La nave dalla cerulea prora che portava Teseo e sette e sette splendidi
figli di Ionia, rapida solcava il mare di Creta, ché i soffi di Borea sulla candidissima
vela spiravano per volere di Atena egidoarmata. Il cuore di Minosse fu morso dai bei doni
di Cipride, la dea dell'amorosa benda; e più non trattenne la mano, e d'una fanciulla
accarezzò le bianche gote. A gran voce Eribea invocò allora il nipote di Pandione dalla
corazza di bronzo. E Teseo vide - fosco gli balenò l'occhio sotto le ciglia, ché viva
doglia gli punse il cuore - e disse: "O figlio di Zeus, potentissimo iddio, la tua
mente più non guida animo pio. Trattieni, eroe, l'insano ardire. La sorte destinata che a
noi assegnarono gli dei e il fato onnipotente e le bilance di Dike, noi la subiremo quando
che sia; ma tu cupidamente raffrena. Ché se sommo dei mortali te generò di Fenice la
nobile figlia d'amabil nome, congiuntasi a Zeus sotto la vetta dell'Ida, me la figlia del
ricco Pitteo generò a Posidone, il dio del mare, e un manto d'oro le cinsero le Nereidi
dai capelli di viola. Astienti dunque, ti dico, da violenza funesta, o re di Cnosso; ché
l'amabile luce dell'Aurora immortale non vorrei più vedere, se tu qualcuna delle vergini
violassi. Prima verremo a battaglia, e giudice un dio sarà". Così disse il forte
eroe, e ne ammirarono i marinai l'intrepido cuore.
(Maddalena, La lett. greca, op. cit.). |