Violante: seduta 12
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Pag. 341 AUDIZIONE DEL COLLABORATORE DELLA GIUSTIZIA TOMMASO BUSCETTA PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Sui lavori della Commissione Violante Luciano, Presidente ...................... 343, 349 350, 428, 430, 431, 432, 434, 435, 436 Acciaro Giancarlo ...................................... 433 Angelini Piero Mario ................................... 431 Ayala Giuseppe Maria ................................... 350 Bargone Antonio ................................... 429, 434 Biondi Alfredo ................ 348, 350, 429, 432, 434, 435 Biscardi Luigi .................................... 346, 428 Borghezio Mario ........................................ 429 Brutti Massimo .................................... 344, 435 Calvi Maurizio ......................................... 346 D'Amato Carlo .......................................... 430 Ferrara Salute Giovanni ...................... 345, 429, 432 Ferrauto Romano ........................................ 344 Fumagalli Carulli Ombretta ........................ 346, 430 Galasso Alfredo ......................... 347, 350, 429, 435 Imposimato Ferdinando .................................. 349 Matteoli Altero .................... 345, 350, 430, 432, 435 Ricciuti Romeo .................................... 350, 430 Riggio Vito ............................................ 433 Scalia Massimo ......................................... 347 Taradash Marco .......................... 343, 344, 429, 435 Tripodi Girolamo .................................. 344, 429 Pag. 342 Audizione del collaboratore della giustizia Tommaso Buscetta Violante Luciano, Presidente ...................... 351, 353 354, 355, 356, 357, 358, 359, 360, 361 362, 363, 364, 365, 366, 367, 368, 369, 370 371, 372, 373, 374, 375, 376, 377 378, 379, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 386 387, 388, 389, 390, 391, 392, 393 394, 395, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 402 403, 404, 405, 406, 407, 408, 409 412, 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421 422, 423, 424, 425, 426, 427, 428 Acciaro Giancarlo ...................................... 410 Angelini Piero Mario ................................... 414 Ayala Giuseppe Maria .............................. 367, 392 Bargone Antonio ........................................ 411 Biondi Alfredo ................ 366, 380, 384, 390, 391, 411 412, 422, 425, 428 Biscardi Luigi .................................... 410, 417 Borghezio Mario ................................... 402, 412 Boso Erminio Enzo ...................................... 412 Brutti Massimo ......................................... 411 Buscetta Tommaso ................... 351, 353, 354, 355, 356 357, 358, 359, 360, 361, 362, 363 364, 365, 366, 367, 368, 369, 370, 371, 372 373, 374, 375, 376, 377, 378 379, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 386, 387 388, 389, 390, 391, 392, 393 394, 395, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 402 403, 404, 405, 406, 407, 408 409, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, 422 423, 424, 425, 426, 427, 428 Buttitta Antonio ....................................... 409 Cafarelli Francesco .......................... 358, 409, 419 Calvi Maurizio .................................... 357, 413 D'Amato Carlo ........................... 364, 377, 396, 415 Ferrara Salute Giovanni ........................... 405, 409 Ferrauto Romano ........................................ 412 Florino Michele ........................................ 412 Fumagalli Carulli Ombretta ............................. 412 Galasso Alfredo ............... 382, 393, 399, 411, 413, 424 Grasso Gaetano ......................................... 412 Imposimato Ferdinando ............................. 378, 410 Matteoli Altero .............................. 381, 389, 414 Olivo Rosario .......................................... 413 Ricciuti Romeo ............................... 393, 404, 414 Riggio Vito .................................. 371, 406, 409 Scalia Massimo ......................................... 410 Taradash Marco ..................... 368, 373, 387, 388, 410 Tripodi Girolamo ....................................... 410 ALLEGATO ............................................... 437 Pag. 343 La seduta comincia alle 10,35. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. Prima di dare inizio all'audizione prevista all'ordine del giorno, do la parola all'onorevole Taradash. MARCO TARADASH. Signor presidente, prendo la parola per porre la questione della pubblicità dell'audizione del collaboratore della giustizia Buscetta, riguardo alla quale mi sembra che si sia creata all'esterno un'aspettativa, maturata anche dopo l'audizione di Calderone, che credo non giovi ai lavori della Commissione, il cui compito è quello di investigare anche sui rapporti tra mafia e politica. La magistratura, o almeno la parte più corretta di questa, ha sempre avuto una gestione dei pentiti ben sapendo che tra quello che dice il pentito e la verità c'è almeno lo spazio del riscontro; invece, se le nostre audizioni continuano ad essere come quella di Calderone, in realtà non vi è alcuna gestione da parte della Commissione delle posizioni assunte dai pentiti. Credo che questo sia il nostro problema. E' molto importante ascoltare personaggi ritenuti di grande attendibilità ma non possiamo dare per scontato che tutto ciò che viene detto sia vero né possiamo eccedere nello zelo e trasformare in fatti concreti quelle che sono soltanto cose sentite. Ritengo che mantenere un certo riserbo sulle audizioni di questo tipo giovi al lavoro della Commissione. Dovremmo perciò dichiarare segreta la seduta odierna ed affidare all'ufficio di presidenza il compito di riferire, attraverso una conferenza stampa, quello che si riterrà opportuno, mantenendo riservate le parti che debbono divenire materia di lavoro della Commissione. PRESIDENTE. Prima di dare la parola ad un oratore per gruppo su tale questione, informo i colleghi di avere inviato, il 12 novembre scorso - il giorno successivo all'audizione di Calderone - ai Presidenti di gruppo della Camera e del Senato e, per conoscenza, ai Presidenti della Camera e del Senato la seguente lettera: "Onorevole Presidente, alcuni colleghi appartenenti a diversi gruppi parlamentari hanno presentato atti idonei a provocare un dibattito d'aula in relazione a dichiarazioni rese a questa Commissione dal collaboratore della giustizia Antonino Calderone nel corso di un'audizione svoltasi l'11 novembre 1992. Tale audizione si inquadra in un'indagine sui rapporti tra mafia e politica che la Commissione a larghissima maggioranza dei suoi componenti ha formalmente deliberato di condurre e che concluderà, probabilmente, entro il prossimo mese di dicembre. E' di tutta evidenza che ogni elemento raccolto nel corso dell'indagine predetta dovrà essere sottoposto ad un rigoroso accertamento per valutarne fondatezza e idoneità e dar luogo a conclusioni di carattere politico. Al termine dei lavori la Commissione presenterà al Parlamento un'apposita relazione. Non sfuggirà certamente alla sua sensibilità che le iniziative parlamentari condotte sulla base di elementi acquisiti dalla Commissione prima che ne siano state valutate Pag. 344 fondatezza ed attendibilità rischiano di favorire, indipendentemente dalle intenzioni dei proponenti, distorsioni interpretative dannose per la reputazione di singole persone e per il lavoro stesso della Commissione. D'intesa con l'ufficio di presidenza ho ritenuto di sottoporre alla sua attenzione le considerazioni che precedono per le valutazioni che ella riterrà opportuno trarne. Prima di inviare questa lettera ho interpellato tutti i colleghi dell'ufficio di presidenza, ad eccezione dell'onorevole Tripodi con il quale, nonostante numerosi tentativi, non sono riuscito a mettermi in contatto. MASSIMO BRUTTI. Anche secondo me è giusto fare una valutazione prudente delle dichiarazioni rese dal collaboratore della giustizia Calderone e di quelle che renderà oggi il collaboratore Buscetta. Non si può non deplorare il fatto che l'audizione odierna sia stata in qualche modo resa nota da alcuni organi di stampa e poi ripresa "a cascata" da tutti gli altri. Stabilire a priori il segreto su quanto verrà oggi qui detto non è del tutto giusto poiché non sappiamo ancora come si svolgerà l'audizione. Peraltro, fissare un vincolo rigido di segretezza può accentuare la fuga di notizie, le indiscrezioni che l'uno o l'altro può lasciarsi sfuggire all'esterno. Direi quindi che, senza adottare un criterio generale rigido, possiamo ora ascoltare il collaboratore delle giustizia Buscetta, il quale probabilmente, come ha fatto Calderone, renderà spontaneamente una dichiarazione, alla quale seguiranno le domande predisposte dal presidente. La mia proposta è di procedere all'audizione riservandoci di decidere al termine di essa, sulla base di quello che avremo sentito, quali parti debbano essere poste sotto il vincolo della riservatezza e quali, invece, possano essere rese pubbliche senza difficoltà e senza problemi. Credo che, in generale, l'opinione pubblica abbia il diritto di conoscere notizie circa il funzionamento dell'organizzazione criminale della quale questi collaboratori ci parlano ed anche circa la rete di connivenze e di complicità. Tuttavia, se dovessero esservi motivi fondati per non rendere note alcune parti, potremo prendere tale decisione al termine dell'audizione. ROMANO FERRAUTO. Credo che l'iniziativa assunta dal presidente sia opportuna e la condivido, anche sulla base del ragionamento fatto poco fa dal collega Taradash circa l'attendibità delle affermazioni che vengono fatte. Dunque, intervenendo proprio nel merito della pregiudiziale Taradash, ritengo che debba essere rinviata al termine dell'audizione la valutazione in merito alle rivelazioni che potrà fare il pentito Buscetta, decidendo in quella sede quali parti possano essere comunicate alla stampa e quali, invece, meritino una riservatezza particolare. MARCO TARADASH. Saranno quelle che tutti conosceranno prima, allora! ROMANO FERRAUTO. Concordo con la proposta di mantenere segreta l'audizione, per poi valutare rapidamente i fatti alla sua conclusione. GIROLAMO TRIPODI. Desidero innanzitutto dare atto al presidente dell'iniziativa che ha preso e dichiarare che concordo con la posizione molto responsabile che ha assunto prospettando ai Presidenti delle due Camere l'inopportunità che nelle aule parlamentari si discuta di cose delle quali la Commissione antimafia si sta occupando. Detto questo, ritengo anch'io che dobbiamo evitare che quanto ascolteremo abbia eccessiva diffusione ed anche interpretazioni diverse. Ciò non toglie che alla fine dovremo trovare il modo di informare l'opinione pubblica nazionale, per evitare di trovarci poi di fronte a fughe di notizie che, invece, avrebbero potuto essere Pag. 345 date dalla Commissione. Condivido dunque la proposta, avanzata dal collega Brutti, di decidere al termine dell'audizione quali parti debbano essere mantenute segrete e quali possano essere rese pubbliche. Decideremo anche se affidare al presidente l'incarico di comunicare, eventualmente attraverso una conferenza stampa, quanto si ritenga giusto. Chiarito questo punto, desidero anche precisare che se ognuno di noi ha assunto le posizioni che riteneva opportune quando abbiamo varato il programma, adesso il lavoro che abbiamo deciso e che abbiamo iniziato a svolgere non può essere messo in discussione anzi, dobbiamo dimostrare in ogni momento molta serietà, per non trovarci di fronte ad un'oscillazione di posizioni che potrebbe ostacolare lo svolgimento stesso del lavoro che ci siamo proposto. ALTERO MATTEOLI. Non vi è dubbio che la pregiudiziale posta dall'onorevole Taradash abbia una forte motivazione. Ma devo essere sincero: senza offendere nessuno, ritengo ridicolo parlare di segretezza stamani, dopo quello che è accaduto da venerdì in poi. Neanche i rappresentanti di gruppo in Commissione - tra i quali rientro anch'io - erano stati informati su chi fosse il pentito che avremmo dovuto ascoltare oggi ed alcuni colleghi di gruppo - fortunatamente non si tratta del mio caso - sono arrivati a pensare che questi sapessero il nome ma non volessero dirlo. Dopo di che - altro che qualche indiscrezione! - abbiamo letto sui giornali ed ascoltato da radio e televisione tutte le notizie possibili sul "posto segreto". Aggiungo che non sono assolutamente d'accordo con la proposta di delegare all'ufficio di Presidenza il compito di tenere una conferenza stampa perché, non me ne vogliano i colleghi dell'ufficio di presidenza, ritengo che i maggiori responsabili di quanto è accaduto siano loro. Pensiamo anche al modo in cui è stato organizzato il nostro arrivo qui: siamo stati per mezz'ora davanti al palazzo di Montecitorio ad aspettare, come tanti ragazzini, un mezzo che ci conducesse in questa sede. Come tanti ragazzini, lo ripeto, mentre alcuni colleghi si sono alzati alle 4 o alle 5 del mattino per essere puntuali all'audizione! Quindi, non delego a nessuno la conferenza stampa e trovo assurdo che si parli di segretezza quando non siamo stati capaci di tenere segreta un'audizione così importante come quella odierna. Cosa vogliamo fare? Stabilire che la seduta sia segreta mentre poi ciascuno di noi - includo anche me - si rivolgerà al giornalista amico per fornire indiscrezioni? E' assolutamente fuori luogo il solo avanzare la proposta di seduta segreta, visto il comportamento che è stato tenuto. Dunque, che la seduta sia pubblica. Saranno i giornalisti a valutare ciò che vorranno o non vorranno scrivere e questa decisione sarà rimessa alla loro responsabilità, non a quella di qualcuno di noi. GIOVANNI FERRARA SALUTE. A me pare che non vi sia alcun bisogno di esprimere un giudizio critico sull'accaduto. Il dato di fatto è che queste cose non sono segrete, non possono rimanerlo e - per inciso - io mi chiedo anche se sia giusto. Dopo tutto, noi siamo parlamentari, responsabili verso il corpo mistico del Parlamento italiano; siamo gli eletti dal popolo, responsabili verso gli elettori e non capisco perché io, ad esempio, dovrei tenere nascosto ai miei elettori quanto ho saputo nell'esercizio dell'attività parlamentare. Ma questa è una questione di principio che non possiamo risolvere qui. In pratica, se dopo l'audizione odierna (prescindo dal fatto se essa debba tecnicamente essere segreta o meno, perché si tratta di una scelta importante ma secondaria) i componenti della Commissione faranno i misteriosi, per cui all'esterno si viene a sapere che in questa sede sono state dette alcune cose che la Commissione ha ritenuto di tenere segrete, il risultato sarà in primo luogo che queste cose diventeranno ugualmente pubbliche; e in secondo luogo, che si speculerà sul fatto che Pag. 346 la Commissione voglia tenerle segrete, quasi vi fossero comuni interessi inconfessabili da tutelare; in terzo luogo, si fantasticherà sulla base di ciò che verrà rivelato, per cui non avremo una realtà correttamente censurata ma del tutto deformata. A mio avviso, è perfino più pericoloso, sotto il profilo della serietà, cercare di mantenere il segreto. Esistono, invece, problemi più specifici: possono emergere in questa sede notizie che è necessario rimangano segrete per non intralciare la prosecuzione delle indagini giudiziarie; si tratta di una selezione che personalmente non sono in grado di fare e che più opportunamente potrà essere fatta solo in virtù di un rapporto con l'autorità giudiziaria che sta compiendo determinate indagini. In questo senso, e solo in questo senso, bisogna chiedersi cosa effettivamente possa essere utile non diffondere: a tal fine, ritengo che la presidenza possa avere l'autorità di operare una simile selezione; per il resto, mi rimetterei ad un rapporto responsabile ma realistico con l'opinione pubblica e con la stampa. LUIGI BISCARDI. Desidero associarmi ai rilievi che sono stati mossi in ordine all'ampia informazione che è stata data dell'audizione odierna. Da ciò conseguono due esigenze: da un lato, quella dell'informazione che dobbiamo fornire all'opinione pubblica che di certo attende notizie; dall'altro, quella della riservatezza da parte della Commissione, soprattutto per ciò che concerne alcuni aspetti che possono risultare importanti per le indagini in corso. Ho ascoltato l'intervento del collega Ferrara Salute e sono anch'io convinto che debba esservi un rapporto tra parlamentari ed opinione pubblica ma credo che la Commissione possa dare alla presidenza il mandato di redigere un comunicato ufficiale che indichi i passi cruciali dell'audizione, naturalmente con la cautela necessaria in occasioni come queste. MAURIZIO CALVI. Vorrei sottolineare che sotto il profilo istituzionale esiste un obbligo per tutti i membri della Commissione quando questa assuma i poteri della magistratura; in questo senso, non vi è dubbio che, nel momento in cui agiamo come una Commissione d'inchiesta, il requisito della riservatezza deve essere ancor più assicurato. Il secondo aspetto riguarda il fatto (previsto dalla legge) che i commissari sono tenuti all'obbligo della riservatezza e sono sottoposti a tutte le conseguenze, anche di carattere penale (lo dico tra virgolette), nel momento in cui questa venga meno. Si devono fare valutazioni non solo politiche ma anche di ordine istituzionale e queste ultime debbono risultare assorbenti in questa fase, altrimenti si corre il rischio di far venir meno gli effetti del lavoro compiuto dalla Commissione ai fini della relazione conclusiva che essa presenterà al Parlamento. A mio avviso, in questa fase si rafforza l'elemento della riservatezza, nel senso che i membri della Commissione sono tenuti ad offrire all'esterno valutazioni in qualche modo contenute. Se riuscissimo a mantenere la riservatezza di cui ho detto, certamente aumenterebbe anche l'interesse del paese nei confronti del nostro lavoro (un lavoro più esposto di altri, proprio per il carattere particolare della materia) e la considerazione nei confronti della Commissione. Per tali ragioni, riterrei opportuno in questa fase mantenere la segretezza dei nostri lavori, fermo restando che al momento della predisposizione della relazione finale sarà possibile offrire all'opinione pubblica una serie di elementi di carattere generale. Sotto tale profilo, condivido l'osservazione del collega Taradash relativamente all'obbligo della riservatezza, salvo un giudizio di carattere generale che potrà in seguito essere espresso. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Concordo con l'onorevole Taradash e con gli argomenti da questi portati, argomenti che non ripeterò. Mantenere la riservatezza mi sembra doveroso, anche perché Pag. 347 tra ciò che viene affermato qui e l'effettiva verità vi è tutto l'aspetto del riscontro, che impone l'obbligo della riservatezza. Probabilmente abbiamo fatto male a non porci il problema già in occasione dell'audizione di Antonino Calderone. Se poi qualcuno verrà meno all'obbligo della riservatezza, diremo che egli ha violato una regola etica: non possiamo sostenere l'opportunità di fare a meno della riservatezza in ragione del fatto che qualcuno la violerà. Per quanto riguarda la conferenza stampa, riterrei più sensato decidere se e come tenerla alla fine dell'audizione odierna, valutando anche l'eventualità di diramare un comunicato. MASSIMO SCALIA. Non ripeterò le osservazioni del collega Ferrara Salute, che condivido puntualmente. Ritengo che la questione della riservatezza vada affrontata dal punto di vista metodologico, a meno che nello stabilire cosa sia riservato non ci si voglia riferire al buon senso e ad elementi pragmatici. A proposito del segreto istruttorio - problema sollevato dal collega Ferrara - proporrei al presidente di sottoporre alla Commissione, dopo lo svolgimento dell'audizione, quali aspetti di essa possano configurare ipotesi ricadenti sotto la fattispecie del segreto istruttorio, che è il solo che in qualche modo mi fa sentire vincolato a certi comportamenti. Tutto il resto, infatti, mi sembra francamente assai poco definito. Ad esempio, può configurare riservatezza una conferenza stampa, da chiunque indetta? Dobbiamo, quindi, decidere anche su questi aspetti del problema perché altrimenti, se tutto non viene definito in modo preciso, l'unico limite che possiamo porci - lo ripeto - è quello del segreto istruttorio. ALFREDO GALASSO. Ritengo che le complicazioni nascano da un errore iniziale, quello di aver deciso di ascoltare i pentiti mentre sono in corso indagini giudiziarie. E' inutile, quindi, star qui a stracciarsi le vesti. La questione che ora ci si pone è quella della sicurezza che può scaturire sia dalla segretezza sia dal suo contrario, vale a dire dal massimo della trasparenza. Poiché non credo che la responsabilità sia dell'ufficio di presidenza o del presidente, dico subito che sono stupefatto di quanto è accaduto: non riesco a capire per quale motivo un'audizione, che avrebbe dovuto essere segreta per ragioni di sicurezza, sia stata pubblicizzata in un modo tanto eccessivo, con un contorno di dichiarazioni e di aspettative tali da rappresentare - e lo dico senza esitazioni - quasi una provocazione. Siccome, sulla base della mia esperienza, considero ciò nient'affatto casuale, mi riservo di chiedere una discussione approfondita nel merito, che vada al di là della protesta per il modo in cui è stata platealmente pubblicizzata l'audizione di oggi. Ritengo che vi sia qualcosa di più profondo, che va analizzato e puntualmente approfondito. Una volta superate, mi auguro senza danno, le conseguenze di questa grave negligenza della disciplina della sicurezza, non penso ci sarà alcuna ragione - non foss'altro che per non creare disparità di trattamento in tutte le direzioni - per svolgere un'audizione segreta. Sul punto si potrà eventualmente decidere dopo, ma il mio parere è nettamente contrario perché si stanno "pasticciando" mille cose: la sicurezza, il riserbo, il riguardo dovuti alle persone che eventualmente potranno essere nominate, le aspettative che possono essersi create. Stando così le cose, sul piano politico-istituzionale la migliore difesa per la Commissione è proprio quella della visibilità, della trasparenza, quindi della pubblicità. Ritengo necessario, signor presidente, sottolineare l'assoluta opportunità di una riflessione - anche prima dell'epoca prevista - su queste vicende, in particolare sulla natura delle rivelazioni dei cosiddetti pentiti. Abbiamo infatti il dovere di fare chiarezza sul piano politico-istituzio-nale: non è possibile che i pentiti vengano immediatamente creduti, allorquando si tratta di accusare 200 o 300 persone, che poi vanno in galera, mentre quando si Pag. 348 parla di politici o di magistrati, altrettanto immediatamente vengono considerati inattendibili. Così non va assolutamente bene! Ed è questione, presidente, che ci riguarda direttamente, perché è politica ed istituzionale e non giuridica. Ribadisco, quindi, la necessità di affrettare i tempi di un dibattito sul tema, magari attraverso la fissazione di una seduta straordinaria. Concludendo, desidero precisare che concordo soltanto sulla prima parte della lettera inviata dal presidente ai Presidenti delle Camere e non sulla seconda perché, a mio avviso, ciascun parlamentare deve assumersi - se non viola alcuna norma di legge - la responsabilità di presentare le interpellanze che crede avendo il diritto e il dovere di valutare ed in qualche caso di esplicitare quanto ha ascoltato: singolo o gruppo che sia. ALFREDO BIONDI. L'atmosfera da "gita scolastica" di questa mattina ha davvero un po' turbato tutti perché abbiamo avuto la sensazione - o almeno l'ho avuta io - che la riservatezza quanto meno non fosse accompagnata al genio dell'organizzazione. Elevo una formale protesta, perché è perfettamente inutile pretendere da noi comportamenti coerenti, seri e riservati dopo ciascuna audizione quando sui giornali si legge quel che si legge. Stamani ho telefonato a mia moglie per dirle che andavo a una riunione un po' segreta; lei mi ha risposto: "La Gazzetta del lunedì dice che interrogate Buscetta". Siccome è l'ultimo giornale in Italia ad avere le notizie fresche, ciò significa che la notizia era davvero stagionata! Queste situazioni francamente dispiacciono perché creano il problema opportunamente posto dal collega Ferrara, vale a dire fino a che punto si possa tenere nascosta una cosa di cui la gente si aspetta di aver contezza ed oltre quale limite l'esigenza di dar conto delle azioni che ciascun parlamentare compie - anche nella sua qualità di rappresentante di interessi e di valori - non impinga nelle realtà processuali, nella reputazione delle persone; aspetto, questo, non certamente trascurabile ed opportunamente richiamato dal collega Galasso quando sottolineava il valore delle parole di chi accusa tutti o qualcuno, sceglie le accuse stesse, utilizza gli spazi vuoti che gli si presentano magari per levarsi qualche soddisfazione personale e forse non solo personale, visto che molte volte le domande sollecitano le risposte. Basta leggere i verbali e chi li legge per mestiere sa benissimo che certe cose vengono fuori a seconda delle sollecitazioni che si fanno, mentre altre invece si glissano, sicché appare un aspetto piuttosto che un altro o per lo meno non appare tutto ciò che noi vorremmo invece dimostrare esistere per essere fonte di prova. Ci troviamo, dunque, di fronte a questo problema: possiamo limitare le notizie quando il consesso di cui mi onoro di far parte è così numeroso e non controllabile sul piano personale, politico e parlamentare? Diceva bene il collega Galasso allorquando si chiedeva fino a che punto ciascuno possa contenere i propri doveri di esplicitazione. Non ho risposta per la domanda che ho posto, ma posso portare il contributo della mia esperienza. Ho fatto parte della Commissione di inchiesta sugli eventi del giugno-luglio del 1964, cioè della cosiddetta "Commissione SIFAR". Anche allora si interrogavano persone molto importanti o presunte tali in ragione della loro collocazioni in settori della vita militare, politica ed amministrativa. Onestamente devo dire che tutti hanno ottemperato all'impegno di non dir mai nulla. Non dimentichiamo, inoltre, che in processi anche molto gravi, sui quali le notizie sono molto attese, i giudici - che sono pure numerosi in camera di consiglio, come capita nelle giurie popolari - non raccontano di certo quello che è accaduto in tale sede. Penso che tutti noi si debba assumere l'impegno d'onore che alcune cose - che possiamo individuare a conclusione del l'au dizione - non vanno dette perché, come diceva il professor Biondi (mio omonimo ma non parente) "'un è utile e 'un si pole". Chi le dice commette un Pag. 349 fatto disdicevole sul piano etico, come ha sostenuto poc'anzi la collega Fumagalli Carulli. Oppure diciamo che siamo tutti liberi, ma non procediamo alle "somministrazioni" parziali attraverso un comunicato, accompagnato dalle dichiarazioni del più disinvolto tra noi. Procedere in tal modo è pericoloso, incontrollabile e fa correre il rischio di dare una valutazione strumentale che può indebolire le conclusioni finali alle quali si perverrà. Senza un'analisi, uno studio, una "camera di consiglio" al termine della quale esprimere un giudizio complessivo, si corre il rischio di svolgere un lavoro inutile e dannoso. Dunque, si cominci da oggi, perché l'audizione precedente è stata ampiamente considerata un esperimento da non ripetere, sia dagli organi di stampa sia dalle interrogazioni parlamentari presentate. Questa è la mia opinione, che non intendo imporre agli altri: esorto però a decidere, assumiamo impegni precisi - stavo per dire da "uomini d'onore", ma in questa sede non è conveniente! - da persone perbene, e rispettiamoli. Per il resto, affidiamo all'ufficio di presidenza il compito di fornire le notizie che non interessano a nessuno: l'opinione pubblica vuole vedere l'iride, non vuole meline, vuole capire che cosa è davvero successo. Ma se ciò non può essere detto perché crea problemi alle indagini o alle persone, assumiamo l'impegno di non dirlo. Per quanto mi riguarda, assumo tale impegno pur essendo tra i più loquaci, come ho dimostrato sempre. FERDINANDO IMPOSIMATO. Ho già avuto occasione di manifestare le mie perplessità sulle audizioni dei collaboratori della giustizia perché temevo si verificasse quanto puntualmente sta accadendo. Tuttavia, una volta deciso di ascoltare i collaboratori della giustizia considerata la disponibilità dei magistrati a permettercelo, credo che il rischio di interpretazioni, falsificazioni o strumentalizzazioni delle dichiarazioni di Buscetta, e degli altri che incontreremo, non possa essere assolutamente evitato. Non penso che l'impegno di non parlare possa essere rigorosamente mantenuto, perciò ritengo che l'unica possibilità di evitare strumentalizzazioni sia di dare pubblicità all'audizione di Buscetta. In proposito, vorrei richiamare alla vostra attenzione un particolare importante: quando sono stati emessi i mandati di cattura nei confronti di taluni mafiosi a seguito delle dichiarazioni di Marchese e Mutolo, la stampa era in possesso della copia dell'ordinanza di custodia cautelare che saggiamente, secondo me, la polizia giudiziaria - d'accordo con i magistrati - aveva consegnato. E' stata proprio la possibilità data alla stampa di leggere le dichiarazioni ad evitare quegli interventi strumentali che senz'altro si sarebbero verificati. Ritengo sia possibile impedire la strumentalizzazione delle dichiarazioni di Buscetta solo consentendo alla pubblica opinione di partecipare all'ascolto delle dichiarazioni dei pentiti, come del resto avviene negli Stati Uniti d'America, dove le audizioni dei mafiosi vengono trasmesse in televisione. Ovviamente, ciò non significa che le dichiarazioni rappresentino il Vangelo, perché devono essere verificate e riscontrate, ma questo è un lavoro che svolgeremo noi da una parte ed i magistrati dall'altra. Ciò non toglie, ripeto, che così facendo si eviterà a qualcuno di noi il ricorso a dichiarazioni strumentali, parziali o faziose sulle affermazioni di Buscetta. PRESIDENTE. Mi rincresce per l'inconveniente segnalato dai colleghi Biondi e Calvi che, devo dirlo, non è dipeso dagli uffici del Parlamento, in quanto del trasferimento dei parlamentari si erano incaricati gli uffici di polizia. Anzi, la Camera è intervenuta con una certa rapidità per mettere a disposizione mezzi e consentire ai parlamentari di giungere in tempo. Ci attiveremo affinché per il futuro non si ripetano più questi fastidiosi inconvenienti. Pag. 350 Per quanto riguarda la questione di merito, sono state avanzate diverse proposte: quella di procedere in seduta segreta - che a norma di regolamento deve essere sostenuta da cinque membri della Commissione - sarà posta immediatamente in votazione, salvo la possibilità, in una successiva verifica, di valutare quali parti dell'audizione possano essere rese pubbliche. Voglio dire ai colleghi che a conoscenza dell'audizione del signor Buscetta erano formalmente i capigruppo, i componenti l'ufficio di presidenza (ai quali è stato consegnato venerdì un riassunto delle dichiarazioni di Buscetta), gli uffici di polizia che trattano con il signor Buscetta, e che non avevano alcun interesse a divulgare la notizia, nonché alcuni uffici giudiziari. Devo altresì ricordare alla Commissione che, a seguito d'intese intervenute con le autorità giudiziarie di Palermo, non verrano poste domande su due specifiche questioni su cui sono in corso indagini preliminari da parte di quell'autorità. Per il resto, l'autorità giudiziaria palermitana non ha posto difficoltà né sulla forma né sull'estensione dei quesiti. ALTERO MATTEOLI. Signor presidente, non ho ben compreso di quali questioni si tratti. PRESIDENTE. Infatti, non le ho riferite essendo materia di indagine. Forse non mi sono spiegato: l'autorità giudiziaria di Palermo ha chiesto di non porre domande su due questioni che naturalmente ha indicato ma che per delicatezza io non dirò. GIUSEPPE MARIA AYALA. E' corretto muoversi in tal senso. ALFREDO GALASSO. L'autorità giudiziaria di Palermo dice a noi che cosa dobbiamo o non dobbiamo chiedere? ALTERO MATTEOLI. Se non sappiamo di che cosa si tratta, rischiamo di porre al signor Buscetta proprio queste domande. PRESIDENTE. Semmai, onorevoli colleghi, pregherò di non insistere su una particolare domanda. E' lo stesso criterio seguito la volta scorsa. Nella prima parte dell'audizione verranno poste alcune domande al signor Buscetta, poi seguirà una sospensione. Il signor Buscetta uscirà dalla sala in cui ci troviamo e i colleghi potranno formalizzare altre domande da porre. A quel punto, se tra le domande che i colleghi formuleranno rientrerà anche la materia indicata dai giudici di Palermo, pregherò i colleghi di non insistere. ALFREDO GALASSO. Insisto affinché al termine della seduta si svolga una discussione, perché non si può andare avanti così. ALFREDO BIONDI. Non credo che i magistrati possano dirci quello che dobbiamo fare. E' un questione di principio! PRESIDENTE. Può darsi, ad ogni modo, che non venga posta alcuna domanda sulle questioni indicate dalle autorità giudiziarie di Palermo. ROMEO RICCIUTI. Siamo avvisati per il futuro. ALTERO MATTEOLI. Signor presidente, vi un'altra questione che intendo evidenziare. Siamo tutti membri della Commissione, con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Il presidente non può essere a conoscenza di notizie diverse rispetto a quelle note agli altri commissari, altrimenti si tratta di una gestione personalistica, che non possiamo accettare. PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di svolgere in seduta segreta l'audizione del signor Tommaso Buscetta. Al termine dell'audizione, decideremo se e secondo quali modalità rendere pubbliche alcune parti della medesima e in che modo dare informazioni all'esterno. (La Commissione approva). Pag. 351 (E' accompagnato in aula il signor Tommaso Buscetta). Audizione del collaboratore della giustizia Tommaso Buscetta. PRESIDENTE. Signor Buscetta, le chiedo di declinare le sue generalità. TOMMASO BUSCETTA. Mi chiamo Buscetta Tommaso, sono nato a Palermo il 13 luglio 1928. PRESIDENTE. Intende svolgere una dichiarazione preliminare? TOMMASO BUSCETTA. Sì, preferirei: sono stato invitato, negli ultimi anni, dalla Commissione del Senato americano sulla criminalità ed anche lì mi hanno chiesto di preparare una relazione prima di presentarmi a loro, in modo che avrebbero potuto farmi delle domande sulla mia relazione. Così ho fatto. Se voi volete, posso fare così. PRESIDENTE. Ha già preparato una relazione? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Va bene, la esponga. TOMMASO BUSCETTA. Premetto che sono un uomo libero. Non ho più nessun conto da regolare con la giustizia. La mia presenza in questa sala è volontaria; non avrò più sconti di giustizia, non dovrò particolari ringraziamenti. Vengo in nome di quella causa che abbracciai nel 1984. Credo fermamente che l'apporto dei collaboratori, così come è visto oggi, sia una cosa molto importante. Non perdetelo di vista: è una cosa che mai si era verificata in un processo siciliano, cioè di avere collaborazione da parte di gente appartenente a Cosa nostra. Vorrei chiarire - datemi l'opportunità di dire - che alcuni giornali, qualche politico parlano di suggerimenti. Non sono stato mai "suggerito" da nessuno. E' una cosa che mi offende. Io ho suggerito agli altri, non sono stato mai "suggerito" ed ho scelto una mia linea di condotta indipendentemente dai suggerimenti che mi potessero arrivare. Che sia ben chiaro. Perché si deve sfatare questa continua rincorsa: il politico al giornale, il giornale al politico, il politico al giornale e si fanno dei processi su cose inesistenti. Vorrei che questa mia presenza, per lo meno desidererei...scusate il mio italiano che è quello di un uomo che ha fatto la quinta elementare e certe volte fa confusione; questi sono i miei limiti. Vedo molto consenso oggi. La morte dei due giudici ha dato la possibilità che lo Stato italiano si svegliasse da quel torpore che l'ha sempre accompagnato, dal 1984 fino a pochi mesi fa, e desse quel contributo che doveva dare come forze di Stato per combattere il fenomeno mafioso. Il fenomeno mafioso non è comune, non è il brigatismo, non è la solita criminalità di cui la polizia si intende (e la combatte bene). Il fenomeno mafioso è qualcosa di più importante della criminalità: è la criminalità più l'intelligenza e più l'omertà. E' una cosa ben diversa. Un altro punto per me importante - ho fatto una scaletta e se non faccio bene, vi prego di scusarmi - è che è difficile per chi collabora con la giustizia puntellare le sue accuse con prove certe. Le accuse mafiose rimangono sempre nell'ambito mafioso, cioè omertose: quello che dico a te non lo dirai ad altri. Allora, quando avviene questo rapporto fra me e la persona a cui si rivolge il mafioso, sono cose che rimangono tra me e lui, cioè che non dovrò riferire neanche ai miei più diretti amici. Quando poi negli anni si parlerà di queste cose, quali sono le cose che potrà sostenere un collaboratore della giustizia? Potrà dire: io so questo. Sta a voi stabilire fino a dove arriva la prova per parlare di queste cose. Perché altrimenti nessuno parlerà mai più a favore della giustizia, perché diventa una cosa molto ridicola. Certamente mi domanderete perché fino a Pag. 352 pochi mesi fa non avevo parlato di politica; vi prevengo e rispondo subito: il giudice Falcone - che in pace riposi - venne molte volte negli Stati Uniti per chiedermi se fossi già pronto per parlare di politica. Credo che sia venuto tre volte e sempre ho risposto di no, fino a pochi mesi fa; se fosse ancora vivo il giudice Falcone, io risponderei di no, perché le sentenze ... A me non interessa se l'imputato venga condannato o no, è una cosa che non mi interessa, a me interessa però che quando pure in tribunale riescono a fare una sentenza che poi arriva a Roma e sento che il processo ricomincia tutto da capo, non capisco più niente, rimango nella mia ignoranza e dico: ma cosa succede? Cosa è successo di nuovo? Perché lo Stato italiano non vuole combattere la mafia, questo è il mio modesto parere. Quindi quando Falcone mi domandava, io ero sicuro che dovevo rispondere di no. Questa scelta non era mai stata condivisa dal giudice Falcone, perché egli voleva la mia collaborazione fra mafia e politica e io avevo sempre detto "no", anche all'avvocato Galasso, parte civile nel maxiprocesso. Ho avuto la possibilità di leggere un documento nella rivista Avvenimenti sull'incontro fra me ed il giudice Falcone agli inizi di quest'anno. Credo che tutti voi conoscevate la dignità morale del giudice Falcone, tutti voi conoscevate la persona seria, la persona battagliera, ma era una persona che seguiva i canoni e la rigidezza della legge, egli non deviava. Il giudice Falcone venne molte volte a trovarmi negli Stati Uniti, ma sempre in compagnia di altri giudici e di poliziotti, mai solo. Ho avuto incontri con il giudice Falcone; non ho avuto telefonate con il giudice Falcone, io avrò telefonato al giudice Falcone negli anni 1986-1987. Da quell'epoca non ho mai più telefonato al giudice Falcone e lui neppure a me, perché non sapeva a quale numero trovarmi. Ma c'è di più: questo documento è falso perché dice che l'FBI ha registrato quello che io ho detto al giudice Falcone. E' stato commesso un grossolano errore: io non sono mai stato con l'FBI, io sono stato con l'FBI nel primo periodo, cioè fino a Natale 1984; dopo quel periodo sono stato preso in consegna dalla DEA e affidato a un uomo della DEA e anche quando dovevo parlare col giudice Falcone nel Dipartimento di giustizia americano, lo incontravo con la DEA. Quindi questa notizia sull'FBI è falsa. Che cosa è cambiato dopo la morte del giudice Falcone e Borsellino? E' cambiata una predisposizione nuova, un interessamento maggiore, una volontà a fare meglio di come si è fatto fino a pochi mesi fa; quindi mi trovo pronto alla collaborazione. Oggi in questa sede non ho nessuna intenzione di fare nomi di politici, non ho nessuna intenzione di sollevare polveroni; ho intenzione di farli e li farò ai giudici i quali non solleveranno polveroni, faranno indagini ed il nome del politico verrà fuori quando sarà opportuno che ciò accada. E' assurdo che si debba sentire che Buscetta Tommaso parla a ruota libera con la trasmissione seguita, per poi domani sentirmi denunziare per calunnia. Non voglio essere calunniato e non calunnio. Le mie sono verità, ma quelle mie; se poi posso provarle o no, sarà competenza della giustizia appurare se le mie dichiarazioni siano vere o no. E' mia convinzione che con le opportune inchieste giudiziarie, con il mio apporto - perché sono totalmente a disposizione - si potrà scoprire effettivamente questo rapporto. Non è il terzo livello, signori, scordatevelo: non esiste il terzo livello. Con il giudice Falcone abbiamo fatto delle lotte non comuni ma per me non è mai esistito e non esiste il terzo livello. Non vi sono politici che ordinano i mafiosi; non esiste questa possibilità e non è mai esistita. Il mafioso ha usato il politico e non viceversa. Avevo preso un appunto ma è di questa notte e quindi ero un po' assonnato; avevo scritto: "Lo Stato sa fare molto bene i funerali di Stato". Ho visto alla fine degli anni settanta, quando ero carcerato a Cuneo insieme con i terroristi, tutte le forze politiche Pag. 353 italiane convergere senza corrente, né di sinistra né di destra, per combattere il fenomeno terroristico. Perché questo non è stato fatto per la mafia? E' quello che mi domando, è quello che domando a voi politici. Perché non è stato fatto? Perché ancora ci sono le correnti per nominare un giudice, per fare un superprocuratore? E' perché non si vuole combattere o perché vi siete abituati a stare insieme ai mafiosi? I mafiosi non guarderanno in faccia nessuno; chi non farà a loro comodo è destinato ad andarsene, ora o più tardi. Convincetevi, signori miei, convincetevi: il fenomeno mafioso non è solo criminale, è un fenomeno che porta molto più lontano di quello criminale. I mafiosi non fanno volantini, non scrivono al compagno. I mafiosi hanno intese con qualunque ceto della società. Il mafioso sa accedere a tutti i livelli. Prima di finire voglio dire soltanto una cosa a me molto cara. Per me la morte del giudice Falcone e del giudice Borsellino non è la solita morte di una persona comune; per me è stata qualcosa di più. Il giudice Falcone per me era il faro di questa lotta contro la mafia: lo Stato italiano non si è reso conto di chi fossero il giudice Falcone e il giudice Borsellino; non li hanno valutati, li hanno denigrati, specialmente il giudice Falcone. Io so leggere bene tra le righe ed ho in questo un'esperienza che vorrei trasmettere ad altri. Non so spiegarmi bene a parole, ma ho molta esperienza. Ho visto la delusione negli occhi del giudice Falcone tutte le volte che l'ho incontrato, ma egli sempre rideva. L'hanno accusato di essere una primadonna, anch'io lo sapevo che l'accusavano di essere una primadonna: ma era una primadonna che lavorava, era una primadonna che voleva seriamente combattere la mafia. Se era primadonna, lo era per questa ragione, non certo per andarsene a casa a vivere tranquillo e sfoggiare la sua consapevolezza nei ristoranti o nei night. Era una primadonna che viveva come un carcerato. E' a lui che nasce l'idea della superprocura, è a lui che nasce l'idea della DIA. Signori miei, sosteneteli; li avete gli ordini. Per me - per me, sottolineo - la mafia sta rantolando. L'ho detto anche al dottor Biagi nella mia intervista: per me la mafia sta rantolando. Ha bisogno di sentire che lo Stato non ne può più ma voi siete vicini a vincere. Resterà la criminalità, quella criminalità che la polizia saprà come combattere; ma la mafia è sull'orlo del fallimento: approfittatene. Ho finito, grazie. PRESIDENTE. La ringrazio, signor Buscetta. Prima di passare alle domande, desidero informarla che la Commissione ha deciso di procedere in seduta segreta a questa audizione, riservandosi poi di decidere alla conclusione se rendere pubbliche alcune parti e quali. Lei, interrogato il 1^ febbraio 1988 dal giudice Falcone, disse, tra l'altro, che il nodo cruciale del problema mafioso è costituito dal rapporto mafia-politica, cui ha fatto riferimento anche in questa sua esposizione. Può spiegare alla Commissione parlamentare il significato di tale affermazione? TOMMASO BUSCETTA. Come significato o come personaggi? PRESIDENTE. Cosa significa l'affermazione che il rapporto mafia-politica è tanto importante? TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto voglio dire una cosa. Non so se rispondo bene, ma siamo qui e possiamo andare avanti fino all'eternità, non ho il problema di far presto. Fin dagli anni nei quali si costituì la nuova Repubblica italiana e si formarono i partiti, la mafia votò sempre, anche per lo spauracchio che c'era - ci fu sempre, in tutte le epoche - del comunismo, dalla democrazia cristiana tutto a destra, senza il partito fascista, perché questo era un altro partito da non votare. Si aveva la possibilità di scegliere il candidato: cioè io potevo appoggiare un candidato della Pag. 354 democrazia cristiana ed un altro poteva appoggiare un altro signore di un altro partito ma sempre dal lato destro. Quindi noi non abbiamo mai votato partiti di sinistra. Non mi parlate del 1987 o del 1989 perché credo che già sappiate la risposta. Ma negli anni precedenti si è sempre votato dalla democrazia cristiana fino al limite del partito fascista italiano. Non so se ho risposto perché non ho capito bene la domanda. PRESIDENTE. Questo l'abbiamo capito. Lei sostiene che il problema più importante è dato proprio dal rapporto tra mafia e politica, più importante del rapporto tra mafia e finanza, più importante del rapporto tra mafia ed altri strati della società. E' così o no? TOMMASO BUSCETTA. Io credo di sì. PRESIDENTE. Può spiegare perché è così importante? TOMMASO BUSCETTA. Il mafioso ha sempre cercato - naturalmente dico fino al 1984, perché la mia vita si è fermata lì, quindi devo dire fino ad allora e non posso parlare di oggi - ed aveva l'appoggio politico del personaggio che a lui interessava per tutte le cose che si sarebbero svolte, non parliamo processualmente, perché allora non esistevano i processi o i processoni, ma per le deleghe per una importazione. Io stesso nel 1963 ero un importatore di burro a Milano, quindi anch'io avevo i miei politici ai quali rivolgermi per avere le licenze per l'importazione; quindi sto parlando in prima persona. Non dobbiamo pensare al processo, dobbiamo pensare a tutto quello che può essere inerente anche commercialmente. Quindi ogni candidato vendeva la sua disponibilità elettorale contro i voti. Punto e basta. Credo di non avere altro da aggiungere. PRESIDENTE. Può fare alla Commissione esempi concreti di favori ricevuti da politici? Lei adesso ha parlato di licenze di commercio, può fare altri esempi? TOMMASO BUSCETTA. Non possiamo aspettare che siano i giudici istruttori a comunicare questo a voi? PRESIDENTE. Io le ho chiesto esempi, non di indicare quella licenza o quel favore. TOMMASO BUSCETTA. Ho già fatto il mio personale esempio per quanto riguarda l'importazione di burro. Nel 1963 (non so se è ancora così) lo Stato concedeva delle licenze di importazione, cioè misurava l'importazione, dava 200 tonnellate a te, 250 tonnellate a lui e quindi era una bolgia per vedere chi poteva ottenere la licenza e chi poteva fare questo. Io no: quindi avevo bisogno di qualcuno che mi rappresentasse, in politica. PRESIDENTE. Per quanto lei ne sa, a parte le importazioni, gli appalti rientravano in questa logica? TOMMASO BUSCETTA. L'importazione delle banane è un'altra cosa, e non è il maxiprocesso in cassazione. E' l'importazione delle banane: io sapevo dell'importazione delle banane. Questi sono gli esempi che posso portare. Ma queste cose vanno dette in una maniera che si possa indagare prima di sollevare polveroni e fare preparare a chi sarà indagato ... facendo la figura di ... PRESIDENTE. Gli appalti rientravano in questa logica? TOMMASO BUSCETTA. Certo. PRESIDENTE. Quali erano i suoi rapporti con Badalamenti e con Antonio Salamone? TOMMASO BUSCETTA. Sotto quale aspetto? Perché erano buoni con tutti e due. Pag. 355 PRESIDENTE. Di che tipo di rapporto si trattava? Era un rapporto di confidenza, le parlavano, sia pure come avviene tra uomini d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Sì, sì. Avevo con tutti e due un rapporto molto buono. Con Badalamenti prima degli anni 1975-76; poi nuovamente, perché mi faceva pena come era stato trattato nel 1980. PRESIDENTE. Perché Badalamenti fu accantonato, è vero? TOMMASO BUSCETTA. Fu accantonato. Credo nel 1978. PRESIDENTE. Sì. TOMMASO BUSCETTA. Con Salamone sempre buoni, fino al 1984, s'intende. PRESIDENTE. Salamone era uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Era rappresentante... PRESIDENTE. Di quale famiglia? TOMMASO BUSCETTA. San Giuseppe Iato. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione la struttura di comando di Cosa nostra? Come funziona Cosa nostra secondo ciò che lei sa? TOMMASO BUSCETTA. La struttura di Cosa nostra come commissione, come famiglie? PRESIDENTE. Sì. TOMMASO BUSCETTA. Le famiglie sono riunite a tre a tre ed esprimono un capo mandamento. Il capo mandamento è la persona votata dalle tre famiglie per rappresentarle nella commissione. Quindi, noi abbiamo le famiglie, un capo mandamento che rappresenta tre famiglie e una commissione. Dopo la commissione c'è la commissione interprovinciale, che è costituita dai rappresentanti delle province di Palermo, Catania, Caltanissetta, Agrigento e Trapani. Questa è la commissione interprovinciale, che sta sopra la commissione provinciale. PRESIDENTE. Quali sono i compiti della commissione interprovinciale? TOMMASO BUSCETTA. La commissione interprovinciale tratta problemi che vanno al di sopra dell'interesse della piccola borgata. Se si dovesse decidere (è solo un esempio) un colpo di Stato, si riunirebbe la commissione interprovinciale. PRESIDENTE. Chi comanda davvero nella commissione interprovinciale? Hanno tutti lo stesso peso o c'è qualcuno che comanda di più o di meno, per quello che lei sa? TOMMASO BUSCETTA. Facciamo da uno a dieci: Palermo 10, Agrigento 8, Trapani 8, Caltanissetta 6, Catania 4. PRESIDENTE. Quando dice Palermo, a chi intende riferirsi in particolare? TOMMASO BUSCETTA. Intendo dire la provincia di Palermo. PRESIDENTE. Ma all'interno di questa provincia quale gruppo ha più peso? TOMMASO BUSCETTA. Oggi io ... PRESIDENTE. Più o meno peso nell'evoluzione dei tempi? TOMMASO BUSCETTA. Se devo rispondere per oggi, sono i corleonesi. PRESIDENTE. Da quando hanno cominciato la loro ascesa? TOMMASO BUSCETTA. E' complessa questa domanda; beh, io posso rispondere. Pag. 356 La loro ascesa - escalation, direbbero gli americani - è cominciata nel 1963. PRESIDENTE. Con la strage di Ciaculli? All'epoca di quella strage? TOMMASO BUSCETTA. Sì; si sono sciolte tutte le famiglie. PRESIDENTE. Perché si sono sciolte le famiglie? TOMMASO BUSCETTA. Perché la polizia a quell'epoca fece sul serio, veramente, mandò in galera tutto il fior fiore e disturbò gli altri mandandoli al confino. Quindi, mancando a quell'epoca quella che era la sfera più alta, la commissione, che era già stata costituita da Salvatore Greco, detto Cicchitedda, si sbandò. Allora, si sciolsero tutte le famiglie, anche perché fu poi la volontà di un tale Cavataio Michele che si sciogliessero tutte le famiglie per riformarle secondo come lui aveva pensato nei lunghi anni che aveva passato in carcere. Ma nel 1963 il Cavataio si era reso responsabile di una cosa gravissima: aveva messo delle bombe in una macchina ed erano morti dei poliziotti ed anche gente civile. A Villabate, per esempio, è morto un fornaio; la bomba era destinata ad un certo Li Peri, ma il Li Peri non scese di casa, passò il fornaio, vide la portiera della macchina aperta e la chiuse. A quell'epoca fu ritenuta una cosa molto grave da parte del Cavataio usare bombe come potrebbero averle usate i terroristi degli anni settanta. Da parte di tutti, all'unanimità (escluso solo il gruppo di Cavataio), fu giudicato che loro avrebbero dovuto pagare, fosse anche tra cento anni, quello che avevano commesso. La guerra si era svolta tra di noi negli anni 1963 e la sola cosa che era uscita fuori dai binari era stata la morte dei poliziotti e di quel civile di Villabate, e fu uno scandalo per Cosa nostra. Ora, invece, i corleonesi possono mettere le bombe per fare saltare in aria i giudici: questa è la loro Cosa nostra, la nuova Cosa nostra. Morendo il Cavataio, loro hanno perduto un uomo in quell'azione, Bagarella. Approfittando dell'allontanamento di Salvatore Greco detto Cicchitedda, nonché dell'allontanamento mio, di Badalamenti e di Stefano Bontade, loro imposero che la nuova commissione fosse costituita da tre persone: Salvatore Riina in sostituzione di Liggio... PRESIDENTE. Che era in galera? TOMMASO BUSCETTA. No, non era in galera, era molto ammalato, aveva un problema di reni, di vescica. Oltre a Salvatore Riina, Badalamenti e Bontade. Ma da questo momento ha inizio veramente la lotta contro tutti gli amici di Salvatore Greco, perché egli era responsabile di aver chiesto a Luciano Liggio negli anni sessanta perché avessero ammazzato Navarra. Qui noi andiamo a fare la storia e non so se abbiamo il tempo per poter ... Allora, Luciano Liggio non aveva sopportato questo affronto da parte di Cicchitedda e cominciò gradualmente ad eliminare tutte quelle persone che potevano essere vicine a Salvatore Greco, tra cui Badalamenti, Bontade, i Di Maggio, gli Inzerillo e ciò per una questione di potere. Potrei essere più dettagliato ma preferisco fermarmi qui, altrimenti facciamo ... PRESIDENTE. Quali sono le caratteristiche dei corleonesi? In che cosa si differenziano come logica e come comportamenti rispetto a Cosa nostra tradizionale? TOMMASO BUSCETTA. La ferocia, non c'è un'altra differenza. PRESIDENTE. C'è un uso della violenza molto più ... TOMMASO BUSCETTA. Ma non c'era prima, assolutamente, neanche da parte loro. E' una cosa che è nata ... e questo mi fa sorgere molti dubbi e mi fa pensare molto, per cui arrivo a delle conclusioni Pag. 357 che preferisco non dire, perché sono cose che vanno oltre il problema mafioso e il problema criminale. Ci sono riflessioni molto profonde da parte mia. PRESIDENTE. Può per cortesia accennare alla Commissione parlamentare ... TOMMASO BUSCETTA. No, signor presidente, perché io sono certo che la seduta è segreta e che siete tutti delle rispettabilissime persone, non c'è dubbio. Però è politica, dovete fare delle dichiarazioni quando uscite da quest'aula ed io dovrei dire delle cose che possibilmente creerebbero panico ed io non voglio assolutamente che ciò si verifichi. Non voglio essere preso per pazzo, non ho quest'intenzione. MAURIZIO CALVI. Senza fare nomi e cognomi, può fare delle riflessioni? TOMMASO BUSCETTA. Le mie riflessioni sono gravi senza fare nomi e cognomi. Io non parlo di fare nomi e cognomi, parlo di riflessione personale e voi potreste benissimo dirmi: "Signor Buscetta, guardi, la smetta, se ne può tornare in America e lasciarci tranquilli". PRESIDENTE. Quindi, sostanzialmente, lei teme che queste riflessioni, che sono sue, possano in qualche modo ... TOMMASO BUSCETTA. Signor presidente, io dico una cosa. Nel 1979 io sono carcerato. L'avvocato Galasso forse si arrabbierà con me - non vedo l'avvocato Galasso ... Nel 1979 io ero carcerato a Cuneo. Non pensate che le carceri siano invalicabili; le carceri sono valicabili. In carcere si viene con un documento falso ed entra qualsiasi persona. Io ne ho avuto. PRESIDENTE. Documenti falsi? TOMMASO BUSCETTA. Io ho ricevuto i capi mandamento dentro il carcere. Io ho ricevuto Michele Greco dentro il carcere. E mi veniva raccomandato un dottore che era stato carcerato, quindi non pensate che le carceri siano invalicabili: sono valicabili. Era il dottore Musumeci: i poliziotti avevano arrestato una serie di collaboratori perché sembrava che gli apparecchi dentali ... Noi abbiamo in bocca non so quanti denti, mentre sembrava che fossero 92. Erano troppi denti per una sola persona. Ed allora Greco entrò nel carcere, si rivolse a me ... PRESIDENTE. In quale carcere? TOMMASO BUSCETTA. All'Ucciardone, raccomandomi il dottor Musumeci, dentista. Mi disse: "Masino, mi raccomando a te. E' una persona perbene". Lui andò via poco tempo dopo, 8 o 15 giorni dopo, e andò all'ospedale e dall'ospedale poi andò in libertà. Però, io voglio dire che ho ricevuto visita anche da parte del capo della commissione. PRESIDENTE. Stava dicendo che nel 1979 era a Cuneo. TOMMASO BUSCETTA. Ero a Cuneo e mi mandarono l'imbasciata per parlare con i terroristi se si ammazzava il generale Dalla Chiesa in qualsiasi posto d'Italia e i terroristi avrebbero accettato di rivendicarlo, di fare il loro volantino. Io circuii un brigatista che era con me, importante perché aveva partecipato al sequestro Moro, e gli dissi, logicamente non facendo affermazioni, allo stile mafioso: sarebbe stato bello uccidere il generale Dalla Chiesa perché a voi vi dà disturbo. Ma se qualcuno lo ammazzasse il generale Dalla Chiesa, voi lo rivendicate? "No, no, noi rivendichiamo il generale Dalla Chiesa solo se uno di noi partecipa". Io mandai l'imbasciata indietro e il generale Dalla Chiesa, in quella occasione, rimase vivo perché io credo - io credo! - che l'entità che aveva chiesto il favore alla Cosa nostra di uccidere il generale Dalla Chiesa non voleva strascichi non si trovando chi aveva ucciso il generale Dalla Chiesa. Allora: ferma! Punto! Pag. 358 Ma qual è il rimedio per uccidere il generale Dalla Chiesa? Secondo me - signori miei, non prendetemi per pazzo, per favore! - il generale Dalla Chiesa viene ucciso perché mandato in Sicilia ad andare a disturbare i mafiosi; e i mafiosi avrebbero dovuto liberarsi come un fatto fisiologico: tu ci disturbi, noi ti ammazziamo. Ma è vero questo il motivo perché viene ammazzato Dalla Chiesa? Non mi sono saputo spiegare? Solo così posso spiegarmi. PRESIDENTE. Nel 1979, però, che interesse c'era ad eliminare il generale Dalla Chiesa? TOMMASO BUSCETTA. Bravo! Se lo spieghi da solo. Spiegatevelo voi che siete intelligenti più di me. Io non so spiegarvelo. Certo che ancora non aveva disturbato nessun mafioso. PRESIDENTE. Appunto. TOMMASO BUSCETTA. O mi sbaglio? PRESIDENTE. Ricorda se era la fine dell'anno oppure la prima parte del 1979? Era dopo l'assassinio di Terranova, che avvenne il 25 settembre del 1979, o prima? TOMMASO BUSCETTA. Questo non posso ricollegarlo. PRESIDENTE. Non ricorda se faceva caldo o freddo, visto che a Cuneo le stagioni si sentono? TOMMASO BUSCETTA. Io posso ricollegarlo, attraverso il contatto con il brigatista che entrava dalla libertà, in che epoca è stato. PRESIDENTE. Può dire il nome del brigatista? TOMMASO BUSCETTA. E poi lo mandiamo fuori, e già va dal brigatista. Io lo posso dire, ma non lo so ... Signor presidente ... PRESIDENTE. Non è un reato aver ascoltato una proposta di questo genere. Poi lei decida come ritiene. Non è che la inguaia. TOMMASO BUSCETTA. No, non in questo senso. Siccome io ho intenzione di farli, questi discorsi, con i giudici istruttori di Palermo, i quali ho sentito giovedì, non dicendo questi discorsi, si intende. Io preferirei che il giudice istruttore poi facesse delle indagini per incontrare a questo per dirgli: ma qualche volta Buscetta ti parlò? PRESIDENTE. Ho capito. Chi era la persona, o in che modo lei era stato contattato per fare questa proposta nel 1979? TOMMASO BUSCETTA. Come? PRESIDENTE. Come lei aveva ricevuto questo messaggio nel 1979? TOMMASO BUSCETTA. E' molto semplice, veniva mio figlio, venivano i miei amici, attraverso ... PRESIDENTE ... la persona che veniva da lei. FRANCESCO CAFARELLI. Possiamo capire "l'entità"? A cosa si riferisce, nella scala gerarchica, quando parla dell'entità che prima aveva deciso e poi aveva deciso di non farlo? PRESIDENTE. Soprassiederei a questa domanda. TOMMASO BUSCETTA. Forse l'onorevole Cafarelli vuole sapere l'entità di Cosa nostra che aveva deciso questo? L'entità politica no! Però, se parliamo di entità di Cosa nostra, posso dirlo benissimo: la commissione. Pag. 359 PRESIDENTE. Comunque, mi pare che lei abbia detto questo: che qualcuno, secondo la sua idea, potrebbe aver chiesto a Cosa nostra se si poteva fare quel tipo di operazione. TOMMASO BUSCETTA. Ecco, sì. Perché, alla Cosa nostra cosa ci interessava il generale Dalla Chiesa? Nel 1979 non aveva niente contro i siciliani, in quel momento. PRESIDENTE. Non c'è dubbio. Visto che stiamo toccando la questione Cuneo, lei ricorda che fu contattato anche per la vicenda Moro. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione in che termini fu contattato, che cosa successe? TOMMASO BUSCETTA. Anche questo io vorrei ... Io fui contattato, ma addirittura per questa cosa ne vorrei parlare ai giudici. Non c'è da parte mia dire: no, non voglio parlare. No! Sono già aperto. Ma da questa parte qua io ho da suggerire ai giudici di andare a rintracciare delle bobine telefoniche, che appartengono a dei processi, dove si parla molto chiaramente dell'interessamento mio per essere trasferito di carcere per andare a parlare con i brigatisti se si può salvare la vita di Moro. Questo è nelle telefonate, ed io le ho lette le telefonate. PRESIDENTE. Si, ma questo lei l'ha già detto davanti alla corte d'assise di Palermo. TOMMASO BUSCETTA. Ed allora si deve avvicinare la persona che telefonava e che telefonava anche a mia moglie dicendo: noi stiamo facendo il possibile perché Masino sia trasferito a Torino. E poi sono andato a finire prima a Milano e poi a Napoli. Quindi sono andato in tutt'altro posto. PRESIDENTE. Quindi lei doveva andare a Torino per cercare ... TOMMASO BUSCETTA. Avrei dovuto andare a Torino. PRESIDENTE. ... di tenere contatto con qualcuno. Le dissero con chi dovesse prendere contatto? TOMMASO BUSCETTA. No, questa me la dovevo vedere io. Loro mandavano a chiedere il favore, ma non mi indicavano la persona. Ero io che dovevo vedere a chi mi potevo rivolgere di loro. PRESIDENTE. Il compito che lei aveva, se non ho capito male, era quello di cercare di ottenere la liberazione di Moro. E' così? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Era stata la commissione a chiederle questo? TOMMASO BUSCETTA. Era stata la commissione ed erano stati anche elementi della malavita milanese. Dico questo perché la commissione è una cosa che non si ascolta più perché non si è ascoltata mai, mentre l'elemento milanese è chiarissimo nelle telefonate dove dice: "non vogliono liberare a Moro". L'interlocutore che parla di Roma con questa persona a Milano, dice: non vogliono farlo liberare a Moro. Questo è nelle telefonate. Queste non sono mie dichiarazioni. PRESIDENTE. Certo. Quindi lei fu contattato tanto da esponenti della commissione, quanto da persone della criminalità comune. E' così che ha detto? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Per cercare di entrare in contatto con un brigatista perché fosse liberato Moro. TOMMASO BUSCETTA. E' esatto. Pag. 360 PRESIDENTE. La commissione era d'accordo su questa strada? TOMMASO BUSCETTA. Questo non posso stabilirlo, ma il messaggio mi veniva da Stefano Bontade. Io credo che la commissione era d'accordo. Non si sarebbe lui lanciato a capofitto in una cosa di questo genere senza che la commissione non lo sapesse. Io avrei potuto metterlo nei guai dicendo "a me Stefano mandò a dire di interessarmi". PRESIDENTE. Dov'era a Palermo? TOMMASO BUSCETTA. No, ero a Cuneo. PRESIDENTE. A Cuneo ebbe questa sollecitazione? TOMMASO BUSCETTA. No, no. Sono stato tre anni a Cuneo. PRESIDENTE. Quando era a Cuneo ebbe questa sollecitazione? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. E doveva essere trasferito a Torino? TOMMASO BUSCETTA. A Torino, dove c'erano i brigatisti. Invece sono stato portato prima a Milano e dopo a Napoli. PRESIDENTE. Quindi, non ebbe la possibilità di parlare di questa cosa. TOMMASO BUSCETTA. No, credo che Moro era già morto. Non ricordo bene... si è perso là. PRESIDENTE. Calò era d'accordo su questa linea? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. Non lo so questo. PRESIDENTE. Non ha saputo di dissensi all'interno di Cosa nostra su questa questione? TOMMASO BUSCETTA. Su questo proposito no. PRESIDENTE. Le pongo la domanda per capire quali strategie lo Stato deve avere contro Cosa nostra: che cosa disturba di più, che cosa teme di più Cosa nostra? Che cosa possiamo fare per dare il massimo fastidio possibile? Capisce che cosa voglio dire? TOMMASO BUSCETTA. Sì. A voi non vi teme; non teme la giustizia perchè un mafioso per la strada si sente molto forte. La collaborazione di gente anche non mafiosa - questo è bene che lo fate rilevare nelle vostre interpretazioni - ... parliamo solo di mafia, mafia, mafia, ma c'è gente che collabora che non è mafiosa e collabora ad un livello altissimo, perché dà contributi notevolissimi. Quello che disturba veramente la mafia è non poter adempiere alle promesse fatte ai carcerati. L'uomo d'onore va in carcere sicuro, in tutte le epoche, che la sua famiglia starà bene, non passerà fame e che si interesseranno al massimo per poter farlo uscire. Non ci sarà mai un uomo d'onore, non c'era stato mai - correggo - un uomo d'onore che avesse temuto qualcosa su questo proposito. Ora, non mantenere questi impegni li preoccupa. Questo è molto grave. Quando dico "Riina sta rantolando" è perché veramente lo Stato ha risposto adesso a Riina. Ho sentito la sentenza di sabato, a lui non importa che gli abbiano dato l'ergastolo, ma ha un impegno morale con i Madonia, li ha portati allo sbaraglio, lui sarà molto, ma molto cattivo in questo momento. PRESIDENTE. Quindi, la cosa che si teme è un rigore della giustizia tale da non consentire a Riina, ai capi, di mantenere le promesse. Un'altra persona ha detto "aggiustare i processi". Pag. 361 TOMMASO BUSCETTA. Esatto. E' una parola tecnica. PRESIDENTE. Che cosa vuol dire "aggiustare i processi"? TOMMASO BUSCETTA. E' una parola tecnica. Come spiegare? Aggiustare i processi s'intende "ho parlato con il presidente", "ho parlato con il pubblico ministero", "ho parlato con il commissario", "ho parlato con un agente", "ho parlato con il testimone", "ho parlato con la giuria". Questo è aggiustamento di processo. PRESIDENTE. Quindi, quando questo non è possibile, c'è un problema delicato. TOMMASO BUSCETTA. Eh, diventa delicato. PRESIDENTE. E' un problema in quanto uno come Riina promette "state tranquilli perché poi si aggiusta il processo" o lo è indipendentemente da questo? TOMMASO BUSCETTA. Lui si è lanciato alla conquista della Sicilia, perché la Sicilia è sua; non pensiamo alla provincia di Palermo in mano a Riina perché è assurdo, lui ha tutte le province della Sicilia. Credo che l'interprovinciale era una cosa, lui la mantiene però ci mette i pupi che dice lui. Che cosa stavo dicendo? PRESIDENTE. Stava dicendo che Riina comanda e che in questo momento ha lanciato una sfida molto elevata. TOMMASO BUSCETTA. Ecco, ha lanciato una sfida molto grande allo Stato e ai perdenti. I perdenti sono finiti ormai. Non ci sono più i perdenti. Dovevamo stabilirlo e non siamo riusciti a stabilirlo nel processo chi erano i perdenti, perché io appartenevo ai vincenti. Calò ha vinto, io com'ero, perdente o vincente? Non l'abbiamo stabilito. PRESIDENTE. Non c'erano né vincenti né perdenti. Nel passato, si aggiustavano i processi? TOMMASO BUSCETTA. Ma certo, mica erano cose campate... il processo dei 114 recente, a Palermo, è una cosa che mi consta. PRESIDENTE. Fu aggiustato? TOMMASO BUSCETTA. C'era il pubblico ministero, dottor Pedone se non vado errato, che sosteneva l'accusa e per tutta la durata del processo disse "ah, all'ultimo parlerò del presidente dell'associazione; all'ultimo parlerò di Gaetano Badalamenti, perché all'ultimo..." e tutti aspettavamo all'ultimo richieste. All'ultimo parlò di Badalamenti e fece la richiesta: il carcere espiato. Cioè Badalementi ha preso un anno e undici giorni e io due anni. E lui doveva parlare all'ultimo del presidente dell'associazione! Questi sono fatti, non dico bugie; sono fatti registrati: "all'ultimo parlerò del presidente di questa associazione". PRESIDENTE. I processi si aggiustavano solo a Palermo o anche fuori? TOMMASO BUSCETTA. No, anche fuori di Palermo. Specialmente in Calabria e nel napoletano. Senz'altro. PRESIDENTE. E a Roma? Scusi, che cosa interessava a Cosa nostra di quello che succedeva a Napoli o in Calabria? TOMMASO BUSCETTA. Signori, vogliamo smetterla? Volete pensare che non è vero che a Napoli, in Campania e in Calabria ci sia solo la 'ndrangheta e la camorra? Non è vero, c'è la Cosa nostra! PRESIDENTE. Spieghi questo. TOMMASO BUSCETTA. C'è la Cosa nostra e loro sempre continuano con la 'ndrangheta. Non è vero; la 'ndrangheta esiste ancora, ma a livello di servire la Cosa nostra, non come entità che fa quello che gli pare e piace. Lasci sbagliare qualcuno della 'ndrangheta; lasci sbagliare Cutolo che fu l'idolo della camorra. Pag. 362 Cosa nostra dalla Sicilia, insieme ai napoletani, distrusse a Cutolo. Chi è Cutolo oggi? PRESIDENTE. Sì, è vero. TOMMASO BUSCETTA. Ne hanno ammazzati mille e mille di persone, i siciliani e i napoletani. E' Cosa nostra, non camorra. PRESIDENTE. Quindi, quando i processi riguardavano uomini d'onore Cosa nostra si attiva? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Si attiva soltanto quando i processi arrivano in Cassazione oppure in tutti i livelli? TOMMASO BUSCETTA. In tutti i livelli. Posso bere un bicchiere d'acqua? PRESIDENTE. Certo. Vuole fumare? Vuole un caffè? TOMMASO BUSCETTA. No, no, non fumo grazie. Ho smesso di fumare quattro anni fa. PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato che cosa reca maggiore danno a Cosa nostra: ebbene, che cosa reca maggiori vantaggi a Cosa nostra? Quali sono gli errori più gravi che, secondo lei, sono stati compiuti nella lotta contro Cosa nostra e che non bisogna ripetere? TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto una giustizia no più dura, più giusta. No più dura perché già è dura la giustizia! Una giustizia giusta; la giustizia che veramente faccia i processi e non accetti... allora sì che è veramente una battaglia a Cosa nostra. E poi, come dissi al Senato americano, principalmente far vedere da parte dello Stato che è lo Stato quello che comanda, non è il mafioso. Perchè purtroppo nelle borgate siciliane chi comanda è il mafioso, non lo Stato. Sconoscono lo Stato. La figlia che scappò con il tizio? Non è allo Stato che ci si rivolge, ma al mafioso. Ancora oggi si rivolgono a Riina; tremano di paura per Riina ma si rivolgono a lui! Invece, facciamo vedere che lo Stato si interessa anche di queste cose! PRESIDENTE. Quando Cosa nostra comincia a trafficare in stupefacenti? TOMMASO BUSCETTA. Beh, ironicamente posso dire che sono "il re dei due mondi"... invece non è vero, sono un uomo povero, non possiedo una casa di proprietà. Questo fa parte della strategia di Cosa nostra. Sono stato perseguito e inseguito da lettere anonime che parlavano del mio contrabbando. Ma dove sono i soldi del contrabbando della droga che io avrei? Non lo so. Sinceramente non lo so! Una volta il giudice Falcone mi disse: "Va bene, signor Buscetta, anche l'uscere del tribunale sa che non è vero che lei trafficava in droga". Ma era tardi, tardi, già la nomea. Uno scrittore come Galluzzo scrive un libro e si inventa che sono stato arrestato nel centro di New York con una valigia con 85 chili di merce. Quindi parliamo di essere arrestato e portato in carcere. Falso! Come si può scrivere così? Lui è bugiardo; non è uno scrittore, è un bugiardo ambulante. Io non sono mai stato arrestato con una valigia che conteneva 85 chili di droga. Lasciamo perdere, questa è stata una deviazione. Comunque, sarà cominciato intorno al 1978, c'è stato un salto di qualità. Prima c'era il contrabbando delle sigarette; poi questo non servì più e si entrò nella fase del contrabbando di droga. E lo fecero con grande rilevanza. PRESIDENTE. Tutto ciò verso la fine degli anni settanta? TOMMASO BUSCETTA. Verso il 1978 cominciarono il vero e proprio... Quando uscii, nel 1980, vidi che i valori si erano persi. Chi aveva la villa al mare, chi in montagna. Pag. 363 PRESIDENTE. Quindi, il traffico di stupefacenti ha portato cambiamenti dentro Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. E' stato il traffico di stupefacenti che ha deviato Cosa nostra, che ne ha fatto perdere i valori. Non ridete, per favore. Sono nato così e difficilmente si può cambiare. Io credevo in quella cosa. PRESIDENTE. Quali sono stati i cambiamenti più importanti che si sono verificati per effetto del traffico di stupefacenti? TOMMASO BUSCETTA. Tutta la strategia corleonese. Possiamo seguirla passo passo. Per poter fare un uomo d'onore nei miei anni... PRESIDENTE. Quando è stato fatto uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Credo nel 1946. Ero molto giovane, direi bambino. Si mandavano dei biglietti per tutte le famiglie e per tutta la Sicilia, per sapere chi aveva da dire contro il giovane proposto per diventare uomo d'onore. Negli anni ottanta, adesso, si fa uomo d'onore chi sa sparare, mentre prima c'erano dei valori più morali. Non era necessario che sapesse proprio sparare; era necessario che ci fossero quelli che sapevano sparare, ma per essere uomo d'onore non era necessario. Sono stati fatti uomini d'onore avvocati, dottori, ingegneri, principi. Questi non vanno a sparare e non andavano a sparare. Erano fatti uomini d'onore perché servivano alla causa comune, chi perché aveva il feudo, chi perché doveva curare le ferite. PRESIDENTE. Anche per le perizie mediche? TOMMASO BUSCETTA. Certamente, per le perizie mediche. Quindi, Cosa nostra aveva bisogno di queste persone, che aderivano con molta volontà. Cosa nostra non si accingeva a fare un nuovo uomo d'onore se non dopo averlo sperimentato, sperimentato, sperimentato. PRESIDENTE. Adesso, invece? TOMMASO BUSCETTA. Adesso! PRESIDENTE. Sono cambiati i rapporti tra gli uomini d'onore e tra le varie famiglie per effetto del traffico di stupefacenti? TOMMASO BUSCETTA. Sono cambiati perché si ha valore nel contrabbando della droga secondo l'entità della famiglia. Si aveva valore, perché adesso non lo so più. Questo si intende? PRESIDENTE. Sì. TOMMASO BUSCETTA. Si aveva valore per l'importanza che l'individuo aveva in seno a Cosa nostra. Per importanza, fino a quando sono uscito nel 1980, si intendeva chi aveva saputo sparare di più. PRESIDENTE. Quale può essere, in questa fase, la reazione di Cosa nostra, in particolare di Riina? Cosa può accadere? TOMMASO BUSCETTA. Possiamo procedere sulle ipotesi? PRESIDENTE. Sulle ipotesi e sulla base delle sue conoscenze. TOMMASO BUSCETTA. Sulle ipotesi, credo che Riina farà cose molto gravi. Voglio dire una cosa, una primizia. Sono stato giovedì con i giudici e, ai tre che mi hanno interrogato, ho detto: state tranquilli, non siete voi quelli che va cercando Riina in questo momento. Non è per sempre; sto dicendo: in questo momento non è voi che Riina cerca. Riina cerca chi sta creando tanto fastidio a lui. Pag. 364 Non facciamo nomi. Non sono un suggeritore e non vorrei che Riina non ci stesse pensando e io gli suggerisco a chi deve pensare. Sta cercando chi gli sta creando tanti disturbi, perché questa faccenda del pentitismo sta diventando veramente grave per lui. Non più il processo, adesso. Ecco perché dico che la mafia rantola. Non è più il processo in Cassazione che la interessa. Adesso ha un problema molto più grave: il pentitismo. Signori miei, non denigrate i pentiti, non li prendete per napoletani. CARLO D'AMATO. Anch'io sono napoletano! TOMMASO BUSCETTA. Chiedo venia. Mi riferivo ai processi, non ai napoletani. Per l'amor di Dio, nessuna allusione, come mi potrei permettere! Non confondiamo il processo di Tortora con i processi mafiosi. Per favore. I mafiosi, per quanto mi risulta, non prendono gli elenchi telefonici. C'è un detto a Palermo: "u carbuni si nun tinci, mascaria"; il carbone, se non tinge, sporca. Se le dichiarazioni dei pentiti non saranno al 100 per cento di vostro gradimento, state certi che il 70 per cento c'è: approfittatene, non denigrateli e non fate che la stampa li denigri, così come è stato fatto nei miei confronti. Ma io sono forte, non c'è niente da fare, sono forte moralmente, sono un uomo d'onore, non uomo d'onore di Totò Riina: sono nato uomo d'onore e non mi distruggono. Sono qua. PRESIDENTE. Lei ci stava spiegando che Riina, in questo momento, starebbe pensando a qualcosa di importante, probabilmente non sul versante dei giudici. TOMMASO BUSCETTA. Non credo. PRESIDENTE. Piuttosto sul versante dei pentiti, per cercare di bloccare questo fenomeno. TOMMASO BUSCETTA. Per bloccare questo apparato dello Stato che sta facendo tanto bene sotto questo profilo. Io credo che voi abbiate in mano la chiave d'oro per potervi spiegare tanti "perché" del passato e del presente. Avete la chiave d'oro per aprire il passato e il presente. PRESIDENTE. Anche il presente? TOMMASO BUSCETTA. Anche il presente. PRESIDENTE. Questa chiave sono i pentiti? TOMMASO BUSCETTA. Sì. I pentiti e le nuove strutture che voi avete fatto. PRESIDENTE. E' prevedibile un'altra guerra di mafia? TOMMASO BUSCETTA. E chi la fa la guerra a Riina? E' possibile solo una cosa: distruggendo Riina, ci saranno le guerre di mafia veramente, dove la mafia si autoannullerà. Riina lascerà come eredità tanti rancori nei gruppi mafiosi che si ammazzeranno come bastardi in prossimo futuro. PRESIDENTE. Come è possibile che Riina sia da tanti anni latitante? TOMMASO BUSCETTA. Queste domande dovrebbe rivolgerle alla polizia, non a me. PRESIDENTE. Come si fa a sfuggire alla cattura? Si vive all'estero? TOMMASO BUSCETTA. Ora no, ma parliamo del passato, un passato molto vicino. Liggio stava a Palermo, non era necessario che andasse nei giardini o nei boschi (ora credo che ci sia); ma i mafiosi stanno in città. Quando ero latitante, nel 1980 sono stato in città, non sono andato certo a seppellirmi in un bosco. Pag. 365 PRESIDENTE. E nessuno è venuto a cercarla? TOMMASO BUSCETTA. Abitavo in un condominio... PRESIDENTE. In via della Croce Rossa, vero? TOMMASO BUSCETTA. Sì, in un condominio di via della Croce Rossa, dove abitava mio figlio Antonio. Io abitavo con mio figlio e nel palazzo di fronte abitava il commissario De Luca. PRESIDENTE. E non si affacciava alla finestra? TOMMASO BUSCETTA. Certo che non mi affacciavo alla finestra né potevo dire: guardate io sono qua! PRESIDENTE. Quindi, non è venuto a cercarla nessuno? TOMMASO BUSCETTA. No; è tanto che non sono stato arrestato; facciamo come Contorno: lei ha visto Pippo Calò? No, è qua. Se lo avesse visto, lo avrebbe ammazzato. Io non sono stato arrestato a Palermo e all'inizio del 1981 me ne sono andato in America. PRESIDENTE. Lei pensa che Riina in questo momento sia in Sicilia? TOMMASO BUSCETTA. C'è forse qualche dubbio? In quale altro modo potrebbe sostenere i lacci che manovra? Deve stare là. PRESIDENTE. Poiché uno dei problemi più importanti da risolvere riguarda proprio l'arresto dei latitanti... TOMMASO BUSCETTA. E' logico. PRESIDENTE. ... può suggerire alla Commissione quali azioni sarebbe utile intraprendere a tal fine? TOMMASO BUSCETTA. A me sembra una presunzione spiegare a voi cosa si debba fare per arrestare i latitanti. Avete creato un organo di Stato, di cui fanno parte, se non erro, carabinieri, Guardia di finanza e polizia; costoro avranno i mezzi, se voi politici li aiuterete, non mi rivolgo a lei personalmente ma alla classe politica italiana. Sosteneteli, perché la superprocura è una cosa importante. Dico che è importante non perché condivido quest'idea o perché vedevo in Falcone la persona degna di essa ma perché è assurdo che ogni procura spezzetti e l'altra non sappia... Lei è stato un giudice, vero? PRESIDENTE. Sì. TOMMASO BUSCETTA. E' assurdo che le procure non abbiano contatti fra di loro. E' bella l'idea di un centro d'informazione perché è in questo modo, processualmente, che li colpirete veramente! PRESIDENTE. Per arrestare i latitanti non c'è bisogno di tutte queste strutture; si potevano arrestare anche prima. Come facevate se si voleva trovare una persona che si nascondeva? TOMMASO BUSCETTA. Come facevo io? Ma c'era differenza tra come facevo io e come faceva Cosa nostra! PRESIDENTE. Lo so. TOMMASO BUSCETTA. Io andavo da 'o zù Peppino, poi 'o zù Peppino ciu ricìa 'o zù Ciccio, 'o zù Ciccio ciu ricìa 'o zù Jachino e poi arrivavo alla persona. Quindi è una cosa ben diversa. Forse lei, da torinese, non ha capito una parola di quello che ho detto. PRESIDENTE. Ho capito perfettamente. Quindi, è possibile che una persona sia a Palermo da latitante perché nessuno la va a cercare? Pag. 366 TOMMASO BUSCETTA. E' possibilissimo, anche perché credo che a Palermo ci sia stata molta polizia accondiscendente. Nel 1980, quando ero a Palermo e mi recavo a casa di Stefano Bontade, incontravo tutti. Allora mi raccomandavano: "Per favore, non uscire prima dell'una e mezza e non tornare a Palermo dopo le quattro e mezza!". Cosa significa? Non che fossero stati corrotti i poliziotti ma si sapeva che in quell'orario nessuno della polizia era in servizio, non so se rendo l'idea. Ecco perché mi si diceva di non uscire prima dell'una e mezza e di non tornare dopo delle quattro e mezza. Che devo dire di più? PRESIDENTE. Molti di voi latitanti eravate a casa vostra. TOMMASO BUSCETTA. Questo poteva essere anche cattivo servizio! Io non ho corrotto nessuno, perché direi una tremenda falsità, ma il fatto è che a casa di mio figlio non veniva nessuno. Devo anche premettere che nella casa di mio figlio ero stato come "regolare": avendo avuto alcuni permessi in stato di semilibertà per recarmi a Palermo, avevo dato l'indirizzo di mio figlio dove andavo a dormire. Quindi la casa di mio figlio era già conosciuta perché vi avevo già abitato. PRESIDENTE. E lei tranquillamente se ne è andato lì da latitante? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Dove altro è stato da latitante? TOMMASO BUSCETTA. Sono stato in casa di Stefano Bontade, di Inzerillo. Vi dirò che il luogo dove Inzerillo teneva i suoi affari si trovava a cento metri dall'aeroporto di Bocca di Falco e si affacciava su un burrone da dove, a distanza di 100 metri, si alzava un elicottero - non ricordo se era della polizia o dei carabinieri - che sorvegliava la città di Palermo. Come ho detto, si sollevava a 100 metri di distanza dalla proprietà di Inzerillo dove, come minimo, erano parcheggiate cinquanta automobili, a volte anche cento. Mai però questi poliziotti si sono domandati: "Guarda, sembra un posteggio! Qui non c'è un supermercato, cosa fanno qui tutte queste automobili?". Nessuno se l'è mai chiesto. Io mi lamentavo con Inzerillo e gli dicevo: "Tu fai qui tutte queste riunioni nonostante l'elicottero che si alza proprio da sotto casa tua!". La risposta: "Ah, non si preoccupi!". PRESIDENTE. E lei non si preoccupava? TOMMASO BUSCETTA. Io invece continuavo a preoccuparmi, tanto che non ci andavo molto spesso. Mi preoccupavo di quell'elicottero che si alzava in volo a cento metri dalla sua proprietà. PRESIDENTE. Può fare un passo indietro e fare riferimento all'omicidio di Scaglione? TOMMASO BUSCETTA. Dell'omicidio Scaglione parlai con il dottor Falcone ma oggi devo aggiungere qualcosa di più a quelle dichiarazioni fatte al dottor Falcone. Nel 1970... (Alcuni deputati conversano tra loro). Signor presidente, mentre gli altri parlano io posso continuare, vero? PRESIDENTE. Colleghi, ci rendiamo tutti conto che stiamo procedendo all'audizione di un teste? Egli domanda se può continuare la sua esposizione anche mentre parlano gli altri. ALFREDO BIONDI. Mi pare che possa farlo. PRESIDENTE. Il problema è di evitare che si parli in due. TOMMASO BUSCETTA. Perdo la forza perché sembra che quello che dico non Pag. 367 sia interessante e allora non vale la pena neanche parlarne, cioè io perdo quella carica agonistica... PRESIDENTE. Abbiamo capito perfettamente. GIUSEPPE MARIA AYALA. Carica agonistica? TOMMASO BUSCETTA. Sì, carica agonistica. Stavo dicendo - molto brevemente e, se sarà opportuno, ci torneremo - che nel 1970 mi incontrai con Salvatore Greco per un colpo di Stato in Sicilia; da quel momento, dopo aver parlato di colpi di Stato e di incontri... PRESIDENTE. Ci arriveremo. TOMMASO BUSCETTA. ... io e Salvatore Greco andammo via. Luciano Liggio stabilì di sua volontà di creare un clima di tensione nell'ambiente politico per preparare il colpo di Stato. Ognuno prese le sue mosse su quale fosse il politico da colpire. A Palermo mi pare che sia stato colpito un fascista, se non ricordo male. PRESIDENTE. Sì, Nicosia. TOMMASO BUSCETTA. Ma io non ero a Palermo. Queste sono cose che ho sentito in carcere. Un altro. L'obiettivo di Luciano Liggio fu il procuratore Scaglione. Perché il procuratore Scaglione? Perché aveva già incominciato l'escalation. Lui sapeva cosa ne pensasse Salvatore Greco di Vincenzo Rimini, un mafioso della provincia di Trapani. Cicchitedda vedeva in questo Vincenzo Rimini qualche cosa di padre, qualche cosa di grande, tanto da offrirgli - lui ed io - di farlo evadere dal carcere, nel 1970. Ma Vincenzo Rimini - guardi la mentalità! - mandò a dire a me e a Totò Cicchitedda se eravamo pazzi. Lui era stato condannato, innocente, e doveva espiare la pena, non doveva fuggire dal carcere. Guardi la mentalità: che metamorfosi di mentalità mafiosa. Ci mandò a dire: siete pazzi; no, no io non scappo dal carcere. E scelse il procuratore Scaglione... PRESIDENTE. Liggio scelse il procuratore Scaglione? TOMMASO BUSCETTA. Sì, perché in quel momento, in quei tempi il procuratore Scaglione era interessato alle rivelazioni di una donna che aveva accusato Vincenzo Rimini e che era stato provato che era falsa. Diceva, fra l'altro, di aver dato anche un appartamento. Io ricordo confusamente adesso... PRESIDENTE. Ad una figlia, sì. TOMMASO BUSCETTA. Ma già Luciano Liggio mirava come poteva annientare quel grande uomo che era Vincenzo Rimini, che poteva ancora influenzare la provincia di Palermo attraverso l'ascendente della propria personalità. Se ne era liberato perché lo lasciava in carcere: già c'era in carcere, ci rimaneva. Allora fa ammazzare il procuratore, lo fa ammazzare nel territorio dove io appartenevo, con la conseguenza che poi abbiamo visto: hanno detto che il procuratore era vicino agli uomini d'onore, lo hanno denigrato pure dopo morto. Ma la verità non è questa, la verità era minare le basi dello Stato. Lui si è scelto Scaglione, ma non c'era niente contro Scaglione. PRESIDENTE. La scomparsa del giornalista De Mauro rientra nella stessa logica? TOMMASO BUSCETTA. Rientra in questa logica. E' per questo che io non voglio parlare e non voglio essere preso per pazzo; perché io ho esperienza della vita e le mie esperienze possono essere giudicate da pazzo. Si può dire: questo qua è venuto dall'America per confonderci le idee. Quindi devo andare passo per passo. Pag. 368 PRESIDENTE. Certo, come sta facendo. Dunque, lei ha detto che l'omicidio di Scaglione fu deciso da Liggio. E la scomparsa di De Mauro? TOMMASO BUSCETTA. Ma tutti, tutti furono decisi da Liggio. Cioè da Liggio, da Badalamenti e da Bontade, non salviamo nessuno. Da Liggio, da Badalamenti e da Bontade. PRESIDENTE. Anche le bombe che esplosero a Palermo in quel periodo rientrano in questo quadro? TOMMASO BUSCETTA. Le bombe le preparava Francesco Madonia. PRESIDENTE. Ho capito. TOMMASO BUSCETTA. Ma Francesco Madonia fu trovato in possesso di bombe a casa sua, o fu trovato mentre metteva le bombe, non ricordo bene. Comunque era Francesco Madonia. PRESIDENTE. Quindi rientrava in questo quadro? TOMMASO BUSCETTA. Rientrava in questo quadro. PRESIDENTE. Dunque, sostanzialmente, tanto l'omicidio di Scaglione quanto la scomparsa di De Mauro quanto queste bombe rientrano in un quadro che è quello di preparare le condizioni per .... TOMMASO BUSCETTA. Per fare il colpo. PRESIDENTE. Ho capito. Può spiegare cosa sa ... MARCO TARADASH. Nei verbali c'è scritto che non sapeva niente. Quindi questa è una novità. PRESIDENTE. Ha detto all'inizio che aveva da dire una novità, ha esordito così. Signor Buscetta, può spiegare bene alla Commissione questa storia del tentativo di colpo di Stato del 1970, quello di Borghese, del quale lei ha anche parlato ai giudici? Come ne viene a conoscenza? TOMMASO BUSCETTA. Ci chiama Giuseppe Calderone, insieme al Di Cristina. PRESIDENTE. Cosa intende dire con "ci chiama"? TOMMASO BUSCETTA. Perché eravamo negli Stati Uniti, anche Cicchitedda. Allora ci chiama per farci sentire che è stato preparato un colpo di Stato e che Borghese avrebbe intenzione di usare i mafiosi per farsi appoggiare in Sicilia. PRESIDENTE. Possiamo essere chiari? Vi telefona Pippo Calderone ... TOMMASO BUSCETTA. Ma non c'è bisogno di telefonare, viene uno e ci avvisa. PRESIDENTE. Dunque, viene uno ad avvisarvi in America e a questo punto voi partite. Chi viene vi dice che c'è un tentativo di colpo di Stato: vi fa anche il nome di Borghese? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. A quel punto voi cosa fate? TOMMASO BUSCETTA. Andiamo in Sicilia. Direttamente dalla Svizzera andiamo in Sicilia. PRESIDENTE. Quindi andate dall'America in Svizzera e poi dalla Svizzera... TOMMASO BUSCETTA. A Catania, direttamente. A Catania ci incontriamo con Calderone che ci spiega... PRESIDENTE. Avevate i vostri documenti o documenti falsi? Pag. 369 TOMMASO BUSCETTA. Falsi. Io mi chiamavo Barbieri e Totò Cicchitedda si chiamava Caruso. PRESIDENTE. Avete preso una macchina a nolo in Svizzera? TOMMASO BUSCETTA. Sì, l'abbiamo lasciata a Catania. PRESIDENTE. E allora? TOMMASO BUSCETTA. Chi sapeva tutto esattamente dei miei movimenti fino ad arrivare in Sicilia, e poi dalla Sicilia tornare in Svizzera fino ad arrivare in America, è il colonnello Russo. Sapeva tutto. PRESIDENTE. Perché? TOMMASO BUSCETTA. Perché faceva parte del colpo. Il colonnello Russo era la persona indicata che doveva andare ad arrestare il prefetto di Palermo. Quindi quando io sono arrestato per i 114 e lui fa l'associazione dei 114, lui è il poliziotto più sicuro della vita, perché lui lo sapeva. Lui era incaricato, quando veniva il momento X, di andare ad arrestare il prefetto di Palermo. Poi la risposta dei massoni è stata "l'abbiamo addormentato", e io mi sono svegliato. PRESIDENTE. Chi "abbiamo addormentato"? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, è una parola tecnica. PRESIDENTE. Lo so, ma le chiedo a chi si riferivano. TOMMASO BUSCETTA. Al colonnello Russo. Era addormentato. E io gli ho detto: "Sì, e io mi sono svegliato dentro il carcere all'Ucciardone" pagando l'associazione, perché io sono venuto solo a questo scopo. PRESIDENTE. Dunque, quando ci fu il processo dei 114 qualcuno protestò con i massoni per questo? TOMMASO BUSCETTA. Io non so se protestarono o no, ma i massoni si sono interessati del processo dei 114. PRESIDENTE. Può spiegare come? TOMMASO BUSCETTA. Ah non lo so, non lo so. Fino a questo punto posso andare. PRESIDENTE. Come fa a sapere che si sono interessati? TOMMASO BUSCETTA. Perché l'abbiamo detto tra noi, che i massoni si sono interessati per il processo dei 114. Perché il processo dei 114 verteva tutto nel fermo di una macchina a Milano, macchina nella quale eravamo io, Gerlando Alberti, Giuseppe Calderone, Martino Caruso e Badalamenti. PRESIDENTE. Quindi, voi... TOMMASO BUSCETTA. Questa era l'associazione dei 114. E i 114 erano avvenuti così chiari perché il colonnello Russo sapeva tutto, dalla a alla zeta. Andò in Svizzera a trovare niente meno - questo il mio avvocato non se lo spiegava - il biglietto che io avevo scritto essendo ospite di quell'albergo. PRESIDENTE. Sì. Mi scusi, la morte del colonnello Russo è legata in qualche modo a questa vicenda? TOMMASO BUSCETTA. No, no. PRESIDENTE. E' indipendente, non c'entra. Quindi, lei stava dicendo che dopo essere stati avvertiti negli Stati Uniti voi andate in Svizzera, dove prelevate una macchina - mi pare d'aver letto da qualche parte che si trattasse di una Volvo ... Pag. 370 TOMMASO BUSCETTA. Poi l'ho lasciata a Catania. PRESIDENTE ... e dalla Svizzera scendete in macchina fino a Catania. Cosa trovate a Catania? Con chi parlate? TOMMASO BUSCETTA. Giuseppe Calderone e Luciano Liggio. PRESIDENTE. Che era a Catania. TOMMASO BUSCETTA. Sì. Latitante, che prendeva il bagno nudo... PRESIDENTE. Sì, l'abbiamo saputo. E cosa vi dicono? TOMMASO BUSCETTA. Abbiamo deciso che volevamo delle garanzie, perché si diceva che i mafiosi dovevano mettersi al braccio un bracciale per essere riconosciuti e voleva l'elenco di tutti i mafiosi della Sicilia. Noi dicemmo "sta scherzando, ma chi glieli dà?"; poi finisce come Mussolini e lui ha l'elenco delle persone. Allora si mandarono Giuseppe Calderone e Di Cristina a Roma per incontrarsi con il principe Borghese. Si incontrarono con il principe Borghese ed ottenevano niente fasce e niente nomi. E si aggiustavano i processi di Riina, di Natale Rimi e di Luciano Liggio, i due che erano veramente i più inguaiati. PRESIDENTE. Questa fu l'offerta che fece Borghese: niente liste, niente segni di riconoscimento, si aggiustavano i processi per le persone più esposte e voi in cambio cosa dovevate fare? TOMMASO BUSCETTA. Fare parte della rivolta e fare in modo che non ci fossere contrattacchi da parte dei civili, della polizia. PRESIDENTE. Questo soltanto in Sicilia o dappertutto? TOMMASO BUSCETTA. Io posso parlare solo per la Sicilia; non so cosa sia avvenuto nelle altre regioni. PRESIDENTE. E poi come è andata? TOMMASO BUSCETTA. Abbiamo detto a Calderone, a Di Cristina, a Bontade noi che ci siamo riuniti in quella famosa giornata in cui venne fermata la macchina con dentro me, Badalamenti e Caruso, avevamo finito una riunione a Milano ... abbiamo detto di fare in modo di non dare i nomi e poi di far mantenere quegli impegni che lui aveva preso. E ritorniamo in America; non appena sbarco in America, vengo arrestato e la prima cosa che mi domanda la polizia americana è: "Lo fate o no il golpe in Sicilia?", questa è la prima cosa che mi è stata chiesta non mi è stato chiesto quanta droga avessi portato o quanti omicidi compiuto ma soltanto: "Lo fate o no questo golpe?". Io gli ho detto: "Ma quale golpe?" "Quello con Borghese". Io dissi di non capire di cosa stessero parlando e quindi negai tutto ma gli americani ne erano a conoscenza. La risposta che poi mi arrivò negli Stati Uniti fu che il golpe non si era potuto fare perché c'era una flotta russa nel Mediterraneo, ma che gli Stati Uniti erano d'accordo. Se è vero o non è vero questo non lo so né posso controllarlo. PRESIDENTE. Cosa sa di Giuseppe Calderone? TOMMASO BUSCETTA. Era mafioso, era rappresentante. PRESIDENTE. L'idea della commissione regionale viene da Calderone, che lei sappia? TOMMASO BUSCETTA. No, credo di no, non lo so. PRESIDENTE. Nel corso dell'interrogatorio dell'11 settembre ... TOMMASO BUSCETTA. Comunque, si ricordi che alla provincia di Catania ho dato valore 4. Pag. 371 PRESIDENTE. Catania valeva meno di tutte, insomma. Adesso è Santapaola il referente di Riina? TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma vale sempre 4. PRESIDENTE. Perché vale così poco? TOMMASO BUSCETTA. Perché non hanno il carisma, la forza che può avere quello della provincia di Palermo. PRESIDENTE. Ho capito, c'è proprio un problema di peso. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Nel corso dell'interrogatorio dell'11 settembre scorso, lei ha detto: "Per la verità, mi risulta anche personalmente che esponenti di primo piano di Cosa nostra hanno avuto contatti politici a Roma utilizzando come ponte i cugini Salvo anche senza l'intervento di Salvo Lima. D'altra parte, come oggi ha detto, Lima Salvo era uno dei principali interlocutori politici di Cosa nostra ma non il solo. Ad esempio, per limitarci a Palermo, ci si rivolgeva anche ad altri uomini politici, ciascuno dei quali aveva un proprio punto di riferimento a Roma". Per quali questioni ci si rivolgeva a Lima? TOMMASO BUSCETTA. Se dovessi parlare fino al 1984 ... PRESIDENTE. Certo, per quello che sa lei. TOMMASO BUSCETTA. ... sempre per quegli appalti e ... Io personalmente ... e lui si era scusato con me, aveva detto di non essersi potuto interessare perché il mio nome era troppo eclatante e ci saremmo fatti male a vicenda: lui politicamente ed io da un altro punto di vista. Mi disse comunque che si riteneva a mia disposizione. Quindi, Lima li aveva gli agganci a Roma per interessarsi per i processi, solo con il mio nome non si era potuto interessare. Quando chiediamo cosa facesse Lima per la mafia e di cosa si interessasse, io rispondo della vita quotidiana, di ciò di cui si può aver bisogno. Non possiamo chiedere se si interessasse di una specifica cosa, certamente non si interessava di droga (su questo potrei dare la mia parola d'onore, è fuori discussione), però si interessava di tutte le altre cose quotidiane, per esempio una licenza di caccia o un passaporto; tutte quelle cose quotidiane per ottenere le quali si ha bisogno di un'entità politica a Lima si chiedevano, sì, ma si chiedevano anche ad altri uomini politici. Io parlo di Lima e ne parlo perché si è fatta tanta polvere; mi sono lamentato con i tre giudici che sono venuti a trovarmi a Milano dicendo: "Voi avevate un impegno che avevamo scritto nel verbale: avevamo scritto che queste cose non si sarebbero ... per lo meno quando l'indagine fosse stata più completa". Però, loro erano contenti perché avevano trovato il tribunale della libertà a favore della loro indagine e quindi mi sono calmato un po'. Però, ritengo che queste cose debbono essere fatte più saggiamente: non vi potete permettere di essere deboli nei confronti di Riina, perché Riina - ricordatevelo - ... Forse questa audizione lascerà uno strascico cattivo nei miei confronti, ma io sono così, sono quello che voi vedete. Non è all'intelligenza di Riina che dovete mirare, non sappiamo chi Riina abbia dietro di sé perché lui ha la ferocia, lui ha gli uomini mafiosi in mano ma è una cosa intelligente quella che sta succedendo da Lima ad oggi? VITO RIGGIO. Si spieghi meglio. TOMMASO BUSCETTA. No, non lo posso spiegare, non lo posso spiegare e lei non si deve offendere. PRESIDENTE. A cosa si riferisce dicendo "quello che sta succedendo da Lima in poi"? Pag. 372 TOMMASO BUSCETTA. Alle stragi, non mi riferisco ad altro. Mai in nessun'epoca si era verificato un caso come l'omicidio di Chinnici, come quelli del dottor Falcone e del dottor Borsellino, mai. PRESIDENTE. Perché non mette anche Ignazio Salvo in questo quadro? TOMMASO BUSCETTA. Ignazio Salvo non serviva più a Totò Riina, gli era d'incomodo, non serviva più. PRESIDENTE. E Lima? Serviva ancora? TOMMASO BUSCETTA. Lima serviva a denigrare Andreotti, ma queste sono supposizioni mie, signori miei, per favore fermiamoci, non andiamo oltre. Non è che io non sia disposto a dare la mia collaborazione e la mia esperienza, sono dispostissimo; io faccio un atto notarile, se lo volete. Io sono un uomo libero, vado, vengo quando voglio, mi siedo, dormo perché non sono più il "soldatino" che deve obbedire, che sta deponendo per ottenere uno sconto di pena, oggi non ho sconti. PRESIDENTE. Lei sta formulando un'ipotesi per quello che riguarda fatti che si sono verificati mentre lei era detenuto. Poiché lei nello stesso quadro ha inserito Lima e poi Falcone e Borsellino mentre non ha parlato di Ignazio Salvo, le chiedo perché lei sostenga che Ignazio Salvo non serviva più. TOMMASO BUSCETTA. Secondo me non serviva più. PRESIDENTE. Non serviva più da vivo? TOMMASO BUSCETTA. Ma noi dobbiamo andare indietro. Non posso così in due parole determinare un argomento. I Salvo, quando incontrarono me - che hanno visto Dio in terra incontrando me - fra le altre cose mi dissero che chi aveva sequestrato Corleo era stato proprio Totuccio Riina, che loro non avevano la forza di dimostrarlo perchè era tanto segreto. Ma oggi lo sappiamo più perfetto. Era stato Riina, era stato Scarpuzzedda, erano stati tra di loro anche con il signor Calò. Quindi quando i Di Salvo mi vedono a me ... PRESIDENTE. Cioé Ignazio Salvo? TOMMASO BUSCETTA. Ignazio e Nino. PRESIDENTE. I due Salvo? TOMMASO BUSCETTA. Sì, i due Salvo. Dicono: possiamo cominciare a fare la guerra a questi "quattru viddani"? "Viddani" significa contadini. Io dissi che non ne valeva la pena, perché i valori si erano perduti ed ognuno pensava al suo contrabbando se andava in porto, se dall'America arrivavano i soldi. Si erano perduti quei valori, quindi io non vedevo via d'uscita. Dissi a Stefano Bontade: tu sei un uomo morto perché ti vedo già morto. E me ne andai in Brasile. Quindi, quando Salvo è sempre in una posizione di buon equilibrio fra politica e mafia, a Riina lo lascia tranquillo: vai avanti! Nel momento in cui non serve più, è da eliminare. Perché il parente di quel Corleo che continua ancora ad indagare per vedere dove si trova il morto, perché vogliono anche il morto, le ossa ... PRESIDENTE. Anche a tanti anni di distanza? TOMMASO BUSCETTA. Anche a tanti anni di distanza. Non so, ma mi sembra che ci siano cose di eredità. E' una cosa molto complessa. PRESIDENTE. Invece Lima, lei dice, serviva ancora da vivo. O no? Non ho capito bene. Abbiamo capito che Ignazio Salvo non serviva più e quindi a questo punto è fatto fuori, anche perché sta continuando a cercare una cosa che non doveva cercare. Per Lima, invece? Pag. 373 TOMMASO BUSCETTA. Per Lima, invece, è un politico e può darsi che non abbia mantenuto un impegno o può darsi che dietro la morte di Lima ci sia una cosa molto superiore all'impegno processuale. Siamo nel campo delle ipotesi. PRESIDENTE. Lei ha fatto un cenno ed ha detto: Lima serviva a denigrare Andreotti. TOMMASO BUSCETTA. Può darsi. PRESIDENTE. Lima da vivo o Lima da morto? TOMMASO BUSCETTA. Lima da morto. Da vivo no, certamente no. PRESIDENTE. Quali erano i referenti romani di Lima? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. PRESIDENTE. Non lo sa o preferisce non dirlo? TOMMASO BUSCETTA. Preferisco non dirlo. PRESIDENTE. Quando lei preferisce non dirlo, lo dica. Quando non lo sa, dica che non lo sa, altrimenti non capiamo. MARCO TARADASH. A questa domanda possiamo rispondere noi. PRESIDENTE. Quali erano i referenti palermitani di Lima? TOMMASO BUSCETTA. Principalmente i Salvo. PRESIDENTE. Lima era parlamentare europeo ed era uomo anche abbastanza importante nella vita politica per cui non poteva occuparsi di tutto. TOMMASO BUSCETTA. Ma mica gli dicevano: vammi a fare la spesa tutti i giorni. Chiedevano un favore oggi e un altro dopo un mese. Quindi erano impegni che poteva ... PRESIDENTE. ... mantenere. Al di là dell'onorevole Lima, facendo riferimento alle cose che lei ha detto ai giudici l'11 settembre, quali erano gli uomini politici cui si rivolgeva Cosa nostra a Palermo ed a Roma? Lei ha detto che non era solo Lima e che c'erano anche altri. TOMMASO BUSCETTA. Io preferirei dirlo ai giudici che farebbero delle indagini. PRESIDENTE. Ho capito. Ci sono uomini politici che erano uomini d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Sono tuttora in vita, in attività? TOMMASO BUSCETTA. Alcuni. PRESIDENTE. In attività politica? TOMMASO BUSCETTA. Credo di no. Ho dato una carrellata. PRESIDENTE. Può fare i nomi? TOMMASO BUSCETTA. No. Li farò, però. PRESIDENTE. Preferisce non farli. TOMMASO BUSCETTA. Li farò, però. PRESIDENTE. Quali sono gli uomini sostenuti da Cosa nostra nelle campagne elettorali? TOMMASO BUSCETTA. Come corrente, come partito? PRESIDENTE. Come persone. Quali candidati? Pag. 374 TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto si cerca la corrente. PRESIDENTE. La corrente vuol dire il partito? TOMMASO BUSCETTA. Se è comunista, se è ... niente da fare. PRESIDENTE. Comunisti e fascisti niente. Poi? TOMMASO BUSCETTA. Poi ... PRESIDENTE. Va bene, ho capito. TOMMASO BUSCETTA. Si sceglie quello che ha già una caratteristica ad essere avvicinato, cioè quello a cui si possono, quando lui sarà eletto ... perché non è vero il fatto che si pattuisca prima: se tu diventerai onorevole, tu mi darai e io ti farò avere mille voti. Non è vero, per lo meno non si è mai usato, anzi si è detto: onorevole, io per lei farò le cose, speriamo che lei quando sarà onorevole non si dimenticherà. Quando poi diventa onorevole, c'è una forma di parlare con l'onorevole che è: o me la fai o me la fai! E l'onorevole fa. Sempre! PRESIDENTE. Questo accade per tutti quelli che sono stati votati da Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. No, perché molte volte si fa confusione. Non si può stabilire quanti voti ha preso il Tizio o il Caio. E' una cosa molto difficile, solo il votato sa se ci sono stati, se sono affluiti i voti che Cosa nostra doveva dare per lui. E poi non è Cosa nostra. PRESIDENTE. Ci spiega un po' bene? TOMMASO BUSCETTA. E' il personaggio della Cosa nostra, non Cosa nostra. Il personaggio non dice all'altro della Cosa nostra che lui... o meglio dice: il presidente è cosa mia quindi, se tu hai bisogno di un favore dal presidente, devi rivolgerti a me. Mica ci devi andare direttamente. Quindi è una specie di monopolio il candidato eletto da me, che è differente dal candidato eletto da questo signore qui. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come funziona questo meccanismo prima del voto? Bisogna scegliere un candidato da votare ... TOMMASO BUSCETTA. No, non si sceglie il candidato da votare. Non è nè la commissione ... PRESIDENTE. Mi faccia completare la domanda. Lei dice che non è Cosa nostra che sceglie, ma il singolo uomo d'onore. E' così? TOMMASO BUSCETTA. Sì, che se lo sceglie. PRESIDENTE. Anche la famiglia o solo il singolo? TOMMASO BUSCETTA. No, è quasi personale. PRESIDENTE. Ho capito. Lei dice che questa scelta non è un contratto secondo cui io faccio questo e poi tu mi dai quest'altro. TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Si fa intendere. Però, si prendono prima contatti con quello che si voterà oppure no? TOMMASO BUSCETTA. Certo. PRESIDENTE. Può accadere che vi sia un uomo politico che è votato anche in zone, in quartieri dove una famiglia comanda senza che quest'uomo politico lo sappia? TOMMASO BUSCETTA. No. Anzi, si può candidare qualsiasi persona. Non solo, avevamo la bontà di non impedire che lui si candidasse. Noi impedivamo solo il partito comunista nel vero senso Pag. 375 della parola. Andavamo famiglia per famiglia a dire: partito comunista niente, è la cosa peggiore che esiste. Questo sì, ma per quanto riguarda tutti gli altri partiti, lasciavamo libertà a chi si voleva candidare. Era per questo, anzi, che l'uomo politico cercava il mafioso, perché sapeva che lui poteva ottenere molto di più di quello che si era candidato per conto suo. PRESIDENTE. Cioè senza sostegno. TOMMASO BUSCETTA. Senza sostegno. PRESIDENTE. Poteva accadere che un uomo d'onore o più uomini d'onore decidessero di non votare più per un partito, o per certi candidati perché questi non li avevano sostenuti a sufficienza? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. A lei non risultano cose di questo genere? TOMMASO BUSCETTA. No, a me non risultano queste cose. PRESIDENTE. Per capire, se andiamo a vedere come si sia votato in un quartiere dove comanda quella certa famiglia si può dire, secondo lei, che l'uomo politico votato è persona con cui chi comanda in quel quartiere ha preso contatti? TOMMASO BUSCETTA. Guardi, lei domanda una cosa tecnica alla quale non so rispondere. Credo che non si può vedere. L'uomo politico abitualmente - lei lo sa meglio di me - sa le preferenze che avrà, già ha una percentuale. Ha già la sua visione, ma quando questa percentuale aumenta lui sa benissimo... PRESIDENTE. Vorrei capirlo meglio. Mi presento in un quartiere dove comanda una famiglia mafiosa particolarmente importante: se nelle elezioni precedenti ho preso pochi voti, mentre nelle attuali ne prendo tanti, ciò che significa che sono stato appoggiato? Oppure può accadere che la gente voti liberamente? TOMMASO BUSCETTA. No, è stato appoggiato. Se il suo quoziente in quella borgata è di cento voti e improvvisamente, quando lei ha raggiunto un accordo con me, così, di benevolenza - non trattative, non ci sono trattative, per lo meno nell'ambiente mafioso - vedrà trecento voti, saprà che duecento sono venuti da parte mia, dal mio interessamento. Quindi, lei meglio di nessuno sa che mi deve rispettare perché quei voti saranno sempre suoi. PRESIDENTE. Non può accadere, secondo quanto lei sa, che un uomo politico venga votato in modo massiccio, in un quartiere mafioso, dominato dalla mafia, se la mafia non ha deciso di votarlo. TOMMASO BUSCETTA. E' molto difficile. PRESIDENTE. In un interrogatorio davanti al dottor Falcone sostiene che Badalamenti mentre era con lei a Belem il 3 settembre 1982, avendo appreso dalla televisione dell'assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, ritenne che l'omicidio era stato effettuato dai corleonesi, aiutati dai catanesi, che erano a loro più vicini, ed aggiunse (Badalamenti a lei) che "qualche uomo politico si era sbarazzato, servendosi della mafia, della presenza, troppo ingombrante ormai, del generale". Può spiegare alla Commissione il significato di questa ipotesi di Badalamenti? TOMMASO BUSCETTA. Credo che l'ho fatto mezz'ora fa, più o meno. Già l'ho fatto questo, già ho dato questa risposta. PRESIDENTE. Ho capito. TOMMASO BUSCETTA. Lo stesso Badalamenti non si spiega perché nel 79 deve morire, perché nel 1979 lui non è più... Pag. 376 PRESIDENTE. Non è ancora. TOMMASO BUSCETTA. No, non è più il capo della commissione. E' finito; come uomo è finito, già è espulso da Cosa nostra. PRESIDENTE. Certo. TOMMASO BUSCETTA. Lui non si spiega come nel 1979 si doveva uccidere Dalla Chiesa da parte nostra e farlo rivendicare ai brigatisti. Poi, quando viene a Palermo il generale Dalla Chiesa e viene a disturbare i mafiosi (perché io so che li ha disturbati veramente)... lui non si spiega. Il fatto dei catanesi è un pour parler dicono i francesi, è uno scambio di vedute. Io penso che avranno usato anche i catanesi nell'omicidio, perché siccome devono agire nella pubblica via, nelle vie più centrali di Palermo, hanno usato gente sconosciuta. Lui già sapeva dei collegamenti tra Riina, i Greco e i catanesi. PRESIDENTE. Il fatto che il generale Dalla Chiesa cominciasse a dare fastidio alla mafia e che fosse ucciso a Palermo, non necessariamente poteva far pensare al fatto che ci fosse un altro interesse ad uccidere il generale oltre a quello di difesa pura della mafia. TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma vede è il primo omicidio eccellente Dalla Chiesa e viene cercato. E' difficile che io trasferisca questa mia logica a voi. PRESIDENTE. Lo sta facendo capire benissimo. TOMMASO BUSCETTA. E' difficile. Mai la mafia si era spostata a questi livelli. Solo perché aveva detto che i fogli rosa non si dovevano dare più. Noi avevamo subìto il prefetto Mori e non lo si era ammazzato - dico noi, forse non ero nato, lo dico per sentito dire -. Non si era ammazzato il prefetto Mori né quando era prefetto, né quando si ritirò. Cercare a Dalla Chiesa nel 79 non è più un problema mafioso; è un problema che va al di là della mafia. Poi si ammazza perché sta andando ad indagare sui costruttori di Catania o sulle patenti: è troppo in alto che si va. Questa è la mia opinione. PRESIDENTE. Quali sono gli altri omicidi di mafia che fanno sorgere tali tipi di dubbio: quello di La Torre, poco prima dell'uccisione del generale Dalla Chiesa, può far nascere questo dubbio? TOMMASO BUSCETTA. La Torre... Poi loro hanno attuato la legge La Torre, l'hanno messa in pratica e hanno sequestrato tutti i beni dei perdenti. PRESIDENTE. Quando La Torre fu ucciso, il 30 aprile 1982, la legge non c'era ancora. TOMMASO BUSCETTA. Non c'era ancora, ma loro pensavano che si stesse interessando. In virtù di tutte queste cose - perché lei, stringi stringi, si ricorda il suo mestiere di giudice istruttore e ritorna sempre sullo stesso argomento - ed è l'opinione che mi sono creato da solo, non è vero che si vuole ammazzare perché quello merita di essere ammazzato: è un mezzo. Pio La Torre stava facendo la legge antimafia per il sequestro dei beni; va bene, allora l'ammazziamo tanto... l'ammazziamo per questa ragione, poi vediamo se... Stanotte stavo leggendo un libro di Caponnetto ... no, scusate del giudice Falcone, scusate la deviazione, in cui riferisce che una volta io raccontai a lui una barzelletta. Gli dissi che un tizio ricorre al dottore per un'infezione in un posto che, per la presenza di donne, non specifico. Disse il dottore "guardi, se è stato il filo spinato è una cura; se è stata un'altra cosa è un'altra cura! Dottore, lei mi dia l'altra cura, ma le giuro che è stato il filo spinato!". PRESIDENTE. Ho capito. Pag. 377 TOMMASO BUSCETTA. Quindi ... Andiamo al fatto vero: è inutile che io divago e parlo di un'altra ipotesi. Mi sono fatto una mentalità mia che può non andare d'accordo con la realtà. Non mi piace essere deriso e di essere preso in giro dicendo che sono un pazzo da legare. Le mie verità le affiderò ai giudici; le prove che loro troveranno, le porteranno avanti. Non desidero diffamare nessuno. PRESIDENTE. Lei deve tener conto che la Commissione parlamentare ha il dovere di porre una serie di domande. TOMMASO BUSCETTA. Ha ragione signor presidente. PRESIDENTE. Quali sono gli altri omicidi che fanno nascere questo tipo di sospetto? TOMMASO BUSCETTA. Ma tutti! PRESIDENTE. Tutti? TOMMASO BUSCETTA. Tutti. Il giudice Falcone è stato ucciso da Cosa nostra perché fu uno strenuo lottatore contro la mafia. Strenuo, onesto e dignitoso! Però è un mezzo per coprire altre cose, secondo il mio punto di vista. E' ucciso perché combatte la mafia; è ucciso dai mafiosi. Non si venga a dire che la mafia non c'entra! Perché se ne intendono quanto i dottori si intendono di astrologia. Io vedo altre cose intorno a queste cose. CARLO D'AMATO. Lei ha detto che il terzo livello non esiste. TOMMASO BUSCETTA. Non esiste il terzo livello. CARLO D'AMATO. E allora chi c'é dietro? TOMMASO BUSCETTA. Eh, ma questo è un terzo livello interessato. Questo è un terzo livello interessato. Insisto che non c'è il terzo livello, perché i mafiosi non prendono ordini, ma possono i mafiosi dire ad altri "noi faremo così!". PRESIDENTE. E voi cosa ne pensate? TOMMASO BUSCETTA. Credo di averlo fatto capire cosa ne penso. PRESIDENTE. No, i mafiosi dicono "noi faremo così" e chiedono all'altro "e voi cosa ne pensate?". E l'altro risponde di sì o di no. TOMMASO BUSCETTA. Quello dice sì. Tranne che non è prospettato, come dire faremo questo, questa grande cosa. In sostanza mi trovo con dei rebus. Questi miei rebus li affiderò ai giudici e i giudici li svolgeranno. PRESIDENTE. E' chiaro. TOMMASO BUSCETTA. Se poi diranno "signor Buscetta, dei rebus che lei ci ha dato non comprendiamo niente", tanto di guadagnato. Credo che potrò dare a loro qualche chiave perché loro possano andare avanti. PRESIDENTE. Dobbiamo sospendere la seduta per cambiare la cassetta della registrazione televisiva. La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle 14. PRESIDENTE. Badalamenti le ha mai detto altro su Carlo Alberto Dalla Chiesa? TOMMASO BUSCETTA. In questo momento non ricordo. Credo di no. In questo momento non sono molto... Mi sono alzato questa mattina alle 5 per venire qui. PRESIDENTE. Si vuole riposare? TOMMASO BUSCETTA. No. Voglio dire che forse non sono abbastanza lucido. PRESIDENTE. Non si preoccupi. Pag. 378 Dopo la strage del 3 settembre, vi capitò di riparlare di quell'omicidio? TOMMASO BUSCETTA. Del 3 settembre? PRESIDENTE. Si, la data dell'omicidio del generale Dalla Chiesa. Vi capitò di riparlarne tra uomini d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Demmo sempre la versione che lui era andato in Sicilia a disturbare i mafiosi. Non abbiamo dato, almeno per quanto riguarda le persone con cui mi sono riunito, una versione diversa da quella che sto dicendo questa mattina. Abbiamo detto che avevano esagerato ammazzando Dalla Chiesa e la moglie e che ci sembrava che questo fatto fosse veramente anomalo, sempre indirizzando il nostro sguardo verso la mafia: lui li aveva disturbati e la mafia se ne era liberata. In effetti è così, signori miei, guardatelo con questi occhi: è la mafia che si è liberata di Dalla Chiesa. Quella che voglio dire è solo... PRESIDENTE. Un'ipotesi. TOMMASO BUSCETTA. Nel campo delle ipotesi, del "delirio". PRESIDENTE. Forse è il caso di spiegare che il termine delirio riporta alla breve conversazione informale che lei ha avuto, poc'anzi, con l'onorevole D'Amato e che quindi assume un significato particolare. Le sue congetture riguardano soggetti e organismi italiani o stranieri? TOMMASO BUSCETTA. Prettamente italiani, del nostro paese. PRESIDENTE. Badalamenti le ha dato notizie sulle possibili cause della morte di Calvi? TOMMASO BUSCETTA. Non mi ha dato notizie, per la verità. Mi disse: il tuo figlioccio, Calò,... Non so se lei capisce la parola "figlioccio". PRESIDENTE. La prego di spiegarla. TOMMASO BUSCETTA. Ho iniziato Calò, quindi ero il suo padrino. L'unico che ho portato a Cosa Nostra è stato Giuseppe Calò; l'ho iniziato io e quindi lui mi chiamava padrino. Quando questo padrinato e questa figliolanza si erano rotte, il Badalamenti mi disse: il tuo figlioccio è coinvolto nella vicenda Calvi fino a qua. Le parole, molte volte, tra uomini d'onore sono solo cenni. Non si possono avere curiosità nè interesse: basta quello che mi dici, purché sia la verità. Il dialogo si fermò quando lui disse: il tuo figlioccio è invischiato nel delitto Calvi fino a qua. Però, trovandomi a Roma e collaborando con la giustizia, sono stato chiamato da un ufficio di polizia a tradurre un verbale dal portoghese all'italiano. Non è che io sia traduttore, ma conosco il portoghese. PRESIDENTE. So che lei è stato in Brasile per molti anni. TOMMASO BUSCETTA. Inoltre, ho una moglie e dei figli brasiliani. Traduco questo documento e noto che la polizia italiana, attraverso la testimonianza di una brasiliana, cognata di tale Nunzio Guido (Cosa nostra napoletana), aveva conferito con un poliziotto italiano, raccontando certi episodi che non erano di molto peso secondo la polizia italiana. Io in tutti quei personaggi ne riconoscevo due, uno era Giuseppe Calò, che all'epoca si faceva chiamare Mario Aialoro, e un altro un certo Mimmo, che conosco personalmente perché mi è stato presentato da Calò Romano. FERDINANDO IMPOSIMATO. Balducci? TOMMASO BUSCETTA. Esatto. Quando leggo il documento, conoscendo questi due molto bene (Mario Aialoro - Giuseppe Calò)... Pag. 379 PRESIDENTE. Lei sapeva che erano la stessa persona? TOMMASO BUSCETTA. Si, lo sapevo perché ero stato a Roma a casa sua nel 1980. Dico a questo funzionario di polizia che Mario Aialoro è Giuseppe Calò, il quale nella riunione con le mogli è in compagnia di Danilo Abbruciati, quello che va a sparare al direttore della banca di Milano. Vedete che disegno! Gli organi inquirenti non avevano fatto caso a questa cosa, che non era sfuggita a me che sono vecchio e conosco i fatti. Perché Pippo Calò stava insieme a Danilo Abbruciati pochi giorni prima della sparatoria del direttore del Banco Ambrosiano? Ci doveva essere un interesse. C'è poi la cosa che aveva detto Gaetano Badalamenti: Pippo Calò sta fino a qua nella vicenda Calvi. Io faccio un riassunto di "delirio" e dico: Pippo Calò ci sta fino a qua. Non è soltanto Badalamenti che dice una frase, perché c'è un altro riscontro, essendo difficile che si riunisse con Danilo Abbruciati, il quale pochi giorni dopo va a sparare al direttore del Banco Ambrosiano e lo ammazza. Ho finito. PRESIDENTE. Altre notizie lei non ne ha avute? TOMMASO BUSCETTA. Io non ne ho avute, però se per voi può essere una strategia, sappiate che i soldi guadagnati dalla mafia con la droga sono molto più ingenti di quelli che i vostri ... PRESIDENTE. ...conti... TOMMASO BUSCETTA. ... stabiliscono. Quindi, non è affatto impensabile che Calvi abbia avuto soldi mafiosi e ne abbia fatto cattivo uso. PRESIDENTE. Cioè, che abbia avuto in deposito soldi mafiosi e ne abbia fatto cattivo uso? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. E per questo sia scattata la vendetta? TOMMASO BUSCETTA. Sì, una vendetta ma c'è un'altra cosa: uno molto vicino a Giuseppe Calò... Non so se queste cose debba dirle. PRESIDENTE. Le dica pure, poi decideremo noi. TOMMASO BUSCETTA. C'è una persona molto vicina a Pippo Calò e a Totò Riina che pochi anni fa viene trovata a Londra in possesso di eroina; viene messa in carcere in quella città dove già abitava. Quell'individuo è capace di impiccare Calvi e di metterlo sotto il ponte. PRESIDENTE. Sta parlando di Di Carlo? TOMMASO BUSCETTA. Esattamente. Si tratta di una serie di circostanze che mi fanno pensare, quasi vivere, che i mafiosi siano coinvolti nel caso Calvi. PRESIDENTE. E' chiaro. Secondo lei, chi informava Badalamenti? TOMMASO BUSCETTA. Badalamenti ha un nucleo familiare grandissimo, in America ed in Sicilia, che in parte è stato ammazzato e in parte no; comunque è un nucleo di gente che appartiene alla mafia. Un esempio tipico è che Badalamenti esce, Badalamenti viene espulso e chi assume la carica di rappresentante a Cinesi, borgata o paesino di Badalamenti, è il cugino, cioè Nino Badalamenti, che è rimasto in carica fino a quando non gli hanno sparato. PRESIDENTE. Badalamenti ha mai fatto collegamenti tra l'omicidio Calvi e quello di Dalla Chiesa? TOMMASO BUSCETTA. No; Badalamenti sa fare molto bene, meglio di chiunque altro, intrighi ma non è molto sviluppato intellettualmente. Pag. 380 PRESIDENTE. Ho capito, non è sveglio. Può parlare alla Commissione dell'invito che fece a lei Pippo Calò di restare in Italia quando voleva tornare in Brasile? Se non sbaglio, negli anni ottanta lei voleva tornare in Brasile... TOMMASO BUSCETTA. Questo è scritto su tutti i giornali! PRESIDENTE. Sì. TOMMASO BUSCETTA. Mi disse di rimanere in Italia ma non era il caso: avevo sofferto tanto e me ne volevo tornare in Brasile dove sarei andato povero, non certo ricco. PRESIDENTE. Voleva andare in Brasile per sfuggire all'eventuale cattura o no? TOMMASO BUSCETTA. Credevo di aver già pagato abbastanza lo Stato italiano con otto anni di carcere. PRESIDENTE. Ma doveva farne ancora qualcuno? TOMMASO BUSCETTA. Sì, dovevo fare ancora qualche anno di semilibertà. Ero stato otto anni in carcere e volevo andarmene; avevo una moglie giovane, credo bella - almeno ai miei occhi era bella - e non vedevo perché non dovessi godere mia moglie e i miei figli tranquillamente e lasciare tutti i problemi, compresi quelli avuti nel carcere dell'Ucciardone. Sebbene Ciancimino dica che io fossi l'ultimo, devo ricordare a questo signore che non ero l'ultimo, anzi ero il primo. Nel carcere dell'Ucciardone non è entrato nessuno per dire a ottocento detenuti: "Raccogliete il pane e mettetelo dentro le celle"; l'ha fatto solo Tommaso Buscetta. PRESIDENTE. Ci spiega questa storia, che non conosciamo? TOMMASO BUSCETTA. Hanno fatto sciopero, hanno buttato il pane fuori dalle celle. PRESIDENTE. Quando? TOMMASO BUSCETTA. Dal 1972 al 1977; il direttore del carcere, che mi stimava moltissimo, mi disse: "Signor Buscetta, se non interviene, io diventerò un direttore rigoroso e farò chiudere le porte". Andai nelle sezioni e dissi: "Rimettete il pane nelle celle". A far raccogliere il pane non è andato il signor Ciancimino ma ci sono andato io. PRESIDENTE. E tutti raccolsero il pane? TOMMASO BUSCETTA. Tutti raccolsero il pane. Questo fatto è avvenuto ed è stato oggetto di una notizia giornalistica. All'interno del carcere passavo molti guai, perché non si possono dominare 1.200 detenuti con 1.200 idee l'una diversa dall'altra: c'era l'infamone, lo spione, il malandrino, il mafioso, il magnaccia, tutte le categorie. Necessariamente dovevo dominare tutti quanti ma non è facile, mi creda, non è facile. Però ci sono riuscito. Sono stato portato a Cuneo, perché l'unico ad essere trasferito dal carcere di Palermo ad uno di massima sorveglianza è stato Tommaso Buscetta. Se ne sono infischiati dei peggiori e hanno mandato Tommaso Buscetta, a Cuneo: lì sono rimasto per tre anni. PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede chi intenda quando usa l'espressione "hanno mandato". TOMMASO BUSCETTA. Forse non ho usato le parole giuste, mi correggo: le autorità preposte alla massima sorveglianza mi hanno prelevato dall'Ucciardone e mi hanno portato a Cuneo. ALFREDO BIONDI. Le autorità preposte alla custodia? Pag. 381 TOMMASO BUSCETTA. Le autorità preposte alle carceri di massima sorveglianza. Come le chiamavano allora? PRESIDENTE. Carceri di massima sicurezza. TOMMASO BUSCETTA. Lo dico più chiaramente: il generale Dalla Chiesa ha preso solo me dall'Ucciardone e mi ha mandato a Cuneo. PRESIDENTE. Può cercare di spiegare perché fu preso soltanto lei? TOMMASO BUSCETTA. Non me lo spiego; credo che ci sia stato un litigio tra il direttore del carcere di Palermo ed il generale Dalla Chiesa. Quando questi gli domandò quali fossero i detenuti da mandare nelle carceri di massima sorveglianza, il direttore del carcere di Palermo disse: "Nessuno". "Come nessuno? E Buscetta Tommaso?" Il direttore rispose: "Sì, c'è Buscetta Tommaso ma egli è un equilibrio dentro il carcere, non ha mai tentato di evadere o di segare sbarre, malgrado gli abbia concesso, dietro domandina, il possesso di seghetti perché egli ha l'hobby della costruzione delle navi da modellismo". "Ah, so che Buscetta si è sostituito a te!". Quindi io sono stato il centro di una disputa tra due personalità e sono stato trasferito a Cuneo. ALTERO MATTEOLI. Lei come sa queste notizie? TOMMASO BUSCETTA. Dal direttore del carcere, dottor Di Cesare, personalmente. Ma c'è di più: io sono uscito in permesso dal carcere perché una mia figlia si operava a Milano di peritonite ed era sul punto di morire; mi hanno dato cinque giorni di licenza e al quinto giorno esatto mi sono ripresentato sperando di essere trasferito da quel carcere in un altro carcere dove, nei colloqui settimanali, avrei potuto baciare i miei figli. Il generale Dalla Chiesa disse: no, lui deve rimanere a Cuneo. PRESIDENTE. Si spiega il motivo di questa scelta nei suoi confronti? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, io non lo so. PRESIDENTE. Non può fare neanche ipotesi? TOMMASO BUSCETTA. Neanche ipotesi. PRESIDENTE. Stavamo parlando dell'invito fattole da Pippo Calò di restare in Italia. Vogliamo riprendere questo discorso? TOMMASO BUSCETTA. Pippo Calò mi disse: "Perché devi andare in Brasile?" Gli dissi: "Pippo, qua io vedo che siete tutti ricchi". "Ma tu avrai tutti i soldi che vorrai, devi dire solo quanto vuoi". "No, sennò divento schiavo di questa routine. E poi non mi piace quest'atteggiamento che tu hai in commissione, di dire sempre sì quando i corleonesi parlano". "Ma i corleonesi sono nostri amici". "Sono i tuoi amici, non i miei. Comunque, io non desidero litigare. Ti conosco da bambino. Dobbiamo fare solo una cosa: io me ne vado in Brasile, voglio essere lasciato in pace". "Ma se tu rimani qua c'è una fortuna. Si devono fare i quattro quartieri a Palermo": tuttora non so che cosa significhi i quattro quartieri, non lo so, non me lo domandi. "Va bene - gli ho detto - e i quattro quartieri?". "C'è Ciancimino che è nelle mani dei corleonesi". "E proprio perché è nelle mani dei corleonesi io non ho niente a che vedere e me ne vado in Brasile". PRESIDENTE. Cosa vuol dire che Ciancimino era nelle mani dei corleonesi? Era nelle mani dei corleonesi o di Riina? TOMMASO BUSCETTA. E' un linguaggio locale, che è difficile tradurre in italiano. Quando Calò dice che era nelle mani dei corleonesi intende dire come Pag. 382 struttura portante, in mano a Riina. Perché mica può essere in mano a Bagarella! PRESIDENTE. Cosa vuol dire essere nelle mani di qualcuno? TOMMASO BUSCETTA. Che quello ne fa quello che vuole. O per lo meno che sono in società, o che sono molto amici. PRESIDENTE. E' chiaro. E Ciancimino tuttora opera d'intesa con Riina, secondo lei, o questo rapporto si è rotto? TOMMASO BUSCETTA. Dovrei entrare nel campo delle ipotesi e non lo so. PRESIDENTE. Sulla base di ciò che lei conosce, di quello che ha visto e della capacità di interpretazione dei fatti che ha per aver fatto parte di Cosa nostra, ha tratto attualmente elementi che le possano far pensare che Ciancimino ha rotto con Riina? TOMMASO BUSCETTA. No. Se è vero... Perché io non ho dato assicurazione al dottor Falcone che era vero, ho detto: Pippo Calò mi ha detto questo... PRESIDENTE. Certo, certo. TOMMASO BUSCETTA. Se è vero che Ciancimino era nelle mani dei corleonesi e Ciancimino è tranquillo, può gridare, può dire "voglio essere sentito dall'Antimafia", mi creda: Ciancimino è d'accordo con Riina, ancora. Se è vero. PRESIDENTE. Se è vera la prima cosa, ho capito. Ciancimino era votato da Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Anche dall'inizio. PRESIDENTE. Anche dall'inizio. TOMMASO BUSCETTA. Però lui aveva un collegio differente da Lima. Ma poi non c'erano ostacoli, non si creava l'ipotesi "tu questo non lo devi votare perché io voto Lima e tu non devi votare...". Ognuno era libero. L'importante è che non fosse comunista. PRESIDENTE. Lima e Ciancimino non erano d'accordo? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Perché non erano d'accordo? TOMMASO BUSCETTA. Che io sappia non sono stati mai d'accordo. Ma poi questi fatti si sono confermati nel 1980, quando sono uscito e mi sono incontrato con Bontade: era una rottura totale. E sembra, a dire di Bontade, che Ciancimino avesse ricevuto da Lima, per farlo restare nelle condizioni di eminenza grigia nella democrazia cristiana, questa concessione dei quattro quartieri - ripeto che non so cosa significhi - che era gestita da Ciancimino. ALFREDO GALASSO. Quattro mandamenti, non quattro quartieri. TOMMASO BUSCETTA. Ma ancora non so cosa significhi. PRESIDENTE. Credo si trattasse del risanamento del centro storico. Non ho capito bene quale fosse la ragione dell'inimicizia tra Ciancimino e Lima. TOMMASO BUSCETTA. L'inimicizia tra Ciancimino e Lima secondo me è politica, non è... PRESIDENTE. Non dipende da rapporti... TOMMASO BUSCETTA. ... mafiosi. No, no. Credo che sia di corrente. Quando andai via nel 1963, lasciai Lima in una corrente fanfaniana; nel 1972 l'ho ritrovato Pag. 383 andreottiano. Credo che più che altro sia per queste correnti che si creavano in seno ... PRESIDENTE. Quindi un'inimicizia che non dipendeva dalle alleanze degli uomini di Cosa nostra. TOMMASO BUSCETTA. No, no, lo escludo categoricamente. PRESIDENTE. E quali erano i rapporti di Lima con i corleonesi? TOMMASO BUSCETTA. Io non li conosco. PRESIDENTE. Non li conosce. TOMMASO BUSCETTA. No, perché io credo che non ci fossero. Nel senso che non erano ... I rapporti che potevano intercorrere tra Ciancimino e Riina... Io credo che tra Riina e Lima ... fosse un altro il contatto. Ma non credo assolutamente che ci fosse il rapporto che ci poteva essere con Ciancimino, personale. PRESIDENTE. Ho capito. Cosa sa dei rapporti tra Balducci e Calò, oltre quanto ha detto? TOMMASO BUSCETTA. Balducci e Calò erano soci in tutti i sequestri che si facevano nel romano, nella Toscana e nelle aziende anche commerciali. PRESIDENTE. Sequestri di persona? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Lo so molto bene, e c'è anche un giudice che lo sa molto bene. PRESIDENTE. Lo sa molto bene. Ma non c'era un'intesa per cui gli uomini d'onore non dovessero fare sequestri di persona? TOMMASO BUSCETTA. Sì, in Sicilia. PRESIDENTE. Solo in Sicilia. Fuori li potevano fare. Ho capito. Se un partito o un uomo politico che siano stati sostenuti durante una campagna elettorale poi non restituiscono il favore, cosa succede? TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto parliamo per la prima parte: se un partito, non è ... PRESIDENTE. Ha ragione, mi correggo: un candidato. TOMMASO BUSCETTA. Ecco: un candidato. Ma non ci sono... Se parliamo di un candidato che va cercando terra terra un appoggio politico, che dà un pacco di pasta o il paio di scarpe, quella è una cosa; se parliamo del rapporto tra un candidato e la mafia, anzi e un mafioso non la mafia, è un'altra cosa. Là c'è un parlare elegante: cioè, noi l'appoggiamo, io ti appoggio, vedrai i voti ..., speriamo che Dio ti benedica. Ma è senza patto. Ma dopo avvengono le cessioni. PRESIDENTE. Ma il politico deve sapere o deve capire che quello che gli sta di fronte è un uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Lo intuisce, se è siciliano lo intuisce. Certo, se viene da Trieste non capirà mai chi ha davanti. PRESIDENTE. Neppure se viene da Torino. Ma se questo candidato, dopo che è stato eletto, non fa quello che deve fare - diciamo così - cosa avviene? TOMMASO BUSCETTA. Ma non è stabilito quello che deve fare. PRESIDENTE. Cosa accade se un mafioso gli chiede un favore e questi non lo fa? TOMMASO BUSCETTA. Se è nelle possibilità del candidato di fare il favore e non lo fa, sono fatti seri del candidato. Se invece non può farlo perché è impossibilitato a farlo, è un altro discorso. Pag. 384 PRESIDENTE. Può accadere che un mafioso o un gruppo di mafiosi decidano di votare a dispetto, togliendo i voti a un candidato e dandoli ad un altro perché quello capisca che non ha fatto ...? TOMMASO BUSCETTA. Lei mi fa una domanda alla quale devo rispondere per quello che ho appreso attraverso i giornali. Altrimenti non avrei una risposta da dare, perché non è successo nel passato. Hanno dato i voti al partito socialista: ma li hanno dati proprio a dispetto, per non votare la democrazia cristiana che forse avrà negato dei favori. PRESIDENTE. E' stato un voto a dispetto: è possibile che sia così? TOMMASO BUSCETTA. E' possibile. Anzi potrei giurare che è senz'altro così. PRESIDENTE. Come fa l'uomo d'onore ad orientare il voto, a dire per chi si debba votare? TOMMASO BUSCETTA. Con i fac-simile che vengono distribuiti. PRESIDENTE. Come fa la gente a sapere che un determinato candidato è sostenuto da un uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Lo sanno, lo sanno. Lei non ha idea delle campane che si suonano in Sicilia, erano più rapide delle telefonate, si sanno queste cose e poi c'è "u zu Peppino" che vuole che si voti ... e lei non deve neanche sapere che servirà a qualche cosa questo uomo politico. PRESIDENTE. Ci sono anche intimidazioni o no? TOMMASO BUSCETTA. No, la mafia non fa intimidazioni, non ne ha bisogno. PRESIDENTE. Che ruolo ha giocato Bontade nell'attività politica di Lima? TOMMASO BUSCETTA. Io conosco questa parte, e sa perché? Perché Bontade, prima del 1963, non votava Lima, aveva altri candidati. PRESIDENTE. E chi votava? TOMMASO BUSCETTA. Eh, lasciamola così questa parte, perché poi questo deputato nel tempo si è maturato di più. PRESIDENTE. Cosa vuol dire che si è maturato di più? Che è diventato più importante? TOMMASO BUSCETTA. E' diventato più importante, è diventato forse, chissà, qualche cosa di più importante nel Governo, non ricordo bene. PRESIDENTE. E' in vita? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, come faccio a saperlo? PRESIDENTE. Forse non mi sono spiegato: le sto chiedendo se è vivo o morto. TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, non lo so. Ho capito bene la sua domanda, ma non lo so, devo inventare che è morto e poi quello è vivo e mi denuncia per calunnia? ALFREDO BIONDI. E' ancora parlamentare o ha avuto una "disgrazia" di tipo elettorale? TOMMASO BUSCETTA. Io credo che non sia più parlamentare. PRESIDENTE. La Commissione avrebbe interesse a sapere se oggi, sulla base di quello che lei sa, un'ipotesi di separazione della Sicilia dal resto d'Italia o di un'autonomia di gran lunga maggiore possa coincidere con gli interessi di Cosa nostra attuale. TOMMASO BUSCETTA. Come ipotesi, sto rispondendo come ipotesi: sì. Pag. 385 PRESIDENTE. Sulla base di che cosa fonda questa sua ipotesi? TOMMASO BUSCETTA. Le tremende condanne che si ricevono in questi anni mi fanno pensare che dovranno trovare una soluzione, perché non sarà ammazzando il giudice Falcone, il giudice Borsellino o quelli che verranno (perché ne verranno, disgraziatamente ne verranno altri) che si risolverà il problema. Le condanne rimarranno, la Cassazione ha chiuso certi processi, quindi non credo che vi saranno alternative che potranno essere favorevoli ... PRESIDENTE. Quindi, quello delle condanne è per lei un punto fondamentale? TOMMASO BUSCETTA. Io credo fermamente solo in questo. PRESIDENTE. Ricorda i nomi dell'assessore Trapani e del medico Maggiore? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Erano uomini d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Sì, erano nella mia famiglia, entrambi consiglieri. PRESIDENTE. Lei ha spiegato di aver conosciuto, durante il suo soggiorno a Roma presso Calò, sia Balducci sia Diotallevi. Può spiegare meglio quali rapporti avesse Calò con questi personaggi romani, con Abbruciati, e così via? Questi non erano uomini d'onore, vero? TOMMASO BUSCETTA. No, assolutamente no. PRESIDENTE. Un uomo d'onore può mettersi a commettere reati con gente che non è gente d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Quali reati? Se parliamo di sequestri, sì, è lui che ne assume la responsabilità. Se parliamo di omicidi, no, assolutamente, specialmente se sono omicidi decretati dalla commissione. PRESIDENTE. Gli omicidi decretati dalla commissione sono effettuati soltanto da uomini d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Soltanto, non perdiamoci in chiacchiere, soltanto. PRESIDENTE. Non possono essere altri? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Che rapporti aveva intrecciato Calò con questa gente a Roma? TOMMASO BUSCETTA. Per quello che ho visto io personalmente, erano rapporti di briccone, di affari, andavano a sequestrare persone ed io ricordo che in quel periodo il Diotallevi voleva comprare qui a Roma una casa che costava (a quell'epoca erano molti soldi, forse oggi sono un po' svalutati) due miliardi; non so se poi l'abbia comprata. PRESIDENTE. Antonino Rotolo aveva rapporti con questi personaggi? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione chi era Antonino Rotolo? TOMMASO BUSCETTA. Antonino Rotolo era una persona amica nostra, di un'altra famiglia rispetto a Pippo Calò ma che si era molto affezionato a Pippo Calò e che si era dato, insieme a Pippo Calò, a questi sequestri e al traffico di droga, diventando molto ricco ed antipatico a Stefano Bontade, il quale aveva detto che si era fatto uomo d'onore un uomo il cui cognato era vigile urbano. PRESIDENTE. Angelo Cosentino chi era? Pag. 386 TOMMASO BUSCETTA. Era capo decina a Roma. PRESIDENTE. Era un uomo importante? TOMMASO BUSCETTA. Era lui che comandava qui a Roma come Cosa nostra. Era dipendente di Stefano Bontade come decina, ma era lui che amministrava nella città tutto quello di cui c'era bisogno. PRESIDENTE. Qual era la funzione di Cosentino? TOMMASO BUSCETTA. Era di trovare agganci in Cassazione, di trovare case per far dormire i latitanti. PRESIDENTE. I rapporti con i politici romani li teneva Cosentino? TOMMASO BUSCETTA. In parte sì. PRESIDENTE. Può chiarire quali rapporti avesse Pippo Calò con Nunzio Guida, di cui lei ha parlato un attimo fa? TOMMASO BUSCETTA. Pippo Calò aveva rapporti con Nunzio Guida come uomo d'onore. Nunzio Guida prima era un grande contrabbandiere di sigarette insieme a Zaza. PRESIDENTE. Ed era anche uomo d'onore Nunzio Guida? TOMMASO BUSCETTA. Sì, era anche uomo d'onore. Quindi, lo ha conosciuto come uomo d'onore insieme a Zaza e insieme hanno scaricato piroscafi e piroscafi di sigarette. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di Nunzio Guida in Brasile? TOMMASO BUSCETTA. Ne ho sentito parlare prima, in prima persona. PRESIDENTE. L'ha visto in Brasile? TOMMASO BUSCETTA. No, non l'ho visto in Brasile. Lui ha delle amicizie molto elevate; quando io sono uscito dal carcere ho detto a Salamone che volevo andare in Brasile, ma il Brasile nel 1972 mi aveva espulso, per cui mi veniva un po' difficile ritornarvi. Salamone mi disse che Nunzio Guida avrebbe potuto aiutarmi in questa cosa e mi consigliò di andare da Alfredo Bono, che mi avrebbe messe in contatto con Nunzio Guida. Parlai con Nunzio Guida a Milano di questa cosa, ma la risposta, che giunse dopo vari giorni, fu che il mio nome era troppo eclatante in Brasile e che egli non poteva fare nulla, anche se si diceva che conoscesse l'allora Presidente del Brasile. PRESIDENTE. Sa qualcosa dei rapporti tra Nunzio Guida ed Ortolani? TOMMASO BUSCETTA. Credo che Nunzio Guida ospitasse Ortolani o che questi ospitasse lui. PRESIDENTE. E dei rapporti tra Nunzio Guida e Gelli? TOMMASO BUSCETTA. Questi non li conosco. PRESIDENTE. Può dare chiarimenti alla Commissione sulla visita di uno dei Salvo a casa di Pippo Calò? Chi era, Ignazio? TOMMASO BUSCETTA. No, era Nino. Siamo andati a pranzo a casa di Pippo Calò e nel pomeriggio io avrei dovuto incontrarmi con Salvo Lima e chi mi portava da Lima era Nino Salvo. PRESIDENTE. Come mai andaste a mangiare a casa di Calò? TOMMASO BUSCETTA. Calò era il mio figlioccio, il mio rappresentante, come devo dirlo? Io ero in casa di Pippo Calò, è Nino Salvo che viene a trovarmi in casa di Pippo Calò e dopo andiamo insieme a trovare Lima. Pag. 387 PRESIDENTE. E Nino Salvo da chi era stato interessato? TOMMASO BUSCETTA. Da me, io conoscevo Nino Salvo. PRESIDENTE. Vorrei capire meglio. Quindi, lei parlò con Nino Salvo e cosa gli chiese? TOMMASO BUSCETTA. Per la verità lui mi disse: guarda che Salvo - perché l'altro si chiama pure Salvo, cioé Lima - ti vuole vedere. PRESIDENTE. Era Lima che voleva vedere lei? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Ti vuole vedere perché si vuole scusare. Tu avrai capito. Per la verità, Lima mi mandava dei messaggi in carcere, quando lui era segretario, e mi diceva che non poteva fare niente per me. PRESIDENTE. Quando lui era segretario di che cosa? TOMMASO BUSCETTA. Mi sembra che fosse sottosegretario. Non ricordo, anzi mi sembra che fosse sottosegretario alle finanze. PRESIDENTE. E le diceva? TOMMASO BUSCETTA. E mi diceva, attraverso Brandaleone - che è un'altra persona nella mia famiglia, che lei forse non avrà lì segnata perché non ne ho mai parlato con nessuno - che avrebbe fatto il possibile, ma che non c'era molto da fare perché il mio nome era troppo cubitale. PRESIDENTE. E non si poteva quindi aiutarla. Andaste poi a parlare con Lima? TOMMASO BUSCETTA. Andai poi a parlare con Lima. PRESIDENTE. Sempre accompagnato da Nino Salvo? TOMMASO BUSCETTA. Lui sapeva dove andare a trovare e poi io ero latitante e quindi dovevo stare attento. Andammo in un albergo, di cui non ricordo il nome. MARCO TARADASH. L'intervento di Lima chi l'aveva chiesto? PRESIDENTE. Buscetta dice che Lima aveva chiesto di parlare con lui. MARCO TARADASH. Lima aveva mandato biglietti in carcere, ed allora? PRESIDENTE. L'onorevole Taradash vuol sapere, poiché lei qui riferisce che Lima le aveva mandato dei messaggi in carcere ... TOMMASO BUSCETTA. Non biglietti, messaggi a voce, orali. PRESIDENTE. L'onorevole Taradash vorrebbe capire chi avesse detto a Lima: interessati. TOMMASO BUSCETTA. Ma Lima era amico mio. Poi, non essendo più presente perché abbiamo fatto due strade completamente diverse, avevamo l'unione di un personaggio molto vicino a Lima, nella mia famiglia di Porta Nuova, che era amico nostro e che era Brandaleone, Ferdinando Brandaleone, che aveva un fratello assessore al comune di Palermo. PRESIDENTE. E Brandaleone era un uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Era un uomo d'onore. PRESIDENTE. E il fratello? TOMMASO BUSCETTA. Il fratello no, l'assessore. Ma ce ne erano tanti uomini d'onore nella giunta di Lima. Pag. 388 PRESIDENTE. Ce ne erano tanti? TOMMASO BUSCETTA. Sì, e ne parlerò poi con i giudici. Ne parlerò: ce ne erano tanti uomini d'onore nella giunta di Lima e non perché Lima li volesse, ma perché erano votati. Portavano più voti del sindaco: dovevano essere degli assessori. PRESIDENTE. Nelle giunte successive ci sono stati ancora uomini d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. Non le dirò certo di no. MARCO TARADASH. Buscetta ha detto: Lima era amico mio. Può descrivere i rapporti personali che ha avuto con Lima? PRESIDENTE. E' meglio rinviare a dopo questa domanda. Quali erano i rapporti tra mafia e imprese a Palermo? In altri termini, per lavorare le imprese dovevano rivolgersi a Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Sembrerà strano, ma è una parte che io non conosco perché non si facevano. Ma so benissimo che dopo il 1970, quando ero carcerato, si facevano perché entravano anche uomini d'onore che avevano subito dei processi perché avevano fatto degli attentati dinamitardi alle imprese di costruzione. Questo l'ho saputo, ma personalmente non l'ho conosciuto, questo fatto. PRESIDENTE. Non conosce questo rapporto tra mafia ed imprese. TOMMASO BUSCETTA. E' nato dalle intimidazioni, dalle bombe, dalle macchine che saltavano in aria, dai pilastri di cemento armato che cadevano. Quindi, è nato un rapporto di intimidazione e così ogni costruttore aveva il suo guardiano, dava una sovvenzione per i carcerati, perché questo era il nome. PRESIDENTE. C'era stata, dunque, un'azione di intimidazione. Siccome lei un attimo fa ha detto che la mafia non ha bisogno di intimidire, come mai è accaduto ciò? TOMMASO BUSCETTA. Ma venivano imprese che dovevano essere intimidite, venivano imprese straniere: "siamo andati dal triestino per vedere se capiva il messaggio ed il triestino non capisce il messaggio". PRESIDENTE. Bisognava spiegarglielo bene, insomma. I nomi degli imprenditori Costanzo, Graci e Rendo le dicono qualcosa? TOMMASO BUSCETTA. Solo Costanzo, perché lo conoscevo di nome attraverso Pippo Calderone. PRESIDENTE. Può spiegare che cosa sa di Costanzo? TOMMASO BUSCETTA. La persona di fiducia di Costanzo, quando lui andava a costruire ... ecco: la risposta l'abbiamo subito. Se lui andava a costruire a Palermo, a Bolognetta, era il Pippo Calderone che andava a trattare dicendo: verrà Costanzo, verrà a costruire. Di cosa avete bisogno? Gli rispondevano: abbiamo bisogno di due guardiani, due impiegati. E perciò non c'era bisogno di mettere bombe o di intimidire. PRESIDENTE. E Cassina? TOMMASO BUSCETTA. Cassina io credo che aveva già un sopporto molto grande da parte di Salvo Lima che io conosco dal lontano 1960, 1959. PRESIDENTE. Chi? TOMMASO BUSCETTA. Io personalmente conoscevo il rapporto fra Cassina e Lima. Pag. 389 PRESIDENTE. Mentre ci siamo, può spiegare alla Commissione questo suo rapporto d'amicizia con Lima? TOMMASO BUSCETTA. Mio personale? PRESIDENTE. Sì. TOMMASO BUSCETTA. Come ho detto già in un interrogatorio diventato pubblico, il Lima era figlio di un uomo d'onore attivo. Un uomo d'onore che era nella famiglia di Palermo. Molte persone hanno scambiato che il rapporto fra Lima ed i La Barbera fosse un rapporto dovuto all'elettorato, fosse un rapporto dovuto alle intimidazioni. Non è vero. I La Barbera non avevano bisogno di questo perché avevano il padre dentro la loro famiglia, quindi loro chiedevano a Lima quello che volevano attraverso il padre, non direttamente. Mentre io ero - come dire? - l'astro nascente, il personaggio nuovo ... PRESIDENTE. Emergente. TOMMASO BUSCETTA. ... che frequentavo il Teatro Massimo e che non avevo niente a che vedere con le bettole; una volta, quando io ero giovanotto, si usavano le bettole, ma io non le frequentavo ed andavo al Teatro Massimo. Io conoscevo personalmente il padre di Lima e mi fu presentato Lima dal padre. Tra noi si instaurò un rapporto che non era un rapporto fatto di "io ti do, tu mi dai". Assolutamente, questo non esisteva e si instaurò un rapporto: eravamo della stessa età, frequentavemo assieme il Teatro Massimo, lui mi mandava i biglietti per tutta la stagione lirica del Teatro Massimo. Questi erano i rapporti. PRESIDENTE. Come diceva, Cassina era sostenuto da Lima. E l'imprenditore Vassallo? TOMMASO BUSCETTA. Credo che Vassallo era la "firma" di Lima, che Vassallo fosse scritto per sostituire il nome di Lima. PRESIDENTE. Moncada? TOMMASO BUSCETTA. Moncada no. Mocada era un membro della famiglia di Palermo. ALTERO MATTEOLI. Cosa vuol dire "la famiglia di Lima"? TOMMASO BUSCETTA. Io ho detto "la famiglia di Lima"? PRESIDENTE. No, "la firma". TOMMASO BUSCETTA. Forse confondo lo spagnolo con l'italiano: per "firma" intendo dire la ditta. Io credo che la ditta ... PRESIDENTE. Era Vassallo. TOMMASO BUSCETTA. ... che dietro quella firma ci fosse Lima. Un prestanome. PRESIDENTE. Com'è che poi è stato sequestrato un nipote, anzi il figlio, di Vassallo, nonostante che questi avesse alle spalle Lima? TOMMASO BUSCETTA. E perché Lima è una garanzia? PRESIDENTE. Non era sufficiente? TOMMASO BUSCETTA. No. E poi non credo molto a questo sequestro di Vassallo. Non lo conosco questo sequestro. PRESIDENTE. Può spiegare? TOMMASO BUSCETTA. Che non c'è stato il sequestro. PRESIDENTE. E' stato finto? TOMMASO BUSCETTA. E' stato finto. PRESIDENTE. E perché? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so il perché. Pag. 390 PRESIDENTE. Però, lei sa che è stato finto. TOMMASO BUSCETTA. Non c'è stato il sequestro. Si è autosequestrato, io credo. PRESIDENTE. Moncada era uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Sì, Moncada era uomo d'onore della famiglia di Palermo. Salvatore Moncada, perché erano diversi fratelli costruttori, ma l'uomo d'onore era Salvatore Moncada. PRESIDENTE. Salvatore Moncada dava copertura anche ai fratelli? TOMMASO BUSCETTA. E' logico. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del dottor Mandalari? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Ne ho sentito parlare in carcere da Agostino Coppola, da gente che è entrata in carcere. Era come si dice... PRESIDENTE. Un commercialista. TOMMASO BUSCETTA. Un commercialista di tutti gli amici nostri che venivano in carcere. Tu hai avuto un commercialista? Mandalari. Altre cose non so di Mandalari. PRESIDENTE. Era il commercialista di tutti quelli di Cosa nostra o solo dei corleonesi? TOMMASO BUSCETTA. Beh, lei ha fatto una bella domanda. Era amico dei corleonesi perché tutti quelli che venivano in carcere e avevano il commercialista Mandalari, incredibilmente erano tutti corleonesi. Cioè, non nati a Corleone... PRESIDENTE. Del gruppo dei corleonesi. TOMMASO BUSCETTA. Della corrente. Voi parlate di correnti, parlo pure io di correnti. Della corrente dei corleonesi. PRESIDENTE. Gli imprenditori di Catania come sono entrati a Palermo? Tramite Pippo Calderone? TOMMASO BUSCETTA. L'ho data la risposta. PRESIDENTE. Nel corso di un interrogatorio del 9 agosto 1984 al dottor Falcone, lei ha dichiarato che se un imprenditore di una provincia intende eseguire lavori di notevole rilievo in un'altra provincia, il giudizio è riservato all'interprovinciale. E' così? TOMMASO BUSCETTA. Bisogna vedere l'importanza della ditta. Perché se uno deve fare cento metri di strada, si rivolge personalmente all'uomo d'onore che lui conosce, anche se è di Balestrade, e dice "guardi io devo andare a fare cento metri di strada in quella borgata, in quel paese, in quella cittadina". Allora, va solo. Domanda il permesso al suo rappresentante e va. PRESIDENTE. Se invece è un lavoro più impegnativo? TOMMASO BUSCETTA. E allora può interessarsi l'interprovinciale e dire "guarda, c'è un appalto per vari miliardi, potremmo vedere di interessarci per non avere disturbo se andiamo a costruire a Palermo o, viceversa, se andiamo a costruire a Catania". PRESIDENTE. Questo succede anche con gli imprenditori non siciliani? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. ALFREDO BIONDI. E la ripartizione come avviene? Quando si chiede un piacere, come avviene il conteggio dell'interesse della famiglia o dell'interprovinciale? Pag. 391 PRESIDENTE. Dice l'onorevole Biondi... ALFREDO BIONDI. Ha capito, ha capito. TOMMASO BUSCETTA. Ho capito. Posso rispondere. PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Biondi, ripeterei la domanda per la registrazione. ALFREDO BIONDI. Sono vanitoso. TOMMASO BUSCETTA. Allora siamo due vanitosi. L'aveva capito che ero vanitoso anch'io? ALFREDO BIONDI. E' una bella qualità aver stima di se stesso. TOMMASO BUSCETTA. La ripartizione non avviene, non c'è ripartizione. Voleva sentire la risposta? Allora mi dia ascolto. La ripartizione non avviene, perché al momento dell'interessamento dell'interprovinciale stabiliscono loro che cosa quella firma, cioè quella ditta, darà alla borgata dove andrà a costruire. Quindi, la ripartizione avviene con chi? Nella famiglia dove va a costruire e quello non deve ripartire con nessuno. ALFREDO BIONDI. Ho sbagliato il termine, intendevo la quota. Come si fissa la quota? TOMMASO BUSCETTA. La quota non c'è, non è una percentuale, è una stima. ALFREDO BIONDI. Ho capito. PRESIDENTE. Lei ha dichiarato al giudice Falcone di aver appreso da Stefano Bontade che il sindaco Martellucci, grazie all'intermediazione dei Salvo, aveva accettato che Ciancimino gestisse il risanamento dei mandamenti di Palermo. TOMMASO BUSCETTA. Già non abbiamo parlato in precedenza di questo? PRESIDENTE. Non abbiamo parlato di Martellucci. Abbiamo parlato di risanamento, c'è una cosa in più adesso. Si tratta di sapere per conto di chi i Salvo avevano svolto il ruolo di intermediazione. TOMMASO BUSCETTA. Tra? PRESIDENTE. Tra Martellucci e forse Ciancimino, perché Bontade le avrebbe detto che Martellucci, grazie all'intermediazione dei Salvo, aveva accettato che Ciancimino gentisse il risanamento dei mandamamenti di Palermo. Martellucci era sindaco e Ciancimino assessore. I Salvo per conto di chi avevano agito? Anzi, Ciancimino non era più assessore, era responsabile degli enti locali. TOMMASO BUSCETTA. Martellucci non è un uomo d'onore. Martellucci non è avvicinato neanche da Bontade. Martellucci in quel momento è l'attuale sindaco di Palermo. Allora che cosa si vuole? Tranquillità alla giunta di Martellucci, ma è la corrente - e questa volta è appropriato - andreottiana che va a proporre a Martellucci di lasciare, di dare un boccone a Ciancimino, perché la giunta possa andare avanti. PRESIDENTE. Così lasciava la giunta tranquilla, insomma. TOMMASO BUSCETTA. Esatto. PRESIDENTE. Poi fu messa la bomba nella villa di Martellucci. TOMMASO BUSCETTA. Sì, e difatti Bontade mi disse "ma che cosa vuole questo gran cornuto del corto (il corto sarebbe Salvatore Riina)". Insomma, quello che voleva, Ciancimino l'ha ottenuto. Ma perché andare a mettere la bomba da Martelucci? Non ho altro da aggiungere. Pag. 392 PRESIDENTE. Quali vantaggi trasse Cosa nostra dal fatto che il risanamento dei mandamenti fosse gestito da Ciancimino? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so assolutamente. GIUSEPPE MARIA AYALA. Il risanamento non è mai stato fatto. PRESIDENTE. Lo so, tant'è che recentemente è stata approvata una legge. Si tratta di capire quali siano le risposte del signor Buscetta. TOMMASO BUSCETTA. Sarei morto di fame aspettando... PRESIDENTE. Le è andata meglio così, signor Buscetta. Lei ha detto, a proposito del golpe Borghese, che i contatti con Cosa nostra erano stati resi possibili dal fratello massone di Morana Carlo. TOMMASO BUSCETTA. Esatto. PRESIDENTE. Uomo d'onore della famiglia di corso dei Mille. TOMMASO BUSCETTA. Esatto. PRESIDENTE. E successivamente aggiunge che Giuseppe Di Cristina e Giuseppe Calderone avevano contattato massoni di grado più elevato rispetto a Morana. TOMMASO BUSCETTA. Morana non era massone. Carlo Morana. PRESIDENTE. Massone è il fratello. TOMMASO BUSCETTA. Che poi il fratello aveva introdotto ai gradi più elevati. PRESIDENTE. Per capire, il fratello massone di Carlo Morana aveva introdotto ai gradi elevati Di Cristina e Calderone. Lei ha anche precisato che Calderone e Di Cristina sarebbero andati a Roma, insieme con i massoni parlemitani e forse anche catanesi, per incontrarsi con Borghese. TOMMASO BUSCETTA. Esatto! PRESIDENTE. E' esatta questa ricostruzione? TOMMASO BUSCETTA. E' esatta questa ricostruzione. PRESIDENTE. Può chiarire meglio questo rapporto con la massoneria? TOMMASO BUSCETTA. Chi parlò di Borghese a Cosa nostra sono i massoni. Pippo Calderone o Giuseppe Di Cristina non conoscevano Borghese. Quindi l'appuntamento viene dato dal fratello di Carlo Morana a Pippo Calderone e a Giuseppe Di Cristina. Sono poi loro che sono condotti in un altro posto, che io non so, dei massoni e viene fatta la composizione "Borghese, il patto è...". Quando poi vanno a Roma, si vanno ad incontrare personalmente con Borghese e nasce quel fatto, le fasce... PRESIDENTE. Sì, sì, l'elenco eccetera. Lei sa di altri rapporti tra uomini d'onore e massoni? TOMMASO BUSCETTA. Vitale è cognato di Stefano Bontade ed era massone; Vitale era amico di Sindona; era stato Vitale a portare Sindona da Stefano Bontade e Inzerillo. Era stato Sindona a parlare a Inzerillo di golpe. PRESIDENTE. Questo è un altro, quello del 1979. Pag. 393 TOMMASO BUSCETTA. No, stiamo parlando di un altro... Quando è stato Sindona in Italia? PRESIDENTE. Nel 1979. TOMMASO BUSCETTA. Stiamo parlando di un altro. Però non se n'è fatto niente perchè... PRESIDENTE. Come di un altro? Prima abbiamo parlato di quello del 1970. TOMMASO BUSCETTA. Esatto. PRESIDENTE. Ora stiamo parlando del 1979. TOMMASO BUSCETTA. Lei vuole sapere quello di mezzo? Del 1974? PRESIDENTE. Qual è quello di mezzo? TOMMASO BUSCETTA. Nel 1974 ce n'era un altro preparato. PRESIDENTE. Vuole spiegarsi? TOMMASO BUSCETTA. Ho ricevuto dal mio direttore del carcere, dottor De Cesare, la notizia che dopo pochi giorni sarebbe successo un colpo di Stato e io sarei passato, attraverso un brigadiere della matricola, per un cunicolo, sarei entrato in casa sua e sarei stato liberato. Sapevo che c'erano anche dei militari. Ma non vorrei dire queste cose, sennò diventa uno scandalo, per l'amor di Dio! PRESIDENTE. Credo lo sia già stato. Nel 1974 qualcuno le disse che ci sarebbe potuto essere un tentativo di colpo di Stato - in cui lei sarebbe stato liberato - in cui c'entravano i militari. Questo le dissero? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Lo disse il dottor Di Cesare, direttore dell'Ucciardone? TOMMASO BUSCETTA. Di massoni e militari. PRESIDENTE. Quanto ai rapporti tra uomini d'onore e massoni, abbiamo parlato delle vicende del 1970. Successivamente, nel 1974, la mafia aveva un ruolo? TOMMASO BUSCETTA. Sì, è logico. Come faceva a conoscermi Di Cesare per dirmi che mi avrebbe portato a casa sua? PRESIDENTE. Di Cesare era uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. No, perciò dico che era stata la mafia a dirglielo. PRESIDENTE. Vi è poi la vicenda Sindona del 1979. Che progetto aveva Sindona? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, perché Stefano Bontade non riuscì a spiegarmelo. Gli disse: lei mi sembra pazzo, sono stanco di colpi di Stato. Se li vada a fare lei. Lo mandarono via. PRESIDENTE. Esistevano rapporti tra uomini d'onore e massoni anche per ragioni più spicciole, quali un processo o una licenza? TOMMASO BUSCETTA. No, non lo so. ROMEO RICCIUTI. Consulenze di alto livello tra università e uomini della professione tramite la massoneria? TOMMASO BUSCETTA. No. ALFREDO GALASSO. Il principe Alliata era massone? PRESIDENTE. Le ripeto la domanda; per maggiore chiarezza è opportuno che sia sempre il presidente a porre i quesiti. Il principe Alliata era massone? TOMMASO BUSCETTA. Conoscevo il principe Alliata perché ho giocato con lui. Ma, a quell'epoca, non mi intendevo di massoneria. Non so se fosse massone. PRESIDENTE. Dopo, se n'è inteso di massoneria? Pag. 394 TOMMASO BUSCETTA. No, però ho cercato di sapere se c'erano dei rapporti con la massoneria. PRESIDENTE. Il principe Alliata era uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. No. Forse la mia risposta è categorica. E' meglio dire: che io sappia, no. PRESIDENTE. Pippo Calderone avrebbe riferito che nel 1977 Bontade avrebbe a sua volta riferito che c'era stato un pour parler perché entrassero dei mafiosi nella massoneria. Lei ha sentito parlare di questa vicenda? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Era noto che Giacomo Vitale fosse massone? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Lei sa di un intervento che avrebbe fatto Giacomo Vitale nei confronti di magistrati del processo dei 114? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Vitale aveva rapporti con le famiglie mafiose? TOMMASO BUSCETTA. Aveva un cognato capomafia, capomandamento. Anzi, i cognati. PRESIDENTE. Lei sa qualcosa dei rapporti tra Giacomo Vitale e Michele Sindona, oltre a quello che ha già detto? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Tra Sindona e Bontade ci fu quel colloquio... TOMMASO BUSCETTA. E Inzerillo. Sindona aveva insieme a lui alcuni fratelli Gambino di New York. Questi sono imparentati con gli Inzerillo. Quindi hanno accompagnato Sindona. E' per questo che era presente Inzerillo. Era anche lui capomandamento. PRESIDENTE. Cosa si sono detti durante il colloquio? TOMMASO BUSCETTA. Io l'ho sentito raccontato: quel pazzo è venuto qua per il colpo di Stato; lo abbiamo mandato a quel paese, quale colpo di Stato! PRESIDENTE. Lei dice di aver tentato di partecipare a due tentativi. TOMMASO BUSCETTA. Erano tutti andati "a buca". PRESIDENTE. Quindi, tanto valeva non provarci più. E' chiaro. Lei sapeva che Sindona era massone? TOMMASO BUSCETTA. L'ho saputo attraverso Vitale e Stefano Bontade. PRESIDENTE. Sapeva che Miceli Crimi era massone? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Conosce questo nome? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Sapeva che Sindona era iscritto alla loggia P2? TOMMASO BUSCETTA. Non sapevo che esisteva la P2. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare della loggia Diaz? TOMMASO BUSCETTA. Non so parlare di queste cose. PRESIDENTE. Quindi non sa se i Greco erano iscritti alla massoneria? TOMMASO BUSCETTA. I due fratelli? Non so. Pag. 395 PRESIDENTE. E i Salvo? TOMMASO BUSCETTA. Non so di uomini iscritti alla massoneria. PRESIDENTE. Perché si interrompe il soggiorno di Sindona a Palermo? TOMMASO BUSCETTA. L'hanno mandato via, l'hanno cacciato. Gli hanno detto: vai via. PRESIDENTE. Non vi è rapporto con l'assassinio del giudice Terranova? TOMMASO BUSCETTA. No, assolutamente. PRESIDENTE. Perché Terranova fu ucciso? TOMMASO BUSCETTA. Perché era stato cattivello con Luciano Liggio. PRESIDENTE. La proposta di Sindona di un tentativo di colpo di Stato separatista fu discussa nelle famiglie di Cosa Nostra? TOMMASO BUSCETTA. Credo che Stefano Bontade ne parlò in Commissione ma quella fu la risposta: di andarsi a fare una bella camminata. PRESIDENTE. Lei sa chi mise in contatto Sindona con il notaio Cordaro di Caltanissetta? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Non sa se Pino Mandalari sia un esponente della massoneria? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Dopo la strage di Ciaculli le famiglie si sciolsero. Poi ci furono le assoluzioni di Catanzaro. Quale fu il successivo comportamento di Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Dobbiamo andare al 1969-1970; la sentenza fu del dicembre 1969. Hanno ricominciato a ricostruirsi, attraverso Stefano Bontade, che allora era giovane e non era stato preso di mira dalla polizia. Credo che avesse vent'anni. Attraverso Stefano Bontade si sono cominciate a ricostruire, ma le cose si erano un po' fermate perché quel famoso personaggio di cui ho parlato all'inizio, Cavataio, preferiva che le famiglie si facessero così come lui voleva. Questo è un discorso lungo, da fare per la storia della criminologia. Non credo che vi interessi molto e perciò sarò succinto. Dopo la morte di Cavataio, nel 1970, si comincia la ricostruzione delle famiglie, ognuno nella sua borgata. Si istituiscono i capimandamento e si fa la Commissione. Questa però, in un primo tempo e cioè verso il 1974, è gestita soltanto da tre persone: Riina, Bontade e Badalamenti. Subito dopo l'arresto di Luciano Liggio, credo nel 1974, a Milano si comincia a fare la commissione così come si formò: ogni tre famiglie un capomandamento e si abolirono i tre. PRESIDENTE. Cosa nostra fece qualcosa di particolare per mettersi in evidenza e per far capire che si erano riorganizzati? TOMMASO BUSCETTA. Questa mi sembra una domanda da torinese e rispondo ad un torinese: la mafia non ha bisogno di queste cose, ognuno ha una famiglia numerosissima e questa famiglia ha altre famiglie. Già si sa, è un collegamento. PRESIDENTE. Gli attentati degli anni settanta, l'omicidio di Scaglione, la scomparsa del giornalista Di Mauro... TOMMASO BUSCETTA. Non erano per dimostrare che la mafia era tornata. PRESIDENTE. Perché erano stati fatti? Pag. 396 TOMMASO BUSCETTA. Perché dovevano scassare la credibilità del Governo italiano. PRESIDENTE. Creare le condizioni per il colpo di Stato? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Anche l'omicidio Scaglione? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Ho spiegato che anche dietro l'omicidio di Scaglione come entità di Stato c'era un'altra cosa: Vincenzo Rimi; ha approfittato di servire Cosa nostra ma ha approfittato di servirsi lui stesso. PRESIDENTE. Lei ha spiegato, se non ho capito male, che Cosa nostra non commette mai omicidi su commissione; sono cose che interessano lei, poi possono anche interessare altri. TOMMASO BUSCETTA. E' logico, è questo il discorso. PRESIDENTE. Questa è l'ipotesi. TOMMASO BUSCETTA. No, questa è certezza, non ipotesi. PRESIDENTE. L'onorevole Riggio le chiede se questa riorganizzazione riguardi soltanto la provincia di Palermo o tutta quanta la Sicilia? TOMMASO BUSCETTA. Solo la provincia di Palermo, perché era questa ad essere scassata. PRESIDENTE. Quindi, a Trapani... TOMMASO BUSCETTA. Funzionavano regolarmente. PRESIDENTE. Avendo lei spiegato alla Commissione che l'assassinio di Scaglione, la scomparsa di De Mauro, le bombe messe in quel periodo erano diretti a togliere credibilità allo Stato e a creare l'ambiente ed il clima favorevoli al tentativo del colpo di Stato, l'onorevole Borghezio le chiede se le stragi che si sono verificate negli ultimi tempi possano avere un significato analogo. TOMMASO BUSCETTA. Non posso rispondere a questa domanda: non lo so. Devo rimanere "a cavallo" per quelle che saranno le indagini e per quelle che potranno essere le mie riflessioni. Quindi, devo rispondere: "Non lo so". Da dove la prendo un'affermazione simile? CARLO D'AMATO. Forse nel "delirio". TOMMASO BUSCETTA. Di "delirio" abbiamo parlato fuori. PRESIDENTE. Se non ho capito male, lei ha usato il termine "delirio" in senso scherzoso per indicare la sua ipotesi? TOMMASO BUSCETTA. E' così. PRESIDENTE. All'inizio dell'audizione lei ha fatto cenno alla pressione esercitata nei suoi confronti per la liberazione dell'onorevole Moro. Se non ho capito male, qualcuno le disse che la commissione aveva deciso che si poteva fare questa operazione di prendere contatto con i brigatisti e a tal fine lei doveva andare da Cuneo a Torino. TOMMASO BUSCETTA. C'era un piccolo intrigo che dovevo fare nella mia qualità di uomo d'onore. Mentre avevo l'ordine di Cosa nostra di interessarmi al fine di salvare la vita di Moro, da parte della malavita milanese mi veniva lo stesso richiamo; io però non raccontai ai milanesi, che non erano uomini d'onore, che dalla Sicilia avevo ricevuto la stessa "voce". Quindi approfitto dell'occasione che mi offre la malavita milanese per essere trasferito al carcere di Torino. PRESIDENTE. Allora era la malavita milanese che le aveva data la possibilità di essere trasferito? Pag. 397 TOMMASO BUSCETTA. E' così ed è registrato. PRESIDENTE. Lei fece domanda per andare a Torino? TOMMASO BUSCETTA. Non lo ricordo; comunque, accusavo delle malattie che si sarebbero trasformate in trasferimento... PRESIDENTE. Ho capito. TOMMASO BUSCETTA. ...in un centro clinico, che era quello di Torino. PRESIDENTE. Poi invece fu mandato a curarsi a Milano? TOMMASO BUSCETTA. Mi portarono a San Vittore, da dove fui mandato a Napoli. Credo che in questo frattempo il povero Moro sia morto. Dico credo perché faccio confusione con le date. PRESIDENTE. Non si preoccupi perché le date le controlleremo noi. A Milano incontrò dei brigatisti? TOMMASO BUSCETTA. Incontrai quello che si interessava a me... PRESIDENTE. Quello appartenente alla criminalità comune? TOMMASO BUSCETTA. ...e che mi dà i verbali delle intercettazioni in cui si parla di tutto questo. PRESIDENTE. L'uomo a cui allude era un detenuto? TOMMASO BUSCETTA. Quando andai a Milano era già detenuto. PRESIDENTE. Aveva i verbali delle intercettazioni? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Apparteneva alla criminalità comune? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Di Milano? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Nel senso che faceva il criminale a Milano o era milanese? TOMMASO BUSCETTA. Nel senso che faceva il criminale a Milano ed era milanese. A Cuneo sono stato in cella con Francis Turatello che aveva tutta questa malvivenza milanese ai suoi piedi; quindi questo di cui parlo, e di cui parlerò con i giudici affinché possano essere condotte le ricerche delle bobine in questione, mi viene a trovare all'interno del carcere, dove entra con un documento falso per parlare con me. PRESIDENTE. Nel carcere di Cuneo? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Mi dice appunto che c'è una certa possibilità ed io rispondo: "I terroristi che sono qui non sono all'altezza di poter rispondere a questa domanda; se andassi a Torino, potrei incontrarne degli altri a cui rivolgermi". Allora mi rispose che si sarebbe interessato attraverso un certo ministro - lo scoprite attraverso le bobine, perché è inutile che io ne faccia il nome - per farmi trasferire a Torino. Gli risposi: "Fallo". Allora mi dice: "Chiedi visita medica e dichiara che hai bisogno delle cure del centro clinico di Torino". Non ricordo se ho fatto la domandina. Poi mi disse: "Fatto! Sei trasferito!" ed io sono andato a Milano e da Milano sono andato a Napoli. PRESIDENTE. L'intercettazione riguardava il colloquio tra questa persona e lei nel carcere di Cuneo? TOMMASO BUSCETTA. No, in quello di Milano. PRESIDENTE. La conversazione registrata... Pag. 398 TOMMASO BUSCETTA. Non riguardava me. PRESIDENTE. Riguardava altre persone? TOMMASO BUSCETTA. Sarò più chiaro: riguardava mia moglie. Questo parlava con mia moglie... PRESIDENTE. Al telefono? TOMMASO BUSCETTA. ...e le diceva: "Sai, abbiamo ottenuto il trasferimento di Masino che va a Torino". Poi in altre telefonate lui era in contatto con la persona o con le persone di Roma che avrebbero attuato il mio trasferimento. Nelle telefonate c'è anche...ed allora queste "cose buone" non vogliono salvare Moro. La spiegazione è tutta nelle bobine. PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede se si trattava di una trascrizione della registrazione o se erano dei nastri. TOMMASO BUSCETTA. Lessi la trascrizione delle registrazioni; come potevo ascoltare i nastri? Nel verbale c'è scritto "presa dalla bobina". PRESIDENTE. Quale interesse aveva Turatello alla liberazione di Moro? TOMMASO BUSCETTA. Turatello non c'era più; chi ha parlato di Turatello? PRESIDENTE. Non ha detto che a Cuneo... TOMMASO BUSCETTA. Turatello se ne era già andato da Cuneo. Ho detto, come riferimento, di conoscere la malavita milanese, persone nate a Milano attraverso il contatto con Turatello. PRESIDENTE. Dagli atti del maxiprocesso di Palermo risulta che lei non è mai stato a Milano. TOMMASO BUSCETTA. Sul serio? PRESIDENTE. Sì, risulta che il 14 ottobre 1977 è andato dalla casa circondariale di Regina Coeli alla casa circondariale di Cuneo; il 22 maggio 1978, dalla casa circondariale di Cuneo a Napoli; poi, il 15 giugno 1978, dalla casa circondariale di Napoli a quella di Cuneo. Risulterebbe che lei non è mai stato a Milano. TOMMASO BUSCETTA. Guardi, io proprio a lei ... Io sono stato a Milano, non me lo sono sognato. Io sono stato tradotto a Milano, da Cuneo. PRESIDENTE. Dai carabinieri? TOMMASO BUSCETTA. Logico! Come, da solo? PRESIDENTE. Successivamente risulta che il 16 marzo 1979 lei è stato trasferito da Palermo a Termini Imerese, il 20 marzo 1979 da Termini a Palermo, il 16 maggio 1979 da Palermo a Termini Imerese. Poi, è stato trasferito da Cuneo a Milano nel giugno 1979, praticamente un anno dopo l'assassinio di Moro. TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma io sono andato anche prima! PRESIDENTE. Quindi lei insiste nel dire che è stato a Milano. TOMMASO BUSCETTA. Io sono andato da Cuneo a Milano. PRESIDENTE. Mentre era in corso il sequestro Moro? TOMMASO BUSCETTA. Ma ... Sì. PRESIDENTE. Ricorda l'anno? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Ma ricorda che era stato sequestrato Moro? TOMMASO BUSCETTA. Sì. Pag. 399 PRESIDENTE. E ricorda se era stato ucciso? TOMMASO BUSCETTA. No, non ricordo. Non riesco a mettere insieme queste date. PRESIDENTE. Dunque, quando le viene fatta la proposta di intervenire per vedere se sia possibile avere un colloquio con i brigatisti perché Moro venga liberato, Moro è sequestrato e lei è a Cuneo. E' così? TOMMASO BUSCETTA. E' così, esatto. PRESIDENTE. Lei dice che successivamente va a Milano. In quell'arco di tempo, insomma, non un anno dopo. TOMMASO BUSCETTA. In quell'arco di tempo. ALFREDO GALASSO. Poiché la situazione carceraria alla quale il presidente ha fatto riferimento è stata riepilogata dal giudice Grasso al maxiprocesso proprio al signor Buscetta, che non vi sia menzione di questo soggiorno a Milano dipende dal fatto che non lo ricordava o che non aveva voglia di parlarne? TOMMASO BUSCETTA. No, no, non me ne ricordavo. Perché non avrei dovuto menzionarlo? PRESIDENTE. Siccome lei ha deciso dopo l'assassinio del giudice Falcone di aprire ... TOMMASO BUSCETTA. Ma non avrei motivo di omettere una traduzione. Siete in condizione di prendere l'elenco delle traduzioni dei carabinieri e di verificare quando volete. PRESIDENTE. L'onorevole Ayala le chiede se ricorda quanto si fermò a Milano in quella circostanza. TOMMASO BUSCETTA. Poco tempo. PRESIDENTE. Per poco tempo intende pochi mesi o poche settimane? TOMMASO BUSCETTA. Forse due settimane, forse venti giorni. PRESIDENTE. E a Milano riuscì ad avere contatti con i brigatisti oppure no? TOMMASO BUSCETTA. No. Non ne avevo più bisogno, credo, a quell'epoca. PRESIDENTE. Sulla base delle conoscenze che lei ha delle dinamiche interne a Cosa nostra ed in particolare della commissione provinciale, può dirci se questa commissione ha avuto un qualche ruolo nella strage del rapido 904? Quella strage per la quale ora Calò è stato definitivamente condannato? TOMMASO BUSCETTA. Guardi, per me ... Siamo sempre in quell'ipotesi di cose molto più grandi di quelle che sono la Cosa nostra. Io credo che Calò c'entrasse in quelle bombe del treno. PRESIDENTE. Ha avuto l'ergastolo. In genere questo significa che si è colpevoli. TOMMASO BUSCETTA. Credo che c'entrasse, ma non posso asserirlo. PRESIDENTE. Lei ha detto che uno come Calò se voleva fare un sequestro di persona poteva farlo con chi voleva, ma quando si trattava di omicidi la cosa era diversa e bisognava concordare con Cosa nostra. Per una strage come questa - alla quale risulta da tutta una serie di atti ed anche da sentenze definitive che abbia partecipato - è possibile che Calò abbia agito senza aver preso contatto con Cosa nostra, senza avere un'autorizzazione? TOMMASO BUSCETTA. No, è impossibile. Calò non poteva fare una cosa del genere senza che la cupola, come voi la chiamate, lo sapesse. E' impossibile. Però c'è una cosa. Sembra che le mie dichiarazioni abbiano dei contrasti. Mi Pag. 400 potreste dire: per fare dei crimini molto gravi Cosa nostra non usa gente che va fuori? Ma ci sono delle condizioni. Per potervelo spiegare meglio: se Calò ha partecipato alla strage del treno, indubbiamente non ha fatto partecipare nessun siciliano. PRESIDENTE. Ho capito. TOMMASO BUSCETTA. Non partecipando nessun siciliano, quello che ha fornito le bombe ha fatto un favore a lui. Non perché lui vuole che si mettano le bombe, ma l'intenzione sua è che le mettano le bombe. PRESIDENTE. Ma la decisione di fare questa cosa, secondo lei, è stata presa anche dalla commissione, da Cosa nostra o no? TOMMASO BUSCETTA. Senz'altro. Lui non la fa una cosa senza informare Cosa nostra. Assolutamente non può farla. Lui rischia di morire. Può essere stato portatore e dire: "Ho un'occasione, ci sono Tizio e Caio che vogliono mettere una bomba". "Lasciali fare". "Va bene". Ma lo fanno loro, senza Pippo Calò. Quando lui si batte dietro le barre e dice "sono innocente", è innocente nel vero senso, perché può giurare la sua innocenza e non ci sono prove contro di lui. Però sotto banco lui avrà senz'altro partecipato: questa è la mia convinzione. PRESIDENTE. Anche se si trattava soltanto di fornire le bombe per la strage doveva parlarne alla commissione provinciale? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Frequentando Calò, lei ha mai avuto modo di conoscere un certo Pietro Cannizzaro? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Parente di Nitto Santapaola e che gestisce un negozio di abbigliamento a Roma. TOMMASO BUSCETTA. No, no, non lo conosco. Sono andato in un negozio, qui a Roma, insieme a Pippo Calò, che mi ha fatto un bagaglio di diversi milioni, ma era verso via Nazionale ... Qual è quella piazza in fondo a via Nazionale? PRESIDENTE. Piazza Esedra? Vicino alla stazione? TOMMASO BUSCETTA. Piazza Esedra. PRESIDENTE. L'onorevole Imposimato vuole sapere se si trattava dei soldi del sequestro Armellini. TOMMASO BUSCETTA. Non lo so da dove venivano i soldi. Li aveva lui. PRESIDENTE. La sera famosa in cui avrebbe dovuto esserci il tentativo di colpo di Stato di Borghese, qualcuno di Cosa nostra andò a Roma? TOMMASO BUSCETTA. Che io sappia no. PRESIDENTE. Non sa se qualcuno ci andò? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. PRESIDENTE. Nessuno glielo disse dopo? TOMMASO BUSCETTA. A me è stato detto che c'era anche la flotta russa nel Mediterraneo. PRESIDENTE. Questa è la ragione per cui non è successo, ma se qualche uomo di Cosa nostra è andato a Roma a dare una mano lei non lo sa. TOMMASO BUSCETTA. No, non lo so. Pag. 401 PRESIDENTE. Calderone ci ha detto che andò Natale Rimi: lei questo non lo sa? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. PRESIDENTE. Il 4 dicembre 1984 lei ha dichiarato al giudice Falcone che settori di partiti politici governativi e di altre istituzioni erano pronti a fornire il loro appoggio al golpe Borghese. Aggiunge che altri uomini d'onore, oltre a quelli da lei citati, avevano avuto rapporti con Borghese. In quell'occasione, davanti al giudice Falcone disse che avrebbe riferito in seguito su questi particolari; può far capire alla Commissione di cosa si tratti? TOMMASO BUSCETTA. Riferirò in seguito alla magistratura. Se me lo consente e se non la prende come una scortesia. PRESIDENTE. Se bastasse questo a farla parlare, potremmo prenderla come una scortesia, ma non credo che basti. TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Può far capire a quali istituzioni si riferisca quando parla di "altre istituzioni"? TOMMASO BUSCETTA. Non ho detto poco fa che il colonnello dei carabinieri era quello che andava ad arrestare il prefetto? PRESIDENTE. Questa è una risposta. TOMMASO BUSCETTA. Non ho parlato poco fa? Il resto lasciamolo ai giudici istruttori. Il colonnello Russo è un'istituzione o no? PRESIDENTE. E' appartenente ad un'istituzione. TOMMASO BUSCETTA. Appartenente ma è un'istituzione. Appartenente: devo correggermi, va bene. Io vedo il colonnello Russo come un'istituzione perché era il comandante ed era quello che andava ad arrestare il prefetto. PRESIDENTE. Sarebbe stato quello ... TOMMASO BUSCETTA. Sarebbe stato: esatto. PRESIDENTE. Cosa nostra aveva giudici amici a Palermo? TOMMASO BUSCETTA. Giudici? PRESIDENTE. Sì, magistrati amici, che vi facevano dei favori. TOMMASO BUSCETTA. Ah, lei mi fa entrare in un campo che è assolutamente improponibile. PRESIDENTE. Peggio di quello della politica? TOMMASO BUSCETTA. Io credo di sì. Per l'amor di Dio! PRESIDENTE. Non vuole rispondere neanche sì o no? TOMMASO BUSCETTA. No, non risponderò a questa domanda perché ritengo che, come nella politica, se è difficile stabilire un rapporto tra due mafiosi, s'immagini con un politico, s'immagini con un giudice; ed io sarei così pazzo da avventurarmi in questo sentiero? No. PRESIDENTE. Avete avuto favori, aggiustamenti di processi a Palermo? TOMMASO BUSCETTA. Come ho già detto "u carbuni si nun tinci mascarìa", e ritorniamo nuovamente alla domanda di prima. Io personalmente non ho corrotto nessun giudice. PRESIDENTE. La corruzione è un'altra cosa. TOMMASO BUSCETTA. No, no, non posso parlare di queste cose. Pag. 402 PRESIDENTE. Le ho chiesto se abbiate avuto aggiustamenti di processi a Palermo. TOMMASO BUSCETTA. Aggiustamenti di processi ci sono stati a Palermo sempre, in tutte le epoche. Però, se mi chiedessero di indicare i giudici, io risponderei che non lo so. PRESIDENTE. Anche se lo sa? TOMMASO BUSCETTA. Sì, anche se lo so. MARIO BORGHEZIO. Presidente, può chiedere al signor Buscetta se siano state concesse grazie ad uomini d'onore? PRESIDENTE. Le grazie le concede il Presidente della Repubblica. Trattandosi di fatti pubblici, possiamo compiere accertamenti diretti. L'essere detenuti è un impedimento a parlare tra voi, ad avere rapporti con l'esterno? Cosa cambia trovarsi nella condizione di detenuti rispetto a quella di uomini liberi? TOMMASO BUSCETTA. Nessuna cosa, nessunissima cosa. L'uomo d'onore si qualifica e rimane sempre la stessa persona, solo che può avere un sostituto che fa le sue veci perché lui è detenuto. PRESIDENTE. Dovunque si sia detenuti è così? L'uomo d'onore riesce sempre ad avere colloqui, a parlare, anche con documenti falsi? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Come si può fare, secondo lei, per isolare dalla famiglia l'uomo d'onore detenuto? Lei ha detto giustamente che bisogna essere rigorosi e fare giustizia fino in fondo, senza tentennamenti; però, una volta che sia stata fatta giustizia, gli uomini d'onore essendo detenuti comunicano con quelli che stanno fuori come prima: lei capisce che la cosa cambia, ma non di molto. Allora, vorremmo capire sulla base della sua esperienza come si possa fare per interrompere questi rapporti. TOMMASO BUSCETTA. Asinara. PRESIDENTE. Anche all'Asinara una volta al mese si possono ricevere visite. TOMMASO BUSCETTA. Una volta al mese ma quando il mare è buono, perché trascorrono mesi interi senza poterci arrivare perché il mare non è buono. PRESIDENTE. Quindi, la traduzione all'Asinara è una cosa temuta? TOMMASO BUSCETTA. E' temuta, io lo so perché mi tremavano veramente le ginocchia quando dovevo essere trasferito all'Asinara. Mi dicevo: "Ma questo è un castigo di Dio", perché stare all'Asinara significava la rottura totale dei rapporti con il continente italiano. PRESIDENTE. Quindi significava anche essere lasciati un po' a se stessi rispetto alla famiglia? TOMMASO BUSCETTA. E' una cosa automatica, all'Asinara non si passa facilmente tutti i mesi. Il mio primo trasferimento da Palermo all'Asinara viene disposto dal generale Dalla Chiesa nel 1977; io vado fino a Porto Torres, vi arrivo tranquillo per imbarcarmi, mi sono imbarcato per tre volte e per tre volte sono tornato indietro sulla motovedetta dei carabinieri, non una motovedetta civile. PRESIDENTE. Dopo l'omicidio di Dalla Chiesa tutti sfuggirono alla cattura: come mai? TOMMASO BUSCETTA. (Ride con ironia) Ogni domanda ha bisogno di una risposta. PRESIDENTE. Sembrerebbe di sì. Pag. 403 TOMMASO BUSCETTA. E' perché qualcuno avrà detto che c'erano questi mandati di cattura. PRESIDENTE. Ci sarà stata un'informazione. TOMMASO BUSCETTA. Già era "volata". PRESIDENTE. Quindi, per capire, questa non è una supposizione: a lei è giunta notizia che l'informazione era già "volata". TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Perché lei era negli Stati Uniti? TOMMASO BUSCETTA. Lo so anche ... Credo che per quanto riguarda l'uccisione di Costa, si sapeva ancor prima che Costa firmasse i mandati di cattura che li avrebbe emessi. PRESIDENTE. Però in quel caso vi furono degli arresti. TOMMASO BUSCETTA. Ma altre volte non vi furono. PRESIDENTE. Ha mai avuto rapporti con il giudice Campisi? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione di che tipo? TOMMASO BUSCETTA. Il giudice Campisi è stato giudice di sorveglianza, no, io credo che mi sia messo a modello 13 per parlare con il dottor Campisi. PRESIDENTE. A Cuneo? TOMMASO BUSCETTA. Sì, a Cuneo. PRESIDENTE. Perché? TOMMASO BUSCETTA. Perché volevo ottenere la semilibertà e il dottor Campisi mi disse che non era di sua competenza, che il giudice di sorveglianza era una signora, una donna. PRESIDENTE. Quindi, lui non era giudice di sorveglianza. TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Era forse procuratore della Repubblica? TOMMASO BUSCETTA. Forse. PRESIDENTE. E lei perché si mise a modello 13 con il giudice Campisi e non con il giudice di sorveglianza? TOMMASO BUSCETTA. Avevo saputo che lui aveva dei rapporti con i Calderone, che era amico dei Calderone, ma non ho avuto tempo di sollecitargli questa amicizia perché lui non era il giudice di sorveglianza e quindi non poteva fare niente per me. PRESIDENTE. Ma lei glielo disse? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Quando lui disse che non avrebbe potuto fare nulla, chiuse lì la faccenda? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Oltre a Lima, c'erano altri uomini politici che hanno avuto rapporti con la magistratura nel vostro interesse? TOMMASO BUSCETTA. Io credo di no. Comunque, è una cosa molto difficile stabilire qua se vi siano stati rapporti di questo tipo. Bisogna dire: "una volta tizio mi raccontò" e poi fare le indagini. PRESIDENTE. La cosa che le chiediamo è più semplice: Lima era l'unica Pag. 404 persona alla quale ci si rivolgeva per avere aggiustamenti di processi? TOMMASO BUSCETTA. No, non era l'unica persona, c'erano altri politici. PRESIDENTE. Sempre di Palermo o anche di fuori Palermo? TOMMASO BUSCETTA. Credo anche di fuori Palermo. PRESIDENTE. Non eletti in Sicilia, insomma. TOMMASO BUSCETTA. Esatto. PRESIDENTE. Cosa sa dell'omicidio di Piersanti Mattarella? TOMMASO BUSCETTA. Mi sono ripromesso di parlare con i giudici di questa cosa, anche se già dissi a Falcone nel 1984 che era avvenuto su ordine della commissione. Credo che lo dissi, non lo ricordo più. PRESIDENTE. Credo di aver letto qualcosa del genere. TOMMASO BUSCETTA. Credo di aver detto al giudice Falcone che Bontade ed Inzerillo non erano d'accordo su questa cosa, che era stata la commissione e che anche loro poi avevano aderito. PRESIDENTE. Cosa interessa ad un uomo politico non eletto in Sicilia di farvi favori nel rapporto con i giudici? Prima lei ha detto che, oltre a Lima, c'erano altri uomini politici che potevano fare dei favori. TOMMASO BUSCETTA. Preferisco non rispondere a questa domanda perché essa ci porta in un campo molto più vasto. PRESIDENTE. Mi fa terminare la domanda? TOMMASO BUSCETTA. Sì, scusi. PRESIDENTE. Ci mancherebbe. Lei ha detto prima che c'erano altri uomini politici, oltre a Lima, a farvi favori anche nei rapporti con la magistratura. Le ho chiesto se si tratti di uomini politici eletti in Sicilia o eletti anche fuori e lei ha risposto eletti anche fuori. A questo punto, le chiedo quale sia l'interesse che può avere un uomo politico eletto anche fuori dalla Sicilia a fare favori a voi. Questa è la domanda: qual è la sua risposta? TOMMASO BUSCETTA. Ma non può essere che l'uomo politico ha dei suoi amici che sono eletti in Sicilia? PRESIDENTE. Non lo so, questo lo dice lei. TOMMASO BUSCETTA. Io formulo ipotesi, non sto dicendo che è così. Per ipotesi posso dare questa risposta ma non posso dire: "sì, perché quello aveva l'amico ...". Io dico: e non può essere per ipotesi che quest'uomo politico abbia i suoi amici politici in Sicilia? PRESIDENTE. Quindi, essendo certo che uomini politici non eletti in Sicilia facevano questi favori, l'ipotesi è che li facessero perché avevano propri amici eletti in Sicilia? TOMMASO BUSCETTA. No, quest'affermazione non la posso fare. PRESIDENTE. E' un'ipotesi. TOMMASO BUSCETTA. Ah, l'ipotesi sì. PRESIDENTE. La cosa certa è che facevano i favori, l'ipotesi è che potevano farli perché avevano amici in Sicilia. ROMEO RICCIUTI. Possiamo chiedere al signor Buscetta se c'erano, oltre agli uomini politici, uomini del mondo universitario o di altre professioni? Pag. 405 PRESIDENTE. C'erano anche altre persone, non uomini politici, ad esempio professionisti, uomini dell'università, medici, che vi aiutavano in questo? TOMMASO BUSCETTA. Abbiamo detto sempre di sì, in tutti gli interrogatori, che c'erano. L'abbiamo detto sempre, è dal 1984 che si dice. PRESIDENTE. La Commissione, per capire meglio, è costretta a ripetere le domande, e le chiediamo scusa di questo. Lei conosce molto bene queste cose, mentre io e gli altri colleghi le conosciamo poco. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Tornando al delitto Mattarella, mi pare di aver capito sarebbe stata la commissione ad ordinarlo. PRESIDENTE. Pur con qualche dissenso. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Ed allora come mai ci sarebbero stati dei killer non di Cosa nostra, degli estranei? PRESIDENTE. Il senatore Ferrara Salute le chiede: se è stata Cosa nostra a decidere l'omicidio Mattarella, come mai, secondo alcune ipotesi processuali, gli esecutori materiali - cioé chi ha sparato - sarebbero stati non appartenenti a Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. A me dispiace che non potrò vedere la fine di questo processo negli anni, perché sono già abbastanza vecchio, ma le garantisco che i fascisti in questo omicidio non c'entrano. Quei due sono innocenti. Glielo garantisco. E chi vivrà, vedrà. PRESIDENTE. Dell'omicidio Reina sa qualcosa in particolare? TOMMASO BUSCETTA. E' nella stessa ipotesi, anzi certezza, che io dico al giudice Falcone che Reina e Mattarella sono stati uccisi per ordine della commissione. PRESIDENTE. Ma qual è il motivo specifico per cui si uccidono Mattarella e Reina? Insomma, il danno. TOMMASO BUSCETTA. Il danno è più che altro "impresariale". PRESIDENTE. Che vuol dire? TOMMASO BUSCETTA. Credo che Mattarella in special modo volesse fare della pulizia in questi appalti. Se andate a vedere a chi sono andati gli appalti in tutti questi anni, con facilità voi andrete a scoprire cose inaudite. Non è stato ammazzato perché avevano bisogno dei due fascisti. La Cosa nostra non fa agire, per ammazzare un presidente della regione, due fascisti. E' un controsenso. Non esiste questa possibilità. E quei due accusati sono innocenti. PRESIDENTE. E Reina perché sarebbe stato ucciso? Per Mattarella più o meno si capisce: perché voleva mettere ordine. TOMMASO BUSCETTA. Ne parlerò con i giudici. PRESIDENTE. Ma dei motivi generali può parlare anche qui, senza dire chi lo ha ucciso, che non ci interessa. TOMMASO BUSCETTA. Anche del motivo ne parlerò con i giudici. PRESIDENTE. Quindi, mentre il motivo dell'omicidio Mattarella si può dire, quello dell'omicidio Reina qui non si può dire. TOMMASO BUSCETTA. E' quasi nella stessa sintonia. Ci sono degli appalti che fanno gioco, gli interessi. Sono interessi che vanno ... Pag. 406 PRESIDENTE. E' anche nell'ambito di questi interessi economici di appalti che viene ucciso Reina oltre Mattarella? TOMMASO BUSCETTA. Reina credo che è ucciso prima. PRESIDENTE. Sì, e perciò le chiedevo. Proprio per capire. TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì. PRESIDENTE. Insomma, c'è una questione di interesse. TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì. PRESIDENTE. Lei ha dichiarato al giudice Falcone che Inzerillo informò la commissione solo dopo aver ucciso il procuratore Costa. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Prima lo uccise e poi informò. E questo in qualche modo per ritorsione perché i corleonesi avevano fatto la stessa cosa in altre occasioni, cioé prima avevano ucciso e poi avevano informato. Lei ha detto che questo avevano fatto per altri omicidi di illustri personalità: può spiegare, per cortesia, chi erano queste illustri personalità uccise dai corleonesi per le quali questi ultimi avevano informato dopo la commissione? TOMMASO BUSCETTA. Uno è il capitano Basile. Un altro è il capitano D'Aleo e un altro ancora il colonnello Russo. Michele Greco a me personalmente ha detto: io non lo so chi ha ammazzato il colonnello Russo. E poi ha dovuto rimangiarselo tutto. PRESIDENTE. Perché era stato ucciso nel suo ... TOMMASO BUSCETTA. Lui non sapeva perché i corleonesi avevano agito per conto loro. PRESIDENTE. La Ficuzza è a Corleone? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Oltre questi, ci sono anche altri omicidi? TOMMASO BUSCETTA. In questo momento non ricordo, perché già sono un po' stanco, per la verità. PRESIDENTE. Vuole riposarsi? TOMMASO BUSCETTA. Mi riposo dopo. PRESIDENTE. Vuole fermarsi un attimo, fare una passeggiata? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione perché Greco Salvatore era chiamato "il senatore"? TOMMASO BUSCETTA. Era un politico. Cioé era un politico nel senso che lui era la persona più adatta a darsi da fare in campo politico e nel campo imprenditoriale, per prendere dei soldi in prestito dalle banche, per creare nuove fonti di introiti per la famiglia Greco. PRESIDENTE. Com'è che si è costituito Salvatore Greco? Questo in genere non succede. TOMMASO BUSCETTA. Perché c'era aria di morte intorno a lui. Anche per suo fratello Michele. VITO RIGGIO. Anche suo fratello si è costituito? PRESIDENTE. Non credo, perché è stato catturato nei pressi di Termini Imerese. Il ruolo del "senatore" era quello di procurare appoggi politici, di contattare istituti di credito. Era efficace questo ruolo? Pag. 407 TOMMASO BUSCETTA. Era efficace. Lui aveva le porte aperte in politica. PRESIDENTE. Anche con uomini politici non eletti in Sicilia? TOMMASO BUSCETTA. Questo non lo so. PRESIDENTE. Non lo sa o non intende dirlo? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. PRESIDENTE. Si è mai chiesto come fa Totò Riina, ed anche il gruppo dei corleonesi, a condurre un così grande traffico di stupefacenti, ad incassare tutti questi soldi, a fare riciclaggio? Come fanno i corleonesi a riciclare? TOMMASO BUSCETTA. Il riciclaggio non lo conosco. PRESIDENTE. Non sa chi li aiuta, chi li sostiene in queste operazioni? TOMMASO BUSCETTA. Non ho avuto la fortuna ... così devo dire? PRESIDENTE. Sì, tutto sommato sì. TOMMASO BUSCETTA. ... di avere anch'io un po' di soldi per riciclarli. Il traffico della droga, però, non era cominciato così. Era cominciato che erano pochi gruppi che avevano la morfina base e quindi i corleonesi dovevano accontentare della parte che spettava loro. Poi piano piano sono riusciti ad eliminare tutti quanti. PRESIDENTE. Lei dice che pochi gruppi di Cosa nostra avevano la morfina base. TOMMASO BUSCETTA. Non pochi gruppi, addirittura tre persone. PRESIDENTE. Chi erano queste tre persone? TOMMASO BUSCETTA. Uno era La Mattina, un altro Savoca e l'altro non mi ricordo. PRESIDENTE. Spataro? TOMMASO BUSCETTA. Spataro, esatto. Che è nella mia famiglia. E La Mattina è nella mia famiglia. "Nella mia famiglia" nel senso di Cosa nostra. PRESIDENTE. Questi avevano la morfina base. Facevano la raffinazione in Sicilia? TOMMASO BUSCETTA. Sì, io credo a Palermo. In tutti i posti c'erano raffinerie a Palermo. PRESIDENTE. Questo in che anni? TOMMASO BUSCETTA. Sto cercando di ricordare. Fino al 1980, che io ero a Palermo, c'erano. PRESIDENTE. Non ho capito cosa intendesse quando ha detto che i corleonesi dovevano accontentare. TOMMASO BUSCETTA. Della parte che spettava a loro. PRESIDENTE. Loro si dovevano accontentare? TOMMASO BUSCETTA. Sì, perché gli importatori sarebbero stati questi tre e quindi dovevano adeguarsi alla parte che poteva spettare loro. PRESIDENTE. E le parti chi le stabiliva? TOMMASO BUSCETTA. Qui cominciano a nascere i gruppi. Quando si andava in commissione, più che discutere dei problemi di come sarebbe andata la Cosa nostra, si discutevano queste cose. Già era iniziato con le sigarette: se le navi dovevano entrare a turno nelle acque, o se prima entrava la barca di Pag. 408 Spataro, poi la barca di La Mattina, poi la barca di Zaza. Così è stato anche per la droga. Quindi, per la droga si doveva aspettare anche la parte che a loro spettava, poi per investimento. PRESIDENTE. Cioè? TOMMASO BUSCETTA. Si investiva quanto si voleva. PRESIDENTE. Come si investiva? TOMMASO BUSCETTA. Si investiva. Si dice "io ho un carico di droga, quanto vuoi investire?" "300 mila dollari" e si facevano le quote di 300 mila dollari. PRESIDENTE. Nel febbraio 1975 si decise di non fare sequestri di persona in Sicilia. Si ricorda da chi partì la proposta e perchè? TOMMASO BUSCETTA. La proposta partì da Gaetano Badalamenti e da Stefano Bontade e Riina acconsentì, ma subito dopo c'è lo sgarbo di sequestrare Corleo. PRESIDENTE. Perché, si fece questo accordo? TOMMASO BUSCETTA. Perché questo attraeva la polizia. Nascevano dei problemi con la polizia. Poi si riteneva che non fosse una cosa molto buona per l'opinione pubblica far vedere che i siciliani sequestrano i siciliani. E allora in Sicilia niente sequestri. PRESIDENTE. Se invece veniva sequestrato qualcun altro, andava bene. TOMMASO BUSCETTA. In altri posti... a ruota libera. PRESIDENTE. Dura tuttora questa regola? TOMMASO BUSCETTA. Che dura tuttora non ne sono a conoscenza. PRESIDENTE. Ho capito. Sequestri mi pare non se ne facciano in Sicilia. TOMMASO BUSCETTA. Ce n'è stato uno e mi sembra siano morti tutti i sequestratori. PRESIDENTE. Quello della signora Mandalà? TOMMASO BUSCETTA. Mandalà, sì. PRESIDENTE. C'entrava Cosa nostra nel sequestro della signora Mandalà? TOMMASO BUSCETTA. No, la Cosa nostra ha ucciso tutti i sequestratori. PRESIDENTE. Quali collegamenti di Cosa nostra ci sono stati fuori dalla Sicilia, in Calabria, in Campania e in Puglia? TOMMASO BUSCETTA. Sui sequestri? PRESIDENTE. No, in generale. Ci sono uomini d'onore anche in Campania, in Calabria? TOMMASO BUSCETTA. E basta. Ci sarebbero anche a Milano. Ma come famiglie costituite è in Campania e in Calabria. Invece a Milano ci sono ma... è personalizzata la cosa. PRESIDENTE. Che vuol dire? TOMMASO BUSCETTA. Ci sono i Bono, ma già i Bono è rappresentante a Baucina ... a Bolognetta. A Milano agisce come se fosse boss, perché tutti si rivolgono a loro. Anche i gruppi di altre famiglie confluiscono verso i Bono. PRESIDENTE. L'onorevole Tripodi chiede se per caso ha avuto notizia delle ragioni per le quali è stato ucciso il pubblico ministero Scopelliti in Calabria e se per caso le risulta, direttamente o indirettamente, che l'omicidio sia stato Pag. 409 commesso per rallentare, bloccare o impedire il giudizio di Cassazione sul maxiprocesso. TOMMASO BUSCETTA. Non sono in condizione di poter rispondere perché sono stato in America. Non avevo condizione per controllare questa cosa. Posso dire che è morto per questa causa. Secondo me è morto per questa causa. Secondo me, ma non ho niente per... PRESIDENTE. E' una sua deduzione? TOMMASO BUSCETTA. E' una mia deduzione. PRESIDENTE. E' possibile che Cosa nostra compia un omicidio in Calabria? Oppure si deve mettere d'accordo con i calabresi? TOMMASO BUSCETTA. Non ho detto questo. Io ho detto che è Cosa nostra, ma possono agire i calabresi. PRESIDENTE. Quindi, un delitto può essere commesso. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Ho capito. Bardellino era uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. No. Bardellino? Sì, scusi, stavo pensavo a Balducci. Bardellino era rappresentante, addirittura. PRESIDENTE. Zaza era uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Zaza è uomo d'onore. PRESIDENTE. Nuvoletta? TOMMASO BUSCETTA. Sono uomini d'onore. PRESIDENTE. Cutolo invece no? TOMMASO BUSCETTA. No, Cutolo era camorrista. FRANCESCO CAFARELLI. E Peppino Sciorio di San Giuliano? TOMMASO BUSCETTA. Era uomo d'onore. PRESIDENTE. Mi pare sia stato ucciso. FRANCESCO CAFARELLI. Sì. PRESIDENTE. Signor Buscetta, il giro delle prime domande è terminato. A questo punto lei si può riposare mentre i commissari formuleranno ulteriori domande da porle. TOMMASO BUSCETTA. Okay. PRESIDENTE. Ha qualcosa da dire? TOMMASO BUSCETTA. No, va bene. PRESIDENTE. Grazie. (Il signor Buscetta è accompagnato fuori dall'aula). PRESIDENTE. Colleghi, a questo punto potete formulare le ulteriori domande da rivolgere al signor Buscetta. ANTONINO BUTTITTA. Ho trovato estremamente interessante la notizia data in ordine ai rapporti economico-finanziari tra Vassallo e Lima. Poichè tale notizia è stata riferita in termini generici e vaghi, vorrei che venisse approfondita. E' bene chiarire se in realtà tali rapporti siano esistiti oppure no. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Vorrei che si chiedesse se nella famiglia Bontade vi siano stati degli uomini politici oltre che dei mafiosi. VITO RIGGIO. Signor presidente, vorrei che lei riprendesse un passaggio: in Pag. 410 particolare quando viene spiegato che, a seguito del processo dei 114, erano state eliminate le famiglie nella provincia di Palermo. Il signor Buscetta può fornire qualche elemento sui rapporti tra le famiglie esterne alla città, tra le quali quella dei corleonesi, di Morreale, di Caccamo; in sostanza che tipo di rapporti esistevano tra queste famiglie e quella di Palermo? MASSIMO SCALIA. Vorrei conoscere con maggior precisione la questione del trasferimento dal carcere di Cuneo a quello di Milano in rapporto alla richiesta rivolta, da parte della commissione, al Buscetta affinchè prendesse contatto con i terroristi presenti nel carcere di Torino. Il Buscetta sostiene di essere stato trasferito al carcere di Milano: vorrei che si facesse collimare questo periodo con quello del sequestro Moro, per altro molto breve (dal 16 marzo al 9 maggio). Vorrei che il presidente ponesse le domande in modo tale da definire con precisione - anche perchè Buscetta dice di essere stato a Milano dopo, nel 1979 - il periodo in cui è stato trasferito a Milano anzichè a Torino come sarebbe dovuto accadere secondo quello che racconta. GIROLAMO TRIPODI. Vorrei porre una domanda sul rapporto tra criminalità organizzata, Cosa nostra e i servizi segreti. Il signor Buscetta ha detto che altre forze dello Stato hanno mantenuto rapporti, nei modi più diversi. Sarebbe opportuno affrontare il tema. FERDINANDO IMPOSIMATO. Vorrei sapere se l'inerzia dello Stato di fronte alle richieste dei giudici Falcone e Borsellino di misure dirette a favorire la dissociazione fosse, a suo giudizio, determinata da comportamenti di uomini politici collegati a Cosa nostra. Vorrei inoltre sapere se il signor Buscetta fosse a conoscenza del fatto che anche il procuratore generale Spagnuolo venne informato della volontà della mafia (in particolare attraverso Pippo Calò, Flavio Carboni e l'onorevole Cazora) di occuparsi della salvezza di Moro. Risulta agli atti di quel processo che, durante il sequestro alcuni uomini si recarono da Spagnuolo per offrire la collaborazione della mafia e che poi questa collaborazione venne revocata. GIANCARLO ACCIARO. Circa le ipotesi sul separatismo in Sicilia cui ha accennato il signor Buscetta, vorrei sapere se egli sia a conoscenza di contatti tra la mafia e movimenti politici (e non) della Sardegna, per una eventale ipotesi di separatismo di quest'isola. Più volte è stato detto che vi era libertà di azione per gli uomini d'onore relativamente ai sequestri effettuati fuori dalla Sicilia. Vorrei sapere se siano stati ipotizzati sequestri in Sardegna, considerando che vi è un collegamento tra Calò e Carboni e che quest'ultimo è stato un importante imprenditore sardo. LUIGI BISCARDI. Vorrei che si tornasse sul rapporto tra Vassallo e Lima, che è stato negato in un articolo recente da un uomo politico di grande importanza qual è il senatore Andreotti. Il signor Buscetta ha chiarito il rapporto tra Vassallo e Lima, dicendo che il primo era un prestanome. Poiché si è tanto insistito sulla sigla VALIGIO (Vassallo-Lima-Gioia), vorrei sapere qualcosa sul terzo elemento di tale rapporto, centrale per definire l'attività politico-amministrativa dell'onorevole Lima. MARCO TARADASH. Sarebbe opportuno un chiarimento sulla dimestichezza del signor Buscetta con il direttore del carcere dell'Ucciardone, Di Cesare, il quale lo ha informato di un colpo di Stato e gli ha indicato un cunicolo dal quale evadere. Vorrei sapere per quanti anni Di Cesare sia stato direttore di quel carcere e che tipo di rapporti avesse con Cosa nostra e con il signor Buscetta stesso. In altre parole, occorrerebbe capire per chi lavorava Di Cesare, se per i servizi segreti, se per i golpisti o se per Cosa nostra. Pag. 411 La seconda domanda è se il delitto Dalla Chiesa possa essere messo in relazione all'ipotesi di omicidio avanzata nel 1979, cioè se vi sia una continuità tra i due fatti. ANTONIO BARGONE. Il signor Buscetta non è stato chiaro quando ha spiegato per quale motivo il generale Dalla Chiesa dava fastidio a Cosa nostra; ha sostenuto che è difficile trasferire la loro mentalità nella nostra. Forse sarebbe opportuno approfondire questo aspetto per chiarire quali fossero le iniziative di Dalla Chiesa che intralciavano l'attività di Cosa nostra. In secondo luogo, vorrei domandare se le attività criminali di Vernengo e Pecoraro durante il soggiorno obbligato fossero collegate a Cosa nostra ovvero fossero individuali, così come emerge dagli atti del maxiprocesso. MASSIMO BRUTTI. Il signor Buscetta, nel corso degli interrogatori resi nel 1984 (il 23 luglio dinanzi al giudice Falcone e il 14 agosto), si riferisce ad alcune caratteristiche della famiglia dei corleonesi e della famiglia Madonia, cioè alla particolare segretezza dell'appartenenza a queste famiglie: "Devo far presente che caratteristica della famiglia di Corleone è quella di non far conoscere alle altre i nomi dei propri adepti. Di ciò Badalamenti Gaetano si è sempre lamentato". La stessa caratteristica viene riferita ai Madonia. Nel corso di un interrogatorio svolto ai primi si settembre, afferma: "Parlando con Gaetano Badalamenti e con Salamone, tutti e tre abbiamo avuto il sospetto che i personaggi più in vista della coalizione a noi avversa avessero in grande segretezza costituito fra di loro una distinta famiglia, al di fuori e contro le regole di Cosa nostra". Vorrei fosse chiesto se, all'interno di Cosa nostra, esista una struttura supersegreta alla quale abbiano dato vita i corleonesi, eventualmente con altri alleati. Il signor Buscetta ha parlato di alcuni delitti commessi all'insaputa di una parte della Commissione. In realtà, in base alle sue deposizioni, risulta che tutti i grandi delitti sono stati commessi all'insaputa di Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo. Ad esempio, Buscetta ha detto che il delitto Mattarella era stato deciso dalla commissione. In precedenza aveva detto che ciò era avvenuto all'insaputa di Bontade e di Inzerillo. ALFREDO GALASSO. Veramente, aveva detto che non se ne era saputo nulla, tanto che i giudici avevano ritenuto che forse per questa ragione si erano rivolti ai fascisti. MASSIMO BRUTTI. Dice testualmente: "Dell'omicidio di Michele Reina né Stefano Bontade né Salvatore Inzerillo né Rosario Riccobono sapevano nulla. Gli omicidi di Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella sono stati decisi dalla commissione di Palermo all'insaputa di Salvatore Inzerillo e di Stefano Bontade". ALFREDO BIONDI. Oggi ha detto che erano in disaccordo. MASSIMO BRUTTI. Infine, vorrei che si tornasse sul coinvolgimento di Cosa nostra in tentativi golpistici. Nel 1970 vi è il tentato golpe Borghese. Nel 1971 viene ucciso Scaglione e Buscetta ha detto che questo omicidio si collega alla strategia di tipo eversivo. Nel 1974 il direttore del carcere gli parla di un colpo di Stato. Conosciamo le tragiche vicende del 1984, cioè le due stragi di Brescia e del treno Italicus. Nel 1979 c'è la proposta fatta da Sindona ai perdenti, cioè a quelli che in quel momento stavano già perdendo peso all'interno di Cosa nostra: Bontade e gli Inzerillo. Vorrei che Buscetta chiarisse ulteriormente perché la vicenda del 1971 non possa essere appiattita su quella di un anno prima. Si tratta di altra cosa. Nel 1971 si trovano già in un'altra prospettiva, in un altro tentativo di tipo eversivo. Pag. 412 GAETANO GRASSO. Vorrei chiedere qualche notizia circa le altre province, oltre le sei che sono state citate; in particolare, se esistano uomini d'onore o famiglie organizzate in altre province. ROMANO FERRAUTO. Non nego l'importanza di questa audizione, anzi ritengo che faccia luce su una serie di aspetti; tuttavia credo che sia importante capire quale sia la situazione odierna, come la strategia e la filosofia della presenza mafiosa nel nostro paese sia cambiata. Chiederei a Buscetta - anche se occorre procedere all'audizione di altri collaboratori della giustizia che conoscono la realtà attuale - in quali settori ed in quale direzione oggi si potrebbe indagare. PRESIDENTE. Può spiegarsi meglio? ROMANO FERRAUTO. Ritengo decisivo che i collaboratori della giustizia offrano un contributo, ma poiché Buscetta non ha voluto parlare di uomini, di vicende, di fatti, dell'attualità, chiederei in quali settori sarebbe opportuno indagare. ERMINIO ENZO BOSO. Il signor Buscetta parlava del grosso intervento del generale Dalla Chiesa; vorrei sapere, visto che queste particolarità avevano creato tali difficoltà da far decidere l'omicidio, se i superprefetti dotati di supepoteri abbiano mai disturbato Cosa nostra. Facendo riferimento ai rapporti tra IOR e Banco ambrosiano, vorrei sapere se il clero sia stato mai interessato a Cosa nostra e in quale misura. MARIO BORGHEZIO. Vorrei sapere se esista un archivio di Cosa nostra, di cui non saltano mai fuori le carte amministrative né i conti. Inoltre vorrei sapere se si possa ipotizzare l'esistenza di "santuari" a questo dedicati e se possano essere individuati i luoghi geografici dove trovare questi documenti. Vorrei che il signor Buscetta ci potesse dire qualche cosa sul voto mafioso al nord, in particolare a Torino e a Milano e se abbia notizia di interventi di Cosa nostra in ordine alle operazioni di investimento al sud (parlo di operazioni patrocinate attraverso le varie leggi di intervento straordinario nel Mezzogiorno); quale sia il motivo per cui non sono mai stati effettuati sequestri di esponenti del mondo bancario e finanziario (le uniche eccezioni sono stati dei sequestri del tutto anomali). Infine, vorrei sapere se sia al corrente di acquisti da parte di esponenti di Cosa nostra di quote azionarie di società presenti in Borsa. MICHELE FLORINO. Vorrei sapere se, oltre ai collegamenti per contrabbando e traffico di stupefacenti con le famiglie calabresi e napoletane, gli uomini d'onore Bardellino, Zaza e soprattutto Nuvoletta abbiano avuto l'incarico di appoggiare nelle consultazioni elettorali determinati partiti politici. ALFREDO BIONDI. Vorrei che al signor Buscetta venisse posta nuovamente una domanda che gli è stata già rivolta e che egli ha eluso, dal momento che ha detto che il delitto Dalla Chiesa in qualche modo ha coperto realtà diverse, superiori e peggiori di non so quale entità (ha usato proprio questo termine). Poiché ha parlato di "un uomo politico che si è sbarazzato della presenza troppo ingombrante del generale", gli chiederei qualche spiegazione sull'uomo politico e sulla presenza ingombrante. Verso chi c'era l'ingombro? Verso il mondo politico o verso quello militare in cui il generale si muoveva o verso le situazioni note al generale sui rapporti con il terrorismo? Vorrei sapere quale fosse questa entità e se fosse diversificata. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Vorrei che al signor Buscetta fosse chiesto di spiegare meglio la sua frase: "Lima da morto serviva a denigrare Andreotti". A chi serviva e perché? In quale senso ha detto questo? Solo come mera ipotesi o perché ha avuto notizie in merito? Pag. 413 ALFREDO GALASSO. Ritengo, signor presidente, che almeno un paio delle domande che desidero formulare dovrebbero essere firmate: intendo dire che sarebbe utile che Buscetta sapesse chi le ha poste perché, dato il personaggio, possono avere un senso proprio per questo. La prima domanda è in base a quale criterio egli abbia deciso di dire alcune cose e di non dirne altre. Infatti non è vero che si è riservato di rispondere su tutto: alcune cose le ha dette, anche di un certo impegno - vedi delitto Dalla Chiesa e delitto Moro - altre no. Non riesco a comprendere quale sia la ragione per cui ha compiuto certe scelte, ma ritengo sia importante saperlo. La seconda domanda è cosa stia succedendo ora all'interno di Cosa nostra. A questo riguardo, la prima cosa che mi lascia perplesso è che nell'intervista a Biagi, poi riportata testualmente, se non erro, da Panorama, alla domanda: "E' Riina?" Buscetta ha risposto: "Chissà, poi, se è Riina". Qui, stamane, ha invece fatto intendere che il soggetto più pericoloso è proprio Riina. Vorrei allora capire come stiano effettivamente le cose. (Commenti). Ha detto: "Oltre Riina"; ma nell'intervista che ho citato aveva detto: "Chissà se è Riina", quasi a far intendere che all'interno di Cosa nostra potrebbe essere successo qualcosa per cui Totò Riina o non conta più o addirittura non c'è più. L'altro punto su cui ho dubbi è la notizia, riferita come acclarata dai giudici di Palermo che hanno richiesto ed emesso il mandato di cattura, secondo cui dopo il delitto Lima sarebbe stata data agli affiliati di Cosa nostra una sorta di autorizzazione, se non proprio l'ordine, di costituirsi o di fare, comunque, ciò che volevano. Cosa molto strana, mai successa. Anche Calderone ha detto testualmente: "Questa è una strana storia" e strana sembra anche a me. Per questo vorrei chiedere a Buscetta cosa stia succedendo. Naturalmente la sua sarà un'ipotesi, un parere, comunque è interessante sapere quale giudizio dia di questa vicenda. Valuti il presidente se sia il caso di porre la domanda in termini ancora più brutali, cioè "C'è ancora Cosa nostra?". Inoltre non ho ben capito la vicenda del delitto Dalla Chiesa. Vorrei dunque che il presidente domandasse a Buscetta perché mai non abbia riferito ai giudici della corte d'assise durante il dibattimento quest'ultima notizia relativa al 1979, al terrorista e così via. Perché sono coinvolti politici e dei politici non aveva voglia di parlare o per qualche altro motivo? Non si tratta, infatti, di un piccolo particolare: alcuni personaggi sono stati condannati. Vi è, poi, la questione della commissione regionale-provinciale: fino a che epoca risulta a Buscetta che questi importanti delitti fossero deliberati a livello regionale, sia pure nella proporzione di 10, 8, 4 e via dicendo cui ha fatto riferimento? Fino a quando è stato richiesto il consenso delle altre province per delitti di una certa importanza? Ultima domanda - e questa veramente particolare - è se egli sappia chi è "lo zio", cioè quel famoso signore, piuttosto anziano, che entrava ed usciva dal tribunale informandosi o in qualche modo intercedendo rispetto alle vicende giudiziarie. ROSARIO OLIVO. Signor presidente, vorrei chiedere al signor Buscetta un approfondimento, una valutazione sul processo di Catanzaro. Insisto ancora su tale questione perché mi pare che egli abbia espresso valutazioni abbastanza pesanti su un giudice che è stato pubblico ministero in quel processo nel 1968. Inoltre vorrei sapere qualcosa sui rapporti tra Cosa nostra e la Sacra corona unita: se si tratti di un rapporto simile a quello che Cosa nostra ha con 'ndrangheta e camorra. MAURIZIO CALVI. Vorrei, signor presidente, che non si dimenticasse che oggetto dell'odierna audizione sono il delitto Lima, le interconnessioni mafia-politica con riferimento a Lima, lo spessore Pag. 414 del sistema delle relazioni mafiose nonché l'estensione dei rapporti tra mafia e politica. Mi sembra, infatti, che queste audizioni si stiano indirizzando verso altre aree, pure di grande interesse, riguardanti la vita interna ed esterna della mafia, mentre ritengo che lo scopo finale debba essere quello di capire l'effetto Lima e l'estensione dei rapporti tra mafia e politica in relazione agli interessi che stavano dietro quest'uomo politico. Da questa audizione emerge che Buscetta è sicuramente l'uomo che è stato maggiormente a contatto con Lima, probabilmente perché andavano a scuola insieme, poi a teatro insieme; quindi è forse l'interlocutore che più di altri può farci capire il personaggio Lima e gli interessi che sono dietro ad esso. Vorrei quindi che cercassimo di approfondire questo rapporto per capire quali altri interessi comuni avessero, oltre quello del teatro. Approfittiamo, presidente, di questo grande rapporto di amicizia con Lima per estendere l'analisi ad un altro sistema di relazioni, perché, a mio giudizio, questo è l'interesse maggiore dell'audizione. ALTERO MATTEOLI. Buscetta ha insinuato (uso questo termine ma è quasi un eufemismo) che Dalla Chiesa sia stato ucciso sì da Cosa nostra (il che a suo modo di vedere è fisiologico) ma anche da qualcun altro, quasi che il potere, il sistema avessero voluto morto il generale. Abbiamo ascoltato ciò che ha detto in proposito ma non abbiamo tentato di approfondire quel passaggio. Gradirei che lo facessimo domandandogli se questa sua insinuazione o per lo meno questo suo convincimento sia dato dal fatto che è legato al potere politico, alla stessa vicenda Lima ed ai collegamenti che quest'ultimo aveva con il potere centrale, con Roma, con Andreotti, per intenderci. Bisognerebbe, insomma, chiedergli se a suo avviso ambienti governativi o comunque dello Stato gradissero l'uccisione di Dalla Chiesa. La domanda posta in questi termini è molto brutale ma il presidente saprà porla in modo migliore. Nella precedente audizione, Calderone ci ha detto che il giudice Campisi fu trasferito a Cuneo; guarda caso nel periodo in cui Campisi è a Cuneo Buscetta viene trasferito nel carcere di quella città. PRESIDENTE. Bisogna ricordare, però, che Campisi chiese di andare a fare il procuratore a Cuneo. ALTERO MATTEOLI. Sì, si tratta di sapere se in qualche modo il trasferimento di Buscetta a Cuneo sia stato favorito. Inoltre, abbiamo accettato come normale il fatto che Michele Greco entri nel carcere dell'Ucciardone e vada a trovare Tommaso Buscetta, ma ci sarà qualcuno che avrà favorito l'ingresso di Michele Greco nel carcere. Per una persona perbene andare a trovare un detenuto è sempre complicato, mentre Michele Greco riesce a farlo agevolmente. Bisognerebbe chiedere, come suggeriva anche il collega Taradash, se ciò sia stato possibile solo grazie al direttore del carcere o se altri abbiano favorito l'accesso di Michele Greco. ROMEO RICCIUTI. L'esperienza odierna può essere considerata interessante e di grande utilità storica, perché il personaggio è fondamentale. A noi tuttavia interessa sapere cosa faccia la mafia oggi in senso politico. Vorrei, perciò, che si insistesse in questa direzione, se vi è la possibilità di acquisire qualche altra notizia che sarebbe utilissima per la nostra attività. Un'altra domanda dovrebbe riguardare il separatismo: se si tratti di un disegno politico unitario di separatismo tra nord e sud (per cui vi può essere un collegamento con i fatti odierni) oppure se il disegno politico siciliano sia a suo avviso autonomo. PIERO MARIO ANGELINI. Vorrei sapere se Buscetta conosca o abbia conosciuto in quanto uomo d'onore Calderone e gli altri collaboratori della giustizia Spatola e Mutolo; se conosca o gli sia Pag. 415 stata fatta conoscere la sostanza delle loro confessioni, se li abbia mai incontrati e quale giudizio dia di loro. CARLO D'AMATO. Nell'audizione di Buscetta è emerso un dato molto importante sotto il profilo della conoscenza del fenomeno mafioso, quello che non esistono organizzazioni separate ma esiste ormai un'unica mafia. Si tratta di un dato particolarmente significativo che, pur partendo dall'omicidio Lima, potrebbe consentirci l'individuazione di eventuali connivenze tra mafia e politica anche in Campania. Tra l'altro, Buscetta è stato anche a Poggioreale, conosce camorristi mafiosi napoletani; gli si dovrebbe chiedere se, al di là dei meccanismi di voto, sui quali è stato abbastanza esplicito (o almeno ha dato la sua versione di come avvenga questo collegamento elettorale), esistano collusioni che nel corso di questi anni abbiano potuto dare positivo riscontro alle attività mafiose della Campania utilizzando uomini politici di quella regione, tenendo anche conto che questo può essere un punto di riferimento utile per conoscere le attività mafiose in Sicilia, visto che la Campania è una regione particolarmente importante e significativa. Ho constatato anche nel corso di un colloquio ufficioso avuto con Buscetta durante la sospensione della seduta che egli si ritiene un collaboratore fondamentale, importante e si attribuisce anche una grande capacità di valutazione degli eventi, tant'è vero che, definendole deliri, parla di suggestioni e di congetture, compiendo anche un tentativo di interpretazione dei fatti. Alla luce di tutto questo, penso che potremmo chiedergli di esprimersi sull'attendibilità dei pentiti, anche perché nel medesimo colloquio di cui ho già parlato ha espresso alcuni giudizi negativi. Ad esempio, i magistrati che hanno emesso l'ordinanza di carcerazione dei componenti della cupola mafiosa per l'uccisione di Salvo Lima definiscono attendibili tutti i pentiti sulla base delle nuove leggi e dei criteri indicati dalla Cassazione: sarebbe importante avere anche a questo proposito alcuni elementi di valutazione da parte di Buscetta, elementi che potrebbero servirci per lo meno come dato culturale. (Il signor Buscetta è accompagnato nuovamente in aula). PRESIDENTE. Signor Buscetta, le rivolgerò adesso alcune domande formulate dai colleghi. A proposito dei rapporti economico-finanziari tra Vassallo e Lima, lei ha detto che Vassallo era la sigla dietro la quale c'era anche Lima. Può essere più preciso su questi rapporti, per quello che lei sa? La domanda le viene posta dal senatore Buttitta. TOMMASO BUSCETTA. Queste domande che riguardano politici preferirei che fossero fatte dai giudici istruttori. Io non ho niente da nascondere a voi, perché voi potrete avere dai giudici istruttori tutte queste notizie. Quindi vi chiederei di lasciarlo questo campo. PRESIDENTE. Non le chiedo una cosa nuova. TOMMASO BUSCETTA. Sì, va bene, ma quando io entro nel particolare, sul perché Vassallo nasconde Lima, cominciamo a fare una storia che diventa una cosa lunga e che è di competenza del giudice istruttore. Lei è stato giudice istruttore. PRESIDENTE. Questa è una risposta chiara. Nella famiglia Bontade c'erano anche uomini politici? TOMMASO BUSCETTA. A mente non mi vengono, ma c'erano. Sì, c'erano. PRESIDENTE. Quali erano i rapporti tra le famiglie di Palermo e quelle della provincia? TOMMASO BUSCETTA. Scusi, signor presidente, in che termini? Pag. 416 PRESIDENTE. Lei ha detto che le famiglie si erano sciolte, dopo il 1963. In particolare si erano sciolte le famiglie di Palermo, mentre le altre, se non ho capito male... TOMMASO BUSCETTA. No, tutta la provincia di Palermo. PRESIDENTE. Questa domanda le è stata formulata dal senatore Ferrara. Adesso l'onorevole Riggio le chiede per chi votasse la mafia della provincia. Aveva gli stessi orientamenti vostri oppure diversi? TOMMASO BUSCETTA. In tutta la Sicilia aveva gli stessi orientamenti. Non era solo per la provincia di Palermo non votare comunista, ma per tutta la Sicilia. PRESIDENTE. Non votare i due estremi. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. L'onorevole Scalia le chiede maggiori chiarimenti - se ricorda - sulla traduzione a Milano. La aiuto: fu tradotto con un cellulare normale dei carabinieri o con la macchina? TOMMASO BUSCETTA. Cellulare, e grosso. PRESIDENTE. Con altre persone o da solo? TOMMASO BUSCETTA. Io credo che ero insieme ad un altro. Uno. PRESIDENTE. Era un detenuto comune, un terrorista, uno di Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Non ho parlato. Non ci siamo parlati con l'altro detenuto. PRESIDENTE. Siete arrivati direttamente a San Vittore o vi siete fermati da qualche parte? TOMMASO BUSCETTA. Mentre ero da solo di là pensavo che questa cosa non deve creare... Quello che dico io può essere certificato attraverso gli uffici. PRESIDENTE. Stia tranquillo, si vedrà. TOMMASO BUSCETTA. Io ricordo benissimo di essere andato a Milano da Cuneo. PRESIDENTE. Volevo sapere se prima si è fermato o no da qualche parte: in una caserma o in qualche altro posto? TOMMASO BUSCETTA. Non lo ricordo. Non ho parlato con il detenuto che stava insieme a me. PRESIDENTE. Non si ricorda se era giorno o notte quando fu trasferito? TOMMASO BUSCETTA. Quando fui trasferito era di giorno. Credo che sia stato nel pomeriggio. PRESIDENTE. Comunque di giorno. Insomma, c'era luce. Il senatore Tripodi le chiede se può riferire alla Commissione, per quanto è a sua conoscenza, sui rapporti fra appartenenti a Cosa nostra ed appartenenti ai servizi segreti. TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. No nel senso che non sa? TOMMASO BUSCETTA. Non so. PRESIDENTE. Passo ora alla domanda formulata dal senatore Imposimato. Falcone e Borsellino più volte hanno chiesto leggi particolari per i collaboratori, le quali però sono venute in ritardo. Per quello che voi ne sapevate, Cosa nostra operava, nell'ambito delle sue possibilità, per impedire l'emanazione di tali leggi? Pag. 417 TOMMASO BUSCETTA. Con i rapporti politici che poteva avere Riina, certo che le impediva. PRESIDENTE. Lei pensa quindi che questi ritardi siano stati determinati dalle influenze di Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. E' sempre un'ipotesi mia, non ho certezze. Senz'altro. PRESIDENTE. Il procuratore generale di Roma, Spagnuolo, era al corrente dell'interesse di Cosa nostra per Moro? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. PRESIDENTE. Ci sono stati incontri tra uomini di Cosa nostra e movimenti della Sardegna? TOMMASO BUSCETTA. Credo di no. PRESIDENTE. Nei sequestri in Sardegna c'è la stata la mano di qualche uomo d'onore? TOMMASO BUSCETTA. No! PRESIDENTE. Il senatore Biscardi chiede quale fosse la funzione di Gioia nel rapporto tra Vassallo e Lima. Circolò una sigla. TOMMASO BUSCETTA. Ritorniamo sempre alla stessa cosa. Vorrei non rispondere. PRESIDENTE. Io devo porle la domanda. Non la consideri una scortesia. TOMMASO BUSCETTA. Signor presidente, non ho niente contro la sua domanda. Dico che ritorniamo sempre alla stessa cosa. Rispondo: risponderò a giudici. PRESIDENTE. Risponderà ai giudici adesso, non in futuro. TOMMASO BUSCETTA. No, no, ai giudici adesso. LUIGI BISCARDI. Di Vassallo e Lima ha parlato però. PRESIDENTE. Lei ha detto che tra Vassallo e Lima un rapporto c'era. Il senatore Biscardi vuole sapere se c'era un rapporto anche tra Vassallo e Gioia. TOMMASO BUSCETTA. Vuole un'anticipazione? C'era! PRESIDENTE. Da che cosa nasceva questa sua dimestichezza di rapporti con il direttore del carcere dell'Ucciardone, dottor De Cesare, le chiede l'onorevole Taradash? TOMMASO BUSCETTA. Ho detto che era massone. PRESIDENTE. De Cesare era massone? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. E quindi? TOMMASO BUSCETTA. E quindi venivano le raccomandazioni dai massoni al massone, per me. PRESIDENTE. Mi scusi, c'era un rapporto tale per cui se avevate bisogno vi rivolgevate ai massoni? TOMMASO BUSCETTA. Io non mi sono rivolto. PRESIDENTE. Non lei, Cosa nostra. TOMMASO BUSCETTA. Se c'era bisogno, sì. PRESIDENTE. Quindi De Cesare non era di Cosa nostra, era massone? TOMMASO BUSCETTA. Assolutamente, era massone. Pag. 418 PRESIDENTE. E in quanto tale aiutava lei o anche altri di Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Aiutando me aiutava tutta la Cosa nostra perché io facevo le richieste. PRESIDENTE. Sempre l'onorevole Taradash le chiede se sulla base delle sue ipotesi l'omicidio del generale Dalla Chiesa - risalente al settembre 1982 - può essere in collegamento con l'ipotesi avanzata nel 1979, quando qualcuno le disse... TOMMASO BUSCETTA. Dissi che questa è la mia ipotesi. PRESIDENTE. La sua ipotesi è questa. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Vorrei che lei spiegasse, per cortesia, una questione che anch'io non ho capito bene forse perché mi sono distratto. Per quale motivo Dalla Chiesa dava fastidio a Cosa nostra? Lei si è riferito alla storia delle patenti e dei fogli rosa, che però non erano un problema. TOMMASO BUSCETTA. No, no, non ho detto non era un problema, forse mi sono spiegato male. Era un problema, ma non era un problema tale da arrivare al punto di ammazzarlo pubblicamente insieme alla moglie. PRESIDENTE. Quale fastidio dava Dalla Chiesa a Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Mah, ho citato due casi: uno era con gli imprenditori; il secondo erano le patenti, i fogli rosa... e poi chiedeva leggi speciali. Quindi, il movente per ammazzarlo c'è. Legittimamente dice: la mafia si è stancata e l'ammazza; è pacifico questo. Se devo sostenere un'altra cosa, devo accettare che posso passare anche per una perizia psichiatrica. PRESIDENTE. Ho capito cosa vuole dire. Vernengo e Pecoraro... TOMMASO BUSCETTA. Vernengo? PRESIDENTE. Sì, Pietro Vernengo che ha avuto il soggiorno obbligato in Puglia, mi pare... TOMMASO BUSCETTA. Questo non lo so. Però se è Pietro, io so chi è. PRESIDENTE. Quando andarono in Puglia, lo fecero per collegamenti con qualcuno di Cosa nostra oppure no? TOMMASO BUSCETTA. Guardi, in tutto il territorio nazionale - voi lo sapete - ci sono Cosa nostra. PRESIDENTE. Anche in Puglia? TOMMASO BUSCETTA. Ma in Puglia, in qualsiasi parte. Perché un siciliano va a Milano e va a costituire un punto fisso della Cosa nostra. L'errore più madornale che ha potuto commettere la Commissione antimafia di una volta è stato quello di mandare i siciliani fuori dalla Sicilia, a Milano, a Padova e a Bologna. E' stato l'errore più madornale perché li ha fatti espatriare. E' gente che non ha mai preso il treno, non sapeva che cos'era Bologna e voi gliel'avete insegnato. Quando dico voi intendo gli altri. PRESIDENTE. Il soggiorno obbligato dette fastidio a Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Dette fastidio ma per poco, poi si aggiustarono. PRESIDENTE. Quando lei ha riferito del fastidio che poteva dare Dalla Chiesa, ha parlato dei costruttori: a quali fa riferimento, a quelli di Catania? TOMMASO BUSCETTA. Non ho altro riferimento da fare se non quello di Catania, perché a quelli dava disturbo Dalla Chiesa. Pag. 419 PRESIDENTE. A uno o a più di uno? TOMMASO BUSCETTA. Credo a più di uno di Catania. PRESIDENTE. Oltre al nome di Costanzo, che lei ha già fatto, è in grado di citarne altri o preferisce farlo all'autorità giudiziaria? TOMMASO BUSCETTA. All'autorità giudiziaria. PRESIDENTE. Un uomo politico che è vostro alleato può proporre leggi contro di voi? Come la prendete questa mossa? TOMMASO BUSCETTA. Innanzitutto desidero chiarire ex vostro alleato. PRESIDENTE. Certo, è come la storia dei politici. TOMMASO BUSCETTA. Altrimenti torniamo punto e a capo. Posso dirle una cosa che mi viene alla memoria, poi quando parlerò con i giudici... Nel 1963 ci fu una riunione alla regione siciliana... No, alla provincia siciliana, ci sono due cose diverse se non sbaglio... PRESIDENTE. Sì, certo. FRANCESCO CAFARELLI. Diciamo amministrazione provinciale. TOMMASO BUSCETTA. Amministrazione provinciale. Credo che il presidente fosse Reina. Allora si disse che si doveva combattere la mafia perché stava dando disturbo. Votiamo una mozione contro la mafia per alzata di mano. Hanno alzato la mano credo in novanta ed erano in novanta: quindi, tutti. Solo che là dentro c'erano anche uomini d'onore. Ho dato la risposta. PRESIDENTE. Quindi, può darsi che lo facciano, il che è positivo. Lei ha detto, ad un certo punto, che la famiglia dei corleonesi e quella dei Madonia non facevano conoscere i nomi dei loro aderenti. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Questo può voler dire che all'interno di Cosa nostra esiste un gruppo più ristretto non conosciuto? TOMMASO BUSCETTA. No. Non è che esiste un gruppo più ristretto, esistono delle persone non conosciute, non un gruppo più ristretto. Avere persone non conosciute non è una malvagità nei confronti della conoscenza o meno; è una malvagità perché in caso di confronto loro hanno delle basi che agli altri uomini d'onore sono sconosciute. PRESIDENTE. Questi, quindi, non possono essere uomini che comandano. TOMMASO BUSCETTA. No, tranne che poi nel corso della vita dirà: questo è stato messo in famiglia. PRESIDENTE. Lei, parlando nel 1984 con il giudice Falcone, afferma: "Nel 1978 la signoria vostra mi dice che sono avvenuti gli omicidi di Michele Reina e di Giuseppe Di Cristina. Circa il primo di tali omicidi non so nulla, ma rammento alla signoria vostra che lo stesso, data la sua eclatanza, non poteva che essere stato commesso su mandato della commissione, o meglio di tutti i componenti della stessa alleati con i corleonesi. Mi risulta che né Stefano Bontade né Salvatore Inzerillo né Rosario Riccobono sapevano nulla di ciò". Ed ancora: "Per quanto concerne gli omicidi di Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, so per certo, per averlo appreso da Salvatore Inzerillo, che trattasi di omicidi decisi dalla commissione di Palermo all'insaputa di esso Inzerillo, di Stefano Bontade ed anche di Rosario Riccobono". Dice inoltre: "L'omicidio del capitano Basile, secondo quanto mi ha detto Salvatore Pag. 420 Inzerillo, è stato voluto dai corleonesi per motivi che ignoro. Sicuramente la commissione era consenziente, ad eccezione dei soliti Inzerillo e Bontade". Dunque, vi è un complesso di omicidi commessi all'insaputa di questi due personaggi. TOMMASO BUSCETTA. Ho cercato, in quel periodo, di spiegare al giudice Falcone i contrasti che c'erano in seno alla commissione. PRESIDENTE. Bontade, Inzerillo e Riccobono stavano da una parte e la commissione dall'altra? TOMMASO BUSCETTA. Credo ce ne fosse qualche altro: Gigino Pizzuti. Ho cercato di spiegarmi, ho fatto del mio meglio. Non stavo bene fisicamente. PRESIDENTE. Quando ha svolto l'interrogatorio? TOMMASO BUSCETTA. Non stavo bene. Ero un individuo che veniva da un trauma tremendo; in quei casi si attenua la lucidità. Mi sono state fatte iniezioni di curaro che, come sapete, rallenta l'azione dell'uomo in contrasto alla stricnina; avevo momenti in cui, anche se ero sempre presente, è potuta nascere qualche contraddizione da parte mia. Ma il fatto è che esistevano contrasti tra i gruppi e sia Bontade sia Inzerillo non vedevano la realtà. Dicevano che si doveva finire e credevano che Michele Greco facesse il giusto per tutti. Non sapevano che Michele Greco era venduto ai corleonesi. Questa la confusione di tutti i contrasti. PRESIDENTE. Lei ha spiegato che il procuratore Scaglione venne ucciso nell'intento di gettare disordine e discredito sulle istituzioni. Il tentativo di Borghese è del dicembre 1970, mentre l'omicidio Scaglione è del 1971. Può spiegare meglio se questo vuol dire che il progetto di disordine andava anche oltre? TOMMASO BUSCETTA. Andava oltre. Lui cercava di farsi i suoi interessi andando oltre e dicendo che era un tentativo per destabilizzare lo Stato. PRESIDENTE. Quindi l'interesse alla destabilizzazione era presente in Liggio, anche al di fuori? TOMMASO BUSCETTA. E' sempre stato presente. Non bisogna credere a quello che ha detto durante il maxiprocesso. Non si era reso conto che io già avevo parlato e disse, facendo l'eroe, che noi eravamo andati e lui si era rifiutato. Rifiutato a che? Un assassino come quello che si rifiutava? PRESIDENTE. Lei ha detto che la destabilizzazione è sempre un obiettivo di Cosa nostra. O lo è di Liggio? TOMMASO BUSCETTA. Di Liggio e quando parlo di lui parlo della corrente dei corleonesi. PRESIDENTE. Perché perseguono l'obiettivo di creare disordine e confusione? TOMMASO BUSCETTA. Liggio in quel momento, nel 1971, era l'uomo più rovinato; non gli altri. Era stato assolto a Bari ma sapeva che questa assoluzione durava meno di niente. Fuggì e appena fu libero si allontanò. Doveva presentarsi al commissariato di Corleone a dire che era arrivato. Non l'ha voluto fare. PRESIDENTE. L'obiettivo della destabilizzazione perseguito dai corleonesi, secondo le sue ipotesi, sarebbe in collegamento con i soggetti di cui ha parlato prima? TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì. PRESIDENTE. Può dire se esistevano uomini d'onore in province siciliane diverse da quelle che lei ha indicato, cioè Palermo, Catania, Trapani, Agrigento, Caltanisetta e Enna? A Messina ce ne erano? Pag. 421 TOMMASO BUSCETTA. A Messina sconosco che ci possa essere famiglia e se c'è è una cosa nuova. PRESIDENTE. Il senatore Ferrauto le chiede, sulla base della sua esperienza, in che direzione si dovrebbe oggi indagare per raggiungere risultati particolarmente importanti. TOMMASO BUSCETTA. La Commissione o i giudici? PRESIDENTE. Entrambi i poteri, il Parlamento e la magistratura. TOMMASO BUSCETTA. E' una cosa che dovete chiedere ai giudici, dopo che questi si saranno resi conto delle dichiarazioni che verranno fatte sulla politica. Dopo quel mio interrogatorio, in tempi futuri ma vicini, chiedetelo ai giudici. PRESIDENTE. Lei intende dire che dopo le sue dichiarazioni nominative sulla politica si capirà dove "mettere le mani"? TOMMASO BUSCETTA. Esatto. Questo il mio convincimento. PRESIDENTE. Ciò riguarderebbe tanto la Commissione antimafia quanto la magistratura? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. I superprefetti, l'Alto commissario, i superpoteri hanno dato fastidio a Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Perché? Cosa serve? TOMMASO BUSCETTA. Perché non hanno fatto niente per farsi temere. Non si sono viste quelle azioni per farsi temere. PRESIDENTE. Il senatore Boso le chiede: se il generale Dalla Chiesa avesse avuto i superpoteri (tra l'altro li aveva richiesti) sarebbe stato temibile? TOMMASO BUSCETTA. Temibilissimo. PRESIDENTE. Perché? TOMMASO BUSCETTA. Dalla Chiesa - secondo me, ma credo che sia provato - aveva un sentimento della patria che non ho riscontrato negli altri. Può darsi che sia questo uno dei motivi per cui era inviso a molti. PRESIDENTE. Il senatore Boso le chiede se la Chiesa sia interessata a Cosa nostra. TOMMASO BUSCETTA. Come? PRESIDENTE. Mi spiego meglio. Come lei sa, l'Istituto per le opere di religione, cioè la banca del Vaticano, è stato coinvolto nella vicenda Calvi. Partendo da questo dato, il senatore Boso le chiede se le risutino rapporti tra esponenti della Chiesa e Cosa nostra. TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. L'onorevole Borghezio le chiede se esista un archivio di Cosa nostra. TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Gli uomini politici del nord eletti con i voti mafiosi a Torino e a Milano quando devono votare si comportano come gli uomini d'onore che stanno in Sicilia o no? TOMMASO BUSCETTA. Sì, se sono residenti in altri posti; se vivono in altri posti e lì fissano la loro residenza, si comportano allo stesso modo. PRESIDENTE. Quando sono state sequestrate persone fuori dalla Sicilia - è sempre l'onorevole Borghezio che glielo chiede - si è trattato quasi sempre di Pag. 422 persone appartenenti al mondo dell'imprenditoria ma mai persone che lavoravano nel sistema bancario e finanziario. C'è una ragione particolare o è solo un caso? TOMMASO BUSCETTA. E' un caso. PRESIDENTE. Le risulta che con i soldi ricavati Cosa nostra abbia acquistato quote di società per azioni? TOMMASO BUSCETTA. Non mi risulta. PRESIDENTE. Non le risulta o non lo sa? TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. PRESIDENTE. Bardellino, Zaza e Nuvoletta sono tre uomini d'onore, o meglio uno era e gli altri due sono. TOMMASO BUSCETTA. E' già scontato che è morto? PRESIDENTE. Non è scontato. A lei risulta che possa essere vivo? TOMMASO BUSCETTA. Non mi risulta ma non credo che sia morto. PRESIDENTE. Come dicevo, Bardellino, Zaza e Nuvoletta sono uomini d'onore; in quanto tali avevano l'incarico di sostenere anch'essi i candidati alle elezioni a Napoli? TOMMASO BUSCETTA. Certamente; perché no? PRESIDENTE. Quindi anch'essi lo facevano? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Chi decideva i nomi? TOMMASO BUSCETTA. Ho sempre detto che ognuno era libero di scegliersi il candidato. PRESIDENTE. L'onorevole Biondi, che è stato parte civile nel processo per l'assassinio del generale Dalla Chiesa, le chiede di spiegare, se possibile, una sua frase detta a proposito di tale vicenda: lei ha parlato di "presenza troppo ingombrante" del generale Dalla Chiesa. Per chi tale presenza era così ingombrante? TOMMASO BUSCETTA. Credo per lo Stato. PRESIDENTE. Non per Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. No, non dava tutto questo fastidio per morire assassinato in quella maniera o, per lo meno, non aveva ancora dato tutto quel fastidio. ALFREDO BIONDI. Ha fatto cenno anche ad alcuni uomini politici. PRESIDENTE. Può precisare meglio? ALFREDO BIONDI. Nella rogatoria del dottor Falcone del 3 settembre 1982 si legge: "Avendo appreso dalla televisione dell'assassinio del generale Dalla Chiesa, ritenni che l'omicidio fosse stato effettuato dai corleonesi aiutati dai catanesi, che erano a loro più vicini". E aggiunge: "Qualche uomo politico si era sbarazzato, servendosi della mafia, della presenza troppo ingombrante...". Signor Buscetta, non le chiedo di fare ora il nome dell'uomo politico, le chiedo solo se lo abbia fatto in quella occasione. TOMMASO BUSCETTA. Lo dirò al giudice. ALFREDO BIONDI. Questo l'ho capito ma vuol dire che il nome già l'ha detto. E' quello che volevo sapere. PRESIDENTE. Quindi, con Badalamenti vi siete detti il nome dell'uomo politico? TOMMASO BUSCETTA. Lo dirò al giudice. Pag. 423 PRESIDENTE. Certo, il nome lo dirà al giudice ma lei deve rispondere sì o no alla mia domanda. TOMMASO BUSCETTA. Non facciamo ora confusione; dirò il nome al giudice perché è possibile che quello che mi ha detto Badalamenti possa essere stato da lui inventato. PRESIDENTE. Forse non mi sono spiegato: noi non vogliamo sapere... TOMMASO BUSCETTA. Ho capito: ce lo siamo detto. PRESIDENTE. Si tratta di un uomo politico che ancora fa politica? TOMMASO BUSCETTA. Ah, ah, ora che facciamo? Dieci carte, da uno a cinque, poi da cinque a uno e poi chiede: qual è l'ultima carta? Il cavallo. Dopo quante carte vuoi il cavallo? Non possiamo fare così! PRESIDENTE. Signor Buscetta, lei faccia il suo mestiere così come la Commissione antimafia fa il suo; poiché le stiamo rivolgendo delle domande, lei risponda. TOMMASO BUSCETTA. Non ho più mestiere. PRESIDENTE. Lei sta rispondendo ad alcune domande che la Commissione ha il dovere di porle. Può rispondere come vuole, non può però presumere che non le si rivolgano determinate domande. Chiedere se si tratti di un uomo politico ancora in vita, tenendo presente che gli uomini politici in Italia sono alcune migliaia, non mi pare che sia una domanda che possa pregiudicare il suo interesse. Spero di essere stato chiaro. TOMMASO BUSCETTA. E' vivo, anzi sono vivi. PRESIDENTE. Sono più d'uno, quindi. L'onorevole Galasso le chiede con quale criterio lei abbia scelto cosa riferire alla Commissione antimafia. TOMMASO BUSCETTA. Forse io ho criterio? Non ho criterio, io rispondo alle domande. PRESIDENTE. Di fronte ad alcune domande, però, lei ha detto che preferisce riferire alla magistratura. TOMMASO BUSCETTA. Appunto, preferisco. Il criterio è di non fare niente per intralciare quello che potrà essere il lavoro della magistratura, se so farlo. PRESIDENTE. Quello che lei pensa possa intralciare il lavoro della magistratura preferisce non dirlo qui, benissimo. In questa fase, secondo lei, cosa sta accadendo all'interno di Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. E' una domanda complessa. PRESIDENTE. Può dare qualche indicazione alla Commissione? TOMMASO BUSCETTA. Credo che in questo momento ci sia grande confusione perché, per quello che ho letto dai giornali e per quello che ho potuto sentire, il pentimento di Mutolo e Marchese è una cosa tremenda per loro. Questi personaggi hanno vissuto a diretto contatto con loro; questi personaggi conoscono veramente fatti per loro gravi; questi personaggi potranno indurre, con il pensiero, altri personaggi a pentirsi, quindi ci sarà una grande confusione. PRESIDENTE. Nell'intervista rilasciata a Biagi nella scorsa estate ha detto a proposito di Riina: "Chi lo sa se è Totò Riina". Oggi lei ha fatto riferimento ad un Totò Riina molto forte ancora, che decide; è parso all'onorevole Galasso di cogliere una contraddizione tra le due affermazioni. Pag. 424 TOMMASO BUSCETTA. Può darsi. Quando dico "può darsi Riina" e quando dico "Totò Riina" intendo fare un riferimento, perché è impossibile se quando si fa la lotta non c'è un leader. Se Riina è caduto in disgrazia, se l'hanno strangolato, ci sarà Provenzano al suo posto ma non posso saperlo da fuori. Allora, invece di parlare di corleonesi, anche perché non posso essere compreso, preferisco dire "Riina o chi sta al suo posto". PRESIDENTE. L'onorevole Galasso le chiede se lei abbia elaborato qualche ipotesi sulla cui base ritenere che possa anche non trattarsi di Riina. TOMMASO BUSCETTA. Le ipotesi si fanno nella Cosa nostra. Perché può venire la sorpresa che Riina sono cinque anni che è sotto terra. Si faceva il processo a Giuseppe Greco, detto Scarpazzedda, e quello era morto già da due anni. Si pensava che Scarpazzedda stava ammazzando, ma la verità era che non si trattava più di Scarpazzedda: era nato uno molto più pericoloso di lui, che aveva preso il suo posto e continuava ad ammazzare. Sono stato chiaro? PRESIDENTE. Sì, è stato chiaro. A questo punto si pone la domanda: Cosa nostra, così come noi la intendiamo, esiste ancora? TOMMASO BUSCETTA. Cosa nostra? Certo che esiste. E' esistita fino al pentimento di Marchese. Io credo che è esistita. PRESIDENTE. Quindi esiste ancora. Abbiamo letto che dopo l'omicidio Lima vi sono stati casi di costituzione in carcere di uomini d'onore, tra i quali uno si era costituito ma non c'era ... TOMMASO BUSCETTA. Si era costituito nel posto sbagliato. PRESIDENTE. Sì, nel posto sbagliato. E' possibile, secondo la logica di Cosa nostra, che un uomo d'onore si vada a costituire dopo un omicidio? TOMMASO BUSCETTA. Lo ha fatto Antonio Salamone. PRESIDENTE. Può spiegare questa cosa alla Commissione? TOMMASO BUSCETTA. Nel 1982 Salamone si recò in un paese della Calabria e si costituì per sfuggire alle domande pressanti di dare la possibilità di fare una base per uccidere me. PRESIDENTE. In Brasile, ho capito. Quindi è possibile. TOMMASO BUSCETTA. Preferì tornare in Italia e costituirsi, quando era cittadino brasiliano, con passaporto brasiliano, e non aveva niente di cui rispondere in Italia. Doveva rispondere del soggiorno obbligato. PRESIDENTE. Se uno si costituisce i capi di Cosa nostra non pensano che egli abbia violato le regole? TOMMASO BUSCETTA. Certo. PRESIDENTE. Quindi? TOMMASO BUSCETTA. Io non so dov'è Antonio Salamone! ALFREDO GALASSO. Sappiamo che questa costituzione era in qualche misura autorizzata; era una cosa generale e non particolare, come se dopo il delitto Lima si fosse detto: se volete, andate a costituirvi. Questo hanno detto i giudici di Palermo. PRESIDENTE. E' possibile che non sia stata un'iniziativa spontanea? TOMMASO BUSCETTA. E' possibile. E' possibile perché ad un altro si può dire: "Dobbiamo fare una cosa molto importante, non voglio coinvolgerti, ti puoi Pag. 425 costituire". Sono due cose diverse questa e quella di Salamone. Non c'è una regola precisa. PRESIDENTE. Cioè Salamone si costituì sostanzialmente per evitare di ucciderla, correndo, a quel punto, anche dei rischi perché costituendosi violava una regola. TOMMASO BUSCETTA. E' esatto. Ma lui cosa diceva al maresciallo? "Non dica che mi sono costituito, dica che mi ha arrestato". PRESIDENTE. Certo. L'altro caso si ha, invece, quando Cosa nostra dice: "Stiamo facendo una cosa grande quindi ...". E questo avviene prima di un omicidio, non dopo. TOMMASO BUSCETTA. Prima. PRESIDENTE. L'onorevole Fumagalli le chiede di spiegare la frase: Lima morto serviva a denigrare Andreotti. TOMMASO BUSCETTA. Lima era il lato democratico cristiano a Palermo. Questo significava la denigrazione di Andreotti, cioè della corrente andreottiana. PRESIDENTE. Cioè uccidere Lima era ... TOMMASO BUSCETTA. ... denigrare Andreotti. PRESIDENTE. Denigrare nel senso di privarlo di peso oppure... TOMMASO BUSCETTA. No, privarlo di voti. PRESIDENTE. Quindi denigrare nel senso di indebolire. Mi chiede ora l'onorevole D'Amato se servisse anche a far capire che c'erano rapporti fra Lima ed Andreotti e quindi a far emergere questo tipo di contatti. TOMMASO BUSCETTA. Questi discorsi preferirei farli con i giudici. PRESIDENTE. Quindi denigrare voleva dire togliere voti. TOMMASO BUSCETTA. Togliere voti. ALFREDO BIONDI. Non prestigio. TOMMASO BUSCETTA. Perdendo il prestigio perdeva i voti. PRESIDENTE. Lei ha sostenuto in passato che l'uomo d'onore dice sempre la verità. Vuol spiegare cosa significhi questa frase? Dice sempre la verità davanti a chiunque si trovi? TOMMASO BUSCETTA. No, no. PRESIDENTE. L'onorevole Fumagalli, che è di Milano, come io sono di Torino, le chiede di spiegare questa frase. TOMMASO BUSCETTA. Dire la verità significa che se è chiamato in una riunione deve rispondere con la verità. No a chiunque: se è chiamato dal suo capo deve dire la verità. PRESIDENTE. E se è chiamato da altri uomini d'onore? TOMMASO BUSCETTA. Non gli devono domandare, perché sono curiosi e lui ha il diritto di non rispondere. PRESIDENTE. Quindi l'unica persona alla quale ha il dovere di dire la verità è il suo capo. TOMMASO BUSCETTA. O la commissione. PRESIDENTE. Proseguo con le domande dell'onorevole Galasso che mi erano sfuggite: perché non ha riferito in sede di maxiprocesso la notizia sul generale Dalla Chiesa relativa al 1979? Pag. 426 TOMMASO BUSCETTA. E' semplice; io sono una persona dispostissima, adesso che c'è stata questa apertura, a testimoniare se ci fosse un nuovo processo. Quindi non è una preclusione nei confronti del generale Dalla Chiesa; è un problema che mi ero posto allora, di non parlare perché avrei complicato tutto il processo. PRESIDENTE. Alla luce di quanto è successo poi - è questa una domanda che le faccio io - gli assassinii di Falcone e Borsellino e via dicendo, le sembra che la scelta che fece allora di non parlare di queste cose sia stata saggia? TOMMASO BUSCETTA. Lei mi mette in difficoltà. Credo che la scelta sia stata saggia sotto un profilo materiale. Sotto un profilo umano forse io ho sbagliato, ma sotto il profilo materiale dovevo comportarmi così. Se avessi parlato di politica in quell'epoca, avrei vanificato le mie dichiarazioni. Sarebbero diventate zero perché avrebbero detto: credete a questo mascalzone che parla di cose che non sa? PRESIDENTE. E' chiaro. Può dire alla Commissione fino a quale epoca i delitti erano deliberati a livello regionale? L'onorevole Galasso le domanda se vi è un'epoca fino alla quale gli omicidi più importanti erano decisi a livello di commissione interprovinciale. TOMMASO BUSCETTA. La commissione interprovinciale è una cosa che viene dopo il 1974-1975, quindi io sono in carcere e queste discussioni non le so. Prima non esisteva, quindi la commissione che decideva era provinciale. PRESIDENTE. E, che lei sappia, fino a quando la commissione provinciale ha deciso se un grande delitto poteva essere compiuto? TOMMASO BUSCETTA. Fino al 1975. Cioè partendo dal 1970, escludendo dal 1973 al 1970, è dal 1970 al 1975 che decide autonomamente. PRESIDENTE. Lei sa chi fosse questo personaggio di Palermo, vicino a voi, credo massone, chiamato "lo zio"? Posso aiutarla dicendole che, secondo Calderone, Giacomo Vitale aveva rapporti con gli uffici giudiziari tramite questa persona anziana, chiamata "lo zio", che era un massone. TOMMASO BUSCETTA. Non lo so. PRESIDENTE. Può spiegare meglio alla Commissione quello che ha accennato riguardo all'aggiustamento del processo di Catanzaro? Ha fatto un esempio relativo al pubblico ministero: ricorda altri fatti in ordine all'aggiustamento del processo? E' una domanda che le rivolge l'onorevole Olivo. TOMMASO BUSCETTA. Anche a Catanzaro ci sono stati gli aggiustamenti. Il processo di Catanzaro è finito nel nulla. Sono andati tutti a casa, condannati con l'espiazione della pena. PRESIDENTE. Ci sono rapporti, che lei sappia, tra Cosa nostra e la Sacra corona unita, l'organizzazione criminale pugliese? TOMMASO BUSCETTA. No. PRESIDENTE. Il senatore Calvi le chiede di precisare meglio il suo rapporto con Lima. Lei ha detto che era nata una specie di amicizia da molto tempo perché eravate quasi coetanei: il padre di Lima, che era uomo d'onore, gliel'aveva presentato, lei gli mandava i biglietti del teatro e così via. C'erano rapporti di questo tipo. Ritiene di poter dare qualche informazione in più alla Commissione? TOMMASO BUSCETTA. La darò ai giudici, perché ho già cominciato il verbale con i giudici. PRESIDENTE. Va bene. Pag. 427 L'onorevole Matteoli le chiede se, secondo lei, ambienti governativi avessero interesse all'eliminazione di Dalla Chiesa. TOMMASO BUSCETTA. Non lo so, come faccio a saperlo? PRESIDENTE. Chi ha favorito l'ingresso di Michele Greco all'Ucciardone? TOMMASO BUSCETTA. La matricola, l'ufficio matricola, il brigadiere Buonincontro. PRESIDENTE. Che è stato ucciso, se non erro. TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Da Cosa nostra? TOMMASO BUSCETTA. Credo di sì. PRESIDENTE. C'era secondo lei un rapporto tra l'andata del giudice Campisi a Cuneo ed il suo trasferimento nel carcere di quella città? TOMMASO BUSCETTA. Non lo conoscevo. PRESIDENTE. Ma dopo ha saputo? TOMMASO BUSCETTA. Sì, ma molto dopo. PRESIDENTE. L'onorevole Ricciuti vorrebbe sapere cosa faccia oggi Cosa nostra. Secondo lei, cosa sta succedendo? TOMMASO BUSCETTA. L'abbiamo già detto, abbiamo già risposto a questa domanda. PRESIDENTE. Durante il primo giro di domande, gliene ho rivolta una riguardante il separatismo e l'interesse che a questo riguardo può avere Cosa nostra. Lei ha risposto in particolare richiamando la necessità di avere un alleggerimento delle sentenze e sostenendo che da questo punto di vista il separatismo potrebbe risultare utile. Secondo lei, chiede il collega Ricciuti, vi è un rapporto tra questa forma di separatismo e quello di cui si discute al nord? TOMMASO BUSCETTA. Secondo me, secondo la mia opinione, forse sì. PRESIDENTE. Conosce il testo delle dichiarazioni di Calderone e di Mutolo? TOMMASO BUSCETTA. No, di Calderone ho letto un libro. PRESIDENTE. L'onorevole D'Amato le chiede se esista un collegamento tra uomini d'onore campani e politici campani. TOMMASO BUSCETTA. Ne parlerò ai giudici, parlerò con loro di tutto quello che riguarda la politica. D'altronde, non sono più lucido come quando sono arrivato questa mattina e non vorrei fare confusione. PRESIDENTE. Lei ha detto prima, comunque, che anche gli uomini politici campani si comportano alla stessa maniera: lo conferma? TOMMASO BUSCETTA. Sì. PRESIDENTE. Inoltre, secondo lei, quali sono i criteri per valutare l'attendibilità di una persona che si presenta come pentito? TOMMASO BUSCETTA. Eh, qua casca l'asino! Deve parlare con il pentito solo una persona competente e che ha vissuto dentro Cosa nostra. PRESIDENTE. Uno che è vissuto dentro Cosa nostra è difficile che faccia il giudice, tranne quei casi ... TOMMASO BUSCETTA. Ah, ah, è logico, ma chi è vissuto dentro Cosa nostra senza fare il giudice può stabilire se il pentito dice o meno la verità. Pag. 428 PRESIDENTE. Ho capito, ci vuole un vaglio robusto. ALFREDO BIONDI. E' successo che qualcuno dei pentiti abbia usato l'arma del parlare, del raccontare per farsi giustizia privata, per diventare il "tragediatore" di qualcun altro? PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede se qualcuno dei pentiti abbia usato questa sua condizione per compiere una vendetta privata dicendo il falso. TOMMASO BUSCETTA. Dei pentiti che io ho conosciuto, Calderone no, Contorno assolutamente no; Contorno ha sostenuto confronti con tutti quanti. Quindi, quelli che ho conosciuto io no; se verranno in futuro, non lo posso sapere. PRESIDENTE. Il senatore Ricciuti le chiede questo: accertata la sfiducia totale nei confronti dei partiti cui la mafia ha fatto tradizionalmente riferimento, adesso il rapporto con la politica può dirigersi anche verso formazioni nuove, diverse da quelle tradizionali? TOMMASO BUSCETTA. Se vuole un'opinione personale, dico senz'altro di sì. PRESIDENTE. Si tratterebbe di partiti che ancora debbono nascere o che già sono nati? TOMMASO BUSCETTA. Secondo me, sono già nati. PRESIDENTE. Se un uomo politico amico di Cosa nostra deve fare una legge contro di voi (lei ha fatto capire prima che si può fare ugualmente) deve avvertirvi e spiegarvi qualcosa? TOMMASO BUSCETTA. Guardi, nessuno meglio di lei mi può insegnare che, prima che si approva una legge in Italia, passano degli anni. Non è che in Italia una legge si faccia in poco tempo. PRESIDENTE. Ma se poi la legge si fa? TOMMASO BUSCETTA. Si fa e lui deve conservare quell'immagine pubblica anche a scapito di Cosa nostra. PRESIDENTE. E Cosa nostra capisce questa cosa? TOMMASO BUSCETTA. Nel passato la capiva, non so se adesso la capisca più. PRESIDENTE. Le domande sono terminate e noi la ringraziamo molto. Vorrei chiederle se lei abbia una dichiarazione finale da rendere alla Commissione. TOMMASO BUSCETTA. Sono molto stanco, avrei una dichiarazione finale da fare alla Commissione antimafia e mi riservo di scrivere una lettera a lei, signor presidente, che potrà leggerla a tutti i componenti la Commissione presenti in aula. Sono veramente stanco e sono certo che non mi esprimerei bene, cosa che invece vorrei fare. PRESIDENTE. Va bene, scriva senz'altro questa lettera. Essa sarà allegata al resoconto stenografico della seduta odierna. (Il signor Buscetta viene accompagnato fuori dall'aula). Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. Sulle questioni che già sono state toccate all'inizio della seduta odierna propongo che si pronunci un rappresentante per gruppo. In primo luogo, dobbiamo decidere se mantenere o meno segreta la seduta; in caso negativo, si pone la questione di quale informazione dare (un comunicato, una conferenza stampa o altro). LUIGI BISCARDI. Il gruppo misto sostiene che non deve esserci nessun segreto, che tutto può essere reso pubblico, Pag. 429 viste anche le dichiarazioni dello stesso Buscetta, che si è riservato di fare ai giudici i nomi e di riferire loro sui rapporti tra mafia e politica. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Poiché lo stesso Buscetta ha fatto notare di non aver detto cose che possano danneggiare le indagini, tutte le altre sue dichiarazioni possono essere rese pubbliche nel modo in cui decideremo. GIROLAMO TRIPODI. Concordo con quanto detto dai colleghi che mi hanno preceduto perché ritengo che stamani noi abbiamo anche commesso un errore: avremmo fatto bene a tenere sin dall'inizio seduta pubblica. Per queste ragioni, non posso che essere favorevole a rendere pubblica l'audizione. MARCO TARADASH. Signor presidente, io ho posto una questione di metodo e non di merito. A me non interessa, infatti, stabilire se Buscetta abbia detto cose più o meno importanti, se abbia offeso o meno qualcuno. Ritengo che la Commissione, nel momento in cui ascolta dei collaboratori della giustizia, dovrebbe sempre tenerne segrete le audizioni, visto che tutto quanto essi dicono può essere materiale di lavoro per la Commissione stessa. Francamente, penso che oggi sia stato commesso un errore a causa del quale si è costituita una forte attesa sulla possibilità che Buscetta avrebbe fatto i nomi dei politici, così come Calderone ne aveva fatto qualcuno. Procedendo in questo modo, perderemo di vista i nostri obiettivi e non saremo più una Commissione di inchiesta ma una cassa di risonanza per chi viene qui per avere domani titoli di prima pagina sui giornali. Ribadisco, pertanto, che la questione è di metodo e perciò non mi pronuncerò a favore o contro la pubblicità dell'audizione. Semmai, tale decisione avrebbe dovuto essere assunta a prescindere da quello che Buscetta avrebbe detto. Ed io mi rifiuto di stimare se quanto ha detto debba essere tenuto segreto o meno. A me interessano i lavori della Commissione e non le dichiarazioni di Buscetta. ANTONIO BARGONE. Arrivati a questo punto, credo che la decisione più saggia sia quella di rendere pubblica la seduta, non foss'altro perché lo stesso Buscetta ha fugato tutti i dubbi che sono stati o potevano essere avanzati in proposito. Se non rendiamo pubblica la seduta, inoltre, qualcuno - in qualche modo avendone interesse - potrebbe adombrare che qui sono state dette cose di grande rilievo su esponenti politici, o comunque su settori del mondo politico. La pubblicità della seduta rappresenta, perciò, anche un utile deterrente per quegli esponenti della Commissione che intendessero instaurare un rapporto privilegiato con la stampa. MARIO BORGHEZIO. Siamo ovviamente favorevoli alla pubblicizzazione della deposizione di Buscetta. ALFREDO BIONDI. Concordo con l'onorevole Taradash a proposito del metodo: non si può scegliere di volta in volta cosa dire e cosa non dire; né è affatto scontato che le frasi ed i riferimenti che Buscetta sceglie possano essere di per sé tali da determinare tranquillità. Buscetta non ha fatto delle assoluzioni, ma dei rinvii. Tenere però nascosto quanto non è stato esplicitato mi sembrerebbe un volere inutilmente complicare le cose. Per il futuro - e sarà bene riunirci per decidere sul metodo - dovremo adottare un criterio generale. In questo momento mi dichiaro a favore della pubblicità dell'audizione perché altrimenti può sembrare che sappiamo più di quanto sua eccellenza Buscetta, nella sua infinita misericordia, ci ha consentito di dire o di non dire. ALFREDO GALASSO. Mi sono già pronunciato prima per la pubblicità della seduta, anche nel caso che Buscetta Pag. 430 avesse detto dei nomi. Figuriamoci ora che non li ha detti! ALTERO MATTEOLI. Stamani, in apertura di seduta e senza sapere cosa Buscetta avrebbe detto, a nome del mio gruppo mi sono espresso a favore della pubblicità della seduta. Tutti ci aspettavamo grandi rivelazioni che non ci sono state, per cui ora mi sembra davvero assurdo tenere nel cassetto le sue dichiarazioni. Non ha detto niente e chi sa quali sarebbero i titoli sui giornali per ciò che non ha detto! CARLO D'AMATO. Al punto in cui siamo, la pubblicità della seduta diventa un fatto relativo al contenuto delle dichiarazioni rese: se fossero state di un certo tipo, le avremmo tenute segrete; se fossero state di altro tipo, le avremmo rivelate. Concordo anch'io sulla necessità di discutere sul metodo da seguire. Noi abbiamo già adottato dei filtri ed io stamattina mi ero già espresso a favore della segretezza dell'audizione, anche alla luce delle iniziative assunte da alcuni gruppi subito dopo l'ultima riunione della Commissione. In considerazione poi della lettera inviata dal presidente ai capigruppo, credevo fosse opportuno un momento di ripensamento finalizzato al recupero di un comportamento che deve essere proprio di una Commissione che ha compiti tanto delicati. Devo dire, comunque, che il metodo sin qui seguito è corretto: il presidente opera da filtro delle domande, sia nella prima sia nella seconda fase. La valutazione di ciò che può scaturire da un'audizione di questo tipo non può però essere tenuta segreta, e questo criterio va stabilito una volta per tutte. In altri termini, dovremmo stabilire che, alla luce dell'esperienza degli ultimi due incontri, la pubblicità sarà assicurata per tutti gli altri. Ove così non facessimo, verremo coinvolti in un negativo dibattito; e questo anche nel caso in cui non vi fossero gli elementi concreti per un tale coinvolgimento. Ritengo, quindi, che si debba rendere pubblica la seduta di oggi. Tra l'altro, so che sono già state fatte dichiarazioni che fanno credere che da questa seduta sia emerso non si sa bene che cosa di strabiliante! La pubblicità della seduta, diventa un atto doveroso di chiarezza e di informazione dell'opinione pubblica per fugare ogni incertezza sul nostro lavoro, fermo restando che tale decisione dovrà trasformarsi in un metodo valido per il futuro. PRESIDENTE. Secondo me, colleghi, dobbiamo decidere a prescindere dai comportamenti più o meno scorretti assunti da qualcuno di noi. Altrimenti, saltano anche i criteri utili a garantire comportamenti corretti tra di noi. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Signor presidente, credo che la questione riguardi il metodo, non il contenuto. All'inizio della seduta mi ero espressa a favore della riservatezza alla luce di considerazioni oggettive e prescindendo da quanto avrei ascoltato. Del resto, nella precedente riunione avevo già sottolineato la mia contrarietà all'utilizzo del metodo della pubblicità. Sconsiglierei tra l'altro vivamente di decidere di volta in volta se tenere segreta oppure no l'audizione, perché ciò darebbe luogo a letture certamente poco trasparenti e non corrette. Personalmente, ripeto, sono per la riservatezza dei nostri lavori (anche se mi rendo conto a questo punto di essere in assoluta minoranza), in quanto le affermazioni del pentito hanno bisogno di ulteriori elementi di valutazione, in termini tecnici, nonché di riscontri. Fungere da cassa di risonanza per le dichiarazioni di una persona, che non sappiamo se dice il vero o il falso, mi pare imprudente. ROMEO RICCIUTI. Signor presidente, intervengo per motivo personale. Ho saputo che, prima ancora che si decidesse se dare pubblicità o meno all'audizione odierna, alcuni colleghi hanno rilasciato Pag. 431 dichiarazioni agli organi di stampa. Se un fatto del genere venisse accertato presso le agenzie di stampa, le chiedo di adottare provvedimenti a carico del responsabile con grande severità: questo è il metodo più corretto per procedere. Nutro solo una preoccupazione, quella che si sappia all'esterno che il pentito, ancorché simpatico, ha trattato la Commissione con sufficienza, alla stregua di ragazzi in libertà ai quali si può far conoscere soltanto una parte della verità, dato che le rivelazioni più importanti verranno affidate ai magistrati. Ripeto, ho solo questa preoccupazione che, peraltro, mi passa subito. PIERO MARIO ANGELINI. Poiché siamo vanitosi come Buscetta, ci preoccupiamo della nostra immagine e dell'opinione pubblica: sinceramente mi preoccuperei di più del rapporto tra noi ed i collaboratori della giustizia. Buscetta ha chiaramente affermato che ai giudici parlerà in un modo, a noi ha parlato in un altro, perché sa che dialogando con noi, parla a tutta la nazione. Quindi, personalmente mi interessa poco quello che è successo oggi, perché ormai la situazione è compromessa, mentre mi preoccupa quello che accadrà in futuro. Non è la stessa cosa se Mutolo - e gli altri collaboratori che ascolteremo - saprà di parlare ad una piazza pubblica oppure ad un nucleo di persone riservate. La riservatezza è l'unica condizione che questa Commissione deve osservare se vuole lavorare seriamente; diversamente, ci troveremo dinnanzi a confessioni evirate perché gli uditi sanno che ogni commissario riporterà le dichiarazioni secondo il proprio punto di vista. Se veramente si vuole potenziare il lavoro della Commissione antimafia, si deve dire chiaramente a Mutolo, o a chi verrà, che le rivelazioni sono raccolte da un gruppo di persone che tiene la bocca chiusa; altrimenti, che senso ha parlare con i collaboratori della giustizia? PRESIDENTE. Colleghi, prima di procedere alla votazione vorrei segnalarvi una questione che non è stata trattata nel corso degli interventi dei commissari, ossia quella del perseguimento dello scopo. Poiché abbiamo deciso - quasi all'unanimità - di lavorare in un certo modo, facendo chiarezza su taluni argomenti e presentando una relazione compiuta al Parlamento, è necessario capire che cosa giovi o danneggi il lavoro. In quest'ottica, il tipo di reazione registrata dopo l'audizione di Calderone non mi pare abbia giovato allo scopo. Come avrete notato, Buscetta si è riferito esplicitamente al pericolo di ritorsione da parte di singoli, tanto che ha operato una scelta molto chiara nel senso cioè che i nomi li avrebbe detti ai giudici, mentre il quadro politico lo avrebbe delineato alla Commissione. Ora, senza peraltro esprimere opinioni, chiedo ai colleghi di valutare quale delle due scelte risulti più funzionale - mi riferisco alla segretezza o alla pubblicità della riunione - per la presentazione, in tempi rapidi, di una relazione seria al Parlamento. Naturalmente si pone il problema della serietà di ciascuno di noi in ordine alle dichiarazioni che si rilasciano. La Commissione non può adottare provvedimenti punitivi nei confronti di chi viola queste regole, anche se ritengo si debba assumere un orientamento tale per cui, una volta deciso per la seduta segreta, se un commissario parla deve necessariamente stabilire se stare dentro o fuori. ALTERO MATTEOLI. Se sono state rilasciate dichiarazione agli organi di stampa, non possiamo sculacciare il responsabile. Rilevo però che il collega, con la sua azione, autorizza tutti noi a fare altrettanto. Poiché abbiamo atteso la fine della seduta per decidere sulla segretezza o sulla pubblicità - anche noi, che eravamo favorevoli alla pubblicità - non possiamo uscire dalla sala e stare zitti, perché dobbiamo rispetto agli elettori. Pag. 432 Rilasceremo le dichiarazioni responsabilmente, perché non me la sento di non fare dichiarazioni (ai giornali di partito o agli amici giornalisti), visto che altri hanno ritenuto di rilasciarne durante la seduta. ALFREDO BIONDI. Questo già risulta? ALTERO MATTEOLI. L'ha detto il collega e va acclarato. Non faccio altro che prendere contezza delle dichiarazioni di qualche attimo fa del collega Ricciuti. Se effettivamente sono state rilasciate dichiarazioni, non c'è scorrettezza da parte della Commissione verso l'esterno, ma nel rapporto interno. Il presidente avrà capito che sono portato per temperamento a dire ciò che penso: all'inizio della seduta ho pensato che l'ufficio di presidenza non si fosse comportato correttamente e l'ho detto; e così intendo andare avanti. Tuttavia, se appurerò che qualcuno ha rilasciato dichiarazioni, farò altrettanto, ossia rilascerò dichiarazioni responsabili, valutandole insieme con i colleghi del mio gruppo, ma la farò perché non intendo farmi dire da chicchessia "gli altri hanno parlato, voi no!" PRESIDENTE. Colleghi, una volta esisteva il senso dello Stato ed io chiedo che venga considerato. C'è un punto fondamentale nella tenuta delle istituzioni e concerne i rapporti tra mafia e politica: penso che la Commissione abbia la legittimità e la forza di svolgere questa difficile indagine a condizione che vengano mantenuti comportamenti coerenti con la qualità della scelta operata. Altrimenti, occupiamoci degli spacciatori e del tabacco e basta! Occorre verificare se i comportamenti, le regole e la tenuta della Commissione siano all'altezza degli obiettivi: se non dovesse esistere questo livello, ripeto, sarebbe meglio lasciar perdere. Se qualcuno ha violato la regola, non è detto che tutti siano tenuti a comportarsi alla stessa maniera. Se qualcuno ha violato io, responsabilmente ed avvertendo il senso della tenuta istituzionale, non farò altrettanto. Credo, quindi, si ponga non tanto un problema di punibilità, quanto di incompatibilità: abbiamo votato, si è imposta una regola, la dobbiamo osservare tutti. Se qualcuno l'ha violata, ripeto, credo si ponga un problema di incompatibilità (comunque, non so se qualcuno abbia rilasciato dichiarazioni, perché io non mi sono mai mosso dalla sala). Tra l'altro, poiché si è stabilito di fare il punto della situazione a dicembre, ciò significa che passeranno solo alcune settimane e quindi l'esigenza di far conoscere può essere contenuta nell'arco di pochi giorni. Quanto poi alla possibilità di ricorrere ad un comunicato, ho dei dubbi, perché ogni parola può significare venticinque cose diverse. La conferenza stampa, poi, meno che mai. Vi chiedo quindi di valutare questi aspetti, che non sono assolutamente secondari. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Proprio in relazione a questi aspetti tutt'altro che secondari bisogna fare alcune considerazioni. Condivido le affermazioni del presidente, si impone il riconoscimento reciproco e a priori del senso di responsabilità. Se domani appariranno sui giornali alcune notizie, ciascuno di noi potrà essere sospettato di averle divulgate, per ragioni più o meno obiettive: cosa dovrebbe fare, forse discolparsi? La materia è estremamente difficile da definire. Per quanto mi riguarda, posso dire che non parlerò con nessuno dell'audizione di oggi, anche se non mi sembra sia emerso nulla di particolarmente drammatico. Se le indiscrezioni ci saranno lo stesso, posso solo confermare di non averne colpa. Ferma restando l'opportunità che ciascuno di noi mantenga la riservatezza, esiste un altro problema: se mantenessimo segreta la seduta, riusciremmo a sapere dai pentiti più di quanto sarebbero disposti a dirci nel corso di un'audizione pubblica? Ne dubito, perché la sfiducia Pag. 433 probabilmente è dovuta a motivi più generali, cioè al sospetto che comunque non si voglia tenere il segreto. Il presidente ha richiamato al senso dello Stato ed alla responsabilità verso il paese. Allora, in futuro, occorrerebbe chiedersi se questa Commissione non dovrebbe esercitare la propria autorità nei confronti di chi viene ascoltato. In questo caso abbiamo permesso - ed abbiamo fatto bene - che il signor Buscetta non ci rispondesse quando non voleva. Sapete che questo comportamento sarebbe molto difficile da tenere dinanzi ad una Commissione del Senato americano: si verrebbe facilmente tradotti in un carcere federale. Per il futuro dobbiamo stabilire fino a che punto possiamo consentire la libera scelta di chi viene sostanzialmente non in stato di assoluta libertà se parlare o meno. Tornando ai fatti, credo all'opportunità del segreto ma dubito che ci credano gli altri, per cui il segreto stesso rischia di diventare una pura formalità, con lo svantaggio che - in assenza di un comunicato, molto complesso da elaborare - sarà difficile contestare notizie distorte che un domani dovessero apparire sulla stampa. Di conseguenza, ritengo che sia preferibile la pubblicità dei lavori, affinché si possa controllare quanto viene riferito. VITO RIGGIO. Ho votato all'inizio per la seduta segreta, ma devo dire che a questo punto sono necessari, oltre alla convergenza ed un forte senso delle istituzioni, anche la consapevolezza di quanto accade in questa sede. Finora abbiamo ascoltato i pentiti Calderone e Buscetta, che rappresentano la storia della mafia; ci apprestiamo ad ascoltare pentiti che sono ricercati da Cosa Nostra e che sono in pericolo di vita. Se l'approccio è di tale leggerezza, per cui affrontiamo il lavoro in questa come in una qualsiasi Commissione parlamentare, e se il membro di un gruppo viola una regola anche gli altri ritengono di doverlo fare, mi rifiuterò di partecipare alle successive audizioni. Probabilmente non si ha la percezione di cosa possa significare, in particolare per alcuni, far capire che si sanno cose e non si vogliono dire o far dire cose che non andrebbero dette. Per motivi del genere è morta della gente. E' stato per consentire un filtro che avevo votato in favore della seduta segreta, per evitare una possibile interferenza con l'inchiesta della magistratura. Questo argomento non può essere sottovalutato e credo che abbia costituito la ragione di fondo, per lo meno quella che così è stata presentata, dell'atteggiamento del signor Buscetta. Sono altresì convinto che il clamore fatto intorno all'audizione di oggi abbia finito con il vanificarne gli effetti. Deve essere perciò chiaro che a volte, sotto l'istanza della trasparenza e della pubblicità, possono nascondersi atteggiamenti di sostanziale negazione degli obiettivi dell'inchiesta. Pertanto, occorre rispettare rigorosamente le regole. Non si tratta di dare segnali: quando si vota per la segretezza di una seduta, questa deve rimanere segreta e deve esserlo per tutti. Se non siamo in grado di garantirlo, dobbiamo pagarne il costo, cioè depotenziare la nostra attività rendendola pubblica. Non vedo alternative, a causa di una nostra debolezza dobbiamo dare pubblicità perché non siamo capaci di fare altrimenti, non perché sia la scelta più corretta. GIANCARLO ACCIARO. Confesso che questa mattina sono partito deluso perché ho sentito il giornale radio. Inorridisco però quando sento dire dal collega che durante la seduta probabilmente qualcuno ha reso dichiarazioni pubbliche. Come ha giustamente affermato il presidente, la nostra responsabilità è di rendere dichiarazioni ben ponderate, attraverso una persona che sia credibile. Se quanto è stato detto è vero, viene una gran voglia di apparire sui giornali di domani. Io non sono un deputato molto conosciuto ed ho un grande bisogno Pag. 434 di pubblicità, ma ritengo gravissimo quanto pare sia accaduto. Un certo modo di agire sminuirebbe la portata delle dichiarazioni che sono state rese in questa sede e porterebbe a riflettere se non ci sia un modo migliore per passare il tempo, anziché stare qui ed essere poi gli "ultimi della classe". ALFREDO BIONDI. Esistono tre problemi, il primo dei quali è stato risolto dal signor Buscetta, relativo all'interferenza tra le sue dichiarazioni e l'attività che sta svolgendo l'attività giudiziaria. In proposito, mi permetto di suggerire una preselezione delle materie che possono costituire intralcio alle indagini, anziché lasciare ai nostri interlocutori questo compito. La questione riveste aspetti di opportunità ed ha risvolti sull'efficienza delle indagini giudiziarie in corso. L'unica soluzione è la stessa segretezza seguita dall'autorità giudiziaria; la Commissione, infatti, agisce con i medesimi poteri ma anche con gli stessi limiti. Non si tratta soltanto di cortesia e rispetto reciproco, ma anche di rispetto della legge. Per quanto mi riguarda, nonostante io sia poco portato alla riservatezza, sono tentato di resistere alle pulsioni di apparenza più che di sostanza. Del resto, sarebbe buffo far sapere che Buscetta non ha risposto a tutte le domande perché non si fida di noi. Il secondo problema riguarda la pubblicità della seduta, nel senso che fin dall'inizio, qualunque cosa succeda, si deve decidere se la seduta debba essere pubblica o segreta: usque ad sidera, usque ad infera. Non vorrei che dessimo l'impressione che qui dentro non sia stato detto niente mentre, secondo me, oggi è stata una giornata molto importante. Anch'io, come il collega Galasso, ho partecipato come parte civile al maxiprocesso e devo riconoscere che il quadro generale è riemerso ed è stato sottolineato. Credo che l'audizione odierna debba essere resa pubblica; chiedo però che si riunisca quanto prima l'ufficio di presidenza per concordare il metodo di lavoro riguardo alla segretezza delle sedute di audizione dei pentiti. Ho la sensazione che, per il bene delle finalità che intendiamo perseguire, dobbiamo decidere se interferire o no in ciò che è di competenza dell'autorità giudiziaria. Non va dimenticato che c'è anche il problema di salvaguardare la reputazione delle persone che può essere messa in discussione dall'uno o dall'altro argomento o da un eccesso di "istinto venatorio" che può avere il pentito. Se decidiamo che tutto il nostro lavoro debba essere pubblico, allora assumiamo l'iniziativa di decrittare fin dall'inizio le audizioni; se invece pensiamo che in tal modo rischiamo di intralciare il lavoro dell'autorità giudiziaria, decidiamolo noi ma non lasciamo tale decisione al pentito perché è abbastanza imbarazzante che egli sia più realista del re. PRESIDENTE. Vorrei chiarire che il problema di interferenza con il lavoro dell'autorità giudiziaria non si pone perché essa è stata informata dell'audizione odierna. Come, mi sembra con correttezza, ho ricordato ricevendo anche qualche rampogna dai colleghi, essa ha posto il limite su due temi che non sono stati oggetto di nessune delle domande poste. ALFREDO BIONDI. Anche questa è una "mordacchia". PRESIDENTE. Ma quale "mordacchia"! Nessuno ha posto quelle domande. ALFREDO BIONDI. Le domande non sono state poste perché non conoscevamo gli argomenti. PRESIDENTE. Vi prego inoltre di tenere conto che Buscetta ha fatto oggi un lavoro molto importante, ha delineato vari quadri che costringono l'autorità giudiziaria a porre una serie di domande. Non è vero che egli abbia messo da parte certe cose a favore di altre; essendo un Pag. 435 uomo intelligente, ha considerato la nostra una sede politica e qui ha dipinto una serie di quadri politici, riservandosi di fare ai giudici i nomi. In questo modo ha costretto - sia detto tra virgolette - l'autorità giudiziaria interessata a porre certe domande che non può a questo punto più fare a meno di porre. ALFREDO BIONDI. Mi sembra di non aver rivolto critiche alla seduta. PRESIDENTE. Certamente, ma era mia intenzione sottolineare certi aspetti circa l'interferenza con l'autorità giudiziaria. Se sulla pubblicità dei lavori deve decidere l'ufficio di presidenza, è evidente che esso avrà luogo al termine della seduta. ALTERO MATTEOLI. A me sembra che il problema sia superato perché abbiamo appurato che sono state rilasciate alcune dichiarazioni: secondo le agenzie di stampa, alle ore 17.40 il collega Galasso ha ritenuto di rilasciare una dichiarazione. ALFREDO GALASSO. Bisogna vedere che cosa! ALTERO MATTEOLI. Rimane il fatto che la dichiarazione è avvenuta prima che noi decidessimo in merito alla segretezza della seduta. ALFREDO GALASSO. Ho fatto una dichiarazione, non ho raccontato nulla. MASSIMO BRUTTI. Non credo che sia di particolare rilevanza il fatto che qualcuno abbia rilasciato una dichiarazione, perché su ciò deciderà l'opinione pubblica (Commenti del deputato Piero Mario Angelini). Bisogna verificare quale sia l'oggetto della dichiarazione e se infranga il principio della pubblicità; comunque, ritengo che questo non sia tema di discussione, anche perché in questo momento non abbiamo poteri sanzionatori nei confronti di colui che abbia rilasciato dichiarazioni in contrasto con il dovere di segretezza. Il punto è che all'inizio della seduta abbiamo stabilito di mantenere segreta l'audizione, riservandoci di decidere alla fine se e quali parti rendere pubbliche. Ritengo che quello di scegliere di volta in volta sia il criterio migliore da seguire perché i collaboratori della giustizia che verranno qui devono sapere che la parte delle loro dichiarazioni che tocca determinate personalità potrà essere tenuta segreta, e ciascuno di noi ha l'obbligo di rispettare il dovere di segretezza. In questo momento siamo in grado di dire che nulla di quello che abbiamo sentito oggi costituisce turbativa per le indagini in corso o lede l'onorabilità di qualcuno. A questo punto, penso che si debba mettere in votazione la proposta di rendere pubblica l'intera audizione del collaboratore Buscetta, riservandoci per le prossime audizioni di decidere dopo aver valutato il tenore delle dichiarazioni rese. MARCO TARADASH. A me sembra che il problema di oggi si riproporrà in futuro in modo esponenziale. Le prossime audizioni riguarderanno collaboratori che parleranno dell'attualità e non della preistoria della mafia e toccheranno l'onorabilità di persone che agiscono pubblicamente. Nell'assumere una decisione dobbiamo anche tener conto delle eventuali interferenze con l'azione portata avanti dalla magistratura. Quanto ai rapporti con la stampa, nel nostro paese essa è stata abituata da alcuni esponenti della politica a riferire quello che viene detto qui dentro come se fosse acquisito e verificato. Credo che nel prossimo ufficio di presidenza si dovrà valutare l'opportunità di continuare con le audizioni dei collaboratori della giustizia. Se esse si rivelano inutili perché i collaboratori non si fidano della Commissione e questa, a sua volta, non esercita i poteri di far giurare il teste o di incriminare eventualmente quello reticente, non vedo perché si debba Pag. 436 continuare con queste audizioni che non servono a nulla e creano soltanto sospetto, interferenze e un clima intimidatorio da parte dal mondo esterno nei nostri confronti nel caso in cui vogliamo lavorare correttamente e quindi non dichiarare pubblico tutto quello che viene detto qui dentro. PRESIDENTE. Desidero precisare che i testimoni non giurano e che, grazie ad una serie di pressioni esercitate anche dal gruppo federalista europeo, non è più prevista la contestazione immediata del teste. Pongo in votazione la proposta di revocare la segretezza della seduta. (E' approvata). La seduta termina alle ore 18,15. Pag. 437 ALLEGATO Pag. 438 Pag. 439 Dichiarazione finale rimessa per iscritto dal signor Tommaso Buscetta: "Signor Presidente della Commissione Antimafia, ritengo utile e doveroso affidare a queste brevi note il mio più vivo ringraziamento per l'occasione che Ella ed i suoi colleghi parlamentari mi avete offerto di esprimere in piena libertà e con serenità le mie considerazioni su quel gravissimo fenomeno delinquenziale rappresentato dalla "cosa nostra" siciliana. Attraverso di voi ho potuto oggi esprimere con chiarezza un concreto grido d'allarme, che mi auguro sarà ascoltato da tutti sul grave rischio cui la società civile è esposta se scegliesse di continuare a convivere con la mafia e non decidesse di liberarsi, una volta per tutte, di questa realtà criminale. Con la stessa forza e con altrettanta chiarezza credo di aver espresso la mia fiducia che questa lunga battaglia contro "cosa nostra", fino ad oggi combattuta a fasi alterne, possa una volta per tutte essere affrontata con determinazione ed in modo tale da provocare la sua definitiva scomparsa dal vivere civile. Sono stato un mafioso e sono oggi un uomo libero degno di essere accettato dalla società ed in questa mia nuova veste voglio rinnovare il mio impegno a proseguire nella battaglia che ho intrapreso tanti anno addietro a fianco del giudice Falcone. In questa logica mi permetto di suggerire, attraverso di Lei e tutto il Parlamento italiano, alcune mie considerazioni sulle modalità che io, sulla base della mia esperienza di mafioso, ritengo utile per la definitiva sconfitta della mafia. E' innanzi tutto necessario che questa grave realtà delinquenziale sia conosciuta nella sua effettiva dimensione e nella sua capacità di colpire lo Stato e i suoi uomini migliori. Perché ciò avvenga non si può fare a meno di quelle persone che, avendo militato all'interno della "cosa nostra", ne conoscono a fondo le regole ed i segreti. E queste persone sono i cosiddetti pentiti. Persone che hanno spesso sofferto per primi sulla loro pelle la crudeltà e la violenza mafiosa, persone che hanno sofferto per una difficile scelta personale e che spesso non sono state nemmeno apprezzate per il contributo che hanno offerto nell'accertamento della verità e dei fatti. A queste persone bisogna offrire la possibilità di essere sereni nella loro scelta di vita e la certezza di essere sostenuti dal consenso Pag. 440 di quanti vogliano lottare contro la mafia. Perché i loro racconti siano sostenuti da prove è anche necessario che a coloro che decidono di collaborare con la giustizia sia consentito di affrontare con serenità il giudizio della pubblica opinione e di poter contare sulla benevolenza della legge e dei giudici che sono chiamati ad applicarla. Ed ecco allora la necessità che lo stato aiuti questi collaboratori a manifestare in piena libertà tutte le loro conoscenze e anche le loro colpe nella certezza però di poter contare sul sostegno di quella società civile che in fondo stanno in qualche modo proteggendo da un male grave come la mafia. Se queste leggi arriveranno, se sarà data fiducia ai pentiti, se saranno rese operanti le strutture dello Stato e nelle stesse potranno essere chiamati a prestare la loro opera gli uomini migliori, giudici e poliziotti, allora la strada per sconfiggere la mafia sarà tutta in discesa. Scomparirà quella "cosa nostra" che ha tenuto per tanto tempo la società civile e forse resterà una normale criminalità senza regole e senza tradizioni, che le strutture dello Stato potranno facilmente tenere sotto controllo. Per quanto mi riguarda, Signor Presidente, continuerò ad essere a Sua disposizione, del Parlamento, delle Istituzioni tutte e del nostro Paese. Se sarà necessario resterò in Italia, rischiando in prima persona, offrendo la mia conoscenza pregressa e la mia capacità di interpretare i fatti di mafia e potrò così essere ancora utile. Con gratitudine, i miei ossequi. 17 novembre 1992. Buscetta Tommaso |
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