Violante: seduta 35
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Pag. 1637 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica: Violante Luciano, Presidente, Relatore ................ 1639 1640, 1641, 1642, 1647, 1648, 1653, 1654 1655, 1661, 1664, 1665, 1667, 1668, 1669 1674, 1676, 1677, 1678, 1679, 1680, 1682 Bargone Antonio ....................................... 1669 Biscardi Luigi ............................ 1679, 1680, 1681 Borghezio Mario ................................. 1644, 1647 Brutti Massimo ........................................ 1669 Cabras Paolo .................................... 1641, 1647 Calvi Maurizio .................................. 1641, 1676 1677, 1678, 1679, 1681 Cappuzzo Umberto ................................ 1639, 1640 De Matteo Aldo .................................. 1640, 1654 Ferrara Salute Giovanni ................... 1655, 1657, 1661 Ferrauto Romano ....................................... 1651 Florino Michele ..................... 1639, 1640, 1661, 1664 Frasca Salvatore ...................................... 1682 Fumagalli Carulli Ombretta ................ 1651, 1653, 1654 Matteoli Altero ........................... 1640, 1665, 1669 Rapisarda Santi ....................................... 1680 Ricciuti Romeo ........................................ 1641 Robol Alberto ......................................... 1664 Scalia Massimo .................................. 1654, 1655 Sorice Vincenzo ................................. 1647, 1648 Taradash Marco ............................ 1673, 1674, 1676 Tripodi Girolamo .................... 1665, 1667, 1668, 1669 ALLEGATO ................................................. I Pag. 1638 Pag. 1639 La seduta comincia alle 15,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame e la votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica. Prima di passare alla trattazione di tale argomento, do la parola al senatore Florino che ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori. MICHELE FLORINO. Onorevole presidente, onorevoli colleghi, vorrei chiedervi di prestare un minuto di attenzione ad una questione di carattere preliminare che certamente potrà offrire un notevole apporto al prosieguo della discussione sulla proposta di relazione relativa ai rapporti tra mafia e politica. Prendo atto del grande sforzo e del lavoro svolto dal presidente in sede di redazione della proposta. Ritengo, tuttavia, che la proposta stessa sia monca, dal momento che in essa non è contenuto un riferimento ai fatti eclatanti che in questi giorni stanno investendo il nostro paese. Ricordo che Elio Spallitta, procuratore distrettuale della Repubblica di Palermo, nel corso dell'audizione resa davanti a questa Commissione il 5 novembre 1992, dichiarò testualmente: "Ho detto fin dall'inizio che ci troviamo di fronte ad una breccia che molto probabilmente si potrà allargare. Non sappiamo ancora quanto ci verrà riferito e quali ulteriori indagini occorrerà svolgere". Questa breccia si è allargata, coinvolgendo uomini politici importanti ed offrendoci uno scenario diverso rispetto alle ombre ed ai dubbi che ci assillavano. Non intendo criminalizzare nessuno, anche perché l'indagine della magistratura è ancora in corso. Non posso tuttavia non ricordare ai colleghi che la nostra Commissione si occupa non solo di mafia ma anche di altre organizzazioni criminali similari. Le vicende che stanno interessando la Campania potrebbero essere - ecco perché parlo di proposta di relazione monca - riportate integralmente in una relazione, sì da dare l'esatta dimensione del rapporto reale intercorso tra le forze politiche, la camorra, la 'ndrangheta e la mafia. Pertanto, onorevole presidente, chiedo a lei ed agli onorevoli colleghi che l'esame della proposta di relazione sia temporaneamente sospeso, in modo da offrire la possibilità ai componenti della Commissione ed a lei, che ne è estensore, di integrarla con riferimento ai fatti nuovi ed anche per avere l'opportunità di discutere sul reale rapporto intercorso tra la politica e la mafia. UMBERTO CAPPUZZO. Signor presidente, so che lei è particolarmente sensibile ai problemi di forma. Con grande sorpresa questa mattina abbiamo constatato che la proposta di relazione al nostro esame era pubblicata sulla stampa. Evidentemente, si è verificata una fuga di notizie. Ciò che è più grave è che la relazione viene presentata come atto della Commissione e viene considerata già approvata. Ricordo che nella precedente legislatura lei stesso si è fatto promotore di proteste piuttosto vivaci in riferimento ad analoghe situazioni. Penso, per esempio, a quanto avvenne con riferimento ad Pag. 1640 una mia relazione relativa alle forze dell'ordine: in quella circostanza espresse rammarico sul verificarsi di una fuga di notizie. Ritengo che sarebbe il caso di precisare anzitutto che la proposta di relazione da lei redatta non costituisce un atto della Commissione, perché deve ancora essere approvata. Sarebbe inoltre opportuno procedere ad una piccola inchiesta per accertare come mai, nonostante noi non avessimo avuto nemmeno il tempo di leggerla completamente, i giornali l'abbiano riportata quasi nella sua interezza. Si tratta di un fatto non certamente piacevole; ci troviamo di fronte ad un comportamento deontologico e di costume senz'altro censurabile. PRESIDENTE. Per quanto riguarda la richiesta formulata dal senatore Florino, vorrei ricordare che quando abbiamo stabilito di avviare questo lavoro specifico abbiamo deciso di affrontare i rapporti tra Cosa nostra e politica. Del resto, in una parte della relazione si precisa che le considerazioni sono limitate ai rapporti con Cosa nostra, in virtù di una decisione assunta da tutti. Ovviamente, siamo liberi di proporre che analogo lavoro si svolga con riferimento anche ad altre organizzazioni, ma si tratta di un'altra cosa, che credo - esprimo un'opinione personale - sarebbe sbagliato non fare, ma è una cosa diversa rispetto a quello che avevamo deciso di fare. Quanto ai rilievi del senatore Cappuzzo, l'unico quotidiano che questa mattina ha riportato le considerazioni alle quali egli ha fatto riferimento è stato l'Unità. ALTERO MATTEOLI. Lo hanno fatto anche la Repubblica e Il Corriere della Sera. PRESIDENTE. Comunque, la notizia in base alla quale la proposta di relazione sarebbe stata espressione di tutta la Commissione è assolutamente infondata: ci mancherebbe altro! E' giusto fare una precisazione. Quando ho letto il titolo dell'articolo pubblicato questa mattina su l'Unità, ho telefonato al direttore dicendogli che aveva sbagliato perché si tratta di una proposta di relazione e non di un atto di tutta la Commissione. Per quanto riguarda la seconda questione... UMBERTO CAPPUZZO. Questi fenomeni si ripetono. Lei può testimoniare che nella precedente legislatura siamo intervenuti a più riprese con riferimento a fughe di notizie e vi è stata sempre una stigmatizzazione da parte del presidente. MICHELE FLORINO. Signor presidente, la mia richiesta non era collegata soltanto alla regione Campania ma anche all'effetto politico di Cosa nostra per le vicende che coinvolgono il senatore Andreotti. L'ho detto chiaramente. PRESIDENTE. Scusate, colleghi, queste non sono questioni preliminari ma di metodo. Le questioni che affrontiamo sono difficili, per cui vanno affrontate una per una. Se lei chiede di accantonare un aspetto e di guardare piuttosto ad altri fenomeni, devo dire che la questione non mi pare proponibile, se mi consente, in quanto il tema che ci siamo comunemente dati è quello e non altro. Ciò non toglie che dopo, se i colleghi lo riterranno, potranno avanzare proposte, e se la Commissione sarà d'accordo si potrà fare anche altro. Se lei ritiene che nella proposta di relazione non vi siano talune fattispecie, ciò attiene al merito, per cui potrà porre la questione nel corso della discussione. La sua osservazione, pertanto, non è riconducibile ad una questione preliminare ma di merito. ALDO DE MATTEO. Signor presidente, desidererei porre una questione e mi scuso sin d'ora se un chiarimento in merito alla medesima è già stato dato (ma a me non risulta). Credo che quando è stato determinato l'ordine dei lavori, rispetto al tema di cui Pag. 1641 discutiamo fosse stata prevista anche una parte finale, cioè una serie di audizioni con i politici. Il lavoro sarebbe stato completato proprio da queste audizioni, a proposito delle quali erano anche stati fatti alcuni nomi dei politici che si sarebbero dovuti sentire. Poiché mi sembra che adesso si verifichi un'accelerazione, e quindi un superamento di questa fase, che personalmente considero molto importante, chiedo se essa si intenda accantonata momentaneamente per approvare il documento o se quest'ultimo non sia più completo tramite l'audizione di quei personaggi politici, già individuati o da individuare, di cui avevamo parlato nell'impostazione dei lavori. PRESIDENTE. Senatore De Matteo, la Commissione ha deciso, all'unanimità, che venisse prima presentata una relazione che prospettasse un quadro dei dati oggettivi; poi decidemmo insieme di sentire (è ancora possibile se la Commissione lo ritiene opportuno) le persone chiamate in causa in quel documento. Successivamente, altri hanno chiesto di essere ascoltati: qualche magistrato chiamato in causa dai pentiti o da altri, nonché altre persone. Decidemmo che ciò lo avremmo fatto successivamente per evitare di mescolare quello che potrebbe essere il quadro tendenzialmente il più possibile oggettivo con le singole posizioni personali. ROMEO RICCIUTI. Signor presidente, onorevoli colleghi, a me sembra invece che la relazione manchi di un dato fondamentale. Quando nel mese di ottobre abbiamo iniziato a pensare a questo argomento, in verità lo avevamo notevolmente ampliato, non ridotto soltanto ai rapporti tra mafia e politica ma a quelli tra istituzioni, mafia e politica. A me sembra che su questo piano la relazione sia fortemente riduttiva, per cui vorrei che fosse riportata all'ampiezza che era nelle nostre intenzioni all'inizio dei lavori. PRESIDENTE. Quest'aspetto, se mi consente, riguarda il merito della relazione. Vi sono alcune questioni che riguardano le istituzioni, si è parlato dell'impunità, del livello di coinvolgimento della magistratura e di alcuni settori delle forze di polizia e dei carabinieri - purtroppo - e della burocrazia. La mia è una proposta di relazione ed i colleghi potranno proporre di ampliarla, estenderla, integrarla e correggerla. Pertanto, se lei lo riterrà opportuno, onorevole Ricciuti, proporrà estensioni in merito a questo specifico capitolo. A meno che non si ritenga di approfondire successivamente l'aspetto magistratura o l'aspetto polizia. Tutto questo è fattibile ma se mi consente, onorevole Ricciuti, riguarda piuttosto il merito che le questioni preliminari. MAURIZIO CALVI. Visto che siamo alle schermaglie, da quanto mi è dato capire, vorrei sapere se da parte del gruppo della democrazia cristiana vi siano questioni più importanti, decisive ai fini... PAOLO CABRAS. Ma questo si evince dal dibattito... MAURIZIO CALVI. Dal punto di vista procedurale... PRESIDENTE. Senatore Calvi, la sua domanda è eccessivamente acuta o no? MAURIZIO CALVI. Non lo so... PRESIDENTE. Se i colleghi democristiani hanno qualcosa da dire possono farlo, come tutti. Non mi pare che sia corretto trarre interpretazioni forzate o sbagliate da alcune questioni che, giustamente, sono state poste. Mi sono spiegato? MAURIZIO CALVI. Era per capire meglio. Pag. 1642 PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo della proposta di relazione vi è stato trasmesso ieri e non mi pare che sia il caso di tediarvi sul medesimo. Voglio pertanto esporvi alcune linee guida. Il punto è questo: il rapporto tra mafia e politica, a differenza del passato, è stato riconosciuto autorevolmente sia dal Presidente del Consiglio Amato sia dai ministri dell'interno Scotti e Mancino ma soprattutto dal Parlamento che, predisponendo una serie di leggi, quale quella riguardante lo scioglimento dei consigli comunali inquinati per mafia, stabilendo addirittura la non candidabilità - cosa mai successa prima - di persone che siano state semplicemente accusate per reati di mafia, ha certamente individuato un terreno di connessione. Questo è un fatto positivo e non negativo: il fatto che il Parlamento prenda atto che esistono queste connessioni e predisponga i mezzi per rispondere alle medesime è una svolta in positivo, importante. D'altra parte, l'applicazione di queste misure è rilevante, nel senso che siamo giunti a 52 comuni sciolti per mafia e molti sono gli amministratori sospesi. Nel novero di quelli sospesi in base alla legge sugli enti locali, vi è un cospicuo numero di amministratori sospesi per rapporti con la criminalità organizzata. La proposta di relazione sottolinea che questo non è un tema da dimostrare ma che piuttosto bisogna valutare l'estensione, le modalità e le condizioni di questo fenomeno. Una parte rilevante della proposta di relazione è dedicata al processo oggettivo che si è svolto dal 1943 al 1950, che è stato un po' il processo di insediamento, sulla base dei dati che mi è capitato di vedere, della mafia nel suo rapporto con le istituzioni. Successivamente, sono maturate condizioni di carattere oggettivo che hanno fatto nascere questo rapporto. Che vi siano state deviazioni e corruzioni soggettive non vi è dubbio ma questi dati sarebbero inspiegabili senza un quadro di carattere oggettivo. Il primo quadro di carattere oggettivo a cui si fa riferimento è il bipolarismo. Il secondo quadro a cui si fa riferimento - citando anche chi ha riflettuto su questo tema - è la scarsezza di mezzi investigativi la quale, indipendentemente dalla sua volontà, come qui è stato riconosciuto da alcuni autorevoli dirigenti delle forze dell'ordine, nelle zone di mafia poneva l'esponente delle forze di polizia a contatto con il capomafia, portando a forme di negoziazione i cui effetti abbiamo visto tutti. Ricordo l'espressione grave - che dà il segno della responsabilità dell'uomo - del capo della polizia, il quale disse che una negoziazione ci fu, purtroppo con scarsi risultati per lo Stato e con gli effetti che si sono visti per quanto riguarda la tenuta nei confronti della mafia. Il terzo aspetto oggettivo è un tema notevole di discussione nella cultura storica e che nella relazione è stato chiamato "sicilianismo", cioè una visione tendenzialmente separata dalla realtà regionale rispetto al flusso di questioni nazionali e che a volte ci ha portato anche a costruire una sorta di cintura di sicurezza attorno alle questioni regionali proprie della Sicilia. Alcuni brani della relazione sono destinati alla distinzione fra responsabilità politica e responsabilità penale. La relazione evidenzia che troppo spesso si è schiacciata la responsabilità politica sulla responsabilità penale, facendo così pesare eccessivamente il ruolo dell'istituzione giudiziaria nella vita politica del paese e per converso deprimendo l'autorevolezza delle sedi politiche, le quali devono invece assumere su di sé la capacità di formulare giudizi di responsabilità politica. Questo complesso di questioni non ha creato uno stato di necessità: i dati oggettivi ci sono stati ma non hanno rappresentato uno stato di necessità, ed infatti abbiamo visto che in moltissimi hanno condotto la loro lotta alla mafia in tutte le forze politiche ed in tutte le istituzioni. Un altro aspetto della relazione sulla quale mi sembra che soffermasse la sua attenzione l'onorevole Ricciuti è che i rapporti mafia-politica hanno luogo all'interno di un tessuto molto più ampio che Pag. 1643 riguarda le professioni, le istituzioni e molti altri soggetti. La mafia ha permeato - si osservava - vasti settori delle istituzioni, della società civile e così via, per cui dentro ad un rapporto complessivo si pone anche l'altro rapporto. Oggi sono superate le condizioni oggettive cui accennavo, poiché è superato il bipolarismo; la polizia dispone di mezzi e strumenti e non ha bisogno del confidente di vecchio tipo; la cultura di tipo separatista, od eccessivamente autonomista, nonché la cultura sicilianista, sono superate, ed il presidente della regione Sicilia, Campione, ne ha dato prova nel suo positivo intervento dell'altro giorno. Oggi vi è una particolare sensibilità molto più diffusa anche tra i cittadini e vi è un'indirizzo politico molto più deciso del passato su questo versante: vi sono insomma le condizioni per andare avanti. Vi è forse un punto che la proposta di relazione avrebbe dovuto affrontare più approfonditamente, ma possiamo provvedervi: vi è un livello militare che è prioritario nella lotta contro la mafia. E' un aspetto al quale tengo molto, e che va forse potenziato nell'ambito della relazione. L'attacco di fondo va portato alla struttura militare, che è, diciamo, l'amministrazione di Cosa nostra. Partendo dalla struttura militare si può arrivare poi al resto delle connessioni; se qualcuno pensa di poter fare il ragionamento opposto, si sbaglia, perché rischia di confondere il suo avversario politico con il mafioso, il che è sicuramente un'operazione sbagliata ed inaccettabile. Ci troviamo ora in una fase certamente positiva per l'attacco al livello militare: nonostante tutto quello che si dice, vi sono vari pezzi dello Stato e della società che funzionano. Ritengo che la Commissione parlamentare antimafia dovrebbe avere la funzione, oltre che di verificare e controllare carenze ed errori, anche di creare un tessuto politico ed istituzionale che agevoli la rottura dei vecchi rapporti e l'individuazione delle responsabilità. Il punto politico finale è il seguente: certamente, nel sistema politico che ritengo si stia esaurendo, Cosa nostra ha avuto un peso rilevante ed a volte condizionante. Possono essere indicati una serie di episodi di importanza nazionale per i quali Cosa nostra ha pesato come protagonista politico: è stata infatti chiamata in causa nel tentativo di colpo di Stato di Borghese ed in altre vicende. Pensiamo, per esempio, alla strage del rapido 904, quando Cosa nostra da sola, d'intesa con camorristi ed estremisti, decide di compiere un attentato di quel genere. Quindi, Cosa nostra ha un suo peso politico e una sua capacità di condizionamento. Il passaggio dal vecchio al nuovo sistema deve essere necessariamente caratterizzato anche da una lotta dura a Cosa nostra: se pensassimo che questo passaggio è fatto soltanto da regole formali, probabilmente sbaglieremmo. C'è un problema di regole, certamente, ma c'è anche un problema di liberazione del sistema italiano da ciò che lo ha condizionato. Questo naturalmente non vuol dire che il sistema politico italiano sia mafioso: è stato un sistema che ha avuto la mafia dentro, e che non sempre è riuscito a liberarsene; altrimenti, non avremmo avuto le tragedie che si sono verificate fino a qualche mese fa. Oggi, vi sono, quindi, una volontà ed una possibilità di lotta; vi è la necessità di dare una svolta e ci sono le condizioni per ottenerla. Quella al nostro esame è una proposta di relazione: è la prima volta che una Commissione parlamentare antimafia affronta questo tema, ed è inevitabile che quando si affronta per la prima volta un tema vi siano valutazioni, giudizi, opinioni divergenti. Spero, onorevoli colleghi, che si riesca a trovare unità di intenti sulle questioni essenziali, che sono le seguenti: primo, la lotta alla mafia si deve fare; secondo, la mafia ha avuto rapporti con la politica; terzo, lottare contro la mafia significa anche dare un contributo alla svolta del nostro sistema politico. Ritengo che tali siano le questioni sulle quali è importante decidere ed orientarci. I tempi e le modalità della discussione sono stati decisi all'unanimità dalla Commissione. Naturalmente, nella replica che Pag. 1644 la Commissione ha deciso io svolga, si terrà conto del maggior numero possibile di osservazioni, in quanto non vi è alcuna pretesa da parte di chi ha presentato questa proposta di avere esaurito il tema o di aver detto una parola definitiva. Soltanto dal concorso di volontà e di punti di vista diversi, ritengo si possa arrivare a presentare al Parlamento un quadro che sia il più possibile corrispondente alle aspettative che vi sono attorno a questo tema. La bozza della relazione sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna. In base agli accordi presi, interverrà innanzitutto un rappresentante per ciascun gruppo, secondo l'ordine stabilito. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Borghezio del gruppo della lega nord. MARIO BORGHEZIO. Ho esaminato per ora in maniera forzatamente sommaria la proposta di relazione che ci è pervenuta soltanto recentissimamente e devo dire che ne condivido la filosofia, in quanto indubbiamente rappresenta un documento importante e una messa a punto di quelli che sono i canoni della posizione che la migliore cultura politica del paese deve esprimere, in un momento importante e determinante di svolta politica e istituzionale, nei confronti di uno dei problemi irrisolti storicamente nel nostro paese, cioè quello del rapporto fra politica e criminalità organizzata, e più specificatamente Cosa nostra. Per questo motivo esprimo un orientamento sostanzialmente favorevole del nostro gruppo in ordine al documento in esame. Non posso, però, esimermi dal formulare su molti punti delle richieste di modificazione e delle osservazioni che mi sembrano di non poco rilievo. Ritengo che su alcune delle parti significative della proposta il dibattito in Commissione sia allo stato insufficiente e che il testo al nostro esame ponga delle scelte sulle quali, a mio avviso, non vi è stato un sufficiente confronto. Per porre subito le questioni più brucianti sul tappeto, comincerò da quella del separatismo. In diversi passi della relazione si accenna ad essa; molto significativamente, a pagina 9, si osserva che "alcuni collaboratori avrebbero fatto espresso riferimento a nuove formazioni politiche che sarebbero guardate con attenzione dalla mafia". E' vero che vi è stato qualche accenno a questo problema, ma mi sembra che nella relazione si debba doverosamente dare atto che gli accenni sono stati molto confusi, espressi in forma balbettante, da persone che sembrava ripetessero a malapena qualcosa di cui forse erano convinti fino ad un certo punto. Questo lascia molto da pensare da parte di chi, come noi o l'autorità giudiziaria, deve approfondire i messaggi che vengono lanciati. Non vi è stato alcun riferimento ad alcuna forza politica, mentre per altre questioni vi sono stati riferimenti precisi; non vi sono riscontri politici oggettivi, non vi è, oggi, un movimento separatista. Noi siamo cultori dei rapporti con i movimenti autonomisti, anche culturali, ma non vi è alcuna notizia di movimenti separatisti (sono, fra l'altro, un buon lettore dei giornali nazionali). Un riferimento così sicuro a formazioni politiche e al separatismo mi sembra dunque possa costituire un'ipotesi di lavoro di carattere politologico molto interessante ma che deve essere accettata con molta prudenza da una Commissione parlamentare, che ha un compito grave come il nostro. Mettiamola fra le ipotesi di lavoro, precisando che essa fa riferimento al separatismo e che la cultura politica del paese, ed in particolare quella autonomista siciliana, non hanno niente a che fare con le suggestioni separatiste filomafiose o controllate dalla mafia. Esiste in tutte le regioni, a cominciare dalla Sicilia (che è una regione civilissima), una sana cultura politica autonomista e regionalista, che non ha mai avuto nulla a che vedere con la mafia ed è presente - credo - in tutti i partiti e in tutti gli ambiti culturali. Mi pare che anche nella parte finale della relazione si faccia riferimento a questo argomento; chiedo quindi con forza, a nome del mio Pag. 1645 gruppo, che su tale questione non si ingenerino confusioni, specialmente per quanto riguarda il punto relativo alla cultura politica ed alle proposte di carattere autonomista. Un'altra questione su cui la relazione dovrebbe dire, a mio avviso, qualcosa in più, anche se per forza di cose la Commissione non ha potuto ancora approfondire a sufficienza l'argomento, è quella riguardante il rapporto mafia-politica in relazione ai problemi della penetrazione della mafia nel settore finaziario e bancario. In tale contesto, ci scontriamo con un tema mai sufficientemente approfondito, ma non possiamo dimenticare quanto è emerso dalle audizioni, come i riscontri fornitici dai funzionari della Banca d'Italia. Abbiamo tutti sotto gli occhi, per esempio, i dati sconfortanti dell'esito poco brillante che la legislazione antiriciclaggio ha avuto in quasi tutte le province siciliane. Poiché questo non può essere avvenuto per caso, occorre dire qualcosa sull'intreccio delle nomine politiche, bancarie, e sull'influenza che sicuramente Cosa nostra esercita sul settore bancario anche e particolarmente (ma non soltanto) in Sicilia. Non può essere un caso che le segnalazioni delle operazioni di riciclaggio siano così scarse; non può essere un caso che, nel momento in cui tutti sanno che vi è un pullulare di banche e "banchette" finanziarie, l'attività della vigilanza sembra essersi svegliata soltanto nel 1993. Su tutto questo occorrerà dire qualcosa, mentre non vedo alcun cenno all'argomento. Per quanto riguarda il voto mafioso, a pagina 14 della relazione vi è un accenno al collegamento elettorale: si afferma genericamente che la mafia in Sicilia ha votato "per candidati di tutti i partiti politici tranne MSI e PCI". Ritengo che anche su tale argomento si possa e si debba dire qualcosa in più, perché non possiamo nasconderci i dati elettorali ormai storicamente riscontrati nelle province ad alta densità mafiosa. La Commissione fa bene a non citare nomi specifici laddove non è necessario, proprio per rispettare il principio di separatezza tra la responsabilità politica e quella penale. Si tratta comunque di situazioni oggettive: la geografia politica del voto mafioso è stata identificata e la Commissione non può limitarsi soltanto a sei righe sull'argomento. Vi è poi la parte relativa alle motivazioni che sottendono alla decisione, da parte di Cosa nostra, di eliminare il prefetto Dalla Chiesa. Ritengo che tale questione debba essere evidenziata in maniera più marcata, perché assume tuttora un grande rilievo, anche in relazione ai noti sviluppi e alle notizie di questi giorni. Mi riferisco alla richiesta, pervenuta al Senato, di autorizzazione a procedere contro il senatore a vita Giulio Andreotti. Il tema dell'omicidio Dalla Chiesa è indubbiamente un problema tuttora fondamentalmente irrisolto nell'ambito del rapporto tra mafia e politica. Ritengo quindi che, anche alla luce di quanto sta ulteriormente emergendo, non sarebbe inopportuno evidenziarlo maggiormente. In proposito, devo ricordare che ho avuto modo di richiedere alla Commissione l'acquisizione di tutti gli atti relativi ai procedimenti giudiziari sull'omicidio Caccia, un altro delitto di accertata matrice mafiosa che, secondo l'opinione non peregrina di un magistrato torinese, presenta risvolti rilevanti in ordine al rapporto mafia-politica e mafia-affari. A questo punto, si pone il problema degli intrecci connessi alla penetrazione mafiosa al nord, su cui la Commissione ancora oggi ha indagato troppo poco, questione che si innesta nel complesso dei rapporti tra mafia e politica. A pagina 38 della relazione vi è un accenno al tema, molto interessante, della legittimazione che in qualche modo il potere mafioso ha avuto - o potrebbe aver avuto - in una fase storica internazionale caratterizzata dalla contrapposizione di due blocchi, in quanto la mafia veniva considerata come entità sopranazionale e in qualche modo utilizzata in questo scontro internazionale. Al riguardo, abbiamo chiesto (l'ho chiesto io Pag. 1646 stesso) al direttore dei servizi di sicurezza militari di fornirci una valutazione sull'argomento. Non so che cosa sia pervenuto e se vi siano ulteriori approfondimenti. Chiedo comunque alla Commissione di dedicare a questo tema un eventuale ulteriore approfondimento, utilizzando anche valutazioni più ampie rispetto all'accenno del filosofo Severino. A pagina 41 della relazione viene trattata la questione del "separatismo" e dell'"esasperato autonomismo". Si continua a indulgere in quello che definirei un confusionismo terminologico. Infatti, il separatismo è una cosa mentre l'autonomismo è un'altra; o si tratta di autonomismo oppure di separatismo, non esiste un "esasperato autonomismo". Il separatismo, in particolare, è autonomismo eretto a separatezza; se invece si tratta di autonomismo, resta autonomismo e non può essere identificato con gli interessi mafiosi. Mi sembra infatti che vi siano fior di partiti ultracentralisti poco immuni da contiguità e compromissioni con la mafia, per cui sottolineare in questo modo la pericolosità di posizioni politiche improntate ad un esasperato autonomismo non mi sembra conforme alla realtà che è sotto gli occhi di tutti. In proposito, in un passo della relazione, sempre a pagina 41, si afferma: "(...) specie in una fase in cui si riducono le possibilità di manovra sui flussi di danaro pubblico, che hanno tradizionalmente alimentato nel Mezzogiorno non l'interesse di tutti ma catene clientelari alle quali non sono stati estranei gli interessi mafiosi". Questo è tutto quanto la relazione dice in ordine all'intreccio di interessi e di affari tra mafia e investimenti nel sud. Dopo aver letto - come ho già sottolineato - l'interessantissima serie di intercettazioni disposte, in Sicilia, da quel bravo capitano dei carabinieri sulle utenze telefoniche di un noto (o indagato) professionista della mafia, avente ad oggetto specifico gli intrallazzi sulla legge n. 64, chiedo che si proceda ad un maggiore approfondimento. Per quanto riguarda il delicato argomento della connessione tra la mafia e le associazioni che vanno dai Rotary a quelle cavalleresche, alla massoneria, mi pare corretta l'impostazione della relazione, laddove si afferma che in una certa realtà, particolarmente siciliana, è del tutto evidente che una serie di associazioni sono state o possono essere state utilizzate e strumentalizzate. Segnatamente per la massoneria, ritengo che occorra acquisire le testimonianze e gli apporti della fonte direttamente interessata, perché mi pare che fino ad oggi sul tema la Commissione non abbia altro - a parte il materiale di origine giudiziaria e i resoconti delle audizioni dei collaboratori di giustizia - che un'esile documento, il n. 724, proveniente da uno dei supremi consigli di una delle tante organizzazioni. Su un argomento così interessante ed importante, la Commissione, nel valutare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia - perché la tesi si fonda essenzialmente su queste - e comunque gli intrecci che appaiono esistere fra spezzoni delle organizzazioni massoniche e Cosa nostra, dovrebbe acquisire ben altri elementi rispetto a quelli finora acquisiti. Infine, a pagina 65 della relazione si fa riferimento ai primi risultati conseguiti dal gruppo di lavoro sugli appalti. Appare condivisibile il riassunto di tali risultati laddove si parla dell'esistenza di un comitato di gestione, di una sorta di direttivo, e ritengo corretta anche l'osservazione secondo cui proprio alla garanzia fornita da Cosa nostra sul funzionamento di questo meccanismo è ascrivibile tuttora l'assoluto silenzio degli imprenditori siciliani sulle corruzioni. Sotto questo aspetto si dovrebbe riuscire a fare un passo avanti indicando più precisamente il tipo di connessioni. E' ormai ufficialmente assodato di quale tipo di imprenditoria si tratti: si sono svolte indagini giudiziarie, la pubblicistica ne parla, per cui mi sembra che a proposito delle connessioni tra attività mafiosa e un'imprenditoria magari costretta a collaborare con Cosa nostra si debba dire qualcosa di più analitico. Pag. 1647 Nella parte finale, si dà una valutazione positiva sulla decisione assunta dalla direzione della democrazia cristiana nel senso di sollecitare i propri parlamentari che abbiano in corso una richiesta di autorizzazione a procedere a chiedere essi stessi la concessione dell'autorizzazione. Però, nel momento in cui un esponente autorevole (per tradizioni familiari e per incarichi avuti) come l'onorevole Segni lascia il partito con le motivazioni che abbiamo letto ed ascoltato, tale valutazione è sicuramente insufficiente e non congrua. Consiglierei senz'altro di modificarla. PAOLO CABRAS. Alla luce dell'onorevole Segni? E' un concetto che mi sfugge. MARIO BORGHEZIO. Considerato il dovere che l'onorevole Segni afferma di avere rispetto alla propria coscienza e anche tenuto conto di quella che sarebbe stata la valutazione del proprio genitore, che se non sbaglio è uno dei capi storici della democrazia cristiana, quanto deciso dalla direzione della democrazia cristiana appare largamente insufficiente rispetto a quanto emerge sui rapporti tra partiti politici, e segnatamente esponenti storici della democrazia cristiana, e situazioni collegate a Cosa nostra. PRESIDENTE. A questo punto dovrebbe intervenire il rappresentante della rete ma, poiché l'onorevole Galasso è impegnato negli Stati Uniti, ha chiesto di intervenire nella seduta di domani. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). VINCENZO SORICE. Indubbiamente dobbiamo partire dalla decisione del 15 ottobre 1992, con la quale stabilimmo di affrontare il problema del rapporto tra mafia e politica. In questa impostazione credo vi sia un errore di fondo in quanto sarebbe stato più esauriente e forse più corretto, per interpretare il fenomeno nella sua complessità, parlare di rapporto tra mafia, istituzioni e politica. Proprio questo errore di fondo, di partenza, rischia di non offrire un quadro veritiero o comunque più aderente alla realtà e di vanificare l'obiettivo che si propone questa Commissione e per il quale siamo lealmente impegnati. Un fatto è certo: alla mafia (almeno all'ultima mafia) interessano non i politici o gli imprenditori ma soprattutto le istituzioni, perché il rapporto con esse rappresenta un veicolo indispensabile per poter raggiungere gli obiettivi che si prefigge. Per la mafia non è importante soltanto il collegamento con gli uomini politici; essa ha interesse ad avere collegamenti con la burocrazia, con gli esponenti delle forze dell'ordine, con i magistrati, insomma con tutti coloro che nelle istituzioni hanno un ruolo e quindi possono essere utilizzati. Questo è l'obiettivo della mafia. La politica e l'uomo politico avulsi dalle istituzioni non hanno alcun significato; così un rapporto tra politica e mafia senza il coinvolgimento delle istituzioni nelle loro varie articolazioni rischia di non essere esaustivo: si tratta di fatti staccati uno dall'altro. Di questa impostazione indubbiamente risente la relazione che rischia di dare al Parlamento un'informazione non del tutto significativa. Partiamo da una premessa importante che intendo ribadire: la mafia non è un soggetto politico; non riconosciamo la mafia come "soggetto politico" nel significato che riveste tale espressione all'interno della comunità nazionale. Giustamente il presidente afferma che non ha neanche una fede politica, non essendo un soggetto politico. Ma vediamo qual è l'obiettivo della criminalità. La mafia è un'organizzazione criminale e quindi l'obiettivo fondamentale della mafia è quello di raggiungere l'impunità, perché non si può svolgere un'attività criminale se di converso non ci si garantisce l'impunità. Ebbene, credo che nella relazione di tutto questo noi non abbiamo molta conoscenza, al di là di qualche affermazione generica, sia pure importante, dei pentiti che dicono più volte che i processi dovevano essere "aggiustati". Quindi, il primo punto fondamentale è il rapporto Pag. 1648 della mafia con la magistratura; è lì che abbiamo bisogno di approfondire, come, da chi e perché venissero "aggiustati" i processi. Questo aspetto non mi sembra che abbia avuto sufficiente attenzione. Ma se non partiamo da questo aspetto non possiamo passare al secondo, cioè quello relativo all'intervento della politica sulla magistratura. Prima dobbiamo chiarire questo aspetto che ritengo importante. Questo è un elemento nebuloso che va approfondito. Poi c'è un fatto certo: la mafia ha bisogno dei politici (il presidente lo descrive e noi lo abbiamo registrato), fortunatamente non di tutti i politici, non di tutti i partiti, perché - lo troviamo nella relazione - vi sono ancora dei politici onesti. PRESIDENTE. In tutti i partiti. VINCENZO SORICE. In tutti i partiti. L'excursus storico mi soddisfa come punto elementare, ma noi dobbiamo combattere la mafia. Allora, l'interrogativo che non emerge da questa relazione è il seguente: la mafia continua o no ad operare? O immaginiamo che, eliminati alcuni uomini politici, abbiamo risolto il problema della mafia? Magari fosse così! Potremmo chiudere questa Commissione antimafia! L'interrogativo che mi pongo e che va approfondito nella relazione è il seguente: qual è la presa della mafia sulle nuove formazioni politiche? La mafia, non avendo fede politica, non appartiene ad un partito; la mafia guarda tutte le formazioni politiche che possono essere utili alla sua impostazione. Quindi, l'interrogativo che non trova risposta è quello di verificare il tipo di presa della mafia sulle nuove formazioni politiche, in quanto ci troviamo di fronte ad un ventaglio politico completamente diverso. Abbiamo, quindi, bisogno anche di un'analisi approfondita degli ultimi risultati elettorali per verificare come si sia orientato l'elettorato, verso chi si siano orientati i voti nelle zone a forte intensità mafiosa. Abbiamo bisogno di verificare il nuovo che emerge. Poi, giacché vogliamo parlare di rapporti tra politica e mafia e non tra partiti e mafia, perché non tutti i partiti, non tutti gli uomini dei partiti sono coinvolti, credo vada fatta un'analisi retrospettiva dei comportamenti dei singoli parlamentari nei confronti della legislazione antimafia, perché lì è il punto di riferimento: non c'è un partito della mafia, ci sono degli uomini politici soggettivamente collegati alla mafia individuabili in qualche partito. Vogliamo analizzare qual è il comportamento dei singoli parlamentari soprattutto negli ultimi anni? Chi ha vissuto nelle aule parlamentari, soprattutto quella della Commissione giustizia, sa quante contraddizioni, quanti ostacoli si siano dovuti superare per arrivare a quel tipo di legislazione. Credo che un'analisi vada fatta per avere un quadro completo dei rapporti tra politica e legislazione antimafia. Mi auguro che anche il presidente non accetti un'affermazione, che ritengo pericolosissima, contenuta nella relazione e precisamente al punto 50 di pagina 59: "Da appartenenti alla Commissione è stato chiesto ai collaboratori della giustizia quale dovesse essere il comportamento ufficiale dei loro amici nei confronti di Cosa nostra. La risposta è venuta con l'abituale cinismo degli uomini d'onore: il politico può anche partecipare a manifestazioni antimafia, fare discorsi contro la mafia, l'importante è che poi nella sostanza protegga gli interessi di Cosa nostra. Un politico può anche proporre e far approvare leggi contro la mafia, se questo è necessario a dargli un alibi. Importante è che quelle leggi non vengano applicate e che i processi si possano aggiustare". Poi c'è l'intervento di Buscetta sulla questione. Come va interpretato questo passo della relazione? Si tratta di un passo pericolosissimo nel senso che non altera il rapporto tra politica e mafia, ma mette in discussione il comportamento dei singoli. Come si potrebbe valutare un politico se si dovesse accettare e non contrastare questo tipo di affermazioni? Con molta sincerità devo dire di avere l'impressione che senza accorgersene, involontariamente, Pag. 1649 la relazione si sia costruita sulle dichiarazioni dei pentiti, senza (sia pure involontariamente) un disegno preciso. Non entro nel merito dell'attendibilità o meno dei pentiti, essendo la nostra una Commissione politica; sarà la magistratura a dover definire l'attendibilità, la nostra è una valutazione politica. Tuttavia, non mi sento (è questo il rischio che corre la relazione) di recepire acriticamente le valutazioni politiche e i teoremi dei pentiti, perché senza accorgercene, rischiamo di farli nostri. Non credo che la Commissione possa farsi influenzare politicamente dalle valutazioni politiche dei pentiti. Questo è un pericolo che vedo all'interno della relazione, che risente di un'impostazione del genere. Infine, sempre per un approfondimento dei rapporti della politica rispetto alla mafia, in modo da non limitarci soltanto ai titoli giornalistici o alle notizie scandalistiche, credo che in questo momento debba essere approfondito il cosiddetto discorso della filosofia dell'ipergarantismo. In alcuni passaggi della produzione legislativa, il Governo (chi vi parla in quel periodo aveva l'opportunità di essere sottosegretario di Stato per la grazia e la giustizia) si è trovato sempre in grosse difficoltà, nel tentativo di superare la filosofia dell'ipergarantismo di fronte ad un evento pericoloso proveniente da più parti. Non dimentichiamo che alcuni decreti sono stati ripresentati cinque volte in Parlamento. Ebbene, anche di questo approfondimento non c'è traccia nella relazione, per cui alla fine siamo tutti bravi o tutti cattivi: non c'è un approfondimento dei vari passaggi legislativi e dei vari comportamenti delle forze politiche in quei passaggi legislativi. Questo è il punto fondamentale, perché non credo che una o due persone possano dare una soluzione complessiva al problema. C'è poi un ultimo aspetto che interessa la mafia, oltre all'impunità e al rapporto con le istituzioni, e cioè gli appalti. Al riguardo la relazione è precisa e recita: "Gli appalti di opere pubbliche costituiscono uno dei principali terreni d'incontro tra mafia, imprenditori, uomini politici, funzionari amministrativi". Aggiunge molto bene la relazione: "Gli obiettivi prioritari sono tre: lucrare tangenti, collocare manodopera nei subappalti, far acquisire le forniture delle ditte amiche". Sappiamo che su questo argomento si è svolta una battaglia parlamentare che ha visto le forze politiche divise. Sin da quando iniziammo il dibattito sulle regioni a statuto ordinario, non speciale, è emersa la tendenza delle regioni a delegare a livello periferico la gestione di appalti. Sappiamo anche quale sia stata la lotta compiuta nel momento in cui più volte è stata chiesta l'eliminazione del ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno: una delle accuse rivolte dalle regioni riguardava l'accentramento a livello statale della gestione delle opere pubbliche. Mi chiedo se, per capire cosa sia successo nel nostro paese, possa mancare in questa relazione un capitolo relativo alla storia di chi, e come, si sia attivato per creare le condizioni di un passaggio di deleghe nella gestione degli appalti dal livello centrale a quello periferico, mentre sapevamo - e lo sappiamo ancor più oggi - che dove la struttura amministrativa è debole, là c'è maggiore possibilità di infiltrazione della malavita. Abbiamo bisogno di questo approfondimento per avere un quadro completo della situazione. Infine, per una questione di serenità desidero fare una breve considerazione. Ho molto apprezzato quanto è scritto a pagina 10 - è veramente molto interessante - sulla differenza tra responsabilità penale e responsabilità politica. Nello schema di relazione è scritto: "Il primo tipo di responsabilità è di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria; il secondo è di esclusiva competenza dell'autorità politica. La responsabilità penale è accertata dalla magistratura attraverso le regole formali e certe del processo, e si concreta in sanzioni giuridiche prestabilite. La responsabilità politica caratterizza Pag. 1650 per un giudizio di incompatibilità tra una persona che riveste funzioni politiche e quelle funzioni, sulla base di determinati fatti, rigorosamente accertati, che non necessariamente costituiscono reato, ma che tuttavia sono ritenuti tali da indurre a quel giudizio di incompatibilità. Le funzioni politiche si fondano su un principio di fiducia e di dignità. Ciascun politico ha una responsabilità aggiuntiva rispetto agli altri cittadini, perché egli coinvolge la credibilità delle istituzioni in cui opera". Accetto questo argomento ma, se leggo quanto scritto alla successiva pagina 64, devo avanzare, dal un punto di vista politico, alcune osservazioni, perché ho l'impressione che ci sia una forzatura, proprio considerando le premesse. Mi riferisco alla parte in cui si afferma: "E' difficile credere che il rapporto di Cosa nostra con il sistema politico si sia esaurito nell'attività di garante degli interessi mafiosi che sarebbe stata svolta da Salvo Lima direttamente a Palermo e a Roma, attraverso i propri referenti nazionali. I collaboratori di giustizia hanno descritto una prassi ed un sistema. Ma dell'una e dell'altro non poteva essere Lima l'unico esecutore. E' necessario identificare gli altri politici". Poi, di converso (al successivo punto 52): "Il 30 marzo 1993 è stata chiesta dalla procura della Repubblica di Palermo l'autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Giulio Andreotti, per il delitto di concorso in associazione per delinquere mafiosa. Sulla base di documenti di cui dispone la Commissione, l'accertamento delle eventuali responsabilità penali del senatore Andreotti è un atto dovuto". Noto una certa contraddizione tra la premessa e l'affermazione di pagina 64, perché credo che non possiamo esprimere un giudizio penale sul comportamento del senatore Andreotti, perché quest'aspetto riguarda l'autorità giudiziaria e la discussione che farà in questi giorni la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato. Dunque, in questa situazione, rilevo qualcosa su cui dobbiamo riflettere perché la relazione, sia pure scritta in buona fede e con il massimo di lealtà nei confronti di tutti, fa sì che chi la legga possa arrivare a conclusioni che mi auguro non siano quelle del proponente. Avviandomi alla conclusione, desidero ribadire le considerazioni da me svolte, sia pure nella brevità del tempo che mi è stato messo a disposizione. Credo che l'impalcatura della relazione sia vulnerabile, proprio perché limitata al rapporto tra mafia e politica, senza il coinvolgimento delle istituzioni. Tutto ciò potrebbe creare una serie di equivoci: rischiamo di offrire al Parlamento un quadro non esauriente della realtà, con le conseguenze che possiamo immaginare, conseguenze che la Commissione non potrà più recuperare successivamente. Con la nostra superficialità rischiamo, invece di combattere la mafia seriamente, di indirizzare il discorso verso temi che forse non sono sufficienti ad eliminare ogni tentacolo della mafia nella vita sociale. So che è difficile conciliare nella relazione - questo è il punto fondamentale - due tendenze che caratterizzano coloro che affrontano questi temi: da una parte c'è chi ritiene che la mafia sia soltanto un'organizzazione criminale, da combattere "militarmente"; dall'altro chi ritiene che vi sia una dirigenza politica da cui dipende la mafia e che questa dirigenza costituisca il cordone ombelicale con le istituzioni e il mondo politico. Queste due filosofie si contrappongono. Ritengo che la prevalenza di una tesi sull'altra, o la loro contrapposizione, rischi di non farci intendere il fenomeno nella sua complessità e di rendere inefficace la lotta alla mafia. Occorre quindi un giusto equilibrio nella valutazione, un equilibrio al quale gradirei si arrivasse. Per questi motivi, ritengo di poter chiedere, anche a nome dei colleghi del gruppo della democrazia cristiana, una rielaborazione del testo proposto dal presidente, che faccia perno sul rapporto tra mafia, politica ed istituzioni, con approfondimenti più penetranti e stringenti. Anche se è stato fatto un ottimo lavoro da parte dei membri della Commissione e Pag. 1651 soprattutto del presidente, infatti, rischiamo di offrire al Parlamento una visione non completa della realtà. Credo che una rivisitazione della relazione, anche collegiale, che tenga conto dei suggerimenti avanzati potrebbe essere un utile inizio dei lavori. Ritengo perciò opportuno rinviare l'approvazione della medesima, integrata con l'accordo di tutti noi, non a venerdì ma presumibilmente ad una seduta dopo Pasqua, affinché si possa avere un documento completo, senza rinnegare quello che è stato fatto di propositivo e positivo da parte di questa Commissione. ROMANO FERRAUTO. Stavo per rammaricarmi dell'assenza dell'onorevole Galasso, che mi avrebbe preceduto e che mi avrebbe potuto dare stimoli interessanti, ma comunque vedo che gli stimoli ci sono ugualmente. Inizio subito con il dire che questa proposta di relazione rappresenta un punto di approdo importante e la valutazione che complessivamente ne do è positiva, perché intanto si fa nettezza di tante definizioni della mafia, di tante definizioni di Cosa nostra, e si stabilisce un punto fondamentale - che mi sembra sia stato ripreso anche dal collega che mi ha preceduto - cioè la netta distinzione tra responsabilità politiche in senso lato e responsabilità di altra natura che stanno sul versante penale. Nei confronti del collega che mi ha preceduto, vorrei dire che quando si definisce la politica bisogna aver chiaro che essa ricomprende un po' tutto, cioè ricomprende le istituzioni nel loro complesso, ricomprende l'amministrazione pubblica, ricomprende la magistratura, tutto il mondo ... OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. La politica non ricomprende la magistratura. ROMANO FERRAUTO. Voglio precisare un mio concetto: ricomprende tutte quelle forme che sono presenti nel territorio e che, se anche non sono direttamente incidenti o collegate con la politica, risentono necessariamente del clima che la politica provoca, attua. Tutto quello, cioè, che direttamente o indirettamente nasce da una cultura politica, da un sistema politico, da una valutazione politica e necessariamente influenza: le influenze saranno più o meno dirette, più o meno pesanti, più o meno registrabili, ma comunque ci sono. Quel che mi pare di intravedere in questo documento è proprio lo sforzo di penetrare un fenomeno attraverso una visione - che è una visione prettamente politica - in cui vengono registrate fenomeni, iniziative ed azioni che nel corso degli anni sono state omesse, non sono state dispiegate appieno e che dovevano essere dispiegate per contrastare questo fenomeno. Però il fatto che si sia consapevoli che la politica possa dare una risposta in positivo - diversa da una risposta che è stata fievole in passato, che non è stata sempre forte nel corso del tempo - credo sia una cosa estremamente importante. Ed è un segnale che, a mio modesto avviso, va dato, sì, al Parlamento ma anche a tutti coloro i quali ritengono oggi che i partiti debbano continuare ad assolvere una funzione fondamentale nel nostro paese; che non si possa fare a meno dei partiti; che il sistema democratico costituzionale si regga sui partiti. Quindi, è un segnale ai partiti anche perché capiscano finalmente che bisogna cercare di reintrodurre al loro interno dei comportamenti che vadano a salvaguardare certi valori e si indirizzino verso certe finalità. Credo sia sotto gli occhi di tutti come in questi ultimi anni uno dei compiti fondamentali dei partiti, quello relativo alla selezione della classe dirigente, non sia stato assolto. Altro compito fondamentale dei partiti doveva essere quello di prestare un'attenzione maggiore rispetto a certe forme di delinquenza organizzata di stampo mafioso e di Cosa nostra; credo però che neppure questo sia stato assolto. Questo non possiamo negarlo. E a tal proposito credo che - non mi ricordo chi lo dicesse prima di me - Cosa Pag. 1652 nostra incida di più non solo sulla pubblica amministrazione vicina per ragioni territoriali ma anche lì dove l'amministrazione pubblica è ormai al collasso. Ma ci dobbiamo pure chiedere da cosa derivi il collasso della pubblica amministrazione. Il collasso della pubblica amministrazione a tutti i livelli probabilmente nasce, secondo il mio modesto parere, dal fatto che non c'è stata attenzione della classe politica all'esigenza di offrire alla pubblica amministrazione, alle strutture, efficienza, coordinamento e stimoli giusti. Quindi, la pubblica amministrazione è diventata quasi un alibi nei confronti di una classe politica - nella quale ci siamo tutti, ci sono anch'io - che è stata poco attenta a tutto ciò. E' vero che ci sono finalmente norme che sembrerebbero restituire all'apparato burocratico responsabilità che prima non si sapeva bene se fossero ascrivibili al politico, e quindi all'amministratore, o al dirigente; ma è anche vero che se la struttura burocratica non riacquista - ed è dal livello politico che deve venire lo stimolo - la capacità di interpretare il nuovo, il funzionale, l'oggettivo, vivremo sempre, secondo me, momenti poco chiari della vita del nostro paese. Su una questione a me pare forse necessario approfondire alcuni dettagli: il rapporto di Cosa nostra con la massoneria. Voglio parlare di questo particolare aspetto, perché la massoneria non deve restare un qualcosa di evocato, che sta sulle nostre teste e che viene chiamato in causa ogni qual volta accadono cose strane, straordinarie oppure catastrofiche. Bisognerebbe invece andare a precisare, in modo tale che il fenomeno possa essere ancora di più e meglio scandagliato, dicendo tra noi, e dichiarando nel documento che andrà in Parlamento, di voler incoraggiare le iniziative della magistratura per verificare fino in fondo le attività delle logge massoniche, perché è necessario che ci sia trasparenza, che non ci sia segretezza: gli iscritti alle logge massoniche, in sostanza, devono essere registrati come si registrano i soci nelle società. Bisogna cercare di uscire finalmente dall'equivoco che esiste nel nostro paese, per cui - forse fa comodo a parecchi, non lo so - dopo venti anni dalle stragi non si sa bene se alla fine ci sia stata l'influenza della sinistra estrema o della destra. Tuttavia, fa comodo a tutti ogni tanto avere la possibilità di evocare o l'una o l'altra di queste posizioni. Facendo chiarezza e nettezza in situazioni di questo tipo, daremmo un grandissimo contributo alla verità, nonché all'azione legislativa e alle iniziative di contrasto che in questi ultimi tempi - bisogna darne atto - si stanno assumendo e che sono adeguate, all'altezza del compito. Le forze politiche che hanno avuto la possibilità di ascrivere a loro merito iniziative di questa natura ne possono vantare oggi i vantaggi; ma, nello stesso tempo, ogni forza politica deve non accontentarsi di quello che oggi registriamo, ma mantenere alta - qui sono completamente d'accordo con quanto scritto nella relazione - l'attenzione su una serie di fenomeni presenti nel nostro paese, perché non vi sia una caduta che in questo particolare momento potrebbe essere catastrofica. Altra questione che nel documento viene poco tratteggiata, se non addirittura poco trattata, è quella di un certo tipo di riciclaggio, un fenomeno che certamente avrà una trattazione a parte, particolare, forse approfondita. Vi sarà anche occasione di verificare a livello parlamentare il prossimo disegno di legge in materia. Faccio in proposito un'ulteriore considerazione ad alta voce. A me non pare che alcuni aspetti del riciclaggio siano o possano esistere al di fuori di una sfera politica cosciente. Vale a dire: se pensiamo che gran parte del riciclaggio viene effettuato nel nostro paese - si evocano paradisi fiscali, banche irachene, banche di Nassau od altri istituti, ma gran parte del riciclaggio avviene nel nostro paese - , allora queste cose non avvengono senza che vi siano compiacenze, anche a livello di responsabilità elevata, non soltanto sul piano dirigenziale, ma anche, credo, di tipo politico, visto che la gran parte degli istituti bancari nel nostro paese sono Pag. 1653 direttamente o indirettamente assoggettati ad una vigilanza ed ad un controllo che poi diventano di natura politica. Considero tale aspetto estremamente importante perché è attraverso questi flussi che si possono individuare referenti particolari che, secondo il mio modesto parere, devono essere ancora di più e meglio scandagliati. Per ritornare ad una questione che è un po' il mio pallino, osservo che l'autorità politica il più delle volte si limita a valutare le ricadute o gli aspetti legati alle cosiddette riforme sovrastrutturali - così le chiamo - o alle riforme di struttura, senza andare mai a vedere come queste riforme incidano sui soggetti attivi, quindi sulla vita sociale ed economica. I referenti più importanti nella vita civile, sociale ed economica, i presìdi quasi della democrazia, sono rappresentati dai comuni, dalle province e dalle regioni. Se non terremo in largo conto queste realtà politiche locali estremamente importanti ed i riflessi derivanti dalle decisioni di questo corpo politico sulla crescita degli apparati burocratici - torno a parlare di apparati burocratici e quindi di responsabilità - probabilmente continueremo a polemizzare su qualche cosa più o meno importante, vedendola come riflesso di valutazioni politiche di partito - che pure devono essere tenute presenti - ma a mio avviso lasceremo sempre ampio margine a confusioni e malintesi. E invece non dovremo proprio avere più malintesi in questa particolare materia. Ho apprezzato i lavori della Commissione, anche se non mi è stato possibile seguirli in alcuni frangenti. Me ne rammarico perché ogni occasione di incontro è stata per me un accrescimento delle mie conoscenze a proposito di tanti fenomeni che sono stati qui visti, scandagliati e verificati. Apprezzo quindi lo sforzo che è stato fatto con questo documento per quanto riguarda l'aspetto mafia-politica. Non vi sono obiezioni rispetto ad un'eventuale richiesta di approfondimento perché ogni cosa può essere migliorata, ogni questione che sia importante, che può essere vista con un'ottica particolare, può essere approfondita, può dare adito anche a confronti, che possono anche essere svolti: se viene avanzata una richiesta in questa direzione non sta a me rifiutarla. Ripeto: per quanto riguarda me e il gruppo cui faccio riferimento, credo che, al di là di qualche emendamento aggiuntivo, la relazione possa essere valutata positivamente. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Mi scusi, presidente, vorrei intervenire sull'ordine dei lavori. Alle 17 i deputati sono impegnati in aula per votazioni; l'avevo fatto presente prima... PRESIDENTE. Sì, ma non siamo sconvocati, onorevole Fumagalli. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Vorrei far presente che in altra occasione abbiamo chiesto di essere considerati in missione, ma quest'oggi non c'è stato concesso; chiediamo pertanto che vengano interrotti i lavori della Commissione. PRESIDENTE. Onorevole Fumagalli, possiamo interrompere i lavori della Commissione se siamo sconvocati dai Presidenti della Camera e del Senato. Abbiamo stabilito un calendario, che è questo. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Se un gruppo non può rimanere, presidente... PRESIDENTE. Questo è un problema che riguarda tutti i colleghi. Onorevole Fumagalli, lo sapevamo...lei tra l'altro è vicepresidente del gruppo, quindi sapeva bene che... OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Pensavo che sarebbe stata concessa la missione! Pag. 1654 PRESIDENTE. I presidenti dei gruppi non hanno ritenuto di darla, il presidente del suo gruppo anche; che cosa vuole che le dica? Non è nei miei poteri disfare quello che la Commissione ha deciso! Possiamo essere sconvocati dalle Presidenze della Camera e del Senato. ALDO DE MATTEO. Presidente, non è possibile riorganizzarci tenendo conto degli impegni, che sono parlamentari, non personali? PRESIDENTE. Questo non è un impegno personale, senatore De Matteo, è un impegno parlamentare. ALDO DE MATTEO. Proprio perché non sono impegni personali, sono impegni parlamentari! Per esempio, domani mattina alle 10 dobbiamo obbligatoriamente essere presenti in Senato, quindi non potremo partecipare. PRESIDENTE. In genere, questi problemi vengono risolti quando si discute il calendario. Tutti sapevano... ALDO DE MATTEO. Sono intervenute alcune novità. PRESIDENTE. Senatore, ci mancherebbe altro, non è che mi permetto di dire: non discutiamo di questa cosa. Ora andiamo avanti; a fine seduta vedremo...Altrimenti questo vuol dire lavorare venerdì e sabato. Come facciamo? OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Presidente, fino a quando intende condurre la seduta, perché veramente... PRESIDENTE. Onorevole Fumagalli, lei è molto impegnata e non le è capitato di frequentare questa Commissione, quindi non sa come i lavori siano stati organizzati finora, dal 1^ ottobre ad oggi. Sono stati organizzati nel senso che la Commissione ha assunto una serie di deliberazioni che vincolano tutti, sia quelli che c'erano sia quelli che non c'erano, perché questo è il sistema parlamentare. MASSIMO SCALIA. A questo riguardo, signor presidente, mi sembra che i colleghi proponessero una cosa molto semplice. Eravamo rimasti d'accordo, riguardo alla statuizione del calendario, che la presenza in questa sede sarebbe stata giustificata ai fini del computo delle presenze in Aula; credo sia sufficiente che il presidente della Commissione riproponga con forza questa esigenza. E' questa la proposta, molto semplice, che desidero avanzare. PRESIDENTE. La questione è stata posta. In genere accade che i presidenti di gruppo dichiarano in missione chi ne fa richiesta. Questa volta - non so bene cosa sia accaduto - applicando il regolamento hanno giustamente deciso che, poiché la seduta della Commissione antimafia si tiene in sede, non è possibile considerare in missione i commissari che ad essa partecipano. MASSIMO SCALIA. Sull'ubiquità abbiamo tutti qualche problema. PRESIDENTE. Mi auguro che questo fiscalismo sia seguito in tutti i casi. Comunque, il calendario che abbiamo davanti è quello che noi abbiamo fissato. Per quanto riguarda domani, poiché quello sollevato dal senatore De Matteo è un problema abbastanza serio, al termine della seduta decideremo come organizzare i nostri lavori. D'altra parte, non sono previste votazioni e i resoconti stenografici sono pronti ad horas; mi rendo conto che sia interesse di tutti seguire i lavori della Commissione ma l'unica cosa che posso dire è che possiamo forse governare le cose in modo tale che vi sia equilibrio tra le diverse esigenze. MASSIMO SCALIA. Mi consenta, presidente, di concludere su questo punto. Io Pag. 1655 resto qui però non ritengo - devo usare un aggettivo pesante - intelligente che si decida sull'ubiquità. PRESIDENTE. Cosa intende per ubiquità? MASSIMO SCALIA. Poter essere simultaneamente in due posti, come Sant'Antonio. GIOVANNI FERRARA SALUTE. La scelta di dove stare è nostra. Io scelgo di stare qua. MASSIMO SCALIA. Anch'io scelgo di stare qua. Però mi sembra poco corretto che gruppi che hanno un solo rappresentante all'interno della Commissione antimafia debbano scegliere se essere presenti qui o in aula, avendo due doveri che sono confrontabili. Sottopongo al presidente il problema che non si deve discutere soltanto di cosa faranno domani altri colleghi ma anche di cosa fanno oggi quei colleghi che, come me, si trovano in questa singolare situazione. PRESIDENTE. La ringrazio. MASSIMO SCALIA. Venendo all'oggetto del dibattito, dichiaro di condividere sostanzialmente l'impianto della bozza di relazione che ci viene proposta dal presidente ma di avere, invece, perplessità non secondarie per quanto riguarda le conclusioni che dovrebbero essere sottoposte a votazione. Condivido sostanzialmente l'impianto della proposta anche se ritengo sia stato riduttivo interpretare una sessione che era nata come "mafia e politica" soltanto all'insegna di "Cosa nostra e politica", per di più restringendo il carattere di Cosa nostra - in contrasto con quello che abbiamo imparato nel corso di quest'ampia sessione di lavori - in un ambito esclusivamente siciliano. Questa relazione è un po' troppo "siciliocentrica". Abbiamo invece imparato, nel corso di questi lavori, che Cosa nostra riguarda anche la camorra e la 'ndrangheta, non soltanto per l'affiliazione di uomini d'onore o per una sostanziale analogia strutturale quanto proprio per un tessuto comune di iniziative, interessi, imprese e finalità. Ritengo dunque che l'aver ridotto il discorso mafia-politica al discorso Cosa nostra-politica, con un'interpretazione ulteriormente riduttiva di Cosa nostra, ponga problemi proprio quando si tratta di andare a trarre le conclusioni. Fatta questa precisazione, dico anche per quale motivo sono sostanzialmente d'accordo con l'impianto della relazione. Ringrazio quasi il collega Sorice per avermi fornito elementi di contrasto: egli ritiene che si sarebbe dovuto dare maggiore risalto all'aspetto delle istituzioni; a me pare che il nostro lavoro - che la relazione traduce abbastanza fedelmente - sia denso della presenza delle istituzioni. Dai magistrati alle forze dell'ordine, ai pubblici amministratori non vi è passo della relazione in cui questi soggetti non siano indicati come determinanti e motivanti il complesso di considerazioni che vengono svolte. Trovo, poi, particolarmente poco convincente la critica ad uno dei punti fondamentali della relazione, vale a dire quello in cui si indica l'impunità quale obiettivo fondamentale di Cosa nostra. A questo riguardo, non solo vengono spese molte pagine ma molto concretamente vengono ricordati gli elementi dell'impunità, che vanno dal famoso aggiustamento dei processi, certe volte dal primo grado ma, caso mai, in Cassazione, al trattamento privilegiato di molti mafiosi in carcere, alle latitanze pluriennali e domiciliari, ad una serie di altri elementi che costituiscono, appunto, il modo attraverso cui si realizza quest'impunità che, giustamente, viene indicata come uno degli obiettivi fondamentali di Cosa nostra. Devo anche dire che trovo adeguato il peso che viene dato nella relazione ai nuovi orientamenti della mafia rispetto alle nuove forze politiche. Il lavoro che abbiamo alle spalle fa i conti, come la ricostruzione storica in qualche modo testimonia, con 40 anni, a dir poco, di mafia. Mi sembra dunque che sia Pag. 1656 predominante capire cosa sia accaduto nei 40 anni passati, piuttosto che andare a verificare quali siano i recentissimi orientamenti di Cosa nostra e della mafia in ordine al nuovissimo sorgere di formazioni politiche. Questo potrà essere senz'altro oggetto di indagine, ma non credo che si possa cercare di avere già da oggi un'idea ed una rappresentazione congrue in termini di documenti. Proprio per il banale criterio di dare peso alle cose che ne hanno, ricordiamo che abbiamo alle spalle 40 anni di un certo tipo di comportamento mafioso. En passant, dal momento che ognuno in questa sede parla per la sua parrocchia, se così si può dire, pregherei che nei due o tre passi nei quali si ricorda che le attenzioni di Cosa nostra sono state rivolte a tutto lo schieramento politico tranne il movimento sociale italiano ed il partito comunista, poiché i verdi esistono come formazione politica che si è presentata più volte in Sicilia a partire dall'ormai lontano 1986, credo che non sarebbe sbagliato ricordare che anch'essi hanno patito molto per le scarse simpatie della mafia, non in termini di consenso elettorale (che non vogliono) ma riguardo a quell'azione costante che insieme agli ambientalisti hanno condotto in quella regione, e non solo in quella regione, appunto contro la mafia. Non condivido neanche l'opinione del collega Sorice per cui questa relazione è costruita sulle dichiarazioni dei pentiti (e questo, se fosse vero, sarebbe popperianamente l'experimentum crucis) o almeno dà la sensazione di esserlo: se così fosse, credo che non potremmo far altro che buttarla via. Il ricorso ai collaboratori di giustizia ha inevitabilmente fornito un quadro che spero nessuno di noi potesse avere per conoscenza diretta, interna alla mafia, quindi va tenuta nel giusto conto una serie di informazioni preziose che essi hanno fornito sul modo in cui si organizza la mafia sul territorio, sul suo ruolo a livello locale e nazionale. Mi sembrerebbe però non corretto arguire da questo che il documento è costruito sulle dichiarazioni dei pentiti. Ciò, francamente, non mi sembra corrisponda a quanto queste pagine ci danno. Cosa riguardano, allora, le perplessità di cui parlavo e che pregherei il presidente, estensore della bozza di relazione, di tenere in considerazione, per quanto gli è possibile, come posizione che il gruppo dei verdi ha elaborato questa mattina nelle poche ore che i gruppi hanno avuto a disposizione per esaminare la proposta? Pensiamo, ad esempio, alla frase, lapidaria ma essenziale: "L'impunità è la principale preoccupazione di Cosa nostra"; la prima domanda che sorge spontanea è quali fossero i garanti politici di quest'impunità. La relazione costruisce una serie di elementi per fornire la risposta ma si ferma nel momento in cui dovrebbe darla: questo è il maggiore elemento di sorpresa. Il presidente mi consenta di dire che le conclusioni mi sembrano abbastanza low profile (per usare un termine inglese), un po' timide, quasi che questa Commissione possa nascondersi dietro decisioni che la magistratura ha preso. Proprio perché con grande sapienza nella relazione viene fatta una distinzione netta tra responsabilità politica e responsabilità penale, ciò che questa Commissione non si può consentire è proprio di venir meno all'individuazione di responsabilità politiche. Accettando dunque il saggio appello che responsabilità politica non significhi pregiudizio nei confronti dell'avversario politico ma sia il risultato di quanto si determina sulla base dell'informazione, della conoscenza, della riflessione, di tutto quanto è maturato in questi mesi di lavoro e mettendo da parte una serie di suggerimenti che sono venuti - penso, ad esempio, a quello del collega Borghezio, secondo il quale sarebbe forse opportuno approfondire i collegamenti e le intrusioni mafiose nel mondo finanziario e nel nord d'Italia o al fatto che la relazione non sia del tutto esauriente sul tema relativo al traffico della droga - il punto che caratterizza la relazione consiste proprio nel suo impianto. Tale impianto infatti, pur con alcune riduzioni che prima sottolineavo, consente, nella Pag. 1657 chiarezza della distinzione tra responsabilità politica e responsabilità penale, di pervenire ad attribuire responsabilità politiche. Sottolineo allora con molta fermezza che va colto appieno il discorso della responsabilità politica e, in contrasto con quello che hanno affermato alcuni colleghi - ed altri affermeranno - non ritengo affatto che sia necessario fare riferimento agli ultimi provvedimenti presi dalla magistratura. Non ci serve, infatti, di essere informati sull'avviso di garanzia emesso dalla procura di Palermo nei confronti del senatore Andreotti o di quello inviato dalla procura di Napoli al senatore Gava; non ci serve in quanto la relazione contiene gli elementi sufficienti per determinare la responsabilità politica di Andreotti e forse anche di altre personalità politiche. Questo perché spetta a questa Commissione fornire un giudizio non di carattere giudiziario ma di carattere politico. Gli addebiti mossi a Gava ed Andreotti possono non costituire reato - su questo sarebbe stolto che qualcuno di noi si pronunciasse - ma sicuramente costituiscono critiche rispetto alle responsabilità politiche che queste personalità hanno assunto all'interno del loro partito in ordine non soltanto al non combattere adeguatamente la mafia ma all'essere responsabili di quel clima che ha reso possibile quella che qui viene chiamata la coabitazione, ha reso possibile tante cose che noi vogliamo combattere. Voglio ricordare la dichiarazione agghiacciante - credo fosse di Buscetta - di come può avvenire l'informazione da parte della mafia - dato che si parla di responsabilità politiche - nei confronti del politico: prima si seleziona un politico e in ordine ad un episodio, anzi ad una tragedia tipo quelle di Capaci o di via D'Amelio, gli si fa sapere cosa intende fare la mafia. A questo corrisponde una sorta di presa d'atto; non vi è quindi bisogno di pensare a tavoli o a sedi particolari, ad incappucciamenti o a sedute clandestine. Questo modo di procedere è semplicemente agghiacciante e, a mio modo di vedere, può configurare gravissime responsabilità politiche. Pur avendo rispettato l'invito del presidente di non utilizzare per intero il tempo di venti minuti, credo di aver detto quanto mi premeva dire. Confermo di essere d'accordo sull'impianto della relazione, sia pure con le critiche e le modifiche che ho esposto, e chiedo al presidente di tener conto di queste perplessità sulle conclusioni; se infatti non ci mostrassimo all'altezza del nostro compito, se nei fatti lasciassimo all'autorità giudiziaria la soluzione di questioni che attengono agli aspetti giudiziari non assumendo in pari tempo posizione su quelli politici, se quindi venissimo meno al compito di individuare con precisione le responsabilità politiche che il nostro lavoro e questa relazione ci consentono di individuare, saremmo del tutto inadempienti, mi consenta, signor presidente, rispetto a quel terzo punto che nella relazione introduttiva ella ci faceva presente, cioè la necessità di combattere la lotta alla mafia attraverso il rinnovamento. Non vi è rinnovamento se gli organi dello Stato (in questo caso la Commissione antimafia) non sono all'altezza di denunciare in modo sereno, senza faziosità e senza pensare ad attaccare questo o quel partito. Non sono d'accordo con chi prima ricordava le posizioni dell'onorevole Segni, poiché quest'ultimo ha fatto parte della democrazia cristiana per decenni e forse poteva accorgersi anche prima di certe cose. Non ci serve Segni come mentore né abbiamo bisogno di contrapposizioni tra le forze politiche ma le responsabilità politiche di singoli uomini politici devono essere da questa Commissione denunciate al termine di un lavoro che è stato molto intenso ed approfondito e devono essere contenute in questa relazione. Diversamente, la battaglia per il rinnovamento verrà compiuta solo per metà e le cose fatte a metà non portano frutto. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Vorrei innanzitutto assumere una posizione Pag. 1658 generale sulla relazione, sulla quale il mio giudizio è positivo (spiegherò poi perché). Di conseguenza, il mio giudizio positivo diventa anche una scelta concreta per quanto riguarda la sua utilizzazione; credo che effettivamente si possa votare pro o contro nei tempi stabiliti e quindi, se vi sono proposte concrete di rinvio, per quanto mi concerne sono contrario. Vorrei ora spiegare le ragioni del mio giudizio. Non vi è il minimo dubbio che tutto quello che è scritto in questa relazione potrebbe essere molto approfondito, come non vi è il minimo dubbio che gran parte della materia che riguarda la mafia resta fuori; resta inoltre fuori una parte cospicua di fatti che riguardano la politica, anche se solo indirettamente o in via formale. Tutto questo è indiscutibile. Cosa dobbiamo fare ora, in considerazione del momento in cui ci troviamo? Devo confessare che se una Commissione antimafia - non mi ricordo se la sesta o la settima, nelle varie forme che ha assunto nel mezzo secolo che abbiamo vissuto - non è in condizione di trovare in se stessa la possibilità di fornire al Parlamento e quindi all'opinione pubblica uno schema fondamentale di interpretazione del fenomeno, se così è, che cosa possiamo dire della storia del nostro Parlamento e della nostra stessa politica? Ho l'impressione - scusate l'espressione poco parlamentare - che ci riderà dietro tutto il paese se affermeremo di aver bisogno di una settimana ancora di approfondimenti; potremmo dire di aver bisogno di dieci anni di approfondimenti, ma questo è un altro discorso. Qui non si debbono scrivere libri di storia ai quali, effettivamente, non si possono porre limiti di calendario: piuttosto dobbiamo proporre al Parlamento ed all'opionine pubblica uno schema, una griglia di interpretazione generale dei fatti passati, presenti ed eventualmente futuri. Il campo, pertanto, deve essere ristretto ed in questo senso mi pare giusto limitarlo al rapporto Cosa nostra-politica, nel senso restrittivo sia di Cosa nostra (quindi non camorra, non 'ndrangheta, nienti pugliesi e, nella stessa Sicilia, non tutta la malavita organizzata, poiché sappiamo che vi sono altre organizzazioni che cominciano ad affacciarsi) sia del mondo politico come luogo di decisione e di influenza sui rapporti economici ed istituzionali, inteso cioè come mondo degli uomini politici nel senso più normale dell'accezione, i quali di solito ricoprono responsabilità istituzionali; non sempre, però, vi sono responsabilità istituzionali che non riguardano il rapporto con la mafia mentre vi sono uomini politici non istituzionali (o, in certi momenti, non istituzionali) che invece lo riguardano. Credo dunque che l'impostazione empirica della relazione sia sufficiente. Dicevo che dobbiamo fornire una griglia, uno schema di interpretazione perché è chiaro che una relazione come questa non può e non deve mirare alla completezza, alla ricchezza caratteristica di un lavoro di tipo storico o teorico. Fra l'altro, non ho mai creduto neanche a questo: sono rimasto allievo di Benedetto Croce e non ho mai creduto alla storia fatta da una società di professori; la storia è un lavoro eminentemente individuale e credo che non possa essere diversamente, anche se ci si può avvalere della collaborazione altrui. Dobbiamo essenzialmente fornire al Parlamento, per quello che oggi siamo in grado di fare, una guida per l'interpretazione di fenomeni riproducibili: nella situazione data si sono presentati in un certo modo, ma quello che essenzialmente dobbiamo ricavarne è lo schema in base al quale giudichiamo possibile che si istituiscano rapporti fra criminalità organizzata, uomini politici e mondo istituzionale, nella misura in cui è coinvolto (quindi non solo il mondo politico in senso diretto), allo scopo di fornire una guida politica al Parlamento in ordine a come atteggiarsi in futuro nel campo legislativo ed in quello dell'intervento governativo per quanto riguarda questo fenomeno. Da questo punto di vista la relazione mi pare più che sufficiente, anche se naturalmente ognuno può avere le proprie opinioni; per quanto mi riguarda vi Pag. 1659 sono cose che avrei allungato ed altre che avrei accorciato, alcune delle quali esporrò a conferma del fatto che io stesso considero la relazione come una proposta da modificare, se è necessario. Il punto che mi preme sottolineare è che l'impianto generale, con tutte le critiche particolari che si possono formulare, mi sembra molto equilibrato; pur essendo per carattere tendenzialmente piuttosto fazioso, ritengo che ciò che ci deve maggiormente premere è aiutare il paese ed il mondo politico ad abbandonare il loro passato. Se questo può avvenire in modo non traumatico, nel convergere delle forze su una nuova impostazione reale delle cose, francamente preferisco questa strada ad una soluzione che pretenda di mettere in luce violenta i pro ed i contro ed in qualche misura rischi di creare problemi più complicati di quelli che già non vi siano. La prudenza è materia più realistica, non solo ai fini dello spirito di compromesso ma proprio ai fini dell'operatività di un'azione di liberazione della politica italiana da un passato che indubbiamente esiste e che, secondo me, non può essere negato con prove di un certo tipo. Capisco il ragionamento per il quale un partito, una persona od un gruppo hanno compiuto azioni antimafia attraverso leggi, provvedimenti, atteggiamenti o discorsi parlamentari e non parlamentari, questo deve avere un rilievo e certamente ce l'ha. Tuttavia, aver compiuto un'azione antimafia con la legislazione e con i discorsi è una prova necessaria ma non sufficiente. Parlo per esperienza poiché conosco un partito - nessuno si offenda perché non è nessuno dei vostri - in cui vi sono state persone che probabilmente, sia pure in modo indiretto, avevano a che fare con il fenomeno mafioso. Da questo punto di vista, non mi sento affatto impegnato globalmente con la storia di questo partito e non vedo perché un partito si debba sentire impegnato globalmente per la sua storia passata: il mondo non andrebbe mai avanti se tutti facessimo così! Devo dire che non ricordo che queste persone abbiano mai fatto discorsi filomafiosi o non abbiano fatto grandi sparate contro la mafia o non abbiano votato a favore delle leggi in materia: si tratta di un'elementare precauzione perché (anche a prescindere dalla mafia) è raro il caso di qualcuno che preferisca tutelare i propri interessi di categoria in modo sfacciato invece di intervenire in modo sfumato e quando questo non nuoce. E' una norma di prudenza essenziale che, nei casi di tempesta, si rifà al celebre proverbio siciliano "chinati giunco che la piena passa". Vi sono comunque alcuni elementi che sono sempre rimasti come caratteristica, diciamo a scalare a seconda delle concessioni che con il tempo si sono dovute fare ad una realtà sempre più dominante, e cioè che il compromesso fra politica e mafia era insopportabile. Inizialmente il discorso era: la mafia non esiste; ad un certo punto, ad un determinato tipo di politici sostenere questa tesi sembrò un po' troppo; si disse pertanto che la mafia è un affare che riguarda i magistrati perché è fatto criminale e non politico. Anche questo sembrò poco dal punto di vista sia reale sia teorico, perché un fatto che incide in modo così ampio sulla cosa pubblica è difficile che non corresponsabilizzi in qualche modo anche la cosa pubblica. Esiste una responsabilità, non chiamiamola oggettiva, ma quanto meno storica: se in casa mia, dove comando io, per venti anni si verificano certe cose, non le avrò compiute io, però in qualche maniera non ho comandato bene. Allora si ammise questo. Restò pertanto l'ultima carta, quella cioè di dire che la mafia in Sicilia, secondo una battuta che girava, è come una grande industria italiana di una grande città del nord: è qualche cosa con cui si devono fare i conti, è una realtà storica dalla quale non ci si può liberare. Neanche questa terza soluzione regge più. Condivido pertanto quanto si afferma nella relazione e cioè che condurre a fondo la lotta contro la mafia è uno dei momenti del rinnovamento della vita politica italiana, proprio perché chiaramente Pag. 1660 è finita una fase, salvo il fatto che, trattandosi di fenomeni profondi, essi possono riprodursi. A chi conviene, fra le forze politiche vecchie e nuove di questo paese, che tali fenomeni si riproducano? Non può convenire a nessuno. A chi ritiene che chiarire troppo le cose possa significare complicarle rispondo che qualche rischio bisogna pur correrlo anche se, come ho detto, con molta prudenza, perché è opportuno arrivare a conseguenze realistiche. Per rafforzare la relazione predisposta si possono svolgere alcune osservazioni, la prima della quali è di carattere storico. Pur condividendo quanto è scritto nella parte storica che inizia dalla liberazione, praticamente dal 1943, l'abbrevierei per non appesantire troppo la relazione perché, al contrario di qualche collega, ritengo che gli scritti brevi siano migliori di quelli lunghi ed inoltre per non conferirle un tono superfluamente accademico o istruttivo, in una materia dove si suppone che, essendo ormai la bibliografia molto ampia, una certa informazione vi sia. Inoltre, per quanto riguarda il problema storico della mafia e dei suoi rapporti con la società siciliana ed italiana, credo si tratti di una questione difficilmente riassumibile in modo molto sintetico, giacché si rischia di apparire superficiali. Del resto, si tratta di un aspetto lontano nel tempo, in ordine al quale esiste un'abbondante documentazione storica. Se mi è consentito svolgere un'osservazione particolare, vorrei dire che al riconoscimento del ruolo svolto dalla mafia nella liberazione della Sicilia durante la seconda guerra mondiale (indubbiamente si tratta di fatti realmente accaduti) non dedicherei molto spazio, anche perché non vorrei che si finisse per assegnare una vera e propria medaglia alla mafia per aver collaborato - niente meno! - ad abbattere la tirannide nazista. Non vorrei, in sostanza, che si sostenesse la tesi secondo la quale le scelte politiche compiute dalla mafia in determinati periodi storici siano state savie. Tale discorso porterebbe, infatti, ad ulteriori e pericolose considerazioni. Nella proposta di relazione è contenuto un ampio riferimento alla massoneria, che fa venire immediatamente in mente il problema della responsabilità soggettiva della massoneria di fronte all'infiltrazione mafiosa. Tale aspetto è semplicemente accennato, anche se in un inciso successivo viene ben chiarito. A mio avviso, sarebbe opportuno specificare in modo più adeguato l'atteggiamento tenuto dalla massoneria nei confronti della mafia, collocando tale specificazione nella parte della relazione che contiene il primo riferimento a questo aspetto particolare, per non dare adito ad obiezioni di carattere persecutorio. Ritengo inoltre che debba essere maggiormente chiarito cosa si intenda per massoneria: dal testo si evince con chiarezza l'esistenza del Grande oriente d'Italia, della massoneria di Piazza del Gesù e delle logge autonome, tuttavia si corre il rischio di cadere in una certa genericità. Pertanto, sarebbe opportuno specificare meglio al fine - ripeto - di non prestare il fianco a discussioni. Quanto al discorso relativo al momento giudiziario ed a quello politico della responsabilità, credo - mi rivolgo in particolare al collega Scalia - che sia necessario procedere con particolare attenzione. In questo senso richiamo il riferimento alla prudenza ed al realismo che ho formulato all'inizio del mio intervento. Indubbiamente vi è una suggestione molto forte del momento giudiziario: la giustizia evoca nomi e situazioni e tutto questo, ovviamente, induce all'attenzione politica. E' necessario comunque essere molto attenti a non accettare tale logica fino in fondo perché essa rischia di diventare, anche senza volerlo, una giustificazione di quella che è sempre stata la logica opposta. In base a quest'ultimo orientamento, fino a quando non vi sia un chiarimento giuridico definitivo, non si può sospettare di alcuno. Se qualcuno sostiene che l'evocazione di determinate responsabilità da parte della magistratura rappresenta un aspetto che non può Pag. 1661 esimerci dal dare un giudizio concreto e preciso, rischia di accettare la logica opposta secondo la quale non può essere espresso alcun giudizio, nemmeno di carattere politico, fino a quando non intervenga una sentenza della Corte di cassazione. Si tratta di un'impostazione che ho sempre respinto, perché sono convinto che il giudizio politico sia assimilabile più al giudizio morale che non a quello estrinseco legato al procedimento. Pertanto, il giudizio politico deve emergere anche in considerazione degli eventi giudiziari, ma deve avere una formazione molto più complessa e, soprattutto, non deve legarsi in modo immediato a tali eventi. Concordo quindi sul fatto che in riferimento a determinate vicende giudiziarie emerse solo di recente sia ancora presto per esprimere un giudizio sulla loro portata (che, se fosse vera, sarebbe davvero impressionante). Credo che a tale riguardo sia bene lasciare questi eventi allo stato d'attenzione configurato nella relazione. Sotto questo profilo, si evidenzia un grande problema: non possiamo attendere, ai fini della relazione, che intervengano i chiarimenti relativi, che probabilmente comporterebbero un'attesa di uno o due anni. Pertanto, considerata la fase in cui dobbiamo approvare la relazione, mi sembra sufficiente limitarsi a richiamare l'attenzione su determinate vicende, ferma restando la possibilità di discutere su qualche espressione riportata nel testo. Al presidente vorrei far notare, per esempio, che nella proposta di relazione da lui redatta è contenuta un'espressione poco chiara o, almeno, suscettibile di prestare il fianco ad obiezioni. Quando, con riferimento alla vicenda del senatore Andreotti, si afferma che le risultanze della vicenda stessa portano ad un "atto dovuto", cioè all'approfondimento in sede penale, concordo con tale affermazione ma non vorrei che ci si obiettasse che tale esigenza, nella forma in cui è stata espressa, rappresenti un invito all'Assemblea a votare per l'autorizzazione a procedere. Se si parla di "atto dovuto", si intende che i magistrati devono procedere. Io sono favorevole a che ciò avvenga ed, anzi, invito i colleghi ad orientarsi in questo senso ma non vorrei comunque che fossimo fraintesi. Preferirei che si dicesse che i documenti portano ad ulteriori... PRESIDENTE. Scusi, senatore, lei ritiene che il discorso possa valere anche per la parte in cui si fa riferimento alla decisione - che io considero giusta - adottata dalla direzione democristiana... GIOVANNI FERRARA SALUTE. No, perché in quel caso si tratta di un invito generico non riconducibile allo spazio parlamentare inteso in senso stretto. Io mi riferisco esclusivamente alle nostre responsabilità parlamentari. Si tratta di cose che scriverei su un giornale ma, nella mia qualità di parlamentare, ho l'impressione che possano diventare oggetto di obiezioni di carattere mordente e pericoloso ai fini della struttura generale della relazione. MICHELE FLORINO. Ritengo che vada tenuto ben distinto il profilo della lotta politica, anche aspra, da quello della responsabilità politica, così come è scritto a pagina 12 della proposta di relazione. Tuttavia, alcune considerazioni svolte dai colleghi che mi hanno preceduto mi impongono di sottolineare alcuni punti, anche per non allontanare il dibattito dal suo tema specifico. Come ho già precisato all'inizio della seduta, la proposta di relazione al nostro esame - non me ne abbia il presidente! - è monca ed ha bisogno del supporto rappresentato dal riferimento ai fatti nuovi che si stanno scatenando nel paese. Non è vero che tali vicende sembranolontane da Cosa nostra, tanto che lei le ha menzionate nella relazione, quando ha fatto riferimento a persone di altre regioni che sono uomini d'onore. E' chiaro che quanto si sta verificando in Campania rappresenta la prova di un assetto verticistico di Cosa nostra, che ormai è presente in tutto il paese e non solo in Sicilia. Pag. 1662 Per sgombrare il campo da alcuni equivoci emersi nel corso degli interventi precedenti, che potrebbero avvelenare la nostra discussione, vorrei far riferimento al problema dei pentiti. A tale riguardo si sottolinea che, anche sulla base dei principi di diritto, la Corte di cassazione ha riconosciuto legittimi i giudizi espressi dal giudice di merito sulla genuinità e sull'attendibilità in concreto delle dichiarazioni dei collaboratori. La Corte di cassazione ha riconosciuto la validità del convincimento espresso dalla corte d'assise d'appello di Palermo secondo cui l'integrazione e le convergenze di più fonti probatorie autonome sono state giudicate idonee ad una spiegazione complessiva degli avvenimenti. Quando si parla di avvenimenti, è evidente che ci si riferisce anche a quelli precedenti, non soltanto ai più recenti. Stiamo ragionando come se non fossimo stati testimoni di sopralluoghi effettuati dalla Commissione nelle regioni interessate dal fenomeno mafioso, quasi non avessimo partecipato alle audizioni di magistrati, di pentiti e di altre persone, come se non avessimo raccolto sufficiente documentazione per chiarire inequivocabilmente che la responsabilità dell'infiltrazione di Cosa nostra su tutto il territorio (non solo su una parte di esso) sia collegata direttamente al potere politico che ha gestito per anni la vita politica del nostro paese! Dico questo con calma, senza che ciò implichi alcun mutamento dei rapporti con i colleghi. Lo stesso procuratore Spallitta ci ha parlato di chiare responsabilità di un partito di Governo, dei partiti di Governo. Rispetto a tali responsabilità, ribadisco che la proposta di relazione al nostro esame è blanda perché, onorevole presidente, sfiora gli argomenti senza affondare il bisturi nella ferita, senza far emergere prepotentemente la responsabilità politica. Ho l'impressione, ascoltando i vari interventi succedutisi, che si cerchi di assopirci e di addormentarci con alcune considerazioni proposte dai componenti di questa Commissione. La nostra Commissione deve combattere seriamente il fenomeno della mafia, non limitandosi alle parole. Rischiamo di farci ridere dietro proprio perché, rispetto all'impegno profuso dalle precedenti Commissioni antimafia, continuiamo ad avere rapporti e documenti sempre identici - io li definisco fotocopie - che non portano a risultati apprezzabili. Perché avviene tutto questo? Ve lo dico io, presidente e onorevoli colleghi. Si afferma che la mafia vuole raggiungere l'impunità. Non è vero! Ma quale impunità, se la mafia è un organismo dello Stato! Lo stesso Presidente del Consiglio ha dichiarato che lo Stato non è innocente. Nel momento in cui il Capo del Governo rilascia una dichiarazione di questo genere, è indubbio che vi è una presenza della mafia nei gangli vitali della società e delle istituzioni. Non so che incidenza abbia ai fini del nostro lavoro la breve divagazione dell'ex sottosegretario per la giustizia in ordine ai rapporti tra le istituzioni politiche e la mafia. Noi siamo stati presenti su tutto il territorio e ci siamo confrontati, soprattutto con i sindaci dei comuni ad alto inquinamento mafioso: abbiamo potuto constatare in maniera diretta che l'elemento mafioso gestisce il potere politico. Da questo dato non si esce! Quando constatiamo quello che avviene in alcuni comuni del casertano, quando scompare un assessore, è la politica ad essere mafia! Non esiste più una divisione ed un confine: la contiguità è tale da annullare anche il sottile filo che divide la legalità dalla illegalità! Quindi, non vedo perché rincorrere alcune definizioni di comodo, come quella dell'impunità. Presidente, lei ha dichiarato che l'attacco deve essere portato al gruppo armato. No, io dico che deve essere portato al quartiere generale! Il gruppo armato si può anche sciogliere o fondere, ma è il quartiere generale che gestisce il potere malavitoso nel nostro paese! E' quello a cui lei non vuole arrivare, al quale bisogna lanciare cannonate, non limitandosi a discorsi che indubbiamente fanno parte dello stile di una Commissione che deve mirare a riportare fatti e cronache che si parano davanti ai nostri occhi! Pag. 1663 Noi ragioniamo come se non fossero avvenute le stragi di Capaci, di via d'Amelio e tante altre. Allora è inutile rileggere una sequenza monotona e terribile! Nei confronti dei morti incorriamo in una sorta di sacrilegio, senza arrivare alla conclusione di combattere decisamente la mafia a livello di quartiere generale e non di truppe. Come dovremmo chiedere aiuto al paese ed al mondo politico se non ricambiamo facendo piazza pulita? Non si tratta di un discorso estremista, ma del raffronto tra i fatti attuali e tutte le precedenti inchieste della Commissione antimafia. Abbiamo una responsabilità che è presente ovunque, una responsabilità che va oltre, caro presidente, le considerazioni sulla contiguità con alcuni partiti politici rispetto a favori che si devono ricevere. Ricordo quando lei rispose al magistrato che parlava di scambio di favori con un onorevole che chiedeva voti e tutto si concludeva con due tessere per il teatro ed il resto. Neanche su questo siamo d'accordo: il problema della contiguità va esteso perché, come le dicevo prima, la questione di Cosa nostra, la questione dell'assetto della criminalità organizzata nel nostro paese tende a toccare altri partiti. L'abbiamo visto nell'ultima consultazione elettorale del 1992: zone che erano, e potevano definirsi, feudo politico di molti notabili di un determinato partito, improvvisamente si sono spostate verso altri partiti. Si è verificata la situazione - che abbiamo constatato e toccato con le nostre mani - di Casal di Principe e di tutti i paesi del Casertano, di quell'evoluzione di un partito che raccoglieva il 3 per cento dei voti ed è improvvisamente passato al 27 per cento. Abbiamo avuto un'evoluzione straordinaria nella stessa città di Napoli, nell'interland napoletano dove un partito della sinistra ha raggiunto un numero considerevole di suffragi grazie a questo assetto, che non è - come lei dice - da sottovalutare perché non ha "l'impiantistica solida" di Cosa nostra. Lei, caro presidente, a pagina 13 della sua relazione scrive che: "La Commissione ritiene che, mentre la sconfitta di Cosa nostra potrebbe determinare un progressivo sgretolamento delle altre associazioni mafiose, l'eventuale sconfitta della 'ndrangheta o della camorra o della Sacra corona unita non avrebbe lo stesso effetto nei confronti di Cosa nostra". Qui commettiamo un errore, perché tutto l'assetto di Cosa nostra è parte integrale della nuova strategia e del nuovo assetto delle altre organizzazioni criminali. Questo è l'errore di fondo: la camorra non è più quell'organizzazione frastagliata che divideva i capi clan nell'ambito dei quartieri storici di Napoli; la camorra ha avuto indubbiamente l'ordine o ha assimilato, ovvero ha addirittura copiato, quella che era un po' la strategia di Cosa nostra in tutte le sue diramazioni, assumendone tutti i connotati, nel senso che - non so se lei abbia notato questa involuzione - dai 260 delitti del 1988, o dai 400 del 1986, siamo passati ai 3 delitti del 1992 (in città, mentre sono stati 80 in città ed in provincia). Ciò perché la camorra si è data un assetto verticistico, anche su ordine di Cosa nostra, al punto che sono alcuni i capi che dirigono la strategia delinquenziale e di criminalità organizzata in Campania. Questo è un errore che va corretto, perché ci ritroviamo con una diramazione di Cosa nostra che non è quella siciliana, ma campana, pugliese o calabrese. Si è parlato di storia e per un attimo dissento dal suo storicismo, presidente, che è emerso in più riprese nella relazione, perché sembra quasi che il fascismo sia stato complice di attività prima rivolte a debellare - e lei lo indica - la mafia presente in Sicilia, mentre la sua parte conclusiva non ha, diciamo così, il sapore della storia. Lei scrive che: "L'azione antimafia in quest'epoca colpì la manodopera militare di Cosa nostra, ma servì anche a stringere un patto politico con i grandi proprietari terrieri. Esso fu possibile perché il contenimento delle istanze dei contadini venne effettuato in prima persona dal fascismo, che surrogò in questa funzione le famiglie di Cosa nostra". La definizione e l'accostamento Pag. 1664 sono irriverenti, non sul piano della dottrina politica - rispetto le sue idee -, ma proprio su quello storico, perché non è stato così. Ritengo interessante anche quanto si legge a pagina 51, dove lei fa riferimento ai rapporti tra politica e mafia: qui lei inserisce il capitolo della violenza dopo il terremoto "quando il passaggio dalla camorra solidaristica di Cutolo a quella di Bardellino, affaristica ed incline al rapporto con gli enti locali, sarà proprio legata alla spesa per la ricostruzione". Qui lei già affaccia l'ipotesi, che si è consolidata nel tempo. Voglio chiarire a lei ed ai componenti la Commissione che Cosa nostra non è più una Cosa nostra siciliana: è una Cosa nostra nazionale, ma soprattutto pregnante nelle regioni ad alta densità criminale. Tutti si sono dati l'assetto criminale tipico della mafia. Mi consenta poi di arrivare alle considerazioni che, secondo il mio punto di vista, dovrebbero riportare la relazione in quelle che sono le responsabilità politiche, presidente. Le diamo atto - lo abbiamo letto - che c'è un suo modo di spiegare, di ragionare sulla questione Lima (come se noi non avessimo un vasto materiale - documenti e resoconti di audizioni - dove si parla ampiamente - mi riferisco soprattutto alle dichiarazioni dei magistrati - del caso Lima). La responsabilità storica della democrazia cristiana in Sicilia è evidente: non sono chiacchiere, non sono autorizzazioni a procedere che possono lasciare - ed indubbiamente lasciano - motivo ad altri di discutere. Vale sempre la premessa che ho fatto, ossia che i collaboratori devono essere creduti, perché dal momento che vengono creduti per l'arresto di Riina e di altri, debbono esserlo sempre; nessuno può più metterlo in discussione in questa Commissione e nessun tentativo può dissolvere l'impegno gravoso di questa Commissione che ha ascoltato i collaboratori della giustizia, che ha dovuto sobbarcarsi una notevole mole di lavoro per arrivare alla verità; a quella verità che deve servire a spazzare via l'inquinamento politico-mafioso, e certamente non con le belle parole di democrazia, di aiuto al paese e tutto il resto. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno diffuso, in cui l'inquinamento è esteso al punto che lei, signor presidente, non sa chi le siede accanto. In questo momento è il funzionario, ma glielo dico per eccesso... ALBERTO ROBOL. E' la cultura del sospetto! MICHELE FLORINO. Non è la cultura del sospetto. I collaboratori hanno portato poi a verifiche che si sono puntualmente realizzate; quindi attenzione, attenzione proprio a quel confine labile che divide la legalità dall'illegalità. E' per questo che abbiamo il compito di attaccare duramente la componente politica, che è il quartier generale e non, caro onorevole Violante, le truppe che sono presenti sul territorio. Nell'affrontare il problema Lima avrebbe dovuto ricordarsi dell'influenza che Lima aveva su tutta la situazione politica del palermitano. Le voglio rammentare l'influenza di Ciancimino, le situazioni che riguardavano i comuni di Palermo... PRESIDENTE. Senatore Florino, le ricordo che le rimangono altri due minuti. MICHELE FLORINO. Lo so, ho di fronte a me l'orologio. Nessuna decisione poteva essere adottata senza aver avuto il benestare, diretto ed indiretto, di Ciancimino; il disimpegno dei consiglieri facenti capo al Ciancimino e all'avvocato Midolo in occasione delle sedute in cui si discuteva di appalti; Insalaco, il sindaco ucciso, incontrava Ciancimino, consigliato dall'onorevole Lima: la situazione è ormai chiara e presente davanti ai nostri occhi per atti documentati. Pertanto, onorevole presidente, onorevoli colleghi, ribadisco ancora una volta che per dare al paese una relazione chiara e precisa, di contenuti politici, soprattutto di responsabilità politica, Pag. 1665 bisogna aggregarla ai fatti nuovi che sono sconvolgenti, ma molto chiari: finalmente il punto interrogativo è scomparso, la nube si è diradata, le responsabilità sono chiarissime. Ecco perché ancora una volta la invito, presidente, ad aggregare a questa relazione la parte sconvolgente, quella che è stata scoperta in questi giorni, degli associati alla mafia ed alla camorra, che sarebbero parte integrante di un bel documento da consegnare alle Camere. GIROLAMO TRIPODI. Giudico la relazione sottoposta al nostro esame, dopo tanti mesi di lavoro e l'impegno di tutta la Commissione, un documento molto interessante, anche se... PRESIDENTE. Onorevole Tripodi, mi scusi se la interrompo un attimo. Poiché alcuni colleghi del Senato stanno andando via (pur non avendo seduta) vorrei sapere se, poiché domani mattina si vota tanto alla Camera quanto al Senato, siamo d'accordo a riprendere i nostri lavori alle 15. ALTERO MATTEOLI. Se possiamo, lavoriamo due ore domani mattina, altrimenti credo che non ce la faremo. PRESIDENTE. Possiamo cominciare alle 9 per poi sospendere i nostri lavori intorno alle 11 e riprendere alle 15. Non essendovi obiezioni, rimane così stabilito. Onorevole Tripodi, la prego di continuare. GIROLAMO TRIPODI. Presidente, avrebbe potuto comunicare il programma di domani quando ha concluso il suo intervento il senatore Florino. PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Tripodi, solo che i colleghi si sono alzati quando ha cominciato a parlare lei. GIROLAMO TRIPODI. Siccome sono stati in molti ad alzarsi... PRESIDENTE. Temo che lei questa volta abbia ragione. GIROLAMO TRIPODI. Anche perché non è ancora chiaro se quelli che si sono alzati e se ne sono andati avessero impegni al Senato o alla Camera. Lo vedremo nei prossimi giorni, perché certamente sarà in quei giorni che si verificherà se le presenze sono di un certo tipo od hanno altro carattere. Mi auguro che possano essere soltanto assenze, diciamo così, normali, anche se nutro molti sospetti. Considero la relazione un documento interessante, anche se debbo subito aggiungere che quando ci siamo posti il problema di occuparci dell'intreccio tra mafia e politica vi era, almeno in me, la convinzione che, con questa relazione e con il nostro impegno, avremmo affrontato il problema generale del rapporto mafia-politica, inteso sia come Cosa nostra, sia come 'ndrangheta, camorra o Sacra corona unita. Per tale ragione ritenevo che avremmo concluso questa fase con un documento che fotografasse tutta la situazione, perché se è vero che la mafia ha radici più remote in Sicilia, oggi essa investe molte regioni del mezzogiorno. Se è vero che in Sicilia ed in altre regioni vi è da molto tempo un rapporto tra mafia, potere politico e classi politiche dirigenti, rappresentate dai partiti, non ho timore di dire che quello che ha avuto principalmente il potere in Sicilia, a tutti i livelli, quindi anche nazionale, è la democrazia cristiana. Del resto non sottolineo ciò per amore di polemica, ma perché è una realtà storica - purtroppo - e grave, che abbiamo registrato e che il paese sta pagando. Credo che invece di reagire in qualche modo scomposto per vanificare o tentare di vanificare la ricerca dell'intreccio inquietante tra mafia e politica, sia giusto apprestarci ad una riflessione attenta. Il regime sta crollando, non soltanto quello della corruzione e della tangente, ma anche il regime istaurato attraverso l'uso di modi e di forme distorte nella gestione del potere, nel ricorso alla politica, Pag. 1666 e nell'impiego delle risorse economiche dello Stato, quindi, pubbliche, a tutti i livelli. Credo che ogni partito che ha avuto questa responsabilità, senza sostenere che qualche frangia non l'abbia condivisa, possa essere criminalizzato o coinvolto in vicende così terribili, che non riguardano casi specifici, ma fatti di carattere generalizzato. Cari colleghi, se in alcune zone del mezzogiorno abbiamo registrato l'intreccio tra mafia, politica, istituzioni e gestione della cosa pubblica vuole dire che vi è stata la prevalenza del controllo criminale sul territorio, anche utilizzando poteri occulti, che possono essere forze deviate dello Stato, ed anche la massoneria. Su questo punto interverrò tra breve, perché non condivido il giudizio contenuto nella penultima pagina della relazione, in quanto ritengo che la massoneria non registri la presenza di elementi deviati, che possono essere definiti come P2 o logge coperte. Non è così, poiché la massoneria nel nostro paese da qualche tempo ha assunto un ruolo devastante, nel senso che non tutte le deviazioni si sono verificate nelle logge coperte o nella P2, ma ovunque, anche in quelle scoperte ed aderenti al Grande oriente. Come dicevo, nel momento in cui i poteri criminali sono riusciti ad imporre il loro controllo sul territorio, sulle strutture della società, su tutti gli assetti economici ed istituzionali, abbiamo registrato negli ultimi anni, in queste zone, la nascita e la creazione di uno stato mafioso. Ho detto altre volte, e mi fa piacere che adesso lo dicano in molti, che non abbiamo avuto l'antistato, ma uno Stato; infatti, anche il fatto che qui parliamo di rapporti mafia-politica costituisce un elemento determinante del grande potere mafioso che si è instaurato in tutte le zone. Del resto, anche per quanto riguarda i pentiti, non ritengo, pur con tutte le cautele, che non siano affidabili, come quando hanno rilevato fatti su un tale personaggio o ministro di ieri, magari dell'interno, come Gava, oppure Misasi. Non è possibile sostenere che i collaboratori della giustizia (sono numerosi), sono affidabili soltanto quando parlano di Riina, o di un altro mafioso, o quando riferiscono della guerra tra bande; dobbiamo prendere atto che i pentiti dicono tutto (anzi, è ancora poco!), hanno rivelato tutto il meccanismo ed il congegno perverso che in questi anni hanno impedito - purtroppo - la crescita di una società democratica nel nostro paese; non solo, ma hanno impedito che in Italia vi fosse il vero dispiegamento della democrazia ed oggi ne paghiamo le conseguenze, perché non sappiamo dove andremo a finire. Cari colleghi, non sappiamo dove arriverà il crollo del regime, dove giungerà, perché siamo di fronte al pericolo di un precipizio; queste sono le conseguenze di quelle cause alle quali ogni volta che si è cercato di porre rimedio... Caro presidente, credo, che su questo sia sempre mancata una valutazione complessiva, mentre è indispensabile che emerga il quadro preciso della situazione; non vogliamo assolutamente utilizzare, né strumentalizzare qualcosa, ma in questo momento abbiamo il dovere di dare risposte alla gente sconvolta dalle vicende attuali. Stiamo attenti, e devono prestare attenzione soprattutto coloro che se la prendono con questo o quell'altro magistrato, perché anche le solenni decisioni politiche assunte negli ultimi giorni, come quella di ieri della democrazia cristiana, sono certamente molto pericolose, e non sono sicuro che serviranno a salvare il partito. Ormai la valanga sta scendendo, travolgendo i rapporti che si sono creati, il regime che si è istaurato, ed anche i partiti che hanno avuto questa responsabilità. Perché non dobbiamo fotografare tutta la situazione, descrivendola nella relazione, che peraltro non abbiamo ancora approvato? Non sono d'accordo con l'onorevole Sorice, anche se non ero presente al suo intervento, circa l'opportunità di rinviarne l'approvazione. Ritengo che dobbiamo dare subito risposte, perché Pag. 1667 altrimenti quello che rimane della credibilità delle istituzioni "salterebbe"; in questa sede ognuno si deve assumere la propria responsabilità, non possiamo aver lavorato e rischiato - non da adesso, ma per molto tempo - almeno quelli che ci credono... PRESIDENTE. Certo! GIROLAMO TRIPODI. E che sono veramente impegnati su una sponda e non su sponde diverse, che parlano un linguaggio sul posto, poi ne parlano un altro in Commissione, e poi un altro ancora in aula, magari quando votano contro l'autorizzazione a procedere nei confronti di questo o di quel parlamentare. Del resto ho avuto il coraggio di assumermi la responsabilità diretta delle mie decisioni quando non ho condiviso le posizioni della Giunta per le autorizzazioni a procedere nei confronti del diniego dell'autorizzazione. Sono dell'avviso che dobbiamo concludere subito - ripeto - subito il dibattito, sottolineando quanto abbiamo registrato in merito all'intreccio tra camorra, 'ndrangheta, mafia e politica, con gli uomini che sono stati chiamati in causa. Infine, dobbiamo dire che le vicende attuali, anche quella che coinvolge l'onorevole Andreotti, dimostrano che le cupole che stanno alla periferia sono quelle più piccole, caro presidente e colleghi, poi ci sono quelle che stanno a Roma, dove c'è il capolinea dell'organizzazione, delle decisioni, del coordinamento nazionale. Credo che dobbiamo dire anche queste cose, perché altrimenti sfuggiamo alle nostre responsabilità. Ho letto anche la motivazione contenuta nella relazione, secondo cui la Sicilia è stata scelta come fatto decisivo ai fini di un allargamento; posso condividere in parte il senso della motivazione, ma non la portata. Detto questo, ho ancora qualche minuto... PRESIDENTE. Comunque ne ha diritto. GIROLAMO TRIPODI. Detto questo, voglio aggiungere qualche considerazione sulla situazione di comuni, provincie, enti locali e pubbliche amministrazioni, ricordando che la mafia, anche nelle ultime elezioni politiche, ha continuato ad eleggere parlamentari, come ha fatto in passato, quando ha eletto sindaci, consiglieri comunali... PRESIDENTE. Ha eletto anche parlamentari. GIROLAMO TRIPODI. Consiglieri regionali, ed anche parlamentari; anzi i fatti dimostrano che la mafia continua a fare le sue scelte ed a sostenere i suoi rappresentanti nell'ambito delle assemblee elettive. Ritengo che dobbiamo sottolineare anche questo, perché altrimenti sembrerebbero fatti, per così dire, isolati e sembrerebbe che il rapporto fra mafia e politica possa essere individuato, signor presidente, soltanto in Ciancimino, Lima e Andreotti. No, abbiamo tanti altri: anche in questi giorni, su quanti deputati e senatori si indaga per i rapporti con la mafia? Sono tanti, siciliani, campani, calabresi e così via. Non possiamo non tenere presente questo dato di fatto. Naturalmente, dobbiamo sottolineare che se questo è avvenuto indubbiamente vi sono responsabilità per il fatto che alcuni partiti hanno contribuito alla presenza, al rafforzamento e all'estensione della mafia: dobbiamo dirlo! E si tratta principalmente della democrazia cristiana, anche se vi sono stati altri partiti che hanno seguito la stessa strada ed hanno fatto concorrenza alla prima! Signor presidente, mi sembra molto diplomatico riconoscere alla democrazia cristiana di avere invitato i suoi appartenenti indagati a non partecipare alle riunioni: stiamo attenti che non è proprio così, e questo non basta! La democrazia cristiana, signor presidente, non ha sospeso nessuno, nemmeno Ciccio Mazzetta, che non è stato né cacciato, né - ripeto - sospeso dal partito! Non sono stati cacciati neanche coloro che fanno parte della cupola di Reggio Calabria, dove giudici coraggiosi rischiano tutti i giorni! Non vi è stato alcun provvedimento ... Pag. 1668 PRESIDENTE. Mi sembra che abbiano azzerato il tesseramento, se non ricordo male. GIROLAMO TRIPODI. Se gli inquisiti vogliono, la tessera la pagano e se la prendono: non è che abbiano cacciato dal partito o preso qualche misura disciplinare ... GIOVANNI FERRARA SALUTE. Se ne sono andati tutti! Scherzo. GIROLAMO TRIPODI. Capisco: non è che si possano convincere con il mio intervento, ma ritengo che le cose che dico si possano leggere. Signor presidente, ritengo che si debba dire qualcosa di più rispetto a quanto lei ha fatto, con riferimento ai partiti che hanno governato e governano nel nostro paese, anche se adesso siamo in una fase molto diversa di Governo "congelato". Chiedo pertanto che il passo relativo a questo tema venga sostituito dalla considerazione che vi sono stati partiti coinvolti nelle vicende dell'intreccio tra mafia e politica e che non hanno preso alcun provvedimento nei confronti dei loro appartenenti, a tutti i livelli: non parlo del ladro di galline, del capo elettore di questo o quell'altro, o del piccolo esponente di paese, ma di quelli che contano. Questo è il linguaggio mafioso: "quelli che contano"; di quelli che la mafia dice che "contano" non hanno toccato nessuno! Chiedo pertanto che questa parte della relazione venga modificata. Analogamente, chiedo che venga sostituita la parte della relazione relativa alla massoneria, che non ha avuto un ruolo positivo; anch' essa, con le sue forme palesi ed occulte, ha operato per aiutare - come abbiamo visto - gli esponenti mafiosi più alti ed i boss, che facevano parte dell'organizzazione massonica. Anche su questo punto, allora, dobbiamo essere più chiari: la diplomazia può essere importante ma va utilizzata in altri casi; in questo ambito dobbiamo pronunciare parole nette e chiare, perché questo si aspetta la gente. I termini soft non servono per argomenti come quelli che dobbiamo affrontare. Concludendo, sopratutto per ragioni di tempo, devo accennare ad un'altra questione che noi comunisti non condividiamo: si tratta della proposta che viene avanzata in tema di materia elettorale. Al riguardo, signor presidente, abbiamo diverse posizioni e, d'altro canto, è in corso in questo momento uno scontro nel paese fra diverse culture e differenti posizioni: fra chi vuole difendere il pluralismo democratico e chi pensa che il regime possa essere sostituito con soluzioni di carattere restrittivo sul piano democratico. Ritengo che quest' ultima soluzione non possa essere condivisa; inoltre, devo aggiungere un'altra considerazione di fatto: non è che quando il sistema uninominale è stato realizzato, cioè quando abbiamo votato il 5 aprile, indicando un'unica preferenza e scegliendo l'uomo... PRESIDENTE. Ma il collegio non era uninominale! GIROLAMO TRIPODI. Sostanzialmente, però, lo era ed anche per il Senato votiamo con lo stesso sistema. Voi la penserete in un altro modo, ma a mio avviso la preferenza unica configura per la Camera una sostanziale scelta dell'uomo. Cosa vuol dire sistema uninominale? Significa scelta della persona. Già abbiamo avuto, allora, un primo elemento di uninominalismo, anche se personalmente non sono andato al mare ma ho votato ... PRESIDENTE. C'era la possibilità di fare l'una cosa e l'altra! GIROLAMO TRIPODI. Mi sono battuto perché il risultato del referendum determinasse l'abolizione della preferenza plurima, ma devo ora dire che quel risultato che ha configurato il sistema uninominale, cioè un voto per la persona, ha comportato, guarda caso, l'elezione di tanti e tanti parlamentari, alla Camera ed al Senato, per i quali ci pervengono continuamente richieste di autorizzazione a procedere. Pag. 1669 Sono stato parlamentare anche in altre legislature, ma non ci sono mai state tante richieste di autorizzazione a procedere come questa volta ... ANTONIO BARGONE. Questa volta dipende non dalle elezioni ma dai giudici. PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l'onorevole Tripodi viene ampiamente "risarcito" per le interruzioni ma non vorrei che il tempo del suo intervento si prolungasse eccessivamente. GIROLAMO TRIPODI. In sostanza, ritengo inopportuna la parte della relazione concernente il sistema elettorale e chiedo, quindi, che venga soppressa. Ho accennato ad alcune delle questioni che ritenevo più importanti, per le quali continueremo a dare il nostro apporto, valutandone le modalità. Concludo affermando che la relazione deve essere approvata al più presto, concedendo al massimo pochi giorni per una riflessione sulle proposte emendative. ALTERO MATTEOLI. Ci siamo dati un calendario che va rispettato. GIROLAMO TRIPODI. D'altro canto, sulla base del dibattito che stiamo svolgendo e delle proposte che vengono avanzate, lo stesso relatore, cioè il presidente, può proporre aggiustamenti in senso positivo. E non mi riferisco certamente a quegli "aggiustamenti" che si facevano nei processi a Palermo, e forse anche a Reggio Calabria, a Napoli e a Roma! Forse è preferibile come termine quello di adeguamento alle esigenze di miglioramento, arricchimento e completamento del quadro, in modo da corrispondere a quella che è la realtà: si tratta di un nostro dovere ed anche di una necessità per la democrazia italiana. MASSIMO BRUTTI. Desidero manifestare l'apprezzamento positivo e la convinta adesione mia e dei parlamentari del gruppo del PDS alla relazione che ci viene sottoposta. Essa è - lo diceva prima il collega Ferrauto - un punto d' approdo del lavoro di questi mesi, ma è per noi anche un punto di partenza, una guida, un testo al quale sarà possibile aggiungere nuove risultanze nel prossimo futuro. Mentre ascoltavo l'intervento dell'onorevole Sorice, mi veniva alla mente la prefazione ad un vecchio libro, nella quale l'autore scriveva: "Chiedo sommessamente ai lettori che il mio libro sia giudicato per gli argomenti trattati, per i temi che affronta, insomma per ciò che esso contiene e non per quello che non contiene". Potevamo infatti occuparci anche di molte altre cose; potevamo aggiungere accertamenti a quelli compiuti; potevamo svolgere - come suggeriva il collega Sorice e come credo che dovremo fare - un'analisi dei flussi elettorali nelle zone a più alta densità mafiosa; potevamo, già adesso, tentare di estendere il nostro ragionamento alla Calabria ed alla Campania: non vi è stato però il tempo materiale necessario, ma dovremo farlo e chiedo che si faccia. Tuttavia, in questa relazione, vi è un ragionamento, una trattazione che ha una sua piena organicità; né capisco bene cosa significhi affrontare in concreto il rapporto mafia-istituzioni se non si parte dai fatti che la cronaca politica, ma anche la storia di queste vicende, ha messo al centro delle indagini. Mi riferisco al rapporto tra le organizzazioni criminali ed uomini, settori del sistema politico, autorità politiche, anzitutto di natura elettiva. Voglio dirlo con franchezza: non riesco a vedere ragioni serie per condividere ed accettare la proposta di rinvio che è stata avanzata qui dall'onorevole Sorice, nei termini in cui egli l'ha avanzata, per le motivazioni e per i tempi che egli propone. Cosa significa un rinvio a dopo Pasqua, se questa cade una settimana prima del referendum? Il rinvio rischia di non tenere conto della domanda e delle attese dell'opinione pubblica del paese; rischia di non tenere conto della necessità che un'istituzione come la nostra si pronunzi formulando una valutazione. Voglio rivolgermi al senatore Sorice, che spero Pag. 1670 leggerà il resoconto stenografico della seduta, ed ai colleghi del gruppo della DC: volete proporre un rinvio a dopo Pasqua, a dopo il referendum? Fatelo! Volete votarlo? Provate a votarlo: è possibile che vi sia una maggioranza favorevole, ma è anche possibile che non vi sia. In ogni caso, assumetevi la responsabilità di impedire che in tempi ragionevolmente brevi, nei prossimi giorni, si giunga ad un voto su questa relazione. La relazione fornisce un'immagine, a mio avviso compiuta - per quel che si può fare in 71 pagine - su Cosa nostra oggi: un'organizzazione fortemente strutturata, che ha come propria risorsa fondamentale la violenza e la brutalità, che sono messe al servizio della ricerca, del profitto, e del potere. Naturalmente, in una condizione di precarietà e di conflitto, nella quale naturalmente si trova a vivere un'organizzazione clandestina, come è Cosa nostra, che compie e svolge attività contro le leggi, il potere militare all'interno di quest'organizzazione ha un ruolo fondamentale. Così avviene per gli Stati, la cui storia è segnata per generazioni e generazioni dalla guerra; è evidente che in quegli Stati il potere militare conterà di più degli altri poteri. Così avviene per Cosa nostra, dove il potere militare è molto forte, addestrato ad una vita aspra e difficile, a lunghe latitanze, ed è per certi versi pronto a perdere tutto, anche la propria libertà, sia pure temporaneamente: questo è il senso dell'aggiustamento dei processi. Quando si uccidono 22-25 persone in una sera, strangolandole tutte e quando vengono sciolte nei bidoni, come è avvenuto per la famiglia di Saro Riccobono, vuol dire che il ricorso alla brutalità è assoluto. Ed è questa la grande risorsa di cui dispone l'organizzazione mafiosa, ma non la sola perché, accanto al conflitto ed alla clandestinità, l'organizzazione produce e sviluppa un sistema di rapporti con le autorità ufficiali dello Stato. Noi non colpiremo la mafia se non distruggeremo il suo potere militare; ma non riusciremo ad interrompere la riproduzione del potere militare mafioso, se non sapremo recidere i rapporti con le autorità ufficiali dello Stato. Sono due gli elementi essenziali del modello: violenza contro le leggi dello Stato e ricerca di accordi e di connivenze con le autorità pubbliche. Questa seconda prospettiva di azione - nella relazione emerge bene - non è mai separata dalla prima. Gli accordi si stringono approfittando del patrimonio intimidatorio che l'organizzazione è in grado di gettare sul piatto della bilancia. Ricordate l'attentato al sindaco di Palermo Martellucci, nell'estate del 1980. Esso offre un esempio di interazione tra violenza e compromesso, perché il compromesso c'era. Stefano Bontate dirà a Buscetta - e Buscetta ce lo ha riferito - "Riina non è ancora contento? Ai corleonesi non basta l'accordo che Martellucci ha accettato con Ciancimino?" No, non bastava. L'intimidazione serve ad accrescere il potere contrattuale dell'organizzazione mafiosa, naturalmente dentro una struttura che è sempre struttura della trattativa, del compromesso, dell'intesa innanzitutto con le autorità ufficiali. Il potere dei corleonesi segna un di più di violenza ed anche, in alcuni casi, la tendenza a seguire la via politica della rottura con l'establishment, con esponenti delle classi dirigenti, ma sempre per ottenere qualcosa da queste ultime, per accrescere il proprio potere di pressione. In tutta la storia di Cosa nostra vediamo due tipi di rapporto tra mafia e politica tra cui il primo è rappresentato da un più accentuato atteggiamento di ricerca del compromesso - come diceva Gaetano Badalamenti: "noi non possiamo fare la guerra allo Stato" - che significa affidamento ad alcuni uomini politici che diventano referenti. Ecco la catena di solidarietà Stefano Bontate, cugini Salvo e poi Salvo Lima. Nella storia di Cosa nostra, però, vi sono anche momenti di più accentuata autonomia rispetto al sistema di Governo centrale, rispetto ai referenti politici. C'è in fondo un'idea di far leva sul sicilianismo, sulla Sicilia all'opposizione per conquistare Pag. 1671 posizioni di potere per la mafia. Questo lo ritroviamo sia nel separatismo, sia in certa misura - e la relazione fa bene a dirlo - nell'esperienza milazziana. Che cosa avviene oggi, dopo che quella catena di solidarietà si è spezzata irrevocabilmente, dopo che la commissione di Cosa nostra ha deciso di uccidere Salvo Lima? Un mutamento di strategia? Sì, un mutamento di strategia - è lecito supporlo -; la scelta di una conflittualità più aspra. Le stragi hanno significato questo. La conflittualità serve perché i referenti politici non stanno ai patti e per lanciare un messaggio intimidatorio generale a tutti coloro che hanno rapporti con l'organizzazione mafiosa. Poi forse c'è qualcosa di più. C'è un disegno: accrescere la propria forza ed il proprio potere anche individuando nuovi referenti - non sappiamo quali, ma la ricerca di punti di riferimento fra le autorità ufficiali é una costante dell'organizzazione mafiosa - puntando su una situazione di disgregazione che investe il sistema politico ed anche, per certi versi, alcune istituzioni. Si può immaginare che i capimafia, anche i capi militari, siano in grado oggi di fare questo calcolo: in una situazione di disordine e di disgregazione politica che cosa facciamo? Per accrescere il proprio potere contrattuale c'è l'attentato terroristico e poi ci sono le manovre di sempre, cioè la ricerca delle alleanze in tutte le direzioni. Credo, quindi, sia oggi dovere di chi vuol combattere con coerenza la lotta contro la mafia favorire ed organizzare l'azione di contrasto, ed al tempo stesso fare il possibile perché questa immagine, questa situazione politica di disgregazione si vinca. Ecco perché penso che l'unità di intenti di un'istituzione quale la Commissione antimafia sia una leva nella lotta politica che abbiamo di fronte, contro la mafia, contro la rassegnazione, contro l'indifferenza. Le parti della relazione che affrontano questioni strettamente legate al rapporto mafia-politica ed il ruolo di alcuni uomini, così come quella - che mi sembra originale e nuova rispetto alle elaborazioni del passato - che riguarda il rapporto tra mafia e massoneria rappresentano già un serio punto di arrivo. Credo sia giusto tener conto di tutti i suggerimenti che sono venuti e che verranno dal dibattito per arricchire, in questi due o tre giorni, aspetti della relazione. E tuttavia qui c'è già un corpo molto solido, inequivoco ed incontestabile: così tutta la parte che si riferisce al ruolo ed alla figura di Salvo Lima. Noi dovremmo riflettere sul perché vi è stata per anni una costante vanificazione delle denuncie e dei procedimenti giudiziari nei confronti di questo uomo politico; quanti atti dovuti non sono stati compiuti, innanzitutto da parte della magistratura fin dai tempi in cui era procuratore della Repubblica di Palermo il dottor Scaglione; quanti procedimenti sono finiti nel nulla, ed erano moltissimi; quante segnalazioni della vecchia Commissione antimafia e della relazione Carraro, che era relazione di maggioranza, sono rimaste lettera morta, sono cadute nel vuoto. Se allora - io ero molto giovane - il Parlamento italiano, le forze politiche avessero attivato un serio meccanismo per l'individuazione di responsabilità politiche, se avessero fatto valere la responsabilità di Lima, forse gli avrebbero anche salvato la vita. Avrebbe pagato quel che doveva pagare ma probabilmente, se non avesse contato nulla negli anni successivi alle denuncie ed all'apertura dei procedimenti giudiziari, avrebbe avuto salva la vita. Invece, continuava ad essere il capo della democrazia cristiana in Sicilia. Ancora, in un'intervista dell'8 ottobre 1991, si rivolgeva al partito democratico della sinistra per un'alleanza: consociativo, attento alla necessità di coinvolgere e di smussare. Infatti, quando in Sicilia c'è stata una vera opposizione, essa si è dimostrata uno strumento efficace e serio di lotta alla mafia. Hanno ucciso per questo il nostro compagno Pio La Torre. Ci sono degli aspetti della relazione che rappresentano un punto di partenza, così come ci sono tante cose da approfondire e da conoscere ancora. Faccio un Pag. 1672 esempio: il controllo mafioso su Palermo, il ruolo che Ciancimino per molti anni ha continuato ad esercitare in questa città. Ancora nel 1989-90 il comune di Palermo - lo ha documentato un ufficiale dei carabinieri ascoltato in un'audizione in questa sede - regalava 16 miliardi ad una società controllata indirettamente proprio da Ciancimino, la COSI, a titolo di equo indennizzo, addossandosi la responsabilità di un errato calcolo di commissione dei lavori; almeno così ci è stato detto. Il procedimento penale fu archiviato ed io ho già avuto occasione di chiedere il fascicolo ad esso relativo. Ribadisco oggi formalmente questa richiesta affinché si capisca bene che cosa è successo, il perché di questa forte presenza di Ciancimino ancora nel 1989. Io ricordo - e lo ricorderà anche il collega Smuraglia perché Falcone rispondeva ad una domanda formulata proprio da lui in sede di comitato antimafia del Consiglio superiore della magistratura - il momento in cui, subito dopo l'attentato dell'Addaura, Falcone parlò di indagini che conducevano a prestanome di vecchi uomini politici siciliani: e pensava a questi, pensava a Ciancimino. Si trattava di indagini delicatissime che avevano scatenato l'azione armata e che con ogni probabilità avevano portato all'attentato dell'Addaura. Ci sono delle note, che abbiamo letto nei mesi scorsi, redatte proprio da Giovanni Falcone e che riguardano il periodo in cui il capo della procura di Palermo era il dottor Giammanco. Anche in queste note troviamo il riferimento ad un problema, ad una serie di fatti che meritano uno svolgimento e che richiederanno ulteriori indagini. Falcone dice che non gli è stato possibile in alcun modo sviluppare le indagini, richieste dagli avvocati di parte civile che rappresentano il PDS nel processo per l'omicidio La Torre, sul ruolo svolto in Sicilia dalla struttura clandestina del SISMI, Gladio o stay behind a seconda di come volete chiamarla. Queste indagini Falcone non è riuscito a svolgerle perché il contatto con la procura di Roma non è scattato, perché in sostanza il procuratore della Repubblica di Palermo ha impedito che tali indagini si sviluppassero. A tal proposito, devo sottolineare come alle domande che gli erano state rivolte qui in Commissione antimafia, il direttore del SISMI abbia risposto con formulazioni elusive e forse non dicendo il vero, innanzitutto circa il fatto, da lui asserito, che nessun appartenente alla struttura Gladio ed in particolare al centro "Scorpione"in Sicilia, fosse stato messo a disposizione o messo in contatto con l'Alto commissariato antimafia; che non c'era cioè un rapporto fra gli agenti SISMI di Gladio e l'azione organizzata di coordinamento nella lotta contro la mafia, spettante all'Alto commissariato. Questo non è vero perché in una deposizione del generale Rosa, resa davanti all'autorità giudiziaria di Roma, si dice proprio il contrario e cioè che vi sono stati agenti di stay behind messi a disposizione dell'alto commissario Sica. Così ancora altre risposte che ci sono state date dal direttore del SISMI appaiono non rispondenti a documenti giudiziari esistenti, come per esempio quando egli sostiene che nulla risulta circa la rete informativa che sarebbe stata attivata in Sicilia a cura del generale Musumeci, piduista, uomo del SISMI, uomo del servizio segreto deviato, condannato per calunnia in relazione ad un'azione di depistaggio riferita alle indagini sulla strage nella stazione di Bologna. Proprio in tali indagini ed in tal processo risulta che un certo Michele Papa - fra l'altro legato al massone Grimaudo di cui la relazione parla, e che era uno degli agenti della rete deviata del SISMI all'epoca della gestione da parte di Santovito, Pazienza, Musumeci e Belmonte - operava proprio in Sicilia in questa qualità ed in questa funzione. Allora una rete c'era, allora delle operazioni sono state fatte, qualcosa si muoveva. Già nel 1972, in un documento NATO, risulta che la Sicilia, dal punto di vista dei rischi di invasione da parte dell'Unione Sovietica, non era una regione a rischio. Nella relazione è scritto che l'anticomunismo funzionò, potè funzionare Pag. 1673 in più occasioni come giustificazione, come alibi nei rapporti fra certi settori della politica e Cosa nostra. E' un alibi divenuto, tra gli anni sessanta e settanta, sempre più evanescente. In particolare, dopo il 1975, con l'accettazione della NATO da parte del partito comunista, con i documenti di politica internazionale votati in Parlamento da tutte le forze democratiche, questo alibi era veramente insostenibile. In realtà, sotto il coperchio dell'anticomunismo si sono fatti affari e spesso si sono stretti patti innominabili. Dovremo accertare tutto ciò, ma questo è quanto ci aspetta nelle prossime settimane e nei prossimi mesi; ora dobbiamo dare un segnale netto al paese, ed il segnale più chiaro viene dalla parte della relazione, che ho trovato interessante, utile e costruttiva, in cui per la prima volta si definisce rigorosamente la responsabilità politica come concetto distinto dalla responsabilità penale. Abbiamo oggi il compito, di grande rilievo istituzionale, di attivare tutti insieme, senza strumentalizzazioni di parte, che nessuno oggi deve porre in essere, un meccanismo di responsabilità politica; si tratta di un fatto doloroso, perché significa mandare a casa molti o alcuni, fare pulizia agli occhi del paese e dare un'immagine di pulizia. Siamo chiamati a svolgere un alto compito civile, che è quello di rigenerare senza traumi il sistema democratico italiano, e la Commissione parlamentare antimafia deve svolgere un compito essenziale in questa direzione, e anche dal punto di vista dei tempi del suo lavoro deve dare un'immagine di compattezza e di sicurezza, oltre che di dignità, nel compito che affronta, anche correggendo insieme aspetti, punti e formulazioni della relazione sulla base di quanto ciascuno degli intervenuti vorrà dire. Il punto essenziale è però chiudere e farlo presto. Si parla di un atto dovuto: credo di interpretare la formulazione contenuta nella relazione che si riferisce al senatore Andreotti e alla richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui come una formulazione tutta volta a definire atti di accertamento relativi alla responsabilità penale, che quindi non competono a noi. Si tratta di un atto dovuto da parte dei magistrati; si può quindi rivedere la formulazione per evitare che sia fuorviante. Il punto è però che vi è stata un'iniziativa dei magistrati e che un organismo parlamentare effettua (credo che possiamo e dobbiamo farlo in un momento come questo) una valutazione serena sul fatto che quei magistrati hanno adempiuto, di fronte a segnalazioni e dati che giungevano alla loro conoscenza, ad un dovere che è proprio della loro funzione istituzionale. Queste sono le ragioni per cui esprimiamo un giudizio positivo ed invitiamo tutti i colleghi a lavorare insieme, in questi due giorni, per concludere insieme, con un approdo comune. MARCO TARADASH. Credo che la relazione sia stata molto superata dagli eventi, perché le cose che vi sono scritte, se ancora una settimana fa potevano sembrare sorprendenti e clamorose, non lo sono più dopo che da una settimana leggiamo sui giornali le notizie provenienti da Palermo e dalla Campania. La relazione resta quindi molto indietro rispetto al quadro degli eventi che risulta dai quotidiani. Mi riferisco in modo particolare alle notizie provenienti dalla Campania: resto infatti molto sorpreso per il fatto che tra le innumerevoli denunce dei pentiti mafiosi non ve ne sia nessuna significativa sotto il profilo dei fatti concreti. A differenza delle denunce napoletane, da Palermo arrivano ancora allusioni (come abbiamo potuto ascoltare nel corso delle audizioni dei pentiti che abbiamo svolto) e niente più che allusioni. E' noto che vi è stato un sacco di Palermo ed immagino vi siano stati anche i sacchi di Catania, Trapani, Agrigento e di ogni minima cittadina siciliana; ma rispetto al saccheggio continuativo operato a Palermo e nelle altre città della Sicilia da quelle stesse forze politiche che hanno effettuato lo stesso saccheggio in Pag. 1674 altre città (in climi ambientali diversi, con modalità simili anche se senza sostegno militare), quello che continua a meravigliarmi è che nel diluvio delle dichiarazioni dei pentiti non abbiamo indicazioni precise. Questo è un fatto che desta meraviglia e a me personalmente suscita anche sospetto, perché fino a quando non entreremo nella realtà concreta di quanto è accaduto a Palermo (per parlare di Palermo) nel corso dei decenni e non arriveremo all'indicazione dei nomi e cognomi dei responsabili dei comitati d'affari nella società cosiddetta civile, che è indicata anche nella relazione, e nel quadro politico, tutte le confessioni e le collaborazioni dei pentiti saranno, a mio avviso, sospette e viziate da interessi particolari, che naturalmente non riesco a comprendere fino in fondo ma che devono gettare un'ombra pesante su tali confessioni. Questa è la mia premessa, che mi induce di conseguenza a non essere del tutto soddisfatto della proposta di relazione in esame; avverto ancora una grande distanza tra la nostra analisi e quanto è accaduto in Sicilia e sotto l'ombrello di Cosa nostra: il rapporto tra politica e mafia in Sicilia è stato probabilmente molto simile a quello intercorso tra il latifondo e le "sottopolizie" mafiose negli anni del controllo dei terreni agricoli, con la differenza che tale rapporto si è trasferito dai lotti agricoli a quelli politici e partitocratici. Non sappiamo ancora bene chi comandasse all'interno di questo meccanismo, né se Cosa nostra sia rimasta una "sottopolizia" al servizio dei latifondisti partitocratici che si distribuivano appalti, costruzioni, ricostruzioni, fondi straordinari, fondi CEE e così via, oppure se i livelli di responsabilità fossero misti o se vi fosse una subordinazione del momento politico rispetto a quello militare. Ritengo che dobbiamo ancora chiarire fino in fondo questi aspetti, ponendoceli come problema; non mi sembra infatti che siamo giunti ad una focalizzazione precisa di questi processi. Tra le questioni puntuali sulle quali sono in disaccordo, ve ne sono due su cui desidero soffermarmi: la prima riguarda il ruolo occidentale che la mafia avrebbe svolto in alleanza con i partiti del fronte anticomunista. No, queste cose... PRESIDENTE. Non ho detto in alleanza. MARCO TARADASH. L'alleanza sicuramente vi è stata, ma non condivido l'aspetto del fronte. Vi è stata certamente un'alleanza con partiti che erano schierati sul fronte anticomunista, ma che vi fosse un disegno di utilizzo della mafia in funzione anticomunista e a difesa del sistema occidentale è un'analisi che non condivido; indipendentemente dal fatto che lo sostenga Severino o qualcun altro, mi sembra una grande bestialità, una tesi che può essere cara a chi deve difendersi e può giustificarsi dicendo: "Ma noi combattevamo sulla frontiera più avanzata della democrazia contro la minaccia dell'imperialismo sovietico". A queste cose, comunque, non credo, né a Milano, né a Roma né a Palermo. Mi sembra che questo alibi vada rifiutato. Non si tratta di difendere la libertà con l'assistenza mafiosa: questo può essere stato vero al momento dello sbarco americano, quando c'era da scegliere tra il nazifascismo e alcuni sparuti servizi offerti dalla mafia, ma certamente non è stato più vero a partire dall'immediato dopoguerra a oggi. Si sono verificate invece ruberie e rapine, oltre ad una forma di connivenza tra le organizzazioni della criminalità organizzata e il sistema dei partiti nel suo complesso; alcuni partiti sono più compromessi di altri ma nessuno è del tutto immune (come la relazione lascia intendere) tra i partiti che hanno avuto le mani in pasta nel Governo delle città e della regione Sicilia. Non condivido invece alibi di tipo occidentalista, che vorrei venissero discussi con maggiore attenzione. Credo che la questione relativa alle latitanze venga giustamente sollevata ma dovrebbe essere intesa come un esempio Pag. 1675 della mancanza di volontà politica di arrivare alla soluzione di questi problemi: abbiamo constatato che nel momento in cui, per forza o per piacere, qualche Governo ha voluto cominciare a combattere la criminalità mafiosa, è riuscito a raggiungere dei risultati. L'intenzione di aver tutelato le latitanze dei boss o dei "picciotti" si muove nella stessa direzione, anche se su binari paralleli molto più insanguinati, del fatto che noi Stato, noi partitocrazia, abbiamo tollerato un'evasione fiscale che qualsiasi altro paese democratico schierato sul fronte occidentale ha combattuto e vinto. Le latitanze mafiose invece non sono state né combattute né vinte e soltanto oggi cominciamo a registrare qualche significativo successo, ma se quanto sta accadendo oggi non é avvenuto prima, dobbiamo risalire ad un intreccio di interessi in cui la politica ha svolto un ruolo molto preciso, consistente nella predisposizione delle risorse che poi il sistema dei partiti e le organizzazioni mafiose hanno convenuto nel redistribuire. Questo è il quadro generale della situazione, nell'ambito del quale credo che la relazione sia un po' troppo precisa su alcuni punti e un po' troppo debole come struttura di analisi complessiva. Ritengo infatti che da questa Commissione antimafia non dobbiamo attenderci "zoomate" su episodi precisi, che sono oggetto di indagine della magistratura e su cui non possiamo dire di più né meglio di quanto possa dire quest'ultima, mentre la relazione è carente nella parte che rientra più propriamente nella nostra competenza, ossia quella dell'analisi politica e dell'acquisizione delle responsabilità politiche di sistema. Vi sono poi alcune note marginali, su cui mi soffermo soltanto perché siamo in fase di discussione generale, in ordine alle quali posso dire di essere in disaccordo nel senso che non ho una precisa opinione diversa ma non ho neppure la stessa opinione: mi riferisco, per esempio, alla struttura di Cosa nostra intesa come un'organizzazione del crimine di forma piramidale, con tanto di boss, viceboss e soldati. Credo che la questione si presenti più complessa e che Cosa nostra si sia sviluppata attraverso una continua riformazione e "sformazione" di leader e "sultani" che trionfavano sugli altri. Non condivido l'opinione in base alla quale si dà invece il quadro di un'organizzazione che sarebbe passata attraverso gli anni mantenendo caratteristiche strutturali così precise. L'altro dubbio di fondo (la magistratura, se deciderà di indagare, ce lo svelerà) riguarda il ruolo dei politici nazionali: pensare che questi ultimi siano serviti soltanto, com'è indicato dalla magistratura, per aggiustare i processi in cassazione, è un fatto che francamente mi sfugge. Se si intendeva aggiustare i processi in cassazione, si poteva farlo senza passare, per esempio, attraverso Giulio Andreotti e non vedo l'interesse di quest'ultimo ad aggiustare processi in cassazione in cambio di non so che cosa. Ritengo allora che il fenomeno vada ricondotto ad una dimensione nazionale: se determinati fatti si sono verificati in Sicilia è perché avvenivano anche a Milano; se alcuni processi sono stati aggiustati riguardo alla mafia è perché determinati processi non venivano neppure celebrati riguardo alle organizzazioni a delinquere di stampo mafioso, ma non mafiose, che operavano in altre città italiane. Personalmente, non sono convinto della colpevolezza di chi oggi è sotto indagine ma compete alla magistratura accertare ciò: dal momento che sono un politico, e non un magistrato, il fatto che un colluso con la mafia produca opere corrette e legali mi interessa sotto il profilo di ciò che egli produce in termini di legalità. La responsabilità penale per i suoi atti, in relazione alle sue collusioni, è qualcosa che mi riguarda come cittadino ma non può interessarmi nello specifico della mia azione politica. Se però omissioni e aggiustamenti vi sono stati, questi sono gli stessi che sono avvenuti nel quadro nazionale. E' comunque giusto affermare che Cosa nostra è cosa palermitana e cosa siciliana; Pag. 1676 manca tuttavia l'analisi del modo in cui, per esempio, il traffico di droga si sia inserito nella struttura di Cosa nostra, di come abbia molto probabilmente scombinato le relazioni tra mondo politico e mondo criminale e di quale effetto abbia provocato questo fattore puramente criminale, il quale però creava ricchezze che fino a quel momento soltanto la collusione tra mafia e politica aveva potuto garantire. Questo è un capitolo aperto e da capire se vogliamo comprendere come combattere in futuro la nuova Cosa nostra o le nuove narcomafie, magari non più siciliane e non più legate a certe tradizioni e a certi riti, e se vogliamo evitare che si rifondino in nuove regioni e con poteri di tipo diverso. Questo è un altro capitolo, a mio avviso, essenziale perché è necessario capire non tanto il fenomeno del narcotraffico per comprendere direttamente le relazioni tra mafia e politica ma come siano saltate certe relazioni tra mafia e politica e come, di conseguenza, si siano aperti dei varchi di lotta politica alla mafia che prima non erano possibili. Questi sono suggerimenti che vorrei dare per il futuro del lavoro della nostra Commissione. Desidero affrontare ora un punto che riguarda il partito radicale: si dice che Cosa nostra, nel 1987, rivolse voti verso il partito radicale; ricordo che il pentito Marino Mannoia disse che vi era stata questa intenzione ma che poi alla fine si decise diversamente e si preferì rivolgere voti verso il partito socialista. Quanto ho detto non cambia nulla perché nella relazione vi è scritto che ciò avvenne solo per dare un avvertimento alla democrazia cristiana. Spero che sia vero. PRESIDENTE. E senza intese. MARCO TARADASH. Senza intesa. Spero che sia vero per tutti. Però vorrei che si andasse a rivedere la dichiarazione di Mannoia, il quale mi pare abbia precisato che il partito radicale rappresentava il garantismo e che ci fu l'intenzione di votarlo ma poi si preferì dare tutto al partito socialista. Questo sotto il profilo della puntualità dei riscontri oggettivi e come contributo ad una discussione che da questa relazione deve avviarsi per definire meglio il fenomeno, anche sulla base di acquisizioni che nessuno di noi aveva nel momento in cui il documento veniva redatto. MAURIZIO CALVI. Signor presidente, intendo porre un problema di carattere pregiudiziale. Avverto una caduta di stile, di tono, di dignità istituzionale della stessa Commissione riguardo alla circostanza della diffusione di una relazione che a me era stata data in maniera molto riservata. Molti cominciano a manifestare discordanze e la necessità di integrazioni e correzioni più o meno sistematiche, per cui dobbiamo recuperare il senso della responsabilità collettiva di una Commissione, richiamando ciascun commissario al senso della responsabilità - così come mi era stato indicato e come ho fatto nell'interesse della Commissione - o correggendo il sistema di consegna della documentazione, cioè evitando di inviare a cinquanta commissari per lo meno le relazioni riservate. Dico a me stesso e a all'intera Commissione che il senso della responsabilità di ciascuno è importante, però se non vi è la responsabilità collettiva della Commissione vi è il pericolo di una caduta di tono, di segno e di identità della Commissione stessa che rischia di crollare sotto un sistema perverso (Commenti del senatore Biscardi). La conclusione di ciò potrebbe essere il richiamo ad una sorta di indifferenza, all'assuefazione ad un clima di sospetti che si può alimentare e che produce effetti devastanti sul sistema interno ed esterno della Commissione stessa. Dobbiamo quindi passare dal sistema dell'indifferenza a quello della differenza: se non cogliamo il sistema della differenza del punto di vista dei contenuti, della verità e della chiarezza, rischiamo di far naufragare il lavoro di una Commissione. Essa costituisce un sistema talmente sensibile alle sollecitazioni interne ed esterne che una caduta di tono, di stile e di Pag. 1677 dignità istituzionale può rappresentare un elemento negativo per l'attività della Commissione e per il rilievo che essa ha soprattutto all'esterno. Pertanto, ritengo che debba essere dedicata a questo tema, nei prossimi giorni, una riunione dell'ufficio di presidenza allargato. Passiamo ora alle questioni riguardanti il contenuto della relazione. Ritengo che essa comunque tenti di aprire per la prima volta nella storia del nostro paese alcuni spaccati di verità. Al di là dei contenuti, dei giudizi forti in essa riflessi, delle lacune e di alcune omissioni - in ogni caso, la relazione dovrà essere integrata - credo importante fare una sottolineatura: come ho detto, è la prima volta nella storia parlamentare del nostro paese che una Commissione parlamentare tenta di aprire e di capire lo spaccato del nesso tra mafia e politica, uno spaccato che in tutti questi anni ha alimentato un clima di violenze e di dissesti anche sul piano istituzionale. Do questo giudizio di carattere politico perché occorre attribuire alla relazione la dignità che merita; quindi, a nome del gruppo socialista, richiamo il valore storico della relazione, al di là dei suoi contenuti. Passo ora ad un secondo aspetto. La relazione deve far comprendere i suoi circuiti interni ed esterni. Perché parlo di circuiti interni ed esterni? Perché ho sottolineato l'esigenza di evitare il clima di indifferenza, di assuefazione e di sospetti? Perché l'iniziativa di Caselli e l'iniziativa di portare questa relazione alla Commissione parlamentare antimafia ed i tempi previsti potrebbero suscitare dubbi, perplessità ed incertezze sul piano politico. Non credo assolutamente che queste circostanze siano in qualche modo guidate, per cui lungi da me il pensiero che esse siano il frutto di una sorta di regia. Però non vi è dubbio che questa preoccupazione - che ho colto nel paese e in Commissione - porti alcuni gruppi a considerare la possibilità di un rinvio dei lavori della Commissione proprio perché probabilmente si ha il timore che la relazione possa influire sul risultato del 14 aprile. A proposito dei circuiti interni della relazione, sottolineo che essa sarebbe stata più importante e rilevante se fosse stata votata una settimana fa. L'avviso di garanzia pervenuto ad Andreotti, senza entrare nel merito di un giudizio che spetta ad altri... PRESIDENTE. Deve essere chiaro che i tempi sono stati decisi da tutti noi insieme. Se c'è indipendenza tra attività giudiziaria e attività politica, ciò comporta purtroppo... MAURIZIO CALVI. Ho voluto soltanto richiamare a me stesso una preoccupazione che non è di Calvi ma che potrebbe essere diffusa e potrei aver colto. PRESIDENTE. Quando, l'ultima volta, abbiamo deciso i tempi, la comunicazione c'era già. MAURIZIO CALVI. Sono d'accordo con lei, signor presidente. Quando parlo di circuiti interni, intendo dire che uno di essi può rappresentare un elemento di separazione di questa relazione dalle vicende che si sono ulteriormente sviluppate. I fatti che si sono verificati e la portata delle circostanze hanno rivelato un salto di qualità del rapporto mafia-politica, del quale bisogna tener conto dal punto di vista politico. Abbiamo colto una riserva politica nelle parole del presidente, quando egli ha affermato che questo è solo l'abbrivo, l'avvio di una discussione che può portare alla votazione di una relazione che poi deve produrre ulteriori conseguenze dal punto di vista dell'analisi: colgo questa circostanza e questo giudizio e li faccio miei. L'elemento che fa ritenere interrotti i circuiti interni della relazione è costituito dal fatto che in essa non si valuta, per la portata che ha avuto nel sistema istituzionale italiano e in quello giudiziario, l'allarme lanciato nel 1988 da Borsellino. Pag. 1678 Venne dato grande risalto alle sue parole, tanto che il Presidente della Repubblica Cossiga intervenne sulle vicende di Palermo. Credo che la relazione debba rivisitare la lettura dei rapporti all'interno del Consiglio superiore della magistratura, le interferenze politiche all'interno di quel consesso e le conseguenze che queste hanno determinato nel sistema di contrasto nei confronti della criminalità organizzata, perché quello è il punto di massima debolezza del sistema istituzionale, di uno dei poteri dello Stato, cioè il cosiddetto potere giudiziario. Questo spaccato ha fatto cadere, dal punto di vista politico, il pool antimafia, lo ha spappolato, lo ha disintegrato. Ciò ha prodotto una serie di conseguenze che hanno portato Giovanni Falcone ad allontanarsi da Palermo. Tutta quest'aerea interna richiede una rivisitazione, in questa relazione, che deve essere necessariamente introdotta per capire e soprattutto per far capire il nesso e la portata dell'interferenza politica mafiosa nel sistema giudiziario siciliano e palermitano. Il terzo aspetto è relativo al problema dei pentiti. Faccio una riserva di carattere generale. O il cuneo del pentitismo lo si accetta così com'è, con il rischio di pagare dei prezzi (il prezzo è stato quello della morte di un magistrato, può essere stato quello della cattura di Contrada), ma lo acettiamo come elemento forte, dinamico, che contrasta duramente la lotta alla criminalità organizzata, accettandone tutti i rischi e tutti i prezzi, oppure l'altra strada è quella di una delegittimazione complessiva della politica dei pentiti, con tutta una serie di conseguenze sul piano dell'azione giudiziaria e dei riscontri giudiziari. Sono dell'avviso che la prima questione è quella che in qualche modo possa essere sostenuta con più forza. Mi riconosco in quell'idea, in quell'incrocio in cui il cuneo del pentitismo ha aperto spaccati di verità nel nostro paese soprattutto nel momento in cui in quelle realtà nessuno parla, nessuno vede, nessuno sente; il circuito delle informazioni, che si era inaridito in quella fase storica e che aveva determinato la sconfitta dello Stato, doveva essere sollecitato e ripreso per capire come penetrare nel sistema interno alla lotta alla criminalità organizzata. Ritengo, quindi, che i flussi informativi siano decisivi per sconfiggere Cosa nostra; senza tali flussi informativi diventa più difficile costringere alla resa Cosa nostra. Nella relazione, che è costruita attraverso una serie di testimonianze dei pentiti che abbiamo ascoltato, dobbiamo mettere comunque, per un sistema di garanzie complessivo, una riserva di carattere politico: l'uso dei pentiti è importante a condizione che ci siano dei riscontri. Che riscontri abbiamo avuto, presidente? Abbiamo raccolto queste testimonianze e poi per impossibilità nostra... PRESIDENTE. Se non ricordo male nella relazione sono citati soltanto testi con riscontri oggettivi. MAURIZIO CALVI. Nella relazione questa riserva ci deve essere per dare una lettura attenta e chiara, altrimenti il rischio è che le motivazioni dei pentiti che sorreggono l'impostazione generale della relazione... PRESIDENTE. Questo lo contesto! MAURIZIO CALVI. L'iceberg di Lima rappresenta la fase più alta della relazione. PRESIDENTE. Perché non c'entra con la relazione? MAURIZIO CALVI. Come non c'entra con la relazione! PRESIDENTE. C'è il processo! MAURIZIO CALVI. C'entra con la relazione, nella quale è detto chiaramente questo nesso e questo snodo. Pag. 1679 PRESIDENTE. Sì, ma c'è un'intercettazione telefonica da cui risulta che telefona sostenendo... MAURIZIO CALVI. Pongo soltanto il problema di una riserva di carattere politico che deve essere riportata all'interno della relazione, altrimenti la relazione avrà una serie di conseguenze diverse. Chi legge la relazione deve avere l'esatta portata di queste testimonianze dei collaboratori di giustizia, che sono importanti - ripeto - perché aprono uno spaccato che noi non conoscevamo nel nesso tra politica e affari e politica ed istituzioni, che noi in qualche modo vogliamo cogliere con la relazione. Nella relazione deve essere trattato il problema dell'area giudiziaria in relazione alle interferenze sul Consiglio superiore della magistratura e gli effetti sull'azione giudiziaria nella città di Palermo. Inoltre, come dicevo, la relazione deve contenere una riserva di carattere generale e proprio per le novità dirompenti emerse nel paese può essere ritenuta vecchia rispetto a ciò che registriamo in questi giorni. Di tutto ciò ci dobbiamo preoccupare. Dobbiamo richiamare il sistema parlamentare all'unità di un impegno comune politico nella lotta alla criminalità organizzata. Non vorrei che la Commissione su una delle relazioni più importanti, che può far storia nell'istituto repubblicano, per un gioco perverso di carattere politico potesse avere soltanto l'effetto di un voto limitato con conseguenze anche sul piano politico nella lettura del documento. Dobbiamo recuperare a tutti i costi il richiamo all'unità politica del Parlamento, nel momento in cui c'è l'unità politica dei poteri dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata, su uno dei temi più delicati della vita del nostro paese allorché si parla di rapporti tra mafia e politica. Noi come gruppo socialista esprimiamo questa forte esigenza e invitiamo tutti i gruppi a recuperare serenità in questo lavoro. A mio avviso in questo momento manca una serenità di carattere politico. Dobbiamo recuperare, attraverso la serenità politica, un'impostazione di carattere generale che dia la possibilità a tutti i gruppi di apportare le integrazioni e le correzioni che sono ritenute necessarie per dare al paese una relazione che sia di tutto il Parlamento italiano. Se così non fosse, caro presidente, potremmo anche approvarla ma sarebbe una relazione che non ha la coralità dell'intero sistema politico-parlamentare italiano. Proprio per una valutazione più compiuta da parte del gruppo socialista formulo una richiesta di rinvio nella definizione e nella votazione della stessa relazione per dare la possibilità al gruppo, convocato per questa sera, di esprimere nei giusti termini l'esatta portata di questo rinvio. LUIGI BISCARDI. Signor presidente, parlare per ultimi dà qualche privilegio, soprattutto quello di non ripetere molte cose che sono state dette e quindi di essere più sintetici. Ho letto attentamente nella tarda serata di ieri la relazione e devo dire con sincerità di avervi trovato, insieme con la chiarezza del dettato (cosa non facile di questi tempi soprattutto quando si affrontano problemi complessi), un sicuro tessuto storico e, dal punto di vista della mia formazione professionale, anche una validità didascalica che può essere particolarmente importante. Una relazione del genere è di necessità una relazione storica non solo per la costruzione della stessa ma anche per il momento in cui si pone la prospettiva storica conclusiva di un periodo. Poco fa il collega Taradash ha detto che questa è una relazione superata dagli avvenimenti attuali. Ciò è vero di ogni storia, che non può rincorrere sempre i fatti: l'attualità non ha mai fine e non può essere rincorsa, altrimenti avremmo una relazione sempre incompiuta (la storia, come si sa, è sempre incompiuta). Un aspetto della relazione che mi ha soddisfatto è quello della conferma dei risultati della storiografia sulla mafia; i fatti hanno confermato ipotesi fondate Pag. 1680 sull'interpretazione della realtà. Il mio giudizio complessivo è che il significato della relazione è pienamente persuasivo. Passando all'analisi della parte storica della relazione, non mi appare convincente il riferimento alle conclusioni della prima Commissione Antimafia (1976) ed alla tesi di fondo della stessa: la visione di una mafia alla ininterrotta ricerca di un collegamento col potere politico statuale. La mafia è sempre un potere antagonista formato su un'organizzazione familiare e locale via via in estensione ma sempre legata a segmenti territoriali. In ciò sta l'irriducibilità della mafia, in questo nucleo antropologico essenziale che non muta mai neppure con il mutare degli avvenimenti. Altro punto della relazione che esige ulteriori sottolineature riguarda il tempo del passaggio dell'attività mafiosa in campo politico. Nel periodo postunitario ci fu il contrapporsi della mafia all'autorità politica, un agire al di fuori dell'autorità politica, quasi a latere dello Stato e della politica. Un rapporto più stretto con la politica avviene con il separatismo siciliano che rappresenta un momento culminante (a questo proposito ricordo non soltanto "l'ideologia siciliana" di Giancarlo Marino ma un libro, sempre di Marino, sulla storia del separatismo siciliano), la rivendicazione del "sicilianismo", l'esasperazione autonomistica che culmina con l'esperimento Milazzo. Il salto di qualità avviene nel momento in cui alle richieste economiche progressivamente crescenti della classe politica dirigente siciliana conseguono le concessioni del ceto politico nazionale in cambio del rafforzamento elettorale e di potere, di modo che la forza di Cosa nostra diventa direttamente proporzionale alla debolezza dello Stato. La relazione fa riferimento alla situazione internazionale (condivido la citazione da Severino), tuttavia c'è da porre in maggior rilievo il problema dell'occupazione totalitaria del potere non soltanto in Sicilia ma anche in gran parte del Mezzogiorno per spiegare molti degli avvenimenti attuali. Mi riferisco ad una non corretta dialettica democratica. Per esempio, quando si impediva ad una minoranza la partecipazione alla gestione amministrativa, o l'esercizio di certi diritti, era perché quell'impedimento doveva essere funzionale ad indebolire la possibilità di affermazione di quella forza politica. C'era una tendenza all'espansione come condizione del mantenimento del potere. SANTI RAPISARDA. Le minoranze spesso sono state colluse. PRESIDENTE. C'è stato anche il separatismo di sinistra ... Canepa. LUIGI BISCARDI. In alcuni casi questo è vero. Credo che la relazione dovrebbe essere più precisa su alcuni punti, soprattutto per quanto riguarda quelle che sono state chiamate le due distinte sovranità: la mafia da una parte e il ceto politico dall'altra. Tutto ciò riguarda l'analisi storiografica: c'è sempre stata una tradizione letteraria e storica della Sicilia che ha evidenziato questa distinzione. Ricordiamoci di De Roberto: "Gli Uzeda sono sempre gli stessi". Quanto alle proposte, signor presidente, alcune integrazioni sono auspicabili. Ad esempio, l'analisi dell'amministrazione è persuasiva soprattutto quando si riferisce al reclutamento senza concorsi, con metodi estremamente clientelari, nella regione siciliana; questo metodo si è diffuso in tutto il territorio nazionale e ormai l'accesso per concorso è un fatto residuale nell'amministrazione pubblica italiana, non più normale: oggi si viene assunti o direttamente o per cooptazione nei casi migliori. Questa situazione fa della burocrazia una casta, che poi si autoalimenta e quindi crea ulteriori situazioni pericolose. Questo discorso vale per l'Italia e, a maggior Pag. 1681 ragione, per la Sicilia. Non è un caso che Sciascia parlasse di "sicilianizzazione" dell'Italia. Anche la parte relativa alla polizia ed alla magistratura dovrebbe essere messa in maggior risalto. Mi riferisco al problema dello scarso avvicendamento, e quindi del radicamento familiare, anche a livello locale, delle forze di polizia e dei sottufficiali dei carabinieri; per forza di cose, si creano momenti di integrazione ambientale. Ed è proprio sul controllo del territorio che si gioca, in un certo senso, il destino dell'intervento generale. Pur avendo espresso una posizione di sfiducia al Governo, ho votato a favore della presenza dell'esercito, in quel particolare momento, perché ritenevo che almeno come supplenza temporanea fosse giusta. In sostanza i risultati ci sono stati. Invece, di fronte ad una perpetuazione della presenza fisica della polizia e della magistratura, credo che i risultati delle indagini siano soggetti a condizionamenti. Nella relazione si afferma che il mezzo risolutore è la "straordinaria ordinarietà". C'era uno scrittore francese, mi sembra fosse Péguy, il quale diceva che la rivoluzione sta nell'ordinaria amministrazione. Credo che questo principio ormai valga per tutta l'Italia e soprattutto per la Sicilia: in questa regione la vera rivoluzione è l'ordinaria amministrazione e l'ordinario funzionamento della macchina amministrativa, di polizia e giudiziaria. Infine, per quanto riguarda il rapporto con i politici, vorrei fare un rilievo parziale alla relazione: è stata affidata la conferma della validità dei risultati in misura pressoché esclusiva alle rivelazioni dei pentiti. E' indubbio che queste rivelazioni hanno dato un contributo eccezionale, ma il problema dei rapporti tra mafia e politica è anche un problema di condotta quotidiana, di merito politico. Il vero problema è che non si poteva ignorare, nessun politico italiano poteva farlo, che Salvo Lima avesse una contiguità, e non dico altro, con la mafia. Non vedo perché i cittadini più semplici non possano avere contiguità con determinati ambienti, pena la caduta della loro buona fama, e possano averla invece i politici. Sono convinto che questi ultimi, ancor più dei giudici, debbano essere non solo liberi e superiori a qualsiasi sospetto, ma anche apparire tali. Questo rilievo vale anche per i membri, se ce ne sono in queste condizioni, della Commissione antimafia. Desidero infine soffermarmi su un corollario che riguarda la funzione didascalica della relazione. L'intervento a breve e medio termine è di natura politica e la relazione deve dire con estrema chiarezza certe cose non solo ai partiti, come è detto nella proposta del presidente, ma prima di tutto al Parlamento. Mi sia però consentito esprimere una esigenza connessa alla mia esperienza professionale: dobbiamo rivolgerci anche e soprattutto alle giovani generazioni, perché la mafia come categoria mentale negativa si vince soprattutto influendo sulle giovani generazioni. Poiché la Commissione antimafia non può ignorare un rapporto con la scuola, proporrei addirittura che la relazione, una volta approvata ed eventualmente in sintesi (anche perché essa è di impostazione didascalica: enuncia il principio prima di svolgerlo), venga portata a conoscenza dei giovani. La Commissione antimafia non deve parlare soltanto al Parlamento ed ai politici, ma al paese intero. Quanto all'andamento della discussione, almeno per la parte che ho potuto seguire, il collega Calvi mi consenta un'osservazione. Rilevo un contrasto tra l'affermazione che bisogna procedere con molta cautela e il giudizio per cui questa relazione sarebbe ormai vecchia, se non ho compreso male. Infatti, se la relazione è vecchia la cautela non serve. Il problema non è di contraddizione formale. MAURIZIO CALVI. Ho posto un problema di unità. LUIGI BISCARDI. Vengo proprio alla richiesta di unità politica. Anche per la mia posizione indipendente, posso dire che non mi interessa l'unità politica a scapito della verità; di fronte al veronon ho interesse a che la relazione sia Pag. 1682 votata dall'uno o dall'altro. Se sono convinto, esprimo di conseguenza il mio voto. Agire in modo diverso fa parte di una mentalità vecchia, che deve essere sconfitta anche nella Commissione antimafia. Dobbiamo assumere la relazione - che può essere migliorata, ed in questo senso ho avanzato alcune osservazioni per la parte storica e per quella politica - come un contributo etico-politico alla transizione verso nuovi assetti politici. Deve essere, in altre parole, il congedo storico e politico da una fase che appartiene al passato. PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che per la seduta di domani mattina sono previste tre iscrizioni a parlare. Al fine di conciliare la presenza in Commissione con i concomitanti impegni al Senato ed alla Camera, ritengo che potremmo riunirci dalle 9,30 alle 10,30. SALVATORE FRASCA. Desidero far presente che la seduta del Senato inizierà, domani mattina alle 10, con la verifica del numero legale. PRESIDENTE. Per consentire ai senatori di essere presenti, anticipo a domattina alle 9 l'inizio della seduta, che così potrà concludersi entro le 10. La seduta termina alle 19,50. Pag. I ALLEGATO Proposta di relazione sui rapporti tra mafia e politica Relatore: VIOLANTE) Pag. II Pag. III ... (omissis) ... Pag. IV ... (omissis) ... Pag. V ... (omissis) ... Pag. VI ... (omissis) ... Pag. VII ... (omissis) ... Pag. VIII ... (omissis) ... Pag. IX ... (omissis) ... Pag. X ... (omissis) ... Pag. XI ... (omissis) ... Pag. XII ... (omissis) ... Pag. XIII ... (omissis) ... Pag. XIV ... (omissis) ... Pag. XV ... (omissis) ... Pag. XVI ... (omissis) ... Pag. XVII ... (omissis) ... Pag. XVIII ... (omissis) ... Pag. XIX ... (omissis) ... Pag. XX ... (omissis) ... Pag. XXI ... (omissis) ... Pag. XXII ... (omissis) ... Pag. XXIII ... (omissis) ... Pag. XXIV ... 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