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161
Per qual mordace lima
discresce e manca ognor tuo stanca spoglia,
anima inferma? or quando fie ti scioglia
da quella il tempo, e torni ov'eri, in cielo,
candida e lieta prima,
deposto il periglioso e mortal velo?
C'ancor ch'i' cangi 'l pelo
per gli ultim'anni e corti,
cangiar non posso il vecchio mie antico uso,
che con più giorni più mi sforza e preme.
Amore, a te nol celo,
ch'i' porto invidia a' morti,
sbigottito e confuso,
sì di sé meco l'alma trema e teme.
Signor, nell'ore streme,
stendi ver' me le tuo pietose braccia,
tomm'a me stesso e famm'un che ti piaccia.
162
Ora in sul destro, ora in sul manco piede
variando, cerco della mie salute.
Fra 'l vizio e la virtute
il cor confuso mi travaglia e stanca,
come chi 'l ciel non vede,
che per ogni sentier si perde e manca.
Porgo la carta bianca
a' vostri sacri inchiostri,
c'amor mi sganni e pietà 'l ver ne scriva:
che l'alma, da sé franca,
non pieghi agli error nostri
mie breve resto, e che men cieco viva.
Chieggio a voi, alta e diva
donna, saper se 'n ciel men grado tiene
l'umil peccato che 'l superchio bene.
163
Quante più fuggo e odio ognor me stesso,
tanto a te, donna, con verace speme
ricorro; e manco teme
l'alma di me, quant'a te son più presso.
A quel che 'l ciel promesso
m'ha nel tuo volto aspiro
e ne' begli occhi, pien d'ogni salute:
e ben m'accorgo spesso,
in quel c'ogni altri miro,
che gli occhi senza 'l cor non han virtute.
Luci già mai vedute!
né da vederle è men che 'l gran desio;
ché 'l veder raro è prossimo a l'oblio.
164
Per fido esemplo alla mia vocazione
nel parto mi fu data la bellezza,
che d'ambo l'arti m'è lucerna e specchio.
S'altro si pensa, è falsa opinione.
Questo sol l'occhio porta a quella altezza
c'a pingere e scolpir qui m'apparecchio.
S'e' giudizi temerari e sciocchi
al senso tiran la beltà, che muove
e porta al cielo ogni intelletto sano,
dal mortale al divin non vanno gli occhi
infermi, e fermi sempre pur là d'ove
ascender senza grazia è pensier vano.
165
Se 'l commodo degli occhi alcun costringe
con l'uso, parte insieme
la ragion perde, e teme;
ché più s'inganna quel c'a sé più crede:
onde nel cor dipinge
per bello quel c'a picciol beltà cede.
Ben vi fo, donna, fede
che 'l commodo né l'uso non m'ha preso,
sì di raro e' mie veggion gli occhi vostri
circonscritti ov'a pena il desir vola.
Un punto sol m'ha acceso,
né più vi vidi c'una volta sola.
166
Ben posson gli occhi mie presso e lontano
veder dov'apparisce il tuo bel volto;
ma dove loro, ai pie', donna, è ben tolto
portar le braccia e l'una e l'altra mano.
L'anima, l'intelletto intero e sano
per gli occhi ascende più libero e sciolto
a l'alta tuo beltà; ma l'ardor molto
non dà tal previlegio al corp'umano
grave e mortal, sì che mal segue poi,
senz'ali ancor, d'un'angioletta il volo,
e 'l veder sol pur se ne gloria e loda.
Deh, se tu puo' nel ciel quante tra noi,
fa' del mie corpo tutto un occhio solo;
né fie poi parte in me che non ti goda.
167
La morte, Amor, del mie medesmo loco,
del qual, già nudo, trïonfar solevi
non che con l'arco e co' pungenti strali,
ti scaccia e sprezza, e col fier ghiaccio il foco
tuo dolce ammorza, c'ha dì corti e brevi.
In ogni cor veril men di le' vali;
e se ben porti l'ali,
con esse mi giugnesti, or fuggi e temi,
c'ogni età verde è schifa a' giorni stremi.
168
Perché 'l mezzo di me che dal ciel viene
a quel con gran desir ritorna e vola,
restando in una sola
di beltà donna, e ghiaccio ardendo in lei,
in duo parte mi tiene
contrarie sì, che l'una all'altra invola
il ben che non diviso aver devrei.
Ma se già ma' costei
cangia 'l suo stile, e c'a l'un mezzo manchi
il ciel, quel mentre c'a le' grato sia,
e' mie sì sparsi e stanchi
pensier fien tutti in quella donna mia;
e se 'lor che m'è pia,
l'alma il ciel caccia, almen quel tempo spero
non più mezz'esser, ma suo tutto intero.
169
Nel mie 'rdente desio,
coste' pur mi trastulla,
di fuor pietosa e nel cor aspra e fera.
Amor, non tel diss'io,
ch'e' no' ne sare' nulla
e che 'l suo perde chi 'n quel d'altri spera?
Or s'ella vuol ch'i' pèra,
mie colpa, e danno s'ha prestarle fede,
com'a chi poco manca a chi più crede.
170
Spargendo gran bellezza ardente foco
per mille cori accesi,
come cosa è che pesi,
c'un solo ancide, a molti è lieve e poco.
Ma, chiuso in picciol loco,
s'il sasso dur calcina,
che l'acque poi il dissolvon 'n un momento,
come per pruova il sa chi 'l ver dicerne:
così d'una divina
de mille il foco ho drento
c'arso m'ha 'l cor nelle mie parte interne;
ma le lacrime etterne
se quel dissolvon già sì duro e forte,
fie me' null'esser c'arder senza morte.
171
Nella memoria delle cose belle
morte bisogna, per tor di costui
il volto a lei, com'a vo' tolto ha lui;
se 'l foco in ghiaccio e 'l riso volge in pianto,
con tale odio di quelle,
che del cor voto più non si dien vanto.
Ma se rimbotta alquanto
i suo begli occhi nell'usato loco,
fien legne secche in un ardente foco.
172
Costei pur si delibra,
indomit' e selvaggia,
ch'i' arda, mora e caggia
a quel c'a peso non sie pure un'oncia;
e 'l sangue a libra a libra
mi svena, e sfibra e 'l corpo all'alma sconcia.
La si gode e racconcia
nel suo fidato specchio,
ove sé vede equale al paradiso;
po', volta a me, mi concia
sì, c'oltr'all'esser vecchio,
in quel col mie fo più bello il suo viso,
ond'io vie più deriso
son d'esser brutto; e pur m'è gran ventura,
s'i' vinco, a farla bella, la natura.
173
Se dal cor lieto divien bello il volto,
dal tristo il brutto; e se donna aspra e bella
il fa, chi fie ma' quella
che non arda di me com'io di lei?
Po' c'a destinguer molto
dalla mie chiara stella
da bello a bel fur fatti gli occhi mei,
contr'a sé fa costei
non men crudel che spesso
dichi: - Dal cor mie smorto il volto viene. -
Che s'altri fa se stesso,
pingendo donna, in quella
che farà poi, se sconsolato il tiene?
Dunc'ambo n'arien bene
ritrarla col cor lieto e 'l viso asciutto:
sé farie bella e me non farie brutto.
174
Per quel che di vo', donna, di fuor veggio,
quantunche dentro al ver l'occhio non passi,
spero a' mie stanchi e lassi
pensier riposo a qualche tempo ancora;
e 'l più saperne il peggio,
del vostro interno, forse al mie mal fora.
Se crudeltà dimora
'n un cor che pietà vera
co' begli occhi prometta a' pianti nostri,
ben sarebb'ora l'ora,
c'altro già non si spera
d'onesto amor, che quel ch'è di fuor mostri.
Donna, s'agli occhi vostri
contraria è l'alma, e io, pur contro a quella,
godo gl'inganni d'una donna bella.
175
No' salda, Amor, de' tuo dorati strali
fra le mie vecchie ancor la minor piaga,
che la mente, presaga
del mal passato, a peggio mi traporti.
Se ne' vecchi men vali,
campar dovria, se non fa' guerra a' morti.
S'a l'arco l'alie porti
contra me zoppo e nudo,
con gli occhi per insegna,
c'ancidon più ch'e' tuo più feri dardi,
chi fia che mi conforti?
Elmo non già né scudo,
ma sol quel che mi segna
d'onor, perdendo, e biasmo a te, se m'ardi.
Debile vecchio, è tardi
la fuga e lenta, ov'è posto 'l mie scampo;
e chi vince a fuggir, non resti in campo.
176
Mestier non era all'alma tuo beltate
legar me vinto con alcuna corda;
ché, se ben mi ricorda,
sol d'uno sguardo fui prigione e preda:
c'alle gran doglie usate
forz'è c'un debil cor subito ceda.
Ma chi fie ma' che 'l creda,
preso da' tuo begli occhi in brevi giorni,
un legno secco e arso verde torni?
177
In noi vive e qui giace la divina
beltà da morte anz'il suo tempo offesa.
Se con la dritta man face' difesa,
campava. Onde nol fe'? Ch'era mancina.
178
La nuova alta beltà che 'n ciel terrei
unica, non c'al mondo iniquo e fello
(suo nome dal sinistro braccio tiello
il vulgo, cieco a non adorar lei),
per voi sol nacque; e far non la saprei
con ferri in pietra, in carte col pennello;
ma 'l vivo suo bel viso esser può quello
nel qual vostro sperar fermar dovrei.
E se, come dal sole ogni altra stella
è vinta, vince l'intelletto nostro,
per voi non di men pregio esser dovea.
Dunche, a quetarvi, è suo beltà novella
da Dio formata all'alto desir vostro;
e quel solo, e non io, far lo potea.
179
Se qui son chiusi i begli occhi e sepolti
anzi tempo, sol questo ne conforta:
che pietà di lor vivi era qua morta;
or che son morti, di lor vive in molti.
180
Deh serbi, s'è di me pietate alcuna
che qui son chiuso e dal mondo disciolto,
le lacrime a bagnarsi il petto e 'l volto
per chi resta suggetto alla fortuna.
181
- Perché ne' volti offesi non entrasti
dagli anni, Morte, e c'anzi tempo i' mora?
- Perché nel ciel non sale e non dimora
cosa che 'nvecchi e parte il mondo guasti.
182
Non volse Morte non ancider senza
l'arme degli anni e de' superchi giorni
la beltà che qui giace, acciò c'or torni
al ciel con la non persa sua presenza.
183
La beltà che qui giace al mondo vinse
di tanto ogni più bella creatura,
che morte, ch'era in odio alla natura,
per farsi amica a lei, l'ancise e stinse.
184
Qui son de' Bracci, deboli a l'impresa
contr'a la morte mia per non morire;
meglio era esser de' piedi per fuggire
che de' Bracci e non far da lei difesa.
185
Qui son sepulto, e poco innanzi nato
ero: e son quello al qual fu presta e cruda
la morte sì, che l'alma di me nuda
s'accorge a pena aver cangiato stato.
186
Non può per morte già chi qui mi serra
la beltà, c'al mortal mie largir volse,
renderla agli altri tutti a chi la tolse,
s'alfin com'ero de' rifarmi in terra.
187
L'alma di dentro di fuor non vedea,
come noi, il volto, chiuso in questo avello:
che se nel ciel non è albergo sì bello,
trarnela morte già ma' non potea.
188
Se dalla morte è vinta la natura
qui nel bel volto, ancor vendetta in cielo
ne fie pel mondo, a trar divo il suo velo
più che mai bel di questa sepoltura.
189
Qui son chiusi i begli occhi, che aperti
facén men chiari i più lucenti e santi;
or perché, morti, rendon luce a tanti,
qual sie più 'l danno o l'util non siàn certi.
190
Qui son morto creduto; e per conforto
del mondo vissi, e con mille alme in seno
di veri amanti; adunche a venir meno,
per tormen' una sola non son morto.
191
Se l'alma vive del suo corpo fora,
la mie, che par che qui di sé mi privi,
il mostra col timor ch'i' rendo a' vivi:
che nol po far chi tutto avvien che mora.
192
S'è ver, com'è, che dopo il corpo viva,
da quel disciolta, c'a mal grado regge
sol per divina legge,
l'alma e non prima, allor sol è beata;
po' che per morte diva
è fatta sì, com'a morte era nata.
Dunche, sine peccata,
in riso ogni suo doglia
preschiver debbe alcun del suo defunto,
se da fragile spoglia
fuor di miseria in vera pace è giunto
de l'ultim'ora o punto.
Tant'esser de' dell'amico 'l desio,
quante men val fruir terra che Dio.
193
A pena prima aperti gli vidd'io
i suo begli occhi in questa fragil vita,
che, chiusi el dì dell'ultima partita,
gli aperse in cielo a contemplare Dio.
Conosco e piango, e non fu l'error mio,
col cor sì tardi a lor beltà gradita,
ma di morte anzi tempo, ond'è sparita
a voi non già, m'al mie 'rdente desio.
Dunche, Luigi, a far l'unica forma
di Cecchin, di ch'i' parlo, in pietra viva
etterna, or ch'è già terra qui tra noi,
se l'un nell'altro amante si trasforma,
po' che sanz'essa l'arte non v'arriva,
convien che per far lui ritragga voi.
194
Qui vuol mie sorte c'anzi tempo i' dorma,
né son già morto; e ben c'albergo cangi,
resto in te vivo, c'or mi vedi e piangi,
se l'un nell'altro amante si trasforma.
195
- Se qui cent'anni t'han tolto due ore,
un lustro è forza che l'etterno inganni.
- No: che 'n un giorno è vissuto cent'anni
colui che 'n quello il tutto impara e muore.
196
Gran ventura qui morto esser mi veggio:
tal dota ebbi dal cielo, anzi che veglio;
ché, non possendo al mondo darmi meglio,
ogni altro che la morte era 'l mie peggio.
197
La carne terra, e qui l'ossa mie, prive
de' lor begli occhi e del leggiadro aspetto,
fan fede a quel ch'i' fu' grazia e diletto
in che carcer quaggiù l'anima vive.
198
Se fussin, perch'i' viva un'altra volta,
gli altru' pianti a quest'ossa carne e sangue,
sarie spietato per pietà chi langue
per rilegar lor l'alma in ciel disciolta.
199
Chi qui morto mi piange indarno spera,
bagnando l'ossa e 'l mie sepulcro, tutto
ritornarmi com'arbor secco al frutto;
c'uom morto non risurge a primavera.
200
S'i' fu' già vivo, tu sol, pietra, il sai,
che qui mi serri, e s'alcun mi ricorda,
gli par sognar: sì morte è presta e 'ngorda,
che quel ch'è stato non par fusse mai.
201
I' temo più, fuor degli anni e dell'ore
che m'han qui chiuso, il ritornare in vita,
s'esser può qua, ch'i' non fe' la partita;
po' c'allor nacqui ove la morte muore.
202
I' fu de' Bracci, e se ritratto e privo
restai dell'alma, or m'è cara la morte,
po' che tal opra ha sì benigna sorte
d'entrar dipinto ov'io non pote' vivo.
203
De' Bracci nacqui, e dopo 'l primo pianto,
picciol tempo il sol vider gli occhi mei.
Qui son per sempre; né per men vorrei,
s'i' resto vivo in quel che m'amò tanto.
204
Più che vivo non ero, morto sono
vivo e caro a chi morte oggi m'ha tolto;
se più c'averne copia or m'ama molto,
chi cresce per mancar, gli è 'l morir buono.
205
Se morte ha di virtù qui 'l primo fiore
del mondo e di beltà, non bene aperto,
anzi tempo sepulto, i' son ben certo
che più non si dorrà chi vecchio muore.
206
Dal ciel fu la beltà mie diva e 'ntera,
e 'l corpo sol mortal dal padre mio.
Se morto è meco quel che ebbi d'Iddio
che dunche il mortal sol da morte spera?
207
Per sempre a morte, e prima a voi fu' dato
sol per un'ora; e con diletto tanto
porta' bellezza, e po' lasciai tal pianto
che 'l me' sarebbe non esser ma' nato.
208
Qui chiuso è 'l sol di c'ancor piangi e ardi:
l'alma suo luce fu corta ventura.
Men grazia e men ricchezza assai più dura;
c'a' miseri la morte è pigra e tardi.
209
Qui sol per tempo convien posi e dorma
per render bello el mie terrestre velo;
ché più grazia o beltà non have 'l cielo,
c'alla natura fussi esempro e norma.
210
Se gli occhi aperti mie fur vita e pace
d'alcun, qui chiusi, or chi gli è pace e vita?
Beltà non già, che del mond'è sparita,
ma morte sol, s'ogni suo ben qui giace.
211
Se, vivo al mondo, d'alcun vita fui
che gli è qui terra or la bellezza mia,
mort'è non sol, ma crudel gelosia
c'alcun per me non mora innanzi a lui.
212
Perc'all'altru' ferir non ave' pari
col suo bel volto il Braccio che qui serro,
morte vel tolse e fecel, s'io non erro,
perc'a lei ancider toccava i men chiari.
213
Sepulto è qui quel Braccio, che Dio volse
corregger col suo volto la natura;
ma perché perso è 'l ben, c'altri non cura,
lo mostrò al mondo e presto sel ritolse.
214
Era la vita vostra il suo splendore:
di Cecchin Bracci, che qui morto giace.
Chi nol vide nol perde e vive in pace:
la vita perde chi 'l vide e non muore.
215
A la terra la terra e l'alma al cielo
qui reso ha morte; a chi morto ancor m'ama
ha dato in guardia mie bellezza e fama,
ch'etterni in pietra il mie terrestre velo.
216
Qui serro il Braccio e suo beltà divina,
e come l'alma al corpo è forma e vita,
è quello a me dell'opra alta e gradita;
c'un bel coltello insegna tal vagina.
217
S'avvien come fenice mai rinnuovi
qui 'l bel volto de' Bracci di più stima,
fie ben che 'l ben chi nol conosce prima
per alcun tempo il perda e po' 'l ritruovi.
218
Col sol de' Bracci il sol della natura,
per sempre estinto, qui lo chiudo e serro:
morte l'ancise senza spada o ferro,
c'un fior di verno picciol vento il fura.
219
I' fui de' Bracci, e qui mie vita è morte.
Sendo oggi 'l ciel dalla terra diviso,
toccando i' sol del mondo al paradiso,
anzi per sempre serri le suo porte.
220
Deposto ha qui Cecchin sì nobil salma
per morte, che 'l sol ma' simil non vide.
Roma ne piange, e 'l ciel si gloria e ride,
che scarca del mortal si gode l'alma.
221
Qui giace il Braccio, e men non si desìa
sepulcro al corpo, a l'alma il sacro ufizio.
Se più che vivo, morto ha degno ospizio
in terra e 'n ciel, morte gli è dolce e pia.
222
Qui stese il Braccio e colse acerbo il frutto
morte, anz'il fior, c'a quindici anni cede.
Sol questo sasso il gode che 'l possiede,
e 'l resto po' del mondo il piange tutto.
223
I' fu' Cecchin mortale e or son divo:
poco ebbi 'l mondo e per sempre il ciel godo.
Di sì bel cambio e di morte mi lodo,
che molti morti, e me partorì vivo.
224
Chiusi ha qui gli occhi e 'l corpo, e l'alma sciolta
di Cecchin Bracci morte, e la partita
fu 'nanz' al tempo per cangiar suo vita
a quella c'a molt'anni spesso è tolta.
225
I' fu' de' Bracci, e qui dell'alma privo
per esser da beltà fatt'ossa e terra:
prego il sasso non s'apra, che mi serra,
per restar bello in chi m'amò già vivo.
226
Che l'alma viva, i' che qui morto sono
or ne son certo e che, vivo, ero morto.
I' fu' de' Bracci, e se 'l tempo ebbi corto,
chi manco vive più speri perdono.
227
Ripreso ha 'l divin Braccio il suo bel velo:
non è più qui, c'anz'al gran dì l'ha tolto
pietà di terra; che s'allor sepolto
fussi, lu' sol sarie degno del cielo.
228
Se 'l mondo il corpo, e l'alma il ciel ne presta
per lungo tempo, il morto qui de' Bracci
qual salute fie mai che 'l soddisfacci?
Di tanti anni e beltà creditor resta.
229
Occhi mie, siate certi
che 'l tempo passa e l'ora s'avvicina,
c'a le lacrime triste il passo serra.
Pietà vi tenga aperti,
mentre la mie divina
donna si degna d'abitare in terra.
Se grazia il ciel disserra,
com'a' beati suole,
questo mie vivo sole
se lassù torna e partesi da noi,
che cosa arete qui da veder poi?
230
Perché tuo gran bellezze al mondo sièno
in donna più cortese e manco dura,
prego se ne ripigli la natura
tutte quelle c'ognor ti vengon meno,
e serbi a riformar del tuo sereno
e divin volto una gentil figura
del ciel, e sia d'amor perpetua cura
rifarne un cor di grazia e pietà pieno.
E serbi poi i mie sospiri ancora,
e le lacrime sparte insieme accoglia
e doni a chi quella ami un'altra volta.
Forse a pietà chi nascerà in quell'ora
la moverà co' la mie propia doglia,
né fie persa la grazia c'or m'è tolta.
231
Non è più tempo, Amor, che 'l cor m'infiammi,
né che beltà mortal più goda o tema:
giunta è già l'ora strema
che 'l tempo perso, a chi men n'ha, più duole.
Quante 'l tuo braccio dammi,
morte i gran colpi scema,
e ' sua accresce più che far non suole.
Gl'ingegni e le parole,
da te di foco a mio mal pro passati,
in acqua son conversi;
e Die 'l voglia c'or versi
con essa insieme tutti e' mie peccati.
232
Non altrimenti contro a sé cammina
ch'i' mi facci alla morte,
chi è da giusta corte
tirato là dove l'alma il cor lassa;
tal m'è morte vicina,
salvo più lento el mie resto trapassa.
Né per questo mi lassa
Amor viver un'ora
fra duo perigli, ond'io mi dormo e veglio:
la speme umile e bassa
nell'un forte m'accora,
e l'altro parte m'arde, stanco e veglio.
Né so il men danno o 'l meglio:
ma pur più temo, Amor, che co' tuo sguardi
più presto ancide quante vien più tardi.
233
Se da' prim'anni aperto un lento e poco
ardor distrugge in breve un verde core,
che farà, chiuso po' da l'ultim'ore,
d'un più volte arso un insaziabil foco?
Se 'l corso di più tempo dà men loco
a la vita, a le forze e al valore,
che farà a quel che per natura muore
l'incendio arroto d'amoroso gioco?
Farà quel che di me s'aspetta farsi:
cenere al vento sì pietoso e fero,
c'a' fastidiosi vermi il corpo furi.
Se, verde, in picciol foco i' piansi e arsi,
che, più secco ora in un sì grande, spero
che l'alma al corpo lungo tempo duri?
234
Tanto non è, quante da te non viene,
agli occhi specchio, a che 'l cor lasso cede;
che s'altra beltà vede,
gli è morte, donna, se te non somiglia,
qual vetro che non bene
senz'altra scorza ogni su' obbietto piglia.
Esempro e maraviglia
ben fie a chi si dispera
della tuo grazia al suo 'nfelice stato,
s'e' begli occhi e le ciglia
con la tuo pietà vera
volgi a far me sì tardi ancor beato:
a la miseria nato,
s'al fier destin preval grazia e ventura,
da te fie vinto il cielo e la natura.
235
Un uomo in una donna, anzi uno dio
per la sua bocca parla,
ond'io per ascoltarla
son fatto tal, che ma' più sarò mio.
I' credo ben, po' ch'io
a me da lei fu' tolto,
fuor di me stesso aver di me pietate;
sì sopra 'l van desio
mi sprona il suo bel volto,
ch'i' veggio morte in ogni altra beltate.
O donna che passate
per acqua e foco l'alme a' lieti giorni,
deh, fate c'a me stesso più non torni.
236
Se ben concetto ha la divina parte
il volto e gli atti d'alcun, po' di quello
doppio valor con breve e vil modello
dà vita a' sassi, e non è forza d'arte.
Né altrimenti in più rustiche carte,
anz'una pronta man prenda 'l pennello,
fra ' dotti ingegni il più accorto e bello
pruova e rivede, e suo storie comparte.
Simil di me model di poca istima
mie parto fu, per cosa alta e perfetta
da voi rinascer po', donna alta e degna.
Se 'l poco accresce, e 'l mie superchio lima
vostra mercé, qual penitenzia aspetta
mie fiero ardor, se mi gastiga e 'nsegna?
237
Molto diletta al gusto intero e sano
l'opra della prim'arte, che n'assembra
i volti e gli atti, e con più vive membra,
di cera o terra o pietra un corp' umano.
Se po' 'l tempo ingiurioso, aspro e villano
la rompe o storce o del tutto dismembra,
la beltà che prim'era si rimembra,
e serba a miglior loco il piacer vano.
238
Non è non degna l'alma che n'attende
etterna vita, in cui si posa e quieta,
per arricchir dell'unica moneta
che 'l ciel ne stampa, e qui natura spende.
239
Com'esser, donna, può quel c'alcun vede
per lunga sperïenza, che più dura
l'immagin viva in pietra alpestra e dura
che 'l suo fattor, che gli anni in cener riede?
La causa a l'effetto inclina e cede,
onde dall'arte è vinta la natura.
I' 'l so, che 'l pruovo in la bella scultura,
c'all'opra il tempo e morte non tien fede.
Dunche, posso ambo noi dar lunga vita
in qual sie modo, o di colore o sasso,
di noi sembrando l'uno e l'altro volto;
sì che mill'anni dopo la partita,
quante voi bella fusti e quant'io lasso
si veggia, e com'amarvi i' non fu' stolto.
240
Sol d'una pietra viva
l'arte vuol che qui viva
al par degli anni il volto di costei.
Che dovria il ciel di lei,
sendo mie questa, e quella suo fattura,
non già mortal, ma diva,
non solo agli occhi mei?
E pur si parte e picciol tempo dura.
Dal lato destro è zoppa suo ventura,
s'un sasso resta e pur lei morte affretta.
Chi ne farà vendetta?
Natura sol, se de' suo nati sola
l'opra qui dura, e la suo 'l tempo invola.
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