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Violante: seduta 35

Violante: seduta 35
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                        Pag. 1637
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e
politica:
Violante Luciano, Presidente, Relatore ................ 1639
                    1640, 1641, 1642, 1647, 1648, 1653, 1654
                    1655, 1661, 1664, 1665, 1667, 1668, 1669
                    1674, 1676, 1677, 1678, 1679, 1680, 1682
Bargone Antonio ....................................... 1669
Biscardi Luigi ............................ 1679, 1680, 1681
Borghezio Mario ................................. 1644, 1647
Brutti Massimo ........................................ 1669
Cabras Paolo .................................... 1641, 1647
Calvi Maurizio .................................. 1641, 1676
                                      1677, 1678, 1679, 1681
Cappuzzo Umberto ................................ 1639, 1640
De Matteo Aldo .................................. 1640, 1654
Ferrara Salute Giovanni ................... 1655, 1657, 1661
Ferrauto Romano ....................................... 1651
Florino Michele ..................... 1639, 1640, 1661, 1664
Frasca Salvatore ...................................... 1682
Fumagalli Carulli Ombretta ................ 1651, 1653, 1654
Matteoli Altero ........................... 1640, 1665, 1669
Rapisarda Santi ....................................... 1680
Ricciuti Romeo ........................................ 1641
Robol Alberto ......................................... 1664
Scalia Massimo .................................. 1654, 1655
Sorice Vincenzo ................................. 1647, 1648
Taradash Marco ............................ 1673, 1674, 1676
Tripodi Girolamo .................... 1665, 1667, 1668, 1669
ALLEGATO ................................................. I
                        Pag. 1638
                        Pag. 1639
La seduta comincia alle 15,30.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia
                       e politica.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame e la
votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica.
Prima di passare alla trattazione di tale argomento, do la
parola al senatore Florino che ha chiesto di parlare
sull'ordine dei lavori.
  MICHELE FLORINO. Onorevole presidente, onorevoli
colleghi, vorrei chiedervi di prestare un minuto di attenzione
ad una questione di carattere preliminare che certamente potrà
offrire un notevole apporto al prosieguo della discussione
sulla proposta di relazione relativa ai rapporti tra mafia e
politica. Prendo atto del grande sforzo e del lavoro svolto
dal presidente in sede di redazione della proposta. Ritengo,
tuttavia, che la proposta stessa sia monca, dal momento che in
essa non è contenuto un riferimento ai fatti eclatanti che in
questi giorni stanno investendo il nostro paese. Ricordo che
Elio Spallitta, procuratore distrettuale della Repubblica di
Palermo, nel corso dell'audizione resa davanti a questa
Commissione il 5 novembre 1992, dichiarò testualmente: "Ho
detto fin dall'inizio che ci troviamo di fronte ad una breccia
che molto probabilmente si potrà allargare. Non sappiamo
ancora quanto ci verrà riferito e quali ulteriori indagini
occorrerà svolgere". Questa breccia si è allargata,
coinvolgendo uomini politici importanti ed offrendoci uno
scenario diverso rispetto alle ombre ed ai dubbi che ci
assillavano. Non intendo criminalizzare nessuno, anche perché
l'indagine della magistratura è ancora in corso. Non posso
tuttavia non ricordare ai colleghi che la nostra Commissione
si occupa non solo di mafia ma anche di altre organizzazioni
criminali similari. Le vicende che stanno interessando la
Campania potrebbero essere - ecco perché parlo di proposta di
relazione monca - riportate integralmente in una relazione, sì
da dare l'esatta dimensione del rapporto reale intercorso tra
le forze politiche, la camorra, la 'ndrangheta e la mafia.
   Pertanto, onorevole presidente, chiedo a lei ed agli
onorevoli colleghi che l'esame della proposta di relazione sia
temporaneamente sospeso, in modo da offrire la possibilità ai
componenti della Commissione ed a lei, che ne è estensore, di
integrarla con riferimento ai fatti nuovi ed anche per avere
l'opportunità di discutere sul reale rapporto intercorso tra
la politica e la mafia.
  UMBERTO CAPPUZZO. Signor presidente, so che lei è
particolarmente sensibile ai problemi di forma. Con grande
sorpresa questa mattina abbiamo constatato che la proposta di
relazione al nostro esame era pubblicata sulla stampa.
Evidentemente, si è verificata una fuga di notizie. Ciò che è
più grave è che la relazione viene presentata come atto della
Commissione e viene considerata già approvata. Ricordo che
nella precedente legislatura lei stesso si è fatto promotore
di proteste piuttosto vivaci in riferimento ad analoghe
situazioni. Penso, per esempio, a quanto avvenne con
riferimento ad
                        Pag. 1640
una mia relazione relativa alle forze dell'ordine: in quella
circostanza espresse rammarico sul verificarsi di una fuga di
notizie.
   Ritengo che sarebbe il caso di precisare anzitutto che la
proposta di relazione da lei redatta non costituisce un atto
della Commissione, perché deve ancora essere approvata.
Sarebbe inoltre opportuno procedere ad una piccola inchiesta
per accertare come mai, nonostante noi non avessimo avuto
nemmeno il tempo di leggerla completamente, i giornali
l'abbiano riportata quasi nella sua interezza. Si tratta di un
fatto non certamente piacevole; ci troviamo di fronte ad un
comportamento deontologico e di costume senz'altro
censurabile.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda la richiesta formulata
dal senatore Florino, vorrei ricordare che quando abbiamo
stabilito di avviare questo lavoro specifico abbiamo deciso di
affrontare i rapporti tra Cosa nostra e politica. Del resto,
in una parte della relazione si precisa che le considerazioni
sono limitate ai rapporti con Cosa nostra, in virtù di una
decisione assunta da tutti. Ovviamente, siamo liberi di
proporre che analogo lavoro si svolga con riferimento anche ad
altre organizzazioni, ma si tratta di un'altra cosa, che credo
- esprimo un'opinione personale - sarebbe sbagliato non fare,
ma è una cosa diversa rispetto a quello che avevamo deciso di
fare.
   Quanto ai rilievi del senatore Cappuzzo, l'unico
quotidiano che questa mattina ha riportato le considerazioni
alle quali egli ha fatto riferimento è stato l'Unità.
  ALTERO MATTEOLI. Lo hanno fatto anche la
Repubblica e Il Corriere della Sera.
  PRESIDENTE. Comunque, la notizia in base alla quale la
proposta di relazione sarebbe stata espressione di tutta la
Commissione è assolutamente infondata: ci mancherebbe altro!
E' giusto fare una precisazione. Quando ho letto il titolo
dell'articolo pubblicato questa mattina su l'Unità, ho
telefonato al direttore dicendogli che aveva sbagliato perché
si tratta di una proposta di relazione e non di un atto di
tutta la Commissione.
   Per quanto riguarda la seconda questione...
  UMBERTO CAPPUZZO. Questi fenomeni si ripetono. Lei può
testimoniare che nella precedente legislatura siamo
intervenuti a più riprese con riferimento a fughe di notizie e
vi è stata sempre una stigmatizzazione da parte del
presidente.
  MICHELE FLORINO. Signor presidente, la mia richiesta non
era collegata soltanto alla regione Campania ma anche
all'effetto politico di Cosa nostra per le vicende che
coinvolgono il senatore Andreotti. L'ho detto chiaramente.
  PRESIDENTE. Scusate, colleghi, queste non sono questioni
preliminari ma di metodo. Le questioni che affrontiamo sono
difficili, per cui vanno affrontate una per una.
   Se lei chiede di accantonare un aspetto e di guardare
piuttosto ad altri fenomeni, devo dire che la questione non mi
pare proponibile, se mi consente, in quanto il tema che ci
siamo comunemente dati è quello e non altro. Ciò non toglie
che dopo, se i colleghi lo riterranno, potranno avanzare
proposte, e se la Commissione sarà d'accordo si potrà fare
anche altro.
   Se lei ritiene che nella proposta di relazione non vi
siano talune fattispecie, ciò attiene al merito, per cui potrà
porre la questione nel corso della discussione. La sua
osservazione, pertanto, non è riconducibile ad una questione
preliminare ma di merito.
  ALDO DE MATTEO. Signor presidente, desidererei porre una
questione e mi scuso sin d'ora se un chiarimento in merito
alla medesima è già stato dato (ma a me non risulta).
   Credo che quando è stato determinato l'ordine dei lavori,
rispetto al tema di cui
                        Pag. 1641
discutiamo fosse stata prevista anche una parte finale, cioè
una serie di audizioni con i politici. Il lavoro sarebbe stato
completato proprio da queste audizioni, a proposito delle
quali erano anche stati fatti alcuni nomi dei politici che si
sarebbero dovuti sentire.
   Poiché mi sembra che adesso si verifichi un'accelerazione,
e quindi un superamento di questa fase, che personalmente
considero molto importante, chiedo se essa si intenda
accantonata momentaneamente per approvare il documento o se
quest'ultimo non sia più completo tramite l'audizione di quei
personaggi politici, già individuati o da individuare, di cui
avevamo parlato nell'impostazione dei lavori.
  PRESIDENTE. Senatore De Matteo, la Commissione ha
deciso, all'unanimità, che venisse prima presentata una
relazione che prospettasse un quadro dei dati oggettivi; poi
decidemmo insieme di sentire (è ancora possibile se la
Commissione lo ritiene opportuno) le persone chiamate in causa
in quel documento. Successivamente, altri hanno chiesto di
essere ascoltati: qualche magistrato chiamato in causa dai
pentiti o da altri, nonché altre persone. Decidemmo che ciò lo
avremmo fatto successivamente per evitare di mescolare quello
che potrebbe essere il quadro tendenzialmente il più possibile
oggettivo con le singole posizioni personali.
  ROMEO RICCIUTI. Signor presidente, onorevoli colleghi, a
me sembra invece che la relazione manchi di un dato
fondamentale. Quando nel mese di ottobre abbiamo iniziato a
pensare a questo argomento, in verità lo avevamo notevolmente
ampliato, non ridotto soltanto ai rapporti tra mafia e
politica ma a quelli tra istituzioni, mafia e politica. A me
sembra che su questo piano la relazione sia fortemente
riduttiva, per cui vorrei che fosse riportata all'ampiezza che
era nelle nostre intenzioni all'inizio dei lavori.
  PRESIDENTE. Quest'aspetto, se mi consente, riguarda il
merito della relazione.
   Vi sono alcune questioni che riguardano le istituzioni, si
è parlato dell'impunità, del livello di coinvolgimento della
magistratura e di alcuni settori delle forze di polizia e dei
carabinieri - purtroppo - e della burocrazia.
   La mia è una proposta di relazione ed i colleghi potranno
proporre di ampliarla, estenderla, integrarla e correggerla.
Pertanto, se lei lo riterrà opportuno, onorevole Ricciuti,
proporrà estensioni in merito a questo specifico capitolo. A
meno che non si ritenga di approfondire successivamente
l'aspetto magistratura o l'aspetto polizia. Tutto questo è
fattibile ma se mi consente, onorevole Ricciuti, riguarda
piuttosto il merito che le questioni preliminari.
  MAURIZIO CALVI. Visto che siamo alle schermaglie, da
quanto mi è dato capire, vorrei sapere se da parte del gruppo
della democrazia cristiana vi siano questioni più importanti,
decisive ai fini...
  PAOLO CABRAS. Ma questo si evince dal dibattito...
  MAURIZIO CALVI. Dal punto di vista procedurale...
  PRESIDENTE. Senatore Calvi, la sua domanda è
eccessivamente acuta o no?
  MAURIZIO CALVI. Non lo so...
  PRESIDENTE. Se i colleghi democristiani hanno qualcosa
da dire possono farlo, come tutti. Non mi pare che sia
corretto trarre interpretazioni forzate o sbagliate da alcune
questioni che, giustamente, sono state poste. Mi sono
spiegato?
  MAURIZIO CALVI. Era per capire meglio.
                        Pag. 1642
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo della proposta di
relazione vi è stato trasmesso ieri e non mi pare che sia il
caso di tediarvi sul medesimo. Voglio pertanto esporvi alcune
linee guida.
   Il punto è questo: il rapporto tra mafia e politica, a
differenza del passato, è stato riconosciuto autorevolmente
sia dal Presidente del Consiglio Amato sia dai ministri
dell'interno Scotti e Mancino ma soprattutto dal Parlamento
che, predisponendo una serie di leggi, quale quella
riguardante lo scioglimento dei consigli comunali inquinati
per mafia, stabilendo addirittura la non candidabilità - cosa
mai successa prima - di persone che siano state semplicemente
accusate per reati di mafia, ha certamente individuato un
terreno di connessione. Questo è un fatto positivo e non
negativo: il fatto che il Parlamento prenda atto che esistono
queste connessioni e predisponga i mezzi per rispondere alle
medesime è una svolta in positivo, importante.
   D'altra parte, l'applicazione di queste misure è
rilevante, nel senso che siamo giunti a 52 comuni sciolti per
mafia e molti sono gli amministratori sospesi. Nel novero di
quelli sospesi in base alla legge sugli enti locali, vi è un
cospicuo numero di amministratori sospesi per rapporti con la
criminalità organizzata. La proposta di relazione sottolinea
che questo non è un tema da dimostrare ma che piuttosto
bisogna valutare l'estensione, le modalità e le condizioni di
questo fenomeno.
   Una parte rilevante della proposta di relazione è dedicata
al processo oggettivo che si è svolto dal 1943 al 1950, che è
stato un po' il processo di insediamento, sulla base dei dati
che mi è capitato di vedere, della mafia nel suo rapporto con
le istituzioni. Successivamente, sono maturate condizioni di
carattere oggettivo che hanno fatto nascere questo rapporto.
   Che vi siano state deviazioni e corruzioni soggettive non
vi è dubbio ma questi dati sarebbero inspiegabili senza un
quadro di carattere oggettivo. Il primo quadro di carattere
oggettivo a cui si fa riferimento è il bipolarismo. Il secondo
quadro a cui si fa riferimento - citando anche chi ha
riflettuto su questo tema - è la scarsezza di mezzi
investigativi la quale, indipendentemente dalla sua volontà,
come qui è stato riconosciuto da alcuni autorevoli dirigenti
delle forze dell'ordine, nelle zone di mafia poneva
l'esponente delle forze di polizia a contatto con il
capomafia, portando a forme di negoziazione i cui effetti
abbiamo visto tutti. Ricordo l'espressione grave - che dà il
segno della responsabilità dell'uomo - del capo della polizia,
il quale disse che una negoziazione ci fu, purtroppo con
scarsi risultati per lo Stato e con gli effetti che si sono
visti per quanto riguarda la tenuta nei confronti della mafia.
   Il terzo aspetto oggettivo è un tema notevole di
discussione nella cultura storica e che nella relazione è
stato chiamato "sicilianismo", cioè una visione
tendenzialmente separata dalla realtà regionale rispetto al
flusso di questioni nazionali e che a volte ci ha portato
anche a costruire una sorta di cintura di sicurezza attorno
alle questioni regionali proprie della Sicilia.
   Alcuni brani della relazione sono destinati alla
distinzione fra responsabilità politica e responsabilità
penale. La relazione evidenzia che troppo spesso si è
schiacciata la responsabilità politica sulla responsabilità
penale, facendo così pesare eccessivamente il ruolo
dell'istituzione giudiziaria nella vita politica del paese e
per converso deprimendo l'autorevolezza delle sedi politiche,
le quali devono invece assumere su di sé la capacità di
formulare giudizi di responsabilità politica.
   Questo complesso di questioni non ha creato uno stato di
necessità: i dati oggettivi ci sono stati ma non hanno
rappresentato uno stato di necessità, ed infatti abbiamo visto
che in moltissimi hanno condotto la loro lotta alla mafia in
tutte le forze politiche ed in tutte le istituzioni.
   Un altro aspetto della relazione sulla quale mi sembra che
soffermasse la sua attenzione l'onorevole Ricciuti è che i
rapporti mafia-politica hanno luogo all'interno di un tessuto
molto più ampio che
                        Pag. 1643
riguarda le professioni, le istituzioni e molti altri
soggetti. La mafia ha permeato - si osservava - vasti settori
delle istituzioni, della società civile e così via, per cui
dentro ad un rapporto complessivo si pone anche l'altro
rapporto.
   Oggi sono superate le condizioni oggettive cui accennavo,
poiché è superato il bipolarismo; la polizia dispone di mezzi
e strumenti e non ha bisogno del confidente di vecchio tipo;
la cultura di tipo separatista, od eccessivamente autonomista,
nonché la cultura sicilianista, sono superate, ed il
presidente della regione Sicilia, Campione, ne ha dato prova
nel suo positivo intervento dell'altro giorno. Oggi vi è una
particolare sensibilità molto più diffusa anche tra i
cittadini e vi è un'indirizzo politico molto più deciso del
passato su questo versante: vi sono insomma le condizioni per
andare avanti.
   Vi è forse un punto che la proposta di relazione avrebbe
dovuto affrontare più approfonditamente, ma possiamo
provvedervi: vi è un livello militare che è prioritario nella
lotta contro la mafia. E' un aspetto al quale tengo molto, e
che va forse potenziato nell'ambito della relazione. L'attacco
di fondo va portato alla struttura militare, che è, diciamo,
l'amministrazione di Cosa nostra. Partendo dalla struttura
militare si può arrivare poi al resto delle connessioni; se
qualcuno pensa di poter fare il ragionamento opposto, si
sbaglia, perché rischia di confondere il suo avversario
politico con il mafioso, il che è sicuramente un'operazione
sbagliata ed inaccettabile. Ci troviamo ora in una fase
certamente positiva per l'attacco al livello militare:
nonostante tutto quello che si dice, vi sono vari pezzi dello
Stato e della società che funzionano. Ritengo che la
Commissione parlamentare antimafia dovrebbe avere la funzione,
oltre che di verificare e controllare carenze ed errori, anche
di creare un tessuto politico ed istituzionale che agevoli la
rottura dei vecchi rapporti e l'individuazione delle
responsabilità.
   Il punto politico finale è il seguente: certamente, nel
sistema politico che ritengo si stia esaurendo, Cosa nostra ha
avuto un peso rilevante ed a volte condizionante. Possono
essere indicati una serie di episodi di importanza nazionale
per i quali Cosa nostra ha pesato come protagonista politico:
è stata infatti chiamata in causa nel tentativo di colpo di
Stato di Borghese ed in altre vicende. Pensiamo, per esempio,
alla strage del rapido 904, quando Cosa nostra da sola,
d'intesa con camorristi ed estremisti, decide di compiere un
attentato di quel genere. Quindi, Cosa nostra ha un suo peso
politico e una sua capacità di condizionamento.
   Il passaggio dal vecchio al nuovo sistema deve essere
necessariamente caratterizzato anche da una lotta dura a Cosa
nostra: se pensassimo che questo passaggio è fatto soltanto da
regole formali, probabilmente sbaglieremmo. C'è un problema di
regole, certamente, ma c'è anche un problema di liberazione
del sistema italiano da ciò che lo ha condizionato. Questo
naturalmente non vuol dire che il sistema politico italiano
sia mafioso: è stato un sistema che ha avuto la mafia dentro,
e che non sempre è riuscito a liberarsene; altrimenti, non
avremmo avuto le tragedie che si sono verificate fino a
qualche mese fa. Oggi, vi sono, quindi, una volontà ed una
possibilità di lotta; vi è la necessità di dare una svolta e
ci sono le condizioni per ottenerla.
   Quella al nostro esame è una proposta di relazione: è la
prima volta che una Commissione parlamentare antimafia
affronta questo tema, ed è inevitabile che quando si affronta
per la prima volta un tema vi siano valutazioni, giudizi,
opinioni divergenti. Spero, onorevoli colleghi, che si riesca
a trovare unità di intenti sulle questioni essenziali, che
sono le seguenti: primo, la lotta alla mafia si deve fare;
secondo, la mafia ha avuto rapporti con la politica; terzo,
lottare contro la mafia significa anche dare un contributo
alla svolta del nostro sistema politico. Ritengo che tali
siano le questioni sulle quali è importante decidere ed
orientarci.   I tempi e le modalità della discussione sono
stati decisi all'unanimità dalla Commissione. Naturalmente,
nella replica che
                        Pag. 1644
la Commissione ha deciso io svolga, si terrà conto del
maggior numero possibile di osservazioni, in quanto non vi è
alcuna pretesa da parte di chi ha presentato questa proposta
di avere esaurito il tema o di aver detto una parola
definitiva. Soltanto dal concorso di volontà e di punti di
vista diversi, ritengo si possa arrivare a presentare al
Parlamento un quadro che sia il più possibile corrispondente
alle aspettative che vi sono attorno a questo tema.
   La bozza della relazione sarà pubblicata in allegato al
resoconto stenografico della seduta odierna.   In base agli
accordi presi, interverrà innanzitutto un rappresentante per
ciascun gruppo, secondo l'ordine stabilito. Il primo iscritto
a parlare è l'onorevole Borghezio del gruppo della lega nord.
  MARIO BORGHEZIO. Ho esaminato per ora in maniera
forzatamente sommaria la proposta di relazione che ci è
pervenuta soltanto recentissimamente e devo dire che ne
condivido la filosofia, in quanto indubbiamente rappresenta un
documento importante e una messa a punto di quelli che sono i
canoni della posizione che la migliore cultura politica del
paese deve esprimere, in un momento importante e determinante
di svolta politica e istituzionale, nei confronti di uno dei
problemi irrisolti storicamente nel nostro paese, cioè quello
del rapporto fra politica e criminalità organizzata, e più
specificatamente Cosa nostra.
   Per questo motivo esprimo un orientamento sostanzialmente
favorevole del nostro gruppo in ordine al documento in esame.
Non posso, però, esimermi dal formulare su molti punti delle
richieste di modificazione e delle osservazioni che mi
sembrano di non poco rilievo. Ritengo che su alcune delle
parti significative della proposta il dibattito in Commissione
sia allo stato insufficiente e che il testo al nostro esame
ponga delle scelte sulle quali, a mio avviso, non vi è stato
un sufficiente confronto.
   Per porre subito le questioni più brucianti sul tappeto,
comincerò da quella del separatismo. In diversi passi della
relazione si accenna ad essa; molto significativamente, a
pagina 9, si osserva che "alcuni collaboratori avrebbero fatto
espresso riferimento a nuove formazioni politiche che
sarebbero guardate con attenzione dalla mafia". E' vero che vi
è stato qualche accenno a questo problema, ma mi sembra che
nella relazione si debba doverosamente dare atto che gli
accenni sono stati molto confusi, espressi in forma
balbettante, da persone che sembrava ripetessero a malapena
qualcosa di cui forse erano convinti fino ad un certo punto.
Questo lascia molto da pensare da parte di chi, come noi o
l'autorità giudiziaria, deve approfondire i messaggi che
vengono lanciati.
   Non vi è stato alcun riferimento ad alcuna forza politica,
mentre per altre questioni vi sono stati riferimenti precisi;
non vi sono riscontri politici oggettivi, non vi è, oggi, un
movimento separatista. Noi siamo cultori dei rapporti con i
movimenti autonomisti, anche culturali, ma non vi è alcuna
notizia di movimenti separatisti (sono, fra l'altro, un buon
lettore dei giornali nazionali). Un riferimento così sicuro a
formazioni politiche e al separatismo mi sembra dunque possa
costituire un'ipotesi di lavoro di carattere politologico
molto interessante ma che deve essere accettata con molta
prudenza da una Commissione parlamentare, che ha un compito
grave come il nostro. Mettiamola fra le ipotesi di lavoro,
precisando che essa fa riferimento al separatismo e che la
cultura politica del paese, ed in particolare quella
autonomista siciliana, non hanno niente a che fare con le
suggestioni separatiste filomafiose o controllate dalla mafia.
   Esiste in tutte le regioni, a cominciare dalla Sicilia
(che è una regione civilissima), una sana cultura politica
autonomista e regionalista, che non ha mai avuto nulla a che
vedere con la mafia ed è presente - credo - in tutti i partiti
e in tutti gli ambiti culturali. Mi pare che anche nella parte
finale della relazione si faccia riferimento a questo
argomento; chiedo quindi con forza, a nome del mio
                        Pag. 1645
gruppo, che su tale questione non si ingenerino confusioni,
specialmente per quanto riguarda il punto relativo alla
cultura politica ed alle proposte di carattere autonomista.
   Un'altra questione su cui la relazione dovrebbe dire, a
mio avviso, qualcosa in più, anche se per forza di cose la
Commissione non ha potuto ancora approfondire a sufficienza
l'argomento, è quella riguardante il rapporto mafia-politica
in relazione ai problemi della penetrazione della mafia nel
settore finaziario e bancario. In tale contesto, ci scontriamo
con un tema mai sufficientemente approfondito, ma non possiamo
dimenticare quanto è emerso dalle audizioni, come i riscontri
fornitici dai funzionari della Banca d'Italia.
   Abbiamo tutti sotto gli occhi, per esempio, i dati
sconfortanti dell'esito poco brillante che la legislazione
antiriciclaggio ha avuto in quasi tutte le province siciliane.
Poiché questo non può essere avvenuto per caso, occorre dire
qualcosa sull'intreccio delle nomine politiche, bancarie, e
sull'influenza che sicuramente Cosa nostra esercita sul
settore bancario anche e particolarmente (ma non soltanto) in
Sicilia. Non può essere un caso che le segnalazioni delle
operazioni di riciclaggio siano così scarse; non può essere un
caso che, nel momento in cui tutti sanno che vi è un pullulare
di banche e "banchette" finanziarie, l'attività della
vigilanza sembra essersi svegliata soltanto nel 1993. Su tutto
questo occorrerà dire qualcosa, mentre non vedo alcun cenno
all'argomento.
   Per quanto riguarda il voto mafioso, a pagina 14 della
relazione vi è un accenno al collegamento elettorale: si
afferma genericamente che la mafia in Sicilia ha votato "per
candidati di tutti i partiti politici tranne MSI e PCI".
Ritengo che anche su tale argomento si possa e si debba dire
qualcosa in più, perché non possiamo nasconderci i dati
elettorali ormai storicamente riscontrati nelle province ad
alta densità mafiosa. La Commissione fa bene a non citare nomi
specifici laddove non è necessario, proprio per rispettare il
principio di separatezza tra la responsabilità politica e
quella penale. Si tratta comunque di situazioni oggettive: la
geografia politica del voto mafioso è stata identificata e la
Commissione non può limitarsi soltanto a sei righe
sull'argomento.
   Vi è poi la parte relativa alle motivazioni che sottendono
alla decisione, da parte di Cosa nostra, di eliminare il
prefetto Dalla Chiesa. Ritengo che tale questione debba essere
evidenziata in maniera più marcata, perché assume tuttora un
grande rilievo, anche in relazione ai noti sviluppi e alle
notizie di questi giorni. Mi riferisco alla richiesta,
pervenuta al Senato, di autorizzazione a procedere contro il
senatore a vita Giulio Andreotti. Il tema dell'omicidio Dalla
Chiesa è indubbiamente un problema tuttora fondamentalmente
irrisolto nell'ambito del rapporto tra mafia e politica.
Ritengo quindi che, anche alla luce di quanto sta
ulteriormente emergendo, non sarebbe inopportuno evidenziarlo
maggiormente.
   In proposito, devo ricordare che ho avuto modo di
richiedere alla Commissione l'acquisizione di tutti gli atti
relativi ai procedimenti giudiziari sull'omicidio Caccia, un
altro delitto di accertata matrice mafiosa che, secondo
l'opinione non peregrina di un magistrato torinese, presenta
risvolti rilevanti in ordine al rapporto mafia-politica e
mafia-affari.
   A questo punto, si pone il problema degli intrecci
connessi alla penetrazione mafiosa al nord, su cui la
Commissione ancora oggi ha indagato troppo poco, questione che
si innesta nel complesso dei rapporti tra mafia e politica.
   A pagina 38 della relazione vi è un accenno al tema, molto
interessante, della legittimazione che in qualche modo il
potere mafioso ha avuto - o potrebbe aver avuto - in una fase
storica internazionale caratterizzata dalla contrapposizione
di due blocchi, in quanto la mafia veniva considerata come
entità sopranazionale e in qualche modo utilizzata in questo
scontro internazionale. Al riguardo, abbiamo chiesto (l'ho
chiesto io
                        Pag. 1646
stesso) al direttore dei servizi di sicurezza militari di
fornirci una valutazione sull'argomento. Non so che cosa sia
pervenuto e se vi siano ulteriori approfondimenti. Chiedo
comunque alla Commissione di dedicare a questo tema un
eventuale ulteriore approfondimento, utilizzando anche
valutazioni più ampie rispetto all'accenno del filosofo
Severino.
   A pagina 41 della relazione viene trattata la questione
del "separatismo" e dell'"esasperato autonomismo". Si continua
a indulgere in quello che definirei un confusionismo
terminologico. Infatti, il separatismo è una cosa mentre
l'autonomismo è un'altra; o si tratta di autonomismo oppure di
separatismo, non esiste un "esasperato autonomismo". Il
separatismo, in particolare, è autonomismo eretto a
separatezza; se invece si tratta di autonomismo, resta
autonomismo e non può essere identificato con gli interessi
mafiosi. Mi sembra infatti che vi siano fior di partiti
ultracentralisti poco immuni da contiguità e compromissioni
con la mafia, per cui sottolineare in questo modo la
pericolosità di posizioni politiche improntate ad un
esasperato autonomismo non mi sembra conforme alla realtà che
è sotto gli occhi di tutti.
   In proposito, in un passo della relazione, sempre a pagina
41, si afferma: "(...) specie in una fase in cui si riducono
le possibilità di manovra sui flussi di danaro pubblico, che
hanno tradizionalmente alimentato nel Mezzogiorno non
l'interesse di tutti ma catene clientelari alle quali non sono
stati estranei gli interessi mafiosi". Questo è tutto quanto
la relazione dice in ordine all'intreccio di interessi e di
affari tra mafia e investimenti nel sud.
   Dopo aver letto - come ho già sottolineato -
l'interessantissima serie di intercettazioni disposte, in
Sicilia, da quel bravo capitano dei carabinieri sulle utenze
telefoniche di un noto (o indagato) professionista della
mafia, avente ad oggetto specifico gli intrallazzi sulla legge
n. 64, chiedo che si proceda ad un maggiore approfondimento.
   Per quanto riguarda il delicato argomento della
connessione tra la mafia e le associazioni che vanno dai
Rotary a quelle cavalleresche, alla massoneria, mi pare
corretta l'impostazione della relazione, laddove si afferma
che in una certa realtà, particolarmente siciliana, è del
tutto evidente che una serie di associazioni sono state o
possono essere state utilizzate e strumentalizzate.
Segnatamente per la massoneria, ritengo che occorra acquisire
le testimonianze e gli apporti della fonte direttamente
interessata, perché mi pare che fino ad oggi sul tema la
Commissione non abbia altro - a parte il materiale di origine
giudiziaria e i resoconti delle audizioni dei collaboratori di
giustizia - che un'esile documento, il n. 724, proveniente da
uno dei supremi consigli di una delle tante organizzazioni.
   Su un argomento così interessante ed importante, la
Commissione, nel valutare le dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia - perché la tesi si fonda essenzialmente su
queste - e comunque gli intrecci che appaiono esistere fra
spezzoni delle organizzazioni massoniche e Cosa nostra,
dovrebbe acquisire ben altri elementi rispetto a quelli finora
acquisiti.
   Infine, a pagina 65 della relazione si fa riferimento ai
primi risultati conseguiti dal gruppo di lavoro sugli appalti.
Appare condivisibile il riassunto di tali risultati laddove si
parla dell'esistenza di un comitato di gestione, di una sorta
di direttivo, e ritengo corretta anche l'osservazione secondo
cui proprio alla garanzia fornita da Cosa nostra sul
funzionamento di questo meccanismo è ascrivibile tuttora
l'assoluto silenzio degli imprenditori siciliani sulle
corruzioni. Sotto questo aspetto si dovrebbe riuscire a fare
un passo avanti indicando più precisamente il tipo di
connessioni. E' ormai ufficialmente assodato di quale tipo di
imprenditoria si tratti: si sono svolte indagini giudiziarie,
la pubblicistica ne parla, per cui mi sembra che a proposito
delle connessioni tra attività mafiosa e un'imprenditoria
magari costretta a collaborare con Cosa nostra si debba dire
qualcosa di più analitico.
                        Pag. 1647
   Nella parte finale, si dà una valutazione positiva sulla
decisione assunta dalla direzione della democrazia cristiana
nel senso di sollecitare i propri parlamentari che abbiano in
corso una richiesta di autorizzazione a procedere a chiedere
essi stessi la concessione dell'autorizzazione. Però, nel
momento in cui un esponente autorevole (per tradizioni
familiari e per incarichi avuti) come l'onorevole Segni lascia
il partito con le motivazioni che abbiamo letto ed ascoltato,
tale valutazione è sicuramente insufficiente e non congrua.
Consiglierei senz'altro di modificarla.
  PAOLO CABRAS. Alla luce dell'onorevole Segni? E' un
concetto che mi sfugge.
  MARIO BORGHEZIO. Considerato il dovere che l'onorevole
Segni afferma di avere rispetto alla propria coscienza e anche
tenuto conto di quella che sarebbe stata la valutazione del
proprio genitore, che se non sbaglio è uno dei capi storici
della democrazia cristiana, quanto deciso dalla direzione
della democrazia cristiana appare largamente insufficiente
rispetto a quanto emerge sui rapporti tra partiti politici, e
segnatamente esponenti storici della democrazia cristiana, e
situazioni collegate a Cosa nostra.
  PRESIDENTE. A questo punto dovrebbe intervenire il
rappresentante della rete ma, poiché l'onorevole Galasso è
impegnato negli Stati Uniti, ha chiesto di intervenire nella
seduta di domani. Se non vi sono obiezioni, rimane così
stabilito.
(Così rimane stabilito).
  VINCENZO SORICE. Indubbiamente dobbiamo partire dalla
decisione del 15 ottobre 1992, con la quale stabilimmo di
affrontare il problema del rapporto tra mafia e politica. In
questa impostazione credo vi sia un errore di fondo in quanto
sarebbe stato più esauriente e forse più corretto, per
interpretare il fenomeno nella sua complessità, parlare di
rapporto tra mafia, istituzioni e politica. Proprio questo
errore di fondo, di partenza, rischia di non offrire un quadro
veritiero o comunque più aderente alla realtà e di vanificare
l'obiettivo che si propone questa Commissione e per il quale
siamo lealmente impegnati.
   Un fatto è certo: alla mafia (almeno all'ultima mafia)
interessano non i politici o gli imprenditori ma soprattutto
le istituzioni, perché il rapporto con esse rappresenta un
veicolo indispensabile per poter raggiungere gli obiettivi che
si prefigge. Per la mafia non è importante soltanto il
collegamento con gli uomini politici; essa ha interesse ad
avere collegamenti con la burocrazia, con gli esponenti delle
forze dell'ordine, con i magistrati, insomma con tutti coloro
che nelle istituzioni hanno un ruolo e quindi possono essere
utilizzati. Questo è l'obiettivo della mafia. La politica e
l'uomo politico avulsi dalle istituzioni non hanno alcun
significato; così un rapporto tra politica e mafia senza il
coinvolgimento delle istituzioni nelle loro varie
articolazioni rischia di non essere esaustivo: si tratta di
fatti staccati uno dall'altro. Di questa impostazione
indubbiamente risente la relazione che rischia di dare al
Parlamento un'informazione non del tutto significativa.
   Partiamo da una premessa importante che intendo ribadire:
la mafia non è un soggetto politico; non riconosciamo la mafia
come "soggetto politico" nel significato che riveste tale
espressione all'interno della comunità nazionale. Giustamente
il presidente afferma che non ha neanche una fede politica,
non essendo un soggetto politico. Ma vediamo qual è
l'obiettivo della criminalità. La mafia è un'organizzazione
criminale e quindi l'obiettivo fondamentale della mafia è
quello di raggiungere l'impunità, perché non si può svolgere
un'attività criminale se di converso non ci si garantisce
l'impunità.
   Ebbene, credo che nella relazione di tutto questo noi non
abbiamo molta conoscenza, al di là di qualche affermazione
generica, sia pure importante, dei pentiti che dicono più
volte che i processi dovevano essere "aggiustati". Quindi, il
primo punto fondamentale è il rapporto
                        Pag. 1648
della mafia con la magistratura; è lì che abbiamo bisogno di
approfondire, come, da chi e perché venissero "aggiustati" i
processi. Questo aspetto non mi sembra che abbia avuto
sufficiente attenzione. Ma se non partiamo da questo aspetto
non possiamo passare al secondo, cioè quello relativo
all'intervento della politica sulla magistratura. Prima
dobbiamo chiarire questo aspetto che ritengo importante.
Questo è un elemento nebuloso che va approfondito.
   Poi c'è un fatto certo: la mafia ha bisogno dei politici
(il presidente lo descrive e noi lo abbiamo registrato),
fortunatamente non di tutti i politici, non di tutti i
partiti, perché - lo troviamo nella relazione - vi sono ancora
dei politici onesti.
  PRESIDENTE. In tutti i partiti.
  VINCENZO SORICE. In tutti i partiti. L'excursus
storico mi soddisfa come punto elementare, ma noi dobbiamo
combattere la mafia. Allora, l'interrogativo che non emerge da
questa relazione è il seguente: la mafia continua o no ad
operare? O immaginiamo che, eliminati alcuni uomini politici,
abbiamo risolto il problema della mafia? Magari fosse così!
Potremmo chiudere questa Commissione antimafia!
   L'interrogativo che mi pongo e che va approfondito nella
relazione è il seguente: qual è la presa della mafia sulle
nuove formazioni politiche? La mafia, non avendo fede
politica, non appartiene ad un partito; la mafia guarda tutte
le formazioni politiche che possono essere utili alla sua
impostazione. Quindi, l'interrogativo che non trova risposta è
quello di verificare il tipo di presa della mafia sulle nuove
formazioni politiche, in quanto ci troviamo di fronte ad un
ventaglio politico completamente diverso.
   Abbiamo, quindi, bisogno anche di un'analisi approfondita
degli ultimi risultati elettorali per verificare come si sia
orientato l'elettorato, verso chi si siano orientati i voti
nelle zone a forte intensità mafiosa. Abbiamo bisogno di
verificare il nuovo che emerge. Poi, giacché vogliamo parlare
di rapporti tra politica e mafia e non tra partiti e mafia,
perché non tutti i partiti, non tutti gli uomini dei partiti
sono coinvolti, credo vada fatta un'analisi retrospettiva dei
comportamenti dei singoli parlamentari nei confronti della
legislazione antimafia, perché lì è il punto di riferimento:
non c'è un partito della mafia, ci sono degli uomini politici
soggettivamente collegati alla mafia individuabili in qualche
partito. Vogliamo analizzare qual è il comportamento dei
singoli parlamentari soprattutto negli ultimi anni? Chi ha
vissuto nelle aule parlamentari, soprattutto quella della
Commissione giustizia, sa quante contraddizioni, quanti
ostacoli si siano dovuti superare per arrivare a quel tipo di
legislazione. Credo che un'analisi vada fatta per avere un
quadro completo dei rapporti tra politica e legislazione
antimafia.
   Mi auguro che anche il presidente non accetti
un'affermazione, che ritengo pericolosissima, contenuta nella
relazione e precisamente al punto 50 di pagina 59: "Da
appartenenti alla Commissione è stato chiesto ai collaboratori
della giustizia quale dovesse essere il comportamento
ufficiale dei loro amici nei confronti di Cosa nostra. La
risposta è venuta con l'abituale cinismo degli uomini d'onore:
il politico può anche partecipare a manifestazioni antimafia,
fare discorsi contro la mafia, l'importante è che poi nella
sostanza protegga gli interessi di Cosa nostra. Un politico
può anche proporre e far approvare leggi contro la mafia, se
questo è necessario a dargli un alibi. Importante è che quelle
leggi non vengano applicate e che i processi si possano
aggiustare". Poi c'è l'intervento di Buscetta sulla questione.
   Come va interpretato questo passo della relazione? Si
tratta di un passo pericolosissimo nel senso che non altera il
rapporto tra politica e mafia, ma mette in discussione il
comportamento dei singoli. Come si potrebbe valutare un
politico se si dovesse accettare e non contrastare questo tipo
di affermazioni? Con molta sincerità devo dire di avere
l'impressione che senza accorgersene, involontariamente,
                        Pag. 1649
 la relazione si sia costruita sulle dichiarazioni dei
pentiti, senza (sia pure involontariamente) un disegno
preciso. Non entro nel merito dell'attendibilità o meno dei
pentiti, essendo la nostra una Commissione politica; sarà la
magistratura a dover definire l'attendibilità, la nostra è una
valutazione politica. Tuttavia, non mi sento (è questo il
rischio che corre la relazione) di recepire acriticamente le
valutazioni politiche e i teoremi dei pentiti, perché senza
accorgercene, rischiamo di farli nostri. Non credo che la
Commissione possa farsi influenzare politicamente dalle
valutazioni politiche dei pentiti. Questo è un pericolo che
vedo all'interno della relazione, che risente di
un'impostazione del genere.
   Infine, sempre per un approfondimento dei rapporti della
politica rispetto alla mafia, in modo da non limitarci
soltanto ai titoli giornalistici o alle notizie
scandalistiche, credo che in questo momento debba essere
approfondito il cosiddetto discorso della filosofia
dell'ipergarantismo. In alcuni passaggi della produzione
legislativa, il Governo (chi vi parla in quel periodo aveva
l'opportunità di essere sottosegretario di Stato per la grazia
e la giustizia) si è trovato sempre in grosse difficoltà, nel
tentativo di superare la filosofia dell'ipergarantismo di
fronte ad un evento pericoloso proveniente da più parti. Non
dimentichiamo che alcuni decreti sono stati ripresentati
cinque volte in Parlamento. Ebbene, anche di questo
approfondimento non c'è traccia nella relazione, per cui alla
fine siamo tutti bravi o tutti cattivi: non c'è un
approfondimento dei vari passaggi legislativi e dei vari
comportamenti delle forze politiche in quei passaggi
legislativi. Questo è il punto fondamentale, perché non credo
che una o due persone possano dare una soluzione complessiva
al problema.
   C'è poi un ultimo aspetto che interessa la mafia, oltre
all'impunità e al rapporto con le istituzioni, e cioè gli
appalti. Al riguardo la relazione è precisa e recita: "Gli
appalti di opere pubbliche costituiscono uno dei principali
terreni d'incontro tra mafia, imprenditori, uomini politici,
funzionari amministrativi". Aggiunge molto bene la relazione:
"Gli obiettivi prioritari sono tre: lucrare tangenti,
collocare manodopera nei subappalti, far acquisire le
forniture delle ditte amiche".
   Sappiamo che su questo argomento si è svolta una battaglia
parlamentare che ha visto le forze politiche divise. Sin da
quando iniziammo il dibattito sulle regioni a statuto
ordinario, non speciale, è emersa la tendenza delle regioni a
delegare a livello periferico la gestione di appalti. Sappiamo
anche quale sia stata la lotta compiuta nel momento in cui più
volte è stata chiesta l'eliminazione del ministro per gli
interventi straordinari nel Mezzogiorno: una delle accuse
rivolte dalle regioni riguardava l'accentramento a livello
statale della gestione delle opere pubbliche.
   Mi chiedo se, per capire cosa sia successo nel nostro
paese, possa mancare in questa relazione un capitolo relativo
alla storia di chi, e come, si sia attivato per creare le
condizioni di un passaggio di deleghe nella gestione degli
appalti dal livello centrale a quello periferico, mentre
sapevamo - e lo sappiamo ancor più oggi - che dove la
struttura amministrativa è debole, là c'è maggiore possibilità
di infiltrazione della malavita. Abbiamo bisogno di questo
approfondimento per avere un quadro completo della situazione.
   Infine, per una questione di serenità desidero fare una
breve considerazione. Ho molto apprezzato quanto è scritto a
pagina 10 - è veramente molto interessante - sulla differenza
tra responsabilità penale e responsabilità politica. Nello
schema di relazione è scritto: "Il primo tipo di
responsabilità è di esclusiva competenza dell'autorità
giudiziaria; il secondo è di esclusiva competenza
dell'autorità politica. La responsabilità penale è accertata
dalla magistratura attraverso le regole formali e certe del
processo, e si concreta in sanzioni giuridiche prestabilite.
La responsabilità politica caratterizza
                        Pag. 1650
 per un giudizio di incompatibilità tra una persona che
riveste funzioni politiche e quelle funzioni, sulla base di
determinati fatti, rigorosamente accertati, che non
necessariamente costituiscono reato, ma che tuttavia sono
ritenuti tali da indurre a quel giudizio di incompatibilità.
Le funzioni politiche si fondano su un principio di fiducia e
di dignità. Ciascun politico ha una responsabilità aggiuntiva
rispetto agli altri cittadini, perché egli coinvolge la
credibilità delle istituzioni in cui opera".
   Accetto questo argomento ma, se leggo quanto scritto alla
successiva pagina 64, devo avanzare, dal un punto di vista
politico, alcune osservazioni, perché ho l'impressione che ci
sia una forzatura, proprio considerando le premesse. Mi
riferisco alla parte in cui si afferma: "E' difficile credere
che il rapporto di Cosa nostra con il sistema politico si sia
esaurito nell'attività di garante degli interessi mafiosi che
sarebbe stata svolta da Salvo Lima direttamente a Palermo e a
Roma, attraverso i propri referenti nazionali. I collaboratori
di giustizia hanno descritto una prassi ed un sistema. Ma
dell'una e dell'altro non poteva essere Lima l'unico
esecutore. E' necessario identificare gli altri politici".
Poi, di converso (al successivo punto 52): "Il 30 marzo 1993 è
stata chiesta dalla procura della Repubblica di Palermo
l'autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Giulio
Andreotti, per il delitto di concorso in associazione per
delinquere mafiosa. Sulla base di documenti di cui dispone la
Commissione, l'accertamento delle eventuali responsabilità
penali del senatore Andreotti è un atto dovuto". Noto una
certa contraddizione tra la premessa e l'affermazione di
pagina 64, perché credo che non possiamo esprimere un giudizio
penale sul comportamento del senatore Andreotti, perché
quest'aspetto riguarda l'autorità giudiziaria e la discussione
che farà in questi giorni la Giunta per le autorizzazioni a
procedere del Senato.
   Dunque, in questa situazione, rilevo qualcosa su cui
dobbiamo riflettere perché la relazione, sia pure scritta in
buona fede e con il massimo di lealtà nei confronti di tutti,
fa sì che chi la legga possa arrivare a conclusioni che mi
auguro non siano quelle del proponente.
   Avviandomi alla conclusione, desidero ribadire le
considerazioni da me svolte, sia pure nella brevità del tempo
che mi è stato messo a disposizione. Credo che l'impalcatura
della relazione sia vulnerabile, proprio perché limitata al
rapporto tra mafia e politica, senza il coinvolgimento delle
istituzioni. Tutto ciò potrebbe creare una serie di equivoci:
rischiamo di offrire al Parlamento un quadro non esauriente
della realtà, con le conseguenze che possiamo immaginare,
conseguenze che la Commissione non potrà più recuperare
successivamente. Con la nostra superficialità rischiamo,
invece di combattere la mafia seriamente, di indirizzare il
discorso verso temi che forse non sono sufficienti ad
eliminare ogni tentacolo della mafia nella vita sociale.
   So che è difficile conciliare nella relazione - questo è
il punto fondamentale - due tendenze che caratterizzano coloro
che affrontano questi temi: da una parte c'è chi ritiene che
la mafia sia soltanto un'organizzazione criminale, da
combattere "militarmente"; dall'altro chi ritiene che vi sia
una dirigenza politica da cui dipende la mafia e che questa
dirigenza costituisca il cordone ombelicale con le istituzioni
e il mondo politico. Queste due filosofie si contrappongono.
Ritengo che la prevalenza di una tesi sull'altra, o la loro
contrapposizione, rischi di non farci intendere il fenomeno
nella sua complessità e di rendere inefficace la lotta alla
mafia. Occorre quindi un giusto equilibrio nella valutazione,
un equilibrio al quale gradirei si arrivasse.
   Per questi motivi, ritengo di poter chiedere, anche a nome
dei colleghi del gruppo della democrazia cristiana, una
rielaborazione del testo proposto dal presidente, che faccia
perno sul rapporto tra mafia, politica ed istituzioni, con
approfondimenti più penetranti e stringenti. Anche se è stato
fatto un ottimo lavoro da parte dei membri della Commissione e
                        Pag. 1651
soprattutto del presidente, infatti, rischiamo di offrire al
Parlamento una visione non completa della realtà. Credo che
una rivisitazione della relazione, anche collegiale, che tenga
conto dei suggerimenti avanzati potrebbe essere un utile
inizio dei lavori. Ritengo perciò opportuno rinviare
l'approvazione della medesima, integrata con l'accordo di
tutti noi, non a venerdì ma presumibilmente ad una seduta dopo
Pasqua, affinché si possa avere un documento completo, senza
rinnegare quello che è stato fatto di propositivo e positivo
da parte di questa Commissione.
  ROMANO FERRAUTO. Stavo per rammaricarmi dell'assenza
dell'onorevole Galasso, che mi avrebbe preceduto e che mi
avrebbe potuto dare stimoli interessanti, ma comunque vedo che
gli stimoli ci sono ugualmente.
   Inizio subito con il dire che questa proposta di relazione
rappresenta un punto di approdo importante e la valutazione
che complessivamente ne do è positiva, perché intanto si fa
nettezza di tante definizioni della mafia, di tante
definizioni di Cosa nostra, e si stabilisce un punto
fondamentale - che mi sembra sia stato ripreso anche dal
collega che mi ha preceduto - cioè la netta distinzione tra
responsabilità politiche in senso lato e responsabilità di
altra natura che stanno sul versante penale.
   Nei confronti del collega che mi ha preceduto, vorrei dire
che quando si definisce la politica bisogna aver chiaro che
essa ricomprende un po' tutto, cioè ricomprende le istituzioni
nel loro complesso, ricomprende l'amministrazione pubblica,
ricomprende la magistratura, tutto il mondo ...
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. La politica non ricomprende
la magistratura.
  ROMANO FERRAUTO. Voglio precisare un mio concetto:
ricomprende tutte quelle forme che sono presenti nel
territorio e che, se anche non sono direttamente incidenti o
collegate con la politica, risentono necessariamente del clima
che la politica provoca, attua. Tutto quello, cioè, che
direttamente o indirettamente nasce da una cultura politica,
da un sistema politico, da una valutazione politica e
necessariamente influenza: le influenze saranno più o meno
dirette, più o meno pesanti, più o meno registrabili, ma
comunque ci sono.
   Quel che mi pare di intravedere in questo documento è
proprio lo sforzo di penetrare un fenomeno attraverso una
visione - che è una visione prettamente politica - in cui
vengono registrate fenomeni, iniziative ed azioni che nel
corso degli anni sono state omesse, non sono state dispiegate
appieno e che dovevano essere dispiegate per contrastare
questo fenomeno. Però il fatto che si sia consapevoli che la
politica possa dare una risposta in positivo - diversa da una
risposta che è stata fievole in passato, che non è stata
sempre forte nel corso del tempo - credo sia una cosa
estremamente importante. Ed è un segnale che, a mio modesto
avviso, va dato, sì, al Parlamento ma anche a tutti coloro i
quali ritengono oggi che i partiti debbano continuare ad
assolvere una funzione fondamentale nel nostro paese; che non
si possa fare a meno dei partiti; che il sistema democratico
costituzionale si regga sui partiti. Quindi, è un segnale ai
partiti anche perché capiscano finalmente che bisogna cercare
di reintrodurre al loro interno dei comportamenti che vadano a
salvaguardare certi valori e si indirizzino verso certe
finalità.
   Credo sia sotto gli occhi di tutti come in questi ultimi
anni uno dei compiti fondamentali dei partiti, quello relativo
alla selezione della classe dirigente, non sia stato assolto.
Altro compito fondamentale dei partiti doveva essere quello di
prestare un'attenzione maggiore rispetto a certe forme di
delinquenza organizzata di stampo mafioso e di Cosa nostra;
credo però che neppure questo sia stato assolto. Questo non
possiamo negarlo.
   E a tal proposito credo che - non mi ricordo chi lo
dicesse prima di me - Cosa
                        Pag. 1652
nostra incida di più non solo sulla pubblica amministrazione
vicina per ragioni territoriali ma anche lì dove
l'amministrazione pubblica è ormai al collasso. Ma ci dobbiamo
pure chiedere da cosa derivi il collasso della pubblica
amministrazione. Il collasso della pubblica amministrazione a
tutti i livelli probabilmente nasce, secondo il mio modesto
parere, dal fatto che non c'è stata attenzione della classe
politica all'esigenza di offrire alla pubblica
amministrazione, alle strutture, efficienza, coordinamento e
stimoli giusti. Quindi, la pubblica amministrazione è
diventata quasi un alibi nei confronti di una classe politica
- nella quale ci siamo tutti, ci sono anch'io - che è stata
poco attenta a tutto ciò. E' vero che ci sono finalmente norme
che sembrerebbero restituire all'apparato burocratico
responsabilità che prima non si sapeva bene se fossero
ascrivibili al politico, e quindi all'amministratore, o al
dirigente; ma è anche vero che se la struttura burocratica non
riacquista - ed è dal livello politico che deve venire lo
stimolo - la capacità di interpretare il nuovo, il funzionale,
l'oggettivo, vivremo sempre, secondo me, momenti poco chiari
della vita del nostro paese.
   Su una questione a me pare forse necessario approfondire
alcuni dettagli: il rapporto di Cosa nostra con la massoneria.
Voglio parlare di questo particolare aspetto, perché la
massoneria non deve restare un qualcosa di evocato, che sta
sulle nostre teste e che viene chiamato in causa ogni qual
volta accadono cose strane, straordinarie oppure
catastrofiche. Bisognerebbe invece andare a precisare, in modo
tale che il fenomeno possa essere ancora di più e meglio
scandagliato, dicendo tra noi, e dichiarando nel documento che
andrà in Parlamento, di voler incoraggiare le iniziative della
magistratura per verificare fino in fondo le attività delle
logge massoniche, perché è necessario che ci sia trasparenza,
che non ci sia segretezza: gli iscritti alle logge massoniche,
in sostanza, devono essere registrati come si registrano i
soci nelle società. Bisogna cercare di uscire finalmente
dall'equivoco che esiste nel nostro paese, per cui - forse fa
comodo a parecchi, non lo so - dopo venti anni dalle stragi
non si sa bene se alla fine ci sia stata l'influenza della
sinistra estrema o della destra. Tuttavia, fa comodo a tutti
ogni tanto avere la possibilità di evocare o l'una o l'altra
di queste posizioni.
   Facendo chiarezza e nettezza in situazioni di questo tipo,
daremmo un grandissimo contributo alla verità, nonché
all'azione legislativa e alle iniziative di contrasto che in
questi ultimi tempi - bisogna darne atto - si stanno assumendo
e che sono adeguate, all'altezza del compito. Le forze
politiche che hanno avuto la possibilità di ascrivere a loro
merito iniziative di questa natura ne possono vantare oggi i
vantaggi; ma, nello stesso tempo, ogni forza politica deve non
accontentarsi di quello che oggi registriamo, ma mantenere
alta - qui sono completamente d'accordo con quanto scritto
nella relazione - l'attenzione su una serie di fenomeni
presenti nel nostro paese, perché non vi sia una caduta che in
questo particolare momento potrebbe essere catastrofica.
   Altra questione che nel documento viene poco tratteggiata,
se non addirittura poco trattata, è quella di un certo tipo di
riciclaggio, un fenomeno che certamente avrà una trattazione a
parte, particolare, forse approfondita. Vi sarà anche
occasione di verificare a livello parlamentare il prossimo
disegno di legge in materia.
   Faccio in proposito un'ulteriore considerazione ad alta
voce. A me non pare che alcuni aspetti del riciclaggio siano o
possano esistere al di fuori di una sfera politica cosciente.
Vale a dire: se pensiamo che gran parte del riciclaggio viene
effettuato nel nostro paese - si evocano paradisi fiscali,
banche irachene, banche di Nassau od altri istituti, ma gran
parte del riciclaggio avviene nel nostro paese - , allora
queste cose non avvengono senza che vi siano compiacenze,
anche a livello di responsabilità elevata, non soltanto sul
piano dirigenziale, ma anche, credo, di tipo politico, visto
che la gran parte degli istituti bancari nel nostro paese sono
                        Pag. 1653
direttamente o indirettamente assoggettati ad una vigilanza
ed ad un controllo che poi diventano di natura politica.
   Considero tale aspetto estremamente importante perché è
attraverso questi flussi che si possono individuare referenti
particolari che, secondo il mio modesto parere, devono essere
ancora di più e meglio scandagliati.
   Per ritornare ad una questione che è un po' il mio
pallino, osservo che l'autorità politica il più delle volte si
limita a valutare le ricadute o gli aspetti legati alle
cosiddette riforme sovrastrutturali - così le chiamo - o alle
riforme di struttura, senza andare mai a vedere come queste
riforme incidano sui soggetti attivi, quindi sulla vita
sociale ed economica. I referenti più importanti nella vita
civile, sociale ed economica, i presìdi quasi della
democrazia, sono rappresentati dai comuni, dalle province e
dalle regioni. Se non terremo in largo conto queste realtà
politiche locali estremamente importanti ed i riflessi
derivanti dalle decisioni di questo corpo politico sulla
crescita degli apparati burocratici - torno a parlare di
apparati burocratici e quindi di responsabilità -
probabilmente continueremo a polemizzare su qualche cosa più o
meno importante, vedendola come riflesso di valutazioni
politiche di partito - che pure devono essere tenute presenti
- ma a mio avviso lasceremo sempre ampio margine a confusioni
e malintesi. E invece non dovremo proprio avere più malintesi
in questa particolare materia.
   Ho apprezzato i lavori della Commissione, anche se non mi
è stato possibile seguirli in alcuni frangenti. Me ne
rammarico perché ogni occasione di incontro è stata per me un
accrescimento delle mie conoscenze a proposito di tanti
fenomeni che sono stati qui visti, scandagliati e verificati.
Apprezzo quindi lo sforzo che è stato fatto con questo
documento per quanto riguarda l'aspetto mafia-politica.
   Non vi sono obiezioni rispetto ad un'eventuale richiesta
di approfondimento perché ogni cosa può essere migliorata,
ogni questione che sia importante, che può essere vista con
un'ottica particolare, può essere approfondita, può dare adito
anche a confronti, che possono anche essere svolti: se viene
avanzata una richiesta in questa direzione non sta a me
rifiutarla.
   Ripeto: per quanto riguarda me e il gruppo cui faccio
riferimento, credo che, al di là di qualche emendamento
aggiuntivo, la relazione possa essere valutata positivamente.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Mi scusi, presidente, vorrei
intervenire sull'ordine dei lavori.
   Alle 17 i deputati sono impegnati in aula per votazioni;
l'avevo fatto presente prima...
  PRESIDENTE. Sì, ma non siamo sconvocati, onorevole
Fumagalli.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Vorrei far presente che in
altra occasione abbiamo chiesto di essere considerati in
missione, ma quest'oggi non c'è stato concesso; chiediamo
pertanto che vengano interrotti i lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. Onorevole Fumagalli, possiamo interrompere i
lavori della Commissione se siamo sconvocati dai Presidenti
della Camera e del Senato. Abbiamo stabilito un calendario,
che è questo.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Se un gruppo non può
rimanere, presidente...
  PRESIDENTE. Questo è un problema che riguarda tutti i
colleghi. Onorevole Fumagalli, lo sapevamo...lei tra l'altro è
vicepresidente del gruppo, quindi sapeva bene che...
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Pensavo che sarebbe stata
concessa la missione!
                        Pag. 1654
  PRESIDENTE. I presidenti dei gruppi non hanno ritenuto di
darla, il presidente del suo gruppo anche; che cosa vuole che
le dica? Non è nei miei poteri disfare quello che la
Commissione ha deciso! Possiamo essere sconvocati dalle
Presidenze della Camera e del Senato.
  ALDO DE MATTEO. Presidente, non è possibile
riorganizzarci tenendo conto degli impegni, che sono
parlamentari, non personali?
  PRESIDENTE. Questo non è un impegno personale, senatore
De Matteo, è un impegno parlamentare.
  ALDO DE MATTEO. Proprio perché non sono impegni
personali, sono impegni parlamentari! Per esempio, domani
mattina alle 10 dobbiamo obbligatoriamente essere presenti in
Senato, quindi non potremo partecipare.
  PRESIDENTE. In genere, questi problemi vengono risolti
quando si discute il calendario. Tutti sapevano...
  ALDO DE MATTEO. Sono intervenute alcune novità.
  PRESIDENTE. Senatore, ci mancherebbe altro, non è che mi
permetto di dire: non discutiamo di questa cosa. Ora andiamo
avanti; a fine seduta vedremo...Altrimenti questo vuol dire
lavorare venerdì e sabato. Come facciamo?
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Presidente, fino a quando
intende condurre la seduta, perché veramente...
  PRESIDENTE. Onorevole Fumagalli, lei è molto impegnata e
non le è capitato di frequentare questa Commissione, quindi
non sa come i lavori siano stati organizzati finora, dal 1^
ottobre ad oggi. Sono stati organizzati nel senso che la
Commissione ha assunto una serie di deliberazioni che
vincolano tutti, sia quelli che c'erano sia quelli che non
c'erano, perché questo è il sistema parlamentare.
  MASSIMO SCALIA. A questo riguardo, signor presidente, mi
sembra che i colleghi proponessero una cosa molto semplice.
Eravamo rimasti d'accordo, riguardo alla statuizione del
calendario, che la presenza in questa sede sarebbe stata
giustificata ai fini del computo delle presenze in Aula; credo
sia sufficiente che il presidente della Commissione riproponga
con forza questa esigenza. E' questa la proposta, molto
semplice, che desidero avanzare.
  PRESIDENTE. La questione è stata posta.
   In genere accade che i presidenti di gruppo dichiarano in
missione chi ne fa richiesta. Questa volta - non so bene cosa
sia accaduto - applicando il regolamento hanno giustamente
deciso che, poiché la seduta della Commissione antimafia si
tiene in sede, non è possibile considerare in missione i
commissari che ad essa partecipano.
  MASSIMO SCALIA. Sull'ubiquità abbiamo tutti qualche
problema.
  PRESIDENTE. Mi auguro che questo fiscalismo sia seguito
in tutti i casi. Comunque, il calendario che abbiamo davanti è
quello che noi abbiamo fissato.
   Per quanto riguarda domani, poiché quello sollevato dal
senatore De Matteo è un problema abbastanza serio, al termine
della seduta decideremo come organizzare i nostri lavori.
D'altra parte, non sono previste votazioni e i resoconti
stenografici sono pronti ad horas; mi rendo conto che
sia interesse di tutti seguire i lavori della Commissione ma
l'unica cosa che posso dire è che possiamo forse governare le
cose in modo tale che vi sia equilibrio tra le diverse
esigenze.
  MASSIMO SCALIA. Mi consenta, presidente, di concludere
su questo punto. Io
                        Pag. 1655
resto qui però non ritengo - devo usare un aggettivo pesante
- intelligente che si decida sull'ubiquità.
  PRESIDENTE. Cosa intende per ubiquità?
  MASSIMO SCALIA. Poter essere simultaneamente in due
posti, come Sant'Antonio.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. La scelta di dove stare è
nostra. Io scelgo di stare qua.
  MASSIMO SCALIA. Anch'io scelgo di stare qua. Però mi
sembra poco corretto che gruppi che hanno un solo
rappresentante all'interno della Commissione antimafia debbano
scegliere se essere presenti qui o in aula, avendo due doveri
che sono confrontabili. Sottopongo al presidente il problema
che non si deve discutere soltanto di cosa faranno domani
altri colleghi ma anche di cosa fanno oggi quei colleghi che,
come me, si trovano in questa singolare situazione.
  PRESIDENTE. La ringrazio.
  MASSIMO SCALIA. Venendo all'oggetto del dibattito,
dichiaro di condividere sostanzialmente l'impianto della bozza
di relazione che ci viene proposta dal presidente ma di avere,
invece, perplessità non secondarie per quanto riguarda le
conclusioni che dovrebbero essere sottoposte a votazione.
Condivido sostanzialmente l'impianto della proposta anche se
ritengo sia stato riduttivo interpretare una sessione che era
nata come "mafia e politica" soltanto all'insegna di "Cosa
nostra e politica", per di più restringendo il carattere di
Cosa nostra - in contrasto con quello che abbiamo imparato nel
corso di quest'ampia sessione di lavori - in un ambito
esclusivamente siciliano. Questa relazione è un po' troppo
"siciliocentrica". Abbiamo invece imparato, nel corso di
questi lavori, che Cosa nostra riguarda anche la camorra e la
'ndrangheta, non soltanto per l'affiliazione di uomini d'onore
o per una sostanziale analogia strutturale quanto proprio per
un tessuto comune di iniziative, interessi, imprese e
finalità. Ritengo dunque che l'aver ridotto il discorso
mafia-politica al discorso Cosa nostra-politica, con
un'interpretazione ulteriormente riduttiva di Cosa nostra,
ponga problemi proprio quando si tratta di andare a trarre le
conclusioni.
   Fatta questa precisazione, dico anche per quale motivo
sono sostanzialmente d'accordo con l'impianto della relazione.
Ringrazio quasi il collega Sorice per avermi fornito elementi
di contrasto: egli ritiene che si sarebbe dovuto dare maggiore
risalto all'aspetto delle istituzioni; a me pare che il nostro
lavoro - che la relazione traduce abbastanza fedelmente - sia
denso della presenza delle istituzioni. Dai magistrati alle
forze dell'ordine, ai pubblici amministratori non vi è passo
della relazione in cui questi soggetti non siano indicati come
determinanti e motivanti il complesso di considerazioni che
vengono svolte.
   Trovo, poi, particolarmente poco convincente la critica ad
uno dei punti fondamentali della relazione, vale a dire quello
in cui si indica l'impunità quale obiettivo fondamentale di
Cosa nostra. A questo riguardo, non solo vengono spese molte
pagine ma molto concretamente vengono ricordati gli elementi
dell'impunità, che vanno dal famoso aggiustamento dei
processi, certe volte dal primo grado ma, caso mai, in
Cassazione, al trattamento privilegiato di molti mafiosi in
carcere, alle latitanze pluriennali e domiciliari, ad una
serie di altri elementi che costituiscono, appunto, il modo
attraverso cui si realizza quest'impunità che, giustamente,
viene indicata come uno degli obiettivi fondamentali di Cosa
nostra.
   Devo anche dire che trovo adeguato il peso che viene dato
nella relazione ai nuovi orientamenti della mafia rispetto
alle nuove forze politiche. Il lavoro che abbiamo alle spalle
fa i conti, come la ricostruzione storica in qualche modo
testimonia, con 40 anni, a dir poco, di mafia. Mi sembra
dunque che sia
                        Pag. 1656
predominante capire cosa sia accaduto nei 40 anni passati,
piuttosto che andare a verificare quali siano i recentissimi
orientamenti di Cosa nostra e della mafia in ordine al
nuovissimo sorgere di formazioni politiche. Questo potrà
essere senz'altro oggetto di indagine, ma non credo che si
possa cercare di avere già da oggi un'idea ed una
rappresentazione congrue in termini di documenti. Proprio per
il banale criterio di dare peso alle cose che ne hanno,
ricordiamo che abbiamo alle spalle 40 anni di un certo tipo di
comportamento mafioso.
En passant, dal momento che ognuno in questa sede parla
per la sua parrocchia, se così si può dire, pregherei che nei
due o tre passi nei quali si ricorda che le attenzioni di Cosa
nostra sono state rivolte a tutto lo schieramento politico
tranne il movimento sociale italiano ed il partito comunista,
poiché i verdi esistono come formazione politica che si è
presentata più volte in Sicilia a partire dall'ormai lontano
1986, credo che non sarebbe sbagliato ricordare che anch'essi
hanno patito molto per le scarse simpatie della mafia, non in
termini di consenso elettorale (che non vogliono) ma riguardo
a quell'azione costante che insieme agli ambientalisti hanno
condotto in quella regione, e non solo in quella regione,
appunto contro la mafia.
   Non condivido neanche l'opinione del collega Sorice per
cui questa relazione è costruita sulle dichiarazioni dei
pentiti (e questo, se fosse vero, sarebbe popperianamente
l'experimentum crucis) o almeno dà la sensazione di
esserlo: se così fosse, credo che non potremmo far altro che
buttarla via. Il ricorso ai collaboratori di giustizia ha
inevitabilmente fornito un quadro che spero nessuno di noi
potesse avere per conoscenza diretta, interna alla mafia,
quindi va tenuta nel giusto conto una serie di informazioni
preziose che essi hanno fornito sul modo in cui si organizza
la mafia sul territorio, sul suo ruolo a livello locale e
nazionale. Mi sembrerebbe però non corretto arguire da questo
che il documento è costruito sulle dichiarazioni dei pentiti.
Ciò, francamente, non mi sembra corrisponda a quanto queste
pagine ci danno.
   Cosa riguardano, allora, le perplessità di cui parlavo e
che pregherei il presidente, estensore della bozza di
relazione, di tenere in considerazione, per quanto gli è
possibile, come posizione che il gruppo dei verdi ha elaborato
questa mattina nelle poche ore che i gruppi hanno avuto a
disposizione per esaminare la proposta? Pensiamo, ad esempio,
alla frase, lapidaria ma essenziale: "L'impunità è la
principale preoccupazione di Cosa nostra"; la prima domanda
che sorge spontanea è quali fossero i garanti politici di
quest'impunità. La relazione costruisce una serie di elementi
per fornire la risposta ma si ferma nel momento in cui
dovrebbe darla: questo è il maggiore elemento di sorpresa. Il
presidente mi consenta di dire che le conclusioni mi sembrano
abbastanza low profile (per usare un termine inglese),
un po' timide, quasi che questa Commissione possa nascondersi
dietro decisioni che la magistratura ha preso.
   Proprio perché con grande sapienza nella relazione viene
fatta una distinzione netta tra responsabilità politica e
responsabilità penale, ciò che questa Commissione non si può
consentire è proprio di venir meno all'individuazione di
responsabilità politiche. Accettando dunque il saggio appello
che responsabilità politica non significhi pregiudizio nei
confronti dell'avversario politico ma sia il risultato di
quanto si determina sulla base dell'informazione, della
conoscenza, della riflessione, di tutto quanto è maturato in
questi mesi di lavoro e mettendo da parte una serie di
suggerimenti che sono venuti - penso, ad esempio, a quello del
collega Borghezio, secondo il quale sarebbe forse opportuno
approfondire i collegamenti e le intrusioni mafiose nel mondo
finanziario e nel nord d'Italia o al fatto che la relazione
non sia del tutto esauriente sul tema relativo al traffico
della droga - il punto che caratterizza la relazione consiste
proprio nel suo impianto. Tale impianto infatti, pur con
alcune riduzioni che prima sottolineavo, consente, nella
                        Pag. 1657
chiarezza della distinzione tra responsabilità politica e
responsabilità penale, di pervenire ad attribuire
responsabilità politiche. Sottolineo allora con molta fermezza
che va colto appieno il discorso della responsabilità politica
e, in contrasto con quello che hanno affermato alcuni colleghi
- ed altri affermeranno - non ritengo affatto che sia
necessario fare riferimento agli ultimi provvedimenti presi
dalla magistratura. Non ci serve, infatti, di essere informati
sull'avviso di garanzia emesso dalla procura di Palermo nei
confronti del senatore Andreotti o di quello inviato dalla
procura di Napoli al senatore Gava; non ci serve in quanto la
relazione contiene gli elementi sufficienti per determinare la
responsabilità politica di Andreotti e forse anche di altre
personalità politiche. Questo perché spetta a questa
Commissione fornire un giudizio non di carattere giudiziario
ma di carattere politico. Gli addebiti mossi a Gava ed
Andreotti possono non costituire reato - su questo sarebbe
stolto che qualcuno di noi si pronunciasse - ma sicuramente
costituiscono critiche rispetto alle responsabilità politiche
che queste personalità hanno assunto all'interno del loro
partito in ordine non soltanto al non combattere adeguatamente
la mafia ma all'essere responsabili di quel clima che ha reso
possibile quella che qui viene chiamata la coabitazione, ha
reso possibile tante cose che noi vogliamo combattere. Voglio
ricordare la dichiarazione agghiacciante - credo fosse di
Buscetta - di come può avvenire l'informazione da parte della
mafia - dato che si parla di responsabilità politiche - nei
confronti del politico: prima si seleziona un politico e in
ordine ad un episodio, anzi ad una tragedia tipo quelle di
Capaci o di via D'Amelio, gli si fa sapere cosa intende fare
la mafia. A questo corrisponde una sorta di presa d'atto; non
vi è quindi bisogno di pensare a tavoli o a sedi particolari,
ad incappucciamenti o a sedute clandestine. Questo modo di
procedere è semplicemente agghiacciante e, a mio modo di
vedere, può configurare gravissime responsabilità politiche.
   Pur avendo rispettato l'invito del presidente di non
utilizzare per intero il tempo di venti minuti, credo di aver
detto quanto mi premeva dire. Confermo di essere d'accordo
sull'impianto della relazione, sia pure con le critiche e le
modifiche che ho esposto, e chiedo al presidente di tener
conto di queste perplessità sulle conclusioni; se infatti non
ci mostrassimo all'altezza del nostro compito, se nei fatti
lasciassimo all'autorità giudiziaria la soluzione di questioni
che attengono agli aspetti giudiziari non assumendo in pari
tempo posizione su quelli politici, se quindi venissimo meno
al compito di individuare con precisione le responsabilità
politiche che il nostro lavoro e questa relazione ci
consentono di individuare, saremmo del tutto inadempienti, mi
consenta, signor presidente, rispetto a quel terzo punto che
nella relazione introduttiva ella ci faceva presente, cioè la
necessità di combattere la lotta alla mafia attraverso il
rinnovamento. Non vi è rinnovamento se gli organi dello Stato
(in questo caso la Commissione antimafia) non sono all'altezza
di denunciare in modo sereno, senza faziosità e senza pensare
ad attaccare questo o quel partito. Non sono d'accordo con chi
prima ricordava le posizioni dell'onorevole Segni, poiché
quest'ultimo ha fatto parte della democrazia cristiana per
decenni e forse poteva accorgersi anche prima di certe cose.
Non ci serve Segni come mentore né abbiamo bisogno di
contrapposizioni tra le forze politiche ma le responsabilità
politiche di singoli uomini politici devono essere da questa
Commissione denunciate al termine di un lavoro che è stato
molto intenso ed approfondito e devono essere contenute in
questa relazione. Diversamente, la battaglia per il
rinnovamento verrà compiuta solo per metà e le cose fatte a
metà non portano frutto.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Vorrei innanzitutto assumere
una posizione
                        Pag. 1658
generale sulla relazione, sulla quale il mio giudizio è
positivo (spiegherò poi perché). Di conseguenza, il mio
giudizio positivo diventa anche una scelta concreta per quanto
riguarda la sua utilizzazione; credo che effettivamente si
possa votare pro o contro nei tempi stabiliti e quindi, se vi
sono proposte concrete di rinvio, per quanto mi concerne sono
contrario.
   Vorrei ora spiegare le ragioni del mio giudizio. Non vi è
il minimo dubbio che tutto quello che è scritto in questa
relazione potrebbe essere molto approfondito, come non vi è il
minimo dubbio che gran parte della materia che riguarda la
mafia resta fuori; resta inoltre fuori una parte cospicua di
fatti che riguardano la politica, anche se solo indirettamente
o in via formale. Tutto questo è indiscutibile.
   Cosa dobbiamo fare ora, in considerazione del momento in
cui ci troviamo? Devo confessare che se una Commissione
antimafia - non mi ricordo se la sesta o la settima, nelle
varie forme che ha assunto nel mezzo secolo che abbiamo
vissuto - non è in condizione di trovare in se stessa la
possibilità di fornire al Parlamento e quindi all'opinione
pubblica uno schema fondamentale di interpretazione del
fenomeno, se così è, che cosa possiamo dire della storia del
nostro Parlamento e della nostra stessa politica? Ho
l'impressione - scusate l'espressione poco parlamentare - che
ci riderà dietro tutto il paese se affermeremo di aver bisogno
di una settimana ancora di approfondimenti; potremmo dire di
aver bisogno di dieci anni di approfondimenti, ma questo è un
altro discorso. Qui non si debbono scrivere libri di storia ai
quali, effettivamente, non si possono porre limiti di
calendario: piuttosto dobbiamo proporre al Parlamento ed
all'opionine pubblica uno schema, una griglia di
interpretazione generale dei fatti passati, presenti ed
eventualmente futuri. Il campo, pertanto, deve essere
ristretto ed in questo senso mi pare giusto limitarlo al
rapporto Cosa nostra-politica, nel senso restrittivo sia di
Cosa nostra (quindi non camorra, non 'ndrangheta, nienti
pugliesi e, nella stessa Sicilia, non tutta la malavita
organizzata, poiché sappiamo che vi sono altre organizzazioni
che cominciano ad affacciarsi) sia del mondo politico come
luogo di decisione e di influenza sui rapporti economici ed
istituzionali, inteso cioè come mondo degli uomini politici
nel senso più normale dell'accezione, i quali di solito
ricoprono responsabilità istituzionali; non sempre, però, vi
sono responsabilità istituzionali che non riguardano il
rapporto con la mafia mentre vi sono uomini politici non
istituzionali (o, in certi momenti, non istituzionali) che
invece lo riguardano.
   Credo dunque che l'impostazione empirica della relazione
sia sufficiente. Dicevo che dobbiamo fornire una griglia, uno
schema di interpretazione perché è chiaro che una relazione
come questa non può e non deve mirare alla completezza, alla
ricchezza caratteristica di un lavoro di tipo storico o
teorico. Fra l'altro, non ho mai creduto neanche a questo:
sono rimasto allievo di Benedetto Croce e non ho mai creduto
alla storia fatta da una società di professori; la storia è un
lavoro eminentemente individuale e credo che non possa essere
diversamente, anche se ci si può avvalere della collaborazione
altrui. Dobbiamo essenzialmente fornire al Parlamento, per
quello che oggi siamo in grado di fare, una guida per
l'interpretazione di fenomeni riproducibili: nella situazione
data si sono presentati in un certo modo, ma quello che
essenzialmente dobbiamo ricavarne è lo schema in base al quale
giudichiamo possibile che si istituiscano rapporti fra
criminalità organizzata, uomini politici e mondo
istituzionale, nella misura in cui è coinvolto (quindi non
solo il mondo politico in senso diretto), allo scopo di
fornire una guida politica al Parlamento in ordine a come
atteggiarsi in futuro nel campo legislativo ed in quello
dell'intervento governativo per quanto riguarda questo
fenomeno.
   Da questo punto di vista la relazione mi pare più che
sufficiente, anche se naturalmente ognuno può avere le proprie
opinioni; per quanto mi riguarda vi
                        Pag. 1659
sono cose che avrei allungato ed altre che avrei accorciato,
alcune delle quali esporrò a conferma del fatto che io stesso
considero la relazione come una proposta da modificare, se è
necessario. Il punto che mi preme sottolineare è che
l'impianto generale, con tutte le critiche particolari che si
possono formulare, mi sembra molto equilibrato; pur essendo
per carattere tendenzialmente piuttosto fazioso, ritengo che
ciò che ci deve maggiormente premere è aiutare il paese ed il
mondo politico ad abbandonare il loro passato. Se questo può
avvenire in modo non traumatico, nel convergere delle forze su
una nuova impostazione reale delle cose, francamente
preferisco questa strada ad una soluzione che pretenda di
mettere in luce violenta i pro ed i contro ed in qualche
misura rischi di creare problemi più complicati di quelli che
già non vi siano. La prudenza è materia più realistica, non
solo ai fini dello spirito di compromesso ma proprio ai fini
dell'operatività di un'azione di liberazione della politica
italiana da un passato che indubbiamente esiste e che, secondo
me, non può essere negato con prove di un certo tipo.
   Capisco il ragionamento per il quale un partito, una
persona od un gruppo hanno compiuto azioni antimafia
attraverso leggi, provvedimenti, atteggiamenti o discorsi
parlamentari e non parlamentari, questo deve avere un rilievo
e certamente ce l'ha. Tuttavia, aver compiuto un'azione
antimafia con la legislazione e con i discorsi è una prova
necessaria ma non sufficiente.
   Parlo per esperienza poiché conosco un partito - nessuno
si offenda perché non è nessuno dei vostri - in cui vi sono
state persone che probabilmente, sia pure in modo indiretto,
avevano a che fare con il fenomeno mafioso. Da questo punto di
vista, non mi sento affatto impegnato globalmente con la
storia di questo partito e non vedo perché un partito si debba
sentire impegnato globalmente per la sua storia passata: il
mondo non andrebbe mai avanti se tutti facessimo così! Devo
dire che non ricordo che queste persone abbiano mai fatto
discorsi filomafiosi o non abbiano fatto grandi sparate contro
la mafia o non abbiano votato a favore delle leggi in materia:
si tratta di un'elementare precauzione perché (anche a
prescindere dalla mafia) è raro il caso di qualcuno che
preferisca tutelare i propri interessi di categoria in modo
sfacciato invece di intervenire in modo sfumato e quando
questo non nuoce. E' una norma di prudenza essenziale che, nei
casi di tempesta, si rifà al celebre proverbio siciliano
"chinati giunco che la piena passa". Vi sono comunque alcuni
elementi che sono sempre rimasti come caratteristica, diciamo
a scalare a seconda delle concessioni che con il tempo si sono
dovute fare ad una realtà sempre più dominante, e cioè che il
compromesso fra politica e mafia era insopportabile.
   Inizialmente il discorso era: la mafia non esiste; ad un
certo punto, ad un determinato tipo di politici sostenere
questa tesi sembrò un po' troppo; si disse pertanto che la
mafia è un affare che riguarda i magistrati perché è fatto
criminale e non politico. Anche questo sembrò poco dal punto
di vista sia reale sia teorico, perché un fatto che incide in
modo così ampio sulla cosa pubblica è difficile che non
corresponsabilizzi in qualche modo anche la cosa pubblica.
Esiste una responsabilità, non chiamiamola oggettiva, ma
quanto meno storica: se in casa mia, dove comando io, per
venti anni si verificano certe cose, non le avrò compiute io,
però in qualche maniera non ho comandato bene. Allora si
ammise questo. Restò pertanto l'ultima carta, quella cioè di
dire che la mafia in Sicilia, secondo una battuta che girava,
è come una grande industria italiana di una grande città del
nord: è qualche cosa con cui si devono fare i conti, è una
realtà storica dalla quale non ci si può liberare. Neanche
questa terza soluzione regge più.
   Condivido pertanto quanto si afferma nella relazione e
cioè che condurre a fondo la lotta contro la mafia è uno dei
momenti del rinnovamento della vita politica italiana, proprio
perché chiaramente
                        Pag. 1660
 è finita una fase, salvo il fatto che, trattandosi di
fenomeni profondi, essi possono riprodursi. A chi conviene,
fra le forze politiche vecchie e nuove di questo paese, che
tali fenomeni si riproducano? Non può convenire a nessuno. A
chi ritiene che chiarire troppo le cose possa significare
complicarle rispondo che qualche rischio bisogna pur correrlo
anche se, come ho detto, con molta prudenza, perché è
opportuno arrivare a conseguenze realistiche.
   Per rafforzare la relazione predisposta si possono
svolgere alcune osservazioni, la prima della quali è di
carattere storico. Pur condividendo quanto è scritto nella
parte storica che inizia dalla liberazione, praticamente dal
1943, l'abbrevierei per non appesantire troppo la relazione
perché, al contrario di qualche collega, ritengo che gli
scritti brevi siano migliori di quelli lunghi ed inoltre per
non conferirle un tono superfluamente accademico o istruttivo,
in una materia dove si suppone che, essendo ormai la
bibliografia molto ampia, una certa informazione vi sia.
   Inoltre, per quanto riguarda il problema storico della
mafia e dei suoi rapporti con la società siciliana ed
italiana, credo si tratti di una questione difficilmente
riassumibile in modo molto sintetico, giacché si rischia di
apparire superficiali. Del resto, si tratta di un aspetto
lontano nel tempo, in ordine al quale esiste un'abbondante
documentazione storica. Se mi è consentito svolgere
un'osservazione particolare, vorrei dire che al riconoscimento
del ruolo svolto dalla mafia nella liberazione della Sicilia
durante la seconda guerra mondiale (indubbiamente si tratta di
fatti realmente accaduti) non dedicherei molto spazio, anche
perché non vorrei che si finisse per assegnare una vera e
propria medaglia alla mafia per aver collaborato - niente
meno! - ad abbattere la tirannide nazista. Non vorrei, in
sostanza, che si sostenesse la tesi secondo la quale le scelte
politiche compiute dalla mafia in determinati periodi storici
siano state savie. Tale discorso porterebbe, infatti, ad
ulteriori e pericolose considerazioni.
   Nella proposta di relazione è contenuto un ampio
riferimento alla massoneria, che fa venire immediatamente in
mente il problema della responsabilità soggettiva della
massoneria di fronte all'infiltrazione mafiosa. Tale aspetto è
semplicemente accennato, anche se in un inciso successivo
viene ben chiarito. A mio avviso, sarebbe opportuno
specificare in modo più adeguato l'atteggiamento tenuto dalla
massoneria nei confronti della mafia, collocando tale
specificazione nella parte della relazione che contiene il
primo riferimento a questo aspetto particolare, per non dare
adito ad obiezioni di carattere persecutorio. Ritengo inoltre
che debba essere maggiormente chiarito cosa si intenda per
massoneria: dal testo si evince con chiarezza l'esistenza del
Grande oriente d'Italia, della massoneria di Piazza del Gesù e
delle logge autonome, tuttavia si corre il rischio di cadere
in una certa genericità. Pertanto, sarebbe opportuno
specificare meglio al fine - ripeto - di non prestare il
fianco a discussioni.
   Quanto al discorso relativo al momento giudiziario ed a
quello politico della responsabilità, credo - mi rivolgo in
particolare al collega Scalia - che sia necessario procedere
con particolare attenzione. In questo senso richiamo il
riferimento alla prudenza ed al realismo che ho formulato
all'inizio del mio intervento. Indubbiamente vi è una
suggestione molto forte del momento giudiziario: la giustizia
evoca nomi e situazioni e tutto questo, ovviamente, induce
all'attenzione politica. E' necessario comunque essere molto
attenti a non accettare tale logica fino in fondo perché essa
rischia di diventare, anche senza volerlo, una giustificazione
di quella che è sempre stata la logica opposta. In base a
quest'ultimo orientamento, fino a quando non vi sia un
chiarimento giuridico definitivo, non si può sospettare di
alcuno. Se qualcuno sostiene che l'evocazione di determinate
responsabilità da parte della magistratura rappresenta un
aspetto che non può
                        Pag. 1661
esimerci dal dare un giudizio concreto e preciso, rischia di
accettare la logica opposta secondo la quale non può essere
espresso alcun giudizio, nemmeno di carattere politico, fino a
quando non intervenga una sentenza della Corte di cassazione.
Si tratta di un'impostazione che ho sempre respinto, perché
sono convinto che il giudizio politico sia assimilabile più al
giudizio morale che non a quello estrinseco legato al
procedimento. Pertanto, il giudizio politico deve emergere
anche in considerazione degli eventi giudiziari, ma deve avere
una formazione molto più complessa e, soprattutto, non deve
legarsi in modo immediato a tali eventi. Concordo quindi sul
fatto che in riferimento a determinate vicende giudiziarie
emerse solo di recente sia ancora presto per esprimere un
giudizio sulla loro portata (che, se fosse vera, sarebbe
davvero impressionante). Credo che a tale riguardo sia bene
lasciare questi eventi allo stato d'attenzione configurato
nella relazione. Sotto questo profilo, si evidenzia un grande
problema: non possiamo attendere, ai fini della relazione, che
intervengano i chiarimenti relativi, che probabilmente
comporterebbero un'attesa di uno o due anni. Pertanto,
considerata la fase in cui dobbiamo approvare la relazione, mi
sembra sufficiente limitarsi a richiamare l'attenzione su
determinate vicende, ferma restando la possibilità di
discutere su qualche espressione riportata nel testo.
   Al presidente vorrei far notare, per esempio, che nella
proposta di relazione da lui redatta è contenuta
un'espressione poco chiara o, almeno, suscettibile di prestare
il fianco ad obiezioni. Quando, con riferimento alla vicenda
del senatore Andreotti, si afferma che le risultanze della
vicenda stessa portano ad un "atto dovuto", cioè
all'approfondimento in sede penale, concordo con tale
affermazione ma non vorrei che ci si obiettasse che tale
esigenza, nella forma in cui è stata espressa, rappresenti un
invito all'Assemblea a votare per l'autorizzazione a
procedere. Se si parla di "atto dovuto", si intende che i
magistrati devono procedere. Io sono favorevole a che ciò
avvenga ed, anzi, invito i colleghi ad orientarsi in questo
senso ma non vorrei comunque che fossimo fraintesi. Preferirei
che si dicesse che i documenti portano ad ulteriori...
  PRESIDENTE. Scusi, senatore, lei ritiene che il discorso
possa valere anche per la parte in cui si fa riferimento alla
decisione - che io considero giusta - adottata dalla direzione
democristiana...
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. No, perché in quel caso si
tratta di un invito generico non riconducibile allo spazio
parlamentare inteso in senso stretto. Io mi riferisco
esclusivamente alle nostre responsabilità parlamentari. Si
tratta di cose che scriverei su un giornale ma, nella mia
qualità di parlamentare, ho l'impressione che possano
diventare oggetto di obiezioni di carattere mordente e
pericoloso ai fini della struttura generale della relazione.
  MICHELE FLORINO. Ritengo che vada tenuto ben distinto il
profilo della lotta politica, anche aspra, da quello della
responsabilità politica, così come è scritto a pagina 12 della
proposta di relazione. Tuttavia, alcune considerazioni svolte
dai colleghi che mi hanno preceduto mi impongono di
sottolineare alcuni punti, anche per non allontanare il
dibattito dal suo tema specifico.
   Come ho già precisato all'inizio della seduta, la proposta
di relazione al nostro esame - non me ne abbia il presidente!
- è monca ed ha bisogno del supporto rappresentato dal
riferimento ai fatti nuovi che si stanno scatenando nel paese.
Non è vero che tali vicende sembranolontane da Cosa nostra,
tanto che lei le ha menzionate nella relazione, quando ha
fatto riferimento a persone di altre regioni che sono uomini
d'onore. E' chiaro che quanto si sta verificando in Campania
rappresenta la prova di un assetto verticistico di Cosa
nostra, che ormai è presente in tutto il paese e non solo in
Sicilia.
                        Pag. 1662
   Per sgombrare il campo da alcuni equivoci emersi nel corso
degli interventi precedenti, che potrebbero avvelenare la
nostra discussione, vorrei far riferimento al problema dei
pentiti. A tale riguardo si sottolinea che, anche sulla base
dei principi di diritto, la Corte di cassazione ha
riconosciuto legittimi i giudizi espressi dal giudice di
merito sulla genuinità e sull'attendibilità in concreto delle
dichiarazioni dei collaboratori. La Corte di cassazione ha
riconosciuto la validità del convincimento espresso dalla
corte d'assise d'appello di Palermo secondo cui l'integrazione
e le convergenze di più fonti probatorie autonome sono state
giudicate idonee ad una spiegazione complessiva degli
avvenimenti. Quando si parla di avvenimenti, è evidente che ci
si riferisce anche a quelli precedenti, non soltanto ai più
recenti. Stiamo ragionando come se non fossimo stati testimoni
di sopralluoghi effettuati dalla Commissione nelle regioni
interessate dal fenomeno mafioso, quasi non avessimo
partecipato alle audizioni di magistrati, di pentiti e di
altre persone, come se non avessimo raccolto sufficiente
documentazione per chiarire inequivocabilmente che la
responsabilità dell'infiltrazione di Cosa nostra su tutto il
territorio (non solo su una parte di esso) sia collegata
direttamente al potere politico che ha gestito per anni la
vita politica del nostro paese! Dico questo con calma, senza
che ciò implichi alcun mutamento dei rapporti con i colleghi.
Lo stesso procuratore Spallitta ci ha parlato di chiare
responsabilità di un partito di Governo, dei partiti di
Governo. Rispetto a tali responsabilità, ribadisco che la
proposta di relazione al nostro esame è blanda perché,
onorevole presidente, sfiora gli argomenti senza affondare il
bisturi nella ferita, senza far emergere prepotentemente la
responsabilità politica. Ho l'impressione, ascoltando i vari
interventi succedutisi, che si cerchi di assopirci e di
addormentarci con alcune considerazioni proposte dai
componenti di questa Commissione. La nostra Commissione deve
combattere seriamente il fenomeno della mafia, non limitandosi
alle parole. Rischiamo di farci ridere dietro proprio perché,
rispetto all'impegno profuso dalle precedenti Commissioni
antimafia, continuiamo ad avere rapporti e documenti sempre
identici - io li definisco fotocopie - che non portano a
risultati apprezzabili. Perché avviene tutto questo? Ve lo
dico io, presidente e onorevoli colleghi. Si afferma che la
mafia vuole raggiungere l'impunità. Non è vero! Ma quale
impunità, se la mafia è un organismo dello Stato! Lo stesso
Presidente del Consiglio ha dichiarato che lo Stato non è
innocente. Nel momento in cui il Capo del Governo rilascia una
dichiarazione di questo genere, è indubbio che vi è una
presenza della mafia nei gangli vitali della società e delle
istituzioni. Non so che incidenza abbia ai fini del nostro
lavoro la breve divagazione dell'ex sottosegretario per la
giustizia in ordine ai rapporti tra le istituzioni politiche e
la mafia. Noi siamo stati presenti su tutto il territorio e ci
siamo confrontati, soprattutto con i sindaci dei comuni ad
alto inquinamento mafioso: abbiamo potuto constatare in
maniera diretta che l'elemento mafioso gestisce il potere
politico. Da questo dato non si esce! Quando constatiamo
quello che avviene in alcuni comuni del casertano, quando
scompare un assessore, è la politica ad essere mafia! Non
esiste più una divisione ed un confine: la contiguità è tale
da annullare anche il sottile filo che divide la legalità
dalla illegalità! Quindi, non vedo perché rincorrere alcune
definizioni di comodo, come quella dell'impunità.
   Presidente, lei ha dichiarato che l'attacco deve essere
portato al gruppo armato. No, io dico che deve essere portato
al quartiere generale! Il gruppo armato si può anche
sciogliere o fondere, ma è il quartiere generale che gestisce
il potere malavitoso nel nostro paese! E' quello a cui lei non
vuole arrivare, al quale bisogna lanciare cannonate, non
limitandosi a discorsi che indubbiamente fanno parte dello
stile di una Commissione che deve mirare a riportare fatti e
cronache che si parano davanti ai nostri occhi!
                        Pag. 1663
   Noi ragioniamo come se non fossero avvenute le stragi di
Capaci, di via d'Amelio e tante altre. Allora è inutile
rileggere una sequenza monotona e terribile! Nei confronti dei
morti incorriamo in una sorta di sacrilegio, senza arrivare
alla conclusione di combattere decisamente la mafia a livello
di quartiere generale e non di truppe. Come dovremmo chiedere
aiuto al paese ed al mondo politico se non ricambiamo facendo
piazza pulita? Non si tratta di un discorso estremista, ma del
raffronto tra i fatti attuali e tutte le precedenti inchieste
della Commissione antimafia. Abbiamo una responsabilità che è
presente ovunque, una responsabilità che va oltre, caro
presidente, le considerazioni sulla contiguità con alcuni
partiti politici rispetto a favori che si devono ricevere.
   Ricordo quando lei rispose al magistrato che parlava di
scambio di favori con un onorevole che chiedeva voti e tutto
si concludeva con due tessere per il teatro ed il resto.
Neanche su questo siamo d'accordo: il problema della
contiguità va esteso perché, come le dicevo prima, la
questione di Cosa nostra, la questione dell'assetto della
criminalità organizzata nel nostro paese tende a toccare altri
partiti. L'abbiamo visto nell'ultima consultazione elettorale
del 1992: zone che erano, e potevano definirsi, feudo politico
di molti notabili di un determinato partito, improvvisamente
si sono spostate verso altri partiti. Si è verificata la
situazione - che abbiamo constatato e toccato con le nostre
mani - di Casal di Principe e di tutti i paesi del Casertano,
di quell'evoluzione di un partito che raccoglieva il 3 per
cento dei voti ed è improvvisamente passato al 27 per cento.
Abbiamo avuto un'evoluzione straordinaria nella stessa città
di Napoli, nell'interland napoletano dove un partito
della sinistra ha raggiunto un numero considerevole di
suffragi grazie a questo assetto, che non è - come lei dice -
da sottovalutare perché non ha "l'impiantistica solida" di
Cosa nostra.
   Lei, caro presidente, a pagina 13 della sua relazione
scrive che: "La Commissione ritiene che, mentre la sconfitta
di Cosa nostra potrebbe determinare un progressivo
sgretolamento delle altre associazioni mafiose, l'eventuale
sconfitta della 'ndrangheta o della camorra o della Sacra
corona unita non avrebbe lo stesso effetto nei confronti di
Cosa nostra". Qui commettiamo un errore, perché tutto
l'assetto di Cosa nostra è parte integrale della nuova
strategia e del nuovo assetto delle altre organizzazioni
criminali.
   Questo è l'errore di fondo: la camorra non è più
quell'organizzazione frastagliata che divideva i capi
clan nell'ambito dei quartieri storici di Napoli; la
camorra ha avuto indubbiamente l'ordine o ha assimilato,
ovvero ha addirittura copiato, quella che era un po' la
strategia di Cosa nostra in tutte le sue diramazioni,
assumendone tutti i connotati, nel senso che - non so se lei
abbia notato questa involuzione - dai 260 delitti del 1988, o
dai 400 del 1986, siamo passati ai 3 delitti del 1992 (in
città, mentre sono stati 80 in città ed in provincia). Ciò
perché la camorra si è data un assetto verticistico, anche su
ordine di Cosa nostra, al punto che sono alcuni i capi che
dirigono la strategia delinquenziale e di criminalità
organizzata in Campania. Questo è un errore che va corretto,
perché ci ritroviamo con una diramazione di Cosa nostra che
non è quella siciliana, ma campana, pugliese o calabrese.
   Si è parlato di storia e per un attimo dissento dal suo
storicismo, presidente, che è emerso in più riprese nella
relazione, perché sembra quasi che il fascismo sia stato
complice di attività prima rivolte a debellare - e lei lo
indica - la mafia presente in Sicilia, mentre la sua parte
conclusiva non ha, diciamo così, il sapore della storia. Lei
scrive che: "L'azione antimafia in quest'epoca colpì la
manodopera militare di Cosa nostra, ma servì anche a stringere
un patto politico con i grandi proprietari terrieri. Esso fu
possibile perché il contenimento delle istanze dei contadini
venne effettuato in prima persona dal fascismo, che surrogò in
questa funzione le famiglie di Cosa nostra". La definizione e
l'accostamento
                        Pag. 1664
sono irriverenti, non sul piano della dottrina politica -
rispetto le sue idee -, ma proprio su quello storico, perché
non è stato così.
   Ritengo interessante anche quanto si legge a pagina 51,
dove lei fa riferimento ai rapporti tra politica e mafia: qui
lei inserisce il capitolo della violenza dopo il terremoto
"quando il passaggio dalla camorra solidaristica di Cutolo a
quella di Bardellino, affaristica ed incline al rapporto con
gli enti locali, sarà proprio legata alla spesa per la
ricostruzione". Qui lei già affaccia l'ipotesi, che si è
consolidata nel tempo. Voglio chiarire a lei ed ai componenti
la Commissione che Cosa nostra non è più una Cosa nostra
siciliana: è una Cosa nostra nazionale, ma soprattutto
pregnante nelle regioni ad alta densità criminale. Tutti si
sono dati l'assetto criminale tipico della mafia.
   Mi consenta poi di arrivare alle considerazioni che,
secondo il mio punto di vista, dovrebbero riportare la
relazione in quelle che sono le responsabilità politiche,
presidente. Le diamo atto - lo abbiamo letto - che c'è un suo
modo di spiegare, di ragionare sulla questione Lima (come se
noi non avessimo un vasto materiale - documenti e resoconti di
audizioni - dove si parla ampiamente - mi riferisco
soprattutto alle dichiarazioni dei magistrati - del caso
Lima).
   La responsabilità storica della democrazia cristiana in
Sicilia è evidente: non sono chiacchiere, non sono
autorizzazioni a procedere che possono lasciare - ed
indubbiamente lasciano - motivo ad altri di discutere. Vale
sempre la premessa che ho fatto, ossia che i collaboratori
devono essere creduti, perché dal momento che vengono creduti
per l'arresto di Riina e di altri, debbono esserlo sempre;
nessuno può più metterlo in discussione in questa Commissione
e nessun tentativo può dissolvere l'impegno gravoso di questa
Commissione che ha ascoltato i collaboratori della giustizia,
che ha dovuto sobbarcarsi una notevole mole di lavoro per
arrivare alla verità; a quella verità che deve servire a
spazzare via l'inquinamento politico-mafioso, e certamente non
con le belle parole di democrazia, di aiuto al paese e tutto
il resto. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno diffuso, in cui
l'inquinamento è esteso al punto che lei, signor presidente,
non sa chi le siede accanto. In questo momento è il
funzionario, ma glielo dico per eccesso...
  ALBERTO ROBOL. E' la cultura del sospetto!
  MICHELE FLORINO. Non è la cultura del sospetto. I
collaboratori hanno portato poi a verifiche che si sono
puntualmente realizzate; quindi attenzione, attenzione proprio
a quel confine labile che divide la legalità dall'illegalità.
E' per questo che abbiamo il compito di attaccare duramente la
componente politica, che è il quartier generale e non, caro
onorevole Violante, le truppe che sono presenti sul
territorio.
   Nell'affrontare il problema Lima avrebbe dovuto ricordarsi
dell'influenza che Lima aveva su tutta la situazione politica
del palermitano. Le voglio rammentare l'influenza di
Ciancimino, le situazioni che riguardavano i comuni di
Palermo...
  PRESIDENTE. Senatore Florino, le ricordo che le
rimangono altri due minuti.
  MICHELE FLORINO. Lo so, ho di fronte a me l'orologio.
   Nessuna decisione poteva essere adottata senza aver avuto
il benestare, diretto ed indiretto, di Ciancimino; il
disimpegno dei consiglieri facenti capo al Ciancimino e
all'avvocato Midolo in occasione delle sedute in cui si
discuteva di appalti; Insalaco, il sindaco ucciso, incontrava
Ciancimino, consigliato dall'onorevole Lima: la situazione è
ormai chiara e presente davanti ai nostri occhi per atti
documentati. Pertanto, onorevole presidente, onorevoli
colleghi, ribadisco ancora una volta che per dare al paese una
relazione chiara e precisa, di contenuti politici, soprattutto
di responsabilità politica,
                        Pag. 1665
 bisogna aggregarla ai fatti nuovi che sono sconvolgenti, ma
molto chiari: finalmente il punto interrogativo è scomparso,
la nube si è diradata, le responsabilità sono chiarissime.
   Ecco perché ancora una volta la invito, presidente, ad
aggregare a questa relazione la parte sconvolgente, quella che
è stata scoperta in questi giorni, degli associati alla mafia
ed alla camorra, che sarebbero parte integrante di un bel
documento da consegnare alle Camere.
  GIROLAMO TRIPODI. Giudico la relazione sottoposta al
nostro esame, dopo tanti mesi di lavoro e l'impegno di tutta
la Commissione, un documento molto interessante, anche se...
  PRESIDENTE. Onorevole Tripodi, mi scusi se la interrompo
un attimo. Poiché alcuni colleghi del Senato stanno andando
via (pur non avendo seduta) vorrei sapere se, poiché domani
mattina si vota tanto alla Camera quanto al Senato, siamo
d'accordo a riprendere i nostri lavori alle 15.
  ALTERO MATTEOLI. Se possiamo, lavoriamo due ore domani
mattina, altrimenti credo che non ce la faremo.
  PRESIDENTE. Possiamo cominciare alle 9 per poi
sospendere i nostri lavori intorno alle 11 e riprendere alle
15. Non essendovi obiezioni, rimane così stabilito.
   Onorevole Tripodi, la prego di continuare.
  GIROLAMO TRIPODI. Presidente, avrebbe potuto comunicare
il programma di domani quando ha concluso il suo intervento il
senatore Florino.
  PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Tripodi, solo che i
colleghi si sono alzati quando ha cominciato a parlare lei.
  GIROLAMO TRIPODI. Siccome sono stati in molti ad
alzarsi...
  PRESIDENTE. Temo che lei questa volta abbia ragione.
  GIROLAMO TRIPODI. Anche perché non è ancora chiaro se
quelli che si sono alzati e se ne sono andati avessero impegni
al Senato o alla Camera. Lo vedremo nei prossimi giorni,
perché certamente sarà in quei giorni che si verificherà se le
presenze sono di un certo tipo od hanno altro carattere. Mi
auguro che possano essere soltanto assenze, diciamo così,
normali, anche se nutro molti sospetti.
   Considero la relazione un documento interessante, anche se
debbo subito aggiungere che quando ci siamo posti il problema
di occuparci dell'intreccio tra mafia e politica vi era,
almeno in me, la convinzione che, con questa relazione e con
il nostro impegno, avremmo affrontato il problema generale del
rapporto mafia-politica, inteso sia come Cosa nostra, sia come
'ndrangheta, camorra o Sacra corona unita. Per tale ragione
ritenevo che avremmo concluso questa fase con un documento che
fotografasse tutta la situazione, perché se è vero che la
mafia ha radici più remote in Sicilia, oggi essa investe molte
regioni del mezzogiorno. Se è vero che in Sicilia ed in altre
regioni vi è da molto tempo un rapporto tra mafia, potere
politico e classi politiche dirigenti, rappresentate dai
partiti, non ho timore di dire che quello che ha avuto
principalmente il potere in Sicilia, a tutti i livelli, quindi
anche nazionale, è la democrazia cristiana. Del resto non
sottolineo ciò per amore di polemica, ma perché è una realtà
storica - purtroppo - e grave, che abbiamo registrato e che il
paese sta pagando. Credo che invece di reagire in qualche modo
scomposto per vanificare o tentare di vanificare la ricerca
dell'intreccio inquietante tra mafia e politica, sia giusto
apprestarci ad una riflessione attenta.
   Il regime sta crollando, non soltanto quello della
corruzione e della tangente, ma anche il regime istaurato
attraverso l'uso di modi e di forme distorte nella gestione
del potere, nel ricorso alla politica,
                        Pag. 1666
 e nell'impiego delle risorse economiche dello Stato, quindi,
pubbliche, a tutti i livelli.
   Credo che ogni partito che ha avuto questa responsabilità,
senza sostenere che qualche frangia non l'abbia condivisa,
possa essere criminalizzato o coinvolto in vicende così
terribili, che non riguardano casi specifici, ma fatti di
carattere generalizzato.
   Cari colleghi, se in alcune zone del mezzogiorno abbiamo
registrato l'intreccio tra mafia, politica, istituzioni e
gestione della cosa pubblica vuole dire che vi è stata la
prevalenza del controllo criminale sul territorio, anche
utilizzando poteri occulti, che possono essere forze deviate
dello Stato, ed anche la massoneria. Su questo punto
interverrò tra breve, perché non condivido il giudizio
contenuto nella penultima pagina della relazione, in quanto
ritengo che la massoneria non registri la presenza di elementi
deviati, che possono essere definiti come P2 o logge coperte.
Non è così, poiché la massoneria nel nostro paese da qualche
tempo ha assunto un ruolo devastante, nel senso che non tutte
le deviazioni si sono verificate nelle logge coperte o nella
P2, ma ovunque, anche in quelle scoperte ed aderenti al Grande
oriente.
   Come dicevo, nel momento in cui i poteri criminali sono
riusciti ad imporre il loro controllo sul territorio, sulle
strutture della società, su tutti gli assetti economici ed
istituzionali, abbiamo registrato negli ultimi anni, in queste
zone, la nascita e la creazione di uno stato mafioso. Ho detto
altre volte, e mi fa piacere che adesso lo dicano in molti,
che non abbiamo avuto l'antistato, ma uno Stato; infatti,
anche il fatto che qui parliamo di rapporti mafia-politica
costituisce un elemento determinante del grande potere mafioso
che si è instaurato in tutte le zone.
   Del resto, anche per quanto riguarda i pentiti, non
ritengo, pur con tutte le cautele, che non siano affidabili,
come quando hanno rilevato fatti su un tale personaggio o
ministro di ieri, magari dell'interno, come Gava, oppure
Misasi. Non è possibile sostenere che i collaboratori della
giustizia (sono numerosi), sono affidabili soltanto quando
parlano di Riina, o di un altro mafioso, o quando riferiscono
della guerra tra bande; dobbiamo prendere atto che i pentiti
dicono tutto (anzi, è ancora poco!), hanno rivelato tutto il
meccanismo ed il congegno perverso che in questi anni hanno
impedito - purtroppo - la crescita di una società democratica
nel nostro paese; non solo, ma hanno impedito che in Italia vi
fosse il vero dispiegamento della democrazia ed oggi ne
paghiamo le conseguenze, perché non sappiamo dove andremo a
finire.
   Cari colleghi, non sappiamo dove arriverà il crollo del
regime, dove giungerà, perché siamo di fronte al pericolo di
un precipizio; queste sono le conseguenze di quelle cause alle
quali ogni volta che si è cercato di porre rimedio... Caro
presidente, credo, che su questo sia sempre mancata una
valutazione complessiva, mentre è indispensabile che emerga il
quadro preciso della situazione; non vogliamo assolutamente
utilizzare, né strumentalizzare qualcosa, ma in questo momento
abbiamo il dovere di dare risposte alla gente sconvolta dalle
vicende attuali.
   Stiamo attenti, e devono prestare attenzione soprattutto
coloro che se la prendono con questo o quell'altro magistrato,
perché anche le solenni decisioni politiche assunte negli
ultimi giorni, come quella di ieri della democrazia cristiana,
sono certamente molto pericolose, e non sono sicuro che
serviranno a salvare il partito. Ormai la valanga sta
scendendo, travolgendo i rapporti che si sono creati, il
regime che si è istaurato, ed anche i partiti che hanno avuto
questa responsabilità.
   Perché non dobbiamo fotografare tutta la situazione,
descrivendola nella relazione, che peraltro non abbiamo ancora
approvato? Non sono d'accordo con l'onorevole Sorice, anche se
non ero presente al suo intervento, circa l'opportunità di
rinviarne l'approvazione. Ritengo che dobbiamo dare subito
risposte, perché
                        Pag. 1667
 altrimenti quello che rimane della credibilità delle
istituzioni "salterebbe"; in questa sede ognuno si deve
assumere la propria responsabilità, non possiamo aver lavorato
e rischiato - non da adesso, ma per molto tempo - almeno
quelli che ci credono...
  PRESIDENTE. Certo!
  GIROLAMO TRIPODI. E che sono veramente impegnati su una
sponda e non su sponde diverse, che parlano un linguaggio sul
posto, poi ne parlano un altro in Commissione, e poi un altro
ancora in aula, magari quando votano contro l'autorizzazione a
procedere nei confronti di questo o di quel parlamentare. Del
resto ho avuto il coraggio di assumermi la responsabilità
diretta delle mie decisioni quando non ho condiviso le
posizioni della Giunta per le autorizzazioni a procedere nei
confronti del diniego dell'autorizzazione.
   Sono dell'avviso che dobbiamo concludere subito - ripeto -
subito il dibattito, sottolineando quanto abbiamo registrato
in merito all'intreccio tra camorra, 'ndrangheta, mafia e
politica, con gli uomini che sono stati chiamati in causa.
Infine, dobbiamo dire che le vicende attuali, anche quella che
coinvolge l'onorevole Andreotti, dimostrano che le cupole che
stanno alla periferia sono quelle più piccole, caro presidente
e colleghi, poi ci sono quelle che stanno a Roma, dove c'è il
capolinea dell'organizzazione, delle decisioni, del
coordinamento nazionale.
   Credo che dobbiamo dire anche queste cose, perché
altrimenti sfuggiamo alle nostre responsabilità.
   Ho letto anche la motivazione contenuta nella relazione,
secondo cui la Sicilia è stata scelta come fatto decisivo ai
fini di un allargamento; posso condividere in parte il senso
della motivazione, ma non la portata.
   Detto questo, ho ancora qualche minuto...
  PRESIDENTE. Comunque ne ha diritto.
  GIROLAMO TRIPODI. Detto questo, voglio aggiungere
qualche considerazione sulla situazione di comuni, provincie,
enti locali e pubbliche amministrazioni, ricordando che la
mafia, anche nelle ultime elezioni politiche, ha continuato ad
eleggere parlamentari, come ha fatto in passato, quando ha
eletto sindaci, consiglieri comunali...
  PRESIDENTE. Ha eletto anche parlamentari.
  GIROLAMO TRIPODI. Consiglieri regionali, ed anche
parlamentari; anzi i fatti dimostrano che la mafia continua a
fare le sue scelte ed a sostenere i suoi rappresentanti
nell'ambito delle assemblee elettive.
   Ritengo che dobbiamo sottolineare anche questo, perché
altrimenti sembrerebbero fatti, per così dire, isolati e
sembrerebbe che il rapporto fra mafia e politica possa essere
individuato, signor presidente, soltanto in Ciancimino, Lima e
Andreotti. No, abbiamo tanti altri: anche in questi giorni, su
quanti deputati e senatori si indaga per i rapporti con la
mafia? Sono tanti, siciliani, campani, calabresi e così via.
Non possiamo non tenere presente questo dato di fatto.
   Naturalmente, dobbiamo sottolineare che se questo è
avvenuto indubbiamente vi sono responsabilità per il fatto che
alcuni partiti hanno contribuito alla presenza, al
rafforzamento e all'estensione della mafia: dobbiamo dirlo! E
si tratta principalmente della democrazia cristiana, anche se
vi sono stati altri partiti che hanno seguito la stessa strada
ed hanno fatto concorrenza alla prima!
   Signor presidente, mi sembra molto diplomatico riconoscere
alla democrazia cristiana di avere invitato i suoi
appartenenti indagati a non partecipare alle riunioni: stiamo
attenti che non è proprio così, e questo non basta! La
democrazia cristiana, signor presidente, non ha sospeso
nessuno, nemmeno Ciccio Mazzetta, che non è stato né cacciato,
né - ripeto - sospeso dal partito! Non sono stati cacciati
neanche coloro che fanno parte della cupola di Reggio
Calabria, dove giudici coraggiosi rischiano tutti i giorni!
Non vi è stato alcun provvedimento ...
                        Pag. 1668
  PRESIDENTE. Mi sembra che abbiano azzerato il
tesseramento, se non ricordo male.
  GIROLAMO TRIPODI. Se gli inquisiti vogliono, la tessera
la pagano e se la prendono: non è che abbiano cacciato dal
partito o preso qualche misura disciplinare ...
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Se ne sono andati tutti!
Scherzo.
  GIROLAMO TRIPODI. Capisco: non è che si possano
convincere con il mio intervento, ma ritengo che le cose che
dico si possano leggere. Signor presidente, ritengo che si
debba dire qualcosa di più rispetto a quanto lei ha fatto, con
riferimento ai partiti che hanno governato e governano nel
nostro paese, anche se adesso siamo in una fase molto diversa
di Governo "congelato".
   Chiedo pertanto che il passo relativo a questo tema venga
sostituito dalla considerazione che vi sono stati partiti
coinvolti nelle vicende dell'intreccio tra mafia e politica e
che non hanno preso alcun provvedimento nei confronti dei loro
appartenenti, a tutti i livelli: non parlo del ladro di
galline, del capo elettore di questo o quell'altro, o del
piccolo esponente di paese, ma di quelli che contano. Questo è
il linguaggio mafioso: "quelli che contano"; di quelli che la
mafia dice che "contano" non hanno toccato nessuno! Chiedo
pertanto che questa parte della relazione venga modificata.
   Analogamente, chiedo che venga sostituita la parte della
relazione relativa alla massoneria, che non ha avuto un ruolo
positivo; anch' essa, con le sue forme palesi ed occulte, ha
operato per aiutare - come abbiamo visto - gli esponenti
mafiosi più alti ed i boss, che facevano parte
dell'organizzazione massonica. Anche su questo punto, allora,
dobbiamo essere più chiari: la diplomazia può essere
importante ma va utilizzata in altri casi; in questo ambito
dobbiamo pronunciare parole nette e chiare, perché questo si
aspetta la gente. I termini soft non servono per
argomenti come quelli che dobbiamo affrontare.
   Concludendo, sopratutto per ragioni di tempo, devo
accennare ad un'altra questione che noi comunisti non
condividiamo: si tratta della proposta che viene avanzata in
tema di materia elettorale. Al riguardo, signor presidente,
abbiamo diverse posizioni e, d'altro canto, è in corso in
questo momento uno scontro nel paese fra diverse culture e
differenti posizioni: fra chi vuole difendere il pluralismo
democratico e chi pensa che il regime possa essere sostituito
con soluzioni di carattere restrittivo sul piano democratico.
Ritengo che quest' ultima soluzione non possa essere
condivisa; inoltre, devo aggiungere un'altra considerazione di
fatto: non è che quando il sistema uninominale è stato
realizzato, cioè quando abbiamo votato il 5 aprile, indicando
un'unica preferenza e scegliendo l'uomo...
  PRESIDENTE. Ma il collegio non era uninominale!
  GIROLAMO TRIPODI. Sostanzialmente, però, lo era ed anche
per il Senato votiamo con lo stesso sistema. Voi la penserete
in un altro modo, ma a mio avviso la preferenza unica
configura per la Camera una sostanziale scelta dell'uomo. Cosa
vuol dire sistema uninominale? Significa scelta della persona.
Già abbiamo avuto, allora, un primo elemento di
uninominalismo, anche se personalmente non sono andato al mare
ma ho votato ...
  PRESIDENTE. C'era la possibilità di fare l'una cosa e
l'altra!
  GIROLAMO TRIPODI. Mi sono battuto perché il risultato
del referendum determinasse l'abolizione della preferenza
plurima, ma devo ora dire che quel risultato che ha
configurato il sistema uninominale, cioè un voto per la
persona, ha comportato, guarda caso, l'elezione di tanti e
tanti parlamentari, alla Camera ed al Senato, per i quali ci
pervengono continuamente richieste di autorizzazione a
procedere.
                        Pag. 1669
   Sono stato parlamentare anche in altre legislature, ma non
ci sono mai state tante richieste di autorizzazione a
procedere come questa volta ...
  ANTONIO BARGONE. Questa volta dipende non dalle elezioni
ma dai giudici.
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l'onorevole Tripodi
viene ampiamente "risarcito" per le interruzioni ma non vorrei
che il tempo del suo intervento si prolungasse eccessivamente.
  GIROLAMO TRIPODI. In sostanza, ritengo inopportuna la
parte della relazione concernente il sistema elettorale e
chiedo, quindi, che venga soppressa.
   Ho accennato ad alcune delle questioni che ritenevo più
importanti, per le quali continueremo a dare il nostro
apporto, valutandone le modalità.
   Concludo affermando che la relazione deve essere approvata
al più presto, concedendo al massimo pochi giorni per una
riflessione sulle proposte emendative.
  ALTERO MATTEOLI. Ci siamo dati un calendario che va
rispettato.
  GIROLAMO TRIPODI. D'altro canto, sulla base del
dibattito che stiamo svolgendo e delle proposte che vengono
avanzate, lo stesso relatore, cioè il presidente, può proporre
aggiustamenti in senso positivo. E non mi riferisco certamente
a quegli "aggiustamenti" che si facevano nei processi a
Palermo, e forse anche a Reggio Calabria, a Napoli e a Roma!
   Forse è preferibile come termine quello di adeguamento
alle esigenze di miglioramento, arricchimento e completamento
del quadro, in modo da corrispondere a quella che è la realtà:
si tratta di un nostro dovere ed anche di una necessità per la
democrazia italiana.
  MASSIMO BRUTTI. Desidero manifestare l'apprezzamento
positivo e la convinta adesione mia e dei parlamentari del
gruppo del PDS alla relazione che ci viene sottoposta. Essa è
- lo diceva prima il collega Ferrauto - un punto d' approdo
del lavoro di questi mesi, ma è per noi anche un punto di
partenza, una guida, un testo al quale sarà possibile
aggiungere nuove risultanze nel prossimo futuro.
   Mentre ascoltavo l'intervento dell'onorevole Sorice, mi
veniva alla mente la prefazione ad un vecchio libro, nella
quale l'autore scriveva: "Chiedo sommessamente ai lettori che
il mio libro sia giudicato per gli argomenti trattati, per i
temi che affronta, insomma per ciò che esso contiene e non per
quello che non contiene". Potevamo infatti occuparci anche di
molte altre cose; potevamo aggiungere accertamenti a quelli
compiuti; potevamo svolgere - come suggeriva il collega Sorice
e come credo che dovremo fare - un'analisi dei flussi
elettorali nelle zone a più alta densità mafiosa; potevamo,
già adesso, tentare di estendere il nostro ragionamento alla
Calabria ed alla Campania: non vi è stato però il tempo
materiale necessario, ma dovremo farlo e chiedo che si faccia.
   Tuttavia, in questa relazione, vi è un ragionamento, una
trattazione che ha una sua piena organicità; né capisco bene
cosa significhi affrontare in concreto il rapporto
mafia-istituzioni se non si parte dai fatti che la cronaca
politica, ma anche la storia di queste vicende, ha messo al
centro delle indagini. Mi riferisco al rapporto tra le
organizzazioni criminali ed uomini, settori del sistema
politico, autorità politiche, anzitutto di natura elettiva.
   Voglio dirlo con franchezza: non riesco a vedere ragioni
serie per condividere ed accettare la proposta di rinvio che è
stata avanzata qui dall'onorevole Sorice, nei termini in cui
egli l'ha avanzata, per le motivazioni e per i tempi che egli
propone. Cosa significa un rinvio a dopo Pasqua, se questa
cade una settimana prima del referendum? Il rinvio rischia di
non tenere conto della domanda e delle attese dell'opinione
pubblica del paese; rischia di non tenere conto della
necessità che un'istituzione come la nostra si pronunzi
formulando una valutazione. Voglio rivolgermi al senatore
Sorice, che spero
                        Pag. 1670
leggerà il resoconto stenografico della seduta, ed ai
colleghi del gruppo della DC: volete proporre un rinvio a dopo
Pasqua, a dopo il referendum? Fatelo! Volete votarlo? Provate
a votarlo: è possibile che vi sia una maggioranza favorevole,
ma è anche possibile che non vi sia. In ogni caso, assumetevi
la responsabilità di impedire che in tempi ragionevolmente
brevi, nei prossimi giorni, si giunga ad un voto su questa
relazione.
   La relazione fornisce un'immagine, a mio avviso compiuta -
per quel che si può fare in 71 pagine - su Cosa nostra oggi:
un'organizzazione fortemente strutturata, che ha come propria
risorsa fondamentale la violenza e la brutalità, che sono
messe al servizio della ricerca, del profitto, e del potere.
Naturalmente, in una condizione di precarietà e di conflitto,
nella quale naturalmente si trova a vivere un'organizzazione
clandestina, come è Cosa nostra, che compie e svolge attività
contro le leggi, il potere militare all'interno di
quest'organizzazione ha un ruolo fondamentale. Così avviene
per gli Stati, la cui storia è segnata per generazioni e
generazioni dalla guerra; è evidente che in quegli Stati il
potere militare conterà di più degli altri poteri. Così
avviene per Cosa nostra, dove il potere militare è molto
forte, addestrato ad una vita aspra e difficile, a lunghe
latitanze, ed è per certi versi pronto a perdere tutto, anche
la propria libertà, sia pure temporaneamente: questo è il
senso dell'aggiustamento dei processi.
   Quando si uccidono 22-25 persone in una sera,
strangolandole tutte e quando vengono sciolte nei bidoni, come
è avvenuto per la famiglia di Saro Riccobono, vuol dire che il
ricorso alla brutalità è assoluto. Ed è questa la grande
risorsa di cui dispone l'organizzazione mafiosa, ma non la
sola perché, accanto al conflitto ed alla clandestinità,
l'organizzazione produce e sviluppa un sistema di rapporti con
le autorità ufficiali dello Stato.
   Noi non colpiremo la mafia se non distruggeremo il suo
potere militare; ma non riusciremo ad interrompere la
riproduzione del potere militare mafioso, se non sapremo
recidere i rapporti con le autorità ufficiali dello Stato.
   Sono due gli elementi essenziali del modello: violenza
contro le leggi dello Stato e ricerca di accordi e di
connivenze con le autorità pubbliche. Questa seconda
prospettiva di azione - nella relazione emerge bene - non è
mai separata dalla prima. Gli accordi si stringono
approfittando del patrimonio intimidatorio che
l'organizzazione è in grado di gettare sul piatto della
bilancia. Ricordate l'attentato al sindaco di Palermo
Martellucci, nell'estate del 1980. Esso offre un esempio di
interazione tra violenza e compromesso, perché il compromesso
c'era. Stefano Bontate dirà a Buscetta - e Buscetta ce lo ha
riferito - "Riina non è ancora contento? Ai corleonesi non
basta l'accordo che Martellucci ha accettato con Ciancimino?"
No, non bastava. L'intimidazione serve ad accrescere il potere
contrattuale dell'organizzazione mafiosa, naturalmente dentro
una struttura che è sempre struttura della trattativa, del
compromesso, dell'intesa innanzitutto con le autorità
ufficiali.
   Il potere dei corleonesi segna un di più di violenza ed
anche, in alcuni casi, la tendenza a seguire la via politica
della rottura con l'establishment, con esponenti delle
classi dirigenti, ma sempre per ottenere qualcosa da queste
ultime, per accrescere il proprio potere di pressione. In
tutta la storia di Cosa nostra vediamo due tipi di rapporto
tra mafia e politica tra cui il primo è rappresentato da un
più accentuato atteggiamento di ricerca del compromesso - come
diceva Gaetano Badalamenti: "noi non possiamo fare la guerra
allo Stato" - che significa affidamento ad alcuni uomini
politici che diventano referenti. Ecco la catena di
solidarietà Stefano Bontate, cugini Salvo e poi Salvo Lima.
   Nella storia di Cosa nostra, però, vi sono anche momenti
di più accentuata autonomia rispetto al sistema di Governo
centrale, rispetto ai referenti politici. C'è in fondo un'idea
di far leva sul sicilianismo, sulla Sicilia all'opposizione
per conquistare
                        Pag. 1671
 posizioni di potere per la mafia. Questo lo ritroviamo sia
nel separatismo, sia in certa misura - e la relazione fa bene
a dirlo - nell'esperienza milazziana.
   Che cosa avviene oggi, dopo che quella catena di
solidarietà si è spezzata irrevocabilmente, dopo che la
commissione di Cosa nostra ha deciso di uccidere Salvo Lima?
Un mutamento di strategia? Sì, un mutamento di strategia - è
lecito supporlo -; la scelta di una conflittualità più aspra.
Le stragi hanno significato questo. La conflittualità serve
perché i referenti politici non stanno ai patti e per lanciare
un messaggio intimidatorio generale a tutti coloro che hanno
rapporti con l'organizzazione mafiosa.
   Poi forse c'è qualcosa di più. C'è un disegno: accrescere
la propria forza ed il proprio potere anche individuando nuovi
referenti - non sappiamo quali, ma la ricerca di punti di
riferimento fra le autorità ufficiali é una costante
dell'organizzazione mafiosa - puntando su una situazione di
disgregazione che investe il sistema politico ed anche, per
certi versi, alcune istituzioni. Si può immaginare che i
capimafia, anche i capi militari, siano in grado oggi di fare
questo calcolo: in una situazione di disordine e di
disgregazione politica che cosa facciamo? Per accrescere il
proprio potere contrattuale c'è l'attentato terroristico e poi
ci sono le manovre di sempre, cioè la ricerca delle alleanze
in tutte le direzioni.
   Credo, quindi, sia oggi dovere di chi vuol combattere con
coerenza la lotta contro la mafia favorire ed organizzare
l'azione di contrasto, ed al tempo stesso fare il possibile
perché questa immagine, questa situazione politica di
disgregazione si vinca. Ecco perché penso che l'unità di
intenti di un'istituzione quale la Commissione antimafia sia
una leva nella lotta politica che abbiamo di fronte, contro la
mafia, contro la rassegnazione, contro l'indifferenza.
   Le parti della relazione che affrontano questioni
strettamente legate al rapporto mafia-politica ed il ruolo di
alcuni uomini, così come quella - che mi sembra originale e
nuova rispetto alle elaborazioni del passato - che riguarda il
rapporto tra mafia e massoneria rappresentano già un serio
punto di arrivo. Credo sia giusto tener conto di tutti i
suggerimenti che sono venuti e che verranno dal dibattito per
arricchire, in questi due o tre giorni, aspetti della
relazione. E tuttavia qui c'è già un corpo molto solido,
inequivoco ed incontestabile: così tutta la parte che si
riferisce al ruolo ed alla figura di Salvo Lima.
   Noi dovremmo riflettere sul perché vi è stata per anni una
costante vanificazione delle denuncie e dei procedimenti
giudiziari nei confronti di questo uomo politico; quanti atti
dovuti non sono stati compiuti, innanzitutto da parte della
magistratura fin dai tempi in cui era procuratore della
Repubblica di Palermo il dottor Scaglione; quanti procedimenti
sono finiti nel nulla, ed erano moltissimi; quante
segnalazioni della vecchia Commissione antimafia e della
relazione Carraro, che era relazione di maggioranza, sono
rimaste lettera morta, sono cadute nel vuoto. Se allora - io
ero molto giovane - il Parlamento italiano, le forze politiche
avessero attivato un serio meccanismo per l'individuazione di
responsabilità politiche, se avessero fatto valere la
responsabilità di Lima, forse gli avrebbero anche salvato la
vita. Avrebbe pagato quel che doveva pagare ma probabilmente,
se non avesse contato nulla negli anni successivi alle
denuncie ed all'apertura dei procedimenti giudiziari, avrebbe
avuto salva la vita.
   Invece, continuava ad essere il capo della democrazia
cristiana in Sicilia. Ancora, in un'intervista dell'8 ottobre
1991, si rivolgeva al partito democratico della sinistra per
un'alleanza: consociativo, attento alla necessità di
coinvolgere e di smussare. Infatti, quando in Sicilia c'è
stata una vera opposizione, essa si è dimostrata uno strumento
efficace e serio di lotta alla mafia. Hanno ucciso per questo
il nostro compagno Pio La Torre.
   Ci sono degli aspetti della relazione che rappresentano un
punto di partenza, così come ci sono tante cose da
approfondire e da conoscere ancora. Faccio un
                        Pag. 1672
esempio: il controllo mafioso su Palermo, il ruolo che
Ciancimino per molti anni ha continuato ad esercitare in
questa città. Ancora nel 1989-90 il comune di Palermo - lo ha
documentato un ufficiale dei carabinieri ascoltato in
un'audizione in questa sede - regalava 16 miliardi ad una
società controllata indirettamente proprio da Ciancimino, la
COSI, a titolo di equo indennizzo, addossandosi la
responsabilità di un errato calcolo di commissione dei lavori;
almeno così ci è stato detto. Il procedimento penale fu
archiviato ed io ho già avuto occasione di chiedere il
fascicolo ad esso relativo. Ribadisco oggi formalmente questa
richiesta affinché si capisca bene che cosa è successo, il
perché di questa forte presenza di Ciancimino ancora nel 1989.
   Io ricordo - e lo ricorderà anche il collega Smuraglia
perché Falcone rispondeva ad una domanda formulata proprio da
lui in sede di comitato antimafia del Consiglio superiore
della magistratura - il momento in cui, subito dopo
l'attentato dell'Addaura, Falcone parlò di indagini che
conducevano a prestanome di vecchi uomini politici siciliani:
e pensava a questi, pensava a Ciancimino. Si trattava di
indagini delicatissime che avevano scatenato l'azione armata e
che con ogni probabilità avevano portato all'attentato
dell'Addaura. Ci sono delle note, che abbiamo letto nei mesi
scorsi, redatte proprio da Giovanni Falcone e che riguardano
il periodo in cui il capo della procura di Palermo era il
dottor Giammanco. Anche in queste note troviamo il riferimento
ad un problema, ad una serie di fatti che meritano uno
svolgimento e che richiederanno ulteriori indagini. Falcone
dice che non gli è stato possibile in alcun modo sviluppare le
indagini, richieste dagli avvocati di parte civile che
rappresentano il PDS nel processo per l'omicidio La Torre, sul
ruolo svolto in Sicilia dalla struttura clandestina del SISMI,
Gladio o stay behind a seconda di come volete chiamarla.
Queste indagini Falcone non è riuscito a svolgerle perché il
contatto con la procura di Roma non è scattato, perché in
sostanza il procuratore della Repubblica di Palermo ha
impedito che tali indagini si sviluppassero.
   A tal proposito, devo sottolineare come alle domande che
gli erano state rivolte qui in Commissione antimafia, il
direttore del SISMI abbia risposto con formulazioni elusive e
forse non dicendo il vero, innanzitutto circa il fatto, da lui
asserito, che nessun appartenente alla struttura Gladio ed in
particolare al centro "Scorpione"in Sicilia, fosse stato messo
a disposizione o messo in contatto con l'Alto commissariato
antimafia; che non c'era cioè un rapporto fra gli agenti SISMI
di Gladio e l'azione organizzata di coordinamento nella lotta
contro la mafia, spettante all'Alto commissariato. Questo non
è vero perché in una deposizione del generale Rosa, resa
davanti all'autorità giudiziaria di Roma, si dice proprio il
contrario e cioè che vi sono stati agenti di stay behind
messi a disposizione dell'alto commissario Sica.
   Così ancora altre risposte che ci sono state date dal
direttore del SISMI appaiono non rispondenti a documenti
giudiziari esistenti, come per esempio quando egli sostiene
che nulla risulta circa la rete informativa che sarebbe stata
attivata in Sicilia a cura del generale Musumeci, piduista,
uomo del SISMI, uomo del servizio segreto deviato, condannato
per calunnia in relazione ad un'azione di depistaggio riferita
alle indagini sulla strage nella stazione di Bologna. Proprio
in tali indagini ed in tal processo risulta che un certo
Michele Papa - fra l'altro legato al massone Grimaudo di cui
la relazione parla, e che era uno degli agenti della rete
deviata del SISMI all'epoca della gestione da parte di
Santovito, Pazienza, Musumeci e Belmonte - operava proprio in
Sicilia in questa qualità ed in questa funzione.
   Allora una rete c'era, allora delle operazioni sono state
fatte, qualcosa si muoveva. Già nel 1972, in un documento
NATO, risulta che la Sicilia, dal punto di vista dei rischi di
invasione da parte dell'Unione Sovietica, non era una regione
a rischio. Nella relazione è scritto che l'anticomunismo
funzionò, potè funzionare
                        Pag. 1673
 in più occasioni come giustificazione, come alibi nei
rapporti fra certi settori della politica e Cosa nostra. E' un
alibi divenuto, tra gli anni sessanta e settanta, sempre più
evanescente. In particolare, dopo il 1975, con l'accettazione
della NATO da parte del partito comunista, con i documenti di
politica internazionale votati in Parlamento da tutte le forze
democratiche, questo alibi era veramente insostenibile. In
realtà, sotto il coperchio dell'anticomunismo si sono fatti
affari e spesso si sono stretti patti innominabili. Dovremo
accertare tutto ciò, ma questo è quanto ci aspetta nelle
prossime settimane e nei prossimi mesi; ora dobbiamo dare un
segnale netto al paese, ed il segnale più chiaro viene dalla
parte della relazione, che ho trovato interessante, utile e
costruttiva, in cui per la prima volta si definisce
rigorosamente la responsabilità politica come concetto
distinto dalla responsabilità penale.
   Abbiamo oggi il compito, di grande rilievo istituzionale,
di attivare tutti insieme, senza strumentalizzazioni di parte,
che nessuno oggi deve porre in essere, un meccanismo di
responsabilità politica; si tratta di un fatto doloroso,
perché significa mandare a casa molti o alcuni, fare pulizia
agli occhi del paese e dare un'immagine di pulizia.
   Siamo chiamati a svolgere un alto compito civile, che è
quello di rigenerare senza traumi il sistema democratico
italiano, e la Commissione parlamentare antimafia deve
svolgere un compito essenziale in questa direzione, e anche
dal punto di vista dei tempi del suo lavoro deve dare
un'immagine di compattezza e di sicurezza, oltre che di
dignità, nel compito che affronta, anche correggendo insieme
aspetti, punti e formulazioni della relazione sulla base di
quanto ciascuno degli intervenuti vorrà dire. Il punto
essenziale è però chiudere e farlo presto.
   Si parla di un atto dovuto: credo di interpretare la
formulazione contenuta nella relazione che si riferisce al
senatore Andreotti e alla richiesta di autorizzazione a
procedere contro di lui come una formulazione tutta volta a
definire atti di accertamento relativi alla responsabilità
penale, che quindi non competono a noi. Si tratta di un atto
dovuto da parte dei magistrati; si può quindi rivedere la
formulazione per evitare che sia fuorviante. Il punto è però
che vi è stata un'iniziativa dei magistrati e che un organismo
parlamentare effettua (credo che possiamo e dobbiamo farlo in
un momento come questo) una valutazione serena sul fatto che
quei magistrati hanno adempiuto, di fronte a segnalazioni e
dati che giungevano alla loro conoscenza, ad un dovere che è
proprio della loro funzione istituzionale.
   Queste sono le ragioni per cui esprimiamo un giudizio
positivo ed invitiamo tutti i colleghi a lavorare insieme, in
questi due giorni, per concludere insieme, con un approdo
comune.
  MARCO TARADASH. Credo che la relazione sia stata molto
superata dagli eventi, perché le cose che vi sono scritte, se
ancora una settimana fa potevano sembrare sorprendenti e
clamorose, non lo sono più dopo che da una settimana leggiamo
sui giornali le notizie provenienti da Palermo e dalla
Campania. La relazione resta quindi molto indietro rispetto al
quadro degli eventi che risulta dai quotidiani. Mi riferisco
in modo particolare alle notizie provenienti dalla Campania:
resto infatti molto sorpreso per il fatto che tra le
innumerevoli denunce dei pentiti mafiosi non ve ne sia nessuna
significativa sotto il profilo dei fatti concreti. A
differenza delle denunce napoletane, da Palermo arrivano
ancora allusioni (come abbiamo potuto ascoltare nel corso
delle audizioni dei pentiti che abbiamo svolto) e niente più
che allusioni.
   E' noto che vi è stato un sacco di Palermo ed immagino vi
siano stati anche i sacchi di Catania, Trapani, Agrigento e di
ogni minima cittadina siciliana; ma rispetto al saccheggio
continuativo operato a Palermo e nelle altre città della
Sicilia da quelle stesse forze politiche che hanno effettuato
lo stesso saccheggio in
                        Pag. 1674
altre città (in climi ambientali diversi, con modalità simili
anche se senza sostegno militare), quello che continua a
meravigliarmi è che nel diluvio delle dichiarazioni dei
pentiti non abbiamo indicazioni precise.
   Questo è un fatto che desta meraviglia e a me
personalmente suscita anche sospetto, perché fino a quando non
entreremo nella realtà concreta di quanto è accaduto a Palermo
(per parlare di Palermo) nel corso dei decenni e non
arriveremo all'indicazione dei nomi e cognomi dei responsabili
dei comitati d'affari nella società cosiddetta civile, che è
indicata anche nella relazione, e nel quadro politico, tutte
le confessioni e le collaborazioni dei pentiti saranno, a mio
avviso, sospette e viziate da interessi particolari, che
naturalmente non riesco a comprendere fino in fondo ma che
devono gettare un'ombra pesante su tali confessioni.
   Questa è la mia premessa, che mi induce di conseguenza a
non essere del tutto soddisfatto della proposta di relazione
in esame; avverto ancora una grande distanza tra la nostra
analisi e quanto è accaduto in Sicilia e sotto l'ombrello di
Cosa nostra: il rapporto tra politica e mafia in Sicilia è
stato probabilmente molto simile a quello intercorso tra il
latifondo e le "sottopolizie" mafiose negli anni del controllo
dei terreni agricoli, con la differenza che tale rapporto si è
trasferito dai lotti agricoli a quelli politici e
partitocratici. Non sappiamo ancora bene chi comandasse
all'interno di questo meccanismo, né se Cosa nostra sia
rimasta una "sottopolizia" al servizio dei latifondisti
partitocratici che si distribuivano appalti, costruzioni,
ricostruzioni, fondi straordinari, fondi CEE e così via,
oppure se i livelli di responsabilità fossero misti o se vi
fosse una subordinazione del momento politico rispetto a
quello militare.
   Ritengo che dobbiamo ancora chiarire fino in fondo questi
aspetti, ponendoceli come problema; non mi sembra infatti che
siamo giunti ad una focalizzazione precisa di questi processi.
   Tra le questioni puntuali sulle quali sono in disaccordo,
ve ne sono due su cui desidero soffermarmi: la prima riguarda
il ruolo occidentale che la mafia avrebbe svolto in alleanza
con i partiti del fronte anticomunista. No, queste cose...
  PRESIDENTE. Non ho detto in alleanza.
  MARCO TARADASH. L'alleanza sicuramente vi è stata, ma
non condivido l'aspetto del fronte. Vi è stata certamente
un'alleanza con partiti che erano schierati sul fronte
anticomunista, ma che vi fosse un disegno di utilizzo della
mafia in funzione anticomunista e a difesa del sistema
occidentale è un'analisi che non condivido; indipendentemente
dal fatto che lo sostenga Severino o qualcun altro, mi sembra
una grande bestialità, una tesi che può essere cara a chi deve
difendersi e può giustificarsi dicendo: "Ma noi combattevamo
sulla frontiera più avanzata della democrazia contro la
minaccia dell'imperialismo sovietico". A queste cose,
comunque, non credo, né a Milano, né a Roma né a Palermo. Mi
sembra che questo alibi vada rifiutato.
   Non si tratta di difendere la libertà con l'assistenza
mafiosa: questo può essere stato vero al momento dello sbarco
americano, quando c'era da scegliere tra il nazifascismo e
alcuni sparuti servizi offerti dalla mafia, ma certamente non
è stato più vero a partire dall'immediato dopoguerra a oggi.
Si sono verificate invece ruberie e rapine, oltre ad una forma
di connivenza tra le organizzazioni della criminalità
organizzata e il sistema dei partiti nel suo complesso; alcuni
partiti sono più compromessi di altri ma nessuno è del tutto
immune (come la relazione lascia intendere) tra i partiti che
hanno avuto le mani in pasta nel Governo delle città e della
regione Sicilia. Non condivido invece alibi di tipo
occidentalista, che vorrei venissero discussi con maggiore
attenzione.
   Credo che la questione relativa alle latitanze venga
giustamente sollevata ma dovrebbe essere intesa come un
esempio
                        Pag. 1675
della mancanza di volontà politica di arrivare alla soluzione
di questi problemi: abbiamo constatato che nel momento in cui,
per forza o per piacere, qualche Governo ha voluto cominciare
a combattere la criminalità mafiosa, è riuscito a raggiungere
dei risultati. L'intenzione di aver tutelato le latitanze dei
boss o dei "picciotti" si muove nella stessa direzione,
anche se su binari paralleli molto più insanguinati, del fatto
che noi Stato, noi partitocrazia, abbiamo tollerato
un'evasione fiscale che qualsiasi altro paese democratico
schierato sul fronte occidentale ha combattuto e vinto. Le
latitanze mafiose invece non sono state né combattute né vinte
e soltanto oggi cominciamo a registrare qualche significativo
successo, ma se quanto sta accadendo oggi non é avvenuto
prima, dobbiamo risalire ad un intreccio di interessi in cui
la politica ha svolto un ruolo molto preciso, consistente
nella predisposizione delle risorse che poi il sistema dei
partiti e le organizzazioni mafiose hanno convenuto nel
redistribuire.
   Questo è il quadro generale della situazione, nell'ambito
del quale credo che la relazione sia un po' troppo precisa su
alcuni punti e un po' troppo debole come struttura di analisi
complessiva. Ritengo infatti che da questa Commissione
antimafia non dobbiamo attenderci "zoomate" su episodi
precisi, che sono oggetto di indagine della magistratura e su
cui non possiamo dire di più né meglio di quanto possa dire
quest'ultima, mentre la relazione è carente nella parte che
rientra più propriamente nella nostra competenza, ossia quella
dell'analisi politica e dell'acquisizione delle responsabilità
politiche di sistema.
   Vi sono poi alcune note marginali, su cui mi soffermo
soltanto perché siamo in fase di discussione generale, in
ordine alle quali posso dire di essere in disaccordo nel senso
che non ho una precisa opinione diversa ma non ho neppure la
stessa opinione: mi riferisco, per esempio, alla struttura di
Cosa nostra intesa come un'organizzazione del crimine di forma
piramidale, con tanto di boss, viceboss e soldati. Credo
che la questione si presenti più complessa e che Cosa nostra
si sia sviluppata attraverso una continua riformazione e
"sformazione" di leader e "sultani" che trionfavano
sugli altri. Non condivido l'opinione in base alla quale si dà
invece il quadro di un'organizzazione che sarebbe passata
attraverso gli anni mantenendo caratteristiche strutturali
così precise.
   L'altro dubbio di fondo (la magistratura, se deciderà di
indagare, ce lo svelerà) riguarda il ruolo dei politici
nazionali: pensare che questi ultimi siano serviti soltanto,
com'è indicato dalla magistratura, per aggiustare i processi
in cassazione, è un fatto che francamente mi sfugge. Se si
intendeva aggiustare i processi in cassazione, si poteva farlo
senza passare, per esempio, attraverso Giulio Andreotti e non
vedo l'interesse di quest'ultimo ad aggiustare processi in
cassazione in cambio di non so che cosa.
   Ritengo allora che il fenomeno vada ricondotto ad una
dimensione nazionale: se determinati fatti si sono verificati
in Sicilia è perché avvenivano anche a Milano; se alcuni
processi sono stati aggiustati riguardo alla mafia è perché
determinati processi non venivano neppure celebrati riguardo
alle organizzazioni a delinquere di stampo mafioso, ma non
mafiose, che operavano in altre città italiane.
   Personalmente, non sono convinto della colpevolezza di chi
oggi è sotto indagine ma compete alla magistratura accertare
ciò: dal momento che sono un politico, e non un magistrato, il
fatto che un colluso con la mafia produca opere corrette e
legali mi interessa sotto il profilo di ciò che egli produce
in termini di legalità. La responsabilità penale per i suoi
atti, in relazione alle sue collusioni, è qualcosa che mi
riguarda come cittadino ma non può interessarmi nello
specifico della mia azione politica. Se però omissioni e
aggiustamenti vi sono stati, questi sono gli stessi che sono
avvenuti nel quadro nazionale.
   E' comunque giusto affermare che Cosa nostra è cosa
palermitana e cosa siciliana;
                        Pag. 1676
 manca tuttavia l'analisi del modo in cui, per esempio, il
traffico di droga si sia inserito nella struttura di Cosa
nostra, di come abbia molto probabilmente scombinato le
relazioni tra mondo politico e mondo criminale e di quale
effetto abbia provocato questo fattore puramente criminale, il
quale però creava ricchezze che fino a quel momento soltanto
la collusione tra mafia e politica aveva potuto garantire.
Questo è un capitolo aperto e da capire se vogliamo
comprendere come combattere in futuro la nuova Cosa nostra o
le nuove narcomafie, magari non più siciliane e non più legate
a certe tradizioni e a certi riti, e se vogliamo evitare che
si rifondino in nuove regioni e con poteri di tipo diverso.
Questo è un altro capitolo, a mio avviso, essenziale perché è
necessario capire non tanto il fenomeno del narcotraffico per
comprendere direttamente le relazioni tra mafia e politica ma
come siano saltate certe relazioni tra mafia e politica e
come, di conseguenza, si siano aperti dei varchi di lotta
politica alla mafia che prima non erano possibili.
   Questi sono suggerimenti che vorrei dare per il futuro del
lavoro della nostra Commissione.
   Desidero affrontare ora un punto che riguarda il partito
radicale: si dice che Cosa nostra, nel 1987, rivolse voti
verso il partito radicale; ricordo che il pentito Marino
Mannoia disse che vi era stata questa intenzione ma che poi
alla fine si decise diversamente e si preferì rivolgere voti
verso il partito socialista. Quanto ho detto non cambia nulla
perché nella relazione vi è scritto che ciò avvenne solo per
dare un avvertimento alla democrazia cristiana. Spero che sia
vero.
  PRESIDENTE. E senza intese.
  MARCO TARADASH. Senza intesa. Spero che sia vero per
tutti. Però vorrei che si andasse a rivedere la dichiarazione
di Mannoia, il quale mi pare abbia precisato che il partito
radicale rappresentava il garantismo e che ci fu l'intenzione
di votarlo ma poi si preferì dare tutto al partito socialista.
Questo sotto il profilo della puntualità dei riscontri
oggettivi e come contributo ad una discussione che da questa
relazione deve avviarsi per definire meglio il fenomeno, anche
sulla base di acquisizioni che nessuno di noi aveva nel
momento in cui il documento veniva redatto.
  MAURIZIO CALVI. Signor presidente, intendo porre un
problema di carattere pregiudiziale. Avverto una caduta di
stile, di tono, di dignità istituzionale della stessa
Commissione riguardo alla circostanza della diffusione di una
relazione che a me era stata data in maniera molto riservata.
Molti cominciano a manifestare discordanze e la necessità di
integrazioni e correzioni più o meno sistematiche, per cui
dobbiamo recuperare il senso della responsabilità collettiva
di una Commissione, richiamando ciascun commissario al senso
della responsabilità - così come mi era stato indicato e come
ho fatto nell'interesse della Commissione - o correggendo il
sistema di consegna della documentazione, cioè evitando di
inviare a cinquanta commissari per lo meno le relazioni
riservate. Dico a me stesso e a all'intera Commissione che il
senso della responsabilità di ciascuno è importante, però se
non vi è la responsabilità collettiva della Commissione vi è
il pericolo di una caduta di tono, di segno e di identità
della Commissione stessa che rischia di crollare sotto un
sistema perverso (Commenti del senatore Biscardi).
   La conclusione di ciò potrebbe essere il richiamo ad una
sorta di indifferenza, all'assuefazione ad un clima di
sospetti che si può alimentare e che produce effetti
devastanti sul sistema interno ed esterno della Commissione
stessa. Dobbiamo quindi passare dal sistema dell'indifferenza
a quello della differenza: se non cogliamo il sistema della
differenza del punto di vista dei contenuti, della verità e
della chiarezza, rischiamo di far naufragare il lavoro di una
Commissione. Essa costituisce un sistema talmente sensibile
alle sollecitazioni interne ed esterne che una caduta di tono,
di stile e di
                        Pag. 1677
dignità istituzionale può rappresentare un elemento negativo
per l'attività della Commissione e per il rilievo che essa ha
soprattutto all'esterno. Pertanto, ritengo che debba essere
dedicata a questo tema, nei prossimi giorni, una riunione
dell'ufficio di presidenza allargato.
   Passiamo ora alle questioni riguardanti il contenuto della
relazione. Ritengo che essa comunque tenti di aprire per la
prima volta nella storia del nostro paese alcuni spaccati di
verità. Al di là dei contenuti, dei giudizi forti in essa
riflessi, delle lacune e di alcune omissioni - in ogni caso,
la relazione dovrà essere integrata - credo importante fare
una sottolineatura: come ho detto, è la prima volta nella
storia parlamentare del nostro paese che una Commissione
parlamentare tenta di aprire e di capire lo spaccato del nesso
tra mafia e politica, uno spaccato che in tutti questi anni ha
alimentato un clima di violenze e di dissesti anche sul piano
istituzionale.
   Do questo giudizio di carattere politico perché occorre
attribuire alla relazione la dignità che merita; quindi, a
nome del gruppo socialista, richiamo il valore storico della
relazione, al di là dei suoi contenuti.
   Passo ora ad un secondo aspetto. La relazione deve far
comprendere i suoi circuiti interni ed esterni. Perché parlo
di circuiti interni ed esterni? Perché ho sottolineato
l'esigenza di evitare il clima di indifferenza, di
assuefazione e di sospetti? Perché l'iniziativa di Caselli e
l'iniziativa di portare questa relazione alla Commissione
parlamentare antimafia ed i tempi previsti potrebbero
suscitare dubbi, perplessità ed incertezze sul piano politico.
Non credo assolutamente che queste circostanze siano in
qualche modo guidate, per cui lungi da me il pensiero che esse
siano il frutto di una sorta di regia. Però non vi è dubbio
che questa preoccupazione - che ho colto nel paese e in
Commissione - porti alcuni gruppi a considerare la possibilità
di un rinvio dei lavori della Commissione proprio perché
probabilmente si ha il timore che la relazione possa influire
sul risultato del 14 aprile.
   A proposito dei circuiti interni della relazione,
sottolineo che essa sarebbe stata più importante e rilevante
se fosse stata votata una settimana fa. L'avviso di garanzia
pervenuto ad Andreotti, senza entrare nel merito di un
giudizio che spetta ad altri...
  PRESIDENTE. Deve essere chiaro che i tempi sono stati
decisi da tutti noi insieme. Se c'è indipendenza tra attività
giudiziaria e attività politica, ciò comporta purtroppo...
  MAURIZIO CALVI. Ho voluto soltanto richiamare a me
stesso una preoccupazione che non è di Calvi ma che potrebbe
essere diffusa e potrei aver colto.
  PRESIDENTE. Quando, l'ultima volta, abbiamo deciso i
tempi, la comunicazione c'era già.
  MAURIZIO CALVI. Sono d'accordo con lei, signor
presidente.
   Quando parlo di circuiti interni, intendo dire che uno di
essi può rappresentare un elemento di separazione di questa
relazione dalle vicende che si sono ulteriormente sviluppate.
I fatti che si sono verificati e la portata delle circostanze
hanno rivelato un salto di qualità del rapporto
mafia-politica, del quale bisogna tener conto dal punto di
vista politico. Abbiamo colto una riserva politica nelle
parole del presidente, quando egli ha affermato che questo è
solo l'abbrivo, l'avvio di una discussione che può portare
alla votazione di una relazione che poi deve produrre
ulteriori conseguenze dal punto di vista dell'analisi: colgo
questa circostanza e questo giudizio e li faccio miei.
   L'elemento che fa ritenere interrotti i circuiti interni
della relazione è costituito dal fatto che in essa non si
valuta, per la portata che ha avuto nel sistema istituzionale
italiano e in quello giudiziario, l'allarme lanciato nel 1988
da Borsellino.
                        Pag. 1678
Venne dato grande risalto alle sue parole, tanto che il
Presidente della Repubblica Cossiga intervenne sulle vicende
di Palermo.
   Credo che la relazione debba rivisitare la lettura dei
rapporti all'interno del Consiglio superiore della
magistratura, le interferenze politiche all'interno di quel
consesso e le conseguenze che queste hanno determinato nel
sistema di contrasto nei confronti della criminalità
organizzata, perché quello è il punto di massima debolezza del
sistema istituzionale, di uno dei poteri dello Stato, cioè il
cosiddetto potere giudiziario.
   Questo spaccato ha fatto cadere, dal punto di vista
politico, il pool antimafia, lo ha spappolato, lo ha
disintegrato. Ciò ha prodotto una serie di conseguenze che
hanno portato Giovanni Falcone ad allontanarsi da Palermo.
Tutta quest'aerea interna richiede una rivisitazione, in
questa relazione, che deve essere necessariamente introdotta
per capire e soprattutto per far capire il nesso e la portata
dell'interferenza politica mafiosa nel sistema giudiziario
siciliano e palermitano.
   Il terzo aspetto è relativo al problema dei pentiti.
Faccio una riserva di carattere generale. O il cuneo del
pentitismo lo si accetta così com'è, con il rischio di pagare
dei prezzi (il prezzo è stato quello della morte di un
magistrato, può essere stato quello della cattura di
Contrada), ma lo acettiamo come elemento forte, dinamico, che
contrasta duramente la lotta alla criminalità organizzata,
accettandone tutti i rischi e tutti i prezzi, oppure l'altra
strada è quella di una delegittimazione complessiva della
politica dei pentiti, con tutta una serie di conseguenze sul
piano dell'azione giudiziaria e dei riscontri giudiziari.
   Sono dell'avviso che la prima questione è quella che in
qualche modo possa essere sostenuta con più forza. Mi
riconosco in quell'idea, in quell'incrocio in cui il cuneo del
pentitismo ha aperto spaccati di verità nel nostro paese
soprattutto nel momento in cui in quelle realtà nessuno parla,
nessuno vede, nessuno sente; il circuito delle informazioni,
che si era inaridito in quella fase storica e che aveva
determinato la sconfitta dello Stato, doveva essere
sollecitato e ripreso per capire come penetrare nel sistema
interno alla lotta alla criminalità organizzata. Ritengo,
quindi, che i flussi informativi siano decisivi per
sconfiggere Cosa nostra; senza tali flussi informativi diventa
più difficile costringere alla resa Cosa nostra.
   Nella relazione, che è costruita attraverso una serie di
testimonianze dei pentiti che abbiamo ascoltato, dobbiamo
mettere comunque, per un sistema di garanzie complessivo, una
riserva di carattere politico: l'uso dei pentiti è importante
a condizione che ci siano dei riscontri. Che riscontri abbiamo
avuto, presidente? Abbiamo raccolto queste testimonianze e poi
per impossibilità nostra...
  PRESIDENTE. Se non ricordo male nella relazione sono
citati soltanto testi con riscontri oggettivi.
  MAURIZIO CALVI. Nella relazione questa riserva ci deve
essere per dare una lettura attenta e chiara, altrimenti il
rischio è che le motivazioni dei pentiti che sorreggono
l'impostazione generale della relazione...
  PRESIDENTE. Questo lo contesto!
  MAURIZIO CALVI. L'iceberg di Lima rappresenta la
fase più alta della relazione.
  PRESIDENTE. Perché non c'entra con la relazione?
  MAURIZIO CALVI. Come non c'entra con la relazione!
  PRESIDENTE. C'è il processo!
  MAURIZIO CALVI. C'entra con la relazione, nella quale è
detto chiaramente questo nesso e questo snodo.
                        Pag. 1679
  PRESIDENTE. Sì, ma c'è un'intercettazione telefonica da
cui risulta che telefona sostenendo...
  MAURIZIO CALVI. Pongo soltanto il problema di una
riserva di carattere politico che deve essere riportata
all'interno della relazione, altrimenti la relazione avrà una
serie di conseguenze diverse. Chi legge la relazione deve
avere l'esatta portata di queste testimonianze dei
collaboratori di giustizia, che sono importanti - ripeto -
perché aprono uno spaccato che noi non conoscevamo nel nesso
tra politica e affari e politica ed istituzioni, che noi in
qualche modo vogliamo cogliere con la relazione.
   Nella relazione deve essere trattato il problema dell'area
giudiziaria in relazione alle interferenze sul Consiglio
superiore della magistratura e gli effetti sull'azione
giudiziaria nella città di Palermo. Inoltre, come dicevo, la
relazione deve contenere una riserva di carattere generale e
proprio per le novità dirompenti emerse nel paese può essere
ritenuta vecchia rispetto a ciò che registriamo in questi
giorni. Di tutto ciò ci dobbiamo preoccupare.
   Dobbiamo richiamare il sistema parlamentare all'unità di
un impegno comune politico nella lotta alla criminalità
organizzata. Non vorrei che la Commissione su una delle
relazioni più importanti, che può far storia nell'istituto
repubblicano, per un gioco perverso di carattere politico
potesse avere soltanto l'effetto di un voto limitato con
conseguenze anche sul piano politico nella lettura del
documento. Dobbiamo recuperare a tutti i costi il richiamo
all'unità politica del Parlamento, nel momento in cui c'è
l'unità politica dei poteri dello Stato nella lotta alla
criminalità organizzata, su uno dei temi più delicati della
vita del nostro paese allorché si parla di rapporti tra mafia
e politica.
   Noi come gruppo socialista esprimiamo questa forte
esigenza e invitiamo tutti i gruppi a recuperare serenità in
questo lavoro. A mio avviso in questo momento manca una
serenità di carattere politico. Dobbiamo recuperare,
attraverso la serenità politica, un'impostazione di carattere
generale che dia la possibilità a tutti i gruppi di apportare
le integrazioni e le correzioni che sono ritenute necessarie
per dare al paese una relazione che sia di tutto il Parlamento
italiano. Se così non fosse, caro presidente, potremmo anche
approvarla ma sarebbe una relazione che non ha la coralità
dell'intero sistema politico-parlamentare italiano.
   Proprio per una valutazione più compiuta da parte del
gruppo socialista formulo una richiesta di rinvio nella
definizione e nella votazione della stessa relazione per dare
la possibilità al gruppo, convocato per questa sera, di
esprimere nei giusti termini l'esatta portata di questo
rinvio.
  LUIGI BISCARDI. Signor presidente, parlare per ultimi dà
qualche privilegio, soprattutto quello di non ripetere molte
cose che sono state dette e quindi di essere più sintetici.
   Ho letto attentamente nella tarda serata di ieri la
relazione e devo dire con sincerità di avervi trovato, insieme
con la chiarezza del dettato (cosa non facile di questi tempi
soprattutto quando si affrontano problemi complessi), un
sicuro tessuto storico e, dal punto di vista della mia
formazione professionale, anche una validità didascalica che
può essere particolarmente importante. Una relazione del
genere è di necessità una relazione storica non solo per la
costruzione della stessa ma anche per il momento in cui si
pone la prospettiva storica conclusiva di un periodo.
   Poco fa il collega Taradash ha detto che questa è una
relazione superata dagli avvenimenti attuali. Ciò è vero di
ogni storia, che non può rincorrere sempre i fatti:
l'attualità non ha mai fine e non può essere rincorsa,
altrimenti avremmo una relazione sempre incompiuta (la storia,
come si sa, è sempre incompiuta).
   Un aspetto della relazione che mi ha soddisfatto è quello
della conferma dei risultati della storiografia sulla mafia; i
fatti hanno confermato ipotesi fondate
                        Pag. 1680
sull'interpretazione della realtà. Il mio giudizio
complessivo è che il significato della relazione è pienamente
persuasivo.
   Passando all'analisi della parte storica della relazione,
non mi appare convincente il riferimento alle conclusioni
della prima Commissione Antimafia (1976) ed alla tesi di fondo
della stessa: la visione di una mafia alla ininterrotta
ricerca di un collegamento col potere politico statuale. La
mafia è sempre un potere antagonista formato su
un'organizzazione familiare e locale via via in estensione ma
sempre legata a segmenti territoriali. In ciò sta
l'irriducibilità della mafia, in questo nucleo antropologico
essenziale che non muta mai neppure con il mutare degli
avvenimenti.
   Altro punto della relazione che esige ulteriori
sottolineature riguarda il tempo del passaggio dell'attività
mafiosa in campo politico. Nel periodo postunitario ci fu il
contrapporsi della mafia all'autorità politica, un agire al di
fuori dell'autorità politica, quasi a latere dello Stato
e della politica. Un rapporto più stretto con la politica
avviene con il separatismo siciliano che rappresenta un
momento culminante (a questo proposito ricordo non soltanto
"l'ideologia siciliana" di Giancarlo Marino ma un
libro, sempre di Marino, sulla storia del separatismo
siciliano), la rivendicazione del "sicilianismo",
l'esasperazione autonomistica che culmina con l'esperimento
Milazzo.
   Il salto di qualità avviene nel momento in cui alle
richieste economiche progressivamente crescenti della classe
politica dirigente siciliana conseguono le concessioni del
ceto politico nazionale in cambio del rafforzamento elettorale
e di potere, di modo che la forza di Cosa nostra diventa
direttamente proporzionale alla debolezza dello Stato.
   La relazione fa riferimento alla situazione internazionale
(condivido la citazione da Severino), tuttavia c'è da porre in
maggior rilievo il problema dell'occupazione totalitaria del
potere non soltanto in Sicilia ma anche in gran parte del
Mezzogiorno per spiegare molti degli avvenimenti attuali. Mi
riferisco ad una non corretta dialettica democratica. Per
esempio, quando si impediva ad una minoranza la partecipazione
alla gestione amministrativa, o l'esercizio di certi diritti,
era perché quell'impedimento doveva essere funzionale ad
indebolire la possibilità di affermazione di quella forza
politica. C'era una tendenza all'espansione come condizione
del mantenimento del potere.
  SANTI RAPISARDA. Le minoranze spesso sono state colluse.
  PRESIDENTE. C'è stato anche il separatismo di sinistra
... Canepa.
  LUIGI BISCARDI. In alcuni casi questo è vero.
   Credo che la relazione dovrebbe essere più precisa su
alcuni punti, soprattutto per quanto riguarda quelle che sono
state chiamate le due distinte sovranità: la mafia da una
parte e il ceto politico dall'altra. Tutto ciò riguarda
l'analisi storiografica: c'è sempre stata una tradizione
letteraria e storica della Sicilia che ha evidenziato questa
distinzione. Ricordiamoci di De Roberto: "Gli Uzeda sono
sempre gli stessi".
   Quanto alle proposte, signor presidente, alcune
integrazioni sono auspicabili. Ad esempio, l'analisi
dell'amministrazione è persuasiva soprattutto quando si
riferisce al reclutamento senza concorsi, con metodi
estremamente clientelari, nella regione siciliana; questo
metodo si è diffuso in tutto il territorio nazionale e ormai
l'accesso per concorso è un fatto residuale
nell'amministrazione pubblica italiana, non più normale: oggi
si viene assunti o direttamente o per cooptazione nei casi
migliori. Questa situazione fa della burocrazia una casta, che
poi si autoalimenta e quindi crea ulteriori situazioni
pericolose. Questo discorso vale per l'Italia e, a maggior
                        Pag. 1681
ragione, per la Sicilia. Non è un caso che Sciascia parlasse
di "sicilianizzazione" dell'Italia.
   Anche la parte relativa alla polizia ed alla magistratura
dovrebbe essere messa in maggior risalto. Mi riferisco al
problema dello scarso avvicendamento, e quindi del radicamento
familiare, anche a livello locale, delle forze di polizia e
dei sottufficiali dei carabinieri; per forza di cose, si
creano momenti di integrazione ambientale. Ed è proprio sul
controllo del territorio che si gioca, in un certo senso, il
destino dell'intervento generale. Pur avendo espresso una
posizione di sfiducia al Governo, ho votato a favore della
presenza dell'esercito, in quel particolare momento, perché
ritenevo che almeno come supplenza temporanea fosse giusta. In
sostanza i risultati ci sono stati. Invece, di fronte ad una
perpetuazione della presenza fisica della polizia e della
magistratura, credo che i risultati delle indagini siano
soggetti a condizionamenti.
   Nella relazione si afferma che il mezzo risolutore è la
"straordinaria ordinarietà". C'era uno scrittore francese, mi
sembra fosse Péguy, il quale diceva che la rivoluzione sta
nell'ordinaria amministrazione. Credo che questo principio
ormai valga per tutta l'Italia e soprattutto per la Sicilia:
in questa regione la vera rivoluzione è l'ordinaria
amministrazione e l'ordinario funzionamento della macchina
amministrativa, di polizia e giudiziaria.
   Infine, per quanto riguarda il rapporto con i politici,
vorrei fare un rilievo parziale alla relazione: è stata
affidata la conferma della validità dei risultati in misura
pressoché esclusiva alle rivelazioni dei pentiti. E' indubbio
che queste rivelazioni hanno dato un contributo eccezionale,
ma il problema dei rapporti tra mafia e politica è anche un
problema di condotta quotidiana, di merito politico. Il vero
problema è che non si poteva ignorare, nessun politico
italiano poteva farlo, che Salvo Lima avesse una contiguità, e
non dico altro, con la mafia. Non vedo perché i cittadini più
semplici non possano avere contiguità con determinati
ambienti, pena la caduta della loro buona fama, e possano
averla invece i politici. Sono convinto che questi ultimi,
ancor più dei giudici, debbano essere non solo liberi e
superiori a qualsiasi sospetto, ma anche apparire tali. Questo
rilievo vale anche per i membri, se ce ne sono in queste
condizioni, della Commissione antimafia.
   Desidero infine soffermarmi su un corollario che riguarda
la funzione didascalica della relazione. L'intervento a breve
e medio termine è di natura politica e la relazione deve dire
con estrema chiarezza certe cose non solo ai partiti, come è
detto nella proposta del presidente, ma prima di tutto al
Parlamento. Mi sia però consentito esprimere una esigenza
connessa alla mia esperienza professionale: dobbiamo
rivolgerci anche e soprattutto alle giovani generazioni,
perché la mafia come categoria mentale negativa si vince
soprattutto influendo sulle giovani generazioni. Poiché la
Commissione antimafia non può ignorare un rapporto con la
scuola, proporrei addirittura che la relazione, una volta
approvata ed eventualmente in sintesi (anche perché essa è di
impostazione didascalica: enuncia il principio prima di
svolgerlo), venga portata a conoscenza dei giovani. La
Commissione antimafia non deve parlare soltanto al Parlamento
ed ai politici, ma al paese intero.
   Quanto all'andamento della discussione, almeno per la
parte che ho potuto seguire, il collega Calvi mi consenta
un'osservazione. Rilevo un contrasto tra l'affermazione che
bisogna procedere con molta cautela e il giudizio per cui
questa relazione sarebbe ormai vecchia, se non ho compreso
male. Infatti, se la relazione è vecchia la cautela non serve.
Il problema non è di contraddizione formale.
  MAURIZIO CALVI. Ho posto un problema di unità.
  LUIGI BISCARDI. Vengo proprio alla richiesta di unità
politica. Anche per la mia posizione indipendente, posso dire
che non mi interessa l'unità politica a scapito della verità;
di fronte al veronon ho interesse a che la relazione sia
                        Pag. 1682
votata dall'uno o dall'altro. Se sono convinto, esprimo di
conseguenza il mio voto. Agire in modo diverso fa parte di una
mentalità vecchia, che deve essere sconfitta anche nella
Commissione antimafia.
   Dobbiamo assumere la relazione - che può essere
migliorata, ed in questo senso ho avanzato alcune osservazioni
per la parte storica e per quella politica - come un
contributo etico-politico alla transizione verso nuovi assetti
politici. Deve essere, in altre parole, il congedo storico e
politico da una fase che appartiene al passato.
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che per la
seduta di domani mattina sono previste tre iscrizioni a
parlare. Al fine di conciliare la presenza in Commissione con
i concomitanti impegni al Senato ed alla Camera, ritengo che
potremmo riunirci dalle 9,30 alle 10,30.
  SALVATORE FRASCA. Desidero far presente che la seduta
del Senato inizierà, domani mattina alle 10, con la verifica
del numero legale.
  PRESIDENTE. Per consentire ai senatori di essere
presenti, anticipo a domattina alle 9 l'inizio della seduta,
che così potrà concludersi entro le 10.
La seduta termina alle 19,50.
                          Pag. I
                         ALLEGATO
 Proposta di relazione sui rapporti tra mafia e politica
                   Relatore: VIOLANTE)
                         Pag. II
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                    ... (omissis) ...
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                        Pag. XLVI
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