Sappiamo da più fonti che il poeta comico, autore di commedie, era di
Gela; la Suida ci riferisce che visse al tempo di Menandro:
altro poeta comico ateniese del IV, III secolo a.C. Apollodoro scrisse diverse opere,
delle quali ci rimangono solo i titoli e si ispirò molto ai lavori del conterraneo Filemone. Eccolo citato direttamente dalla Suida:
"Apollodorus, Gelous, Comicus: Eodem tempore vixit, quo Menander Comicus. Ejus
fabulae sunt; Apocartercus, 5 Philadelphi, Deusopoeus, Hieria, Grammatodipus, Pseudajax,
Sisiphus, Aeschrion". (Suida, Lexicon Graece & Latine, tribus voluminis,
1705)
Ed è anche con frasi come la seguente di Diodoro che si viene a
sapere della esistenza di un uomo di lettere, ed il testo antico ci appare come una
rudimentale macchina del tempo, che vaga invitando a navigare in ricerche senza fine:
"Poco dopo questa pace, Dario, re di Persia appresso un regno
di 19 anni lasciò questa vita; e gli successe Artaserse, suo figlio maggiore, il quale
regnò 43 anni. Apollodoro dice, che fiorì in quel tempo il poeta Antimaco".
(Biblioteca, libro XIII, cap.XX; trad. C.Compagnoni, Pedone e Muratori, 1831)
Qualche frammento di Apollodoro ci dona Ateneo:
"Apollodoro riferisce: 'Quando un uomo entra accolto nella casa d'un amico,
egli può, Nicofone, accorgersi del benvenuto non appena varca la soglia.
Il custode gli sorride, il cane scuote la sua coda e gli si avvicina, uno schiavo s'alza
per conoscerlo e prontamente gli appronta una sedia, persino se neppure una parola durante
tal tempo viene detta'" (3; c).
"Apollodoro di Gela cita la cisterna, usando la stessa parole che noi oggi usiamo per
indicarla, ne' La donna che lasciò suo marito: 'Nel tuo selvaggio accesso d'ira tu hai
slegato il secchio dalla cisterna, ed usata buona corda per i tuoi scopi". (125, a).
(Ateneo, I Deipnosofisti, op. cit.)
Qualcosa di simpaticamente curioso ci riporta sempre Ateneo:
"Protagoride, nel secondo libro delle sue Storie Comiche,
raccontando il viaggio giù per il Nilo di re Antioco, ha qualcosa di
ingegnoso da riferirci a proposito degli espedienti usati per godere di acqua fresca.
Così racconta: 'Durante le ore del giorno essi sistemano l'acqua al calore del sole, e al
giungere della notte filtrano dall'acqua i primi sedimenti, per poi esporre l'acqua
nuovamente all'aria in giare poste all'esterno, sul punto più alto della casa, poi, per
tutta la notte due schiavi mantenevano umide le pareti le giare bagnandole con acqua.
All'alba quindi riportavano dabasso le giare, togliendo ancora i sedimenti, ottenendo
così un liquido limpido e, comunque, salutevole'". (Ateneo, 124, e, f; op.
cit.)
Non sono molte oggi le persone che hanno avuto la possibilità di bere acqua conservata
in giare di terracotta, noi siamo tra quelle e ne serbiamo un dolcissimo ricordo, per la
sensazione avuta di benessere mai paragonabile a quella oggi data al liquido ed all'uomo
dal diffusissimo - immeritatamente - PVC. |