIDENTE. Si vuole riposare?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Voglio dire che forse non sono
abbastanza lucido.
  PRESIDENTE. Non si preoccupi.
                         Pag. 378
  Dopo la strage del 3 settembre, vi capitò di riparlare di
quell'omicidio?
  TOMMASO BUSCETTA. Del 3 settembre?
  PRESIDENTE. Si, la data dell'omicidio del generale Dalla
Chiesa. Vi capitò di riparlarne tra uomini d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Demmo sempre la versione che lui
era andato in Sicilia a disturbare i mafiosi. Non abbiamo
dato, almeno per quanto riguarda le persone con cui mi sono
riunito, una versione diversa da quella che sto dicendo questa
mattina. Abbiamo detto che avevano esagerato ammazzando Dalla
Chiesa e la moglie e che ci sembrava che questo fatto fosse
veramente anomalo, sempre indirizzando il nostro sguardo verso
la mafia: lui li aveva disturbati e la mafia se ne era
liberata. In effetti è così, signori miei, guardatelo con
questi occhi: è la mafia che si è liberata di Dalla Chiesa.
   Quella che voglio dire è solo...
  PRESIDENTE. Un'ipotesi.
  TOMMASO BUSCETTA. Nel campo delle ipotesi, del
"delirio".
  PRESIDENTE. Forse è il caso di spiegare che il termine
delirio riporta alla breve conversazione informale che lei ha
avuto, poc'anzi, con l'onorevole D'Amato e che quindi assume
un significato particolare.
   Le sue congetture riguardano soggetti e organismi italiani
o stranieri?
  TOMMASO BUSCETTA. Prettamente italiani, del nostro
paese.
  PRESIDENTE. Badalamenti le ha dato notizie sulle
possibili cause della morte di Calvi?
  TOMMASO BUSCETTA. Non mi ha dato notizie, per la verità.
Mi disse: il tuo figlioccio, Calò,... Non so se lei capisce la
parola "figlioccio".
  PRESIDENTE. La prego di spiegarla.
  TOMMASO BUSCETTA. Ho iniziato Calò, quindi ero il suo
padrino. L'unico che ho portato a Cosa Nostra è stato Giuseppe
Calò; l'ho iniziato io e quindi lui mi chiamava padrino.
   Quando questo padrinato e questa figliolanza si erano
rotte, il Badalamenti mi disse: il tuo figlioccio è coinvolto
nella vicenda Calvi fino a qua. Le parole, molte volte, tra
uomini d'onore sono solo cenni. Non si possono avere curiosità
nè interesse: basta quello che mi dici, purché sia la verità.
Il dialogo si fermò quando lui disse: il tuo figlioccio è
invischiato nel delitto Calvi fino a qua.
   Però, trovandomi a Roma e collaborando con la giustizia,
sono stato chiamato da un ufficio di polizia a tradurre un
verbale dal portoghese all'italiano. Non è che io sia
traduttore, ma conosco il portoghese.
  PRESIDENTE. So che lei è stato in Brasile per molti
anni.
  TOMMASO BUSCETTA. Inoltre, ho una moglie e dei figli
brasiliani.
   Traduco questo documento e noto che la polizia italiana,
attraverso la testimonianza di una brasiliana, cognata di tale
Nunzio Guido (Cosa nostra napoletana), aveva conferito con un
poliziotto italiano, raccontando certi episodi che non erano
di molto peso secondo la polizia italiana. Io in tutti quei
personaggi ne riconoscevo due, uno era Giuseppe Calò, che
all'epoca si faceva chiamare Mario Aialoro, e un altro un
certo Mimmo, che conosco personalmente perché mi è stato
presentato da Calò Romano.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Balducci?
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto. Quando leggo il documento,
conoscendo questi due molto bene (Mario Aialoro - Giuseppe
Calò)...
                         Pag. 379
  PRESIDENTE. Lei sapeva che erano la stessa persona?
  TOMMASO BUSCETTA. Si, lo sapevo perché ero stato a Roma
a casa sua nel 1980.
   Dico a questo funzionario di polizia che Mario Aialoro è
Giuseppe Calò, il quale nella riunione con le mogli è in
compagnia di Danilo Abbruciati, quello che va a sparare al
direttore della banca di Milano. Vedete che disegno!
   Gli organi inquirenti non avevano fatto caso a questa
cosa, che non era sfuggita a me che sono vecchio e conosco i
fatti. Perché Pippo Calò stava insieme a Danilo Abbruciati
pochi giorni prima della sparatoria del direttore del Banco
Ambrosiano? Ci doveva essere un interesse. C'è poi la cosa che
aveva detto Gaetano Badalamenti: Pippo Calò sta fino a qua
nella vicenda Calvi. Io faccio un riassunto di "delirio" e
dico: Pippo Calò ci sta fino a qua. Non è soltanto Badalamenti
che dice una frase, perché c'è un altro riscontro, essendo
difficile che si riunisse con Danilo Abbruciati, il quale
pochi giorni dopo va a sparare al direttore del Banco
Ambrosiano e lo ammazza. Ho finito.
  PRESIDENTE. Altre notizie lei non ne ha avute?
  TOMMASO BUSCETTA. Io non ne ho avute, però se per voi
può essere una strategia, sappiate che i soldi guadagnati
dalla mafia con la droga sono molto più ingenti di quelli che
i vostri ...
  PRESIDENTE. ...conti...
  TOMMASO BUSCETTA. ... stabiliscono. Quindi, non è
affatto impensabile che Calvi abbia avuto soldi mafiosi e ne
abbia fatto cattivo uso.
  PRESIDENTE. Cioè, che abbia avuto in deposito soldi
mafiosi e ne abbia fatto cattivo uso?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. E per questo sia scattata la vendetta?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, una vendetta ma c'è un'altra cosa:
uno molto vicino a Giuseppe Calò... Non so se queste cose
debba dirle.
  PRESIDENTE. Le dica pure, poi decideremo noi.
  TOMMASO BUSCETTA. C'è una persona molto vicina a Pippo
Calò e a Totò Riina che pochi anni fa viene trovata a Londra
in possesso di eroina; viene messa in carcere in quella città
dove già abitava. Quell'individuo è capace di impiccare Calvi
e di metterlo sotto il ponte.
  PRESIDENTE. Sta parlando di Di Carlo?
  TOMMASO BUSCETTA. Esattamente. Si tratta di una serie di
circostanze che mi fanno pensare, quasi vivere, che i mafiosi
siano coinvolti nel caso Calvi.
  PRESIDENTE. E' chiaro. Secondo lei, chi informava
Badalamenti?
  TOMMASO BUSCETTA. Badalamenti ha un nucleo familiare
grandissimo, in America ed in Sicilia, che in parte è stato
ammazzato e in parte no; comunque è un nucleo di gente che
appartiene alla mafia. Un esempio tipico è che Badalamenti
esce, Badalamenti viene espulso e chi assume la carica di
rappresentante a Cinesi, borgata o paesino di Badalamenti, è
il cugino, cioè Nino Badalamenti, che è rimasto in carica fino
a quando non gli hanno sparato.
  PRESIDENTE. Badalamenti ha mai fatto collegamenti tra
l'omicidio Calvi e quello di Dalla Chiesa?
  TOMMASO BUSCETTA. No; Badalamenti sa fare molto bene,
meglio di chiunque altro, intrighi ma non è molto sviluppato
intellettualmente.
                         Pag. 380
  PRESIDENTE. Ho capito, non è sveglio.
   Può parlare alla Commissione dell'invito che fece a lei
Pippo Calò di restare in Italia quando voleva tornare in
Brasile? Se non sbaglio, negli anni ottanta lei voleva tornare
in Brasile...
  TOMMASO BUSCETTA. Questo è scritto su tutti i giornali!
  PRESIDENTE. Sì.
  TOMMASO BUSCETTA. Mi disse di rimanere in Italia ma non
era il caso: avevo sofferto tanto e me ne volevo tornare in
Brasile dove sarei andato povero, non certo ricco.
  PRESIDENTE. Voleva andare in Brasile per sfuggire
all'eventuale cattura o no?
  TOMMASO BUSCETTA. Credevo di aver già pagato abbastanza
lo Stato italiano con otto anni di carcere.
  PRESIDENTE. Ma doveva farne ancora qualcuno?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, dovevo fare ancora qualche anno di
semilibertà. Ero stato otto anni in carcere e volevo
andarmene; avevo una moglie giovane, credo bella - almeno ai
miei occhi era bella - e non vedevo perché non dovessi godere
mia moglie e i miei figli tranquillamente e lasciare tutti i
problemi, compresi quelli avuti nel carcere dell'Ucciardone.
Sebbene Ciancimino dica che io fossi l'ultimo, devo ricordare
a questo signore che non ero l'ultimo, anzi ero il primo. Nel
carcere dell'Ucciardone non è entrato nessuno per dire a
ottocento detenuti: "Raccogliete il pane e mettetelo dentro le
celle"; l'ha fatto solo Tommaso Buscetta.
  PRESIDENTE. Ci spiega questa storia, che non conosciamo?
  TOMMASO BUSCETTA. Hanno fatto sciopero, hanno buttato il
pane fuori dalle celle.
  PRESIDENTE. Quando?
  TOMMASO BUSCETTA. Dal 1972 al 1977; il direttore del
carcere, che mi stimava moltissimo, mi disse: "Signor
Buscetta, se non interviene, io diventerò un direttore
rigoroso e farò chiudere le porte". Andai nelle sezioni e
dissi: "Rimettete il pane nelle celle". A far raccogliere il
pane non è andato il signor Ciancimino ma ci sono andato io.
  PRESIDENTE. E tutti raccolsero il pane?
  TOMMASO BUSCETTA. Tutti raccolsero il pane. Questo fatto
è avvenuto ed è stato oggetto di una notizia giornalistica.
   All'interno del carcere passavo molti guai, perché non si
possono dominare 1.200 detenuti con 1.200 idee l'una diversa
dall'altra: c'era l'infamone, lo spione, il malandrino, il
mafioso, il magnaccia, tutte le categorie. Necessariamente
dovevo dominare tutti quanti ma non è facile, mi creda, non è
facile. Però ci sono riuscito. Sono stato portato a Cuneo,
perché l'unico ad essere trasferito dal carcere di Palermo ad
uno di massima sorveglianza è stato Tommaso Buscetta. Se ne
sono infischiati dei peggiori e hanno mandato Tommaso
Buscetta, a Cuneo: lì sono rimasto per tre anni.
  PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede chi intenda
quando usa l'espressione "hanno mandato".
  TOMMASO BUSCETTA. Forse non ho usato le parole giuste,
mi correggo: le autorità preposte alla massima sorveglianza mi
hanno prelevato dall'Ucciardone e mi hanno portato a Cuneo.
  ALFREDO BIONDI. Le autorità preposte alla custodia?
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  TOMMASO BUSCETTA. Le autorità preposte alle carceri di
massima sorveglianza. Come le chiamavano allora?
  PRESIDENTE. Carceri di massima sicurezza.
  TOMMASO BUSCETTA. Lo dico più chiaramente: il generale
Dalla Chiesa ha preso solo me dall'Ucciardone e mi ha mandato
a Cuneo.
  PRESIDENTE. Può cercare di spiegare perché fu preso
soltanto lei?
  TOMMASO BUSCETTA. Non me lo spiego; credo che ci sia
stato un litigio tra il direttore del carcere di Palermo ed il
generale Dalla Chiesa. Quando questi gli domandò quali fossero
i detenuti da mandare nelle carceri di massima sorveglianza,
il direttore del carcere di Palermo disse: "Nessuno". "Come
nessuno? E Buscetta Tommaso?" Il direttore rispose: "Sì, c'è
Buscetta Tommaso ma egli è un equilibrio dentro il carcere,
non ha mai tentato di evadere o di segare sbarre, malgrado gli
abbia concesso, dietro domandina, il possesso di seghetti
perché egli ha l'hobby della costruzione delle navi da
modellismo". "Ah, so che Buscetta si è sostituito a te!".
   Quindi io sono stato il centro di una disputa tra due
personalità e sono stato trasferito a Cuneo.
  ALTERO MATTEOLI. Lei come sa queste notizie?
  TOMMASO BUSCETTA. Dal direttore del carcere, dottor Di
Cesare, personalmente. Ma c'è di più: io sono uscito in
permesso dal carcere perché una mia figlia si operava a Milano
di peritonite ed era sul punto di morire; mi hanno dato cinque
giorni di licenza e al quinto giorno esatto mi sono
ripresentato sperando di essere trasferito da quel carcere in
un altro carcere dove, nei colloqui settimanali, avrei potuto
baciare i miei figli. Il generale Dalla Chiesa disse: no, lui
deve rimanere a Cuneo.
  PRESIDENTE. Si spiega il motivo di questa scelta nei
suoi confronti?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, io non lo so.
  PRESIDENTE. Non può fare neanche ipotesi?
  TOMMASO BUSCETTA. Neanche ipotesi.
  PRESIDENTE. Stavamo parlando dell'invito fattole da
Pippo Calò di restare in Italia. Vogliamo riprendere questo
discorso?
  TOMMASO BUSCETTA. Pippo Calò mi disse: "Perché devi
andare in Brasile?" Gli dissi: "Pippo, qua io vedo che siete
tutti ricchi". "Ma tu avrai tutti i soldi che vorrai, devi
dire solo quanto vuoi". "No, sennò divento schiavo di questa
routine. E poi non mi piace quest'atteggiamento che tu
hai in commissione, di dire sempre sì quando i corleonesi
parlano". "Ma i corleonesi sono nostri amici". "Sono i tuoi
amici, non i miei. Comunque, io non desidero litigare. Ti
conosco da bambino. Dobbiamo fare solo una cosa: io me ne vado
in Brasile, voglio essere lasciato in pace". "Ma se tu rimani
qua c'è una fortuna. Si devono fare i quattro quartieri a
Palermo": tuttora non so che cosa significhi i quattro
quartieri, non lo so, non me lo domandi. "Va bene - gli ho
detto - e i quattro quartieri?". "C'è Ciancimino che è nelle
mani dei corleonesi". "E proprio perché è nelle mani dei
corleonesi io non ho niente a che vedere e me ne vado in
Brasile".
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che Ciancimino era nelle mani
dei corleonesi? Era nelle mani dei corleonesi o di Riina?
  TOMMASO BUSCETTA. E' un linguaggio locale, che è
difficile tradurre in italiano. Quando Calò dice che era nelle
mani dei corleonesi intende dire come
                         Pag. 382
struttura portante, in mano a Riina. Perché mica può essere
in mano a Bagarella!
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire essere nelle mani di
qualcuno?
  TOMMASO BUSCETTA. Che quello ne fa quello che vuole. O
per lo meno che sono in società, o che sono molto amici.
  PRESIDENTE. E' chiaro. E Ciancimino tuttora opera
d'intesa con Riina, secondo lei, o questo rapporto si è rotto?
  TOMMASO BUSCETTA. Dovrei entrare nel campo delle ipotesi
e non lo so.
  PRESIDENTE. Sulla base di ciò che lei conosce, di quello
che ha visto e della capacità di interpretazione dei fatti che
ha per aver fatto parte di Cosa nostra, ha tratto attualmente
elementi che le possano far pensare che Ciancimino ha rotto
con Riina?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Se è vero... Perché io non ho dato
assicurazione al dottor Falcone che era vero, ho detto: Pippo
Calò mi ha detto questo...
  PRESIDENTE. Certo, certo.
  TOMMASO BUSCETTA. Se è vero che Ciancimino era nelle
mani dei corleonesi e Ciancimino è tranquillo, può gridare,
può dire "voglio essere sentito dall'Antimafia", mi creda:
Ciancimino è d'accordo con Riina, ancora. Se è vero.
  PRESIDENTE. Se è vera la prima cosa, ho capito.
   Ciancimino era votato da Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Anche dall'inizio.
  PRESIDENTE. Anche dall'inizio.
  TOMMASO BUSCETTA. Però lui aveva un collegio differente
da Lima.
   Ma poi non c'erano ostacoli, non si creava l'ipotesi "tu
questo non lo devi votare perché io voto Lima e tu non devi
votare...". Ognuno era libero. L'importante è che non fosse
comunista.
  PRESIDENTE. Lima e Ciancimino non erano d'accordo?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Perché non erano d'accordo?
  TOMMASO BUSCETTA. Che io sappia non sono stati mai
d'accordo. Ma poi questi fatti si sono confermati nel 1980,
quando sono uscito e mi sono incontrato con Bontade: era una
rottura totale. E sembra, a dire di Bontade, che Ciancimino
avesse ricevuto da Lima, per farlo restare nelle condizioni di
eminenza grigia nella democrazia cristiana, questa concessione
dei quattro quartieri - ripeto che non so cosa significhi -
che era gestita da Ciancimino.
  ALFREDO GALASSO. Quattro mandamenti, non quattro
quartieri.
  TOMMASO BUSCETTA. Ma ancora non so cosa significhi.
  PRESIDENTE. Credo si trattasse del risanamento del
centro storico.
   Non ho capito bene quale fosse la ragione dell'inimicizia
tra Ciancimino e Lima.
  TOMMASO BUSCETTA. L'inimicizia tra Ciancimino e Lima
secondo me è politica, non è...
  PRESIDENTE. Non dipende da rapporti...
  TOMMASO BUSCETTA. ... mafiosi. No, no. Credo che sia di
corrente. Quando andai via nel 1963, lasciai Lima in una
corrente fanfaniana; nel 1972 l'ho ritrovato
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andreottiano. Credo che più che altro sia per queste correnti
che si creavano in seno ...
  PRESIDENTE. Quindi un'inimicizia che non dipendeva dalle
alleanze degli uomini di Cosa nostra.
  TOMMASO BUSCETTA. No, no, lo escludo categoricamente.
  PRESIDENTE. E quali erano i rapporti di Lima con i
corleonesi?
  TOMMASO BUSCETTA. Io non li conosco.
  PRESIDENTE. Non li conosce.
  TOMMASO BUSCETTA. No, perché io credo che non ci
fossero. Nel senso che non erano ... I rapporti che potevano
intercorrere tra Ciancimino e Riina... Io credo che tra Riina
e Lima ... fosse un altro il contatto. Ma non credo
assolutamente che ci fosse il rapporto che ci poteva essere
con Ciancimino, personale.
  PRESIDENTE. Ho capito.
   Cosa sa dei rapporti tra Balducci e Calò, oltre quanto ha
detto?
  TOMMASO BUSCETTA. Balducci e Calò erano soci in tutti i
sequestri che si facevano nel romano, nella Toscana e nelle
aziende anche commerciali.
  PRESIDENTE. Sequestri di persona?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Lo so molto bene, e c'è anche un
giudice che lo sa molto bene.
  PRESIDENTE. Lo sa molto bene. Ma non c'era un'intesa per
cui gli uomini d'onore non dovessero fare sequestri di
persona?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, in Sicilia.
  PRESIDENTE. Solo in Sicilia. Fuori li potevano fare. Ho
capito.
   Se un partito o un uomo politico che siano stati sostenuti
durante una campagna elettorale poi non restituiscono il
favore, cosa succede?
  TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto parliamo per la prima
parte: se un partito, non è ...
  PRESIDENTE. Ha ragione, mi correggo: un candidato.
  TOMMASO BUSCETTA. Ecco: un candidato. Ma non ci sono...
Se parliamo di un candidato che va cercando terra terra un
appoggio politico, che dà un pacco di pasta o il paio di
scarpe, quella è una cosa; se parliamo del rapporto tra un
candidato e la mafia, anzi e un mafioso non la mafia, è
un'altra cosa. Là c'è un parlare elegante: cioè, noi
l'appoggiamo, io ti appoggio, vedrai i voti ..., speriamo che
Dio ti benedica. Ma è senza patto. Ma dopo avvengono le
cessioni.
  PRESIDENTE. Ma il politico deve sapere o deve capire che
quello che gli sta di fronte è un uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Lo intuisce, se è siciliano lo intuisce.
Certo, se viene da Trieste non capirà mai chi ha davanti.
  PRESIDENTE. Neppure se viene da Torino.
   Ma se questo candidato, dopo che è stato eletto, non fa
quello che deve fare - diciamo così - cosa avviene?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma non è stabilito quello che deve
fare.
  PRESIDENTE. Cosa accade se un mafioso gli chiede un
favore e questi non lo fa?
  TOMMASO BUSCETTA. Se è nelle possibilità del candidato
di fare il favore e non lo fa, sono fatti seri del candidato.
Se invece non può farlo perché è impossibilitato a farlo, è un
altro discorso.
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  PRESIDENTE. Può accadere che un mafioso o un gruppo di
mafiosi decidano di votare a dispetto, togliendo i voti a un
candidato e dandoli ad un altro perché quello capisca che non
ha fatto ...?
  TOMMASO BUSCETTA. Lei mi fa una domanda alla quale devo
rispondere per quello che ho appreso attraverso i giornali.
Altrimenti non avrei una risposta da dare, perché non è
successo nel passato.
   Hanno dato i voti al partito socialista: ma li hanno dati
proprio a dispetto, per non votare la democrazia cristiana che
forse avrà negato dei favori.
  PRESIDENTE. E' stato un voto a dispetto: è possibile che
sia così?
  TOMMASO BUSCETTA. E' possibile. Anzi potrei giurare che
è senz'altro così.
  PRESIDENTE. Come fa l'uomo d'onore ad orientare il voto,
a dire per chi si debba votare?
  TOMMASO BUSCETTA. Con i fac-simile che vengono
distribuiti.
  PRESIDENTE. Come fa la gente a sapere che un determinato
candidato è sostenuto da un uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Lo sanno, lo sanno. Lei non ha idea
delle campane che si suonano in Sicilia, erano più rapide
delle telefonate, si sanno queste cose e poi c'è "u zu
Peppino" che vuole che si voti ... e lei non deve neanche
sapere che servirà a qualche cosa questo uomo politico.
  PRESIDENTE. Ci sono anche intimidazioni o no?
  TOMMASO BUSCETTA. No, la mafia non fa intimidazioni, non
ne ha bisogno.
  PRESIDENTE. Che ruolo ha giocato Bontade nell'attività
politica di Lima?
  TOMMASO BUSCETTA. Io conosco questa parte, e sa perché?
Perché Bontade, prima del 1963, non votava Lima, aveva altri
candidati.
  PRESIDENTE. E chi votava?
  TOMMASO BUSCETTA. Eh, lasciamola così questa parte,
perché poi questo deputato nel tempo si è maturato di più.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che si è maturato di più? Che
è diventato più importante?
  TOMMASO BUSCETTA. E' diventato più importante, è
diventato forse, chissà, qualche cosa di più importante nel
Governo, non ricordo bene.
  PRESIDENTE. E' in vita?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, come faccio a saperlo?
  PRESIDENTE. Forse non mi sono spiegato: le sto chiedendo
se è vivo o morto.
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, non lo so. Ho capito bene
la sua domanda, ma non lo so, devo inventare che è morto e poi
quello è vivo e mi denuncia per calunnia?
  ALFREDO BIONDI. E' ancora parlamentare o ha avuto una
"disgrazia" di tipo elettorale?
  TOMMASO BUSCETTA. Io credo che non sia più parlamentare.
  PRESIDENTE. La Commissione avrebbe interesse a sapere se
oggi, sulla base di quello che lei sa, un'ipotesi di
separazione della Sicilia dal resto d'Italia o di un'autonomia
di gran lunga maggiore possa coincidere con gli interessi di
Cosa nostra attuale.
  TOMMASO BUSCETTA. Come ipotesi, sto rispondendo come
ipotesi: sì.
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  PRESIDENTE. Sulla base di che cosa fonda questa sua
ipotesi?
  TOMMASO BUSCETTA. Le tremende condanne che si ricevono
in questi anni mi fanno pensare che dovranno trovare una
soluzione, perché non sarà ammazzando il giudice Falcone, il
giudice Borsellino o quelli che verranno (perché ne verranno,
disgraziatamente ne verranno altri) che si risolverà il
problema. Le condanne rimarranno, la Cassazione ha chiuso
certi processi, quindi non credo che vi saranno alternative
che potranno essere favorevoli ...
  PRESIDENTE. Quindi, quello delle condanne è per lei un
punto fondamentale?
  TOMMASO BUSCETTA. Io credo fermamente solo in questo.
  PRESIDENTE. Ricorda i nomi dell'assessore Trapani e del
medico Maggiore?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Erano uomini d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, erano nella mia famiglia, entrambi
consiglieri.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato di aver conosciuto, durante
il suo soggiorno a Roma presso Calò, sia Balducci sia
Diotallevi. Può spiegare meglio quali rapporti avesse Calò con
questi personaggi romani, con Abbruciati, e così via? Questi
non erano uomini d'onore, vero?
  TOMMASO BUSCETTA. No, assolutamente no.
  PRESIDENTE. Un uomo d'onore può mettersi a commettere
reati con gente che non è gente d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Quali reati? Se parliamo di sequestri,
sì, è lui che ne assume la responsabilità. Se parliamo di
omicidi, no, assolutamente, specialmente se sono omicidi
decretati dalla commissione.
  PRESIDENTE. Gli omicidi decretati dalla commissione sono
effettuati soltanto da uomini d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Soltanto, non perdiamoci in
chiacchiere, soltanto.
  PRESIDENTE. Non possono essere altri?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Che rapporti aveva intrecciato Calò con
questa gente a Roma?
  TOMMASO BUSCETTA. Per quello che ho visto io
personalmente, erano rapporti di briccone, di affari, andavano
a sequestrare persone ed io ricordo che in quel periodo il
Diotallevi voleva comprare qui a Roma una casa che costava (a
quell'epoca erano molti soldi, forse oggi sono un po'
svalutati) due miliardi; non so se poi l'abbia comprata.
  PRESIDENTE. Antonino Rotolo aveva rapporti con questi
personaggi?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione chi era
Antonino Rotolo?
  TOMMASO BUSCETTA. Antonino Rotolo era una persona amica
nostra, di un'altra famiglia rispetto a Pippo Calò ma che si
era molto affezionato a Pippo Calò e che si era dato, insieme
a Pippo Calò, a questi sequestri e al traffico di droga,
diventando molto ricco ed antipatico a Stefano Bontade, il
quale aveva detto che si era fatto uomo d'onore un uomo il cui
cognato era vigile urbano.
  PRESIDENTE. Angelo Cosentino chi era?
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  TOMMASO BUSCETTA. Era capo decina a Roma.
  PRESIDENTE. Era un uomo importante?
  TOMMASO BUSCETTA. Era lui che comandava qui a Roma come
Cosa nostra. Era dipendente di Stefano Bontade come decina, ma
era lui che amministrava nella città tutto quello di cui c'era
bisogno.
  PRESIDENTE. Qual era la funzione di Cosentino?
  TOMMASO BUSCETTA. Era di trovare agganci in Cassazione,
di trovare case per far dormire i latitanti.
  PRESIDENTE. I rapporti con i politici romani li teneva
Cosentino?
  TOMMASO BUSCETTA. In parte sì.
  PRESIDENTE. Può chiarire quali rapporti avesse Pippo
Calò con Nunzio Guida, di cui lei ha parlato un attimo fa?
  TOMMASO BUSCETTA. Pippo Calò aveva rapporti con Nunzio
Guida come uomo d'onore. Nunzio Guida prima era un grande
contrabbandiere di sigarette insieme a Zaza.
  PRESIDENTE. Ed era anche uomo d'onore Nunzio Guida?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, era anche uomo d'onore. Quindi, lo
ha conosciuto come uomo d'onore insieme a Zaza e insieme hanno
scaricato piroscafi e piroscafi di sigarette.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di Nunzio Guida in
Brasile?
  TOMMASO BUSCETTA. Ne ho sentito parlare prima, in prima
persona.
  PRESIDENTE. L'ha visto in Brasile?
  TOMMASO BUSCETTA. No, non l'ho visto in Brasile. Lui ha
delle amicizie molto elevate; quando io sono uscito dal
carcere ho detto a Salamone che volevo andare in Brasile, ma
il Brasile nel 1972 mi aveva espulso, per cui mi veniva un po'
difficile ritornarvi. Salamone mi disse che Nunzio Guida
avrebbe potuto aiutarmi in questa cosa e mi consigliò di
andare da Alfredo Bono, che mi avrebbe messe in contatto con
Nunzio Guida. Parlai con Nunzio Guida a Milano di questa cosa,
ma la risposta, che giunse dopo vari giorni, fu che il mio
nome era troppo eclatante in Brasile e che egli non poteva
fare nulla, anche se si diceva che conoscesse l'allora
Presidente del Brasile.
  PRESIDENTE. Sa qualcosa dei rapporti tra Nunzio Guida ed
Ortolani?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo che Nunzio Guida ospitasse
Ortolani o che questi ospitasse lui.
  PRESIDENTE. E dei rapporti tra Nunzio Guida e Gelli?
  TOMMASO BUSCETTA. Questi non li conosco.
  PRESIDENTE. Può dare chiarimenti alla Commissione sulla
visita di uno dei Salvo a casa di Pippo Calò? Chi era,
Ignazio?
  TOMMASO BUSCETTA. No, era Nino. Siamo andati a pranzo a
casa di Pippo Calò e nel pomeriggio io avrei dovuto
incontrarmi con Salvo Lima e chi mi portava da Lima era Nino
Salvo.
  PRESIDENTE. Come mai andaste a mangiare a casa di Calò?
  TOMMASO BUSCETTA. Calò era il mio figlioccio, il mio
rappresentante, come devo dirlo? Io ero in casa di Pippo Calò,
è Nino Salvo che viene a trovarmi in casa di Pippo Calò e dopo
andiamo insieme a trovare Lima.
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  PRESIDENTE. E Nino Salvo da chi era stato interessato?
  TOMMASO BUSCETTA. Da me, io conoscevo Nino Salvo.
  PRESIDENTE. Vorrei capire meglio. Quindi, lei parlò con
Nino Salvo e cosa gli chiese?
  TOMMASO BUSCETTA. Per la verità lui mi disse: guarda che
Salvo - perché l'altro si chiama pure Salvo, cioé Lima - ti
vuole vedere.
  PRESIDENTE. Era Lima che voleva vedere lei?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Ti vuole vedere perché si vuole
scusare. Tu avrai capito.
   Per la verità, Lima mi mandava dei messaggi in carcere,
quando lui era segretario, e mi diceva che non poteva fare
niente per me.
  PRESIDENTE. Quando lui era segretario di che cosa?
  TOMMASO BUSCETTA. Mi sembra che fosse sottosegretario.
Non ricordo, anzi mi sembra che fosse sottosegretario alle
finanze.
  PRESIDENTE. E le diceva?
  TOMMASO BUSCETTA. E mi diceva, attraverso Brandaleone -
che è un'altra persona nella mia famiglia, che lei forse non
avrà lì segnata perché non ne ho mai parlato con nessuno - che
avrebbe fatto il possibile, ma che non c'era molto da fare
perché il mio nome era troppo cubitale.
  PRESIDENTE. E non si poteva quindi aiutarla. Andaste poi
a parlare con Lima?
  TOMMASO BUSCETTA. Andai poi a parlare con Lima.
  PRESIDENTE. Sempre accompagnato da Nino Salvo?
  TOMMASO BUSCETTA. Lui sapeva dove andare a trovare e poi
io ero latitante e quindi dovevo stare attento. Andammo in un
albergo, di cui non ricordo il nome.
  MARCO TARADASH. L'intervento di Lima chi l'aveva
chiesto?
  PRESIDENTE. Buscetta dice che Lima aveva chiesto di
parlare con lui.
  MARCO TARADASH. Lima aveva mandato biglietti in carcere,
ed allora?
  PRESIDENTE. L'onorevole Taradash vuol sapere, poiché lei
qui riferisce che Lima le aveva mandato dei messaggi in
carcere ...
  TOMMASO BUSCETTA. Non biglietti, messaggi a voce, orali.
  PRESIDENTE. L'onorevole Taradash vorrebbe capire chi
avesse detto a Lima: interessati.
  TOMMASO BUSCETTA. Ma Lima era amico mio. Poi, non
essendo più presente perché abbiamo fatto due strade
completamente diverse, avevamo l'unione di un personaggio
molto vicino a Lima, nella mia famiglia di Porta Nuova, che
era amico nostro e che era Brandaleone, Ferdinando
Brandaleone, che aveva un fratello assessore al comune di
Palermo.
  PRESIDENTE. E Brandaleone era un uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Era un uomo d'onore.
  PRESIDENTE. E il fratello?
  TOMMASO BUSCETTA. Il fratello no, l'assessore. Ma ce ne
erano tanti uomini d'onore nella giunta di Lima.
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  PRESIDENTE. Ce ne erano tanti?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, e ne parlerò poi con i giudici. Ne
parlerò: ce ne erano tanti uomini d'onore nella giunta di Lima
e non perché Lima li volesse, ma perché erano votati.
Portavano più voti del sindaco: dovevano essere degli
assessori.
  PRESIDENTE. Nelle giunte successive ci sono stati ancora
uomini d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. Non le dirò certo di no.
  MARCO TARADASH. Buscetta ha detto: Lima era amico mio.
Può descrivere i rapporti personali che ha avuto con Lima?
  PRESIDENTE. E' meglio rinviare a dopo questa domanda.
   Quali erano i rapporti tra mafia e imprese a Palermo? In
altri termini, per lavorare le imprese dovevano rivolgersi a
Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Sembrerà strano, ma è una parte che io
non conosco perché non si facevano. Ma so benissimo che dopo
il 1970, quando ero carcerato, si facevano perché entravano
anche uomini d'onore che avevano subito dei processi perché
avevano fatto degli attentati dinamitardi alle imprese di
costruzione. Questo l'ho saputo, ma personalmente non l'ho
conosciuto, questo fatto.
  PRESIDENTE. Non conosce questo rapporto tra mafia ed
imprese.
  TOMMASO BUSCETTA. E' nato dalle intimidazioni, dalle
bombe, dalle macchine che saltavano in aria, dai pilastri di
cemento armato che cadevano. Quindi, è nato un rapporto di
intimidazione e così ogni costruttore aveva il suo guardiano,
dava una sovvenzione per i carcerati, perché questo era il
nome.
  PRESIDENTE. C'era stata, dunque, un'azione di
intimidazione. Siccome lei un attimo fa ha detto che la mafia
non ha bisogno di intimidire, come mai è accaduto ciò?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma venivano imprese che dovevano
essere intimidite, venivano imprese straniere: "siamo andati
dal triestino per vedere se capiva il messaggio ed il
triestino non capisce il messaggio".
  PRESIDENTE. Bisognava spiegarglielo bene, insomma.
   I nomi degli imprenditori Costanzo, Graci e Rendo le
dicono qualcosa?
  TOMMASO BUSCETTA. Solo Costanzo, perché lo conoscevo di
nome attraverso Pippo Calderone.
  PRESIDENTE. Può spiegare che cosa sa di Costanzo?
  TOMMASO BUSCETTA. La persona di fiducia di Costanzo,
quando lui andava a costruire ... ecco: la risposta l'abbiamo
subito. Se lui andava a costruire a Palermo, a Bolognetta, era
il Pippo Calderone che andava a trattare dicendo: verrà
Costanzo, verrà a costruire. Di cosa avete bisogno? Gli
rispondevano: abbiamo bisogno di due guardiani, due impiegati.
E perciò non c'era bisogno di mettere bombe o di intimidire.
  PRESIDENTE. E Cassina?
  TOMMASO BUSCETTA. Cassina io credo che aveva già un
sopporto molto grande da parte di Salvo Lima che io conosco
dal lontano 1960, 1959.
  PRESIDENTE. Chi?
  TOMMASO BUSCETTA. Io personalmente conoscevo il rapporto
fra Cassina e Lima.
                         Pag. 389
  PRESIDENTE. Mentre ci siamo, può spiegare alla
Commissione questo suo rapporto d'amicizia con Lima?
  TOMMASO BUSCETTA. Mio personale?
  PRESIDENTE. Sì.
  TOMMASO BUSCETTA. Come ho detto già in un interrogatorio
diventato pubblico, il Lima era figlio di un uomo d'onore
attivo. Un uomo d'onore che era nella famiglia di Palermo.
Molte persone hanno scambiato che il rapporto fra Lima ed i La
Barbera fosse un rapporto dovuto all'elettorato, fosse un
rapporto dovuto alle intimidazioni. Non è vero. I La Barbera
non avevano bisogno di questo perché avevano il padre dentro
la loro famiglia, quindi loro chiedevano a Lima quello che
volevano attraverso il padre, non direttamente. Mentre io ero
- come dire? - l'astro nascente, il personaggio nuovo ...
  PRESIDENTE. Emergente.
  TOMMASO BUSCETTA. ... che frequentavo il Teatro Massimo
e che non avevo niente a che vedere con le bettole; una volta,
quando io ero giovanotto, si usavano le bettole, ma io non le
frequentavo ed andavo al Teatro Massimo. Io conoscevo
personalmente il padre di Lima e mi fu presentato Lima dal
padre. Tra noi si instaurò un rapporto che non era un rapporto
fatto di "io ti do, tu mi dai". Assolutamente, questo non
esisteva e si instaurò un rapporto: eravamo della stessa età,
frequentavemo assieme il Teatro Massimo, lui mi mandava i
biglietti per tutta la stagione lirica del Teatro Massimo.
Questi erano i rapporti.
  PRESIDENTE. Come diceva, Cassina era sostenuto da Lima.
E l'imprenditore Vassallo?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo che Vassallo era la "firma" di
Lima, che Vassallo fosse scritto per sostituire il nome di
Lima.
  PRESIDENTE. Moncada?
  TOMMASO BUSCETTA. Moncada no. Mocada era un membro della
famiglia di Palermo.
  ALTERO MATTEOLI. Cosa vuol dire "la famiglia di Lima"?
  TOMMASO BUSCETTA. Io ho detto "la famiglia di Lima"?
  PRESIDENTE. No, "la firma".
  TOMMASO BUSCETTA. Forse confondo lo spagnolo con
l'italiano: per "firma" intendo dire la ditta. Io credo che la
ditta ...
  PRESIDENTE. Era Vassallo.
  TOMMASO BUSCETTA. ... che dietro quella firma ci fosse
Lima. Un prestanome.
  PRESIDENTE. Com'è che poi è stato sequestrato un nipote,
anzi il figlio, di Vassallo, nonostante che questi avesse alle
spalle Lima?
  TOMMASO BUSCETTA. E perché Lima è una garanzia?
  PRESIDENTE. Non era sufficiente?
  TOMMASO BUSCETTA. No. E poi non credo molto a questo
sequestro di Vassallo. Non lo conosco questo sequestro.
  PRESIDENTE. Può spiegare?
  TOMMASO BUSCETTA. Che non c'è stato il sequestro.
  PRESIDENTE. E' stato finto?
  TOMMASO BUSCETTA. E' stato finto.
  PRESIDENTE. E perché?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so il perché.
                         Pag. 390
  PRESIDENTE. Però, lei sa che è stato finto.
  TOMMASO BUSCETTA. Non c'è stato il sequestro. Si è
autosequestrato, io credo.
  PRESIDENTE. Moncada era uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, Moncada era uomo d'onore della
famiglia di Palermo. Salvatore Moncada, perché erano diversi
fratelli costruttori, ma l'uomo d'onore era Salvatore Moncada.
  PRESIDENTE. Salvatore Moncada dava copertura anche ai
fratelli?
  TOMMASO BUSCETTA. E' logico.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del dottor Mandalari?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Ne ho sentito parlare in carcere
da Agostino Coppola, da gente che è entrata in carcere. Era
come si dice...
  PRESIDENTE. Un commercialista.
  TOMMASO BUSCETTA. Un commercialista di tutti gli amici
nostri che venivano in carcere. Tu hai avuto un
commercialista? Mandalari. Altre cose non so di Mandalari.
  PRESIDENTE. Era il commercialista di tutti quelli di
Cosa nostra o solo dei corleonesi?
  TOMMASO BUSCETTA. Beh, lei ha fatto una bella domanda.
Era amico dei corleonesi perché tutti quelli che venivano in
carcere e avevano il commercialista Mandalari, incredibilmente
erano tutti corleonesi. Cioè, non nati a Corleone...
  PRESIDENTE. Del gruppo dei corleonesi.
  TOMMASO BUSCETTA. Della corrente. Voi parlate di
correnti, parlo pure io di correnti. Della corrente dei
corleonesi.
  PRESIDENTE. Gli imprenditori di Catania come sono
entrati a Palermo? Tramite Pippo Calderone?
  TOMMASO BUSCETTA. L'ho data la risposta.
  PRESIDENTE. Nel corso di un interrogatorio del 9 agosto
1984 al dottor Falcone, lei ha dichiarato che se un
imprenditore di una provincia intende eseguire lavori di
notevole rilievo in un'altra provincia, il giudizio è
riservato all'interprovinciale. E' così?
  TOMMASO BUSCETTA. Bisogna vedere l'importanza della
ditta. Perché se uno deve fare cento metri di strada, si
rivolge personalmente all'uomo d'onore che lui conosce, anche
se è di Balestrade, e dice "guardi io devo andare a fare cento
metri di strada in quella borgata, in quel paese, in quella
cittadina". Allora, va solo. Domanda il permesso al suo
rappresentante e va.
  PRESIDENTE. Se invece è un lavoro più impegnativo?
  TOMMASO BUSCETTA. E allora può interessarsi
l'interprovinciale e dire "guarda, c'è un appalto per vari
miliardi, potremmo vedere di interessarci per non avere
disturbo se andiamo a costruire a Palermo o, viceversa, se
andiamo a costruire a Catania".
  PRESIDENTE. Questo succede anche con gli imprenditori
non siciliani?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  ALFREDO BIONDI. E la ripartizione come avviene? Quando
si chiede un piacere, come avviene il conteggio dell'interesse
della famiglia o dell'interprovinciale?
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  PRESIDENTE. Dice l'onorevole Biondi...
  ALFREDO BIONDI. Ha capito, ha capito.
  TOMMASO BUSCETTA. Ho capito. Posso rispondere.
  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Biondi, ripeterei la
domanda per la registrazione.
  ALFREDO BIONDI. Sono vanitoso.
  TOMMASO BUSCETTA. Allora siamo due vanitosi. L'aveva
capito che ero vanitoso anch'io?
  ALFREDO BIONDI. E' una bella qualità aver stima di se
stesso.
  TOMMASO BUSCETTA. La ripartizione non avviene, non c'è
ripartizione. Voleva sentire la risposta? Allora mi dia
ascolto.
   La ripartizione non avviene, perché al momento
dell'interessamento dell'interprovinciale stabiliscono loro
che cosa quella firma, cioè quella ditta, darà alla borgata
dove andrà a costruire.
   Quindi, la ripartizione avviene con chi? Nella famiglia
dove va a costruire e quello non deve ripartire con nessuno.
  ALFREDO BIONDI. Ho sbagliato il termine, intendevo la
quota. Come si fissa la quota?
  TOMMASO BUSCETTA. La quota non c'è, non è una
percentuale, è una stima.
  ALFREDO BIONDI. Ho capito.
  PRESIDENTE. Lei ha dichiarato al giudice Falcone di aver
appreso da Stefano Bontade che il sindaco Martellucci, grazie
all'intermediazione dei Salvo, aveva accettato che Ciancimino
gestisse il risanamento dei mandamenti di Palermo.
  TOMMASO BUSCETTA. Già non abbiamo parlato in precedenza
di questo?
  PRESIDENTE. Non abbiamo parlato di Martellucci. Abbiamo
parlato di risanamento, c'è una cosa in più adesso. Si tratta
di sapere per conto di chi i Salvo avevano svolto il ruolo di
intermediazione.
  TOMMASO BUSCETTA. Tra?
  PRESIDENTE. Tra Martellucci e forse Ciancimino, perché
Bontade le avrebbe detto che Martellucci, grazie
all'intermediazione dei Salvo, aveva accettato che Ciancimino
gentisse il risanamento dei mandamamenti di Palermo.
Martellucci era sindaco e Ciancimino assessore. I Salvo per
conto di chi avevano agito? Anzi, Ciancimino non era più
assessore, era responsabile degli enti locali.
  TOMMASO BUSCETTA. Martellucci non è un uomo d'onore.
Martellucci non è avvicinato neanche da Bontade. Martellucci
in quel momento è l'attuale sindaco di Palermo. Allora che
cosa si vuole? Tranquillità alla giunta di Martellucci, ma è
la corrente - e questa volta è appropriato - andreottiana che
va a proporre a Martellucci di lasciare, di dare un boccone a
Ciancimino, perché la giunta possa andare avanti.
  PRESIDENTE. Così lasciava la giunta tranquilla, insomma.
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto.
  PRESIDENTE. Poi fu messa la bomba nella villa di
Martellucci.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, e difatti Bontade mi disse "ma che
cosa vuole questo gran cornuto del corto (il corto sarebbe
Salvatore Riina)". Insomma, quello che voleva, Ciancimino l'ha
ottenuto. Ma perché andare a mettere la bomba da Martelucci?
Non ho altro da aggiungere.
                         Pag. 392
  PRESIDENTE. Quali vantaggi trasse Cosa nostra dal fatto
che il risanamento dei mandamenti fosse gestito da Ciancimino?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so assolutamente.
  GIUSEPPE MARIA AYALA. Il risanamento non è mai stato
fatto.
  PRESIDENTE. Lo so, tant'è che recentemente è stata
approvata una legge. Si tratta di capire quali siano le
risposte del signor Buscetta.
  TOMMASO BUSCETTA. Sarei morto di fame aspettando...
  PRESIDENTE. Le è andata meglio così, signor Buscetta.
   Lei ha detto, a proposito del golpe Borghese, che i
contatti con Cosa nostra erano stati resi possibili dal
fratello massone di Morana Carlo.
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto.
  PRESIDENTE. Uomo d'onore della famiglia di corso dei
Mille.
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto.
  PRESIDENTE. E successivamente aggiunge che Giuseppe Di
Cristina e Giuseppe Calderone avevano contattato massoni di
grado più elevato rispetto a Morana.
  TOMMASO BUSCETTA. Morana non era massone. Carlo Morana.
  PRESIDENTE. Massone è il fratello.
  TOMMASO BUSCETTA. Che poi il fratello aveva introdotto
ai gradi più elevati.
  PRESIDENTE. Per capire, il fratello massone di Carlo
Morana aveva introdotto ai gradi elevati Di Cristina e
Calderone. Lei ha anche precisato che Calderone e Di Cristina
sarebbero andati a Roma, insieme con i massoni parlemitani e
forse anche catanesi, per incontrarsi con Borghese.
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto!
  PRESIDENTE. E' esatta questa ricostruzione?
  TOMMASO BUSCETTA. E' esatta questa ricostruzione.
  PRESIDENTE. Può chiarire meglio questo rapporto con la
massoneria?
  TOMMASO BUSCETTA. Chi parlò di Borghese a Cosa nostra
sono i massoni. Pippo Calderone o Giuseppe Di Cristina non
conoscevano Borghese. Quindi l'appuntamento viene dato dal
fratello di Carlo Morana a Pippo Calderone e a Giuseppe Di
Cristina. Sono poi loro che sono condotti in un altro posto,
che io non so, dei massoni e viene fatta la composizione
"Borghese, il patto è...".
   Quando poi vanno a Roma, si vanno ad incontrare
personalmente con Borghese e nasce quel fatto, le fasce...
  PRESIDENTE. Sì, sì, l'elenco eccetera.
   Lei sa di altri rapporti tra uomini d'onore e massoni?
  TOMMASO BUSCETTA. Vitale è cognato di Stefano Bontade ed
era massone; Vitale era amico di Sindona; era stato Vitale a
portare Sindona da Stefano Bontade e Inzerillo. Era stato
Sindona a parlare a Inzerillo di golpe.
  PRESIDENTE. Questo è un altro, quello del 1979.
                         Pag. 393
  TOMMASO BUSCETTA. No, stiamo parlando di un altro...
Quando è stato Sindona in Italia?
  PRESIDENTE. Nel 1979.
  TOMMASO BUSCETTA. Stiamo parlando di un altro. Però non
se n'è fatto niente perchè...
  PRESIDENTE. Come di un altro? Prima abbiamo parlato di
quello del 1970.
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto.
  PRESIDENTE. Ora stiamo parlando del 1979.
  TOMMASO BUSCETTA. Lei vuole sapere quello di mezzo? Del
1974?
  PRESIDENTE. Qual è quello di mezzo?
  TOMMASO BUSCETTA. Nel 1974 ce n'era un altro preparato.
  PRESIDENTE. Vuole spiegarsi?
  TOMMASO BUSCETTA. Ho ricevuto dal mio direttore del
carcere, dottor De Cesare, la notizia che dopo pochi giorni
sarebbe successo un colpo di Stato e io sarei passato,
attraverso un brigadiere della matricola, per un cunicolo,
sarei entrato in casa sua e sarei stato liberato.
   Sapevo che c'erano anche dei militari. Ma non vorrei dire
queste cose, sennò diventa uno scandalo, per l'amor di Dio!
  PRESIDENTE. Credo lo sia già stato.
   Nel 1974 qualcuno le disse che ci sarebbe potuto essere un
tentativo di colpo di Stato - in cui lei sarebbe stato
liberato - in cui c'entravano i militari. Questo le dissero?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Lo disse il dottor Di Cesare, direttore
dell'Ucciardone?
  TOMMASO BUSCETTA. Di massoni e militari.
  PRESIDENTE. Quanto ai rapporti tra uomini d'onore e
massoni, abbiamo parlato delle vicende del 1970.
Successivamente, nel 1974, la mafia aveva un ruolo?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, è logico. Come faceva a conoscermi
Di Cesare per dirmi che mi avrebbe portato a casa sua?
  PRESIDENTE. Di Cesare era uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. No, perciò dico che era stata la mafia
a dirglielo.
  PRESIDENTE. Vi è poi la vicenda Sindona del 1979. Che
progetto aveva Sindona?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, perché Stefano Bontade non
riuscì a spiegarmelo. Gli disse: lei mi sembra pazzo, sono
stanco di colpi di Stato. Se li vada a fare lei. Lo mandarono
via.
  PRESIDENTE. Esistevano rapporti tra uomini d'onore e
massoni anche per ragioni più spicciole, quali un processo o
una licenza?
  TOMMASO BUSCETTA. No, non lo so.
  ROMEO RICCIUTI. Consulenze di alto livello tra
università e uomini della professione tramite la massoneria?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  ALFREDO GALASSO. Il principe Alliata era massone?
  PRESIDENTE. Le ripeto la domanda; per maggiore chiarezza
è opportuno che sia sempre il presidente a porre i quesiti.
   Il principe Alliata era massone?
  TOMMASO BUSCETTA. Conoscevo il principe Alliata perché
ho giocato con lui. Ma, a quell'epoca, non mi intendevo di
massoneria. Non so se fosse massone.
  PRESIDENTE. Dopo, se n'è inteso di massoneria?
                         Pag. 394
  TOMMASO BUSCETTA. No, però ho cercato di sapere se
c'erano dei rapporti con la massoneria.
  PRESIDENTE. Il principe Alliata era uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Forse la mia risposta è
categorica. E' meglio dire: che io sappia, no.
  PRESIDENTE. Pippo Calderone avrebbe riferito che nel
1977 Bontade avrebbe a sua volta riferito che c'era stato un
pour parler perché entrassero dei mafiosi nella
massoneria. Lei ha sentito parlare di questa vicenda?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Era noto che Giacomo Vitale fosse massone?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Lei sa di un intervento che avrebbe fatto
Giacomo Vitale nei confronti di magistrati del processo dei
114?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Vitale aveva rapporti con le famiglie
mafiose?
  TOMMASO BUSCETTA. Aveva un cognato capomafia,
capomandamento. Anzi, i cognati.
  PRESIDENTE. Lei sa qualcosa dei rapporti tra Giacomo
Vitale e Michele Sindona, oltre a quello che ha già detto?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Tra Sindona e Bontade ci fu quel
colloquio...
  TOMMASO BUSCETTA. E Inzerillo. Sindona aveva insieme a
lui alcuni fratelli Gambino di New York. Questi sono
imparentati con gli Inzerillo. Quindi hanno accompagnato
Sindona. E' per questo che era presente Inzerillo. Era anche
lui capomandamento.
  PRESIDENTE. Cosa si sono detti durante il colloquio?
  TOMMASO BUSCETTA. Io l'ho sentito raccontato: quel pazzo
è venuto qua per il colpo di Stato; lo abbiamo mandato a quel
paese, quale colpo di Stato!
  PRESIDENTE. Lei dice di aver tentato di partecipare a
due tentativi.
  TOMMASO BUSCETTA. Erano tutti andati "a buca".
  PRESIDENTE. Quindi, tanto valeva non provarci più. E'
chiaro.
   Lei sapeva che Sindona era massone?
  TOMMASO BUSCETTA. L'ho saputo attraverso Vitale e
Stefano Bontade.
  PRESIDENTE. Sapeva che Miceli Crimi era massone?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Conosce questo nome?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Sapeva che Sindona era iscritto alla loggia
P2?
  TOMMASO BUSCETTA. Non sapevo che esisteva la P2.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare della loggia Diaz?
  TOMMASO BUSCETTA. Non so parlare di queste cose.
  PRESIDENTE. Quindi non sa se i Greco erano iscritti alla
massoneria?
  TOMMASO BUSCETTA. I due fratelli? Non so.
                         Pag. 395
  PRESIDENTE. E i Salvo?
  TOMMASO BUSCETTA. Non so di uomini iscritti alla
massoneria.
  PRESIDENTE. Perché si interrompe il soggiorno di Sindona
a Palermo?
  TOMMASO BUSCETTA. L'hanno mandato via, l'hanno cacciato.
Gli hanno detto: vai via.
  PRESIDENTE. Non vi è rapporto con l'assassinio del
giudice Terranova?
  TOMMASO BUSCETTA. No, assolutamente.
  PRESIDENTE. Perché Terranova fu ucciso?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché era stato cattivello con
Luciano Liggio.
  PRESIDENTE. La proposta di Sindona di un tentativo di
colpo di Stato separatista fu discussa nelle famiglie di Cosa
Nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo che Stefano Bontade ne parlò in
Commissione ma quella fu la risposta: di andarsi a fare una
bella camminata.
  PRESIDENTE. Lei sa chi mise in contatto Sindona con il
notaio Cordaro di Caltanissetta?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Non sa se Pino Mandalari sia un esponente
della massoneria?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Dopo la strage di Ciaculli le famiglie si
sciolsero. Poi ci furono le assoluzioni di Catanzaro. Quale fu
il successivo comportamento di Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Dobbiamo andare al 1969-1970; la
sentenza fu del dicembre 1969. Hanno ricominciato a
ricostruirsi, attraverso Stefano Bontade, che allora era
giovane e non era stato preso di mira dalla polizia. Credo che
avesse vent'anni.
   Attraverso Stefano Bontade si sono cominciate a
ricostruire, ma le cose si erano un po' fermate perché quel
famoso personaggio di cui ho parlato all'inizio, Cavataio,
preferiva che le famiglie si facessero così come lui voleva.
Questo è un discorso lungo, da fare per la storia della
criminologia. Non credo che vi interessi molto e perciò sarò
succinto.
   Dopo la morte di Cavataio, nel 1970, si comincia la
ricostruzione delle famiglie, ognuno nella sua borgata. Si
istituiscono i capimandamento e si fa la Commissione. Questa
però, in un primo tempo e cioè verso il 1974, è gestita
soltanto da tre persone: Riina, Bontade e Badalamenti. Subito
dopo l'arresto di Luciano Liggio, credo nel 1974, a Milano si
comincia a fare la commissione così come si formò: ogni tre
famiglie un capomandamento e si abolirono i tre.
  PRESIDENTE. Cosa nostra fece qualcosa di particolare per
mettersi in evidenza e per far capire che si erano
riorganizzati?
  TOMMASO BUSCETTA. Questa mi sembra una domanda da
torinese e rispondo ad un torinese: la mafia non ha bisogno di
queste cose, ognuno ha una famiglia numerosissima e questa
famiglia ha altre famiglie. Già si sa, è un collegamento.
  PRESIDENTE. Gli attentati degli anni settanta,
l'omicidio di Scaglione, la scomparsa del giornalista Di
Mauro...
  TOMMASO BUSCETTA. Non erano per dimostrare che la mafia
era tornata.
  PRESIDENTE. Perché erano stati fatti?
                         Pag. 396
  TOMMASO BUSCETTA. Perché dovevano scassare la
credibilità del Governo italiano.
  PRESIDENTE. Creare le condizioni per il colpo di Stato?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Anche l'omicidio Scaglione?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Ho spiegato che anche dietro
l'omicidio di Scaglione come entità di Stato c'era un'altra
cosa: Vincenzo Rimi; ha approfittato di servire Cosa nostra ma
ha approfittato di servirsi lui stesso.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato, se non ho capito male, che
Cosa nostra non commette mai omicidi su commissione; sono cose
che interessano lei, poi possono anche interessare altri.
  TOMMASO BUSCETTA. E' logico, è questo il discorso.
  PRESIDENTE. Questa è l'ipotesi.
  TOMMASO BUSCETTA. No, questa è certezza, non ipotesi.
  PRESIDENTE. L'onorevole Riggio le chiede se questa
riorganizzazione riguardi soltanto la provincia di Palermo o
tutta quanta la Sicilia?
  TOMMASO BUSCETTA. Solo la provincia di Palermo, perché
era questa ad essere scassata.
  PRESIDENTE. Quindi, a Trapani...
  TOMMASO BUSCETTA. Funzionavano regolarmente.
  PRESIDENTE. Avendo lei spiegato alla Commissione che
l'assassinio di Scaglione, la scomparsa di De Mauro, le bombe
messe in quel periodo erano diretti a togliere credibilità
allo Stato e a creare l'ambiente ed il clima favorevoli al
tentativo del colpo di Stato, l'onorevole Borghezio le chiede
se le stragi che si sono verificate negli ultimi tempi possano
avere un significato analogo.
  TOMMASO BUSCETTA. Non posso rispondere a questa domanda:
non lo so. Devo rimanere "a cavallo" per quelle che saranno le
indagini e per quelle che potranno essere le mie riflessioni.
Quindi, devo rispondere: "Non lo so". Da dove la prendo
un'affermazione simile?
  CARLO D'AMATO. Forse nel "delirio".
  TOMMASO BUSCETTA. Di "delirio" abbiamo parlato fuori.
  PRESIDENTE. Se non ho capito male, lei ha usato il
termine "delirio" in senso scherzoso per indicare la sua
ipotesi?
  TOMMASO BUSCETTA. E' così.
  PRESIDENTE. All'inizio dell'audizione lei ha fatto cenno
alla pressione esercitata nei suoi confronti per la
liberazione dell'onorevole Moro. Se non ho capito male,
qualcuno le disse che la commissione aveva deciso che si
poteva fare questa operazione di prendere contatto con i
brigatisti e a tal fine lei doveva andare da Cuneo a Torino.
  TOMMASO BUSCETTA. C'era un piccolo intrigo che dovevo
fare nella mia qualità di uomo d'onore. Mentre avevo l'ordine
di Cosa nostra di interessarmi al fine di salvare la vita di
Moro, da parte della malavita milanese mi veniva lo stesso
richiamo; io però non raccontai ai milanesi, che non erano
uomini d'onore, che dalla Sicilia avevo ricevuto la stessa
"voce". Quindi approfitto dell'occasione che mi offre la
malavita milanese per essere trasferito al carcere di Torino.
  PRESIDENTE. Allora era la malavita milanese che le aveva
data la possibilità di essere trasferito?
                         Pag. 397
  TOMMASO BUSCETTA. E' così ed è registrato.
  PRESIDENTE. Lei fece domanda per andare a Torino?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo ricordo; comunque, accusavo
delle malattie che si sarebbero trasformate in
trasferimento...
  PRESIDENTE. Ho capito.
  TOMMASO BUSCETTA. ...in un centro clinico, che era
quello di Torino.
  PRESIDENTE. Poi invece fu mandato a curarsi a Milano?
  TOMMASO BUSCETTA. Mi portarono a San Vittore, da dove
fui mandato a Napoli. Credo che in questo frattempo il povero
Moro sia morto. Dico credo perché faccio confusione con le
date.
  PRESIDENTE. Non si preoccupi perché le date le
controlleremo noi.
   A Milano incontrò dei brigatisti?
  TOMMASO BUSCETTA. Incontrai quello che si interessava a
me...
  PRESIDENTE. Quello appartenente alla criminalità comune?
  TOMMASO BUSCETTA. ...e che mi dà i verbali delle
intercettazioni in cui si parla di tutto questo.
  PRESIDENTE. L'uomo a cui allude era un detenuto?
  TOMMASO BUSCETTA. Quando andai a Milano era già
detenuto.
  PRESIDENTE. Aveva i verbali delle intercettazioni?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Apparteneva alla criminalità comune?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Di Milano?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Nel senso che faceva il criminale a Milano o
era milanese?
  TOMMASO BUSCETTA. Nel senso che faceva il criminale a
Milano ed era milanese.
   A Cuneo sono stato in cella con Francis Turatello che
aveva tutta questa malvivenza milanese ai suoi piedi; quindi
questo di cui parlo, e di cui parlerò con i giudici affinché
possano essere condotte le ricerche delle bobine in questione,
mi viene a trovare all'interno del carcere, dove entra con un
documento falso per parlare con me.
  PRESIDENTE. Nel carcere di Cuneo?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì. Mi dice appunto che c'è una certa
possibilità ed io rispondo: "I terroristi che sono qui non
sono all'altezza di poter rispondere a questa domanda; se
andassi a Torino, potrei incontrarne degli altri a cui
rivolgermi". Allora mi rispose che si sarebbe interessato
attraverso un certo ministro - lo scoprite attraverso le
bobine, perché è inutile che io ne faccia il nome - per farmi
trasferire a Torino. Gli risposi: "Fallo". Allora mi dice:
"Chiedi visita medica e dichiara che hai bisogno delle cure
del centro clinico di Torino". Non ricordo se ho fatto la
domandina. Poi mi disse: "Fatto! Sei trasferito!" ed io sono
andato a Milano e da Milano sono andato a Napoli.
  PRESIDENTE. L'intercettazione riguardava il colloquio
tra questa persona e lei nel carcere di Cuneo?
  TOMMASO BUSCETTA. No, in quello di Milano.
  PRESIDENTE. La conversazione registrata...
                         Pag. 398
  TOMMASO BUSCETTA. Non riguardava me.
  PRESIDENTE. Riguardava altre persone?
  TOMMASO BUSCETTA. Sarò più chiaro: riguardava mia
moglie. Questo parlava con mia moglie...
  PRESIDENTE. Al telefono?
  TOMMASO BUSCETTA. ...e le diceva: "Sai, abbiamo ottenuto
il trasferimento di Masino che va a Torino". Poi in altre
telefonate lui era in contatto con la persona o con le persone
di Roma che avrebbero attuato il mio trasferimento. Nelle
telefonate c'è anche...ed allora queste "cose buone" non
vogliono salvare Moro. La spiegazione è tutta nelle bobine.
  PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede se si trattava
di una trascrizione della registrazione o se erano dei nastri.
  TOMMASO BUSCETTA. Lessi la trascrizione delle
registrazioni; come potevo ascoltare i nastri? Nel verbale c'è
scritto "presa dalla bobina".
  PRESIDENTE. Quale interesse aveva Turatello alla
liberazione di Moro?
  TOMMASO BUSCETTA. Turatello non c'era più; chi ha
parlato di Turatello?
  PRESIDENTE. Non ha detto che a Cuneo...
  TOMMASO BUSCETTA. Turatello se ne era già andato da
Cuneo. Ho detto, come riferimento, di conoscere la malavita
milanese, persone nate a Milano attraverso il contatto con
Turatello.
  PRESIDENTE. Dagli atti del maxiprocesso di Palermo
risulta che lei non è mai stato a Milano.
  TOMMASO BUSCETTA. Sul serio?
  PRESIDENTE. Sì, risulta che il 14 ottobre 1977 è andato
dalla casa circondariale di Regina Coeli alla casa
circondariale di Cuneo; il 22 maggio 1978, dalla casa
circondariale di Cuneo a Napoli; poi, il 15 giugno 1978, dalla
casa circondariale di Napoli a quella di Cuneo. Risulterebbe
che lei non è mai stato a Milano.
  TOMMASO BUSCETTA. Guardi, io proprio a lei ... Io sono
stato a Milano, non me lo sono sognato. Io sono stato tradotto
a Milano, da Cuneo.
  PRESIDENTE. Dai carabinieri?
  TOMMASO BUSCETTA. Logico! Come, da solo?
  PRESIDENTE. Successivamente risulta che il 16 marzo 1979
lei è stato trasferito da Palermo a Termini Imerese, il 20
marzo 1979 da Termini a Palermo, il 16 maggio 1979 da Palermo
a Termini Imerese. Poi, è stato trasferito da Cuneo a Milano
nel giugno 1979, praticamente un anno dopo l'assassinio di
Moro.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma io sono andato anche prima!
  PRESIDENTE. Quindi lei insiste nel dire che è stato a
Milano.
  TOMMASO BUSCETTA. Io sono andato da Cuneo a Milano.
  PRESIDENTE. Mentre era in corso il sequestro Moro?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma ... Sì.
  PRESIDENTE. Ricorda l'anno?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Ma ricorda che era stato sequestrato Moro?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
                         Pag. 399
  PRESIDENTE. E ricorda se era stato ucciso?
  TOMMASO BUSCETTA. No, non ricordo. Non riesco a mettere
insieme queste date.
  PRESIDENTE. Dunque, quando le viene fatta la proposta di
intervenire per vedere se sia possibile avere un colloquio con
i brigatisti perché Moro venga liberato, Moro è sequestrato e
lei è a Cuneo. E' così?
  TOMMASO BUSCETTA. E' così, esatto.
  PRESIDENTE. Lei dice che successivamente va a Milano. In
quell'arco di tempo, insomma, non un anno dopo.
  TOMMASO BUSCETTA. In quell'arco di tempo.
  ALFREDO GALASSO. Poiché la situazione carceraria alla
quale il presidente ha fatto riferimento è stata riepilogata
dal giudice Grasso al maxiprocesso proprio al signor Buscetta,
che non vi sia menzione di questo soggiorno a Milano dipende
dal fatto che non lo ricordava o che non aveva voglia di
parlarne?
  TOMMASO BUSCETTA. No, no, non me ne ricordavo. Perché
non avrei dovuto menzionarlo?
  PRESIDENTE. Siccome lei ha deciso dopo l'assassinio del
giudice Falcone di aprire ...
  TOMMASO BUSCETTA. Ma non avrei motivo di omettere una
traduzione. Siete in condizione di prendere l'elenco delle
traduzioni dei carabinieri e di verificare quando volete.
  PRESIDENTE. L'onorevole Ayala le chiede se ricorda
quanto si fermò a Milano in quella circostanza.
  TOMMASO BUSCETTA. Poco tempo.
  PRESIDENTE. Per poco tempo intende pochi mesi o poche
settimane?
  TOMMASO BUSCETTA. Forse due settimane, forse venti
giorni.
  PRESIDENTE. E a Milano riuscì ad avere contatti con i
brigatisti oppure no?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Non ne avevo più bisogno, credo, a
quell'epoca.
  PRESIDENTE. Sulla base delle conoscenze che lei ha delle
dinamiche interne a Cosa nostra ed in particolare della
commissione provinciale, può dirci se questa commissione ha
avuto un qualche ruolo nella strage del rapido 904? Quella
strage per la quale ora Calò è stato definitivamente
condannato?
  TOMMASO BUSCETTA. Guardi, per me ... Siamo sempre in
quell'ipotesi di cose molto più grandi di quelle che sono la
Cosa nostra. Io credo che Calò c'entrasse in quelle bombe del
treno.
  PRESIDENTE. Ha avuto l'ergastolo. In genere questo
significa che si è colpevoli.
  TOMMASO BUSCETTA. Credo che c'entrasse, ma non posso
asserirlo.
  PRESIDENTE. Lei ha detto che uno come Calò se voleva
fare un sequestro di persona poteva farlo con chi voleva, ma
quando si trattava di omicidi la cosa era diversa e bisognava
concordare con Cosa nostra. Per una strage come questa - alla
quale risulta da tutta una serie di atti ed anche da sentenze
definitive che abbia partecipato - è possibile che Calò abbia
agito senza aver preso contatto con Cosa nostra, senza avere
un'autorizzazione?
  TOMMASO BUSCETTA. No, è impossibile. Calò non poteva
fare una cosa del genere senza che la cupola, come voi la
chiamate, lo sapesse. E' impossibile.
   Però c'è una cosa. Sembra che le mie dichiarazioni abbiano
dei contrasti. Mi
                         Pag. 400
potreste dire: per fare dei crimini molto gravi Cosa nostra
non usa gente che va fuori? Ma ci sono delle condizioni. Per
potervelo spiegare meglio: se Calò ha partecipato alla strage
del treno, indubbiamente non ha fatto partecipare nessun
siciliano.
  PRESIDENTE. Ho capito.
  TOMMASO BUSCETTA. Non partecipando nessun siciliano,
quello che ha fornito le bombe ha fatto un favore a lui. Non
perché lui vuole che si mettano le bombe, ma l'intenzione sua
è che le mettano le bombe.
  PRESIDENTE. Ma la decisione di fare questa cosa, secondo
lei, è stata presa anche dalla commissione, da Cosa nostra o
no?
  TOMMASO BUSCETTA. Senz'altro. Lui non la fa una cosa
senza informare Cosa nostra. Assolutamente non può farla. Lui
rischia di morire.
   Può essere stato portatore e dire: "Ho un'occasione, ci
sono Tizio e Caio che vogliono mettere una bomba". "Lasciali
fare". "Va bene". Ma lo fanno loro, senza Pippo Calò. Quando
lui si batte dietro le barre e dice "sono innocente", è
innocente nel vero senso, perché può giurare la sua innocenza
e non ci sono prove contro di lui. Però sotto banco lui avrà
senz'altro partecipato: questa è la mia convinzione.
  PRESIDENTE. Anche se si trattava soltanto di fornire le
bombe per la strage doveva parlarne alla commissione
provinciale?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Frequentando Calò, lei ha mai avuto modo di
conoscere un certo Pietro Cannizzaro?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Parente di Nitto Santapaola e che gestisce
un negozio di abbigliamento a Roma.
  TOMMASO BUSCETTA. No, no, non lo conosco. Sono andato in
un negozio, qui a Roma, insieme a Pippo Calò, che mi ha fatto
un bagaglio di diversi milioni, ma era verso via Nazionale ...
Qual è quella piazza in fondo a via Nazionale?
  PRESIDENTE. Piazza Esedra? Vicino alla stazione?
  TOMMASO BUSCETTA. Piazza Esedra.
  PRESIDENTE. L'onorevole Imposimato vuole sapere se si
trattava dei soldi del sequestro Armellini.
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so da dove venivano i soldi. Li
aveva lui.
  PRESIDENTE. La sera famosa in cui avrebbe dovuto esserci
il tentativo di colpo di Stato di Borghese, qualcuno di Cosa
nostra andò a Roma?
  TOMMASO BUSCETTA. Che io sappia no.
  PRESIDENTE. Non sa se qualcuno ci andò?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Nessuno glielo disse dopo?
  TOMMASO BUSCETTA. A me è stato detto che c'era anche la
flotta russa nel Mediterraneo.
  PRESIDENTE. Questa è la ragione per cui non è successo,
ma se qualche uomo di Cosa nostra è andato a Roma a dare una
mano lei non lo sa.
  TOMMASO BUSCETTA. No, non lo so.
                         Pag. 401
  PRESIDENTE. Calderone ci ha detto che andò Natale Rimi:
lei questo non lo sa?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Il 4 dicembre 1984 lei ha dichiarato al
giudice Falcone che settori di partiti politici governativi e
di altre istituzioni erano pronti a fornire il loro appoggio
al golpe Borghese. Aggiunge che altri uomini d'onore,
oltre a quelli da lei citati, avevano avuto rapporti con
Borghese. In quell'occasione, davanti al giudice Falcone disse
che avrebbe riferito in seguito su questi particolari; può far
capire alla Commissione di cosa si tratti?
  TOMMASO BUSCETTA. Riferirò in seguito alla magistratura.
Se me lo consente e se non la prende come una scortesia.
  PRESIDENTE. Se bastasse questo a farla parlare, potremmo
prenderla come una scortesia, ma non credo che basti.
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Può far capire a quali istituzioni si
riferisca quando parla di "altre istituzioni"?
  TOMMASO BUSCETTA. Non ho detto poco fa che il colonnello
dei carabinieri era quello che andava ad arrestare il
prefetto?
  PRESIDENTE. Questa è una risposta.
  TOMMASO BUSCETTA. Non ho parlato poco fa? Il resto
lasciamolo ai giudici istruttori. Il colonnello Russo è
un'istituzione o no?
  PRESIDENTE. E' appartenente ad un'istituzione.
  TOMMASO BUSCETTA. Appartenente ma è un'istituzione.
Appartenente: devo correggermi, va bene. Io vedo il colonnello
Russo come un'istituzione perché era il comandante ed era
quello che andava ad arrestare il prefetto.
  PRESIDENTE. Sarebbe stato quello ...
  TOMMASO BUSCETTA. Sarebbe stato: esatto.
  PRESIDENTE. Cosa nostra aveva giudici amici a Palermo?
  TOMMASO BUSCETTA. Giudici?
  PRESIDENTE. Sì, magistrati amici, che vi facevano dei
favori.
  TOMMASO BUSCETTA. Ah, lei mi fa entrare in un campo che
è assolutamente improponibile.
  PRESIDENTE. Peggio di quello della politica?
  TOMMASO BUSCETTA. Io credo di sì. Per l'amor di Dio!
  PRESIDENTE. Non vuole rispondere neanche sì o no?
  TOMMASO BUSCETTA. No, non risponderò a questa domanda
perché ritengo che, come nella politica, se è difficile
stabilire un rapporto tra due mafiosi, s'immagini con un
politico, s'immagini con un giudice; ed io sarei così pazzo da
avventurarmi in questo sentiero? No.
  PRESIDENTE. Avete avuto favori, aggiustamenti di
processi a Palermo?
  TOMMASO BUSCETTA. Come ho già detto "u carbuni si nun
tinci mascarìa", e ritorniamo nuovamente alla domanda di
prima. Io personalmente non ho corrotto nessun giudice.
  PRESIDENTE. La corruzione è un'altra cosa.
  TOMMASO BUSCETTA. No, no, non posso parlare di queste
cose.
                         Pag. 402
  PRESIDENTE. Le ho chiesto se abbiate avuto aggiustamenti
di processi a Palermo.
  TOMMASO BUSCETTA. Aggiustamenti di processi ci sono
stati a Palermo sempre, in tutte le epoche. Però, se mi
chiedessero di indicare i giudici, io risponderei che non lo
so.
  PRESIDENTE. Anche se lo sa?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, anche se lo so.
  MARIO BORGHEZIO. Presidente, può chiedere al signor
Buscetta se siano state concesse grazie ad uomini d'onore?
  PRESIDENTE. Le grazie le concede il Presidente della
Repubblica. Trattandosi di fatti pubblici, possiamo compiere
accertamenti diretti.
   L'essere detenuti è un impedimento a parlare tra voi, ad
avere rapporti con l'esterno? Cosa cambia trovarsi nella
condizione di detenuti rispetto a quella di uomini liberi?
  TOMMASO BUSCETTA. Nessuna cosa, nessunissima cosa.
L'uomo d'onore si qualifica e rimane sempre la stessa persona,
solo che può avere un sostituto che fa le sue veci perché lui
è detenuto.
  PRESIDENTE. Dovunque si sia detenuti è così? L'uomo
d'onore riesce sempre ad avere colloqui, a parlare, anche con
documenti falsi?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Come si può fare, secondo lei, per isolare
dalla famiglia l'uomo d'onore detenuto? Lei ha detto
giustamente che bisogna essere rigorosi e fare giustizia fino
in fondo, senza tentennamenti; però, una volta che sia stata
fatta giustizia, gli uomini d'onore essendo detenuti
comunicano con quelli che stanno fuori come prima: lei capisce
che la cosa cambia, ma non di molto. Allora, vorremmo capire
sulla base della sua esperienza come si possa fare per
interrompere questi rapporti.
  TOMMASO BUSCETTA. Asinara.
  PRESIDENTE. Anche all'Asinara una volta al mese si
possono ricevere visite.
  TOMMASO BUSCETTA. Una volta al mese ma quando il mare è
buono, perché trascorrono mesi interi senza poterci arrivare
perché il mare non è buono.
  PRESIDENTE. Quindi, la traduzione all'Asinara è una cosa
temuta?
  TOMMASO BUSCETTA. E' temuta, io lo so perché mi
tremavano veramente le ginocchia quando dovevo essere
trasferito all'Asinara. Mi dicevo: "Ma questo è un castigo di
Dio", perché stare all'Asinara significava la rottura totale
dei rapporti con il continente italiano.
  PRESIDENTE. Quindi significava anche essere lasciati un
po' a se stessi rispetto alla famiglia?
  TOMMASO BUSCETTA. E' una cosa automatica, all'Asinara
non si passa facilmente tutti i mesi. Il mio primo
trasferimento da Palermo all'Asinara viene disposto dal
generale Dalla Chiesa nel 1977; io vado fino a Porto Torres,
vi arrivo tranquillo per imbarcarmi, mi sono imbarcato per tre
volte e per tre volte sono tornato indietro sulla motovedetta
dei carabinieri, non una motovedetta civile.
  PRESIDENTE. Dopo l'omicidio di Dalla Chiesa tutti
sfuggirono alla cattura: come mai?
  TOMMASO BUSCETTA. (Ride con ironia) Ogni domanda
ha bisogno di una risposta.
  PRESIDENTE. Sembrerebbe di sì.
                         Pag. 403
  TOMMASO BUSCETTA. E' perché qualcuno avrà detto che
c'erano questi mandati di cattura.
  PRESIDENTE. Ci sarà stata un'informazione.
  TOMMASO BUSCETTA. Già era "volata".
  PRESIDENTE. Quindi, per capire, questa non è una
supposizione: a lei è giunta notizia che l'informazione era
già "volata".
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Perché lei era negli Stati Uniti?
  TOMMASO BUSCETTA. Lo so anche ... Credo che per quanto
riguarda l'uccisione di Costa, si sapeva ancor prima che Costa
firmasse i mandati di cattura che li avrebbe emessi.
  PRESIDENTE. Però in quel caso vi furono degli arresti.
  TOMMASO BUSCETTA. Ma altre volte non vi furono.
  PRESIDENTE. Ha mai avuto rapporti con il giudice
Campisi?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione di che tipo?
  TOMMASO BUSCETTA. Il giudice Campisi è stato giudice di
sorveglianza, no, io credo che mi sia messo a modello 13 per
parlare con il dottor Campisi.
  PRESIDENTE. A Cuneo?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, a Cuneo.
  PRESIDENTE. Perché?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché volevo ottenere la semilibertà
e il dottor Campisi mi disse che non era di sua competenza,
che il giudice di sorveglianza era una signora, una donna.
  PRESIDENTE. Quindi, lui non era giudice di sorveglianza.
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Era forse procuratore della Repubblica?
  TOMMASO BUSCETTA. Forse.
  PRESIDENTE. E lei perché si mise a modello 13 con il
giudice Campisi e non con il giudice di sorveglianza?
  TOMMASO BUSCETTA. Avevo saputo che lui aveva dei
rapporti con i Calderone, che era amico dei Calderone, ma non
ho avuto tempo di sollecitargli questa amicizia perché lui non
era il giudice di sorveglianza e quindi non poteva fare niente
per me.
  PRESIDENTE. Ma lei glielo disse?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Quando lui disse che non avrebbe potuto fare
nulla, chiuse lì la faccenda?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Oltre a Lima, c'erano altri uomini politici
che hanno avuto rapporti con la magistratura nel vostro
interesse?
  TOMMASO BUSCETTA. Io credo di no. Comunque, è una cosa
molto difficile stabilire qua se vi siano stati rapporti di
questo tipo. Bisogna dire: "una volta tizio mi raccontò" e poi
fare le indagini.
  PRESIDENTE. La cosa che le chiediamo è più semplice:
Lima era l'unica
                         Pag. 404
persona alla quale ci si rivolgeva per avere aggiustamenti di
processi?
  TOMMASO BUSCETTA. No, non era l'unica persona, c'erano
altri politici.
  PRESIDENTE. Sempre di Palermo o anche di fuori Palermo?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo anche di fuori Palermo.
  PRESIDENTE. Non eletti in Sicilia, insomma.
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto.
  PRESIDENTE. Cosa sa dell'omicidio di Piersanti
Mattarella?
  TOMMASO BUSCETTA. Mi sono ripromesso di parlare con i
giudici di questa cosa, anche se già dissi a Falcone nel 1984
che era avvenuto su ordine della commissione. Credo che lo
dissi, non lo ricordo più.
  PRESIDENTE. Credo di aver letto qualcosa del genere.
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di aver detto al giudice Falcone
che Bontade ed Inzerillo non erano d'accordo su questa cosa,
che era stata la commissione e che anche loro poi avevano
aderito.
  PRESIDENTE. Cosa interessa ad un uomo politico non
eletto in Sicilia di farvi favori nel rapporto con i giudici?
Prima lei ha detto che, oltre a Lima, c'erano altri uomini
politici che potevano fare dei favori.
  TOMMASO BUSCETTA. Preferisco non rispondere a questa
domanda perché essa ci porta in un campo molto più vasto.
  PRESIDENTE. Mi fa terminare la domanda?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, scusi.
  PRESIDENTE. Ci mancherebbe.
   Lei ha detto prima che c'erano altri uomini politici,
oltre a Lima, a farvi favori anche nei rapporti con la
magistratura. Le ho chiesto se si tratti di uomini politici
eletti in Sicilia o eletti anche fuori e lei ha risposto
eletti anche fuori. A questo punto, le chiedo quale sia
l'interesse che può avere un uomo politico eletto anche fuori
dalla Sicilia a fare favori a voi. Questa è la domanda: qual è
la sua risposta?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma non può essere che l'uomo politico
ha dei suoi amici che sono eletti in Sicilia?
  PRESIDENTE. Non lo so, questo lo dice lei.
  TOMMASO BUSCETTA. Io formulo ipotesi, non sto dicendo
che è così. Per ipotesi posso dare questa risposta ma non
posso dire: "sì, perché quello aveva l'amico ...". Io dico: e
non può essere per ipotesi che quest'uomo politico abbia i
suoi amici politici in Sicilia?
  PRESIDENTE. Quindi, essendo certo che uomini politici
non eletti in Sicilia facevano questi favori, l'ipotesi è che
li facessero perché avevano propri amici eletti in Sicilia?
  TOMMASO BUSCETTA. No, quest'affermazione non la posso
fare.
  PRESIDENTE. E' un'ipotesi.
  TOMMASO BUSCETTA. Ah, l'ipotesi sì.
  PRESIDENTE. La cosa certa è che facevano i favori,
l'ipotesi è che potevano farli perché avevano amici in
Sicilia.
  ROMEO RICCIUTI. Possiamo chiedere al signor Buscetta se
c'erano, oltre agli uomini politici, uomini del mondo
universitario o di altre professioni?
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  PRESIDENTE. C'erano anche altre persone, non uomini
politici, ad esempio professionisti, uomini dell'università,
medici, che vi aiutavano in questo?
  TOMMASO BUSCETTA. Abbiamo detto sempre di sì, in tutti
gli interrogatori, che c'erano. L'abbiamo detto sempre, è dal
1984 che si dice.
  PRESIDENTE. La Commissione, per capire meglio, è
costretta a ripetere le domande, e le chiediamo scusa di
questo. Lei conosce molto bene queste cose, mentre io e gli
altri colleghi le conosciamo poco.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Tornando al delitto Mattarella,
mi pare di aver capito sarebbe stata la commissione ad
ordinarlo.
  PRESIDENTE. Pur con qualche dissenso.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Ed allora come mai ci sarebbero
stati dei killer non di Cosa nostra, degli estranei?
  PRESIDENTE. Il senatore Ferrara Salute le chiede: se è
stata Cosa nostra a decidere l'omicidio Mattarella, come mai,
secondo alcune ipotesi processuali, gli esecutori materiali -
cioé chi ha sparato - sarebbero stati non appartenenti a Cosa
nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. A me dispiace che non potrò vedere la
fine di questo processo negli anni, perché sono già abbastanza
vecchio, ma le garantisco che i fascisti in questo omicidio
non c'entrano. Quei due sono innocenti. Glielo garantisco. E
chi vivrà, vedrà.
  PRESIDENTE. Dell'omicidio Reina sa qualcosa in
particolare?
  TOMMASO BUSCETTA. E' nella stessa ipotesi, anzi
certezza, che io dico al giudice Falcone che Reina e
Mattarella sono stati uccisi per ordine della commissione.
  PRESIDENTE. Ma qual è il motivo specifico per cui si
uccidono Mattarella e Reina? Insomma, il danno.
  TOMMASO BUSCETTA. Il danno è più che altro
"impresariale".
  PRESIDENTE. Che vuol dire?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo che Mattarella in special modo
volesse fare della pulizia in questi appalti. Se andate a
vedere a chi sono andati gli appalti in tutti questi anni, con
facilità voi andrete a scoprire cose inaudite. Non è stato
ammazzato perché avevano bisogno dei due fascisti. La Cosa
nostra non fa agire, per ammazzare un presidente della
regione, due fascisti. E' un controsenso. Non esiste questa
possibilità. E quei due accusati sono innocenti.
  PRESIDENTE. E Reina perché sarebbe stato ucciso? Per
Mattarella più o meno si capisce: perché voleva mettere
ordine.
  TOMMASO BUSCETTA. Ne parlerò con i giudici.
  PRESIDENTE. Ma dei motivi generali può parlare anche
qui, senza dire chi lo ha ucciso, che non ci interessa.
  TOMMASO BUSCETTA. Anche del motivo ne parlerò con i
giudici.
  PRESIDENTE. Quindi, mentre il motivo dell'omicidio
Mattarella si può dire, quello dell'omicidio Reina qui non si
può dire.
  TOMMASO BUSCETTA. E' quasi nella stessa sintonia. Ci
sono degli appalti che fanno gioco, gli interessi. Sono
interessi che vanno ...
                         Pag. 406
  PRESIDENTE. E' anche nell'ambito di questi interessi
economici di appalti che viene ucciso Reina oltre Mattarella?
  TOMMASO BUSCETTA. Reina credo che è ucciso prima.
  PRESIDENTE. Sì, e perciò le chiedevo. Proprio per
capire.
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì.
  PRESIDENTE. Insomma, c'è una questione di interesse.
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì.
  PRESIDENTE. Lei ha dichiarato al giudice Falcone che
Inzerillo informò la commissione solo dopo aver ucciso il
procuratore Costa.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Prima lo uccise e poi informò. E questo in
qualche modo per ritorsione perché i corleonesi avevano fatto
la stessa cosa in altre occasioni, cioé prima avevano ucciso e
poi avevano informato. Lei ha detto che questo avevano fatto
per altri omicidi di illustri personalità: può spiegare, per
cortesia, chi erano queste illustri personalità uccise dai
corleonesi per le quali questi ultimi avevano informato dopo
la commissione?
  TOMMASO BUSCETTA. Uno è il capitano Basile. Un altro è
il capitano D'Aleo e un altro ancora il colonnello Russo.
Michele Greco a me personalmente ha detto: io non lo so chi ha
ammazzato il colonnello Russo. E poi ha dovuto rimangiarselo
tutto.
  PRESIDENTE. Perché era stato ucciso nel suo ...
  TOMMASO BUSCETTA. Lui non sapeva perché i corleonesi
avevano agito per conto loro.
  PRESIDENTE. La Ficuzza è a Corleone?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Oltre questi, ci sono anche altri omicidi?
  TOMMASO BUSCETTA. In questo momento non ricordo, perché
già sono un po' stanco, per la verità.
  PRESIDENTE. Vuole riposarsi?
  TOMMASO BUSCETTA. Mi riposo dopo.
  PRESIDENTE. Vuole fermarsi un attimo, fare una
passeggiata?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione perché Greco
Salvatore era chiamato "il senatore"?
  TOMMASO BUSCETTA. Era un politico. Cioé era un politico
nel senso che lui era la persona più adatta a darsi da fare in
campo politico e nel campo imprenditoriale, per prendere dei
soldi in prestito dalle banche, per creare nuove fonti di
introiti per la famiglia Greco.
  PRESIDENTE. Com'è che si è costituito Salvatore Greco?
Questo in genere non succede.
  TOMMASO BUSCETTA. Perché c'era aria di morte intorno a
lui. Anche per suo fratello Michele.
  VITO RIGGIO. Anche suo fratello si è costituito?
  PRESIDENTE. Non credo, perché è stato catturato nei
pressi di Termini Imerese.
   Il ruolo del "senatore" era quello di procurare appoggi
politici, di contattare istituti di credito. Era efficace
questo ruolo?
                         Pag. 407
  TOMMASO BUSCETTA. Era efficace. Lui aveva le porte
aperte in politica.
  PRESIDENTE. Anche con uomini politici non eletti in
Sicilia?
  TOMMASO BUSCETTA. Questo non lo so.
  PRESIDENTE. Non lo sa o non intende dirlo?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Si è mai chiesto come fa Totò Riina, ed
anche il gruppo dei corleonesi, a condurre un così grande
traffico di stupefacenti, ad incassare tutti questi soldi, a
fare riciclaggio? Come fanno i corleonesi a riciclare?
  TOMMASO BUSCETTA. Il riciclaggio non lo conosco.
  PRESIDENTE. Non sa chi li aiuta, chi li sostiene in
queste operazioni?
  TOMMASO BUSCETTA. Non ho avuto la fortuna ... così devo
dire?
  PRESIDENTE. Sì, tutto sommato sì.
  TOMMASO BUSCETTA. ... di avere anch'io un po' di soldi
per riciclarli. Il traffico della droga, però, non era
cominciato così. Era cominciato che erano pochi gruppi che
avevano la morfina base e quindi i corleonesi dovevano
accontentare della parte che spettava loro. Poi piano piano
sono riusciti ad eliminare tutti quanti.
  PRESIDENTE. Lei dice che pochi gruppi di Cosa nostra
avevano la morfina base.
  TOMMASO BUSCETTA. Non pochi gruppi, addirittura tre
persone.
  PRESIDENTE. Chi erano queste tre persone?
  TOMMASO BUSCETTA. Uno era La Mattina, un altro Savoca e
l'altro non mi ricordo.
  PRESIDENTE. Spataro?
  TOMMASO BUSCETTA. Spataro, esatto. Che è nella mia
famiglia. E La Mattina è nella mia famiglia. "Nella mia
famiglia" nel senso di Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Questi avevano la morfina base. Facevano la
raffinazione in Sicilia?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, io credo a Palermo. In tutti i
posti c'erano raffinerie a Palermo.
  PRESIDENTE. Questo in che anni?
  TOMMASO BUSCETTA. Sto cercando di ricordare. Fino al
1980, che io ero a Palermo, c'erano.
  PRESIDENTE. Non ho capito cosa intendesse quando ha
detto che i corleonesi dovevano accontentare.
  TOMMASO BUSCETTA. Della parte che spettava a loro.
  PRESIDENTE. Loro si dovevano accontentare?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, perché gli importatori sarebbero
stati questi tre e quindi dovevano adeguarsi alla parte che
poteva spettare loro.
  PRESIDENTE. E le parti chi le stabiliva?
  TOMMASO BUSCETTA. Qui cominciano a nascere i gruppi.
Quando si andava in commissione, più che discutere dei
problemi di come sarebbe andata la Cosa nostra, si discutevano
queste cose. Già era iniziato con le sigarette: se le navi
dovevano entrare a turno nelle acque, o se prima entrava la
barca di
                         Pag. 408
Spataro, poi la barca di La Mattina, poi la barca di Zaza.
Così è stato anche per la droga.
   Quindi, per la droga si doveva aspettare anche la parte
che a loro spettava, poi per investimento.
  PRESIDENTE. Cioè?
  TOMMASO BUSCETTA. Si investiva quanto si voleva.
  PRESIDENTE. Come si investiva?
  TOMMASO BUSCETTA. Si investiva. Si dice "io ho un carico
di droga, quanto vuoi investire?" "300 mila dollari" e si
facevano le quote di 300 mila dollari.
  PRESIDENTE. Nel febbraio 1975 si decise di non fare
sequestri di persona in Sicilia. Si ricorda da chi partì la
proposta e perchè?
  TOMMASO BUSCETTA. La proposta partì da Gaetano
Badalamenti e da Stefano Bontade e Riina acconsentì, ma subito
dopo c'è lo sgarbo di sequestrare Corleo.
  PRESIDENTE. Perché, si fece questo accordo?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché questo attraeva la polizia.
Nascevano dei problemi con la polizia. Poi si riteneva che non
fosse una cosa molto buona per l'opinione pubblica far vedere
che i siciliani sequestrano i siciliani. E allora in Sicilia
niente sequestri.
  PRESIDENTE. Se invece veniva sequestrato qualcun altro,
andava bene.
  TOMMASO BUSCETTA. In altri posti... a ruota libera.
  PRESIDENTE. Dura tuttora questa regola?
  TOMMASO BUSCETTA. Che dura tuttora non ne sono a
conoscenza.
  PRESIDENTE. Ho capito. Sequestri mi pare non se ne
facciano in Sicilia.
  TOMMASO BUSCETTA. Ce n'è stato uno e mi sembra siano
morti tutti i sequestratori.
  PRESIDENTE. Quello della signora Mandalà?
  TOMMASO BUSCETTA. Mandalà, sì.
  PRESIDENTE. C'entrava Cosa nostra nel sequestro della
signora Mandalà?
  TOMMASO BUSCETTA. No, la Cosa nostra ha ucciso tutti i
sequestratori.
  PRESIDENTE. Quali collegamenti di Cosa nostra ci sono
stati fuori dalla Sicilia, in Calabria, in Campania e in
Puglia?
  TOMMASO BUSCETTA. Sui sequestri?
  PRESIDENTE. No, in generale. Ci sono uomini d'onore
anche in Campania, in Calabria?
  TOMMASO BUSCETTA. E basta. Ci sarebbero anche a Milano.
Ma come famiglie costituite è in Campania e in Calabria.
Invece a Milano ci sono ma... è personalizzata la cosa.
  PRESIDENTE. Che vuol dire?
  TOMMASO BUSCETTA. Ci sono i Bono, ma già i Bono è
rappresentante a Baucina ... a Bolognetta. A Milano agisce
come se fosse boss, perché tutti si rivolgono a loro. Anche i
gruppi di altre famiglie confluiscono verso i Bono.
  PRESIDENTE. L'onorevole Tripodi chiede se per caso ha
avuto notizia delle ragioni per le quali è stato ucciso il
pubblico ministero Scopelliti in Calabria e se per caso le
risulta, direttamente o indirettamente, che l'omicidio sia
stato
                         Pag. 409
commesso per rallentare, bloccare o impedire il giudizio di
Cassazione sul maxiprocesso.
  TOMMASO BUSCETTA. Non sono in condizione di poter
rispondere perché sono stato in America. Non avevo condizione
per controllare questa cosa. Posso dire che è morto per questa
causa.
   Secondo me è morto per questa causa. Secondo me, ma non ho
niente per...
  PRESIDENTE. E' una sua deduzione?
  TOMMASO BUSCETTA. E' una mia deduzione.
  PRESIDENTE. E' possibile che Cosa nostra compia un
omicidio in Calabria? Oppure si deve mettere d'accordo con i
calabresi?
  TOMMASO BUSCETTA. Non ho detto questo. Io ho detto che è
Cosa nostra, ma possono agire i calabresi.
  PRESIDENTE. Quindi, un delitto può essere commesso.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Ho capito. Bardellino era uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Bardellino? Sì, scusi, stavo
pensavo a Balducci. Bardellino era rappresentante,
addirittura.
  PRESIDENTE. Zaza era uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Zaza è uomo d'onore.
  PRESIDENTE. Nuvoletta?
  TOMMASO BUSCETTA. Sono uomini d'onore.
  PRESIDENTE. Cutolo invece no?
  TOMMASO BUSCETTA. No, Cutolo era camorrista.
  FRANCESCO CAFARELLI. E Peppino Sciorio di San Giuliano?
  TOMMASO BUSCETTA. Era uomo d'onore.
  PRESIDENTE. Mi pare sia stato ucciso.
  FRANCESCO CAFARELLI. Sì.
  PRESIDENTE. Signor Buscetta, il giro delle prime domande
è terminato. A questo punto lei si può riposare mentre i
commissari formuleranno ulteriori domande da porle.
  TOMMASO BUSCETTA. Okay.
  PRESIDENTE. Ha qualcosa da dire?
  TOMMASO BUSCETTA. No, va bene.
  PRESIDENTE. Grazie.
  (Il signor Buscetta è accompagnato fuori dall'aula).
  PRESIDENTE. Colleghi, a questo punto potete formulare le
ulteriori domande da rivolgere al signor Buscetta.
  ANTONINO BUTTITTA. Ho trovato estremamente interessante
la notizia data in ordine ai rapporti economico-finanziari tra
Vassallo e Lima. Poichè tale notizia è stata riferita in
termini generici e vaghi, vorrei che venisse approfondita. E'
bene chiarire se in realtà tali rapporti siano esistiti oppure
no.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Vorrei che si chiedesse se
nella famiglia Bontade vi siano stati degli uomini politici
oltre che dei mafiosi.
  VITO RIGGIO. Signor presidente, vorrei che lei
riprendesse un passaggio: in
                         Pag. 410
particolare quando viene spiegato che, a seguito del processo
dei 114, erano state eliminate le famiglie nella provincia di
Palermo.
   Il signor Buscetta può fornire qualche elemento sui
rapporti tra le famiglie esterne alla città, tra le quali
quella dei corleonesi, di Morreale, di Caccamo; in sostanza
che tipo di rapporti esistevano tra queste famiglie e quella
di Palermo?
  MASSIMO SCALIA. Vorrei conoscere con maggior precisione
la questione del trasferimento dal carcere di Cuneo a quello
di Milano in rapporto alla richiesta rivolta, da parte della
commissione, al Buscetta affinchè prendesse contatto con i
terroristi presenti nel carcere di Torino.
   Il Buscetta sostiene di essere stato trasferito al carcere
di Milano: vorrei che si facesse collimare questo periodo con
quello del sequestro Moro, per altro molto breve (dal 16 marzo
al 9 maggio).
   Vorrei che il presidente ponesse le domande in modo tale
da definire con precisione - anche perchè Buscetta dice di
essere stato a Milano dopo, nel 1979 - il periodo in cui è
stato trasferito a Milano anzichè a Torino come sarebbe dovuto
accadere secondo quello che racconta.
  GIROLAMO TRIPODI. Vorrei porre una domanda sul rapporto
tra criminalità organizzata, Cosa nostra e i servizi segreti.
Il signor Buscetta ha detto che altre forze dello Stato hanno
mantenuto rapporti, nei modi più diversi. Sarebbe opportuno
affrontare il tema.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Vorrei sapere se l'inerzia dello
Stato di fronte alle richieste dei giudici Falcone e
Borsellino di misure dirette a favorire la dissociazione
fosse, a suo giudizio, determinata da comportamenti di uomini
politici collegati a Cosa nostra.
   Vorrei inoltre sapere se il signor Buscetta fosse a
conoscenza del fatto che anche il procuratore generale
Spagnuolo venne informato della volontà della mafia (in
particolare attraverso Pippo Calò, Flavio Carboni e
l'onorevole Cazora) di occuparsi della salvezza di Moro.
Risulta agli atti di quel processo che, durante il sequestro
alcuni uomini si recarono da Spagnuolo per offrire la
collaborazione della mafia e che poi questa collaborazione
venne revocata.
  GIANCARLO ACCIARO. Circa le ipotesi sul separatismo in
Sicilia cui ha accennato il signor Buscetta, vorrei sapere se
egli sia a conoscenza di contatti tra la mafia e movimenti
politici (e non) della Sardegna, per una eventale ipotesi di
separatismo di quest'isola.
   Più volte è stato detto che vi era libertà di azione per
gli uomini d'onore relativamente ai sequestri effettuati fuori
dalla Sicilia. Vorrei sapere se siano stati ipotizzati
sequestri in Sardegna, considerando che vi è un collegamento
tra Calò e Carboni e che quest'ultimo è stato un importante
imprenditore sardo.
  LUIGI BISCARDI. Vorrei che si tornasse sul rapporto tra
Vassallo e Lima, che è stato negato in un articolo recente da
un uomo politico di grande importanza qual è il senatore
Andreotti.
   Il signor Buscetta ha chiarito il rapporto tra Vassallo e
Lima, dicendo che il primo era un prestanome. Poiché si è
tanto insistito sulla sigla VALIGIO (Vassallo-Lima-Gioia),
vorrei sapere qualcosa sul terzo elemento di tale rapporto,
centrale per definire l'attività politico-amministrativa
dell'onorevole Lima.
  MARCO TARADASH. Sarebbe opportuno un chiarimento sulla
dimestichezza del signor Buscetta con il direttore del carcere
dell'Ucciardone, Di Cesare, il quale lo ha informato di un
colpo di Stato e gli ha indicato un cunicolo dal quale
evadere. Vorrei sapere per quanti anni Di Cesare sia stato
direttore di quel carcere e che tipo di rapporti avesse con
Cosa nostra e con il signor Buscetta stesso. In altre parole,
occorrerebbe capire per chi lavorava Di Cesare, se per i
servizi segreti, se per i golpisti o se per Cosa nostra.
                         Pag. 411
  La seconda domanda è se il delitto Dalla Chiesa possa
essere messo in relazione all'ipotesi di omicidio avanzata nel
1979, cioè se vi sia una continuità tra i due fatti.
  ANTONIO BARGONE. Il signor Buscetta non è stato chiaro
quando ha spiegato per quale motivo il generale Dalla Chiesa
dava fastidio a Cosa nostra; ha sostenuto che è difficile
trasferire la loro mentalità nella nostra. Forse sarebbe
opportuno approfondire questo aspetto per chiarire quali
fossero le iniziative di Dalla Chiesa che intralciavano
l'attività di Cosa nostra.
   In secondo luogo, vorrei domandare se le attività
criminali di Vernengo e Pecoraro durante il soggiorno
obbligato fossero collegate a Cosa nostra ovvero fossero
individuali, così come emerge dagli atti del maxiprocesso.
  MASSIMO BRUTTI. Il signor Buscetta, nel corso degli
interrogatori resi nel 1984 (il 23 luglio dinanzi al giudice
Falcone e il 14 agosto), si riferisce ad alcune
caratteristiche della famiglia dei corleonesi e della famiglia
Madonia, cioè alla particolare segretezza dell'appartenenza a
queste famiglie: "Devo far presente che caratteristica della
famiglia di Corleone è quella di non far conoscere alle altre
i nomi dei propri adepti. Di ciò Badalamenti Gaetano si è
sempre lamentato". La stessa caratteristica viene riferita ai
Madonia. Nel corso di un interrogatorio svolto ai primi si
settembre, afferma: "Parlando con Gaetano Badalamenti e con
Salamone, tutti e tre abbiamo avuto il sospetto che i
personaggi più in vista della coalizione a noi avversa
avessero in grande segretezza costituito fra di loro una
distinta famiglia, al di fuori e contro le regole di Cosa
nostra".
   Vorrei fosse chiesto se, all'interno di Cosa nostra,
esista una struttura supersegreta alla quale abbiano dato vita
i corleonesi, eventualmente con altri alleati.
   Il signor Buscetta ha parlato di alcuni delitti commessi
all'insaputa di una parte della Commissione. In realtà, in
base alle sue deposizioni, risulta che tutti i grandi delitti
sono stati commessi all'insaputa di Stefano Bontade e
Salvatore Inzerillo. Ad esempio, Buscetta ha detto che il
delitto Mattarella era stato deciso dalla commissione. In
precedenza aveva detto che ciò era avvenuto all'insaputa di
Bontade e di Inzerillo.
  ALFREDO GALASSO. Veramente, aveva detto che non se ne
era saputo nulla, tanto che i giudici avevano ritenuto che
forse per questa ragione si erano rivolti ai fascisti.
  MASSIMO BRUTTI. Dice testualmente: "Dell'omicidio di
Michele Reina né Stefano Bontade né Salvatore Inzerillo né
Rosario Riccobono sapevano nulla. Gli omicidi di Boris
Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella sono stati
decisi dalla commissione di Palermo all'insaputa di Salvatore
Inzerillo e di Stefano Bontade".
  ALFREDO BIONDI. Oggi ha detto che erano in disaccordo.
  MASSIMO BRUTTI. Infine, vorrei che si tornasse sul
coinvolgimento di Cosa nostra in tentativi golpistici. Nel
1970 vi è il tentato golpe Borghese. Nel 1971 viene
ucciso Scaglione e Buscetta ha detto che questo omicidio si
collega alla strategia di tipo eversivo. Nel 1974 il direttore
del carcere gli parla di un colpo di Stato. Conosciamo le
tragiche vicende del 1984, cioè le due stragi di Brescia e del
treno Italicus.
   Nel 1979 c'è la proposta fatta da Sindona ai perdenti,
cioè a quelli che in quel momento stavano già perdendo peso
all'interno di Cosa nostra: Bontade e gli Inzerillo.
   Vorrei che Buscetta chiarisse ulteriormente perché la
vicenda del 1971 non possa essere appiattita su quella di un
anno prima. Si tratta di altra cosa. Nel 1971 si trovano già
in un'altra prospettiva, in un altro tentativo di tipo
eversivo.
                         Pag. 412
  GAETANO GRASSO. Vorrei chiedere qualche notizia circa le
altre province, oltre le sei che sono state citate; in
particolare, se esistano uomini d'onore o famiglie organizzate
in altre province.
  ROMANO FERRAUTO. Non nego l'importanza di questa
audizione, anzi ritengo che faccia luce su una serie di
aspetti; tuttavia credo che sia importante capire quale sia la
situazione odierna, come la strategia e la filosofia della
presenza mafiosa nel nostro paese sia cambiata.
   Chiederei a Buscetta - anche se occorre procedere
all'audizione di altri collaboratori della giustizia che
conoscono la realtà attuale - in quali settori ed in quale
direzione oggi si potrebbe indagare.
  PRESIDENTE. Può spiegarsi meglio?
  ROMANO FERRAUTO. Ritengo decisivo che i collaboratori
della giustizia offrano un contributo, ma poiché Buscetta non
ha voluto parlare di uomini, di vicende, di fatti,
dell'attualità, chiederei in quali settori sarebbe opportuno
indagare.
  ERMINIO ENZO BOSO. Il signor Buscetta parlava del grosso
intervento del generale Dalla Chiesa; vorrei sapere, visto che
queste particolarità avevano creato tali difficoltà da far
decidere l'omicidio, se i superprefetti dotati di supepoteri
abbiano mai disturbato Cosa nostra.
   Facendo riferimento ai rapporti tra IOR e Banco
ambrosiano, vorrei sapere se il clero sia stato mai
interessato a Cosa nostra e in quale misura.
  MARIO BORGHEZIO. Vorrei sapere se esista un archivio di
Cosa nostra, di cui non saltano mai fuori le carte
amministrative né i conti. Inoltre vorrei sapere se si possa
ipotizzare l'esistenza di "santuari" a questo dedicati e se
possano essere individuati i luoghi geografici dove trovare
questi documenti.
   Vorrei che il signor Buscetta ci potesse dire qualche cosa
sul voto mafioso al nord, in particolare a Torino e a Milano e
se abbia notizia di interventi di Cosa nostra in ordine alle
operazioni di investimento al sud (parlo di operazioni
patrocinate attraverso le varie leggi di intervento
straordinario nel Mezzogiorno); quale sia il motivo per cui
non sono mai stati effettuati sequestri di esponenti del mondo
bancario e finanziario (le uniche eccezioni sono stati dei
sequestri del tutto anomali).
   Infine, vorrei sapere se sia al corrente di acquisti da
parte di esponenti di Cosa nostra di quote azionarie di
società presenti in Borsa.
  MICHELE FLORINO. Vorrei sapere se, oltre ai collegamenti
per contrabbando e traffico di stupefacenti con le famiglie
calabresi e napoletane, gli uomini d'onore Bardellino, Zaza e
soprattutto Nuvoletta abbiano avuto l'incarico di appoggiare
nelle consultazioni elettorali determinati partiti politici.
  ALFREDO BIONDI. Vorrei che al signor Buscetta venisse
posta nuovamente una domanda che gli è stata già rivolta e che
egli ha eluso, dal momento che ha detto che il delitto Dalla
Chiesa in qualche modo ha coperto realtà diverse, superiori e
peggiori di non so quale entità (ha usato proprio questo
termine). Poiché ha parlato di "un uomo politico che si è
sbarazzato della presenza troppo ingombrante del generale",
gli chiederei qualche spiegazione sull'uomo politico e sulla
presenza ingombrante. Verso chi c'era l'ingombro? Verso il
mondo politico o verso quello militare in cui il generale si
muoveva o verso le situazioni note al generale sui rapporti
con il terrorismo? Vorrei sapere quale fosse questa entità e
se fosse diversificata.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Vorrei che al signor
Buscetta fosse chiesto di spiegare meglio la sua frase: "Lima
da morto serviva a denigrare Andreotti". A chi serviva e
perché? In quale senso ha detto questo? Solo come mera ipotesi
o perché ha avuto notizie in merito?
                         Pag. 413
  ALFREDO GALASSO. Ritengo, signor presidente, che almeno
un paio delle domande che desidero formulare dovrebbero essere
firmate: intendo dire che sarebbe utile che Buscetta sapesse
chi le ha poste perché, dato il personaggio, possono avere un
senso proprio per questo.
   La prima domanda è in base a quale criterio egli abbia
deciso di dire alcune cose e di non dirne altre. Infatti non è
vero che si è riservato di rispondere su tutto: alcune cose le
ha dette, anche di un certo impegno - vedi delitto Dalla
Chiesa e delitto Moro - altre no. Non riesco a comprendere
quale sia la ragione per cui ha compiuto certe scelte, ma
ritengo sia importante saperlo.
   La seconda domanda è cosa stia succedendo ora all'interno
di Cosa nostra. A questo riguardo, la prima cosa che mi lascia
perplesso è che nell'intervista a Biagi, poi riportata
testualmente, se non erro, da Panorama, alla domanda:
"E' Riina?" Buscetta ha risposto: "Chissà, poi, se è Riina".
Qui, stamane, ha invece fatto intendere che il soggetto più
pericoloso è proprio Riina. Vorrei allora capire come stiano
effettivamente le cose. (Commenti).
   Ha detto: "Oltre Riina"; ma nell'intervista che ho citato
aveva detto: "Chissà se è Riina", quasi a far intendere che
all'interno di Cosa nostra potrebbe essere successo qualcosa
per cui Totò Riina o non conta più o addirittura non c'è più.
   L'altro punto su cui ho dubbi è la notizia, riferita come
acclarata dai giudici di Palermo che hanno richiesto ed emesso
il mandato di cattura, secondo cui dopo il delitto Lima
sarebbe stata data agli affiliati di Cosa nostra una sorta di
autorizzazione, se non proprio l'ordine, di costituirsi o di
fare, comunque, ciò che volevano. Cosa molto strana, mai
successa. Anche Calderone ha detto testualmente: "Questa è una
strana storia" e strana sembra anche a me. Per questo vorrei
chiedere a Buscetta cosa stia succedendo. Naturalmente la sua
sarà un'ipotesi, un parere, comunque è interessante sapere
quale giudizio dia di questa vicenda. Valuti il presidente se
sia il caso di porre la domanda in termini ancora più brutali,
cioè "C'è ancora Cosa nostra?".
   Inoltre non ho ben capito la vicenda del delitto Dalla
Chiesa. Vorrei dunque che il presidente domandasse a Buscetta
perché mai non abbia riferito ai giudici della corte d'assise
durante il dibattimento quest'ultima notizia relativa al 1979,
al terrorista e così via. Perché sono coinvolti politici e dei
politici non aveva voglia di parlare o per qualche altro
motivo? Non si tratta, infatti, di un piccolo particolare:
alcuni personaggi sono stati condannati.
   Vi è, poi, la questione della commissione
regionale-provinciale: fino a che epoca risulta a Buscetta che
questi importanti delitti fossero deliberati a livello
regionale, sia pure nella proporzione di 10, 8, 4 e via
dicendo cui ha fatto riferimento? Fino a quando è stato
richiesto il consenso delle altre province per delitti di una
certa importanza?
   Ultima domanda - e questa veramente particolare - è se
egli sappia chi è "lo zio", cioè quel famoso signore,
piuttosto anziano, che entrava ed usciva dal tribunale
informandosi o in qualche modo intercedendo rispetto alle
vicende giudiziarie.
  ROSARIO OLIVO. Signor presidente, vorrei chiedere al
signor Buscetta un approfondimento, una valutazione sul
processo di Catanzaro. Insisto ancora su tale questione perché
mi pare che egli abbia espresso valutazioni abbastanza pesanti
su un giudice che è stato pubblico ministero in quel processo
nel 1968.
   Inoltre vorrei sapere qualcosa sui rapporti tra Cosa
nostra e la Sacra corona unita: se si tratti di un rapporto
simile a quello che Cosa nostra ha con 'ndrangheta e camorra.
  MAURIZIO CALVI. Vorrei, signor presidente, che non si
dimenticasse che oggetto dell'odierna audizione sono il
delitto Lima, le interconnessioni mafia-politica con
riferimento a Lima, lo spessore
                         Pag. 414
del sistema delle relazioni mafiose nonché l'estensione dei
rapporti tra mafia e politica.
   Mi sembra, infatti, che queste audizioni si stiano
indirizzando verso altre aree, pure di grande interesse,
riguardanti la vita interna ed esterna della mafia, mentre
ritengo che lo scopo finale debba essere quello di capire
l'effetto Lima e l'estensione dei rapporti tra mafia e
politica in relazione agli interessi che stavano dietro
quest'uomo politico. Da questa audizione emerge che Buscetta è
sicuramente l'uomo che è stato maggiormente a contatto con
Lima, probabilmente perché andavano a scuola insieme, poi a
teatro insieme; quindi è forse l'interlocutore che più di
altri può farci capire il personaggio Lima e gli interessi che
sono dietro ad esso. Vorrei quindi che cercassimo di
approfondire questo rapporto per capire quali altri interessi
comuni avessero, oltre quello del teatro. Approfittiamo,
presidente, di questo grande rapporto di amicizia con Lima per
estendere l'analisi ad un altro sistema di relazioni, perché,
a mio giudizio, questo è l'interesse maggiore dell'audizione.
  ALTERO MATTEOLI. Buscetta ha insinuato (uso questo
termine ma è quasi un eufemismo) che Dalla Chiesa sia stato
ucciso sì da Cosa nostra (il che a suo modo di vedere è
fisiologico) ma anche da qualcun altro, quasi che il potere,
il sistema avessero voluto morto il generale. Abbiamo
ascoltato ciò che ha detto in proposito ma non abbiamo tentato
di approfondire quel passaggio. Gradirei che lo facessimo
domandandogli se questa sua insinuazione o per lo meno questo
suo convincimento sia dato dal fatto che è legato al potere
politico, alla stessa vicenda Lima ed ai collegamenti che
quest'ultimo aveva con il potere centrale, con Roma, con
Andreotti, per intenderci. Bisognerebbe, insomma, chiedergli
se a suo avviso ambienti governativi o comunque dello Stato
gradissero l'uccisione di Dalla Chiesa. La domanda posta in
questi termini è molto brutale ma il presidente saprà porla in
modo migliore.
   Nella precedente audizione, Calderone ci ha detto che il
giudice Campisi fu trasferito a Cuneo; guarda caso nel periodo
in cui Campisi è a Cuneo Buscetta viene trasferito nel carcere
di quella città.
  PRESIDENTE. Bisogna ricordare, però, che Campisi chiese
di andare a fare il procuratore a Cuneo.
  ALTERO MATTEOLI. Sì, si tratta di sapere se in qualche
modo il trasferimento di Buscetta a Cuneo sia stato favorito.
   Inoltre, abbiamo accettato come normale il fatto che
Michele Greco entri nel carcere dell'Ucciardone e vada a
trovare Tommaso Buscetta, ma ci sarà qualcuno che avrà
favorito l'ingresso di Michele Greco nel carcere. Per una
persona perbene andare a trovare un detenuto è sempre
complicato, mentre Michele Greco riesce a farlo agevolmente.
Bisognerebbe chiedere, come suggeriva anche il collega
Taradash, se ciò sia stato possibile solo grazie al direttore
del carcere o se altri abbiano favorito l'accesso di Michele
Greco.
  ROMEO RICCIUTI. L'esperienza odierna può essere
considerata interessante e di grande utilità storica, perché
il personaggio è fondamentale. A noi tuttavia interessa sapere
cosa faccia la mafia oggi in senso politico. Vorrei, perciò,
che si insistesse in questa direzione, se vi è la possibilità
di acquisire qualche altra notizia che sarebbe utilissima per
la nostra attività.
   Un'altra domanda dovrebbe riguardare il separatismo: se si
tratti di un disegno politico unitario di separatismo tra nord
e sud (per cui vi può essere un collegamento con i fatti
odierni) oppure se il disegno politico siciliano sia a suo
avviso autonomo.
  PIERO MARIO ANGELINI. Vorrei sapere se Buscetta conosca
o abbia conosciuto in quanto uomo d'onore Calderone e gli
altri collaboratori della giustizia Spatola e Mutolo; se
conosca o gli sia
                         Pag. 415
stata fatta conoscere la sostanza delle loro confessioni, se
li abbia mai incontrati e quale giudizio dia di loro.
  CARLO D'AMATO. Nell'audizione di Buscetta è emerso un
dato molto importante sotto il profilo della conoscenza del
fenomeno mafioso, quello che non esistono organizzazioni
separate ma esiste ormai un'unica mafia. Si tratta di un dato
particolarmente significativo che, pur partendo dall'omicidio
Lima, potrebbe consentirci l'individuazione di eventuali
connivenze tra mafia e politica anche in Campania. Tra
l'altro, Buscetta è stato anche a Poggioreale, conosce
camorristi mafiosi napoletani; gli si dovrebbe chiedere se, al
di là dei meccanismi di voto, sui quali è stato abbastanza
esplicito (o almeno ha dato la sua versione di come avvenga
questo collegamento elettorale), esistano collusioni che nel
corso di questi anni abbiano potuto dare positivo riscontro
alle attività mafiose della Campania utilizzando uomini
politici di quella regione, tenendo anche conto che questo può
essere un punto di riferimento utile per conoscere le attività
mafiose in Sicilia, visto che la Campania è una regione
particolarmente importante e significativa.
   Ho constatato anche nel corso di un colloquio ufficioso
avuto con Buscetta durante la sospensione della seduta che
egli si ritiene un collaboratore fondamentale, importante e si
attribuisce anche una grande capacità di valutazione degli
eventi, tant'è vero che, definendole deliri, parla di
suggestioni e di congetture, compiendo anche un tentativo di
interpretazione dei fatti. Alla luce di tutto questo, penso
che potremmo chiedergli di esprimersi sull'attendibilità dei
pentiti, anche perché nel medesimo colloquio di cui ho già
parlato ha espresso alcuni giudizi negativi. Ad esempio, i
magistrati che hanno emesso l'ordinanza di carcerazione dei
componenti della cupola mafiosa per l'uccisione di Salvo Lima
definiscono attendibili tutti i pentiti sulla base delle nuove
leggi e dei criteri indicati dalla Cassazione: sarebbe
importante avere anche a questo proposito alcuni elementi di
valutazione da parte di Buscetta, elementi che potrebbero
servirci per lo meno come dato culturale.
  (Il signor Buscetta è accompagnato nuovamente in
aula).
  PRESIDENTE. Signor Buscetta, le rivolgerò adesso alcune
domande formulate dai colleghi.
   A proposito dei rapporti economico-finanziari tra Vassallo
e Lima, lei ha detto che Vassallo era la sigla dietro la quale
c'era anche Lima. Può essere più preciso su questi rapporti,
per quello che lei sa? La domanda le viene posta dal senatore
Buttitta.
  TOMMASO BUSCETTA. Queste domande che riguardano politici
preferirei che fossero fatte dai giudici istruttori. Io non ho
niente da nascondere a voi, perché voi potrete avere dai
giudici istruttori tutte queste notizie. Quindi vi chiederei
di lasciarlo questo campo.
  PRESIDENTE. Non le chiedo una cosa nuova.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, va bene, ma quando io entro nel
particolare, sul perché Vassallo nasconde Lima, cominciamo a
fare una storia che diventa una cosa lunga e che è di
competenza del giudice istruttore. Lei è stato giudice
istruttore.
  PRESIDENTE. Questa è una risposta chiara.
   Nella famiglia Bontade c'erano anche uomini politici?
  TOMMASO BUSCETTA. A mente non mi vengono, ma c'erano.
Sì, c'erano.
  PRESIDENTE. Quali erano i rapporti tra le famiglie di
Palermo e quelle della provincia?
  TOMMASO BUSCETTA. Scusi, signor presidente, in che
termini?
                         Pag. 416
  PRESIDENTE. Lei ha detto che le famiglie si erano
sciolte, dopo il 1963. In particolare si erano sciolte le
famiglie di Palermo, mentre le altre, se non ho capito male...
  TOMMASO BUSCETTA. No, tutta la provincia di Palermo.
  PRESIDENTE. Questa domanda le è stata formulata dal
senatore Ferrara. Adesso l'onorevole Riggio le chiede per chi
votasse la mafia della provincia. Aveva gli stessi
orientamenti vostri oppure diversi?
  TOMMASO BUSCETTA. In tutta la Sicilia aveva gli stessi
orientamenti. Non era solo per la provincia di Palermo non
votare comunista, ma per tutta la Sicilia.
  PRESIDENTE. Non votare i due estremi.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. L'onorevole Scalia le chiede maggiori
chiarimenti - se ricorda - sulla traduzione a Milano. La
aiuto: fu tradotto con un cellulare normale dei carabinieri o
con la macchina?
  TOMMASO BUSCETTA. Cellulare, e grosso.
  PRESIDENTE. Con altre persone o da solo?
  TOMMASO BUSCETTA. Io credo che ero insieme ad un altro.
Uno.
  PRESIDENTE. Era un detenuto comune, un terrorista, uno
di Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Non ho parlato. Non ci siamo parlati
con l'altro detenuto.
  PRESIDENTE. Siete arrivati direttamente a San Vittore o
vi siete fermati da qualche parte?
  TOMMASO BUSCETTA. Mentre ero da solo di là pensavo che
questa cosa non deve creare... Quello che dico io può essere
certificato attraverso gli uffici.
  PRESIDENTE. Stia tranquillo, si vedrà.
  TOMMASO BUSCETTA. Io ricordo benissimo di essere andato
a Milano da Cuneo.
  PRESIDENTE. Volevo sapere se prima si è fermato o no da
qualche parte: in una caserma o in qualche altro posto?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo ricordo. Non ho parlato con il
detenuto che stava insieme a me.
  PRESIDENTE. Non si ricorda se era giorno o notte quando
fu trasferito?
  TOMMASO BUSCETTA. Quando fui trasferito era di giorno.
Credo che sia stato nel pomeriggio.
  PRESIDENTE. Comunque di giorno. Insomma, c'era luce.
   Il senatore Tripodi le chiede se può riferire alla
Commissione, per quanto è a sua conoscenza, sui rapporti fra
appartenenti a Cosa nostra ed appartenenti ai servizi segreti.
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. No nel senso che non sa?
  TOMMASO BUSCETTA. Non so.
  PRESIDENTE. Passo ora alla domanda formulata dal
senatore Imposimato. Falcone e Borsellino più volte hanno
chiesto leggi particolari per i collaboratori, le quali però
sono venute in ritardo. Per quello che voi ne sapevate, Cosa
nostra operava, nell'ambito delle sue possibilità, per
impedire l'emanazione di tali leggi?
                         Pag. 417
  TOMMASO BUSCETTA. Con i rapporti politici che poteva
avere Riina, certo che le impediva.
  PRESIDENTE. Lei pensa quindi che questi ritardi siano
stati determinati dalle influenze di Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. E' sempre un'ipotesi mia, non ho
certezze. Senz'altro.
  PRESIDENTE. Il procuratore generale di Roma, Spagnuolo,
era al corrente dell'interesse di Cosa nostra per Moro?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Ci sono stati incontri tra uomini di Cosa
nostra e movimenti della Sardegna?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di no.
  PRESIDENTE. Nei sequestri in Sardegna c'è la stata la
mano di qualche uomo d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. No!
  PRESIDENTE. Il senatore Biscardi chiede quale fosse la
funzione di Gioia nel rapporto tra Vassallo e Lima. Circolò
una sigla.
  TOMMASO BUSCETTA. Ritorniamo sempre alla stessa cosa.
Vorrei non rispondere.
  PRESIDENTE. Io devo porle la domanda. Non la consideri
una scortesia.
  TOMMASO BUSCETTA. Signor presidente, non ho niente
contro la sua domanda. Dico che ritorniamo sempre alla stessa
cosa. Rispondo: risponderò a giudici.
  PRESIDENTE. Risponderà ai giudici adesso, non in futuro.
  TOMMASO BUSCETTA. No, no, ai giudici adesso.
  LUIGI BISCARDI. Di Vassallo e Lima ha parlato però.
  PRESIDENTE. Lei ha detto che tra Vassallo e Lima un
rapporto c'era. Il senatore Biscardi vuole sapere se c'era un
rapporto anche tra Vassallo e Gioia.
  TOMMASO BUSCETTA. Vuole un'anticipazione? C'era!
  PRESIDENTE. Da che cosa nasceva questa sua dimestichezza
di rapporti con il direttore del carcere dell'Ucciardone,
dottor De Cesare, le chiede l'onorevole Taradash?
  TOMMASO BUSCETTA. Ho detto che era massone.
  PRESIDENTE. De Cesare era massone?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. E quindi?
  TOMMASO BUSCETTA. E quindi venivano le raccomandazioni
dai massoni al massone, per me.
  PRESIDENTE. Mi scusi, c'era un rapporto tale per cui se
avevate bisogno vi rivolgevate ai massoni?
  TOMMASO BUSCETTA. Io non mi sono rivolto.
  PRESIDENTE. Non lei, Cosa nostra.
  TOMMASO BUSCETTA. Se c'era bisogno, sì.
  PRESIDENTE. Quindi De Cesare non era di Cosa nostra, era
massone?
  TOMMASO BUSCETTA. Assolutamente, era massone.
                         Pag. 418
  PRESIDENTE. E in quanto tale aiutava lei o anche altri
di Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Aiutando me aiutava tutta la Cosa
nostra perché io facevo le richieste.
  PRESIDENTE. Sempre l'onorevole Taradash le chiede se
sulla base delle sue ipotesi l'omicidio del generale Dalla
Chiesa - risalente al settembre 1982 - può essere in
collegamento con l'ipotesi avanzata nel 1979, quando qualcuno
le disse...
  TOMMASO BUSCETTA. Dissi che questa è la mia ipotesi.
  PRESIDENTE. La sua ipotesi è questa.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Vorrei che lei spiegasse, per cortesia, una
questione che anch'io non ho capito bene forse perché mi sono
distratto. Per quale motivo Dalla Chiesa dava fastidio a Cosa
nostra? Lei si è riferito alla storia delle patenti e dei
fogli rosa, che però non erano un problema.
  TOMMASO BUSCETTA. No, no, non ho detto non era un
problema, forse mi sono spiegato male. Era un problema, ma non
era un problema tale da arrivare al punto di ammazzarlo
pubblicamente insieme alla moglie.
  PRESIDENTE. Quale fastidio dava Dalla Chiesa a Cosa
nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Mah, ho citato due casi: uno era con
gli imprenditori; il secondo erano le patenti, i fogli rosa...
e poi chiedeva leggi speciali. Quindi, il movente per
ammazzarlo c'è. Legittimamente dice: la mafia si è stancata e
l'ammazza; è pacifico questo.
   Se devo sostenere un'altra cosa, devo accettare che posso
passare anche per una perizia psichiatrica.
  PRESIDENTE. Ho capito cosa vuole dire. Vernengo e
Pecoraro...
  TOMMASO BUSCETTA. Vernengo?
  PRESIDENTE. Sì, Pietro Vernengo che ha avuto il
soggiorno obbligato in Puglia, mi pare...
  TOMMASO BUSCETTA. Questo non lo so. Però se è Pietro, io
so chi è.
  PRESIDENTE. Quando andarono in Puglia, lo fecero per
collegamenti con qualcuno di Cosa nostra oppure no?
  TOMMASO BUSCETTA. Guardi, in tutto il territorio
nazionale - voi lo sapete - ci sono Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Anche in Puglia?
  TOMMASO BUSCETTA. Ma in Puglia, in qualsiasi parte.
Perché un siciliano va a Milano e va a costituire un punto
fisso della Cosa nostra.
   L'errore più madornale che ha potuto commettere la
Commissione antimafia di una volta è stato quello di mandare i
siciliani fuori dalla Sicilia, a Milano, a Padova e a Bologna.
E' stato l'errore più madornale perché li ha fatti espatriare.
E' gente che non ha mai preso il treno, non sapeva che cos'era
Bologna e voi gliel'avete insegnato. Quando dico voi intendo
gli altri.
  PRESIDENTE. Il soggiorno obbligato dette fastidio a Cosa
nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Dette fastidio ma per poco, poi si
aggiustarono.
  PRESIDENTE. Quando lei ha riferito del fastidio che
poteva dare Dalla Chiesa, ha parlato dei costruttori: a quali
fa riferimento, a quelli di Catania?
  TOMMASO BUSCETTA. Non ho altro riferimento da fare se
non quello di Catania, perché a quelli dava disturbo Dalla
Chiesa.
                         Pag. 419
  PRESIDENTE. A uno o a più di uno?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo a più di uno di Catania.
  PRESIDENTE. Oltre al nome di Costanzo, che lei ha già
fatto, è in grado di citarne altri o preferisce farlo
all'autorità giudiziaria?
  TOMMASO BUSCETTA. All'autorità giudiziaria.
  PRESIDENTE. Un uomo politico che è vostro alleato può
proporre leggi contro di voi? Come la prendete questa mossa?
  TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto desidero chiarire ex
vostro alleato.
  PRESIDENTE. Certo, è come la storia dei politici.
  TOMMASO BUSCETTA. Altrimenti torniamo punto e a capo.
   Posso dirle una cosa che mi viene alla memoria, poi quando
parlerò con i giudici... Nel 1963 ci fu una riunione alla
regione siciliana... No, alla provincia siciliana, ci sono due
cose diverse se non sbaglio...
  PRESIDENTE. Sì, certo.
  FRANCESCO CAFARELLI. Diciamo amministrazione
provinciale.
  TOMMASO BUSCETTA. Amministrazione provinciale. Credo che
il presidente fosse Reina. Allora si disse che si doveva
combattere la mafia perché stava dando disturbo. Votiamo una
mozione contro la mafia per alzata di mano. Hanno alzato la
mano credo in novanta ed erano in novanta: quindi, tutti. Solo
che là dentro c'erano anche uomini d'onore. Ho dato la
risposta.
  PRESIDENTE. Quindi, può darsi che lo facciano, il che è
positivo.
   Lei ha detto, ad un certo punto, che la famiglia dei
corleonesi e quella dei Madonia non facevano conoscere i nomi
dei loro aderenti.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Questo può voler dire che all'interno di
Cosa nostra esiste un gruppo più ristretto non conosciuto?
  TOMMASO BUSCETTA. No. Non è che esiste un gruppo più
ristretto, esistono delle persone non conosciute, non un
gruppo più ristretto.
   Avere persone non conosciute non è una malvagità nei
confronti della conoscenza o meno; è una malvagità perché in
caso di confronto loro hanno delle basi che agli altri uomini
d'onore sono sconosciute.
  PRESIDENTE. Questi, quindi, non possono essere uomini
che comandano.
  TOMMASO BUSCETTA. No, tranne che poi nel corso della
vita dirà: questo è stato messo in famiglia.
  PRESIDENTE. Lei, parlando nel 1984 con il giudice
Falcone, afferma: "Nel 1978 la signoria vostra mi dice che
sono avvenuti gli omicidi di Michele Reina e di Giuseppe Di
Cristina. Circa il primo di tali omicidi non so nulla, ma
rammento alla signoria vostra che lo stesso, data la sua
eclatanza, non poteva che essere stato commesso su mandato
della commissione, o meglio di tutti i componenti della stessa
alleati con i corleonesi. Mi risulta che né Stefano Bontade né
Salvatore Inzerillo né Rosario Riccobono sapevano nulla di
ciò". Ed ancora: "Per quanto concerne gli omicidi di Boris
Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, so per
certo, per averlo appreso da Salvatore Inzerillo, che trattasi
di omicidi decisi dalla commissione di Palermo all'insaputa di
esso Inzerillo, di Stefano Bontade ed anche di Rosario
Riccobono". Dice inoltre: "L'omicidio del capitano Basile,
secondo quanto mi ha detto Salvatore
                         Pag. 420
Inzerillo, è stato voluto dai corleonesi per motivi che
ignoro. Sicuramente la commissione era consenziente, ad
eccezione dei soliti Inzerillo e Bontade".
   Dunque, vi è un complesso di omicidi commessi all'insaputa
di questi due personaggi.
  TOMMASO BUSCETTA. Ho cercato, in quel periodo, di
spiegare al giudice Falcone i contrasti che c'erano in seno
alla commissione.
  PRESIDENTE. Bontade, Inzerillo e Riccobono stavano da
una parte e la commissione dall'altra?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo ce ne fosse qualche altro:
Gigino Pizzuti.
   Ho cercato di spiegarmi, ho fatto del mio meglio. Non
stavo bene fisicamente.
  PRESIDENTE. Quando ha svolto l'interrogatorio?
  TOMMASO BUSCETTA. Non stavo bene. Ero un individuo che
veniva da un trauma tremendo; in quei casi si attenua la
lucidità. Mi sono state fatte iniezioni di curaro che, come
sapete, rallenta l'azione dell'uomo in contrasto alla
stricnina; avevo momenti in cui, anche se ero sempre presente,
è potuta nascere qualche contraddizione da parte mia.
   Ma il fatto è che esistevano contrasti tra i gruppi e sia
Bontade sia Inzerillo non vedevano la realtà. Dicevano che si
doveva finire e credevano che Michele Greco facesse il giusto
per tutti. Non sapevano che Michele Greco era venduto ai
corleonesi. Questa la confusione di tutti i contrasti.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato che il procuratore Scaglione
venne ucciso nell'intento di gettare disordine e discredito
sulle istituzioni.
   Il tentativo di Borghese è del dicembre 1970, mentre
l'omicidio Scaglione è del 1971. Può spiegare meglio se questo
vuol dire che il progetto di disordine andava anche oltre?
  TOMMASO BUSCETTA. Andava oltre. Lui cercava di farsi i
suoi interessi andando oltre e dicendo che era un tentativo
per destabilizzare lo Stato.
  PRESIDENTE. Quindi l'interesse alla destabilizzazione
era presente in Liggio, anche al di fuori?
  TOMMASO BUSCETTA. E' sempre stato presente. Non bisogna
credere a quello che ha detto durante il maxiprocesso. Non si
era reso conto che io già avevo parlato e disse, facendo
l'eroe, che noi eravamo andati e lui si era rifiutato.
Rifiutato a che? Un assassino come quello che si rifiutava?
  PRESIDENTE. Lei ha detto che la destabilizzazione è
sempre un obiettivo di Cosa nostra. O lo è di Liggio?
  TOMMASO BUSCETTA. Di Liggio e quando parlo di lui parlo
della corrente dei corleonesi.
  PRESIDENTE. Perché perseguono l'obiettivo di creare
disordine e confusione?
  TOMMASO BUSCETTA. Liggio in quel momento, nel 1971, era
l'uomo più rovinato; non gli altri. Era stato assolto a Bari
ma sapeva che questa assoluzione durava meno di niente. Fuggì
e appena fu libero si allontanò. Doveva presentarsi al
commissariato di Corleone a dire che era arrivato. Non l'ha
voluto fare.
  PRESIDENTE. L'obiettivo della destabilizzazione
perseguito dai corleonesi, secondo le sue ipotesi, sarebbe in
collegamento con i soggetti di cui ha parlato prima?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì.
  PRESIDENTE. Può dire se esistevano uomini d'onore in
province siciliane diverse da quelle che lei ha indicato, cioè
Palermo, Catania, Trapani, Agrigento, Caltanisetta e Enna? A
Messina ce ne erano?
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  TOMMASO BUSCETTA. A Messina sconosco che ci possa essere
famiglia e se c'è è una cosa nuova.
  PRESIDENTE. Il senatore Ferrauto le chiede, sulla base
della sua esperienza, in che direzione si dovrebbe oggi
indagare per raggiungere risultati particolarmente importanti.
  TOMMASO BUSCETTA. La Commissione o i giudici?
  PRESIDENTE. Entrambi i poteri, il Parlamento e la
magistratura.
  TOMMASO BUSCETTA. E' una cosa che dovete chiedere ai
giudici, dopo che questi si saranno resi conto delle
dichiarazioni che verranno fatte sulla politica. Dopo quel mio
interrogatorio, in tempi futuri ma vicini, chiedetelo ai
giudici.
  PRESIDENTE. Lei intende dire che dopo le sue
dichiarazioni nominative sulla politica si capirà dove
"mettere le mani"?
  TOMMASO BUSCETTA. Esatto. Questo il mio convincimento.
  PRESIDENTE. Ciò riguarderebbe tanto la Commissione
antimafia quanto la magistratura?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. I superprefetti, l'Alto commissario, i
superpoteri hanno dato fastidio a Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Perché? Cosa serve?
  TOMMASO BUSCETTA. Perché non hanno fatto niente per
farsi temere. Non si sono viste quelle azioni per farsi
temere.
  PRESIDENTE. Il senatore Boso le chiede: se il generale
Dalla Chiesa avesse avuto i superpoteri (tra l'altro li aveva
richiesti) sarebbe stato temibile?
  TOMMASO BUSCETTA. Temibilissimo.
  PRESIDENTE. Perché?
  TOMMASO BUSCETTA. Dalla Chiesa - secondo me, ma credo
che sia provato - aveva un sentimento della patria che non ho
riscontrato negli altri. Può darsi che sia questo uno dei
motivi per cui era inviso a molti.
  PRESIDENTE. Il senatore Boso le chiede se la Chiesa sia
interessata a Cosa nostra.
  TOMMASO BUSCETTA. Come?
  PRESIDENTE. Mi spiego meglio. Come lei sa, l'Istituto
per le opere di religione, cioè la banca del Vaticano, è stato
coinvolto nella vicenda Calvi. Partendo da questo dato, il
senatore Boso le chiede se le risutino rapporti tra esponenti
della Chiesa e Cosa nostra.
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. L'onorevole Borghezio le chiede se esista un
archivio di Cosa nostra.
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Gli uomini politici del nord eletti con i
voti mafiosi a Torino e a Milano quando devono votare si
comportano come gli uomini d'onore che stanno in Sicilia o no?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, se sono residenti in altri posti;
se vivono in altri posti e lì fissano la loro residenza, si
comportano allo stesso modo.
  PRESIDENTE. Quando sono state sequestrate persone fuori
dalla Sicilia - è sempre l'onorevole Borghezio che glielo
chiede - si è trattato quasi sempre di
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persone appartenenti al mondo dell'imprenditoria ma mai
persone che lavoravano nel sistema bancario e finanziario. C'è
una ragione particolare o è solo un caso?
  TOMMASO BUSCETTA. E' un caso.
  PRESIDENTE. Le risulta che con i soldi ricavati Cosa
nostra abbia acquistato quote di società per azioni?
  TOMMASO BUSCETTA. Non mi risulta.
  PRESIDENTE. Non le risulta o non lo sa?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Bardellino, Zaza e Nuvoletta sono tre uomini
d'onore, o meglio uno era e gli altri due sono.
  TOMMASO BUSCETTA. E' già scontato che è morto?
  PRESIDENTE. Non è scontato. A lei risulta che possa
essere vivo?
  TOMMASO BUSCETTA. Non mi risulta ma non credo che sia
morto.
  PRESIDENTE. Come dicevo, Bardellino, Zaza e Nuvoletta
sono uomini d'onore; in quanto tali avevano l'incarico di
sostenere anch'essi i candidati alle elezioni a Napoli?
  TOMMASO BUSCETTA. Certamente; perché no?
  PRESIDENTE. Quindi anch'essi lo facevano?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Chi decideva i nomi?
  TOMMASO BUSCETTA. Ho sempre detto che ognuno era libero
di scegliersi il candidato.
  PRESIDENTE. L'onorevole Biondi, che è stato parte civile
nel processo per l'assassinio del generale Dalla Chiesa, le
chiede di spiegare, se possibile, una sua frase detta a
proposito di tale vicenda: lei ha parlato di "presenza troppo
ingombrante" del generale Dalla Chiesa. Per chi tale presenza
era così ingombrante?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo per lo Stato.
  PRESIDENTE. Non per Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. No, non dava tutto questo fastidio per
morire assassinato in quella maniera o, per lo meno, non aveva
ancora dato tutto quel fastidio.
  ALFREDO BIONDI. Ha fatto cenno anche ad alcuni uomini
politici.
  PRESIDENTE. Può precisare meglio?
  ALFREDO BIONDI. Nella rogatoria del dottor Falcone del 3
settembre 1982 si legge: "Avendo appreso dalla televisione
dell'assassinio del generale Dalla Chiesa, ritenni che
l'omicidio fosse stato effettuato dai corleonesi aiutati dai
catanesi, che erano a loro più vicini". E aggiunge: "Qualche
uomo politico si era sbarazzato, servendosi della mafia, della
presenza troppo ingombrante...".
   Signor Buscetta, non le chiedo di fare ora il nome
dell'uomo politico, le chiedo solo se lo abbia fatto in quella
occasione.
  TOMMASO BUSCETTA. Lo dirò al giudice.
  ALFREDO BIONDI. Questo l'ho capito ma vuol dire che il
nome già l'ha detto. E' quello che volevo sapere.
  PRESIDENTE. Quindi, con Badalamenti vi siete detti il
nome dell'uomo politico?
  TOMMASO BUSCETTA. Lo dirò al giudice.
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  PRESIDENTE. Certo, il nome lo dirà al giudice ma lei
deve rispondere sì o no alla mia domanda.
  TOMMASO BUSCETTA. Non facciamo ora confusione; dirò il
nome al giudice perché è possibile che quello che mi ha detto
Badalamenti possa essere stato da lui inventato.
  PRESIDENTE. Forse non mi sono spiegato: noi non vogliamo
sapere...
  TOMMASO BUSCETTA. Ho capito: ce lo siamo detto.
  PRESIDENTE. Si tratta di un uomo politico che ancora fa
politica?
  TOMMASO BUSCETTA. Ah, ah, ora che facciamo? Dieci carte,
da uno a cinque, poi da cinque a uno e poi chiede: qual è
l'ultima carta? Il cavallo. Dopo quante carte vuoi il cavallo?
Non possiamo fare così!
  PRESIDENTE. Signor Buscetta, lei faccia il suo mestiere
così come la Commissione antimafia fa il suo; poiché le stiamo
rivolgendo delle domande, lei risponda.
  TOMMASO BUSCETTA. Non ho più mestiere.
  PRESIDENTE. Lei sta rispondendo ad alcune domande che la
Commissione ha il dovere di porle. Può rispondere come vuole,
non può però presumere che non le si rivolgano determinate
domande. Chiedere se si tratti di un uomo politico ancora in
vita, tenendo presente che gli uomini politici in Italia sono
alcune migliaia, non mi pare che sia una domanda che possa
pregiudicare il suo interesse. Spero di essere stato chiaro.
  TOMMASO BUSCETTA. E' vivo, anzi sono vivi.
  PRESIDENTE. Sono più d'uno, quindi.
   L'onorevole Galasso le chiede con quale criterio lei abbia
scelto cosa riferire alla Commissione antimafia.
  TOMMASO BUSCETTA. Forse io ho criterio? Non ho criterio,
io rispondo alle domande.
  PRESIDENTE. Di fronte ad alcune domande, però, lei ha
detto che preferisce riferire alla magistratura.
  TOMMASO BUSCETTA. Appunto, preferisco. Il criterio è di
non fare niente per intralciare quello che potrà essere il
lavoro della magistratura, se so farlo.
  PRESIDENTE. Quello che lei pensa possa intralciare il
lavoro della magistratura preferisce non dirlo qui, benissimo.
   In questa fase, secondo lei, cosa sta accadendo
all'interno di Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. E' una domanda complessa.
  PRESIDENTE. Può dare qualche indicazione alla
Commissione?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo che in questo momento ci sia
grande confusione perché, per quello che ho letto dai giornali
e per quello che ho potuto sentire, il pentimento di Mutolo e
Marchese è una cosa tremenda per loro. Questi personaggi hanno
vissuto a diretto contatto con loro; questi personaggi
conoscono veramente fatti per loro gravi; questi personaggi
potranno indurre, con il pensiero, altri personaggi a
pentirsi, quindi ci sarà una grande confusione.
  PRESIDENTE. Nell'intervista rilasciata a Biagi nella
scorsa estate ha detto a proposito di Riina: "Chi lo sa se è
Totò Riina". Oggi lei ha fatto riferimento ad un Totò Riina
molto forte ancora, che decide; è parso all'onorevole Galasso
di cogliere una contraddizione tra le due affermazioni.
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  TOMMASO BUSCETTA. Può darsi. Quando dico "può darsi
Riina" e quando dico "Totò Riina" intendo fare un riferimento,
perché è impossibile se quando si fa la lotta non c'è un
leader. Se Riina è caduto in disgrazia, se l'hanno
strangolato, ci sarà Provenzano al suo posto ma non posso
saperlo da fuori. Allora, invece di parlare di corleonesi,
anche perché non posso essere compreso, preferisco dire "Riina
o chi sta al suo posto".
  PRESIDENTE. L'onorevole Galasso le chiede se lei abbia
elaborato qualche ipotesi sulla cui base ritenere che possa
anche non trattarsi di Riina.
  TOMMASO BUSCETTA. Le ipotesi si fanno nella Cosa nostra.
Perché può venire la sorpresa che Riina sono cinque anni che è
sotto terra.
   Si faceva il processo a Giuseppe Greco, detto
Scarpazzedda, e quello era morto già da due anni. Si pensava
che Scarpazzedda stava ammazzando, ma la verità era che non si
trattava più di Scarpazzedda: era nato uno molto più
pericoloso di lui, che aveva preso il suo posto e continuava
ad ammazzare. Sono stato chiaro?
  PRESIDENTE. Sì, è stato chiaro.
   A questo punto si pone la domanda: Cosa nostra, così come
noi la intendiamo, esiste ancora?
  TOMMASO BUSCETTA. Cosa nostra? Certo che esiste. E'
esistita fino al pentimento di Marchese. Io credo che è
esistita.
  PRESIDENTE. Quindi esiste ancora.
   Abbiamo letto che dopo l'omicidio Lima vi sono stati casi
di costituzione in carcere di uomini d'onore, tra i quali uno
si era costituito ma non c'era ...
  TOMMASO BUSCETTA. Si era costituito nel posto sbagliato.
  PRESIDENTE. Sì, nel posto sbagliato.
   E' possibile, secondo la logica di Cosa nostra, che un
uomo d'onore si vada a costituire dopo un omicidio?
  TOMMASO BUSCETTA. Lo ha fatto Antonio Salamone.
  PRESIDENTE. Può spiegare questa cosa alla Commissione?
  TOMMASO BUSCETTA. Nel 1982 Salamone si recò in un paese
della Calabria e si costituì per sfuggire alle domande
pressanti di dare la possibilità di fare una base per uccidere
me.
  PRESIDENTE. In Brasile, ho capito. Quindi è possibile.
  TOMMASO BUSCETTA. Preferì tornare in Italia e
costituirsi, quando era cittadino brasiliano, con passaporto
brasiliano, e non aveva niente di cui rispondere in Italia.
Doveva rispondere del soggiorno obbligato.
  PRESIDENTE. Se uno si costituisce i capi di Cosa nostra
non pensano che egli abbia violato le regole?
  TOMMASO BUSCETTA. Certo.
  PRESIDENTE. Quindi?
  TOMMASO BUSCETTA. Io non so dov'è Antonio Salamone!
  ALFREDO GALASSO. Sappiamo che questa costituzione era in
qualche misura autorizzata; era una cosa generale e non
particolare, come se dopo il delitto Lima si fosse detto: se
volete, andate a costituirvi. Questo hanno detto i giudici di
Palermo.
  PRESIDENTE. E' possibile che non sia stata un'iniziativa
spontanea?
  TOMMASO BUSCETTA. E' possibile. E' possibile perché ad
un altro si può dire: "Dobbiamo fare una cosa molto
importante, non voglio coinvolgerti, ti puoi
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costituire". Sono due cose diverse questa e quella di
Salamone. Non c'è una regola precisa.
  PRESIDENTE. Cioè Salamone si costituì sostanzialmente
per evitare di ucciderla, correndo, a quel punto, anche dei
rischi perché costituendosi violava una regola.
  TOMMASO BUSCETTA. E' esatto. Ma lui cosa diceva al
maresciallo? "Non dica che mi sono costituito, dica che mi ha
arrestato".
  PRESIDENTE. Certo. L'altro caso si ha, invece, quando
Cosa nostra dice: "Stiamo facendo una cosa grande quindi ...".
E questo avviene prima di un omicidio, non dopo.
  TOMMASO BUSCETTA. Prima.
  PRESIDENTE. L'onorevole Fumagalli le chiede di spiegare
la frase: Lima morto serviva a denigrare Andreotti.
  TOMMASO BUSCETTA. Lima era il lato democratico cristiano
a Palermo. Questo significava la denigrazione di Andreotti,
cioè della corrente andreottiana.
  PRESIDENTE. Cioè uccidere Lima era ...
  TOMMASO BUSCETTA. ... denigrare Andreotti.
  PRESIDENTE. Denigrare nel senso di privarlo di peso
oppure...
  TOMMASO BUSCETTA. No, privarlo di voti.
  PRESIDENTE. Quindi denigrare nel senso di indebolire.
   Mi chiede ora l'onorevole D'Amato se servisse anche a far
capire che c'erano rapporti fra Lima ed Andreotti e quindi a
far emergere questo tipo di contatti.
  TOMMASO BUSCETTA. Questi discorsi preferirei farli con i
giudici.
  PRESIDENTE. Quindi denigrare voleva dire togliere voti.
  TOMMASO BUSCETTA. Togliere voti.
  ALFREDO BIONDI. Non prestigio.
  TOMMASO BUSCETTA. Perdendo il prestigio perdeva i voti.
  PRESIDENTE. Lei ha sostenuto in passato che l'uomo
d'onore dice sempre la verità. Vuol spiegare cosa significhi
questa frase? Dice sempre la verità davanti a chiunque si
trovi?
  TOMMASO BUSCETTA. No, no.
  PRESIDENTE. L'onorevole Fumagalli, che è di Milano, come
io sono di Torino, le chiede di spiegare questa frase.
  TOMMASO BUSCETTA. Dire la verità significa che se è
chiamato in una riunione deve rispondere con la verità. No a
chiunque: se è chiamato dal suo capo deve dire la verità.
  PRESIDENTE. E se è chiamato da altri uomini d'onore?
  TOMMASO BUSCETTA. Non gli devono domandare, perché sono
curiosi e lui ha il diritto di non rispondere.
  PRESIDENTE. Quindi l'unica persona alla quale ha il
dovere di dire la verità è il suo capo.
  TOMMASO BUSCETTA. O la commissione.
  PRESIDENTE. Proseguo con le domande dell'onorevole
Galasso che mi erano sfuggite: perché non ha riferito in sede
di maxiprocesso la notizia sul generale Dalla Chiesa relativa
al 1979?
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  TOMMASO BUSCETTA. E' semplice; io sono una persona
dispostissima, adesso che c'è stata questa apertura, a
testimoniare se ci fosse un nuovo processo. Quindi non è una
preclusione nei confronti del generale Dalla Chiesa; è un
problema che mi ero posto allora, di non parlare perché avrei
complicato tutto il processo.
  PRESIDENTE. Alla luce di quanto è successo poi - è
questa una domanda che le faccio io - gli assassinii di
Falcone e Borsellino e via dicendo, le sembra che la scelta
che fece allora di non parlare di queste cose sia stata
saggia?
  TOMMASO BUSCETTA. Lei mi mette in difficoltà. Credo che
la scelta sia stata saggia sotto un profilo materiale. Sotto
un profilo umano forse io ho sbagliato, ma sotto il profilo
materiale dovevo comportarmi così. Se avessi parlato di
politica in quell'epoca, avrei vanificato le mie
dichiarazioni. Sarebbero diventate zero perché avrebbero
detto: credete a questo mascalzone che parla di cose che non
sa?
  PRESIDENTE. E' chiaro.
   Può dire alla Commissione fino a quale epoca i delitti
erano deliberati a livello regionale? L'onorevole Galasso le
domanda se vi è un'epoca fino alla quale gli omicidi più
importanti erano decisi a livello di commissione
interprovinciale.
  TOMMASO BUSCETTA. La commissione interprovinciale è una
cosa che viene dopo il 1974-1975, quindi io sono in carcere e
queste discussioni non le so. Prima non esisteva, quindi la
commissione che decideva era provinciale.
  PRESIDENTE. E, che lei sappia, fino a quando la
commissione provinciale ha deciso se un grande delitto poteva
essere compiuto?
  TOMMASO BUSCETTA. Fino al 1975. Cioè partendo dal 1970,
escludendo dal 1973 al 1970, è dal 1970 al 1975 che decide
autonomamente.
  PRESIDENTE. Lei sa chi fosse questo personaggio di
Palermo, vicino a voi, credo massone, chiamato "lo zio"? Posso
aiutarla dicendole che, secondo Calderone, Giacomo Vitale
aveva rapporti con gli uffici giudiziari tramite questa
persona anziana, chiamata "lo zio", che era un massone.
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio alla Commissione quello
che ha accennato riguardo all'aggiustamento del processo di
Catanzaro? Ha fatto un esempio relativo al pubblico ministero:
ricorda altri fatti in ordine all'aggiustamento del processo?
E' una domanda che le rivolge l'onorevole Olivo.
  TOMMASO BUSCETTA. Anche a Catanzaro ci sono stati gli
aggiustamenti. Il processo di Catanzaro è finito nel nulla.
Sono andati tutti a casa, condannati con l'espiazione della
pena.
  PRESIDENTE. Ci sono rapporti, che lei sappia, tra Cosa
nostra e la Sacra corona unita, l'organizzazione criminale
pugliese?
  TOMMASO BUSCETTA. No.
  PRESIDENTE. Il senatore Calvi le chiede di precisare
meglio il suo rapporto con Lima. Lei ha detto che era nata una
specie di amicizia da molto tempo perché eravate quasi
coetanei: il padre di Lima, che era uomo d'onore, gliel'aveva
presentato, lei gli mandava i biglietti del teatro e così via.
C'erano rapporti di questo tipo. Ritiene di poter dare qualche
informazione in più alla Commissione?
  TOMMASO BUSCETTA. La darò ai giudici, perché ho già
cominciato il verbale con i giudici.
  PRESIDENTE. Va bene.
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  L'onorevole Matteoli le chiede se, secondo lei, ambienti
governativi avessero interesse all'eliminazione di Dalla
Chiesa.
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, come faccio a saperlo?
  PRESIDENTE. Chi ha favorito l'ingresso di Michele Greco
all'Ucciardone?
  TOMMASO BUSCETTA. La matricola, l'ufficio matricola, il
brigadiere Buonincontro.
  PRESIDENTE. Che è stato ucciso, se non erro.
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Da Cosa nostra?
  TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì.
  PRESIDENTE. C'era secondo lei un rapporto tra l'andata
del giudice Campisi a Cuneo ed il suo trasferimento nel
carcere di quella città?
  TOMMASO BUSCETTA. Non lo conoscevo.
  PRESIDENTE. Ma dopo ha saputo?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma molto dopo.
  PRESIDENTE. L'onorevole Ricciuti vorrebbe sapere cosa
faccia oggi Cosa nostra. Secondo lei, cosa sta succedendo?
  TOMMASO BUSCETTA. L'abbiamo già detto, abbiamo già
risposto a questa domanda.
  PRESIDENTE. Durante il primo giro di domande, gliene ho
rivolta una riguardante il separatismo e l'interesse che a
questo riguardo può avere Cosa nostra. Lei ha risposto in
particolare richiamando la necessità di avere un
alleggerimento delle sentenze e sostenendo che da questo punto
di vista il separatismo potrebbe risultare utile. Secondo lei,
chiede il collega Ricciuti, vi è un rapporto tra questa forma
di separatismo e quello di cui si discute al nord?
  TOMMASO BUSCETTA. Secondo me, secondo la mia opinione,
forse sì.
  PRESIDENTE. Conosce il testo delle dichiarazioni di
Calderone e di Mutolo?
  TOMMASO BUSCETTA. No, di Calderone ho letto un libro.
  PRESIDENTE. L'onorevole D'Amato le chiede se esista un
collegamento tra uomini d'onore campani e politici campani.
  TOMMASO BUSCETTA. Ne parlerò ai giudici, parlerò con
loro di tutto quello che riguarda la politica. D'altronde, non
sono più lucido come quando sono arrivato questa mattina e non
vorrei fare confusione.
  PRESIDENTE. Lei ha detto prima, comunque, che anche gli
uomini politici campani si comportano alla stessa maniera: lo
conferma?
  TOMMASO BUSCETTA. Sì.
  PRESIDENTE. Inoltre, secondo lei, quali sono i criteri
per valutare l'attendibilità di una persona che si presenta
come pentito?
  TOMMASO BUSCETTA. Eh, qua casca l'asino! Deve parlare
con il pentito solo una persona competente e che ha vissuto
dentro Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Uno che è vissuto dentro Cosa nostra è
difficile che faccia il giudice, tranne quei casi ...
  TOMMASO BUSCETTA. Ah, ah, è logico, ma chi è vissuto
dentro Cosa nostra senza fare il giudice può stabilire se il
pentito dice o meno la verità.
                         Pag. 428
  PRESIDENTE. Ho capito, ci vuole un vaglio robusto.
  ALFREDO BIONDI. E' successo che qualcuno dei pentiti
abbia usato l'arma del parlare, del raccontare per farsi
giustizia privata, per diventare il "tragediatore" di qualcun
altro?
  PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede se qualcuno dei
pentiti abbia usato questa sua condizione per compiere una
vendetta privata dicendo il falso.
  TOMMASO BUSCETTA. Dei pentiti che io ho conosciuto,
Calderone no, Contorno assolutamente no; Contorno ha sostenuto
confronti con tutti quanti. Quindi, quelli che ho conosciuto
io no; se verranno in futuro, non lo posso sapere.
  PRESIDENTE. Il senatore Ricciuti le chiede questo:
accertata la sfiducia totale nei confronti dei partiti cui la
mafia ha fatto tradizionalmente riferimento, adesso il
rapporto con la politica può dirigersi anche verso formazioni
nuove, diverse da quelle tradizionali?
  TOMMASO BUSCETTA. Se vuole un'opinione personale, dico
senz'altro di sì.
  PRESIDENTE. Si tratterebbe di partiti che ancora debbono
nascere o che già sono nati?
  TOMMASO BUSCETTA. Secondo me, sono già nati.
  PRESIDENTE. Se un uomo politico amico di Cosa nostra
deve fare una legge contro di voi (lei ha fatto capire prima
che si può fare ugualmente) deve avvertirvi e spiegarvi
qualcosa?
  TOMMASO BUSCETTA. Guardi, nessuno meglio di lei mi può
insegnare che, prima che si approva una legge in Italia,
passano degli anni. Non è che in Italia una legge si faccia in
poco tempo.
  PRESIDENTE. Ma se poi la legge si fa?
  TOMMASO BUSCETTA. Si fa e lui deve conservare
quell'immagine pubblica anche a scapito di Cosa nostra.
  PRESIDENTE. E Cosa nostra capisce questa cosa?
  TOMMASO BUSCETTA. Nel passato la capiva, non so se
adesso la capisca più.
  PRESIDENTE. Le domande sono terminate e noi la
ringraziamo molto. Vorrei chiederle se lei abbia una
dichiarazione finale da rendere alla Commissione.
  TOMMASO BUSCETTA. Sono molto stanco, avrei una
dichiarazione finale da fare alla Commissione antimafia e mi
riservo di scrivere una lettera a lei, signor presidente, che
potrà leggerla a tutti i componenti la Commissione presenti in
aula. Sono veramente stanco e sono certo che non mi esprimerei
bene, cosa che invece vorrei fare.
  PRESIDENTE. Va bene, scriva senz'altro questa lettera.
Essa sarà allegata al resoconto stenografico della seduta
odierna.
  (Il signor Buscetta viene accompagnato fuori
dall'aula).
              Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. Sulle questioni che già sono state toccate
all'inizio della seduta odierna propongo che si pronunci un
rappresentante per gruppo.
   In primo luogo, dobbiamo decidere se mantenere o meno
segreta la seduta; in caso negativo, si pone la questione di
quale informazione dare (un comunicato, una conferenza stampa
o altro).
  LUIGI BISCARDI. Il gruppo misto sostiene che non deve
esserci nessun segreto, che tutto può essere reso pubblico,
                         Pag. 429
viste anche le dichiarazioni dello stesso Buscetta, che si è
riservato di fare ai giudici i nomi e di riferire loro sui
rapporti tra mafia e politica.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Poiché lo stesso Buscetta ha
fatto notare di non aver detto cose che possano danneggiare le
indagini, tutte le altre sue dichiarazioni possono essere rese
pubbliche nel modo in cui decideremo.
  GIROLAMO TRIPODI. Concordo con quanto detto dai colleghi
che mi hanno preceduto perché ritengo che stamani noi abbiamo
anche commesso un errore: avremmo fatto bene a tenere sin
dall'inizio seduta pubblica. Per queste ragioni, non posso che
essere favorevole a rendere pubblica l'audizione.
  MARCO TARADASH. Signor presidente, io ho posto una
questione di metodo e non di merito. A me non interessa,
infatti, stabilire se Buscetta abbia detto cose più o meno
importanti, se abbia offeso o meno qualcuno. Ritengo che la
Commissione, nel momento in cui ascolta dei collaboratori
della giustizia, dovrebbe sempre tenerne segrete le audizioni,
visto che tutto quanto essi dicono può essere materiale di
lavoro per la Commissione stessa.
   Francamente, penso che oggi sia stato commesso un errore a
causa del quale si è costituita una forte attesa sulla
possibilità che Buscetta avrebbe fatto i nomi dei politici,
così come Calderone ne aveva fatto qualcuno. Procedendo in
questo modo, perderemo di vista i nostri obiettivi e non
saremo più una Commissione di inchiesta ma una cassa di
risonanza per chi viene qui per avere domani titoli di prima
pagina sui giornali.
   Ribadisco, pertanto, che la questione è di metodo e perciò
non mi pronuncerò a favore o contro la pubblicità
dell'audizione. Semmai, tale decisione avrebbe dovuto essere
assunta a prescindere da quello che Buscetta avrebbe detto. Ed
io mi rifiuto di stimare se quanto ha detto debba essere
tenuto segreto o meno. A me interessano i lavori della
Commissione e non le dichiarazioni di Buscetta.
  ANTONIO BARGONE. Arrivati a questo punto, credo che la
decisione più saggia sia quella di rendere pubblica la seduta,
non foss'altro perché lo stesso Buscetta ha fugato tutti i
dubbi che sono stati o potevano essere avanzati in proposito.
   Se non rendiamo pubblica la seduta, inoltre, qualcuno - in
qualche modo avendone interesse - potrebbe adombrare che qui
sono state dette cose di grande rilievo su esponenti politici,
o comunque su settori del mondo politico. La pubblicità della
seduta rappresenta, perciò, anche un utile deterrente per
quegli esponenti della Commissione che intendessero instaurare
un rapporto privilegiato con la stampa.
  MARIO BORGHEZIO. Siamo ovviamente favorevoli alla
pubblicizzazione della deposizione di Buscetta.
  ALFREDO BIONDI. Concordo con l'onorevole Taradash a
proposito del metodo: non si può scegliere di volta in volta
cosa dire e cosa non dire; né è affatto scontato che le frasi
ed i riferimenti che Buscetta sceglie possano essere di per sé
tali da determinare tranquillità. Buscetta non ha fatto delle
assoluzioni, ma dei rinvii.
   Tenere però nascosto quanto non è stato esplicitato mi
sembrerebbe un volere inutilmente complicare le cose. Per il
futuro - e sarà bene riunirci per decidere sul metodo -
dovremo adottare un criterio generale. In questo momento mi
dichiaro a favore della pubblicità dell'audizione perché
altrimenti può sembrare che sappiamo più di quanto sua
eccellenza Buscetta, nella sua infinita misericordia, ci ha
consentito di dire o di non dire.
  ALFREDO GALASSO. Mi sono già pronunciato prima per la
pubblicità della seduta, anche nel caso che Buscetta
                         Pag. 430
avesse detto dei nomi. Figuriamoci ora che non li ha detti!
  ALTERO MATTEOLI. Stamani, in apertura di seduta e senza
sapere cosa Buscetta avrebbe detto, a nome del mio gruppo mi
sono espresso a favore della pubblicità della seduta. Tutti ci
aspettavamo grandi rivelazioni che non ci sono state, per cui
ora mi sembra davvero assurdo tenere nel cassetto le sue
dichiarazioni. Non ha detto niente e chi sa quali sarebbero i
titoli sui giornali per ciò che non ha detto!
  CARLO D'AMATO. Al punto in cui siamo, la pubblicità
della seduta diventa un fatto relativo al contenuto delle
dichiarazioni rese: se fossero state di un certo tipo, le
avremmo tenute segrete; se fossero state di altro tipo, le
avremmo rivelate.
   Concordo anch'io sulla necessità di discutere sul metodo
da seguire. Noi abbiamo già adottato dei filtri ed io
stamattina mi ero già espresso a favore della segretezza
dell'audizione, anche alla luce delle iniziative assunte da
alcuni gruppi subito dopo l'ultima riunione della Commissione.
In considerazione poi della lettera inviata dal presidente ai
capigruppo, credevo fosse opportuno un momento di ripensamento
finalizzato al recupero di un comportamento che deve essere
proprio di una Commissione che ha compiti tanto delicati.
   Devo dire, comunque, che il metodo sin qui seguito è
corretto: il presidente opera da filtro delle domande, sia
nella prima sia nella seconda fase. La valutazione di ciò che
può scaturire da un'audizione di questo tipo non può però
essere tenuta segreta, e questo criterio va stabilito una
volta per tutte. In altri termini, dovremmo stabilire che,
alla luce dell'esperienza degli ultimi due incontri, la
pubblicità sarà assicurata per tutti gli altri.
   Ove così non facessimo, verremo coinvolti in un negativo
dibattito; e questo anche nel caso in cui non vi fossero gli
elementi concreti per un tale coinvolgimento. Ritengo, quindi,
che si debba rendere pubblica la seduta di oggi. Tra l'altro,
so che sono già state fatte dichiarazioni che fanno credere
che da questa seduta sia emerso non si sa bene che cosa di
strabiliante!
   La pubblicità della seduta, diventa un atto doveroso di
chiarezza e di informazione dell'opinione pubblica per fugare
ogni incertezza sul nostro lavoro, fermo restando che tale
decisione dovrà trasformarsi in un metodo valido per il
futuro.
  PRESIDENTE. Secondo me, colleghi, dobbiamo decidere a
prescindere dai comportamenti più o meno scorretti assunti da
qualcuno di noi. Altrimenti, saltano anche i criteri utili a
garantire comportamenti corretti tra di noi.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Signor presidente, credo che
la questione riguardi il metodo, non il contenuto. All'inizio
della seduta mi ero espressa a favore della riservatezza alla
luce di considerazioni oggettive e prescindendo da quanto
avrei ascoltato. Del resto, nella precedente riunione avevo
già sottolineato la mia contrarietà all'utilizzo del metodo
della pubblicità.
   Sconsiglierei tra l'altro vivamente di decidere di volta
in volta se tenere segreta oppure no l'audizione, perché ciò
darebbe luogo a letture certamente poco trasparenti e non
corrette. Personalmente, ripeto, sono per la riservatezza dei
nostri lavori (anche se mi rendo conto a questo punto di
essere in assoluta minoranza), in quanto le affermazioni del
pentito hanno bisogno di ulteriori elementi di valutazione, in
termini tecnici, nonché di riscontri.
   Fungere da cassa di risonanza per le dichiarazioni di una
persona, che non sappiamo se dice il vero o il falso, mi pare
imprudente.
  ROMEO RICCIUTI. Signor presidente, intervengo per motivo
personale. Ho saputo che, prima ancora che si decidesse se
dare pubblicità o meno all'audizione odierna, alcuni colleghi
hanno rilasciato
                         Pag. 431
dichiarazioni agli organi di stampa. Se un fatto del genere
venisse accertato presso le agenzie di stampa, le chiedo di
adottare provvedimenti a carico del responsabile con grande
severità: questo è il metodo più corretto per procedere.
   Nutro solo una preoccupazione, quella che si sappia
all'esterno che il pentito, ancorché simpatico, ha trattato la
Commissione con sufficienza, alla stregua di ragazzi in
libertà ai quali si può far conoscere soltanto una parte della
verità, dato che le rivelazioni più importanti verranno
affidate ai magistrati.
   Ripeto, ho solo questa preoccupazione che, peraltro, mi
passa subito.
  PIERO MARIO ANGELINI. Poiché siamo vanitosi come
Buscetta, ci preoccupiamo della nostra immagine e
dell'opinione pubblica: sinceramente mi preoccuperei di più
del rapporto tra noi ed i collaboratori della giustizia.
Buscetta ha chiaramente affermato che ai giudici parlerà in un
modo, a noi ha parlato in un altro, perché sa che dialogando
con noi, parla a tutta la nazione. Quindi, personalmente mi
interessa poco quello che è successo oggi, perché ormai la
situazione è compromessa, mentre mi preoccupa quello che
accadrà in futuro.
   Non è la stessa cosa se Mutolo - e gli altri collaboratori
che ascolteremo - saprà di parlare ad una piazza pubblica
oppure ad un nucleo di persone riservate. La riservatezza è
l'unica condizione che questa Commissione deve osservare se
vuole lavorare seriamente; diversamente, ci troveremo dinnanzi
a confessioni evirate perché gli uditi sanno che ogni
commissario riporterà le dichiarazioni secondo il proprio
punto di vista.
   Se veramente si vuole potenziare il lavoro della
Commissione antimafia, si deve dire chiaramente a Mutolo, o a
chi verrà, che le rivelazioni sono raccolte da un gruppo di
persone che tiene la bocca chiusa; altrimenti, che senso ha
parlare con i collaboratori della giustizia?
  PRESIDENTE. Colleghi, prima di procedere alla votazione
vorrei segnalarvi una questione che non è stata trattata nel
corso degli interventi dei commissari, ossia quella del
perseguimento dello scopo.
   Poiché abbiamo deciso - quasi all'unanimità - di lavorare
in un certo modo, facendo chiarezza su taluni argomenti e
presentando una relazione compiuta al Parlamento, è necessario
capire che cosa giovi o danneggi il lavoro. In quest'ottica,
il tipo di reazione registrata dopo l'audizione di Calderone
non mi pare abbia giovato allo scopo.
   Come avrete notato, Buscetta si è riferito esplicitamente
al pericolo di ritorsione da parte di singoli, tanto che ha
operato una scelta molto chiara nel senso cioè che i nomi li
avrebbe detti ai giudici, mentre il quadro politico lo avrebbe
delineato alla Commissione. Ora, senza peraltro esprimere
opinioni, chiedo ai colleghi di valutare quale delle due
scelte risulti più funzionale - mi riferisco alla segretezza o
alla pubblicità della riunione - per la presentazione, in
tempi rapidi, di una relazione seria al Parlamento.
   Naturalmente si pone il problema della serietà di ciascuno
di noi in ordine alle dichiarazioni che si rilasciano. La
Commissione non può adottare provvedimenti punitivi nei
confronti di chi viola queste regole, anche se ritengo si
debba assumere un orientamento tale per cui, una volta deciso
per la seduta segreta, se un commissario parla deve
necessariamente stabilire se stare dentro o fuori.
  ALTERO MATTEOLI. Se sono state rilasciate dichiarazione
agli organi di stampa, non possiamo sculacciare il
responsabile. Rilevo però che il collega, con la sua azione,
autorizza tutti noi a fare altrettanto. Poiché abbiamo atteso
la fine della seduta per decidere sulla segretezza o sulla
pubblicità - anche noi, che eravamo favorevoli alla pubblicità
- non possiamo uscire dalla sala e stare zitti, perché
dobbiamo rispetto agli elettori.
                         Pag. 432
Rilasceremo le dichiarazioni responsabilmente, perché non me
la sento di non fare dichiarazioni (ai giornali di partito o
agli amici giornalisti), visto che altri hanno ritenuto di
rilasciarne durante la seduta.
  ALFREDO BIONDI. Questo già risulta?
  ALTERO MATTEOLI. L'ha detto il collega e va acclarato.
Non faccio altro che prendere contezza delle dichiarazioni di
qualche attimo fa del collega Ricciuti.
   Se effettivamente sono state rilasciate dichiarazioni, non
c'è scorrettezza da parte della Commissione verso l'esterno,
ma nel rapporto interno.
   Il presidente avrà capito che sono portato per
temperamento a dire ciò che penso: all'inizio della seduta ho
pensato che l'ufficio di presidenza non si fosse comportato
correttamente e l'ho detto; e così intendo andare avanti.
Tuttavia, se appurerò che qualcuno ha rilasciato
dichiarazioni, farò altrettanto, ossia rilascerò dichiarazioni
responsabili, valutandole insieme con i colleghi del mio
gruppo, ma la farò perché non intendo farmi dire da
chicchessia "gli altri hanno parlato, voi no!"
  PRESIDENTE. Colleghi, una volta esisteva il senso dello
Stato ed io chiedo che venga considerato. C'è un punto
fondamentale nella tenuta delle istituzioni e concerne i
rapporti tra mafia e politica: penso che la Commissione abbia
la legittimità e la forza di svolgere questa difficile
indagine a condizione che vengano mantenuti comportamenti
coerenti con la qualità della scelta operata. Altrimenti,
occupiamoci degli spacciatori e del tabacco e basta!
   Occorre verificare se i comportamenti, le regole e la
tenuta della Commissione siano all'altezza degli obiettivi: se
non dovesse esistere questo livello, ripeto, sarebbe meglio
lasciar perdere.
   Se qualcuno ha violato la regola, non è detto che tutti
siano tenuti a comportarsi alla stessa maniera. Se qualcuno ha
violato io, responsabilmente ed avvertendo il senso della
tenuta istituzionale, non farò altrettanto. Credo, quindi, si
ponga non tanto un problema di punibilità, quanto di
incompatibilità: abbiamo votato, si è imposta una regola, la
dobbiamo osservare tutti. Se qualcuno l'ha violata, ripeto,
credo si ponga un problema di incompatibilità (comunque, non
so se qualcuno abbia rilasciato dichiarazioni, perché io non
mi sono mai mosso dalla sala).
   Tra l'altro, poiché si è stabilito di fare il punto della
situazione a dicembre, ciò significa che passeranno solo
alcune settimane e quindi l'esigenza di far conoscere può
essere contenuta nell'arco di pochi giorni.
   Quanto poi alla possibilità di ricorrere ad un comunicato,
ho dei dubbi, perché ogni parola può significare venticinque
cose diverse. La conferenza stampa, poi, meno che mai. Vi
chiedo quindi di valutare questi aspetti, che non sono
assolutamente secondari.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Proprio in relazione a questi
aspetti tutt'altro che secondari bisogna fare alcune
considerazioni. Condivido le affermazioni del presidente, si
impone il riconoscimento reciproco e a priori del senso
di responsabilità. Se domani appariranno sui giornali alcune
notizie, ciascuno di noi potrà essere sospettato di averle
divulgate, per ragioni più o meno obiettive: cosa dovrebbe
fare, forse discolparsi?
   La materia è estremamente difficile da definire. Per
quanto mi riguarda, posso dire che non parlerò con nessuno
dell'audizione di oggi, anche se non mi sembra sia emerso
nulla di particolarmente drammatico. Se le indiscrezioni ci
saranno lo stesso, posso solo confermare di non averne colpa.
   Ferma restando l'opportunità che ciascuno di noi mantenga
la riservatezza, esiste un altro problema: se mantenessimo
segreta la seduta, riusciremmo a sapere dai pentiti più di
quanto sarebbero disposti a dirci nel corso di un'audizione
pubblica? Ne dubito, perché la sfiducia
                         Pag. 433
probabilmente è dovuta a motivi più generali, cioè al
sospetto che comunque non si voglia tenere il segreto.
   Il presidente ha richiamato al senso dello Stato ed alla
responsabilità verso il paese. Allora, in futuro, occorrerebbe
chiedersi se questa Commissione non dovrebbe esercitare la
propria autorità nei confronti di chi viene ascoltato. In
questo caso abbiamo permesso - ed abbiamo fatto bene - che il
signor Buscetta non ci rispondesse quando non voleva. Sapete
che questo comportamento sarebbe molto difficile da tenere
dinanzi ad una Commissione del Senato americano: si verrebbe
facilmente tradotti in un carcere federale. Per il futuro
dobbiamo stabilire fino a che punto possiamo consentire la
libera scelta di chi viene sostanzialmente non in stato di
assoluta libertà se parlare o meno.
   Tornando ai fatti, credo all'opportunità del segreto ma
dubito che ci credano gli altri, per cui il segreto stesso
rischia di diventare una pura formalità, con lo svantaggio che
- in assenza di un comunicato, molto complesso da elaborare -
sarà difficile contestare notizie distorte che un domani
dovessero apparire sulla stampa. Di conseguenza, ritengo che
sia preferibile la pubblicità dei lavori, affinché si possa
controllare quanto viene riferito.
  VITO RIGGIO. Ho votato all'inizio per la seduta segreta,
ma devo dire che a questo punto sono necessari, oltre alla
convergenza ed un forte senso delle istituzioni, anche la
consapevolezza di quanto accade in questa sede. Finora abbiamo
ascoltato i pentiti Calderone e Buscetta, che rappresentano la
storia della mafia; ci apprestiamo ad ascoltare pentiti che
sono ricercati da Cosa Nostra e che sono in pericolo di vita.
Se l'approccio è di tale leggerezza, per cui affrontiamo il
lavoro in questa come in una qualsiasi Commissione
parlamentare, e se il membro di un gruppo viola una regola
anche gli altri ritengono di doverlo fare, mi rifiuterò di
partecipare alle successive audizioni. Probabilmente non si ha
la percezione di cosa possa significare, in particolare per
alcuni, far capire che si sanno cose e non si vogliono dire o
far dire cose che non andrebbero dette. Per motivi del genere
è morta della gente.
   E' stato per consentire un filtro che avevo votato in
favore della seduta segreta, per evitare una possibile
interferenza con l'inchiesta della magistratura. Questo
argomento non può essere sottovalutato e credo che abbia
costituito la ragione di fondo, per lo meno quella che così è
stata presentata, dell'atteggiamento del signor Buscetta.
   Sono altresì convinto che il clamore fatto intorno
all'audizione di oggi abbia finito con il vanificarne gli
effetti. Deve essere perciò chiaro che a volte, sotto
l'istanza della trasparenza e della pubblicità, possono
nascondersi atteggiamenti di sostanziale negazione degli
obiettivi dell'inchiesta.
   Pertanto, occorre rispettare rigorosamente le regole. Non
si tratta di dare segnali: quando si vota per la segretezza di
una seduta, questa deve rimanere segreta e deve esserlo per
tutti. Se non siamo in grado di garantirlo, dobbiamo pagarne
il costo, cioè depotenziare la nostra attività rendendola
pubblica. Non vedo alternative, a causa di una nostra
debolezza dobbiamo dare pubblicità perché non siamo capaci di
fare altrimenti, non perché sia la scelta più corretta.
  GIANCARLO ACCIARO. Confesso che questa mattina sono
partito deluso perché ho sentito il giornale radio.
Inorridisco però quando sento dire dal collega che durante la
seduta probabilmente qualcuno ha reso dichiarazioni pubbliche.
Come ha giustamente affermato il presidente, la nostra
responsabilità è di rendere dichiarazioni ben ponderate,
attraverso una persona che sia credibile.
   Se quanto è stato detto è vero, viene una gran voglia di
apparire sui giornali di domani. Io non sono un deputato molto
conosciuto ed ho un grande bisogno
                         Pag. 434
di pubblicità, ma ritengo gravissimo quanto pare sia
accaduto. Un certo modo di agire sminuirebbe la portata delle
dichiarazioni che sono state rese in questa sede e porterebbe
a riflettere se non ci sia un modo migliore per passare il
tempo, anziché stare qui ed essere poi gli "ultimi della
classe".
  ALFREDO BIONDI. Esistono tre problemi, il primo dei
quali è stato risolto dal signor Buscetta, relativo
all'interferenza tra le sue dichiarazioni e l'attività che sta
svolgendo l'attività giudiziaria. In proposito, mi permetto di
suggerire una preselezione delle materie che possono
costituire intralcio alle indagini, anziché lasciare ai nostri
interlocutori questo compito.
   La questione riveste aspetti di opportunità ed ha risvolti
sull'efficienza delle indagini giudiziarie in corso. L'unica
soluzione è la stessa segretezza seguita dall'autorità
giudiziaria; la Commissione, infatti, agisce con i medesimi
poteri ma anche con gli stessi limiti. Non si tratta soltanto
di cortesia e rispetto reciproco, ma anche di rispetto della
legge. Per quanto mi riguarda, nonostante io sia poco portato
alla riservatezza, sono tentato di resistere alle pulsioni di
apparenza più che di sostanza. Del resto, sarebbe buffo far
sapere che Buscetta non ha risposto a tutte le domande perché
non si fida di noi.
   Il secondo problema riguarda la pubblicità della seduta,
nel senso che fin dall'inizio, qualunque cosa succeda, si deve
decidere se la seduta debba essere pubblica o segreta:
usque ad sidera, usque ad infera. Non vorrei che dessimo
l'impressione che qui dentro non sia stato detto niente
mentre, secondo me, oggi è stata una giornata molto
importante. Anch'io, come il collega Galasso, ho partecipato
come parte civile al maxiprocesso e devo riconoscere che il
quadro generale è riemerso ed è stato sottolineato.
   Credo che l'audizione odierna debba essere resa pubblica;
chiedo però che si riunisca quanto prima l'ufficio di
presidenza per concordare il metodo di lavoro riguardo alla
segretezza delle sedute di audizione dei pentiti. Ho la
sensazione che, per il bene delle finalità che intendiamo
perseguire, dobbiamo decidere se interferire o no in ciò che è
di competenza dell'autorità giudiziaria. Non va dimenticato
che c'è anche il problema di salvaguardare la reputazione
delle persone che può essere messa in discussione dall'uno o
dall'altro argomento o da un eccesso di "istinto venatorio"
che può avere il pentito.
   Se decidiamo che tutto il nostro lavoro debba essere
pubblico, allora assumiamo l'iniziativa di decrittare fin
dall'inizio le audizioni; se invece pensiamo che in tal modo
rischiamo di intralciare il lavoro dell'autorità giudiziaria,
decidiamolo noi ma non lasciamo tale decisione al pentito
perché è abbastanza imbarazzante che egli sia più realista del
re.
  PRESIDENTE. Vorrei chiarire che il problema di
interferenza con il lavoro dell'autorità giudiziaria non si
pone perché essa è stata informata dell'audizione odierna.
Come, mi sembra con correttezza, ho ricordato ricevendo anche
qualche rampogna dai colleghi, essa ha posto il limite su due
temi che non sono stati oggetto di nessune delle domande
poste.
  ALFREDO BIONDI. Anche questa è una "mordacchia".
  PRESIDENTE. Ma quale "mordacchia"! Nessuno ha posto
quelle domande.
  ALFREDO BIONDI. Le domande non sono state poste perché
non conoscevamo gli argomenti.
  PRESIDENTE. Vi prego inoltre di tenere conto che
Buscetta ha fatto oggi un lavoro molto importante, ha
delineato vari quadri che costringono l'autorità giudiziaria a
porre una serie di domande. Non è vero che egli abbia messo da
parte certe cose a favore di altre; essendo un
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uomo intelligente, ha considerato la nostra una sede politica
e qui ha dipinto una serie di quadri politici, riservandosi di
fare ai giudici i nomi. In questo modo ha costretto - sia
detto tra virgolette - l'autorità giudiziaria interessata a
porre certe domande che non può a questo punto più fare a meno
di porre.
  ALFREDO BIONDI. Mi sembra di non aver rivolto critiche
alla seduta.
  PRESIDENTE. Certamente, ma era mia intenzione
sottolineare certi aspetti circa l'interferenza con l'autorità
giudiziaria.
   Se sulla pubblicità dei lavori deve decidere l'ufficio di
presidenza, è evidente che esso avrà luogo al termine della
seduta.
  ALTERO MATTEOLI. A me sembra che il problema sia
superato perché abbiamo appurato che sono state rilasciate
alcune dichiarazioni: secondo le agenzie di stampa, alle ore
17.40 il collega Galasso ha ritenuto di rilasciare una
dichiarazione.
  ALFREDO GALASSO. Bisogna vedere che cosa!
  ALTERO MATTEOLI. Rimane il fatto che la dichiarazione è
avvenuta prima che noi decidessimo in merito alla segretezza
della seduta.
  ALFREDO GALASSO. Ho fatto una dichiarazione, non ho
raccontato nulla.
  MASSIMO BRUTTI. Non credo che sia di particolare
rilevanza il fatto che qualcuno abbia rilasciato una
dichiarazione, perché su ciò deciderà l'opinione pubblica
(Commenti del deputato Piero Mario Angelini). Bisogna
verificare quale sia l'oggetto della dichiarazione e se
infranga il principio della pubblicità; comunque, ritengo che
questo non sia tema di discussione, anche perché in questo
momento non abbiamo poteri sanzionatori nei confronti di colui
che abbia rilasciato dichiarazioni in contrasto con il dovere
di segretezza. Il punto è che all'inizio della seduta abbiamo
stabilito di mantenere segreta l'audizione, riservandoci di
decidere alla fine se e quali parti rendere pubbliche. Ritengo
che quello di scegliere di volta in volta sia il criterio
migliore da seguire perché i collaboratori della giustizia che
verranno qui devono sapere che la parte delle loro
dichiarazioni che tocca determinate personalità potrà essere
tenuta segreta, e ciascuno di noi ha l'obbligo di rispettare
il dovere di segretezza.
   In questo momento siamo in grado di dire che nulla di
quello che abbiamo sentito oggi costituisce turbativa per le
indagini in corso o lede l'onorabilità di qualcuno. A questo
punto, penso che si debba mettere in votazione la proposta di
rendere pubblica l'intera audizione del collaboratore
Buscetta, riservandoci per le prossime audizioni di decidere
dopo aver valutato il tenore delle dichiarazioni rese.
  MARCO TARADASH. A me sembra che il problema di oggi si
riproporrà in futuro in modo esponenziale. Le prossime
audizioni riguarderanno collaboratori che parleranno
dell'attualità e non della preistoria della mafia e
toccheranno l'onorabilità di persone che agiscono
pubblicamente.
   Nell'assumere una decisione dobbiamo anche tener conto
delle eventuali interferenze con l'azione portata avanti dalla
magistratura. Quanto ai rapporti con la stampa, nel nostro
paese essa è stata abituata da alcuni esponenti della politica
a riferire quello che viene detto qui dentro come se fosse
acquisito e verificato. Credo che nel prossimo ufficio di
presidenza si dovrà valutare l'opportunità di continuare con
le audizioni dei collaboratori della giustizia. Se esse si
rivelano inutili perché i collaboratori non si fidano della
Commissione e questa, a sua volta, non esercita i poteri di
far giurare il teste o di incriminare eventualmente quello
reticente, non vedo perché si debba
                         Pag. 436
continuare con queste audizioni che non servono a nulla e
creano soltanto sospetto, interferenze e un clima
intimidatorio da parte dal mondo esterno nei nostri confronti
nel caso in cui vogliamo lavorare correttamente e quindi non
dichiarare pubblico tutto quello che viene detto qui dentro.
  PRESIDENTE. Desidero precisare che i testimoni non
giurano e che, grazie ad una serie di pressioni esercitate
anche dal gruppo federalista europeo, non è più prevista la
contestazione immediata del teste.
   Pongo in votazione la proposta di revocare la segretezza
della seduta.
(E' approvata).
  La seduta termina alle ore 18,15.
                         Pag. 437
                         ALLEGATO
                         Pag. 438
                         Pag. 439
Dichiarazione finale rimessa per iscritto dal signor
Tommaso Buscetta:
"Signor Presidente della Commissione Antimafia,
   ritengo utile e doveroso affidare a queste brevi note il
mio più vivo ringraziamento per l'occasione che Ella ed i suoi
colleghi parlamentari mi avete offerto di esprimere in piena
libertà e con serenità le mie considerazioni su quel
gravissimo fenomeno delinquenziale rappresentato dalla "cosa
nostra" siciliana.
    Attraverso di voi ho potuto oggi esprimere con chiarezza
un concreto grido d'allarme, che mi auguro sarà ascoltato da
tutti sul grave rischio cui la società civile è esposta se
scegliesse di continuare a convivere con la mafia e non
decidesse di liberarsi, una volta per tutte, di questa realtà
criminale.
    Con la stessa forza e con altrettanta chiarezza credo di
aver espresso la mia fiducia che questa lunga battaglia contro
"cosa nostra", fino ad oggi combattuta a fasi alterne, possa
una volta per tutte essere affrontata con determinazione ed in
modo tale da provocare la sua definitiva scomparsa dal vivere
civile.
    Sono stato un mafioso e sono oggi un uomo libero degno di
essere accettato dalla società ed in questa mia nuova veste
voglio rinnovare il mio impegno a proseguire nella battaglia
che ho intrapreso tanti anno addietro a fianco del giudice
Falcone.
    In questa logica mi permetto di suggerire, attraverso di
Lei e tutto il Parlamento italiano, alcune mie considerazioni
sulle modalità che io, sulla base della mia esperienza di
mafioso, ritengo utile per la definitiva sconfitta della
mafia.
    E' innanzi tutto necessario che questa grave realtà
delinquenziale sia conosciuta nella sua effettiva dimensione e
nella sua capacità di colpire lo Stato e i suoi uomini
migliori.
    Perché ciò avvenga non si può fare a meno di quelle
persone che, avendo militato all'interno della "cosa nostra",
ne conoscono a fondo le regole ed i segreti.
    E queste persone sono i cosiddetti pentiti.
    Persone che hanno spesso sofferto per primi sulla loro
pelle la crudeltà e la violenza mafiosa, persone che hanno
sofferto per una difficile scelta personale e che spesso non
sono state nemmeno apprezzate per il contributo che hanno
offerto nell'accertamento della verità e dei fatti.
    A queste persone bisogna offrire la possibilità di essere
sereni nella loro scelta di vita e la certezza di essere
sostenuti dal consenso
                         Pag. 440
di quanti vogliano lottare contro la
mafia. Perché i loro racconti siano sostenuti da prove è anche
necessario che a coloro che decidono di collaborare con la
giustizia sia consentito di affrontare con serenità il
giudizio della pubblica opinione e di poter contare sulla
benevolenza della legge e dei giudici che sono chiamati ad
applicarla.
    Ed ecco allora la necessità che lo stato aiuti questi
collaboratori a manifestare in piena libertà tutte le loro
conoscenze e anche le loro colpe nella certezza però di poter
contare sul sostegno di quella società civile che in fondo
stanno in qualche modo proteggendo da un male grave come la
mafia.
    Se queste leggi arriveranno, se sarà data fiducia ai
pentiti, se saranno rese operanti le strutture dello Stato e
nelle stesse potranno essere chiamati a prestare la loro opera
gli uomini migliori, giudici e poliziotti, allora la strada
per sconfiggere la mafia sarà tutta in discesa.
    Scomparirà quella "cosa nostra" che ha tenuto per tanto
tempo la società civile e forse resterà una normale
criminalità senza regole e senza tradizioni, che le strutture
dello Stato potranno facilmente tenere sotto controllo.
    Per quanto mi riguarda, Signor Presidente, continuerò ad
essere a Sua disposizione, del Parlamento, delle Istituzioni
tutte e del nostro Paese.
    Se sarà necessario resterò in Italia, rischiando in prima
persona, offrendo la mia conoscenza pregressa e la mia
capacità di interpretare i fatti di mafia e potrò così essere
ancora utile.
    Con gratitudine, i miei ossequi.
    17 novembre 1992.
                                           Buscetta Tommaso

 


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