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Violante: seduta 38

Violante: seduta 38
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                        Pag. 1757
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Seguito dell'esame e votazione della relazione sui
rapporti tra mafia e politica:
Violante Luciano, Presidente, Relatore .......... 1759, 1761
                                      1762, 1768, 1781, 1782
Bargone Antonio ................................. 1769, 1773
Biondi Alfredo ................ 1768, 1769, 1779, 1780, 1781
Biscardi Luigi .................................. 1781, 1782
Borghezio Mario ....................................... 1777
Calvi Maurizio ........................................ 1762
Crocetta Salvatore .................................... 1772
Ferrara Salute Giovanni ................... 1770, 1775, 1776
Ferrauto Romano ....................................... 1767
Frasca Salvatore ...................................... 1762
Galasso Alfredo ..................... 1761, 1762, 1763, 1780
Mastella Mario Clemente ............................... 1765
Matteoli Altero ....................................... 1771
Robol Alberto ......................................... 1782
Scalia Massimo .................................. 1768, 1769
Taradash Marco .................................. 1775, 1776
Tripodi Girolamo ................................ 1762, 1782
ALLEGATO .............................................. 1783
                        Pag. 1758
                        Pag. 1759
La seduta comincia alle 15.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Seguito dell'esame e votazione della relazione sui
rapporti tra mafia e politica.
  PRESIDENTE. Secondo il programma di lavoro deliberato
dalla Commissione, la seduta odierna inizierà con una mia
breve replica; successivamente si svolgeranno le dichiarazioni
di voto, nell'ordine stabilito mediante estrazione a sorte
nella seduta del 30 marzo scorso, e si procederà al voto.
   Ricordo che le dichiarazioni di voto dovranno avere una
durata massima di dieci minuti e che vi sono trenta giorni di
tempo per presentare eventuali relazioni di minoranza.
Inoltre, com'è prassi nelle Commissioni d'inchiesta, chi non
presenta relazioni di minoranza (quindi vota a favore o si
astiene) può presentare note integrative di documentazione e
di sostegno alle proprie posizioni.
   Desidero ringraziare tutti i colleghi che hanno presentato
proposte emendative, quelli intervenuti nel dibattito, e
comunque l'intera Commissione perché il tipo di lavoro svolto,
indipendentemente dal giudizio che se ne può dare, è
riconducibile non ad una sola persona ma alle proposte che
abbiamo fatto tutti insieme.
   E' evidente che non è stato possibile recepire tutte le
proposte di modifica, in particolare quelle che, pur
muovendosi certamente su basi rispettabili, si collocavano
fuori dell'ottica politica, dell'asse politico della
relazione.
   Darò ora conto degli emendamenti o delle proposte
d'indirizzo accolti nella relazione, soffermandomi brevemente
sulle questioni più importanti.
   La questione più importante è stata, a mio avviso, quella
sollevata dapprima dal senatore Ferrara Salute e
successivamente dai senatori Frasca e Cabras, relativa alla
valutazione che era stata data sull'iniziativa della procura
della Repubblica di Palermo. Le obiezioni mosse da questi
colleghi sono fondate. Naturalmente, mantengo il mio giudizio
personale (ma si tratta - lo ripeto - di un giudizio personale
diverso da quello della Commissione), soprattutto perché quel
tipo di giudizio si scostava dalla distinzione, che abbiamo
condiviso all'inizio della relazione, tra ciò che riguarda la
responsabilità politica (tema sul quale dobbiamo lavorare) e
ciò che concerne la responsabilità penale. Tutti infatti
abbiamo ritenuto, anche quando abbiamo interrogato determinati
personaggi (collaboratori della giustizia o anche magistrati),
di non porre domande vertenti su responsabilità individuali,
che sono quelle penali, ma di considerare esclusivamente le
questioni di carattere più politico. Ciò proprio per il
contrasto che si sarebbe posto tra il mantenere questa parte e
l'impostazione generale e anche perché - occorre dirlo - un
giudizio di quel tipo, espresso da una Commissione bicamerale,
avrebbe potuto essere inteso come una sorta di condizionamento
o comunque di interferenza con un giudizio che spetta ad altri
organi, e non certamente a noi; per questi motivi, ho ritenuto
opportuno accogliere il suggerimento dei senatori Ferrara
Salute, Frasca e Cabras e - come avete visto - eliminare quel
dato sostituendolo con un elemento che riguarda
                        Pag. 1760
altre responsabilità, non penali, sulle quali peraltro deve
pronunciarsi il Parlamento, non noi.
   I colleghi avranno potuto constatare che è stato dato uno
spazio anche alla responsabilità di settori della magistratura
e di altro tipo di istituzioni, come era stato chiesto. La
deliberazione che avevamo assunto riguardava non i rapporti
tra mafia, istituzioni e politica ma quelli tra mafia e
politica, avendo peraltro chiarito che quando si parla di
mafia e politica non si può fare a meno di parlare anche di
alcuni settori istituzionali. Questa parte è stata
"irrobustita" secondo i suggerimenti che i colleghi hanno
dato.
   Per quanto riguarda, infine, la terza questione generale
(quella relativa ai pentiti), avrete constatato che in alcune
parti della relazione si è cambiato l'ordine, nel senso che
prima si è fatto riferimento ai dati di carattere oggettivo e
successivamente si è parlato dei pentiti, cercando di non
considerare i collaboratori della giustizia, per così dire,
come primario elemento, non perché non lo siano ma perché,
specie in una sede politica, è importante fare riferimento
prima ai dati oggettivi e poi a quelli che possono venire da
altre parti. Infatti, l'autorità giudiziaria ha i suoi
criteri, stabiliti nel codice, per valutare l'attendibilità
dei pentiti mentre l'autorità politica non ne ha e quindi deve
affidarsi a quelli che sono, per così dire, i criteri di
carattere generale.
   I colleghi Borghezio, Matteoli e Buttitta avevano chiesto
di approfondire il contesto economico, il sistema bancario e
finanziario e la gestione del credito. Avrete potuto
constatare che nella relazione vi è una parte che riguarda
questa materia.
   I colleghi Matteoli, Crocetta e Tripodi (se non sbaglio,
anche il collega Galasso) avevano chiesto di cancellare il
riferimento ai sistemi elettorali, che è stato eliminato
(credo sia stata una scelta giusta) perché finiva per
interferire con la decisione referendaria.
   I colleghi Tripodi, Ferrauto, Ferrara Salute, Imposimato,
De Matteo, Cabras e Borghezio avevano chiesto di approfondire
gli aspetti relativi al rapporto mafia-massoneria, il che è
stato fatto.
   Il collega Buttitta aveva proposto di eliminare quella
sorta di parallelismo tra partiti politici e massoneria,
parallelismo che è stato eliminato.
   Il collega Rapisarda aveva chiesto di inserire nella
relazione la gestione dei piani regolatori generali da parte
di Cosa nostra, e questo dato è stato inserito.
   Sempre il collega Rapisarda, insieme ad altri, aveva
proposto di inserire nella relazione i dati relativi
all'attività dei sindaci nelle giunte e nelle commissioni
edilizie; a tale questione si è fatto un riferimento,
rinviando gli accertamenti all'apposito gruppo di lavoro,
presieduto dal senatore Cutrera, e al lavoro che dovremo
svolgere a Palermo e in altri comuni, come abbiamo stabilito.
   Ho già accennato agli aspetti relativi alle istituzioni;
una parte riguarda, in particolare, il Consiglio superiore
della magistratura e un'altra settori della magistratura, con
dati nuovi e non noti, come avrete notato (quello relativo al
magistrato che fu trasferito e fece saltare il processo a
Ciancimino).
   I colleghi Fumagalli Carulli, De Matteo e Sorice hanno
insistito sull'opportunità di eliminare la definizione della
mafia come soggetto politico. Si tratta di una discussione più
teorica che pratica, e proprio per questo ho acceduto a tale
richiesta: possono restare ferme le convinzioni personali ma
poteva sorgere un equivoco che era il caso di diradare.
   I colleghi Fumagalli Carulli, Cappuzzo e Sorice avevano
chiesto di inserire la posizione di diverse forze politiche
riguardo alle tappe della legislazione antimafia. Troverete in
un allegato (ringrazio gli uffici, che si sono prodigati per
questo) un quadro di tutte le più significative leggi
antimafia, con il prospetto di chi ha votato a favore, chi
contro e chi si è astenuto, alla Camera e al Senato. Vi sono
riportati anche i tempi di presentazione e di approvazione,
che servono per avere un quadro delle difficoltà a volte
incontrate.
   I colleghi Fumagalli Carulli e Sorice (e fuori di questa
Commissione, mediante
                        Pag. 1761
un'intervista, il collega Biondi) avevano fatto riferimento
ai pentiti. Su tale questione rinvio a quanto ho già detto
all'inizio.
   I colleghi Buttitta e Cappuzzo (ed anche altri) avevano
chiesto di eliminare il riferimento alle tecniche omicide, in
quanto lo ritenevano un po' truculento nel contesto della
relazione; è stato eliminato sia questo sia l'altro
riferimento, quello relativo alla fedeltà coniugale dei
mafiosi, che è stato inserito in nota.
   Il collega Buttitta aveva segnalato che i voti a candidati
del partito socialista e del partito radicale riguardavano
soltanto alcuni quartieri, non tutta la città e la provincia
di Palermo. Questa correzione è stata inserita.
   Sono stati altresì inseriti nella relazione i riferimenti
alla struttura verticale del fenomeno, chiesti dai colleghi
Buttitta e Cutrera.
   La correzione che opportunamente suggeriva l'onorevole
Ayala è naturalmente fondata: fu Ignazio e non Nino Salvo a
telefonare a Buscetta. Ringrazio anzi per il chiarimento.
   Per quanto riguarda il problema del giudizio politico
sulla "primavera di Palermo", chiesto da due colleghi (con
intenti - credo - divergenti), mi sono limitato ad indicare i
fatti: vi è stata una prima giunta Orlando, di pentapartito
appoggiata da Lima, ed una seconda giunta Orlando con la
partecipazione del PCI, com'è scritto, che fu sostenuta da
Lima in consiglio comunale ma osteggiata all'interno del
partito; successivamente, Lima fu all'opposizione, tranne che
nelle giunte successive.
  ALFREDO GALASSO. Farò una precisazione in sede di
dichiarazione di voto.
  PRESIDENTE. Sulla questione relativa all'atto dovuto ho
già detto.
   Per quanto riguarda l'esame della mobilità del voto,
ricordo ai colleghi che avevamo deciso di svolgere un'indagine
su tale questione; non è possibile invece limitarsi a pochi
cenni su una materia di questo genere perché sarebbe
francamente poco serio farlo. Un nostro consulente, il
professor Cazzola, ha tracciato il quadro di una possibile
indagine, quadro che sarà inviato a tutti i colleghi e su cui
bisogna discutere; se i criteri saranno condivisi, potremo
decidere insieme di svolgere questa indagine sui flussi
elettorali.
   L'approfondimento della situazione delle altre regioni è
contenuto nell'apertura della proposta di relazione, così come
il riferimento agli ultimi successi nella lotta contro la
mafia, secondo quanto chiedevano in particolare il senatore
Frasca, l'onorevole Scalia, il senatore Florino e l'onorevole
Tripodi.
   E' stato inoltre approfondito il condizionamento della
mafia sulla magistratura. Nella relazione è contenuto anche un
riferimento alla stagione dei veleni ed é stato recepito il
suggerimento del senatore Cabras sull'effetto maggiore che il
condizionamento del voto mafioso può avere sui partiti molto
piccoli.
   E' stato inoltre inserito il chiarimento, chiesto dal
senatore Cutrera, secondo cui questa relazione è in qualche
modo parziale e rappresenta una prima tappa di un lavoro
compiuto.
   Desidero inoltre precisare che a pagina 92, laddove si
legge "Cosa nostra controlla tutti gli appalti", l'espressione
"controlla" va sostituita con "controllerebbe". Credo infatti
che questa formulazione sia più giusta perché si tratta di
riferire opinioni di altri, che non abbiamo avuto modo di
constatare.
   I senatori Cutrera, Frasca e Calvi avevano proposto di
sottolineare con forza il ruolo svolto dall'ultima fase della
legislazione antimafia ed il ruolo che Falcone aveva avuto in
questo contesto. Mi pare che ciò sia stato fatto.
   Per quanto riguarda la richiesta dei colleghi Cutrera e
Olivo di approfondire il caso Carnevale, abbiamo riportato un
dato non noto rappresentato dai capi di imputazione nei
confronti del dottor Carnevale.
   Sono state inoltre precisate le questioni relative
all'edilizia scolastica, come chiedeva il senatore Cutrera;
analogamente, è stato distinto il separatismo
dall'autonomismo, come proponeva l'onorevole Borghezio.
                        Pag. 1762
Sono stati altresì approfonditi il problema della droga,
secondo quanto chiedeva l'onorevole Taradash, ed il rapporto
tra mafia e appalti.
   Intendo a questo punto dare una spiegazione (anche se
naturalmente vi sarebbero molte altre cose da spiegare) su due
punti di approfondimento che non ho accolto.
   Il primo riguarda la richiesta di approfondire la vicenda
di Aldo Moro per la quale ritengo sia necessaria un'indagine
ad hoc, nel caso in cui la Commissione ritenga di
procedere in questo senso. Non credo infatti che si possa
liquidare in poche battute una questione di quel peso e di
quella rilevanza. Com'è noto, della vicenda si è occupata
specificamente una Commissione parlamentare d'inchiesta; se la
Commissione antimafia deciderà di occuparsi anch'essa di
questo tema, potrà farlo con una decisione specifica e non in
modo incidentale.
   Quanto all'identificazione della mafia con Cosa nostra, il
problema è stato posto specificatamente dall'onorevole Galasso
con riferimento alla Sicilia, dove Cosa nostra è una delle
possibili mafie (mi è sembrato fosse questo il ragionamento
dell'onorevole Galasso), e dal senatore Frasca, che ha
sottolineato l'opportunità di dare uno spazio alla 'ndrangheta
e alle altre forme di criminalità organizzata. Su questo
secondo aspetto, credo non vi siano problemi. Vorrei
confrontarmi a fondo con la prima tesi che non condivido;
poiché in genere scrivo le cose che condivido, mi dispiace.
Forse mi convincerò successivamente che questa tesi è esatta,
ma non mi pare che oggi si possa fare una distinzione di
questo genere per quanto riguarda la Sicilia.
  ALFREDO GALASSO. Non ho ben capito.
  PRESIDENTE. Se non ho compreso male, è stata fatta la
proposta di non identificare la mafia siciliana con Cosa
nostra.
  SALVATORE FRASCA. Non era questa la proposta,
presidente.
  PRESIDENTE. Mi riferisco alla proposta dell'onorevole
Galasso, perché quella del senatore Frasca è stata recepita.
Non ho potuto recepire quella dell'onorevole Galasso perché
credo che la mafia siciliana sia essenzialmente Cosa nostra.
  ALFREDO GALASSO. Mi spiegherò meglio nella dichiarazione
di voto.
  PRESIDENTE. Se non ho capito, mi dispiace; è colpa mia
naturalmente.
   Nel recepire le proposte avanzate nel corso della
discussione vi è stato lo sforzo di comprendere le ragioni di
tutti. Qualunque sia l'esito del voto, ringrazio tutti i
colleghi del contributo, sia favorevole sia critico che è
stato dato e sarà dato, perché uno dei valori fondamentali dei
sistemi parlamentari consiste nel confronto teso ma anche
libero delle opinioni, e qui l'abbiamo fatto.
  GIROLAMO TRIPODI. Vorrei avere notizie in merito alla
proposta di modifica da me avanzata.
  PRESIDENTE. Ho dato comunicazione in merito agli
emendamenti accolti, per gli altri non è possibile riaprire un
dibattito.
   Il senatore Calvi ha chiesto, per un problema personale,
di parlare per primo.
   Ricordo che ciascun oratore ha dieci minuti a disposizione
per la propria dichiarazione di voto.
  MAURIZIO CALVI. Signor presidente, il gruppo socialista
apprezza il punto di grande equilibrio che lei ha voluto dare
soprattutto all'esito di un dibattito complesso e difficile,
particolarmente marcato nella sua prolusione anche da dissensi
di fondo di natura politica. Mi sembra che lei abbia compiuto
lo sforzo di recuperare, attraverso un clima di maggiore
serenità politica, questo punto di equilibrio, questo punto di
sintesi, nel clima della chiarezza possibile, soprattutto
quando si parla del rapporto mafia-politica in una regione
complessa come quella siciliana.
   Il gruppo socialista ha sostenuto il suo sforzo e aderisce
completamente agli elementi
                        Pag. 1763
che lei ha illustrato nella sua introduzione, elementi
correttivi di natura politica ad una proposta di relazione che
certamente aveva visto uno squilibrio dal punto di vista del
giudizio generale. Posso definire la relazione ovattata ma
chiara, così come richiede il rapporto mafia-politica nel
nostro paese. Essa è passata dal clima cosiddetto delle
certezze a quello di una maggiore problematicità del rapporto
mafia-politica, cioè è passata dal clima dei cosiddetti atti
dovuti, che era l'elemento caratterizzante del testo
originario della relazione, a quello della responsabilità
politica del Parlamento al quale è demandato il compito
delicato di comprendere nella sua complessità il caso
Andreotti, l'esito, direi, di una verità difficile.
   La relazione soprattutto rappresenta, questo va
sottolineato, almeno per il momento solo uno spaccato del
complesso mondo, talvolta indecifrabile, del rapporto
mafia-politica in una regione dove la cultura mafiosa è
profondamente diffusa, radicata e talmente condizionante da
rendere forte il clima della pressione criminale anche sulla
società civile.
   Al di là del punto di equilibrio, questa relazione è
politicamente forte ed aggressiva quando pone il problema del
caso Lima che è quello più alto del rapporto mafia-politica
fin qui individuato. Questo è un elemento di grande chiarezza
perché emerge per la prima volta che Lima è il riferimento di
Cosa nostra nel complesso mondo dei giochi e degli interessi
di natura economica, politica e giudiziaria. Questo passo
della relazione certamente rafforza il clima dell'equilibrio
ma rafforza soprattutto quello della verità e della chiarezza,
così come richiedeva l'interesse generale del paese.
   Questa prima relazione è importante nella storia del
nostro paese. Dobbiamo dare atto di questo alto interesse,
della responsabilità collettiva della Commissione parlamentare
antimafia, che rappresenta il punto più alto dal punto di
vista parlamentare, avendo la responsabilità di annotare e
dire con estrema chiarezza al paese come evolvono le cose nel
complesso mondo del rapporto mafia-politica nella realtà
siciliana.
   E' questo un messaggio di grande chiarezza al paese e, una
volta individuati i nessi nevralgici del rapporto
mafia-politica, sarebbe utile che i gruppi parlamentari
potessero svolgere sulla relazione consegnata al Parlamento un
ampio dibattito attraverso interpellanze o mozioni per dare il
senso politicamente alto della relazione stessa.
   Sarebbe stato anche utile, signor presidente, annotare con
maggiore chiarezza il caso Falcone all'interno del Consiglio
superiore della magistratura; per la portata degli interessi
in gioco, per il ruolo importante che Falcone aveva in quella
realtà sarebbe stato utile recuperare con maggiore forza
quella stagione complessa, delicata, drammatica, perché
sarebbe stato un elemento di maggiore chiarezza per il
Parlamento e soprattutto per il paese.
   Tuttavia debbo dire che questo passo, data la complessità
della relazione, potrà essere recuperato con le integrazioni
che lei ha testé richiamato; la Commissione parlamentare
antimafia ha il senso delle integrazioni e correzioni che
possono essere apportate come elementi di maggiore riflessione
nella dinamica generale della relazione.
   Con il senso di responsabilità che il gruppo socialista ha
verso il paese e per gli elementi di grande chiarezza politica
contenuti nella relazione, esso si è orientato a dare la
propria adesione e il proprio consenso alla relazione stessa,
testimoniando un interesse più alto dal punto di vista
politico a percorrere insieme a lei e insieme alla Commissione
nuove strade per meglio capire gli intrecci perversi che sono
presenti ancora non solo nella realtà siciliana ma soprattutto
nelle aree a rischio del nostro paese. Quella del gruppo
socialista, quindi, è un'adesione completa, politicamente
forte,perché la relazione è politicamente forte: esprimiamo
quindi il nostro voto favorevole.
  ALFREDO GALASSO. Signor presidente, voterò a favore di
questa relazione
                        Pag. 1764
sui rapporti tra mafia e politica considerato che le
integrazioni apportate rendono evidenti un asse portante, una
concezione, una pratica del contrasto alla criminalità
organizzata che intende la mafia non soltanto ed
esclusivamente come organizzazione criminale denominata Cosa
nostra o come insieme di organizzazioni criminali presenti nel
territorio nazionale, ma come vero e proprio sistema di potere
criminale, economico e politico, che credo sia la chiave di
lettura corretta del fenomeno quale oggi si presenta.
   In questo senso intendo chiarire anche il probabile
equivoco che si è determinato a proposito del rapporto tra
mafia e Cosa nostra. Poiché non amo avere in una relazione
definizioni di natura sociologico-politica, ciò che mi
interessa è che questo asse portante e questa chiave di
lettura risultino dall'insieme dei passaggi della relazione.
Aggiungo anche che in essa è da apprezzare la distinzione tra
responsabilità giudiziaria, penale e responsabilità politica e
che comunque in questo non si indulge, anche per le correzioni
opportune apportate ad una tentazione, che pure è stata
presente nel dibattito politico, di contestare il lavoro dei
giudici che, viceversa, da questa relazione non risulta
affatto intralciato. Questa mi pare la migliore smentita alla
teoria circolante del complotto o della cospirazione.
   Vi sono alcuni elementi che consentiranno (lo voglio
sottolineare) finalmente, per la prima volta, lo svolgimento
di un dibattito parlamentare sui rapporti tra mafia, politica
e massoneria, elementi che considero chiari nel loro complesso
e niente affatto ovattati; c'è un giudizio complessivamente
rigoroso che si richiama a questa pratica della lotta
antimafia come lotta ad un sistema di potere.
   Voglio segnalare particolarmente da questo punto di vista
alcuni passaggi contenuti nelle pagine 5 e 6 della relazione
che riguardano l'applicazione faticosa di alcuni provvedimenti
legislativi. Mi riservo di approfondire ulteriormente la
materia perché parzialmente condivido e parzialmente dissento
dal giudizio politico, che probabilmente sarebbe stato meglio
evitare, espresso nei confronti di ministri che sono stati in
carica.
   Trovo anche opportuno che finalmente in un altro passaggio
della relazione - mi pare a pagina 98 - si chieda alla
politica un provvedimento di natura politica, cioè
l'allontanamento degli eletti, dei dirigenti, degli iscritti,
senza attendere che vi sia un giudizio penale. Anche questo fa
giustizia di un atteggiamento di delega che si è allungato
troppo nel tempo.
   Ho da fare soltanto due rilievi. Il primo è una rettifica
che mi è anche favorita dalla stessa esposizione orale fatta
dal presidente. Quando si fa riferimento al succedersi delle
giunte, c'è, mi pare, un errore, perché a pagina 87, a
proposito di Lima, si dice che la sua corrente "votò in
consiglio comunale per la seconda giunta, che vedeva la
partecipazione del PCI". In realtà la seconda giunta non
vedeva la partecipazione del PCI. Forse è saltato un rigo: non
votò la partecipazione alla terza giunta (la cosiddetta giunta
esacolore), rispetto alla quale la corrente di Lima andò
all'opposizione. La pregherei, presidente, perché si tratta
semplicemente di una rettifica di fatto, di provvedere, previa
verifica, a correggere questo passaggio che secondo me dipende
proprio dal salto di qualche rigo.
   Mentre, viceversa, la riserva di fondo riguarda il
giudizio sulla responsabilità politica del senatore Andreotti
che è rinviato in Parlamento. L'attesa per un giudizio
definitivo che io formulo è appunto un'attesa del dibattito in
Parlamento. Ma credo, dopo tutto ciò che è stato scritto in
questa relazione, a proposito dei rapporti tra Cosa nostra e
Salvo Lima, che un giudizio politico avrebbe potuto esser dato
anche rispetto alla corrente degli amici di Andreotti, di cui
Lima era il capo indiscusso in Sicilia.
   Nel riservarmi il voto definitivo in aula e la
presentazione di un documento integrativo per rendere ancora
più esplicito il giudizio mio e del movimento del quale faccio
parte sulle responsabilità politiche relative alle vicende
tragiche di questi anni, voglio ribadire che questa proposta
                        Pag. 1765
di relazione, che ci accingiamo a votare, rappresenta
sicuramente un elemento di novità in sede politica e
parlamentare, con alcuni aspetti - e sono molti - che
condivido integralmente, mentre qualche altro - e ho fatto
alcuni esempi - mi lascia perplesso e suscita in me qualche
riserva. Anch'io ritengo che la complessa vicenda di Giovanni
Falcone andrebbe affrontata. Proverò a farlo anche nel
documento integrativo.
   Penso che sarebbe anche opportuno che tutti questi atti
che riguardano le varie audizioni e vicende intorno a Giovanni
Falcone e che lo vedono - e aggiungo anche Paolo Borsellino -
protagonista, possano essere resi pubblici perché ciascuno
possa integralmente, con i proprio occhi e con il proprio
cervello, giudicare di che cosa si tratta.
   Assumo questa proposta di relazione e il dibattito che
seguirà in Parlamento come uno dei momenti importanti e
decisivi di passaggio nella fase politica e sociale che
attraversiamo, di affermazione di democrazia, di affermazione
dello stato di diritto. Soprattutto credo che questo sarà un
importante banco di prova per tutte le forze politiche e
sociali, e finalmente una misura della coerenza con la quale
singoli e gruppi daranno una risposta ad un bisogno di verità
e di giustizia, che si porta dietro le tragiche vicende di
questi anni.
  MARIO CLEMENTE MASTELLA. Se fosse possibile, signor
presidente, almeno per un istante dimenticare la tragicità
degli avvenimenti, le sofferenze e le angustie che pesano sul
vivere quotidiano, politico e sociale nazionale, in altre
parole se fosse possibile distaccarci da noi stessi e in
qualche modo vederci dal di fuori, dall'esterno, io credo che
dovremmo sottoscrivere oggi le confidenze del vecchio Goethe:
"Ho il grande vantaggio - scriveva - di aver vissuto in
un'epoca in cui i maggiori avvenimenti erano all'ordine del
giorno".
   Ritornando, in maniera più diretta e forse ridotta, alla
scala delle nostre pareti domestiche, quelle che ci
circondano, assistiamo di fatto ad una situazione per certi
versi scomposta, concitata e dagli esiti incerti, insidiosi o
promettenti, dove si rinvengono tracce di inquietudine e una
certa confusione.
   Noi, rispetto a questa confusione, abbiamo manifestato il
proposito di fare chiarezza.
   Togliendo ad una statua il piedistallo, la statua crolla.
Così si comportano, signor presidente, onorevoli colleghi, le
cose che sono visibilmente soggette alle leggi di gravità. Io
spero che con la nostra adesione, la nostra adesione convinta
- i contributi dei tanti colleghi della democrazia cristiana
hanno evidenziato alcuni aspetti, operato una serie di
sottolineature - alla relazione Violante, si possa far
finalmente giustizia di quella stupida equazione per cui
l'interfaccia della mafia si è fatto apparire o si vorrebbe
far apparire strumentalmente raffigurato dalla democrazia
cristiana.
   E' vero, perché non riconoscerlo? Noi forse dobbiamo anche
chiedere scusa ma credo debbano chiedere scusa un po' tutti,
perché ognuno nell'itinerario storico (mi dispiace per Galasso
ma le giunte di Orlando sono state anche sostenute in maniera
diretta dall'onorevole Lima)... In questa fase non si tratta
soltanto di fare, per me cattolico, un atto penitenziale; in
questa fase credo che si tratti di fare giustizia, come ho
detto, di tante cose, di tanti arbitrii, di riportare
serenità. E mi auguro che le conclusioni a cui approderemo in
quest'aula riporteranno grande serenità.
   Se così è, nonostante - è vero - vi sia stata, ma credo un
po' da parte di tutti, una qualche contiguità - così si dice,
perché non riconoscerlo, nella relazione Violante - di
qualcuno, ce ne corre affermare surrettiziamente una forma di
correlazione o di nesso secondo cui la democrazia cristiana
sarebbe corresponsabile di questa mafia o avrebbe
apparentamenti precisi e sostanziali con Cosa nostra!
   Mi fa ricordare a voi cultori giuridici, e a me invece
cultore di filosofia, quel vecchio sillogismo secondo cui "Il
salame fa bere, il bere disseta, perciò il salame disseta".
Non è la democrazia cristiana l'altro termine dell'equazione
con cui si possa stabilire questa forma di connessione
                        Pag. 1766
con la mafia, o eventualmente con la camorra o la
'ndrangheta, nel nostro paese.
   Ecco perché, facendo riferimento all'etica della
convinzione e a quella della responsabilità, noi, a differenza
di qualcuno che ci ha dipinti in questi giorni anche sulla
stampa come "malpancisti" - mi consenta questo termine, signor
presidente, per una forma di omologazione alla cultura del suo
partito di quest'ultimo periodo -, siamo qui non per avvalerci
della massima luterana secondo cui "qui siamo e non possiamo
votare altrimenti". Noi qui siamo e non vogliamo votare
altrimenti! Noi vogliamo, in questa circostanza, operare una
distinzione molto netta perché riteniamo che, dal punto di
vista istituzionale, la bonifica di questo degrado che si
registra non soltanto in Sicilia ma anche altrove tocca tutti
i partiti. La democrazia cristiana è impegnata; è quasi,
quella che sto facendo, per quanto mi riguarda e ci riguarda,
una forma di dichiarazione di guerra a queste cose, al modo
con il quale, in maniera calamitosa, la mafia od altri tentano
di inserirsi e si sono inseriti nelle strutture dello Stato.
   Noi non siamo, la democrazia cristiana non è - voglio
ricordarlo qui perché ognuno parla per se stesso, con la
propria coscienza ma anche al paese - come chi anche tra i
mafiosi, o quanti altri, possa immaginare, una sorta di Chiesa
del medioevo, che dava diritto d'asilo ad ogni inquietudine,
ad ogni incertezza, ad ogni cosa stonata! La democrazia
cristiana non è questo! La democrazia cristiana è, signor
presidente, con lei, con gli altri che sono intervenuti, con
Calvi, con Galasso, con chiunque faccia seriamente (e non dal
punto di vista, a volte, della forma e della finzione) una
lotta vera e spietata alla criminalità organizzata.
   Debbo ricordare qui (come si fa a non sostenere la legge
che porta i nomi Rognoni e anche La Torre?) i provvedimenti
che sono stati portati avanti: quando Martinazzoli è ministro
di grazia e giustizia, Buscetta ritorna in Italia; i
provvedimenti - perché non riconoscerlo? - anche del
Presidente del Consiglio Andreotti; i provvedimenti, qui
richiamati, del ministro dell'interno Scotti. Sono certamente
uomini illustri e non secondari nella logica, nelle vicende e
nel tessuto della democrazia cristiana. Allora, rispetto a
queste cose, noi dichiariamo qui non soltanto che esprimiamo
adesione alla relazione Violante, che voteremo, ma anche che
siamo disponibili ad andare ancora più in là, signor
presidente, ad avanzare sul piano di una procedura non
soltanto di metodo ma anche di stile.
   Quello che ci ha sgomentato in questi giorni - e
probabilmente è stato il motivo per cui sono apparse alcune
incertezze (ma con malizia, sono apparse!) - è stato questo
adottare nei confronti della democrazia cristiana una sorta,
si dice, di cultura del sospetto usata come una specie di
effetto serra, un effetto serra che continuava a rimanere
sospeso sopra di noi, senza toccare terra. E se non si leva un
rifolo di vento che lo dilegui, può rimanere sospeso sulle
nostre teste senza scaricare i suoi veleni e dunque senza
esaurirsi. E' questo effetto serra che noi non vogliamo, una
sospensione stabile della verità e della giustizia che genera
giustizialismo e populismo.
   Noi, cari colleghi e signor presidente, siamo per andare
avanti in questa direzione. Potremmo chiosare la relazione,
signor presidente, in tante cose, dal punto di vista di quello
che è stato il dato storico che pure ha visto collimanti il
milazzismo, la mafia e Cosa nostra. Non lo facciamo. Noi ci
vogliamo obbligare - questa è la disponibilità vera, in un
momento in cui il paese ha grandi ed enormi difficoltà e
richiama responsabilmente ciascuno a fare la propria parte, il
proprio dovere - a fare il nostro dovere.
   Concludo, signor presidente, onorevoli colleghi. Il paese
che abbiamo dinanzi non piace neppure a noi. Eppure esso è in
gran parte frutto di quello che abbiamo fatto, pensato,
costruito, tutti assieme, tutti quelli che siamo qui, anche
quelli che si sono allontanati e tentano di distanziarsi dalle
vicende o dal patrimonio della democrazia cristiana. Mi
riferisco anche a tutte le opposizioni, a quelle che ci sono
in
                        Pag. 1767
quest'aula e nel paese. Ci siamo trovati nella storia, anche
in quella nazionale, e, a seconda delle inclinazioni e delle
declinazioni ideologiche, abbiamo cercato di progettarla,
riuscendoci o meno; sarà la storia, successivamente, a
decidere, se abbiamo progettato nel bene o nel male.
   Alla fine è apparso e oggi c'è nel paese qualcosa di
irriconoscibile; non vale ruminare, per quanto ci riguarda, la
nostra delusione o una delusione generale. Imprigionati nel
misterioso scarto tra i sogni di un tempo (quelli dei nostri
padri fondatori, per la democrazia cristiana il siciliano
Sturzo) e la realtà, portiamo dentro di noi, come democratici
cristiani, un profondo senso di sconfitta ma anche di orgoglio
per quello che abbiamo realizzato. Della prima vorremmo
liberarci, e tentiamo di farlo con grande fatica; del secondo
non bisogna menar vanto ma piegarlo ai tempi nuovi.
   A questo la democrazia cristiana, signor presidente, è
disponibile; per questo accetta, vota e dà il "sì" alla sua
relazione.
  ROMANO FERRAUTO. Signor presidente, colleghi, già nel
corso della discussione generale si era manifestato il
consenso al documento presentato dal presidente. Ma io vorrei
aggiungere che questo consenso era già emerso nel corso delle
varie nostre riunioni ed incontri per un apprezzamento del
metodo di lavoro e per un apprezzamento più generale per
l'equilibrio ed il coraggio, che venivano manifestati in ogni
occasione.
   Ci sono stati forse anche alcuni momenti in cui si sono
dovute precisare o riprecisare alcune questioni; alcune volte
si è dovuto riprendere l'iter, in funzione di circostanze
particolari. Però mi sembra che la direzione di marcia sia
stata giusta e credo che l'approdo debba essere da tutti
condiviso.
   Una battuta me la consentirete: rispetto a questo approdo
il rischio e, quindi, la responsabilità di una eventuale
dissociazione, secondo me, sarebbero veramente molto, molto
elevati, perché la conclusione, anche a seguito delle proposte
emendative, e di una serie di contatti che ci sono stati,
fanno onore, attualmente, in questo preciso momento politico,
all'ufficio di presidenza e a tutti i membri della
Commissione.
   Su due questioni, tuttavia, io vorrei ancora fare alcune
considerazioni, in quanto sono queste considerazioni che
offrono a un consenso generico la possibilità di essere un
consenso convinto e motivato.
   Quando, in sede di discussione generale, si parlava di
altri momenti, oltre quello politico, che avrebbero dovuto
essere tenuti in considerazione per la precisazione di un
fenomeno, io ebbi a dire che la politica li ricomprendeva
tutti. E questo, secondo me, è l'approdo più importante perché
si nobilita la politica. Con questo documento il primato della
politica, rispetto a tanti altri pur evidenti settori, che in
un'analisi sociologica confluiscono per definire il fenomeno
di Cosa nostra, rimane l'acquisizione più importante.
   E mi ha fatto piacere ascoltare poco fa Mastella, il quale
ha fatto alcune considerazioni che, secondo me, devono essere
tenute presenti, dal momento che anch'egli, pur non avendolo
detto, ha ripreso con forza la questione del primato della
politica. Ed io vorrei ricordare qui a tutti che noi stiamo
affrontando questo problema sul versante politico, delle
responsabilità politiche. Rispetto a questo credo che bisogna
essere ancora più coraggiosi ed andare avanti, come mi sembra
che coraggiosi siano la relazione e il documento conclusivo a
proposito della massoneria; a proposito di un fenomeno che,
come giustamente qualcuno ha detto, si lega e si intreccia con
il fenomeno mafioso e trae alimento dal basso livello di
guardia della politica in senso generale.
   Ora, se noi riusciamo a tenere alto il livello del nostro
dibattito e a fare di questo approdo che, ripeto, è un approdo
equilibrato e nello stesso tempo coraggioso, un momento non di
arrivo, ma un momento di partenza, credo che avremo
complessivamente un grosso vantaggio per tutti gli altri nodi
della politica italiana,
                        Pag. 1768
che oggi purtroppo vive e si nutre di presunti o veri
complotti, di sospetti, ma non è ancora capace di fare un
passo nella direzione giusta.
   Questo è un passo nella direzione giusta e, per questa
ragione, confermo il consenso già espresso in sede di
discussione generale e mi auguro che, quando ci sarà la
discussione in Parlamento, ci sia ancora la possibilità per
tutti di fare un ulteriore passo avanti.
  MASSIMO SCALIA. Presidente, annuncio il voto favorevole
del gruppo verde alla relazione da lei proposta, anche se sarà
un voto favorevole ma non del tutto convinto; non del tutto
convinto non tanto perché, a pagina 35, ritrovo nella
relazione modificata l'esclusione, tra i partiti che non hanno
ricevuto...
  PRESIDENTE. C'è il termine "tradizionali", forse.
  MASSIMO SCALIA. No, non c'è e chiederei a questo
punto...
  PRESIDENTE. E' giusto. Il termine: "tradizionali" deve
essere inserito.
  MASSIMO SCALIA. La volta scorsa l'ho fatto come battuta,
però ora lo chiedo formalmente di inserire appunto l'aggettivo
"tradizionali" o mettere tra gli esclusi anche i verdi, che,
poverini, si sono ben guardati dall'avere mai rapporti con la
mafia.
  ALFREDO BIONDI. Mi permetto di dire...
  PRESIDENTE. Onorevole Biondi, mi scusi, siamo in sede di
dichiarazione di voto.
  ALFREDO BIONDI. ...ubi dixit voluit, ubi non dixit
noluit! Chi li ha presi i voti li ha presi!
  MASSIMO SCALIA. Appunto, noi mai!
  PRESIDENTE. Avrà tra un attimo la parola, onorevole
Biondi.
  MASSIMO SCALIA. Mi premeva ribadire la totale estraneità
dei verdi e quindi il merito della citazione. Ma, insisto, non
è questo l'aspetto di non convinzione.
   L'impostazione della relazione, che tutti hanno
riconosciuto molto equilibrata, nell'ampliarsi,
nell'accettazione delle proposte avanzate da molti colleghi,
credo che passi un po' dall'equilibrio stabile che mostrava ad
un equilibrio indifferente e che le doti di equilibrio siano
forse più nel presidente, come doti riconosciute da molti, che
non nel complesso della relazione che, appunto,
nell'ampliarsi, mi sembra stemperi quella che era la
risolutezza dell'impianto iniziale.
   Ma non è questo un motivo serio che attenua il mio
convincimento. Come il presidente ben sa, l'unico emendamento
che avevamo presentato riguardava quello che nella proposta di
relazione era il punto 52, vale a dire quella formulazione
decisamente poco comprensibile, e forse anche ambigua, che è
ormai passata alla storia di questa Commissione come l'atto
dovuto.
   Noi abbiamo sostenuto, e per questo abbiamo presentato un
emendamento ... E qui io voglio dare pubblicamente atto al
collega Mastella di aver fatto un discorso vibrante che lui, e
il suo gruppo, ha rinunciato a un atteggiamento che sembrava
in qualche modo essere stato preannunciato e che avrebbe
potuto portare a un clima ben diverso e di molta maggior
tensione in questa sede.
   Prego anche il collega Clemente Mastella di non attribuire
proprio a tutti coloro che sono qui presenti il fatto che il
paese sia frutto di quello che tutti insieme abbiamo
costruito. Ci sono alcuni che hanno costruito molto di più,
forse troppo di più, in tutti i sensi (sto pensando al
cemento), quindi manteniamo un pochino separate responsabilità
anche di costruzione, sia in positivo, sia in negativo.
   La questione fondamentale, presidente, resta quella che il
documento, pur avendo ben distinto tra responsabilità penale e
                        Pag. 1769
responsabilità politica, non decide sulla responsabilità
politica, perché trova una soluzione tipicamente non
anglosassone, cioè quella di demandare a un'istanza superiore,
vale a dire al Parlamento, una valutazione definitiva.
   Lei sa che io non sono d'accordo con questo punto di
vista. Io ritengo che la documentazione a disposizione della
Commissione (e alludo al lavoro intenso fatto in questi mesi,
ma anche a tutta la documentazione precedente) avrebbe
consentito alla Commissione stessa, in ordine proprio alla
questione della responsabilità politica - non, Mastella, di
tutta la democrazia cristiana, perché di questo mai ci siamo
occupati, ma di alcuni personaggi più o meno eminenti della
democrazia cristiana - di essere, come dire, molto più netti.
   Penso che avremmo potuto applicare a noi stessi la famosa
frase di Bernardo di Chartres "Siamo nani, ma siamo sulle
spalle di giganti", e quindi riusciamo a vedere più in là dei
giganti sulle cui spalle stiamo. E questo accenno alla
deformità fisica dei nani e dei giganti credo che vada anche
bene rispetto alla situazione complessiva che ci troviamo a
vivere.
  ANTONIO BARGONE. Chi sono i giganti?
  MASSIMO SCALIA. Trovare i giganti? Erano quelli che ci
hanno preceduto, Bargone. Mi pare evidente e spero che ...
  ALFREDO BIONDI. E' una frase di Fanfani questa! (Si
ride).
  MASSIMO SCALIA. Onestamente di nani ce ne sono stati
tanti nella storia dell'umanità; non mi sembra che bisogna
puntualizzare le scelte!
   Ad ogni modo, dicevo, la non convinzione, appunto, è
questa: noi avevamo quella vista in più che ci avrebbe potuto
tranquillamente consentire di attribuire - e lo dico con
chiarezza - responsabilità politica al senatore Andreotti.
L'ho ascoltato con grande attenzione in questi giorni in cui
si è pronunciato attraverso la telediffusione ed ho sentito
eminentemente due argomentazioni fatte da lui. La prima è che
un uomo che si trova a vivere una così lunga vita politica
sicuramente nelle sue frequentazioni potrà incontrare Calvi,
Sindona, Ciancimino, perché troppa gente ha incontrato e
quindi non è questo un aspetto puntuale su cui costruire un
castello accusatorio. L'altra riflessione proposta dal
senatore Andreotti è il suo forte impegno nella battaglia
contro la mafia con provvedimenti presi da Governi da lui
presieduti, a partire, grosso modo, dalla fine del 1990.
   Non entro neanche nel merito del primo dei suoi argomenti
(non era competenza di questa Commissione), ma sul secondo
argomento, che invece è stato ben valutato nel lavoro della
Commissione, penso che i tempi nei quali il senatore
Andreotti, come Presidente del Consiglio, ha preso
provvedimenti contro la mafia, sono tempi che andrebbero
commisurati - non per recuperare un modo passato di contare
gli anni - in questo modo: da quanti anni era latitante Totò
Riina quando sono stati presi questi provvedimenti? Nel
ventesimo anno della latitanza, nel ventunesimo anno della
latitanza! Questo forse ci fa capire - io credo e spero faccia
capire ai colleghi - perché noi abbiamo insistito su questa
posizione: un eminente esponente della democrazia cristiana
(ma un eminente esponente), capo di sette Governi, presente in
tutti i Ministeri o quasi della Repubblica italiana, non può
non essersi accorto del degrado e dell'infiltrazione mafiosa
che permeava le istituzioni, e non soltanto a livello
siciliano, ma anche a livello nazionale. E, se non se ne è
accorto, è ancora peggio, peggiore ancora è la responsabilità.
   Quindi, non trovo convincenti, per questo aspetto, le
conclusioni della relazione che ella ci propone, presidente.
Mi riservo anch'io di presentare un'eventuale modesta
integrazione al documento sottoposto alla nostra approvazione
e, nonostante il non convincimento, mantengo il voto
favorevole del mio gruppo, perché forse questa non sarà una
svolta storica, come qualche collega ha richiamato, ma
sicuramente è
                        Pag. 1770
un contributo che va nella direzione del nano sulla spalla
del gigante.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. A nome del gruppo repubblicano,
esprimo il voto favorevole alla relazione.
   La cosa importante che vorrei sottolineare, piuttosto che
tornare su un testo che nel complesso mi soddisfa (che mi
soddisfaceva già prima delle correzioni e mi soddisfa ancora
di più dopo), è lo spirito col quale mi sembra che la
Commissione si stia avviando a concludere questo dibattito.
   E' un segnale importante che noi diamo, pur senza perdere
assolutamente il senso della razionalità, della misura e della
complessità dei problemi e della loro enorme gravità, tuttavia
noi percepiamo anche in modo diverso, ciascuno con la sua
storia, l'atmosfera di tensione e di bisogno di chiarezza che
ha questo paese, il bisogno di chiudere delle pagine.
   Naturalmente ciò porta a leggere questa relazione secondo
prospettive diverse, a seconda della propria storia e delle
proprie preoccupazioni. Ma questo, a mio giudizio, è un pregio
della relazione stessa, poiché deriva non da una serie di
compromessi che ne riducono il significato ma da una serie di
aperture e, soprattutto, da una razionalità di condotta che,
in qualche modo, consentono a ciascuno di coloro che
l'approvano di muoversi per la propria strada. Non intendo
dire, con ciò, che ciascuno può interpretare la relazione nel
senso a sé più favorevole ma che ognuno di noi non può non
avere un proprio modo di vedere i problemi in essa affrontati.
   Non mi stupisce, dunque, che nella stesura definitiva si
ritrovino considerazioni che non sono del tutto personali del
presidente ma derivano dall'aver ascoltato le osservazioni di
tutti i commissari. Non mi stupisce, lo ripeto, che vi sia una
certa varietà di posizioni perché questa è, in definitiva, la
relazione della Commissione: questo è il suo grande
significato.
   Come dicevo, questa relazione non nasconde nulla. Per
quanto concerne alcune questioni particolarmente delicate e
difficili da affrontare - è inutile farsi illusioni, vi sono
cose difficili che dobbiamo affrontare non con lo stesso
spirito con il quale diamo vita ad un dibattito politico,
elettorale o giornalistico, ma con il necessario senso di
responsabilità anche riguardo alle conseguenze - la relazione
si attiene all'essenza dei problemi, si limita ad indicare le
questioni; ma questo, lo ripeto, è un pregio di misura, che
non significa certo spirito di compromesso. Del resto, pur
nell'ambito della sua relativa limitatezza, essa è ampiamente
diffusa, perché quando si parla di Cosa nostra si parla di
qualcosa di molto grande ed importante.
   Torno a dire che a me sembra veramente illuminante il
fatto che, in un modo o nell'altro, tutti ci siamo piegati al
dovere di dare un'indicazione al Parlamento, quindi al paese,
sulle linee di massima, fondamentali di una diagnosi che è
inevitabile, e lo è nonostante le difficoltà che porta con sé
e i problemi aspri che apre. D'altra parte, siamo in un'epoca
nella quale, probabilmente, possiamo sottrarci alla morsa
veramente distruttiva della realtà soltanto risolvendo i
problemi e non più rinviandoli.
   Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e politica in
Sicilia - parlo di Sicilia perché questo è l'argomento della
relazione ma il discorso è più ampio - siamo arrivati al punto
in cui bisogna decidere se vi siano o non vi siano stati; di
conseguenza, la discussione si sposta sul modo in cui
affrontare un problema del genere e sul tipo di argomentazioni
da portare ma non era possibile continuare a rimanere nel
limbo dell'indecisione. D'altra parte, è evidente che uno
studio attento del problema, il dibattito svoltosi nel paese e
gli avvenimenti che si sono verificati portano necessariamente
alla conclusione che quei rapporti vi sono stati e sono stati
importanti, sia per la mafia sia per la politica.
Naturalmente, a noi interessa soprattutto l'importanza che
essi hanno avuto per la politica, perché è la salute della
democrazia, la salute della Repubblica, del Parlamento e della
politica che ci interessano direttamente, mentre di Cosa
nostra in
                        Pag. 1771
quanto tale dovrà occuparsi in modo particolare la
magistratura.
   Dunque, noi non potevamo fare a meno di compiere una
scelta e mi sembra che la relazione l'abbia compiuta, una
scelta non arbitraria ma derivante inevitabilmente da una
serie estremamente dolorosa e difficile di avvenimenti
diversi, che ancora oggi ci pesano, che vanno dall'incrinatura
di figure politicamente assai autorevoli alla morte di
personaggi straordinariamente illustri ed importanti per la
storia anche morale di questo paese, come i magistrati, dei
quali più volte in questa sede si è parlato.
   Se il collega Mastella me lo consente, vorrei chiudere
questa breve dichiarazione di voto favorevole con un rilievo.
Abbiamo veramente superato un certo stadio della nostra
storia: se il collega Mastella, cattolico, che ha rivendicato
di essere tale, ha voluto usare una frase di Martin Lutero per
indicare il punto di scelta in cui ci troviamo, vuol dire che
veramente lo spirito ha superato le sue particolarità, come
direbbe - permettete anche a me una citazione - Hegel, e siamo
arrivati al momento in cui dobbiamo gettare dietro le spalle
certe identificazioni troppo parziali di noi stessi e guardare
in modo più ampio ai grandi modelli della coerenza morale,
politica e, in questo caso, anche religiosa.
   Senza trionfalismi, perché il momento drammatico in cui
viviamo non ce lo consente ma con molta soddisfazione aggiungo
il mio sì ai molti colleghi che mi hanno preceduto.
  ALTERO MATTEOLI. Condividendo quanto affermato
all'inizio del suo intervento dal presidente, collocandosi
cioè nella logica di un confronto duro ma libero, il gruppo
del Movimento sociale italiano voterà contro la relazione
predisposta e ne presenterà una sua. Eravamo già convinti
della necessità di farlo prima di ascoltare le dichiarazioni
di voto dei colleghi ma ora lo siamo ancora di più.
   Il collega Calvi ha affermato che si tratta di una
relazione ovattata ma chiara e che essa è passata dalle
certezze agli atti dovuti, a valutazioni più generali di
carattere politico. Il collega Galasso ha dichiarato di votare
a favore ma si è riservato di presentare un documento
integrativo. Per l'onorevole Mastella "è venuto meno lo
stupido assioma che l'interfaccia della mafia sia la
democrazia cristiana"; "anche la giunta Orlando - egli
aggiunge - aveva l'apporto dell'onorevole Lima". L'onorevole
Scalia esprime un voto favorevole ma non convinto e si riserva
anch'egli di presentare un documento integrativo. Che la
relazione predisposta dal presidente venga votata, per il suo
contenuto, dall'onorevole Mastella e dal suo gruppo e
contemporaneamente dall'onorevole Galasso è di per sé una
contraddizione. Non voglio certo intromettermi nella libera
decisione di altri gruppi, ma devo sottolineare che dal punto
di vista politico questa confluenza di voti favorevoli è una
contraddizione.
   Da questa situazione discende infatti, a nostro avviso,
una relazione scritta a più mani, nella quale ognuno ha
ritenuto di poter disporre di uno o più pagine per scrivere
ciò che voleva in funzione del partito di appartenenza. La
proposta presentata dall'onorevole Violante la scorsa
settimana partiva da un presupposto di fondo: le dichiarazioni
dei pentiti; noi non abbiamo condiviso tale proposta, ma
riconosciamo che essa aveva una sua logica. Oggi viene meno
anche questa logica. La relazione finale è piena di
contraddizioni; per rendersene conto basterebbe leggere il
brano di pagina 7 in cui si dice che: "Le collusioni tendono a
sconfinare dagli ambiti locali perché i capi mafia che
controllano i voti, orientandoli a favore di uomini politici
locali, sono disponibili a sostenere anche candidati regionali
e nazionali". Vi è in questo passaggio una forte ammissione
della collusione tra mafia e politica ma quando si arriva alle
conclusioni tutto diventa soft; a questo riguardo,
concordo con il collega Calvi che parlava di una relazione
ovattata.
   Alcuni punti sono poi pleonastici. A pagina 17, paragrafo
13, leggiamo addirittura: "Risulta indispensabile che ogni
settore delle istituzioni e della società civile rompa i
rapporti con Cosa nostra". Ci
                        Pag. 1772
mancava anche che scrivessimo il contrario! Evidentemente,
nella fretta di accontentare tutti per far votare la relazione
si è arrivati anche a scrivere cose di questo genere.
   Non sono tra coloro che sono convinti che un parlamentare
debba esprimere giudizi su aspetti di ordine penale. Questo
non è compito nostro ma del magistrato e noi dobbiamo
aspettare. Però questa relazione annacqua - uso un termine
forse poco parlamentare - tutto ciò che riguarda il senatore
Andreotti, mentre mantiene fermi i punti relativi a Lima e
Carnevale: un colpo al cerchio e uno alla botte.
   Una parte alquanto confusa della relazione è anche quella
che riprende la polemica tra Meli e Falcone; non si capisce se
si tratti di una concessione al gruppo socialista o se voglia
essere un attacco al gruppo la rete, cui si fa riferimento,
pur senza citarlo, alle pagine 16 e 17. Anche per quanto
riguarda i pentiti, dunque, l'impianto resta ma viene sfumato;
passando dalla proposta alla relazione finale, si passa da un
valore penale ad un valore politico. Sarà forse più attinente
al nostro compito di parlamentari, comunque è a questo che
siamo arrivati.
   Infine, nel paragrafo 52, pagina 64, della originaria
proposta di relazione - paragrafo che aveva suscitato
polemiche ed aveva provocato l'irrigidimento del gruppo
democratico cristiano - si leggeva chiaro e tondo: "Sulla base
dei documenti di cui dispone la Commissione, l'accertamento
delle eventualità responsabilità penali del senatore Andreotti
è un atto dovuto". Il paragrafo 64, pagina 92, della stesura
definitiva della relazione recita - mi si consenta di dire che
vi è un combinato di ipocrisia -: "Risultano certi alla
Commissione i collegamenti di Salvo Lima con uomini di Cosa
nostra. Egli era il massimo esponente in Sicilia della
corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Sulla
eventuale responsabilità politica del senatore Andreotti,
derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima, dovrà pronunciarsi
il Parlamento". Inoltre a pagina 5, evidentemente a seguito
dell'accoglimento dell'emendamento presentato dal gruppo della
democrazia cristiana, che non contesto - lo spirito di partito
ha trionfato un'altra volta! - si trova un forte
riconoscimento al Governo Andreotti-Scotti-Martelli.
   Mentre su Maira, Occhipinti e Culicchia - a questo
riguardo mi ha meravigliato molto la dichiarazione di voto del
collega Ferrauto - personaggi politici minori, si spara a zero
e si citano punto per punto i motivi della richiesta di
autorizzazione a procedere, per Andreotti tutto diventa
sfumato, soft (lo ripeto per l'ennesima volta).
   A nostro avviso, le forze politiche non si sono rese conto
nemmeno in questa circostanza che, per vincere la guerra
decisiva contro la mafia e la camorra, occorre innanzitutto
liberare lo Stato e le istituzioni dal potere soffocante di
una partitocrazia che finisce inevitabilmente per essere
alleata della criminalità organizzata e, a volte, addirittura
la sua ispiratrice.
   Dalle dichiarazioni di voto che si sono fin qui succedute
è chiaro che la relazione otterrà la maggioranza che il
presidente auspicava; ma ritengo che non si sia affatto reso
un servigio alla verità, anzi si siano ulteriormente confuse
le acque. Questa sarà certamente la prima relazione che il
Parlamento licenzia in merito alla collusione tra mafia e
politica; ma essa ha raggiunto un tale grado di annacquamento
da allontanare la verità, almeno per quanto riguarda il
Parlamento. Voglio sperare che i magistrati siano più bravi di
noi e riescano, invece, ad acclarare la verità fino in fondo.
   Nella nostra relazione - che presenteremo nel termine di
30 giorni ricordato dal presidente - cercheremo di mettere in
risalto gli aspetti che non abbiamo trovato nella relazione
presentata.
  SALVATORE CROCETTA. Signor presidente, colleghi, il
gruppo di rifondazione comunista voterà a favore di questa
relazione per una serie di motivi, tra i quali quello che
molte proposte, sia soppressive sia sostitutive, da noi
presentate sono state accolte.
   Il nostro orientamento, che non era stato deciso
dall'inizio, tiene conto delle
                        Pag. 1773
novità che sono presenti nella relazione e di approfondimenti
estremamente importanti. Aver affermato che l'onorevole Salvo
Lima era il punto di riferimento di Cosa nostra in Sicilia non
è certo cosa da poco, così come non lo è il riferimento alla
corrente andriottiana. Ritengo si tratti di elementi da
valutare positivamente, nell'ambito dell'intera relazione,
perché hanno un significato profondo. In passato, infatti,
poco si è potuto discutere di questi argomenti: in genere,
quando le precedenti Commissioni antimafia intervenivano su di
essi, si arrivava alle querele. Ricordo, ad esempio, che
Girolamo Li Causi è stato più volte querelato da Gioia,
allorquando parlava dei rapporti tra mafia e politica e di
quelli di una parte considerevole della democrazia cristiana
siciliana con la mafia stessa. Oggi, invece, scriviamo alcune
cose che, a mio avviso, hanno un loro significato ed una loro
importanza.
   Nella relazione, inoltre, sono state inserite una serie di
questioni anch'esse estremamente importanti: ad esempio quella
riguardante la massoneria. Si tratta di un approfondimento da
noi richiesto, ed il fatto che sia stato accolto ci soddisfa.
   Indubbiamente all'interno della relazione sono contenute
ancora delle ombre. Anche se ci riserviamo la facoltà di
presentare un documento integrativo nei termini previsti dal
regolamento, desideriamo dire subito che il punto non è
comunque questo, quanto quello di sottolineare che con la
relazione si va verso l'approfondimento ed il chiarimento di
alcune situazioni.
   Ritengo che ciò, al di là delle affermazioni contenute
nella relazione, debba servire per la fissazione di un codice
di comportamento dei partiti. Infatti, questo, a mio avviso, è
il fatto più importante da realizzare in futuro; da questo
sarà giudicato il rapporto tra mafia e politica. Se si
continuerà a presentare candidature sospette di personaggi
legati alla malavita ed alla mafia, nulla sarà cambiato. Se,
invece, il voto che quasi all'unanimità ci accingiamo ad
esprimere si tradurrà in un comportamento concreto, avremo
raggiunto davvero un obiettivo.
   Francamente, devo dire che la dichiarazione di voto
dell'onorevole Mastella non mi ha convinto molto, come non mi
ha convinto il suo riferimento a Goethe circa il "vivere
dentro". Io avrei voluto non vivere dentro una situazione così
tragica come quella siciliana. Essendo siciliano ed operando
in quel contesto, invece dentro ci vivo: non avrei però voluto
assistere a quegli avvenimenti tragici e drammatici, che
ognuno di noi ha dovuto subire sulla propria pelle.
   Ribadisco, quindi, che il problema principale è
rappresentato dai futuri comportamenti, e ciò motiva il nostro
voto favorevole. Sotto questo profilo, la relazione - che può
pure contenere luci ed ombre, limiti ed aspetti poco chiari -
stabilisce un punto di riferimento preciso e cioè che tra
mafia e politica c'è stato un rapporto e che il partito di
maggioranza relativa ha avuto un rapporto privilegiato con
quel mondo. Questo è stato scritto e detto. Rimane oggi da
affrontare il futuro: per questo motivo - lo ribadisco -
voteremo a favore della relazione.
  ANTONIO BARGONE. Signor presidente, devo esprimere il
voto favorevole del gruppo del PDS alla relazione e la
soddisfazione per il suo valore politico-istituzionale, che
rappresenta sicuramente una novità. Per la prima volta,
infatti, si relaziona sul rapporto tra mafia e politica e lo
si fa con grande equilibrio, senza indulgere a valutazioni di
parte, con estremo rigore ed alto senso delle istituzioni.
   Si tratta di una relazione che può essere considerata un
primo passo verso un approfondimento più generale dello stato
della nostra realtà e delle organizzazioni criminali.
Tuttavia, credo vada sottolineato il fatto che essa costringe
a fare i conti con un processo storico che ha visto la mafia
estendersi e radicarsi progressivamente nel paese, passando
attraverso momenti di vera e propria legittimazione, e
diventare, consolidando un intreccio fra sistema politico,
istituzioni, mondo delle professioni e società civile, un
elemento costitutivo del sistema, così come era
                        Pag. 1774
scritto nella relazione di minoranza del gruppo del PCI nella
Commissione antimafia nel 1989.
   Questo processo ha portato ad una scelta - che nella
relazione viene definita di "coabitazione" - che ha coinvolto
molti settori della nostra società ed ha prodotto, oltre ad
un'espansione del radicamento mafioso, anche effetti
devastanti, quale quello dell'estendersi della cultura
mafiosa, che in qualche modo ha interessato vaste aree del
paese. Tale coabitazione non ha coinvolto tutti ma certamente
ha reso debole l'azione dello Stato fino a tempi recenti,
giungendo a non far applicare leggi dello Stato, che pure
erano state approvate e che avrebbero invece avuto bisogno di
un' incisiva applicazione, così come per esempio ha detto oggi
in un articolo l'onorevole Scotti, parlando anche degli
ostacoli che ha trovato nell'applicare queste norme.
   Abbiamo sentito dire qui - e lo abbiamo rilevato anche dai
documenti di questa Commissione - dell'azione repressiva "a
fisarmonica" dello Stato proprio in virtù di quella
coabitazione, che ha coinvolto anche pezzi della magistratura
e delle forze dell'ordine, così com'è stato detto e com' è
giusto che venga sottolineato nella relazione.
   Il coinvolgimento del sistema politico può aver trovato un
momento di rottura nell'omicidio Lima e nelle stragi di Capaci
e via D'Amelio; una rottura di quella sorta di patto - come
l'ha chiamato anche il ministro Mancino - tra la mafia ed il
potere politico. La relazione fa bene però a lanciare un
allarme. Si rileva, infatti, che la reazione a tale rottura -
che ha portato anche ad una maggiore determinazione degli
apparati dello Stato nell'azione di contrasto alla mafia - è
anche reazione della società civile. Essa rappresenta
sicuramente un fatto nuovo in Sicilia, che ha bisogno però -
come è scritto nella relazione - di un impegno collettivo,
quindi di una rottura definitiva con il passato. Ritengo che
sia proprio questo il punto che l'indicazione della
responsabilità politica intende porre in evidenza.
   La sconfitta di Cosa nostra non passa dunque soltanto
attraverso la sconfitta militare (da ottenere con un'azione
repressiva tenace e determinata che porti fino
all'eliminazione dell'organizzazione), ma anche attraverso un
processo che deve portare le forze politiche e le istituzioni
ad uscire da una situazione di grave degenerazione ed aiutare
conseguentemente il sistema politico a liberarsi di quelle
parti che ne intaccano la credibilità e ne minano la
funzionalità democratica.
   Non si è voluto e non si vuole certamente fare un processo
ad un partito. Esistono atteggiamenti indubbiamente sbagliati
in questo senso ma credo che non si possano neppure accettare
improprie chiamate di correo, che vanno contro la storia e che
sono sicuramente in contraddizione con i ruoli diversi che
storicamente le forze politiche hanno avuto nel paese. Del
resto, non è neppure possibile superare la contraddizione
intrinseca nell'affermare che non si può dare nessuna delega
ai magistrati per l'espressione di un giudizio politico sul
sistema, sulle forze politiche e sulle istituzioni perché ciò
impone atti politici conseguenti. Se non bisogna richiamarsi
alla responsabilità penale e soprattutto se non si delega alla
responsabilità penale un giudizio politico, occorre che la
politica, le istituzioni autonomamente si assumano il compito
ed abbiano il coraggio di porre in essere atti politici capaci
di dare un segnale preciso circa la rottura con vecchi metodi
e vecchie logiche, e quindi di sconfiggere l'emblematica
filosofia del senatore Andreotti secondo cui, finché non è
intervenuta una sentenza passata in giudicato nei confronti di
un uomo politico, sicuramente quest'ultimo non può essere
messo in discussione. Tale filosofia rappresenta esattamente
il contrario di quanto si sostiene nella relazione ed il
contrario di quello che deve essere un orientamento capace di
indurre il risanamento della politica e delle istituzioni.
   Per far questo, ritengo occorra superare resistenze,
riserve mentali ed anche fuorvianti polemiche sui pentiti, che
non possono essere fatte qui ma che devono trovare
collocazione in sede giudiziaria. Le
                        Pag. 1775
valutazioni devono essere fatte sulla base di elementi, e mi
sembra di poter dire che la relazione, con molto rigore, tenga
conto di tutti gli elementi. Credo che nessuna valutazione
successiva sia stata fatta a scapito della verità: al
contrario, ogni elemento è stato tenuto nella giusta
considerazione con il rigore che deve contraddistinguere una
relazione che è atto che dovrà essere valutato dal Parlamento.
   Attraverso il duplice passaggio della sconfitta militare
di Cosa nostra e di un ampio impegno che passi per
l'accertamento delle responsabilità politiche, ritengo si
possa superare anche un atteggiamento che dà conto soprattutto
di ragioni di parte e che potrebbe consentire alla mafia di
riorganizzarsi, di costruire nuove alleanze, così come
indicato nella relazione. E ciò potrebbe anche ipotecare le
prospettive future del paese.
  MARCO TARADASH. Signor presidente, innanzitutto desidero
darle atto dello sforzo compiuto per integrare, nella nuova
versione della proposta di relazione, alcuni degli argomenti
portati dai diversi gruppi politici. In particolare, considero
assolutamente essenziale il nuovo capitolo riguardante il
narcotraffico, anche se, a mio giudizio, ci si è fermati ai
preliminari, cioè a porre il problema; è bene comunque che ciò
sia avvenuto.
   Detto questo, confermo il mio voto contrario alla
relazione per le ragioni che ho indicato nel mio intervento
della precedente seduta e per altre che ho ricavato dalla
lettura del nuovo testo. Comprendo benissimo l'adesione -
manifestata dall'onorevole Mastella - della democrazia
cristiana alla relazione. In effetti, rappresenta una
dilagante vittoria della democrazia cristiana il fatto che
sull'unico punto sul quale si era creato un conflitto
asperrimo in Commissione, sui giornali e nella società civile,
essa abbia potuto imporre il proprio punto di vista: il fatto
che le responsabilità politiche identificate appartengono ad
una sfera della democrazia cristiana che è stata abbandonata
dal partito oltre che dagli eventuali, supposti alleati di un
tempo.
   Oggi non abbiamo nessun quadro di riferimento delle reali
implicazioni tra la mafia e la politica e neppure delle
ragioni di tali implicazioni. E' proprio questo ciò che non
riesco a intravedere. Certo, è indubbiamente importante l'aver
per la prima volta tematizzato il rapporto tra mafia e
politica. Ma come è possibile non andare a verificare come il
rapporto fra politica e partitocrazia e settori malavitosi
della società, o non malavitosi, ma costretti o condotti o che
hanno condotto a comportamenti malavitosi se stessi e la
politica, come questo rapporto, che è stato globale in tutto
il paese a causa della natura del nostro sistema politico,
abbia trovato in Sicilia specificazioni particolari ed in che
forme si sia espresso?
   Come è possibile che questa relazione sia chiara ed
esplicita sui rapporti tra la mafia e la politica fino al 1964
e poi, da quella data ad oggi, si passa ad un favoleggiare -
tale è secondo me - di massoneria, quando noi oggi avremmo ben
altro (in termini di documentazione, di analisi) sui partiti
politici e sui dirigenti dei medesimi. Le massonerie saranno
anche implicate ma, fino a questo momento, individuare un
terzo soggetto per giustificare l'identità del fenomeno
politico-mafioso in una massoneria di cui si hanno decine di
sigle ma della quale né la magistratura né l'analisi storica e
politica hanno detto nulla di definitivo e neppure di
provvisorio e, in questo modo calare quel velo di Maja - dov'è
il senatore Ferrara? - per impedirci di vedere la realtà delle
cose...
   Oltre alla democrazia cristiana, tutti sanno che il
partito repubblicano è stato un pezzo determinante del
potere-mafioso in Sicilia. Eppure non c'è nessun riferimento a
questo partito.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Come no! C'è Gunnella.
  MARCO TARADASH. Ci sono riferimenti "vaganti" nella
relazione. Dobbiamo capire come un partito politico nazionale
possa essere colonizzato in Sicilia dal rapporto
politico-mafioso senza che le strutture nazionali oppongano
una chiarificazione
                        Pag. 1776
 che - me lo consenta il senatore Ferrara - è arrivata con
qualche decennio di ritardo.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Anche su quei milioni di cui si
parla.
  MARCO TARADASH. Non ce l'ho con il senatore Ferrara;
sono d'accordo con le cose che dice. E' però un fenomeno
obiettivo quello di cui la Commissione dovrebbe prendere atto.
   La giunta Orlando non è citata o lo è, come diceva il
collega Matteoli, attraverso allusioni. Non so se sia vero
quanto sostenuto da Matteoli ma capire cosa e quale tipo di
novità storica questa giunta abbia rappresentato, quale
alternativa concreta attraverso la gestione di appalti diversi
o la rimessa in causa di una vecchia questione degli appalti
vi sia stata, quale sia stato il ruolo delle forze politiche
che l'hanno appoggiata, condurrebbe a verificare il tipo di
rapporti esistenti, così come le inchieste di Milano e, oggi,
quelle di Napoli cominciano a farci capire quale tipo di
rapporto malavitoso - io dico di associazione a delinquere di
stampo mafioso - si sia realizzato tra i poteri politici ed i
poteri affaristici in quelle regioni.
   In questo caso c'era anche il potere militare. Tuttavia,
pensare che l'aver arrestato il capo dell'ala militare di Cosa
nostra possa essere così significativo da consentire di
formulare auspici che non si abbiano a ricreare connivenze e
connessioni tra politica e mafia è sbagliato. Sono convinto
invece che certi pentiti, certi arresti, certe situazioni,
certe morti (come sta dicendo giustamente il collega Biondi)
si possano venire a creare anche perché forse le nuove
alleanze si sono già costituite.
   Questa l'obiezione di fondo sull'impostazione generale
della proposta di relazione, che credo sia stata ispirata,
come l'atteggiamento politico complessivo degli anni passati,
dal tentativo di raccogliere il massimo di consensi,
soprattutto quello della democrazia cristiana. Se ci fosse
stato un bookmaker e se la cosa non fosse così tragica,
avrei vinto un sacco di soldi perché avevo detto nei giorni
scorsi che la DC alla fine avrebbe votato a favore: così è
avvenuto.
   Una cosa che in modo particolare mi diverte (o forse mi
indigna o mi scandalizza) è l'allegato n. 1. Cosa si vuol
dimostrare con questo allegato, al quale non ne segue nessun
altro? Forse che elencando chi ha votato a favore o contro
alcune leggi di contrasto alla mafia - la DC è il partito che
ha sempre votato in favore di tutte, tranne una o due - si
dimostra che la DC è il partito più antimafioso? Non credo che
sia questo il modo per capire cosa siano stati in questi anni
il saccheggio e la depredazione del diritto a tutti i livelli,
oltre che l'espressione della violenza e della criminalità
organizzata in Italia ed in Sicilia, attraverso la ricerca del
consenso di tutti. Non è possibile, così come non è possibile
poi indicare i nemici cattivi, coloro sui quali va gettato il
peso della responsabilità, dai defunti a coloro - quali il
giudice Carnevale e gli inquisiti membri di questo Parlamento
non ancora processati - che oggi vengono indicati - e lo sono
- come i capri espiatori, i punti di responsabilità delle
compromissioni tra politica e mafia. Vedremo se il giudice
Carnevale risulterà mafioso; in questa relazione sono indicate
alcune sentenze, sei o sette, giudicate sbagliate: vorrei
vedere le altre sei o sette mila, perché mi si dice che il
giudice Carnevale, a differenza dei suoi predecessori,
smaltisse arretrati enormi. Non voglio fare la difesa di
questo giudice ma non voglio neppure che questa Commissione
sancisca - prima che si abbiano le procedure formali di
incriminazione e di decisione - che al vertice della
Cassazione abbia seduto un giudice mafioso. Ritengo che questo
sia il modo sbagliato di procedere, indicando termini di
riferimento che finiscono per diventare più che un "velo di
mafia", una saracinesca di piombo impenetrabile
sull'oggettività dei percorsi mafiosi.
   Non condivido il valore dato alle dichiarazioni dei
pentiti. Costoro possono essere citati come riferimento ma il
peso che, sia pure in modo attenuato, ancora viene dato
all'interno della relazione ai
                        Pag. 1777
pentiti di Palermo, che non hanno saputo indicare un fatto
concreto nel loro pentimento, che dura per molti di essi da
decenni ed è un pentimento protetto, sorvegliato ed anche
coordinato; il fatto che non si riesca ad estrarre una verità
pratica e concreta, un termine che sia soggetto al riscontro,
per voi sarà accettabile, in me desta mille sospetti sugli
effettivi movimenti politici e mafiosi intorno alle vicende
siciliane ed italiane.
   Quanto all'indicazione del voto al partito radicale,
ritengo che sia impropria in termini di fatto e che questa
Commissione, che ha aperto un'indagine sul voto mafioso in
Sicilia nel corso degli anni, forse avrebbe agito più
prudentemente andando a verificare i fatti, piuttosto che
"attaccarsi" alle prime parole di un pentito.
  MARIO BORGHEZIO. Nel preannunciare il voto favorevole
del gruppo della lega nord, riteniamo che rispetto ad esso si
debbano continuare a svolgere, nonostante le integrazioni e le
correzioni opportune, alcuni rilievi che saranno oggetto di
documenti aggiuntivi e, in qualche misura, correttivi.
   Abbiamo giudicato e giudichiamo favorevolmente questo
documento, la cui portata è indubbiamente da considerarsi
storica ma il cui primo limite sta nella data: il nostro paese
arriva finalmente a fare il punto, criticabile finché si
vuole, sui rapporti tra mafia e politica con un documento
parlamentare soltanto nel 1993. Questo è il primo rilievo da
avanzare.
   Riflettevo in proposito rileggendo quanto scriveva, solo
quattro anni fa, il giudice Cordova al Presidente Cossiga,
laddove parlava di un clima di diffuso torpore e di
assuefazione alla sopraffazione mafiosa; mi sono recato di
recente al sud ed ho potuto riflettere su tale situazione. Il
magistrato concludeva dicendo: "L'attuale stato di cose è
l'ideale per l'indisturbato prosperare della mafia. Le
reazioni si scatenano quando si intraprendono le azioni
penali, non quando si commettono i reati".
   A mio modo di vedere - questa la riflessione sulla
situazione alla lotta alla mafia che compio leggendo la
proposta di relazione - non è cambiato molto dal 1988 ad ora.
Ecco perché non condividiamo totalmente l'ottimismo che
traspare: se è ottimismo della volontà, il giudizio politico è
favorevole; ritengo però che su quest' argomento si debba
restare ancorati ad un sano pessimismo dell'intelligenza,
anche perché la cronaca politica continua a portare elementi
al riguardo.
   Possiamo leggere nella seconda pagina de Il Popolo
di oggi valutazioni molto interessanti sull'iniziativa
recentissima ed eclatante dei gruppi parlamentari, che hanno
inviato un esposto-denuncia all'autorità giudiziaria di Roma,
sul preteso complotto contro il partito della democrazia
cristiana. Tale esposto-denuncia risulta firmato dai due
capigruppo democristiani della Camera e del Senato ma, secondo
le dichiarazioni dell'onorevole Bianco, è pienamente condiviso
ed anzi in qualche modo partecipato dal segretario politico
della democrazia cristiana. Tutto ciò la dice lunga sulle
reazioni che, come diceva il giudice Cordova, si scatenano
quando si intraprendono le azioni penali, non quando vengono
commessi i reati.
   Suggella il nostro giudizio positivo quanto leggiamo alle
pagine 91 e 92 della relazione, cioè che è difficile credere
che il rapporto di Cosa nostra con il sistema politico si sia
esaurito nell'attività di garante degli interessi mafiosi che
sarebbe stata svolta da Salvo Lima.
   Affrontando i punti sui quali intendiamo mantenere la
nostra posizione un po' diversa rispetto all'orientamento che
pare emergere in Commissione, ritengo sia importante trattare
due argomenti. Il primo riguarda la legislazione concernente i
finanziamenti agevolati al sud, un argomento che continua ad
essere tabù, ma solo per i politici, anche per quelli della
Commissione antimafia, non per i documenti che la Commissione
stessa ha acquisito. Basta leggere, infatti, la trascrizione
delle intercettazioni telefoniche effettuate a cura di un
capitano della compagnia dei carabinieri di Corleone: per una
decina di pagine, dopo la pagina 11, emerge quello che l'acuto
inquirente ha dedicato interamente
                        Pag. 1778
all'argomento "finanziamenti della legge n. 64 del 1986",
quello che viene definito un filone investigativo specifico,
che nasce da una conversazione telefonica non tra personaggi
casuali ma tra Toni Juvara e Antonio Mandalari, che è l'utenza
telefonica del commercialista di Totò Riina. Tutto fa
riferimento ai caratteri ed agli aspetti della legge ed a come
approfittarne. Mi sembra che questa sia la prova cartolare di
quanto la lega aveva intuito e che saltava agli occhi di tutte
le persone oneste che lavorano ed operano nel sud. Mi pare che
chi voglia operare veramente per un risanamento della politica
dall'inquinamento mafioso dovrebbe fare e dire molto di più di
quanto sia stato fatto e detto finora.
   Il secondo argomento riguarda la penetrazione della mafia
al nord. Il nuovo testo della relazione, anche su nostra
richiesta, dedica notevole spazio alla penetrazione negli
ambienti economici e bancari.
   Questo è un aspetto molto importante perché la
penetrazione mafiosa al nord tocca particolarmente aspetti
come il riciclaggio e via dicendo.
   Tra l'altro, mi pare ancora necessario insistere sulle
applicazioni della normativa antiricilaggio e sui dati molto
preoccupanti che si registrano in proposito, al nord come al
sud.
   Per quanto riguarda la penetrazione mafiosa al nord, vanno
ulteriormente sottolineati non soltanto la pericolosità e
l'oggettività di questi insediamenti, ma anche la loro
origine, l'importanza che ebbero, secondo le stesse parole dei
collaboratori di giustizia, le normative sul soggiorno
obbligato, il tipo di attività, i collegamenti, gli intrecci -
che sono in corso di documentazione e di approfondimento da
parte dell'autorità giudiziaria - con il mondo degli affari,
delle tangenti e del finanziamento illecito dei partiti. Anche
in proposito vi sono già riscontri obiettivi molto importanti,
per cui chi si occupa di antimafia non deve far finta di
ignorare questi aspetti, non deve considerarli secondari.
Proprio in relazione a quanto ricordavo all'inizio, citando le
affermazioni di Cordova, è molto grave che il non vedere, il
non sentire, il non reagire di fronte a questi evidenti
sintomi di penetrazione mafiosa comincino a realizzarsi anche
nelle zone non tradizionalmente toccate dal problema mafia.
   Dobbiamo ancora domandarci a quale punto sia ormai
arrivata la sapiente capacità della piovra di mimetizzarsi e
di introdursi nei livelli istituzionali del nostro paese.
   Sotto tale aspetto, mi pare molto importante quello che
dovrà emergere dagli sviluppi successivi del lavoro della
Commissione. Questo documento può essere valutato e da noi
votato soltanto nella direzione di un'azione che sicuramente
dovrà essere molto più incisiva anche in relazione ai
riscontri, alle proposte, ai suggerimenti.
   Pensiamo - per tornare al solito argomento del riciclaggio
- al fatto che in tutta questa normativa non sappiamo chi si
curi di andare a controllarne l'applicazione regione per
regione, provincia per provincia. Chi è andato a parlare in
alcune realtà meridionali con funzionari della Banca d'Italia
ha riferito alla Commissione come stanno le cose.
   Più in generale tutto il sistema dei controlli
amministrativi è demandato all'attività inquirente
dell'autorità giudiziaria ordinaria. Ma ricordiamo che il
nostro ordinamento legislativo prevede una pluralità, tutto un
sistema di controlli! E questi controlli nel nostro paese non
vengono svolti! I controlli amministrativi, i poteri dello
stesso cittadino! Lo Stato ha responsabilità notevoli al
riguardo.
   Se il giudice Cordova parla di un clima di "non sentire"
che desta scandalo, tutto questo deve essere combattuto con
una serie di iniziative decise; è compito della Commissione
antimafia, attraverso tutti i mezzi e naturalmente in
primis tramite gli organi istituzionali ma anche
utilizzando tutte le possibilità offerte dai mass media,
dalla comunicazione sociale e dalle proprie possibilità di
intervento, attivare e verificare, controllare l'attività di
questi organi di controllo, a cominciare dagli uffici della
Corte dei conti, per terminare - e non per
                        Pag. 1779
ultimi - con gli organi di vigilanza, che sono quelli della
Banca d'Italia ma anche quelli del Ministero del tesoro.
  ALFREDO BIONDI. Non ho partecipato ai lavori importanti
che si sono svolti sulla prima proposta di relazione. Voglio
anche dire per quale motivo - il presidente lo sa, perché
glielo avevo scritto - avevo avuto qualche dubbio di procedura
e di merito in ordine a come le cose si erano proposte,
particolarmente per la fuoriuscita della relazione avvenuta
prima che ne potessi prendere personale visione, forse un po'
per la mia personale pigrizia che mi induce a ritirare i
documenti dalla casella il più tardi possibile, un po' per non
esser stato informato del suo deposito.
   Comunque, avendo letto il giornale arrivando a Roma da
Genova, mi ero arrabbiato: una cosa è discutere collegialmente
un documento, altra cosa è leggerlo, anche in sintesi, e poi
trarre da questo - sempre succede, leggendo, che nascano
contrapposizioni logiche, dialogiche, dialettiche e via
dicendo - una sorta di imbarazzo nel dover, ragionandoci
rapidamente, prendere posizioni che invece hanno bisogno di
essere verificate. E la gente intanto ne ha contezza, sa come
la pensa il presidente. Questo mi ha disturbato anche perché
mi era parso - ho colto poi questo aspetto ancora di più dopo
aver letto la relazione - che vi fosse una sorta di visione
unilaterale del problema, un'impostazione nella quale,
nonostante le alte proclamazioni sulla necessità di tener
conto di tutte le posizioni, si trovasse una realtà abbastanza
precostituita e - ripeto - unidirezionale, di fronte alla
quale mi trovavo in imbarazzo, imbarazzo che ho esplicitato
direttamente al presidente (non sono tra coloro che vanno a
dichiararlo in giro).
   Questa mattina tardi ho riletto, quando l'ho avuta, a
mezzogiorno e mezzo, la seconda proposta di relazione nata
dall'elaborazione e dagli interventi dei colleghi. Mi accorgo
di quanto ho perso; per aver ascoltato quanti sono
intervenuti, comprendo che il dibattito precedente deve essere
stato assai stimolante. Gli assenti hanno sempre torto;
quindi, sono qui a farne pubblica ammenda.
   Questa proposta, così come si è evoluta, tiene conto di
alcune considerazioni. Diceva poco fa l'onorevole Taradash che
non arriva alle ultime conseguenze; anche l'onorevole
Borghezio ha svolto alcune osservazioni molto giuste. In ogni
caso mi pare che la proposta contenga alcuni valori, tanto
meno - per fortuna, starei per dire - quelli che temeva vi
fossero il collega Matteoli, quando (non so se facendo un
complimento alla verità oppure all'aspirazione alla stessa)
affermava che questa relazione non è un servizio alla verità.
Ma noi non dobbiamo rendere un servizio alla verità! Dobbiamo
rendere un servizio alla possibilità di accertare la verità
politica, in attesa che la verità, che è sempre di ordine
processuale, sia valutata dai magistrati.
   Da questo punto di vista, la proposta di relazione che
stiamo per votare tiene conto di parecchi fatti importanti
sotto il profilo della realtà politica e sociale di cui Cosa
nostra è un'espressione, un coabitante interessato,
stimolante, beneficiario, una specie di soggetto concorrente
in determinati momenti alla propria sopravvivenza attraverso
la sua capacità di influire sulle decisioni più modeste, più
elevate, generali, a seconda dei casi.
   Se si tiene conto di questo, l'implicita - starei per dire
ovvia - conseguenza che il rapporto mafia-politica è
coessenziale per l'esistenza della mafia mi pare sia di
tautologica evidenza.
   Perché questo si sia potuto verificare nel tempo e abbia
potuto avere correlazioni con le situazioni politiche,
raramente diversificate dal punto di vista dell'entità
numerica e delle modificazioni elettorali in Sicilia, è un
problema che forse dovremmo discutere in maniera più ampia.
   Fatto è che la mafia sta con chi conta di più e, di
conseguenza trova in chi conta di più i soggetti cui fare
riferimento. Se si valuta opportunamente questa circostanza,
allora si comprende come anche in relazione a momenti della
storia e dell'evoluzione della vita politica in Sicilia la
mafia ha avuto certamente propensioni che sono variate e -
diciamolo francamente - determinate dal cedimento, dalla
possibilità di
                        Pag. 1780
presa sui soggetti cui si è rivolta. Questo spiega perché al
proprio interno e al proprio esterno li prenda a bordo e poi
li posi, li assuma e poi li licenzi, con una visione nella
quale il criterio della reciprocità è qualche volta esplicito
e qualche volta implicito. Vi sono infatti situazioni che
possono far comodo senza scomodare la coscienza (parlo di un
tipo di mondo politico che è disposto ad accettare un
vantaggio senza chiedersi quale ne sarà il costo) e vi sono di
coloro che accettano vantaggi e costi commisurandoli alle
proprie esigenze di progressione politica.
   Può accadere - l'ha detto anche un procuratore della
Repubblica di Caltanissetta - che un bravo picciotto venga
scelto per le sue doti intellettuali e gli si faccia fare, a
seconda della quota delle doti, o l'avvocato o - stavo per
dire il giudice - anche qualcos'altro, magari il maresciallo
dei carabinieri (faccio per dire)! Si scelgano le colonne
della società.
   Se si parte da questo concetto, anche i rapporti con la
democrazia cristiana e con gli altri partiti di Governo che
con essa hanno collaborato sono dal punto di vista della
propensione fisiologici, da quello della scelta delle persone
patologici, perché occorre richiedere a questi soggetti la
capacità di adattarsi alla logica mafiosa, che è una logica
coinvolgente, non tanto facile da respingere!
   Mi sono sempre chiesto, per esempio, quando vado ad
Imperia o a San Remo per qualche comizio o per difendere
qualche persona, se i parenti di questa gente che vive in
trasferta nello stesso modo in cui vive in casa, accorpati,
collegati, sostenuti, quando mi danno il loro voto, in ipotesi
non facciano un ragionamento; magari non sarà quello di darmi
una P38 per sparare al procuratore generale della corte
d'appello ma quello di avere una comodità, se avranno bisogno,
un piacere. Lo faranno! Il problema è quello di non essere
aggiogati a questa situazione.
   Leggendo la relazione, mi sono un po' preoccupato - dico
la verità - nel vedere come questo crepuscolo finale, questa
caduta di soggetti di enorme valore morale e funzionale (come
Falcone e Borsellino) e di forte relazione politica (come
Lima) e quindi l'arresto di Riina siano una cosa così
coordinata, così stranamente coincidente, temporalmente e
tragicamente riferita ad un crepuscolo di relazioni. Mi sono
anche chiesto perché tutto questo sia successo improvvisamente
l'estate scorsa. Mi sono anche posto un quesito, che è
abbastanza importante: se la mafia, che si regola per avere
una enclave, una nicchia ecologica nella quale vivere
più tranquillamente possibile, ad un certo punto squassi
tutto. In contemporanea il capo (non so se militare, certo non
civile) che si chiama Totò Riina viene offerto non alla
pubblica fede ma alle pubbliche galere...
  ALFREDO GALASSO. L'hanno catturato?
  ALFREDO BIONDI. Sono sempre meno sospettoso di te in
tutti gli aspetti della mia vita (è una battuta)!
   Questo problema forse andrà affrontato successivamente.
Non è detto che non si possa fare qualche altra riflessione.
   L'aspetto positivo è dato oggi da una consapevolezza, da
una relazione con la pubblica opinione, da un sentimento di
tutti, e quindi anche delle forze politiche, sulla necessità
di andare avanti.
   L'altro aspetto - sono accusato dal dottor Giorgio Bocca
di essere un garantista peloso (mostrerò i peli magari in
altre occasioni) - investe la necessità di avere una posizione
rigorosamente garantista. Desidero dire questo: il problema
che oggi abbiamo è quello di integrare opportunamente questa
relazione, sulla quale voterò a favore. Ho la sensazione che
il rischio che la mafia abbia cambiato non dico padrone ma
garzone esista ancora; ho la sensazione che vi sia
apparentemente un mutamento di strategie e di relazioni ma che
ancora esista la possibilità che ci si serva di qualcuno. Non
credo che la guerra sia finita; la guerra continua ed è giusto
affrontarla in modo più sereno. Sono stato anche contento come
avvocato; tra i colleghi,
                        Pag. 1781
vi è qui un pubblico ministero che ha avuto parte nella
vicenda Dalla Chiesa ed altri nel maxiprocesso ed io ho
provato qualche personale turbamento nell'affrontare questi
temi, magari con diverse valutazioni rispetto ad altri
problemi che abbiamo vissuto con tanta sofferenza durante
quella realtà processuale.
  PRESIDENTE. Onorevole Biondi, la sua esperienza di
vicepresidente dell'Assemblea dovrebbe...
  ALFREDO BIONDI. Ha ragione, signor presidente, ma ignoro
quanto tempo abbia a disposizione.
  PRESIDENTE. Quello concesso per le dichiarazioni di voto
rese in Assemblea.
  ALFREDO BIONDI. Concludo dicendo che ho avuto qualche
dubbio di carattere deontologico nel decidere se parlare di
cose di cui si è avuta una cognizione propria, che si è
utilizzata per una parte processuale; quindi, magari, la
nostra serenità non è uguale a quella di coloro che questa
vicenda non hanno vissuto con la stessa penetrazione e
partecipazione. Voterò pertanto a favore della relazione per
ciò che contiene e soprattutto per ciò che può stimolare a
realizzare nell'ambito di un dibattito più vasto.
  LUIGI BISCARDI. Riconfermo la valutazione pienamente
positiva manifestata in sede di discussione generale nei
riguardi della relazione, per cui esprimo, a nome del gruppo
misto e per conto anche del collega Acciaro, voto favorevole.
   Vorrei fare alcune brevi considerazioni in ordine alla
nuova edizione della relazione. Vi sono alcune varianti come
quella, ad esempio, contenuta a pagina 35, allorquando si
mette al condizionale il rapporto tra mafia e forze politiche.
  PRESIDENTE. A che pagina si riferisce?
  LUIGI BISCARDI. A pagina 35. L'uso del condizionale ha
stemperato, rispetto al voto per le forze politiche e rispetto
alla connessione...
  PRESIDENTE. Mi scusi, senatore Biscardi, si riferisce
all'MSI ed al PCI? Testualmente la relazione così recita: "In
Sicilia avrebbe votato (si intende Cosa nostra) per i
candidati di tutti i partiti politici tranne l'MSI ed il PCI".
  LUIGI BISCARDI. Prima si è usato l'indicativo, poi il
condizionale ed infine l'imperfetto ("... alla DC che la
riteneva responsabile di un irrigidimento, rispetto al
passato, della lotta alla mafia"), mutando in positivo quello
che prima era un giudizio negativo. Credo che questa sia la
variante di maggior rilievo.
   Per quanto riguarda le integrazioni, ritengo che la nuova
edizione della relazione sia più ordinata rispetto alla
precedente e contenga quelle necessarie integrazioni,
apportate a seguito della discussione svoltasi, che ha toccato
in particolar modo le connessioni droga-economia-finanza e la
responsabilità degli enti locali e delle varie amministrazioni
statali. Per la verità in sede di discussione generale, ho
sottolineato l'esigenza di un ampliamento dell'analisi della
posizione delle burocrazie in Sicilia: non si tratta infatti
di una sola burocrazia in quanto occorre esaminare la
burocrazia degli enti locali, di quella regionale, di quella
statale e soprattutto la loro formazione e le loro
assegnazioni di sede, che costituiscono un aspetto
fondamentale per la loro presenza nel territorio. Ritengo
invece che sia stata accolta, anche sulla scorta delle
indicazioni dei pentiti, la tesi della possibile reinsorgenza
di strumentalizzazioni separatiste da parte della mafia.
   Anche da questa edizione della relazione, forse più pacata
e descrittiva della precedente, emerge un dato essenziale: il
quadro della contiguità (continua e senza interruzioni) tra
mafia e politica.
   E' stato qui ricordato il primato della politica, dal
quale deriva anche il primato delle responsabilità politiche;
e la causa e l'origine prima della responsabilità politica
                        Pag. 1782
è stata (e ciò va sottolineato) l'occupazione totalitaria del
potere, simboleggiata dal connubio sempiterno Andreotti-Lima.
  ALBERTO ROBOL. Biscardi, Biscardi, non dare giudizi a
palate!
  LUIGI BISCARDI. E' la verità. Mi sembra pertanto che vi
sia un'adesione generale nei confronti della relazione. Ora
però i distinguo interpretativi, che sono accettabili in sede
di discussione, avranno la loro verifica in sede di
comportamenti politici. Sotto questo aspetto, l'esposto della
democrazia cristiana si colloca in evidente contraddizione con
la sua adesione alle risultanze di questa relazione, la quale
non appartiene, né vuole appartenere, ai cieli della pura
storiografia ma vuole e deve essere uno strumento di
rigenerazione politica. Ecco perché questo primo tempo di una
più vasta indagine sulle organizzazioni criminali dovrà avere
la sua eco in Parlamento ma dovrà investire anche il paese e,
come ho detto durante la discussione generale, le giovani
generazioni. Abbiamo infatti bisogno che questa verità, che
appartiene alla storia più terribile ed angosciosa del nostro
tempo, sia diffusa e conosciuta nelle scuole d'Italia.
Pertanto, anche in questa sede insisto sulla proposta avanzata
durante la discussione generale.
  PRESIDENTE. Prima di procedere alla votazione, dovrei
fare una breve comunicazione, riservandomi di renderne
un'altra subito dopo.
   Vorrei innanzitutto ricordare che, ai sensi dell'articolo
22 del regolamento interno, è possibile presentare relazioni
di minoranza. Nella seduta del 30 marzo 1993 è stato fissato
il termine di trenta giorni per depositare eventuali relazioni
di minoranza. Ricordo inoltre che, secondo precedenti, sono
consentite note integrative di gruppi o di singoli commissari
che pur abbiano votato a favore della relazione o si siano
astenuti. Naturalmente il termine di presentazione per tali
note è anch'esso di trenta giorni. La pubblicazione di tali
note integrative in allegato alla relazione, da cui comunque
restano concettualmente separate, deve essere deliberata dalla
Commissione, così come la Commissione deve deliberare sulla
proposta, che io avanzo, di allegare alla relazione il
resoconto stenografico del dibattito e delle dichiarazioni di
voto.
   Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
  GIROLAMO TRIPODI. Per quanto riguarda gli emendamenti?
  PRESIDENTE. Si possono inserire nel documento
integrativo.
   Pongo in votazione la proposta di relazione sui rapporti
tra mafia e politica.
(E' approvata).
  PRESIDENTE. Al termine di questa fase, la cui importanza
credo non sfugga a nessuno, ritengo doveroso rivolgere un
ringraziamento vivo e sentito all'intero ufficio di
segreteria, coordinato dal dottor Arsini. Più in particolare
desidero manifestare un convinto apprezzamento per le grandi
doti di capacità e di impegno dimostrate dal consigliere,
dottor Stevanin, dai documentaristi, dottoressa Amendola,
dottor Grazian, dottor Montecchiarini e dottoressa Minervini e
dei consulenti tutti. Un ringraziamento del tutto particolare
dobbiamo rivolgere alla signora Antonella Placidi ed alla
signora Simona Tocci, senza il cui contributo vi assicuro che
il lavoro della Commissione non si sarebbe concluso oggi
(Applausi).
   Ricordo che martedì 20 aprile 1993 alle 15 è convocato
l'ufficio di presidenza, allargato ai rappresentanti di
gruppo, mentre alle 16 è fissato l'incontro con il movimento
per il volontariato italiano.
La seduta termina alle 17,15.
                        Pag. 1783
                         ALLEGATO
                        Pag. 1784
                        Pag. 1785
 Proposta di relazione sui rapporti tra mafia e politica
                            I
    1. La Commissione parlamentare antimafia decise, il 15
ottobre 1992, nel corso della definizione del programma
generale dei lavori, di dedicare un settore della propria
attività al rapporto tra mafia e politica, in adempimento
della legge istitutiva che impone, tra l'altro, l'accertamento
di tutte le connessioni del fenomeno mafioso.
    Successivamente, nel corso della seduta del 22 ottobre,
alcuni componenti proposero che la Commissione avviasse con
immediatezza una sessione di lavoro sui rapporti tra Cosa
Nostra e la politica. La richiesta nasceva dal contenuto
dell'ordinanza che disponeva la misura cautelare della
custodia in carcere per gli imputati dell'omicidio dell'on.
Salvo Lima(1). In tale provvedimento il g.i.p. presso il
tribunale di Palermo, accogliendo la richiesta della procura
della Repubblica, indicava alcuni elementi dai quali si traeva
la convinzione che tra la vittima di quell'omicidio ed
esponenti di Cosa Nostra fossero intercorse stabili relazioni
aventi ad oggetto la prestazione di consenso politico in
cambio di favori di carattere giudiziario o di altro tipo.
    La Commissione approvava questa proposta nella seduta del
29 ottobre 1992.
    L'Ufficio di presidenza, allargato ai capigruppo,
decideva all'unanimità nella seduta del 25 marzo 1993 di
iniziare la discussione della relazione nella giornata di
mercoledì 31 marzo. Nel corso della seduta di martedì 30
marzo, la proposta di relazione era distribuita a tutti i
componenti della Commissione. In quella sede si confermava il
calendario dei lavori stabilito dall'Ufficio di presidenza. La
votazione finale sul testo presentato, con integrazioni
proposte dai componenti della Commissione è avvenuta nella
seduta del 6 aprile 1993.
    2. E' la prima volta che la Commissione antimafia dedica
un'apposita relazione ai rapporti tra mafia e politica. Questo
documento perciò non pretende di esaurire la materia. Altri
approfondimenti si renderanno indispensabili.
    Sarà necessario, in particolare, analizzare la stessa
questione in relazione alla 'ndrangheta, alla camorra e alla
Sacra Corona Unita. Questo documento rappresenta perciò solo
una prima tappa nel lavoro della Commissione.
    3. Il Parlamento è già intervenuto su questa materia. La
legge istitutiva della commissione d'inchiesta presieduta dal
senatore
----------
  (1) Salvo Lima venne ucciso in Palermo il 12
marzo 1992.
                        Pag. 1786
Chiaromonte (legge 23 marzo 1988 n.94) dava mandato alla
Commissione di "accertare e valutare la natura e le
caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del
fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni". Il mandato
era riconfermato negli identici termini per questa
Commissione.
    I successivi interventi del Parlamento hanno approfondito
il rapporto tra mafia e politica individuando tre direttrici.
    * Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per
collegamenti diretti o indiretti di singoli amministratori con
esponenti della criminalità organizzata o per condizionamento
degli amministratori stessi da parte di tali forme di
criminalità (articolo 15-bis legge n.55 del 1990,
introdotto con il decreto-legge n.164 del 1991, convertito con
legge n.221 del 1991).
    ** La limitazione dell'elettorato passivo, la sospensione
e la decadenza dalle cariche elettive e di governo negli enti
locali e nelle regioni per gli imputati del delitto di
associazione per delinquere mafiosa (legge 18 gennaio 1992,
n.16). Non sfugge, e la questione fu oggetto di serrato
dibattito parlamentare, che il far derivare conseguenze così
gravi da un'accusa non corroborata da sentenza definitiva
comporta una valutazione particolarmente preoccupata delle
connessioni tra criminalità organizzata e politica e, insieme,
dalla difficoltà, per molti partiti politici, di liberarsi dai
condizionamenti locali di personaggi non degni di rivestire
pubblici incarichi. In particolare la Commissione antimafia
aveva accertato, in quel torno di tempo, che alcuni dei
candidati ad elezioni amministrative e regionali erano
imputati o erano stati condannati per reati gravi, nonostante
che, in precedenza, i segretari nazionali di tutti i partiti
politici avessero accettato l'impegno, proposto dalla stessa
Commissione, a non candidare un tale genere di persone.
    *** La punibilità del voto di scambio elettorale con la
mafia. Per iniziativa parlamentare si introdussero nel testo
del decreto legge 8 giugno 1992 n.306, convertito con la legge
7 agosto 1992 n.356, due nuove norme incriminatrici. La prima
(articolo 11-bis) integra la definizione di associazione
per delinquere mafiosa, tipicizzata dall'articolo
416-bis c.p.: costituisce associazione mafiosa anche
quella che si avvale "della forza di intimidazione del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà
che ne deriva... al fine di impedire od ostacolare il libero
esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in
occasione di consultazioni elettorali". La seconda
disposizione (articolo 11-ter) punisce lo scambio
elettorale politico-mafioso individuato come promessa di voti
effettuata dall'aderente all'associazione mafiosa, che riceve
in cambio somme di danaro. La punizione riguarda chi ottiene
la promessa di voto, essendo la controparte già punita ad
altro titolo(2).
----------
    (2) Da più parti si è osservato che la promessa di voti
in cambio di denaro è una ipotesi di reato la cui prova è
quasi impossibile. Sarebbe necessaria una riformulazione della
norma che, pur non lasciando alla magistratura eccessivi
margini di discrezionalità interpretativa e applicativa,
sanzionasse in modo efficace, e non soltanto declamatorio, il
voto di scambio politico.
                        Pag. 1787
    Le norme incriminatrici non hanno ancora avuto
significativa applicazione perché sono trascorsi solo pochi
mesi dalla loro approvazione da parte del Parlamento e perché,
trattandosi di norme penali, la loro applicazione consentita
solo ai fatti commessi successivamente alla entrata in vigore.
    Invece, tanto le disposizioni sullo scioglimento dei
consigli comunali quanto quelle sulla sospensione degli
amministratori ex lege 16/92, hanno avuto una
significativa applicazione.
    Sono stati sciolti, sinora, 56 consigli comunali dei
quali 22 in Campania, 11 in Calabria, 4 in Puglia e 19 in
Sicilia.
    Ampia applicazione con riferimento alle connessioni tra
amministratori locali e criminalità organizzata ha avuto,
inoltre, l'articolo 40 della legge 142/90, che stabilisce la
rimozione di amministratori di enti locali "quando compiano
atti contrari alla Costituzione, o per gravi e persistenti
violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico".
    Le relazioni del Ministro dell'interno informano che per
31 dei 104 amministratori rimossi sino al 22 dicembre 1992, il
provvedimento è stato determinato da rapporti con gruppi di
criminalità organizzata. Undici di questi amministratori
operavano in comuni campani, nove in comuni siciliani, otto in
comuni pugliesi, tre in comuni calabresi. Non deve stupire
l'apparente distonia di questi dati con ciò che si conosce in
ordine alla criminalità mafiosa in Sicilia.
    I dati di per sé non sono comparabili per varie ragioni.
Occorre valutare complessivamente il quadro degli interventi
effettuati dal Ministero dell'interno sulle amministrazioni
comunali di ciascuna regione. Il rapporto tra organizzazioni
mafiose e persone che rivestono responsabilità politiche
varia, inoltre, a seconda del tipo di organizzazione mafiosa.
    Laddove l'organizzazione ha una struttura più
pulviscolare, come appunto la camorra campana o la Sacra
corona pugliese, questo rapporto tende a svilupparsi con
maggiore visibilità; dove più concentrata e gerarchizzata,
come in Sicilia, si manifesta con minore evidenza. In questa
regione si è determinata da più lungo tempo una sorta di
integrazione tra le organizzazioni mafiose e settori del
sistema politico ed amministrativo e si è quindi sviluppato un
più collaudato meccanismo di regolamentazione degli interessi
comuni.
    In base alla legge 16/92 sono stati sospesi sinora 127
amministratori; 12 di questi per imputazioni concernenti
delitti di mafia o di criminalità organizzata.
    L'applicazione delle singole disposizioni rivela la
vastità degli intrecci e dimostra, per la prima volta, le
connessioni tra mafia e politica anche indipendentemente
dall'accertamento di specifici reati.
    4. L'attività del Parlamento sul fronte della lotta alla
mafia è stata particolarmente intensa nell'ultima parte della
X Legislatura, in coincidenza con l'assunzione delle
responsabilità del Ministero dell'interno da parte di Vincenzo
Scotti (dal 16 ottobre 1990 al 28 giugno 1992), del Ministero
della giustizia da parte di Claudio Martelli (dal 1^ febbraio
1991 al 10 febbraio 1993) e della chiamata del dott. Giovanni
Falcone alla Direzione generale degli Affari penali del
dicastero di Via Arenula (27 febbraio 1991).
                        Pag. 1788
    Vicende gravissime, come si dirà più avanti(3), spinsero
a quella legislazione. E tuttavia non rileva soltanto il
numero delle leggi approvate(4).
    Rilevano i loro contenuti, fortemente innovativi rispetto
al passato. Per la prima volta non si tratta solo di norme
penali, ma di misure che riguardano l'amministrazione dello
Stato, gli enti locali, la disciplina degli appalti e dei
subappalti, il sistema finanziario e bancario, i nodi
strutturali, insomma, dell'intreccio tra mafia e istituzioni.
Scalpore suscitò il decreto legge 1^ marzo 1991 n.60 emanato
per correggere una anomala interpretazione della prima sezione
penale della Cassazione che aveva comportato la scarcerazione
di pericolosi capimafia. Fu un atto di coraggio e di
responsabilità politica proposto dal Ministro della giustizia
e da quello dell'interno.
    Furono determinanti, nella messa a punto delle nuove
norme, la passione e la competenza di Giovanni Falcone.
    Molte di queste misure hanno trovato un'applicazione
faticosa e parziale da parte dell'amministrazione. Ma il
Parlamento, anche per il contributo della Commissione
antimafia, guidata dal sen. Gerardo Chiaromonte, fece il suo
dovere, innovando radicalmente il sistema tradizionale di
risposta alla mafia, sino ad allora, in modo quasi esclusivo,
imperniato sulle sole leggi penali.
    Non si è trattato, di un lavoro facile. Residui di vecchi
atteggiamenti culturali spesso rallentarono l'iter dei
lavori parlamentari(5). La non attenta valutazione dei danni
derivati dalla infiltrazione dei capitali sporchi nel mercato
finanziario, danni vigorosamente segnalati dal Governatore
della Banca d'Italia, rese assai faticosa la riforma relativa
alle società finanziarie.
    Più in generale, ha pesato una cultura per la quale
qualsiasi aumento dei poteri dello Stato nei confronti dei
cittadini comporterebbe di per sé pericoli per le garanzie
individuali. E' un atteggiamento teorico che ha nobili
origini. Esso presuppone una situazione storica nella quale il
potere pubblico è invasivo, e la tutela dei diritti dei
cittadini consiste nel costruire argini contro l'espansione di
tale potere.
    Quelle condizioni sono oggi largamente superate e non
trovano riscontro nella complessa realtà delle società
contemporanee. Esistono poteri privati, competitivi con lo
Stato, capaci di influire sulla pubblica opinione e di
orientare le politiche generali. In Italia vi sono intere aree
geografiche nelle quali la prima garanzia da stabilire è
quella della effettività delle leggi statuali e della difesa
dei cittadini contro le intimidazioni e i delitti mafiosi.
    Cosa Nostra è un moderno potere criminale, capace di
contendere allo Stato il monopolio della coercizione. Per
disarticolarla definitivamente occorrono misure capaci di
incidere sulla sua struttura più profonda. Oggi i cittadini
vanno difesi non solo dagli abusi dei poteri pubblici, ma
anche dalle prevaricazioni dei grandi poteri criminali. E' un
obiettivo raggiungibile soltanto con profonde innovazioni nei
contenuti della legislazione.{note}
----------
    (3) Vedi par. 50.
    (4) Si tratta di 13 leggi.
    (5) cfr. all. 1, D.L. 143/91, D.L. 152/91, D.L. 419/91.
                        Pag. 1789
    Non sempre queste esigenze sono state colte nel
Parlamento; anzi il tipo di cultura cui si è fatto prima
riferimento ha reso accidentato e lento l'iter di molte
leggi antimafia, come emerge dal quadro dei tempi di
approvazione e dai voti espressi sulle singole leggi(6).
Peraltro è necessario rinviare alle dichiarazioni di voto ed
all'intero dibattito sulle singole leggi, per individuare le
effettive ragioni dei voti dati da ciascun gruppo
parlamentare.
    5. Il riconoscimento delle connessioni con la mafia non
ha riguardato solo i "rami bassi" della politica. E'
impensabile che un fenomeno di collusioni così vaste nei
comuni del Mezzogiorno potesse svilupparsi senza una qualche
partecipazione di volontà politiche di livello superiore.
    Le collusioni tendono a sconfinare dagli ambiti locali
perché i capi mafia che controllano i voti, orientandoli a
favore di uomini politici locali, sono disponibili a sostenere
anche candidati regionali e nazionali, legati ai primi da
fedeltà di partito o, più spesso, di gruppo.
    Gli interessi che cementano queste alleanze spaziano,
dalle piccole esigenze locali ai grandi affari nazionali. Può
essere necessario alla mafia attivare direttamente il politico
locale per modeste questioni comunali e poter ricorrere ai
referenti regionali e nazionali per risolvere questioni di
maggiore importanza, facendo valere il consenso elettorale
prestato.
    6. Nella XI Legislatura sono state chieste dalle procure
della Repubblica che operano in Sicilia quattro autorizzazioni
a procedere nei confronti di parlamentari per il delitto di
associazione per delinquere mafiosa.
    La procura della Repubblica di Caltanissetta ha chiesto
l'autorizzazione a procedere nei confronti dei deputati Maira
e Occhipinti.
    Il deputato Maira è accusato di aver versato, in
occasione delle elezioni regionali siciliane del 1991, alla
famiglia mafiosa di Caltanissetta la somma di 25 milioni di
lire per ottenere il controllo e la protezione dell'ufficio
elettorale nonché la distribuzione "porta a porta" dei
facsimile elettorali. Avrebbe ottenuto, altresì
l'assegnazione, come guardia del corpo, dell'"uomo d'onore"
Giancarlo Giugno, capo storico della mafia di Niscemi.
    Egli, inoltre, avrebbe influito su deliberazioni
amministrative al fine di avvantaggiare esponenti mafiosi. Si
sarebbe adoperato per il trasferimento del funzionario di
polizia Casabona, dirigente della squadra mobile di
Caltanissetta, noto per la particolare penetrazione delle
indagini nei confronti delle famiglie mafiose. Il dr. Casabona
non venne trasferito e riuscì successivamente a sfuggire ad un
grave attentato.
    Il deputato Occhipinti è accusato di aver fatto parte di
un comitato d'affari politico-mafioso, che alterava le gare
d'appalto per favorire Cosa Nostra e le imprese a lei vicine.
In particolare, Occhipinti, amministratore del comune di
Caltanissetta, avrebbe consegnato al mafioso Leonardo Messina,
poi diventato collaboratore della giustizia, la busta
contenente l'offerta di una ditta per la{note}
----------
   (6) cfr. all. 1.
                        Pag. 1790
partecipazione all'aggiudicazione dell'appalto relativo alla
costruzione dell'Istituto Tecnico per geometri di
Caltanissetta. Messina sottrasse dalla busta, rimuovendo i
sigilli di ceralacca, il certificato antimafia della ditta,
per invalidare la sua offerta. Restituì quindi la busta
all'on. Occhipinti, conservando per sé il certificato
sottratto che poi consegnò al dr. Paolo Borsellino, che lo
interrogava, il 30 giugno 1992(7).Íh10.5Ï    La procura della
Repubblica di Marsala ha chiesto l'autorizzazione a procedere
nei confronti del deputato Culicchia, anche per omicidio
doloso. Al parlamentare è stato contestato di "essere al
servizio della famiglia mafiosa degli Accardo" e di essere il
mandante dell'omicidio di Stefano Nastasi, consigliere
comunale della DC, consumato a Partanna nel 1983. Il deputato
Culicchia era altresì presidente della Cassa Rurale ed
Artigiana del Belice, avente sede a Partanna, che aveva molti
soci e consiglieri strettamente legati alla famiglia Accardo.
Lo stesso parlamentare era presidente del collegio dei
probiviri della cooperativa socio sanitaria del Belice tra i
cui soci figurano esponenti della famiglia mafiosa degli
Accardo(8).Íh10.5Ï    La Camera dei Deputati ha già concesso
l'autorizzazione per il deputato Culicchia; deve pronunciarsi
sulla decisione della Giunta per autorizzazioni a procedere
nei confronti dei deputati Maira e Occhipinti, decisione che è
favorevole alla concessione.    La procura della Repubblica di
Palermo ha chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti
del senatore Giulio Andreotti. Al senatore Andreotti è
contestato di "aver contribuito non occasionalmente alla
tutela degli interessi e al raggiungimento degli scopi
dell'associazione per delinquere denominata Cosa Nostra, in
particolare in relazione a processi giudiziari a carico di
esponenti dell'organizzazione".    Il Senato, in relazione
alla personalità politica del senatore Andreotti, ha deciso di
deliberare con particolare rapidità sulla richiesta che lo
riguarda.
    7. Esplicite conferme di responsabilità che investono il
sistema politico nazionale sono recentemente venute da vertici
istituzionali.
    Intervistato nel corso del programma televisivo "Lezioni
di mafia", il 27 luglio 1992, il presidente del consiglio
Amato ammetteva "Lo Stato non innocente" per i colpi perduti
nella lotta contro la mafia.
    Nella relazione semestrale sulla DIA, presentata dal
Ministro dell'interno Mancino nel gennaio 1993 si legge a p.
6: "Cosa Nostra sembra avere messo da parte l'antica prassi di
manipolazione e di collusione in favore di una tattica di
scontro aperto con uomini ed istituzioni dello Stato"; a p. 7:
"Grazie alla maggiore sensibilità delle forze dell'ordine e
della magistratura nel perseguimento dei reati contro la
pubblica amministrazione, nonché della accresciuta reattività
dell'opinione pubblica verso i fatti di corruzione e di
malversazione, i rischi della (per la, ndr) mediazione e della
(per la, ndr) protezione degli interessi mafiosi in sede
politica si sono notevolmente innalzati."; a pag. p. 8 infine
si parla di Ignazio Salvo come uomo {note}
----------
    (7) Cfr. AAPP, Camera dei Deputati, XI Leg., Doc. IV,
n.149, p. 3.
    (8) Camera dei Deputati, Relazione della Giunta per le
autorizzazioni a procedere, XI leg., doc. IV/1-a, pag. 4.
                        Pag. 1791
"considerato uno dei principali tramiti tra le famiglie
mafiose e settori inquinati delle istituzioni".    Su "Il
Messaggero" del 17 gennaio 1993 lo stesso Ministro,
rispondendo ad una domanda sui ritardi della lotta contro la
mafia chiariva che i motivi sono due: "L'inadeguatezza
culturale, ma soprattutto politica di chi doveva combattere il
fenomeno; e il fatto che Cosa Nostra ha avuto collusioni con
lo Stato.".    Prima ancora, nella relazione sull'attività
della D.I.A. relativa al semestre gennaio-giugno 1992, il
Ministro dell'interno Scotti spiegava:    "Caratteristica
fondamentale di Cosa Nostra la sua tendenza al confronto da
pari a pari con lo Stato ed i suoi rappresentanti, nonché
l'infiltrazione in esso, tramite relazioni occulte con
esponenti dei suoi apparati e degli organismi elettivi, fino
alla neutralizzazione, tramite corruzione e violenza, di
chiunque si opponga al suo strapotere (p. 10)... Cosa Nostra
costituisce solo il segmento, il livello più nascosto,
profondo e pericoloso di ciò che viene chiamato mafia: a causa
della sua capacità di confronto-scontro diretto con l'autorità
legale che deriva dalla sua collaudata attitudine verso la
manipolazione, l'assoggettamento di uomini ed istituzioni...
(p. 14)".    Esponenti del Governo non si erano mai espressi
con questa nettezza.
    8. Sino a ieri l'esistenza di connessioni tra mafia e
politica veniva considerata alla stregua di una mera ipotesi
da dimostrare. Dopo le decisioni assunte dal Parlamento e dal
Governo e le valutazioni del Presidente del Consiglio e dei
Ministri dell'interno, quell'atteggiamento è del tutto
superato.
    Se le connessioni non fossero esistite, Parlamento e
Governo non avrebbero assunto quelle decisioni, le leggi non
avrebbero avuto quella attuazione, il presidente del Consiglio
e i Ministri dell'interno non avrebbero espresso quelle
valutazioni.
    Perciò la relazione non si propone la pura e semplice
dimostrazione di questi rapporti. Si propone invece di
cogliere i caratteri che essi hanno avuto, le condizioni che
li hanno favoriti, il modo in cui si sono diversificati nel
corso delle fasi politiche, i fattori che li hanno resi così
determinanti in alcuni momenti della vita politica siciliana e
nazionale. Da questa analisi deve trarsi l'indicazione delle
misure più adeguate per superare il passato e per evitarne la
riproposizione.
    9. E' sbagliato pensare al rapporto tra mafia e politica
come ad una relazione totalizzante, che assorbe tutte le
attività dei due soggetti.
    Non tutti i partiti politici sono stati coinvolti e le
connessioni, anche laddove sono state più intense, non hanno
mai riguardato tutti gli uomini o tutti i dirigenti di un
singolo partito.
    Cosa Nostra, inoltre, ha intelligentemente pervaso, in
Sicilia, non solo la politica, ma anche l'imprenditoria, le
libere professioni, la burocrazia statale, regionale e
comunale.
    Il rapporto con la politica va colto in questa dimensione
assai complessa. Ci si rivolge al politico quando non si può
per altra via ottenere ci che serve. Se ciò che serve può
essere fornito dal funzionario o dall'imprenditore o dal
libero professionista, Cosa Nostra preferisce rivolgersi a
loro perché instaura un rapporto diretto con il
                        Pag. 1792
fornitore del servizio richiesto. Il politico deve invece, a
sua volta, rivolgersi ad altri.
    Il rapporto diretto con chi esercita funzioni
amministrative è particolarmente utile quando i governi locali
sono o fragili o squassati da crisi frequenti. Mentre i
responsabili politici sono instabili, la burocrazia appare
l'unica struttura dotata in modo continuativo di competenza e
di poteri. Ciò accade frequentemente in tutto il Mezzogiorno e
conferisce un particolare peso ai rapporti tra mafia e
burocrazie locali. Per di più, dalle relazioni dei commissari
straordinari dei comuni sciolti per mafia(9) e dalla stessa
esperienza delle autonomie locali nel Mezzogiorno, risulta che
i dipendenti comunali sono frequentemente assunti in modo
clientelare, non hanno preparazione specifica, e costituiscono
una rappresentanza di notabili o di forze politiche locali.
    10. I rapporti di Cosa Nostra con settori delle
istituzioni e delle libere professioni hanno un peso
formidabile nello sviluppo dell'organizzazione mafiosa. Perciò
la rottura delle connessioni con la politica, se restano
intatti tutti gli altri rapporti, con liberi professionisti,
appartenenti alla magistratura e alle forze dell'ordine,
funzionari di ogni tipo, imprenditori, rischia di avere
risultati insufficienti.
    11. Alcuni espisodi inquietanti riguardano, i magistrati.
    Il procedimento per l'applicazione della misura di
prevenzione personale contro Vito Ciancimino è stato
sollecitamente definito nel primo grado in otto udienze,
dall'ottobre 1984 al giugno 1985; in appello, invece, si è
protratto dal gennaio 1986 al maggio 1990, con ben 25 udienze
e numerosi, ingiustificati rinvii, così come riferito in data
2 luglio 1990 dall'Ispettorato Generale del Ministero di
grazia e giustizia.
    Il 19 settembre 1992 il Ministero di grazia e giustizia
disponeva l'immissione in possesso anticipato del dott. Pietro
Falcone, giudice a latere del collegio che stava processando
Vito Ciancimino, nell'ufficio di pretore del lavoro di
Palermo. Poiché il provvedimento non assegnava un termine per
l'assunzione del nuovo incarico, lo stesso veniva stabilito
dal Presidente della Corte d'appello per il 30 settembre 1992.
Il dott. Pietro Falcone prendeva immediatamente possesso del
nuovo incarico.
    Il Presidente del tribunale di Palermo, peraltro, aveva
chiesto alla Corte d'appello la proroga del termine per la
presa di possesso del nuovo ufficio da parte del dott. Pietro
Falcone. Si intendeva in tal modo evitare che l'immediato
trasferimento del medesimo vanificasse la fase dibattimentale
già espletata in numerosi processi, tra i quali quello contro
Vito Ciancimino, imputato per gravi reati in relazione agli
appalti concessi dal Comune di Palermo.
    La Corte d'appello, invece, accoglieva la richiesta,
formulata in via subordinata dal Presidente del tribunale, di
applicazione del dott. Pietro Falcone presso il Tribunale, ma
solo con decorrenza 30
----------
    (9) Cfr. relazione del Sen. Paolo Cabras, approvata dalla
Commissione il 26 gennaio 1993.
                        Pag. 1793
settembre 1992, quando il processo contro il Ciancimino era
già stato rinviato per diversa composizione del collegio e
l'ipotesi di vanificazione della fase dibattimentale,
prospettata dal Presidente del tribunale, si era verificata.
    Il 14 febbraio 1991 il Consiglio superiore della
magistratura deliberava il collocamento a riposo del
presidente della Corte d'Appello di Palermo Carmelo Conti per
raggiunti limiti di età e con decorrenza dal 15 agosto 1991.
    Nel maggio del 1991 la Giunta regionale siciliana
inopportunamente chiamava il dott. Conti - mentre era ancora
in servizio attivo in una delicatissima funzione - alla
presidenza dell'Ente Acquedotti Siciliani. In data 2 luglio
1991 il Presidente della Regione emanava il decreto n.107
relativa alla nomina deliberata dalla Giunta e il successivo
20 agosto il dott. Conti si insediava alla presidenza
dell'E.A.S.
    Sembra particolarmente grave alla Commissione che l'alto
magistrato, titolare della più alta responsabilità di
direzione nel distretto di Palermo, abbia accettato un
incarico amministrativo mentre era ancora in servizio.
    Il Consiglio Superiore della Magistratura si è
ripetutamente occupato di magistrati degli uffici giudiziari
di Palermo in relazione a comportamenti censurabili tenuti
nell'esercizio della giurisdizione, disponendo la destituzione
(dott. Salvatore Sanfilippo, con provvedimento del 25
settembre 1992 contro il quale pende ricorso) o la sospensione
dalle funzioni (dott. Girolamo Alberto Di Pisa, dott. Luigi
Urso le cui dimissioni venivano accolte il 22 gennaio 1985).
    Si devono, infine, ricordare i tanti ostacoli incontrati
da Giovanni Falcone nella sua attività di procuratore aggiunto
presso la procura della Repubblica di Palermo.
    Il ricordo dei contrasti con il procuratore Giammanco
(affidato ad un diario fatto leggere anche a Paolo Borsellino)
su questioni non certo secondarie, come la mancata inchiesta
sulle possibili connessioni tra le attività della "Gladio" e i
delitti politici palermitani, costituiscono una viva
testimonianza delle difficoltà che può incontrare la lotta
contro la mafia all'interno degli uffici giudiziari.
    12. Il CSM può svolgere funzioni di rilievo fondamentale
per l'organizzazione degli uffici giudiziari più esposti.
    Al fine di fornirsi di uno strumento di intervento
permanente il Consiglio istituì, all'indomani dell'omicidio
del consigliere Chinnici (29 luglio 1983), all'interno della
Commissione Riforme, uno speciale Comitato antimafia. Le
analisi svolte e le proposte avanzate dal Comitato
costituiscono un materiale di straordinaria rilevanza per
l'elaborazione di una completa ed efficace strategia
antimafia.
    Un particolare rilievo ha assunto la risoluzione
approvata dal CSM nel settembre 1988, con la quale si
tracciavano le linee direttive per l'organizzazione del lavoro
dei pool antimafia presso gli uffici istruzione e le procure
della Repubblica. Punto di partenza era la constatazione che
Cosa Nostra ha una struttura verticistica e centralizzata; la
risposta giudiziaria doveva conseguentemente puntare alla
razionalizzazione ed all'efficienza, mediante il coordinamento
dei singoli magistrati e la loro specializzazione. Particolare
peso doveva
                        Pag. 1794
assumere, alla luce di questa impostazione, il metodo di
lavoro degli uffici giudiziari di Palermo, città sede dei
vertici di Cosa Nostra.
    Si rivelarono però i limiti dei poteri del CSM. La
deliberazione, infatti, fu impunemente disattesa dal
consigliere istruttore di Palermo, dottor Meli, il quale
ritenne che essa non lo vincolasse minimamente.
Dall'inosservanza derivò lo smantellamento del pool
dell'ufficio istruzione, che, unito allo smembramento dei
processi decisi nello stesso periodo dalla I Sezione penale
della Cassazione, su ricorso del dr. Meli, segnò un
irrecuperabile arretramento, con straordinari benefici per
Cosa Nostra.
    Pagine drammatiche ha scritto il CSM quando ha dovuto
affrontare, in diverse occasioni, problemi relativi agli
uffici di Palermo e, in particolare, al lavoro del dr.
Falcone. Alla figura di un magistrato con una profonda cultura
professionale, che aveva raggiunto risultati investigativi mai
prima d'allora conseguiti, si è spesso contrapposta una logica
di routine, un'incomprensione delle questioni sostanziali che
erano in gioco a Palermo, con effetti di grave indebolimento
dell'intervento giudiziario e di mortificazione ed isolamento
per i magistrati più esposti. Contribuirono le tensioni
esterne, proprie del mondo politico, le polemiche sui
"cosiddetti professionisti dell'antimafia" e, più tardi, su
pretese inerzie del dott. Giovanni Falcone un clima
complessivo in cui le logiche di schieramento prevalsero sui
contenuti.
    Una delle decisioni più importanti ha riguardato la
determinazione, anche per la Cassazione (circolare del CSM in
data 17 luglio 1991), di criteri oggettivi per l'assegnazione
dei processi e la composizione dei collegi, dopo che era stata
eccepita l'inopportunità della esclusiva, costante
attribuzione dei processi di mafia alla prima sezione penale,
presieduta dal dott. Carnevale.
    Per evitare che l'impegno sulle questioni della lotta
contro la mafia si esaurisca o si disperda è necessario che i
poteri e gli strumenti organizzativi del CSM vengano adeguati
alle esigenze di un'efficace risposta giudiziaria ai crimini
di Cosa Nostra.
    13. In base a quanto accertato dalla Commissione
antimafia, soprattutto attraverso il contributo dei
collaboratori della giustizia, risulta indispensabile che ogni
settore delle istituzioni e della società civile rompa i
rapporti con Cosa Nostra.
    L'impegno maggiore per la rottura di questi rapporti va
richiesto alla politica per le responsabilità che le competono
e l'autorevolezza che deve sorreggere il suo operato.
    Ma nessuno può ritenersi estraneo. Sono stati chiamati in
causa avvocati, notai, medici, commercialisti; magistrati ed
appartenenti alle forze dell'ordine; burocrati di diverso
livello. Ciascuna professione, ciascun ceto deve impegnarsi
nell'isolamento della mafia.
    Altrimenti è facile scivolare o nell'estremismo
moralistico o in un cinico rinvio alle responsabilità degli
altri, con il risultato di rendere più lontana la sconfitta di
Cosa Nostra.
    Questa mafia, dopo un breve periodo di
clandestinizzazione, potrebbe riprendere a tessere i suoi
affari come e forse meglio di prima.
                        Pag. 1795
    14. Il nostro Paese si avvia ad un cambiamento di sistema
politico. Non si possono disconoscere i meriti del sistema
nato dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia la mancanza di
ricambio, il mutamento delle condizioni politiche
internazionali e nazionali in cui era sorto, lo sfibramento
dei partiti che ne hanno costituito la struttura portante, la
stessa volontà dei cittadini hanno sancito la necessità del
mutamento.
    Questo mutamento non può fondarsi soltanto su nuove
regole formali. Prassi, abitudini, comportamenti nelle
istituzioni, nelle libere professioni, nel mondo politico, che
sono stati sino a ieri accettati, oggi non lo sono più. Il
fenomeno della corruzione politica, istituzionale ed
imprenditoriale, che esplode con una rapidità impressionante,
effetto di questa sopravvenuta inammissibilità. Le
responsabilità che si profilano sul versante dei rapporti tra
mafia e politica appartengono anch'esse al capitolo delle
incompatibilità sopravvenute.
    Come per la corruzione, anche per la mafia tutte le
giustificazioni accampate si rivelano intollerabili. Nessuno
pu ritenere che il futuro sistema sar davvero diverso da
quello che lo ha preceduto, se al suo interno continueranno ad
esserci gli stessi rapporti con la mafia. Perciò l'impegno
contro la mafia, come l'impegno contro la corruzione nella
politica e nel mercato, è parte essenziale del più generale
impegno per il cambiamento.
    Quella specifica mafia che si chiama Cosa Nostra non un
fenomeno sociale o una pura degenerazione di comportamenti
individuali e collettivi, come la corruzione. E' una
organizzazione formale, dotata di regole e di capi, di un
esercito armato e di potenti circuiti finanziari. La lotta
contro Cosa Nostra non può essere costituita solo da un
mutamento di regole e di comportamenti; deve essere
concretamente finalizzata alla distruzione di quella specifica
organizzazione che tanto negativamente ha pesato in molti
momenti della vita della Repubblica, dalla Liberazione ad
oggi.
    In questo senso la lotta contro la mafia,
l'individuazione degli uomini di Cosa Nostra e dei loro
alleati nelle istituzioni e nella società civile, la cattura e
la giusta condanna dei responsabili dei più gravi delitti sono
parte costitutiva del cambiamento del sistema politico.
    Tuttavia, per quanto evidente possa apparire questa
essenzialità della lotta contro la mafia per il cambiamento
del sistema politico, la lotta non sarà semplice né breve.
    Tra coloro che sul versante della mafia o su quello dei
pubblici poteri, delle libere professioni, dell'imprenditoria
hanno tratto sino a ieri cospicui vantaggi in termini di
impunità, di potere, di ricchezze personali, potrebbero non
mancare ancora oggi tentativi per frenare il rinnovamento,
conservare i vantaggi acquisiti, impedire la scoperta di
scomode verità. Tali tentativi potrebbero manifestarsi anche
in modo violento.
    E' probabile che Cosa Nostra cerchi oggi nuove alleanze
politiche o all'interno delle vecchie forze od anche in forze
nuove, che potrebbero garantire una maggiore libertà di
movimento ed un ridotto numero di rischi. Alcuni collaboratori
hanno fatto espresso riferimento a nuove formazioni politiche
che sarebbero guardate con attenzione
                        Pag. 1796
dalla mafia. E' comunque probabile che Cosa Nostra, seguendo
la sua filosofia utilitaristica, faccia questa scelta, anche
all'insaputa del prescelto, come già altre volte è avvenuto.
    Ciascuna formazione politica, tanto vecchia quanto nuova,
di fronte alla consapevolezza del pericolo che questa
relazione intende comunicare, deve adottare le misure più
efficaci per evitare infiltrazioni, intrecci, utilizzazioni
improprie.
                            II
    15. Durante la sessione si sono acquisiti numerosi
documenti dall'autorità giudiziaria e dalla pubblica
amministrazione. Si sono effettuate audizioni di magistrati,
dirigenti delle forze dell'ordine, direttori dei servizi di
sicurezza, amministratori. Si proceduto all'audizione di
alcuni collaboratori della giustizia.
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro
dell'interno e i Ministri della giustizia hanno prestato ogni
collaborazione alla Commissione, partecipando a diverse
sedute, fornendo con sollecitudine la documentazione
richiesta, mettendo a disposizione la competenza e
l'esperienza di magistrati e funzionari dotati di grande
capacità professionale.
    Nel corso dei suoi lavori la Commissione ha ascoltato
quattro collaboratori della giustizia(10). Il codice di
procedura penale e la giurisprudenza fissano criteri rigorosi
in presenza dei quali le dichiarazioni possono costituire
prova nel processo penale. In una sede politica tali
dichiarazioni vanno valutate con pari attenzione.
    I collaboratori sono stati essenziali nella prima metà
degli anni '80 per la sconfitta del terrorismo rosso.
    A partire dalla seconda metà dello stesso decennio il
fenomeno si è esteso alla mafia. I collaboratori provenienti
dalla mafia hanno consentito la cattura di pericolosi
criminali (tra i quali, da ultimo, Salvatore Riina), hanno
contribuito a comprendere gli organigrammi mafiosi, hanno
fornito i criteri per la migliore comprensione delle modalità
di azione di Cosa Nostra. La mafia ha reagito spietatamente:
sono stati uccisi 12 parenti di Contorno; 11 parenti di
Buscetta, tra questi due figli; la madre, la sorella e la zia
di Marino Mannoia. Ad oggi i collaboratori sono circa 300. Si
è verificato un solo caso di calunnia nei confronti di una
persona che svolgeva funzioni politiche, immediatamente
accertata(11). Non si è verificato alcun caso di utilizzazione
strumentale di collaboratori.
    Tuttavia occorre evitare tanto l'adesione acritica alle
dichiarazioni di un collaboratore, quanto l'utilizzazione
strumentale di quelle dichiarazioni ai fini della lotta
politica.
----------
    (10) Si è trattato di Antonino Calderone (seduta del 11
novembre 1992), Tommaso Buscetta (seduta del 16 novembre
1992), Leonardo Messina (seduta del 4 dicembre 1992), Gaspare
Mutolo (9 febbraio 1993). Sono i collaboratori le cui
dichiarazioni risultano fondamentali nelle motivazioni
dell'ordinanza di restrizione della libertà personale degli
accusati per l'omicidio di Salvo Lima.
    (11) E' il caso di Giuseppe Pellegriti, che accusò Salvo
Lima di essere il mandante dell'omicidio di Piersanti
Mattarella. Il dr. Falcone individuò immediatamente la
calunnia e dispose il rinvio a giudizio del falso
collaboratore nell'ottobre del 1989.
                        Pag. 1797
    Il rilievo che i collaboratori hanno nella lotta contro
la mafia esige il più grande rigore e sconsiglia l'adozione di
atteggiamenti pregiudiziali. Il senso della misura nella
politica può contribuire in modo determinante a creare un
clima rigoroso e sereno attorno ai processi penali, e a
prevenire l'utilizzazione da parte di Cosa Nostra di falsi
collaboratori per dichiarazioni calunniose.
    16. In questa materia, che molto spesso al confine con
l'attività dell'autorità giudiziaria, come accaduto per altre
commissioni d'inchiesta, quella per il sequestro e l'omicidio
di Aldo Moro, quella per la vicenda Sindona, per la loggia
massonica P2, per le stragi, la Commissione ha effettuato una
distinzione preliminare tra responsabilità penale e
responsabilità politica, in relazione a manifestazioni di
illegalità che abbiano comunque un'incidenza sul sistema
politico.
    Il primo tipo di responsabilità è di esclusiva competenza
dell'autorità giudiziaria; il secondo di esclusiva competenza
dell'autorità politica. La responsabilità penale accertata
dalla magistratura attraverso le regole formali e certe del
processo, e si concreta in sanzioni giuridiche prestabilite.
La responsabilità politica si caratterizza per un giudizio di
incompatibilità tra una persona che riveste funzioni politiche
e quelle funzioni, sulla base di determinati fatti,
rigorosamente accertati, che non necessariamente costituiscono
reato, ma che tuttavia sono ritenuti tali da indurre a quel
giudizio di incompatibilità. Le funzioni politiche si fondano
su un principio di fiducia e di dignità. Ciascun politico ha
una responsabilità aggiuntiva rispetto agli altri cittadini,
perché egli coinvolge la credibilità delle istituzioni in cui
opera.
    La responsabilità politica non mai per fatto altrui, ma
può certamente nascere dal fatto altrui quando da tale fatto
si desume un giudizio di inaffidabilità sull'uomo politico. Se
la persona di fiducia di un uomo politico compie atti di grave
scorrettezza o di rilevanza penale, l'uomo politico non
risponde dei fatti commessi dalla persona di fiducia, ma
risponde per aver dato prova di non saper scegliere o di non
aver accertato o di aver tollerato comportamenti scorretti.
    Per lungo tempo vi è stata confusione tra responsabilità
politiche e responsabilità penali. Il meccanismo di difesa è
stato spesso negare autonomia alla responsabilità politica e
rimandare ogni giudizio di disvalore all'esito delle decisioni
penali.
    La misura della responsabilità dipende anche dai rapporti
effettivamente intercorsi tra la persona che ha tenuto
comportamenti scorretti e l'uomo politico; si può, in sintesi,
sostenere che la responsabilità proporzionale ai vantaggi
procurati all'uomo politico dalla persona che ha tenuto i
comportamenti illegali o gravemente scorretti. Per vantaggio
deve intendersi non solo un incremento di natura economica, ma
ogni tipo di utilità che si sia tradotta in un contributo
significativo alla posizione e all'influenza dell'uomo
politico in tutto il territorio nazionale o, per lo meno, in
una parte rilevante di esso.
    17. L'identificazione dei soggetti legittimati a
sollevare una contestazione per responsabilità politica, in
relazione a manifestazioni di illegalità, è uno dei capitoli
più complessi di questa materia. E' tuttavia
                        Pag. 1798
incontestabile che tra tali soggetti ci sia il Parlamento con
il diritto ed il dovere di sollevare questioni di
responsabilità politica.
    18. Il presupposto per muovere una contestazione di
responsabilità politica la conoscibilità di fatti o di vicende
che a quella contestazione possono dar luogo; se non si
conosce, non si in grado di esercitare alcun controllo.
    La costituzione di commissioni d'inchiesta risponde alla
necessità che il Parlamento avverte, per vicende di
particolare rilevanza, di acquisire, tramite un proprio
organo, la documentazione necessaria a verificare i
presupposti per una contestazione di responsabilità politica.
    Non è nelle competenze della commissione, così come
definite dalla legge istitutiva, far valere direttamente la
responsabilità politica. E' invece suo dovere predisporre per
il Parlamento la documentazione idonea ad esprimere quel
giudizio.
    La natura e la specificità della responsabilità politica
esigono che essa sia di esclusiva competenza di organi
politici. E' questo il presupposto dell'autorevolezza della
politica; rafforza il rapporto di fiducia tra cittadini ed
istituzioni, consente di esigere dai cittadini comportamenti
rispettosi delle leggi. Quando ci non avviene, l'onere di
accertare le responsabilità politiche o non esercitato da
nessuno oppure finisce con l'essere delegato, nei fatti,
all'autorità giudiziaria.
    Un secondo equivoco può derivare dalla confusione tra
responsabilità politica e lotta politica. Ciò avviene quando
la maggioranza, di fronte a manifestazioni di illegalità,
respinge a priori la configurabilità di un giudizio di
responsabilità politica. Oppure quando un'opposizione
particolarmente spregiudicata agita il giudizio di
responsabilità politica come una pura arma polemica, imputando
la responsabilità politica agli avversari soltanto in ragione
dell'appartenenza ad un partito e ad uno schieramento e non in
base a fatti specifici.
    Quando non esiste responsabilità politica si creano
ingiustificate impunità che delegittimano le istituzioni.
    Quando l'accertamento della responsabilità politica è
demandata all'autorità giudiziaria, che è politicamente
irresponsabile, si verificano gravi distorsioni istituzionali,
perché all'esercizio di una funzione politica non si
accompagna l'assoggettamento ad una responsabilità politica.
Del pari inammissibile sarebbe il caso dell'autorità politica
che intenda occuparsi delle responsabilità penali.
    Quando c'è confusione tra lotta politica e responsabilità
politica nascono esasperazioni dello scontro tra le varie
parti, irrigidimenti e sospetti che danneggiano, alla fine,
tanto l'ordinaria dialettica politica quanto la vita delle
istituzioni.
    La Commissione ritiene opportuno sollevare un allarme,
nei confronti di tutte le forze politiche perché accettino il
principio di responsabilità politica e perché tengano ben
distinto il profilo della lotta politica, anche aspra, da
quello della responsabilità politica.
    La responsabilità politica, proprio in quanto
rigorosamente accertata sulla base di fatti specifici,
richiede precise sanzioni, rimesse all'impegno del Parlamento
e delle forze politiche, e consistenti nella stigmatizzazione
dell'operato e, nei casi più gravi, nell'allontanamento del
responsabile dalle funzioni esercitate.
                        Pag. 1799
    19. Per salvaguardare la distinzione tra responsabilità
politica e responsabilità penale, la Commissione non ha
indagato su autori di fatti specifici penalmente rilevanti.
    Ha invece cercato di sviluppare un'approfondita
conoscenza della struttura e delle alleanze di Cosa Nostra per
offrire un contributo ulteriore alla lotta contro questa
organizzazione.
                           III
    20. Questa relazione si occupa delle connessioni
politiche dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra.
Non si occupa delle altre associazioni mafiose che operano nel
nostro paese. La scelta dovuta a due ragioni.
    La sessione di lavoro stata decisa dopo i mandati di
cattura per l'omicidio dell'on. Salvo Lima, che stato
attribuito ai vertici di Cosa Nostra.
    L'associazione mafiosa Cosa Nostra, inoltre, rispetto
alle altre, ha una importanza prevalente per tradizione nel
tempo, forza organizzata all'interno e all'esterno dei confini
nazionali, potenza criminale e finanziaria. E' certamente
sbagliato sottovalutare la forza della 'ndrangheta o della
camorra, che hanno loro specifici rapporti con la politica e
con le istituzioni. Ma la Commissione ritiene che mentre la
sconfitta di Cosa Nostra potrebbe determinare un indebolimento
delle altre associazioni mafiose, l'eventuale sconfitta della
'ndrangheta o della camorra o della Sacra Corona Unita non
avrebbe lo stesso effetto nei confronti di Cosa Nostra.
    Quest'ultima infatti, rispetto alle altre forme di
criminalità organizzata, riesce a svolgere una funzione
strategica generale, impone i propri modelli comportamentali,
assume il ruolo di volano per i traffici di maggiore
importanza, costituisce in definitiva un modello
organizzativo(12). Collaboratori della giustizia hanno inoltre
riferito che oggi alcuni capi della 'ndrangheta e della
camnorra sarebbero "uomini d'onore" e che attraverso questi
collegamenti Cosa Nostra interferirebbe nelle scelte
fondamentali delle altre organizzazioni.
    21. E' opinione largamente condivisa che il salto
qualitativo tra la mafia dei suoli urbani e quella
contemporanea si sia determinato con l'ingresso massiccio di
Cosa Nostra nel traffico degli stupefacenti, a partire dagli
anni '70(13).
    Il primo effetto è stato l'internazionalizzazione delle
relazioni criminali. Cosa Nostra iniziò a muoversi
sistematicamente sullo scacchiere del mondo perché queste
erano ormai le dimensioni del traffico di stupefacenti. La
droga è una sostanza che, in genere, si
----------
    (12) Cfr. Nicola Tranfaglia, La mafia come metodo, cit.
    (13) Cfr. Relazione Zuccalà nella prima Commissione
antimafia. Cfr. Atti parlamentari della Camera dei Deputati,
VI Legislatura, doc. XXIII, n.2, pag. 329 ss. Íh10.5Ï
                        Pag. 1800
produce e si raffina in luoghi del mondo diversi da quelli
dove si consuma. Il trattarla comporta di per sè
l'internazionalizzazione delle relazioni(14).Íh10.5Ï
Íh10.5Ï    Il secondo effetto riguarda l'eccezionale
accelerazione delle "carriere" all'interno
dell'organizzazione. All'epoca del latifondo, ma anche in
seguito, seppure in misura più limitata, erano necessari
decenni per conquistare il prestigio necessario. Il traffico
di stupefacenti, con gli enormi guadagni che assicura(15), ha
sconvolto le vecchie regole.Íh10.5Ï    Il terzo effetto
riguarda la riduzione della capacità di mediazione dei vertici
mafiosi. A differenza del latifondo e dei suoli urbani,
l'eroina, la cocaina, l'hashish e la marijuana si spostano,
possono essere acquistati e rivenduti da chi ha maggiori
risorse e maggiore mobilità. Conseguentemente le decisioni
devono essere rapide. Di quì l'intensificarsi del ricorso
all'omicidio come mezzo per risolvere i contrasti interni e
quelli esterni, sul fronte delle istituzioni. Il magistrato o
il poliziotto che individua un "filone" del traffico o del
riciclaggio mette in crisi l'organizzazione, avvantaggia
indirettamente i suoi concorrenti, nuoce alla sua credibilità.
L'eliminazione di questo uomo non serve solo a superare un
ostacolo, serve a restituire prestigio all'organizzazione
colpita.    Il quarto effetto è costituito dai rapporti con il
sistema bancario e finanziario:
    "L'Istat... ha recentemente stimato il fatturato (annuo -
n.d.r.) del mercato dei narcotici illegali in Italia
valutandolo nell'ordine di 9.000 miliardi (anzi in un range di
8-11.000 mld)... Per l'eroina si avrebbe un fatturato di 6.200
mld, di cui 5.600 per rifornire il mercato interno (compresa
l'eroina trattenuta dai trafficanti-spacciatori per il loro
consumo) e 600 per il transito... Per la cocaina il fatturato
stimato è dell'ordine di 1.200-4.800 mld..."(16).
    Non tutto questo danaro, naturalmente, entra nei conti di
Cosa Nostra; ma ne entra una quota assolutamente
maggioritaria. Di qui il quarto effetto: l'ingresso di Cosa
Nostra nel circuito bancario-finanziario e, necessariamente,
lo svilupparsi di rapporti con esponenti significativi della
società civile, del mondo degli affari e del mondo politico.
    Chi voglia comunque avere un'idea del fiume di danaro
illegale che ha invaso la città di Palermo, anche per effetto
del traffico di stupefacenti, può utilizzare uno studio
sull'edilizia in quella città(17).
    22. La grande disponibilità di liquido per effetto del
traffico di stupefacenti ha prodotto alcune vistose anomalie
nel sistema bancario siciliano.
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    (14) cfr. Nicola Tranfaglia, La mafia come metodo, Bari,
Laterza, 1991.
    (15) A. Becchi, M. Turvani, Proibito? Il mercato mondiale
della droga, 1993, Donzelli, Roma, pp. 49 ss.
    (16) A. Becchi, M. Turvani, Proibito?, cit. p. 121.
    (17) M. Centorrino, L'economia mafiosa, Rubettino ed.,
1986, p. 38.
    Tra il 1971 e il 1981, a Palermo e provincia, sono stati
costruiti palazzi per un totale di 584.000 vani, 290.000 dei
quali in provincia e 230.000 in città. Durante tutto il
periodo esaminato, il contributo dell'Istituto autonomo case
popolari è stato di soli 54.000 vani. La spesa complessiva si
aggira intorno ai 3.000 miliardi. Secondo le stime del
sindacato bancari, il credito fondiario ha fornito soltanto
400 miliardi. Da dove sono venuti i 2.600 miliardi
mancanti?
                        Pag. 1801
    La Regione Sicilia, come altre regioni a statuto
speciale, dispone di alcuni poteri in materia di credito e
risparmio. Essi sono regolati dalle norme di attuazione dello
statuto regionale, emanate per la Sicilia nel 1952 (D.P.R. 27
giugno 1952, n.1133) e rimaste da allora immutate.    Tali
norme risalgono ad un'epoca in cui la disciplina creditizia
era collegata alla programmazione economica ed alle politiche
di sviluppo. Questo nesso giustificò allora l'attribuzione
alle regioni a statuto speciale di alcuni poteri all'interno
dell'ordinamento del credito.    I poteri della Regione
Sicilia in materia creditizia sono già più ampi rispetto a
quelli delle altre regioni a statuto speciale. Per
l'autorizzazione all'apertura di nuovi sportelli, la Regione
ha in alcuni casi competenza esclusiva, in altri concorrente
con gli organi centrali, dovendo sottoporre al parere
vincolante del Comitato Interministeriale per il credito ed il
risparmio lo schema dei provvedimenti che intende assumere.
Peraltro "trascorsi quattro mesi senza che le sia stato
comunicato il relativo parere", la Regione può emanare i
provvedimenti di sua competenza, prescindendo dal parere del
Comitato Interministeriale (articolo 3 del citato D.P.R.
1133/52).    L'uso che la Regione Sicilia ha fatto dei propri
poteri in materia di sportelli bancari è stato eccessivo fino
ad oltre la metà degli anni '80. Ciò è stato reso possibile
anche dalle rare riunioni del C.I.C.R. che non consentiva di
fatto alle Autorità centrali di esercitare il potere di veto.
  La Regione ne ha approfittato per emanare le autorizzazioni
nonostante il parere negativo della Banca d'Italia, peraltro
privo dell'efficacia vincolante che avrebbe avuto la delibera
del C.I.C.R.    Un tentativo effettuato nel 1981 dal Ministro
del tesoro di emettere il parere in via d'urgenza ha formato
oggetto di contestazione in punto di diritto da parte della
Regione.    Tale impostazione ha dato luogo a disfunzioni ed
inefficienze.    Nell'audizione innanzi alla Commissione
antimafia del 25 ottobre 1983 il Governatore della Banca
d'Italia rilevava che nel periodo 1952-1982 l'aumento degli
sportelli nel territorio siciliano era stato del 125 per
cento, quasi doppio rispetto a quello nazionale (64 per
cento). Questa diversa evoluzione rifletteva orientamenti non
omogenei assunti dagli organi competenti. In particolare,
mentre fino al 1970 le iniziative della Regione risultavano
sostanzialmente allineate con i criteri seguiti in campo
nazionale, successivamente la Regione ha esercitato in modo
sistematico la propria facoltà di emanare provvedimenti per
scadenza del termine di quattro mesi assegnato al C.I.C.R.
Il Governatore riferiva che la Regione si era avvalsa di tale
facoltà in 72 casi, di cui 65 riguardanti aperture di
sportelli e 7 costituzioni di nuove aziende. Il Governatore
denunciava già allora un eccesso di sportelli in Sicilia, con
bassa produttività in termini di depositi e impieghi per
addetto.    Fatto pari a 100 il numero degli sportelli
esistenti al 1970, tale indice si eleva per la Sicilia a 117
nel 1975, a 124 nel 1980 e a 130 nel 1985, contro valori
nazionali rispettivamente pari a 110, 115 e 123.    Le
disfunzioni si riconnettevano nella sostanza ad una impropria
commistione tra l'autorità politica che emanava le
autorizzazioni, il contesto locale caratterizzato da presenze
mafiose e lo svolgimento
                        Pag. 1802
dell'attività bancaria. Quest'ultimo ne risultava
condizionato soprattutto nei momenti fondamentali
dell'erogazione del credito e delle assunzioni di dipendenti.
    In questa situazione la Banca d'Italia ha intensificato
la propria azione di vigilanza in Sicilia e, nei casi più
gravi, ha proposto il commissariamento di alcune aziende
locali, talora in connessione anche a vicende penali (C.R.A.
di Villagrazia, Banca Popolare Don Bosco, le due C.R.A. di
Palma di Montechiaro, C.R.A. del corleonese, Banca Popolare di
Gagliano Castelferrato, C.R.A. di Mazara del Vallo, Banca
Popolare di Marsala, ecc.).
    In linea generale gli interventi della Vigilanza centrale
si sono concretizzati soprattutto nel favorire l'ingresso in
Sicilia di enti creditizi a carattere nazionale attraverso
fusioni, acquisti di pacchetti azionari di banche locali,
interventi nei confronti di aziende in crisi. Le principali
operazioni sono state effettuate dal Monte dei Paschi di
Siena, dall'Istituto Bancario San Paolo di Torino, dalla Banca
Popolare di Novara, dalla Banca Commerciale Italiana, dal
Credito Emiliano, dal Credito Italiano.
    Non sono mancate le resistenze da parte
dell'amministrazione regionale, che hanno dato luogo anche a
contenziosi giudiziari. La sentenza della Corte Costituzionale
del 29 dicembre 1988 ha fornito una importante
chiarificazione, dichiarando illegittime alcune disposizioni
contenute nella legge regionale di recepimento della prima
direttiva CEE di coordinamento in materia bancaria e
confermando i limiti del potere regionale in tema di apertura
di sportelli bancari e di costituzione di aziende di credito.
    Il 10 aprile 1989 è intervenuta un'ulteriore
significativa pronuncia della Corte Costituzionale che ha
respinto un ricorso promosso dalla Regione Sicilia e ha
riconosciuto la competenza dell'autorità statale ad
autorizzare la fusione di una banca siciliana con un'altra
avente sede fuori della regione (si trattava
dell'incorporazione della Banca Popolare di Catania nella
Banca Popolare di Novara).
    23. Nella seconda metà degli anni '80 si registra un
mutamento nei comportamenti della Regione in questa materia.
    Ciò potrebbe dipendere da vari fattori tra cui: la
saturazione del mercato bancario, anche per effetto della
accresciuta concorrenza; un maggiore raccordo con gli
orientamenti delle Autorità centrali; infine, la diffusione
specie in talune province (es. Palermo, Trapani, Catania) di
società finanziarie che, operando al di fuori di ogni
autorizzazione o controllo, hanno assunto un ruolo supplente
rispetto a quello delle banche nell'attività di
intermediazione, e talora abusivamente anche in quella di
raccolta diretta di risparmio tra il pubblico.
    Di tale inversione di tendenza si dà atto già nella
audizione del Governatore della Banca d'Italia alla
Commissione Antimafia dell'aprile 1989. Essa trova ulteriore
conferma nella recente audizione del 19 marzo 1993.
    Da quest'ultima si evince tra l'altro che nel triennio
1980-82:
      * il numero delle banche locali si è ridotto in Sicilia
da 94 a 78 (tenendo conto di 2 banche entrate a far parte di
gruppi creditizi a carattere nazionale);
                        Pag. 1803
      ** gli sportelli bancari sono cresciuti in Sicilia del
5 per cento, contro una crescita di oltre il 10 per cento nel
resto d'Italia;
      *** la quota di sportelli in Sicilia detenuta da banche
locali è scesa dall'88 per cento all'80 per cento, a favore di
una maggiore presenza di aziende con sede al di fuori della
regione;
      **** sono state effettuate 11 operazioni di
concentrazione, di cui 5 con intervento di aziende non
siciliane.
    Ciò dimostra che la crescita degli sportelli bancari in
Sicilia non presenta più quelle forti anomalie che si erano
verificate in passato. Restano naturalmente da assorbire le
conseguenze negative degli errori a suo tempo compiuti in
termini di efficienza del sistema bancario siciliano,
caratterizzato attualmente da sportelli con un volume di
intermediazione mediamente assai più ridotto rispetto ai
valori nazionali (al 31/12/92 i depositi per sportello erano
pari in Sicilia a L. 29 miliardi, contro L. 43 miliardi nel
resto d'Italia; gli impieghi per sportello a L. 20 miliardi,
contro L. 37 miliardi). Può darsi, infine, che a questa
riduzione degli sportelli bancari corrisponda l'incremento di
società finanziarie.
    24. Secondo i dati dell'Ufficio Italiano dei Cambi il
numero delle società finanziarie siciliane iscritte
nell'elenco ammonta a 465 unità così distribuite: Agrigento
13, Caltanissetta 17, Catania 106, Enna 1, Messina 62, Palermo
176, Regusa 13, Siracusa 16, Trapani 61.
    La recente istituzione dell'Elenco non consente di
operare raffronti su base storica per verificare l'incremento
del numero delle società finanziarie. Ma sembra rilevante il
numero delle società finanziarie "clandestine", operanti ma
non dichiaratesi all'U.I.C.
    Il raffronto con le altre regioni meridionali fa emergere
che il numero delle finanziarie operanti in Sicilia,
raffrontato al volume degli impieghi bancari e al numero degli
abitanti, risulta superiore a quello della Puglia e della
Calabria, inferiore a quello della Campania.
    L'analisi della distribuzione delle finanziarie e il
raffronto con altri dati consentono tuttavia di ricavare
ulteriori indicazioni significative.
    La prima consiste nel rilevare come in Sicilia sia
notevolmente più elevata che nel resto del Paese la quota di
società che svolgono attività di prestiti e finanziamenti (47
per cento del totale delle finanziarie a fronte di un dato
nazionale del 29 per cento).
    Le distribuzione per province indica poi un particolare
"affollamento" di finanziarie in alcune zone: vengono in
rilievo soprattutto le province di Trapani, Palermo, Catania e
Messina.
    Per ogni 1.000 miliardi di impieghi bancari (indicatore
dei volumi finanziari intermediati nella zona) le province che
si collocano sopra la media regionale sono nell'ordine:
Trapani (che dispone di 22 società finanziarie), Palermo (20),
Messina (17) e Catania (15).
    Le stesse province vengono in rilievo ove si raffronti il
numero delle finanziarie con quello delle banche operanti
nella medesima zona; per ogni banca insediata in provincia,
Palermo presenta n.5 finanziarie, Catania 3, Messina e Trapani
2.
    Per ogni centomila abitanti Trapani ha 15 finanziarie,
Palermo 14, Catania 10.
                        Pag. 1804
    Circa l'attività concretamente svolta dalle finanziarie
siciliane, elementi conoscitivi vanno emergendo dai controlli
che la Guardia di Finanza ha avviato sulla base della nuova
disciplina e che hanno comportato frequenti denunce
all'Autorità Giudiziaria. Sono in corso, specie a Trapani,
Marsala e Palermo, numerosi procedimenti penali riguardanti
società finanziarie per reati di abusivismo bancario e per
violazione della legge anti-riciclaggio, alcuni dei quali
hanno già dato luogo a sentenze penali che costituiscono
importanti precedenti giurisprudenziali. Nella zona del
marsalese si è potuto accertare una penetrante presenza
mafiosa nelle società finanziarie, attraverso le quali viene
curato il reinvestimento dei proventi illeciti. In alcuni casi
dette società hanno svolto un ruolo puramente formale,
fornendo cioè supporti documentali a giustificazione di
trasferimenti di denaro in realtà avvenuti lontano dalle loro
casse. Dalle emergenze processuali risulta anche un forte
coinvolgimento di personaggi del mondo politico negli
interessi economici mafiosi.
    Non va trascurato, infine, il ruolo elusivo che le
finanziarie possono svolgere nei confronti della normativa che
limita il trasferimento di contante tra privati contribuendo
ad occultare ogni collegamento tra i guadagni illeciti e il
loro reinvestimento. Indicazioni in tal senso emergono dalle
esperienze di indagini penali effettuate.
    25. Cosa Nostra un'organizzazione criminale, dotata di
precise regole di comportamento, di organi formali di
direzione, con aderenti selezionati sulla base di criteri di
affidabilità, con un territorio sul quale esercita un
controllo tendenzialmente totalitario. Ha una struttura
organizzata di tipo verticale, con commissioni provinciali ed
una commissione regionale. La commissione provinciale di
Palermo è, di fatto, quella più potente.
    L'obiettivo permanentemente perseguito l'accumulazione
del massimo potere possibile nella situazione concreta. Questa
caratteristica la differenzia dalle organizzazioni criminali
affini e le conferisce una cultura, una dimensione ed una
strategia politica.
    Agisce con particolare flessibilità allo scopo di meglio
adattarsi all'ambiente e meglio estendere la propria
influenza, e quindi il proprio potere, attraverso relazioni di
scambio, favoritismi, sviluppo di rapporti familiari,
costituzione di clientele, prestazione di favori che
costituiscono il presupposto per ottenere contropartite.
    Il criterio guida delle azioni di Cosa Nostra è
l'utilitarismo. Tutto ci che giova all'organizzazione si deve
fare. Tutto ci che la danneggia o può, eventualmente,
danneggiarla severamente proibito.
    Cosa Nostra non ha convincimenti politici; usa il voto
secondo le convenienze concrete. In Sicilia avrebbe votato per
candidati di tutti i partiti politici tranne MSI e PCI. Nel
1987, in molti quartieri di Palermo, avrebbe deciso di votare
per candidati del PSI e del Partito radicale, senza intese con
questi partiti, al solo fine di segnalare in modo evidente
alla DC che la riteneva responsabile di un irrigidimento,
rispetto al passato, della lotta contro la mafia.
    Durante i processi di particolare importanza vige la
pax mafiosa. Nelle carceri gli "uomini d'onore" sono
garanzia di ordine. L'esecuzione di condanne e vendette, salvo
casi eccezionali, si compie quando non sono in corso processi
rilevanti e fuori delle carceri.
                        Pag. 1805
    All'utilitarismo si ispirano regole e comportamenti
altrimenti inspiegabili(18).
    26. Importante per l'organizzazione mafiosa è il
prestigio, il rispetto degli altri, aderenti e non,
all'organizzazione. Il prestigio il connotato dell' "uomo
d'onore", gli consente di esercitare il comando nei confronti
di chi gli sottoposto e di influire sulla collettività che gli
sta attorno. In una tradizione storica, come quella siciliana,
dove grande peso hanno l'esercizio del potere personale ed i
segni esteriori che lo accompagnano, la ricerca del prestigio
diventa essenziale per un'organizzazione che tende a svolgere
una funzione egemonica nei confronti dell'ambiente.
    27. In Cosa Nostra l'aggressione alle persone o alle cose
ha tradizionalmente la stessa funzione residuale che hanno la
minaccia e l'esecuzione della sanzione negli ordinamenti
legali. Cosa Nostra cerca di realizzare i propri obbiettivi
con il consenso; ma poi usa la violenza se quel consenso non
prestato e, in ogni caso, quando viene messa in pericolo,
dall'interno o dall'esterno, la sua leadership. Verso la fine
degli anni 70, ad esempio, Cosa Nostra decise di sviluppare
una reazione contro appartenenti alle forze dell'ordine per
contrastare una fase di particolare efficacia. Questa reazione
si svilupp lungo due direttrici: l'intimidazione prima e
l'eliminazione poi di quei funzionari che non si fossero
piegati.
    Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo,
venne ucciso perché non si era piegato(19).
    28. Essenziale per Cosa Nostra è il controllo del
territorio; serve per svolgere impunemente ogni sorta di
traffico; serve a conoscere e prevenire le manovre degli
avversari, ad esercitare dominio sulle popolazioni, a
praticare le estorsioni, a presentarsi come autorità che tutto
conosce e tutto può. Un capomafia senza territorio è come un
re senza regno.
    Esempi relativi all'esigenza di riaffermare, anche
"ideologicamente", il dominio territoriale non mancano. Le
estorsioni, ad esempio, sono una grande fonte di accumulazione
e sono in grande espansione. Dei proventi delle stesse
beneficiano, però, anche soggetti che hanno
----------
     (18) Il criterio per il quale l'"uomo d'onore" non deve
avere stabili relazioni extraconiugali non risponde a principi
di carattere moralistico. Risponde, invece, all'esigenza di
evitare che una delle due donne sentendosi tradita, abbia a
denunciare l'uomo alla polizia (cfr. dichiarazioni di Gaspare
Mutolo davanti alla Commissione, nel corso dell'audizione del
9 febbraio 1993, p. 1238-9 del resoconto stenografico).
Nell'eliminazione degli avversari lo strangolamento è
preferito all'uso di arma da fuoco perché lascia meno tracce.
La vittima è avvicinata da persone che crede di sua fiducia,
si allontana tranquillamente dal domicilio, è condotta in
luogo idoneo all'eliminazione, viene quindi eliminata senza
lasciare le tracce tipiche dell'arma da fuoco. I familiari che
l'hanno vista allontanarsi tranquillamente non denunciano
immediatamente la scomparsa e lanciano inconsapevolmente agli
assassini il tempo di far sparire il corpo, mentre le indagini
si avviano con notevoli ritardi (ibid., pag. 1275).
    (19) Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo
venne ucciso il 21 luglio 1979 dopo aver scoperto le prove del
traffico di stupefacenti tra Palermo e gli USA; in particolare
aveva scoperto che l'eroina veniva raffinata a Palermo ed
inviata negli Usa. Gli successe il dr. Contrada, la cui
gestione, secondo il provvedimento restrittivo della libertà
personale, confermato dalla Corte di cassazione, sarebbe stata
fortemente condizionata da Cosa Nostra.
                        Pag. 1806
una posizione patrimoniale più che florida solo per ribadire
il proprio dominio territoriale. La famiglia Madonia, operante
a Palermo, nel quartiere di Resuttana, è particolarmente
ricca, ma non trascura di dedicarsi anche alle estorsioni
proprio per manifestare un pieno controllo del territorio. Con
malcelato orgoglio il collaboratore Leonardo Messina ha
riferito alla Commissione che nell'ambito del suo territorio
non si "posava vugghia", non si metteva cioè neanche un ago
per terra, senza autorizzazione della sua famiglia(20).
    Gli organi di Cosa Nostra si distinguono in relazione al
territorio sul quale esercitano la propria attività; il
"governo" del territorio rivela il capo autorevole e la
famiglia rispettata; una delle trasgressioni più gravi, prima
dell'arrivo dei corleonesi, che hanno stravolto le regole
originali di Cosa Nostra, era la commissione di un delitto
senza informare preventivamente la famiglia insediata in quel
territorio.
    29. Cosa Nostra estende la propria attività a nuovi
mercati poiché la mondializzazione dell'economia porta con sè,
inevitabilmente, anche l'espansione delle attività criminali
collegate al traffico delle merci ed allo spostamento delle
persone. Già esistono segnali rilevanti della sua espansione
verso l'Est, documentati dal moltiplicarsi in quei Paesi di
iniziative apparentemente commerciali a cura di appartenenti a
gruppi mafiosi italiani(21).
    Ma vanno decisamente contrastate quelle ipotesi
interpretative secondo le quali saremmo in presenza di una
"mondializzazione" della mafia, di un allentamento cioè dei
suoi rapporti con il territorio siciliano e con la città di
Palermo per effetto dell'espansione in aree nuove. Queste
ipotesi sono smentite dai fatti. Risulta dalle indagini in
corso che Cosa Nostra opera attivamente in Sicilia e che
considera i Paesi dell'Est non nuova madrepatria, ma nuove
aree di sfruttamento. Cosa Nostra segue un modello di
espansione coloniale e non un modello di trasferimento
migratorio. D'altra parte già nel passato, quando sono mutate
le aree dalle quali ha tratto le sue principali risorse, non
c'è stato un abbandono del territorio. Così è accaduto tanto
con la trasformazione da mafia agricola a mafia urbana, a
cavallo tra gli anni '50 e gli anni '60, quanto con la
trasformazione da mafia dei suoli urbani a mafia degli
stupefacenti, tra gli anni '70 e gli anni '80.
    La Commissione segnala il pericolo politico di questa
tesi: se si dovesse ritenere, contrariamente ai fatti, che la
mafia non ha più sede a Palermo e in Sicilia, si allenterebbe
la pressione che oggi è in atto con buoni risultati nei
confronti dei livelli militari della mafia. Dietro l'alibi
dell'avvenuto trasferimento altrove dei centri di interesse di
Cosa Nostra, potrebbero agevolmente svilupparsi i rapporti
della mafia con nuove e vecchie formazioni politiche.
    Invece Palermo e la Sicilia restano il territorio di Cosa
Nostra. Non a caso nella capitale dell'Isola, cuore politico
della Regione e punto di snodo delle ingenti risorse
finanziarie regionali e statali, Cosa Nostra ha realizzato e
mantiene una struttura di controllo del territorio non
rinvenibile in nessun'altra realtà locale.
----------
    (20) Cfr. res. sten. del 4 dicembre 1992 pag. 523.
    (21) Cfr. resoconto stenografico dell'audizione del gen.
Pucci, direttore del SISMI, seduta del 12 gennaio 1993.
                        Pag. 1807
    A Palermo, infatti, contrariamente ad altre località,
dove Cosa Nostra è rappresentata da una sola "famiglia",
l'organizzazione mafiosa è presente con una molteplicità di
"famiglie" che si sono suddivise la città in modo da non
lasciare scoperto e incontrollato nessun pezzo di territorio.
Questa centralità è ribadita da tutti i collaboratori della
giustizia.
    30. Cosa Nostra considera indispensabile l'impunità.
L'impunità consente di azzerare il rapporto costi-benefici
nell'attività criminale, il segno visibile del prestigio
dell'uomo d'onore, rende evidente la sua capacità di
condizionare l'attività dello Stato. L'impunità presenta vari
aspetti: non essere perseguiti per attività criminali, essere
assolti o essere condannati a pene risibili, godere di
trattamenti particolarmente privilegiati in carcere, non
essere arrestati nonostante si sia destinatari di
provvedimenti restrittivi della libertà personale. L'impunità
sanziona il carattere di "Stato nello Stato" che Cosa Nostra
tende ad assumere; se non si è puniti dallo Stato è segno che
si o più forti dello Stato o riconosciuti e legittimati dai
pubblici poteri.
    Esiste una vera e propria strategia di Cosa Nostra per il
conseguimento dell'impunità in tutte le forme possibili. Il
metodo principale è l' "aggiustamento dei processi",
l'intervento cioè su magistrati e su giudici popolari al fine
di ottenere provvedimenti favorevoli(22). Questo intervento
compiuto con tutte le modalità possibili, dall'avvicinamento
cauto e confidenziale, alla minaccia, sino all'omicidio
punitivo-preventivo, che è eseguito per eliminare un
avversario ed intimidire tutti quelli che si trovano nella sua
condizione.
    Così è avvenuto per il dr. Antonino Saetta che aveva fama
di persona integerrima, ucciso il 25 settembre 1988 per
ritorsione dopo le condanne inflitte dalla Corte d'Assise da
lui presieduta nel processo (ma in altra fase ed altro grado)
per l'assassinio del capitano Basile(23), Comandante della
Compagnia dei Carabinieri di Monreale.
    Nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a
procedere della Camera dei Deputati, relativa al deputato
Culicchia si riferisce un episodio particolarmente grave, che
conferma quanto dichiarato dai collaboratori.
    "...il dottor Salvatore Scaduti nella qualità di
presidente della Corte d'Assise d'appello incaricata del
giudizio... in sede di rinvio (dopo che la prima sezione
penale della cassazione aveva annullato la
----------
    (22) Su questo punto concordano tutte le deposizioni dei
collaboratori della giustizia che trovano purtroppo riscontro
nell'impunità di cui ha goduto per lunghi anni Cosa
Nostra.
    (23) Il processo Basile ha una storia assai particolare.
Il 23 febbraio 1987 la prima sezione penale della Cassazione
annulla le condanne inflitte per l'omicidio del capitano
Basile; sostenendo, con una brusca innovazione
giurisprudenziale che l'omissione ad un solo difensore
(avendolo ricevuto tutti gli altri) dell'avviso del giorno
dell'estrazione a sorte dei giurati comportava nullità
assoluta. Successivamente, il 27 giugno 1987, le sezioni unite
ristabiliscono la precedente giurisprudenza, ma ormai
l'annullamento era stato pronunciato. Gli sviluppi sono
tragici. La Corte d'Assise d'Appello, presieduta dal dr.
Saetta, ricondanna gli imputati (tra i quali il potente gruppo
dei Madonia di Resuttana). Il presidente Saetta viene ucciso
il 25 settembre 1988, mentre comincia a circolare il suo nome
come probabile presidente per l'appello relativo al
maxiprocesso. La prima sezione della Cassazione annulla di
nuovo il 7 marzo 1989 la sentenza di condanna, questa volta
per difetto di motivazione. Recentemente gli imputati sono
stati condannati con sentenza divenuta
definitiva.
                        Pag. 1808
sentenza di condanna redatta dal dr. Saetta, n.d.r.)
riguardante l'omicidio del capitano dei carabinieri Basile, fu
avvicinato, alla vigilia della Camera di Consiglio, dal notaio
Pietro Ferraro che avrebbe esercitato una velata ma pesante
intimidazione su di lui su incarico di un politico
|P'trombato|P' a nome Enzo, di area manniniana (potrebbe
appunto trattarsi del deputato Vincenzo Culicchia. n.d.r.);
sulla base di tale elemento e sul fatto che tale politico
dovesse essere vicino ad ambienti massoni, giacché
l'intervento sul magistrato implicava anche un apposito
quesito circa l'appartenenza del medesimo alla massoneria, si
può ritenere fondato a giudizio degli inquirenti il
collegamento con l'on. Culicchia, la cui vicinanza ad ambienti
massonici emergerebbe da una serie di risultanze
probatorie"(24).
    Cosa Nostra era riuscita ad "avvicinare" alcuni giudici
popolari; ma gli imputati furono egualmente condannati(25).
Precedentemente lo stesso dr. Saetta aveva presieduto la Corte
d'assise d'appello di Caltanissetta che aveva condannato
all'ergastolo i fratelli Greco per l'omicidio Chinnici. Si
trattava perciò di un magistrato sicuramente impermeabile a
qualsiasi influenza, che per Cosa Nostra non avrebbe dovuto in
alcun modo presiedere l'appello del maxiprocesso. E' stato
questo il primo omicidio di un magistrato componente di un
collegio giudicante, e ne è derivato un esteso effetto
intimidatorio.
    La composizione dei collegi giudicanti nei più gravi
processi di mafia è un problema di soluzione non facile. Per
il primo grado del maxiprocesso, si fece ricorso ad un
presidente di sezione che veniva dal civile, il dr. Giordano,
che diresse ottimamente il dibattimento, perché i presidenti
delle sezioni penali che avrebbero dovuto dirigere il
dibattimento, per diversi motivi, erano risultati
indisponibili.
    E' doveroso segnalare che difficoltà altrettanto gravi si
incontrano oggi per la composizione della Corte d'assise
d'appello che dovrà giudicare in sede di rinvio dalla
Cassazione un gruppo di imputati accusati, tra l'altro,
dell'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa.
    31. L'impunità per lunghi anni stata una condizione
naturalmente acquisita da Cosa Nostra.
    Alcuni collaboratori(26) hanno riferito dei rapporti che
Cosa Nostra aveva, tanto a Catania quanto a Palermo, con
appartenenti alle forze di polizia e ufficiali dei
carabinieri, che rivelavano loro in anticipo notizie sui
destinatari dei mandati di cattura, favorendone la fuga. Nei
confronti del dr. Bruno Contrada, già capo della squadra
mobile di Palermo, è stato spiccato provvedimento restrittivo
della libertà personale, confermato dalla Corte di Cassazione,
nella cui motivazione si ipotizza che egli, dopo l'omicidio
del capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano
(1979), fosse divenuto "permeabile" a pressioni o influenze
mafiose.
----------
    (24) Camera dei Deputati, XI Leg., Relazione della Giunta
per le autorizzazioni a procedere. Doc. IV 1/A, p. 4.
    (25) Audizione di Leonardo Messina davanti alla
Commissione Parlamentare Antimafia, 4 dicembre 1992, p. 558 e
Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, pp. 1277-1279.
    (26) Audizioni di Calderone, 11 novembre 1992, p. 302;
Mutolo, 9 febbraio 1993, pp. 1247, 1248-1252,
1253-1262-1270.
                        Pag. 1809
    I mafiosi hanno tradizionalmente goduto in carcere di
trattamenti privilegiati. Erano destinati preferibilmente
all'infermeria, avevano ampio spazio di manovra in cambio di
un contributo al mantenimento dell'ordine nell'istituto
penitenziario; nell'Ucciardone potevano addirittura
incontrarsi con latitanti, scambiare messaggi con l'esterno,
avere a disposizione cibi e bevande di particolare
raffinatezza sino a disporre di una vera e propria
dispensa(27), godere di misure premiali anche quando non ne
ricorrevano i presupposti.
    Infine, le latitanze. E' stata sempre considerata una
singolare anomalia quella delle latitanze pluriennali di
pericolosi criminali che, peraltro, sembrava vivessero nella
propria citt e, a volte, nel proprio quartiere. La Commissione
ha constatato che la latitanza, infatti, si organizza nel
proprio territorio o in quello di famiglie amiche perché il
radicamento sociale permette al latitante di nascondersi
meglio, di evitare delazioni, di essere tempestivamente
avvisato da tutto il quartiere in caso di operazioni di
Polizia. Ma per lunghi periodi è mancato l'impulso politico
per la cattura dei latitanti. Solo nel luglio 1992 il
Ministero dell'interno (Ministro l'on. Scotti) ha stabilito la
ripartizione tra le forze di polizia dell'attività di ricerca
dei singoli latitanti, potenziando i gruppi specializzati,
proposta che in Parlamento era stata avanzata da alcuni anni.
Dall'esame dei dati emerge che i latitanti sono arrestati, in
genere, dopo i grandi omicidi, e che un'alto numero di
latitanti per mafia arrestato presso la propria abitazione,
segno evidente di un'attenzione non continuativa al problema.
    Buscetta durante la latitanza aveva abitato presso la
casa del figlio ad un indirizzo noto tanto all'autorit
giudiziaria quanto all'autorità di polizia, dove nessuno si
era mai recato a cercarlo(28).
    Mutolo abitava nel proprio quartiere, a pochi metri
dall'indirizzo anagrafico, mandava i figli alla scuola del
proprio quartiere, fornendo agli insegnanti il proprio
indirizzo ed il proprio numero di telefono(29).
    Vanno condotte e sollecitate approfondite indagini su
questi ed altri numerosi episodi che denotano gravi
responsabilità da parte degli organismi cui spettava il
compito della cattura dei latitanti.
    Ha fortemente inciso sull'impunità il permanere degli
stessi appartenenti alle forze dell'ordine per molti anni
nello stesso quartiere o nello stesso paese. Le precedenti
Commissioni antimafia hanno frequentemente segnalato come un
limite all'efficacia dell'azione repressiva la lunga
permanenza in sede di sottufficiali, che nello stesso paese
avevano la caserma e la famiglia e che potevano essere indotti
per questa ragione a preoccuparsi più dell'ordine pubblico,
dell'assenza cioè di eclatanti manifestazioni di disordine,
che della lotta alla mafia. Le generalizzazioni sono fuor di
luogo, ma non c' dubbio che questo stato di cose non agevola
la repressione, contribuisce al clima di "coabitazione",
lascia soli ed esposti i servitori leali dello Stato.
    Gaspare Mutolo ha confermato le preoccupazioni delle
precedenti commissioni antimafia. Sulle "latitanze
domiciliari", così rispondeva:
    "Guardi, quando parlo di latitanti mi riferisco, almeno
per la zona di Palermo, al fatto che ci sono paesini dove c'è
il maresciallo dei carabinieri. Ci pu essere pure il
commissariato di Palermo. Per un
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    (27) Audizione di Gaspare Mutolo davanti alla Commissione
Parlamentare, 9 febbraio 1993, p. 1303 ss.
    (28) Audizione Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, pp.
365-366.
    (29) Audizione Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, pp.
1234-1235-1260.
                        Pag. 1810
discorso ambientale, noi i carabinieri non li toccavamo
perché erano persone che abitavano là cioè vivevano con i
nostri amici e parenti. A noi non ci conoscevano, non che noi
li salutavamo. Se io incontravo il maresciallo non gli dicevo
"buongiorno"; voltavo la faccia e il discorso era chiuso.
L'unica preoccupazione poteva essere la polizia di Palermo, se
qualche pattuglia sprovvedutamente si allontanava, passava da
una certa zona e magari ci incontravamo con le macchine. Anche
in questo caso prima di tutto era difficile conoscerci e poi
si trattava sempre di zone dove, anche se venivano tre
poliziotti a fare un certo pattugliamento e vedevano una
macchina con delle persone a bordo, pure se vedevano che era
un latitante non che si fermassero.... Quando si sapeva che
c'era qualche personaggio scomodo, si cercava di eliminarlo,
si eliminava... se c'era uno che eccedeva nelle indagini e
nella ricerca dei latitanti, si sapeva e si eliminava. Ci fu
un certo Aparo(30) che per esempio stato ucciso perché lo
chiamavano il segugio, perché andava sempre cercando i
latitanti. Ed stato ucciso."(31).
    32. L'impunità per Cosa Nostra ha un rilievo di gran
lunga superiore alla naturale speranza che hanno i criminali
di sfuggire alla responsabilit penale per i delitti commessi.
Prima ancora di salvaguardare posizioni di singoli, conferma
la potenza complessiva dell'organizzazione, la legittima agli
occhi dei cittadini, ridicolizza la funzione dello Stato.
Perci si tratta di una necessit strutturale
dell'organizzazione, che conferisce il crisma di "legalità
materiale" alle sue operazioni. L'impunità la principale
preoccupazione di Cosa Nostra.
    "In tal modo si comanda meglio e si acquista un certo
carisma. Infatti chi riesce a far annullare un processo
acquista agli occhi degli uomini d'onore un grande
prestigio"(32).
    Proprio il carattere costitutivo che l'impunità ha per
Cosa Nostra spiega lo spasmodico interesse con cui
l'organizzazione persegue questo obiettivo e le profferte di
coloro che mirano al suo appoggio.
    Il primo manifesto per il separatismo, movimento che
aspirava a conquistare il consenso di Cosa Nostra, pubblicato
clandestinamente a Catania nel 1942, ritornava più volte sul
tema del "perdono":
    "La nuova storia della Sicilia libera e indipendente
dovrà ricominciare sotto il segno della concordia e del
perdono. Noi dimenticheremo tutte le colpe che saranno
riscattate con un comportamento degno di siciliani... Guai a
chi tradisce!... Il passato sarà dimenticato non
l'avvenire" (33).
----------
    (30) Filadelfo Aparo, maresciallo della pubblica
sicurezza, ucciso a Palermo attorno l'11 gennaio del 1979.
    (31) Cfr. resoconto stenografico del 9 febbraio 1993, p.
1270. In senso conforme cfr. anche Messina in res. sten. 4
dicembre 1992, pp. 532 e 608, Calderone in res. sten. 11
novembre 1992, p. 329.
    (32) Cfr. res. sten. audizione Antonino Calderone, 11
novembre 1992, p. 301.
    (33) Il testo è pubblicato in Filippo Gaja. L'esercito
della lupara, II ed., Milano, pag. 381 ss.
                        Pag. 1811
    Quando l'organizzazione decise di farsi coinvolgere nel
tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese
(dicembre 1970), chiese, ed ottenne, come unica contropartita
l'impunità.
    "Agivamo così per farceli amici e perché ci promisero che
avrebbero revisionato i processi di Liggio, Rimi e qualche
altro. Naturalmente non ci garantivano che poi avremmo potuto
effettuare omicidi a nostro piacimento, poiché vi sarebbe
comunque stata una legge. Intanto però si potevano revisionare
i processi,"(34) spiega Antonino Calderone alla Commissione,
quando espone le ragioni dell'interesse di Cosa Nostra al
tentativo di colpo di Stato di Valerio Borghese.
    Ancora oggi Cosa Nostra potrebbe essere interessata,
secondo il collaboratore Messina(35), a forme di accentuata
autonomia della Sicilia anche per poter meglio influire sui
processi; "logicamente sarebbe un fatto positivo" ha risposto
Mutolo (p. 1256) ad una domanda che riguardava la costituzione
di Corti regionali di Cassazione.
    33. Per quanto sinora noto, i rapporti con esponenti
politici nazionali erano prevalentemente finalizzati
all'impunit attraverso l' "aggiustamento" dei processi in
Cassazione.
    In realtà un'analisi a campione conferma che nel passato,
in molti casi, i processi non sono neanche cominciati o si
sono conclusi positivamente per gli imputati mafiosi già in
primo grado e in appello. Alcuni di quegli imputati potevano
essere effettivamente innocenti. Tuttavia il risultato
preoccupante è quello complessivo e cioè l'impunità
generalizzata. Più recentemente, a partire dalla metà degli
anni 80, è stato chiamato in causa l'operato della prima
sezione penale della Cassazione e del suo presidente, dottor
Corrado Carnevale(36).
    A carico del dott. Carnevale(37) è in corso presso il CSM
un procedimento per il trasferimento d'ufficio in base
all'articolo 2 della legge sulle guarantigie. Gli sono state
contestate non valutazioni
----------
    (34) cfr. audizione Antonino Calderone, cit. p. 300.
    (35) cfr. res. sten. del 4 dicembre 1992, pp. 522-523,
556 ss., 585, 599, 608, 611.
    (36) "(Carnevale) per noi era una persona
intelligentissima; alla quale andava tutta la nostra
ammirazione; c'era anche qualche movimento di avvocati che
consigliava gli altri sulla linea da adottare. In noi
prevaleva principalmente l'idea che egli fosse una persona
molto intelligente; scaltra e furba in cui un avvocato...
amico del giudice Carnevale, poteva ascoltare, "assorbire"
chiarimenti sul processo", audizione di Gaspare Mutolo, cit.,
pag. 1298.
    (37) Il dott. Carnevale, inoltre, è oggetto di un
procedimento disciplinare perché imputato "del reato p.p.
degli articoli 81 c.p.v., 110 c.p., 237-228 r.d. 16.3.1942
n.267 e D.L. 30.1.1979 n.26 conv. in L. 3.4.1979 in L.
3.4.1979 n.95 perché, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso, nella qualità di Presidente del Comitato di
Sorveglianza del |P'Gruppo Lauro|P' in Amministrazione
Straordinaria, in concorso con De Luca Flavio, quale
Commissario straordinario del suddetto Gruppo e di Pianura
Salvatore e Buontempo Eugenio, quali legali rappresentanti
della |P'Starlauro S.p.a.|P', esorbitando dalle funzioni
istituzionalmente e normativamente attribuitegli, in
particolare, partecipando direttamente alla trattativa in
corso per la vendita della |P'Flotta Lauro|P', determinava le
condizioni di cessione della flotta stessa ed induceva il De
Luca alla stipula o comunque alla sottoscrizione, prima di un
contratto preliminare di vendita della |P'Flotta Lauro|P'
contenente modifica (in particolare l'accollo del T.F.R. da
parte dell'acquirente in conto prezzo) rispetto alle
condizioni del bando d'asta e deroghe rispetto alle condizioni
ministeriali in materia e, poi, di un contratto definitivo
ulteriormente modificativo delle condizioni del bando d'asta e
del preliminare, riguardo
                        Pag. 1812
interpretative, che sono insindacabili, ma gravi errori di
fatto che si sono risolti in vantaggi di rilievo per i
mafiosi. Tra gli allegati della comunicazione del CSM si
enucleano elementi specificamente relativi a gravi processi di
mafia:
      * "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.674
dell'11.2.1991 (ricorr. Agate Mariano 42: si dispone la
scarcerazione, con altri, anche di tal Lucchese Giuseppe, per
il quale invece i termini di custodia cautelare non erano
scaduti)";
      ** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.2288
del 5.7.1990 (ricorr. Cardone Antonio: erronea individuazione
di termini processuali senza tener conto di timbri datari e di
date di spedizione di avvisi, dandosi poi luogo ad
annullamento di ordinanza del Tribunale di riesame di
Napoli)";
      *** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.147
del 18.2.1991 (ricorr. Parisi Salvatore: omesso esame di atti
in ordine alla tempestività dell'eccezione di nullità del
decreto di irreperibilità, ritenuta invece non tempestivamente
proposta)";
      **** "procedimento penale di cui poi alla sentenza
n.1571 del 1.6.1990 (ricorr. Tagliavia: omesso esame di atti -
dichiarazione del pentito Mannoia - invece facenti parte delle
allegazioni del P.M.)";
      ***** "procedimento penale di cui poi alla sentenza
n.1779 del 18.6.1990 (ricorr. Denaro Antonio Rosario: erronea
individuazione del termine processuale di cui all'articolo 309
cpp)";
      ****** "procedimento penale di cui poi alla sentenza
n.1781 del 18.6.1990 (ricorr. Ciotta Giuseppe: erronea
individuazione del termine processuale di cui all'art. 309
cpp)";
      ******* "procedimento penale di cui poi alla sentenza
del 18.6.1990 (ricorr. Bartolo Giuseppe: erronea
individuazione del termine processuale di cui all'art. 309
cpp)";
----------
alle modalità di pagamento, al numero di dipendenti da
assumere ed allo stesso ammontare del prezzo contratto
concluso nonostante le avvenute violazioni da parte del
permittente-acquirente di obblighi assunti (in particolare,
costituzione di un fondo di lire 1 miliardo per spese
correnti, controllo da parte del commissario degli atti di
gestione, e la mancata definizione dei conti finali della
gestione interinale, dell'ammontare del. T.F.R., nonché della
questione dell'attribuibilità delle spese per bunker, olii,
combustibili ed altro relativo alle navi oggetto della
cessione, prendeva in tal modo interesse privato in atti
d'ufficio, assicurando a Buontempo e Pianura condizioni
contrattuali più favorevoli di quelle contenute nel bando
d'asta e nel preliminare e consentendo agli stessi Buontempo e
Pianura di non pagare fino ad oggi il corrispettivo della
cessione. In Napoli il 21.4.1987 ed il 26.9.1987". Così si
esprimeva il Ministro Martelli nell'atto di esercizio
dell'azione disciplinare. "Osservo che la Corte, nel motivare
il provvedimento con il quale dispone il giudizio, dopo aver
posto in rilievo che la vendita della flotta Lauro fu condotta
con modalità tali da rivelarsi un affare dannoso per
l'economia pubblica e per i creditori, ha conclusivamente
ritenuto che nelle censurabili condotte ascritte ad altri
soggetti, già condannati con sentenza di primo grado in
separato procedimento relativo alla stessa vicenda, non può
escludersi il concorso del dottor Carnevale, tenuto conto del
ruolo di assoluta preminenza ad esso conferito nell'ambito del
Comitato di Sorveglianza. Nei confronti del medesimo
magistrato - ed in ragione dell'obbiettiva gravità dei fatti
contestati - ho formulato richiesta, in data 2 febbraio 1993,
di sospensione delle funzioni e dello stipendio, ai sensi
dell'art. 31 del R.D.L. 31 maggio 1946 n.511. Ritengo che il
dott. Carnevale, con il comportamento sopra descritto, abbia
gravemente mancato ai propri doveri rendendosi immeritevole
della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve
godere, così compromettendo il prestigio dell'ordine
giudiziario".
                        Pag. 1813
      ******** "procedimento penale di cui poi alla sentenza
n.1942 del 3.6.1986 (ricorr. Greco Michele ed altri: erronea
individuazione del decisivo orario del fatto-reato)";
      ********* "procedimento penale di cui poi alla sentenza
n.1363 del 21.5.1990 (ricorr. Argano Gaspare ed altri: omessa
valutazione di aggravante ad effetto speciale per il
ricorrente Vernengo Ruggero contenuta in imputazione, in
relazione al termine di durata della custodia cautelare)".
    Il CSM, come già detto, ha deliberato che per la Corte di
cassazione valgano i criteri di predeterminazione delle
composizioni dei collegi (cosiddette tabelle): tuttavia nel
corso del forum con le direzioni distrettuali antimafia è
stato comunicato alla Commissione che da un'indagine ispettiva
condotta dal Ministero risulta che per la prima sezione la
predeterminazione delle tabelle comunicate al CSM è stata
derogata in misura statisticamente oscillante dal 50 per cento
al 71 per cento. Ciò significa che i collegi giudicanti in un
elevato numero di casi erano costituiti in modo non
rispondente alle regole prefissate. Intervenendo su una
relazione del sen. Brutti, che ha ribadito la necessità del
rispetto di criteri oggettivi per la composizione dei collegi
di tutte le sezioni della Cassazione, il Ministro
guardasigilli Conso così rispondeva:
    "Sono lieto di informare che la commissione istituita dal
mio predecessore (il Ministro Martelli, n.d.r.) con la
finalità di studiare i problemi relativi all'attività e al
funzionamento della Corte di Cassazione, aveva già inserito
nel programma dei suoi lavori le questioni relative al modo in
cui prevenire tutti gli aspetti che potrebbero essere
discutibili sul piano della composizione dei collegi... la
strada è già imboccata e potrà presto condurre ad una
conclusione importante"(38).
    La Commissione non può soffermarsi sulle specifiche
responsabilità individuali, perché esse integrano ipotesi di
carattere penale e disciplinare, che non sono di sua
competenza. I nomi dei funzionari, dei militari e dei
magistrati che avrebbero ceduto alle pressioni mafiose sono
stati trasmessi alle autorità competenti al fine di esperire
gli eventuali giudizi di responsabilità. E' opportuno che i
nomi dei politici vengano comunicati ai segretari dei
rispettivi partiti.
    In ogni caso la Commissione ritiene inopportuno, in
questa fase, che procedimenti penali concernenti dichiarazioni
di collaboratori della giustizia che hanno chiamato in causa
la prima sezione penale della Cassazione vengano affidati alla
stessa sezione o comunque a magistrati che abbiano partecipato
alle decisioni oggetto di contestazione.
    Nell'ordine giudiziario importante non solo essere ma
anche apparire indipendenti, tanto che previsto
l'allontanamento dalla sede del magistrato che non per sua
colpa abbia perso la considerazione e la stima dei cittadini
del luogo. Sino a quando non verrà accertata la verità,
decisioni favorevoli agli imputati, nei casi indicati,
potrebbero
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    (38) Cfr. res. sten. audizione Ministro Conso, 23
febbraio 1993, p. 1366.
                        Pag. 1814
essere considerate la riprova della verità delle accuse o il
tentativo di togliere credito agli accusatori; decisioni
contrarie agli imputati potrebbero essere considerate frutto
del timore di dar corpo ai sospetti di connivenza. L'alta
funzione costituzionale della Corte di Cassazione deve essere
messa al riparo da simili pericoli.
    E' in ogni caso dovere della Commissione informare il
Parlamento che responsabilità gravi di alcuni magistrati e di
alcuni appartenenti alle forze dell'ordine esistono e sono
state determinate o da viltà o da corruzione o da
superficialità o da condivisione degli interessi di Cosa
Nostra. Esse non hanno solo salvaguardato posizioni di singoli
criminali, ma hanno rafforzato tutta l'organizzazione mafiosa
che apparsa in grado di condizionare l'operato degli organi
dello Stato. L'individuazione e la severa punizione di queste
responsabilità un capitolo essenziale della lotta della
democrazia contro Cosa Nostra, per dimostrare nei fatti al
Paese e agli ambienti mafiosi che non sono più tollerate le
collusioni di un tempo e che non esiste più l'impunità come
regola per Cosa Nostra.
    34. Cosa Nostra ha una propria strategia politica.
L'occupazione e il governo del territorio in concorrenza con
le autorità legittime, il possesso di ingenti risorse
finanziarie, la disponibilità di un esercito clandestino e ben
armato, il programma di espansione illimitata, tutte queste
caratteristiche ne fanno un'organizzazione che si muove
secondo logiche di potere e di convenienza, senza regole che
non siano quelle della propria tutela e del proprio sviluppo.
    La strategia politica di Cosa Nostra non è mutuata da
altri, ma imposta agli altri con la corruzione e con la
violenza.
    Cosa Nostra si occupa anche di fatti politici nazionali;
può perciò intrecciare le proprie azioni agli interessi di
altri gruppi.
    E' ormai noto che l'organizzazione fu contattata tramite
esponenti della massoneria per la partecipazione al tentativo
di colpo di Stato messo in opera da Junio Valerio Borghese nel
dicembre 1970. Ma è emerso anche che Cosa Nostra, nel 1970
fece esplodere molte bombe a Palermo per preparare il clima
idoneo a quel tentativo eversivo. "Dovevamo scassare la
credibilità del Governo italiano" dirà Buscetta(39).
    Discusse dell'opportunità di aiutare le ricerche della
prigione ove era sequestrato Aldo Moro. Decise poi di non
intervenire; forse perché le sembrò non conveniente
immischiarsi in una questione dalla quale riteneva di non
poter trarre particolare utilità e che era comunque
controversa.
    Il finanziere Sindona tornò in Sicilia, nel 1979, pare
per saggiare le disponibilità di Cosa Nostra ad un "colpo"
separatista, appoggiandosi a personalità massoniche del posto
e ad alcuni "uomini d'onore". Lo sostennero, in particolare, i
massoni aderenti al C.A.M.E.A (Centro Attività Massoniche
Esoteriche Accettate) di cui era autorevole esponente Joseph
Miceli Crimi, il medico che, d'accordo con Sindona, lo ferì al
fine di simulare meglio il sequestro di persona.
    Sembra che Cosa Nostra non sia rimasta estranea alle
vicende del Banco Ambrosiano e che anzi una delle cause
dell'omicidio di Roberto Calvi possa essere stata la
dilapidazione del danaro lasciatogli in deposito da
organizzazioni mafiose.
----------
    (39) cfr. res. sten. audizione Tommaso Buscetta, 16
novembre 1992, pp. 368, 396.
                        Pag. 1815
    Gli omicidi politici, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di
Pier Santi Mattarella e di Pio La Torre sembrano andare oltre
la comune azione di mafia, proprio per la personalità degli
assassinati, per i progetti che essi perseguivano.Íh10.5Ï    A
proposito di La Torre Buscetta dirà:
      "... non è vero che si vuole ammazzare perché quello
merita di essere ammazzato: è un mezzo. Pio La Torre stava
facendo la legge antimafia per il sequestro dei beni; va bene
allora l'ammazziamo tanto... l'ammazziamo per questa ragione
poi vediamo se..."(40).
    E a proposito dell'omicidio del generale Carlo Alberto
Dalla Chiesa, lo stesso Buscetta precisa, con il linguaggio
allusivo che gli è proprio:
    "(L'attività antimafia di Dalla Chiesa n.d.r.) era un
problema, ma non era un problema tale da arrivare al punto di
ammazzarlo pubblicamente insieme alla moglie" (p. 419).
    "... Cercare (cioè uccidere, n.d.r.) Dalla Chiesa nel
1979 non è più un problema mafioso; è un problema che va al di
là della mafia" preciserà Buscetta, informando la commissione
che già nel 1979 Cosa Nostra aveva chiesto a lui, che era
detenuto nel carcere di massima sicurezza di Cuneo, di
contattare qualche terrorista per sapere se le BR sarebbero
state disponibili a rivendicare l'eventuale omicidio del
generale, compiuto da Cosa Nostra. Il terrorista contattato
respinge l'offerta.
    E a proposito dell'omicidio di Giovanni Falcone:
    "Il giudice Falcone è stato ucciso da Cosa Nostra perché
fu uno strenuo lottatore contro la mafia. Strenuo, onesto e
dignitoso. Però è un mezzo per coprire altre cose, secondo il
mio punto di vista" (p. 377).
    Buscetta, che è l'uomo più addentro alle logiche di Cosa
Nostra, e che è perciò in grado di offrire attendibili chiavi
interpretative per gli omicidi più rilevanti, disegna uno
scenario nel quale Cosa Nostra non prenderebbe ordini da
nessun altro soggetto ma concerterebbe i fatti più gravi con
altri soggetti:
    "I mafiosi non prendono ordini, ma possono i mafiosi dire
ad altri noi faremo così"(41), ma aveva chiarito che
"un'entità"(42) avrebbe chiesto nel 1979 a Cosa Nostra, che
allora non poteva avere alcun interesse diretto
all'omicidio(43), di uccidere il generale Dalla Chiesa.
    Buscetta, inoltre, apprese dell'assassinio di Dalla
Chiesa tramite la televisione mentre era a Belem in Brasile,
con Gaetano Badalamenti. Badalamenti gli avrebbe detto che
"qualche uomo politico si era sbarazzato, servendosi della
mafia, della presenza troppo ingombrante...". A domande della
Commissione ha precisato che Badalamenti
----------
    (40) Res. sten. audizione di Tommaso Buscetta, 16
novembre 1992, p. 376.
    (41) cfr. res. sten audizione di Tommaso Buscetta, 16
novembre 1992, pag. 377.
    (42) Audizione Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, p.
357.
    (43) Dalla Chiesa, infatti, iniziò la sua attività
antimafia il 1^ maggio 1982, il giorno successivo all'omicidio
di Pio La Torre.
                        Pag. 1816
fece il nome di uomini politici e che si tratterebbe di
persone attualmente viventi(44).
    Pippo Calò non ebbe difficoltà, previa informazione alla
Commissione provinciale di Cosa Nostra, a contattare ambienti
del terrorismo di estrema destra e della camorra per
organizzare l'attentato al rapido 904 (23 dicembre 1984) al
fine di deviare dalla mafia l'attenzione dei mezzi di
informazione, dell'opinione pubblica e delle forze di polizia.
    Nelle settimane precedenti alla strage, grazie alle
dichiarazioni di Buscetta e di Contorno, e al preciso lavoro
degli uffici giudiziari di Palermo, erano stati emessi ed
eseguiti molti mandati di cattura. Cosa Nostra risponde con la
strage per distogliere dalla mafia l'attenzione dell'opinione
pubblica.
    Non è nei compiti della Commissione accertare
responsabilità di carattere giudiziario, nè ricostruire in
quest'ottica le vicende soprarichiamate. Ma dal complesso
degli elementi di cui la Commissione dispone, rivela la
capacità di Cosa Nostra di intervenire anche nei fatti
politici nazionali(45).
    Da qui nasce non solo l'esigenza di integrare le
tradizionali interpretazioni sul ruolo dell'organizzazione, ma
anche la necessità di portare continuativamente e sino in
fondo l'azione repressiva nei confronti di Cosa Nostra e dei
suoi alleati, per non darle la possibilità, in una fase così
difficile per la vita del Paese, di condizionare con la
violenza gli sviluppi politici.
    "La mafia con l'estendersi del suo potere economico,
oltre ad avere allacciato rapporti con altri ambienti
criminali, è sempre maggiormente divenuta sensibile
all'assetto politico dello Stato... la mafia ha oggi un suo
progetto politico. Chi infatti accumula entrate che
annualmente possono valutarsi... non può essere privo di
progetti politici che assicurino, quanto meno, il
consolidamento e la tolleranza nel reimpiego di queste
ricchezze." Scriveva il dott. Piero Vigna, procuratore della
Repubblica di Firenze, nella requisitoria per la strage del 23
dicembre 1984.
    La capacità di penetrazione del sistema criminale di Cosa
Nostra nasce proprio da questa naturale propensione
dell'organizzazione a creare e sostenere condizioni politiche
che la favoriscano. La mafia non si augura certo di avere una
magistratura onesta, partiti politici trasparenti e
legittimati, un sistema istituzionale impermeabile alle
corruzioni e alle collusioni. Al contrario essa opera
costantemente per conservare quelle parti del sistema
politico, economico ed istituzionale che possono esserle utili
e più in generale per conservare equilibri politici che
considera a lei favorevoli.
    In questo contesto può riproporsi il terrorismo
politico-mafioso.
                            IV
    35. Per quali ragioni Cosa Nostra ha potuto svolgere così
a lungo la sua attività senza essere permanentemente
contrastata? per quali ragioni riuscita a sviluppare veri e
propri rapporti di integrazione con i pubblici poteri?
    La spiegazione non può essere costituita soltanto dalle
viltà o dai calcoli dei singoli. Troppo duraturi nel tempo,
vasti e diffusi sono stati quei rapporti per poter essere
fondati su debolezze individuali. Le
----------
    (44) Res. sten Tommaso Buscetta 11.16.1992 pp. 422-423.
    (45) Già nel periodo 1943-1950 emerse questa capacità di
Cosa Nostra; cfr. parr.
                        Pag. 1817
compromissioni soggettive non sarebbero state di per sé
sufficienti e non si sarebbero certamente manifestate con
quell'ampiezza, quella continuità e quell'efficacia se non
fossero state sostenute da più generali condizioni di
carattere storico-politico.
    Precise ragioni di carattere storico e politico hanno
infatti favorito, da più di un secolo, i rapporti di Cosa
Nostra con i pubblici poteri, le hanno attribuito una
specifica e riconosciuta funzione politica, le hanno
consentito di svolgere un ruolo di sostegno ad esperienze
politiche, a partiti, a uomini politici. Tutto ci ha sinora
impedito la liberazione del Paese da quei condizionamenti. Ed
evidente che la sconfitta definitiva di Cosa Nostra passa non
solo attraverso la punizione delle responsabilità individuali,
ma anche attraverso il superamento definitivo delle condizioni
oggettive che hanno favorito le compromissioni.
    36. La relazione di maggioranza della prima commissione
antimafia, depositata il 4 febbraio 1976, descrive con sintesi
efficace la funzione politica che la mafia assunse al tempo
dell'Unità d'Italia:
    " La mafia... fin dalla sua nascita e con un impegno
sempre maggiore nel corso degli anni, si esercit nella
costante ricerca di un intenso, incisivo collegamento con i
pubblici poteri della nuova societ nazionale, rifiutando il
ruolo di una semplice organizzazione criminale in rivolta
contro lo Stato, o magari interessata soltanto ad una funzione
di supplenza del potere legittimo. Ma se la mafia si rafforzò,
grazie ai collegamenti con l'apparato pubblico dello Stato
sabaudo, lecito supporre che anche il nuovo Stato abbia tratto
un preciso vantaggio da questi collegamenti, il vantaggio cio
di garantirsi una facile posizione di dominio, senza essere
costretto ad affrontare il problema scottante di un radicale
rinnovamento della societ siciliana. Per realizzare l'Unit -
prosegue la relazione - la borghesia nazionale.... non esitò
ad allearsi in Sicilia con la nobiltà feudale locale ed
proprio dalla logica di questo accordo e, correlativamente,
dall'ostinata opposizione all'autogoverno che nacque e si
sviluppò il fenomeno della mafia."
    Infatti, conclude la relazione, la nobiltà feudale, in
una condizione di debolezza delle strutture statuali, si
avvalse del formidabile potere repressivo della mafia per
tenere a bada i contadini e per frenare le rivendicazioni
espresse in quegli anni dai fasci dei lavoratori. Questi
collegamenti furono essenziali per la mafia che venne cos
legittimata e di ciò si avvalse per meglio esercitare il
controllo del territorio, delle attivit economiche, delle
istituzioni e dei cittadini.
    37. Diversa fu la situazione nel corso del regime
fascista. Il fascismo si assunse direttamente il compito di
salvaguardare gli interessi dei ceti agrari, che nel periodo
precedente erano stati salvaguardati dalla mafia.
Coerentemente, il fascismo operò in due direzioni. Sviluppò
una vasta azione repressiva nei confronti dei livelli militari
della mafia, che non erano tollerati come concorrenti dello
Stato nell'esercizio di una funzione d'ordine. Cercò di
inglobare nel regime dei livelli medio-alti della mafia.
Secondo alcune fonti, nelle
                        Pag. 1818
importanti elezioni amministrative del 1925, a Palermo, la
lista fascista era stata particolarmente votata nei quartieri
a più alta densità mafiosa ed aveva al suo interno sette boss
ancora incriminati per associazione per delinquere(46). La
notizia aveva qualche fondamento. Alcune settimane dopo le
elezioni, infatti, il leader fascista di Palermo, Guido Cucco,
riferì a Mussolini che la convenienza elettorale aveva
richiesto alleanze con "fiancheggiatori non sempre
desiderabili "(47). Molti studi sull'epoca riportano le
preoccupazioni di Mussolini di inimicarsi gli agrari con un
eccesso di politica antimafia e segnalano i limiti dell'azione
del prefetto Mori, che non giunse a colpire i vertici mafiosi.
Tutto il sistema mafioso tornò alla luce in poche settimane
dopo la caduta del fascismo.
    38. Durante il regime fascista vennero soprattutto
eliminate le intermediazioni parassitarie di carattere mafioso
("i gabelloti mafiosi") con effetti positivi per i proprietari
dei latifondi, che riuscirono a riscuotere affitti più elevati
rispetto al passato, in numerosi casi superiori del 100 per
cento. Peraltro i vantaggi vennero tratti da una sola parte
perch gli indici ufficiali tra il 1928 ed il 1935 rivelano un
ribasso del 28 per cento delle paghe agricole.
    L'azione antimafia in quest'epoca colpì la manodopera
militare di Cosa Nostra, ma servì anche a stringere un patto
politico con il grandi proprietari terrieri; essa fu possibile
perché il contenimento delle istanze dei contadini venne
effettuato in prima persona dal fascismo, che surrogò in
questa funzione le famiglie di Cosa Nostra.
    39. Cosa Nostra ricompare in Sicilia nel 1943, alla
vigilia dell'occupazione alleata. Gli Usa si avvalsero dei
rapporti tra mafiosi italiani o italo americani che erano nel
loro territorio e mafiosi che erano in Sicilia per preparare
il terreno per lo sbarco. Il caso più noto fu quello di Lucky
Luciano, che essendo detenuto, fu contattato dalle autorità
degli Stati Uniti per saggiare la sua disponibilità a favorire
lo sbarco alleato. Luciano si adoperò positivamente. Quindi fu
espulso dagli Usa e inizi il suo soggiorno a Napoli. Altri
mafiosi detenuti negli Usa seguirono la sua sorte. Questa
degli "espulsi" fu una questione posta più volte
all'attenzione della prima commissione antimafia, all'interno
della quale si rilevò che l'elevato numero degli espulsi dagli
Usa, immediatamente dopo la fine della guerra, non poteva che
corrispondere ad una ricompensa per il contributo fornito
nella preparazione e nell'esecuzione dello sbarco. Dalla
documentazione prodotta a quella Commissione, ed acquista da
questa, risulta che complessivamente i mafiosi espulsi dagli
Usa nel primissimo dopoguerra furono 65.
    Una seconda forma di legittimazione, certamente meno
necessitata della prima, venne dalla protezione che il governo
alleato conferì,, soprattutto nei primi tempi dopo lo sbarco,
al movimento separatista, che era l'unica organizzazione
antifascista organizzata in Sicilia, ma con stretti rapporti
con la mafia. Nella prima commissione antimafia vennero
depositati i frontespizi di due documenti del consolato
----------
    (46) C. Duggan, La mafia durante il fascismo, 1986, pag
29.
    (47) C. Duggan, La mafia, cit. p.30.
                        Pag. 1819
americano a Palermo, in data 21 novembre 1944 e 27 novembre
1944, che avevano come oggetto il primo: "Riunione di capi
della mafia con il generale Castellano e la formazione di
gruppi per favorire l'autonomia" e il secondo: "Formazione di
gruppi per favorire l'autonomia sotto la direzione della
mafia".
    L'ufficio dei servizi strategici americano nel
Confidential Appendix II al Report on conditions in
liberated Italy n.11, con data 11, gennaio 1944, segnalava
che:
    "I leaders principali del partito separatista, si
potrebbe dire addirittura la quasi totalità dei suoi aderenti,
provengono dalle seguenti categorie: 1) l'aristocrazia... 2) i
grandi proprietari fondiari latifondisti, anche se di origine
plebea 3) i capi massimi e intermedi della mafia (n.del rel.),
4) professionisti mediocri o politici che sarebbero altrimenti
condannati all'oscurità in un paese avanzato..."(48).
    La confluenza di settori della mafia nel movimento
indipendentista rafforzò tanto i separatisti quanto i mafiosi.
I primi poterono avvalersi della forza della mafia sul
territorio; i secondi trassero motivo di legittimazione
dall'inserimento in un movimento politico, che appariva
sostenuto dagli alleati. Successivamente, osserva la relazione
Carraro:
    "...il governo di occupazione, tenendo fede alle promesse
della vigilia, si affrettò a consegnare l'amministrazione
dell'Isola ai militanti del separatismo, mettendoli così in
condizione di esercitare sui cittadini un potere reale e
un'influenza spesso decisiva".
    Nacque così la terza legittimazione per la mafia. Quella
che derivò dalla collocazione ai vertici delle amministrazioni
comunali di politici separatisti sostenuti dalla mafia e, in
alcuni casi, di autentici mafiosi, come Calogero Vizzini
nominato sindaco di Villalba e Genco Russo nominato sindaco di
Mussomeli. A mafiosi, inoltre, vennero conferiti altri
incarichi pubblici. Vincenzo Di Carlo, capo della mafia di
Raffadali fu nominato responsabile dell'Ufficio per la
requisizione del grano ed altri cereali. Michele Navarra venne
autorizzato a raccogliere gli automezzi militari abbandonati
dall'esercito. Il boss della mafia italoamericana Vito
Genovese prestava servizio presso il quartier generale alleato
di Nola.
    Nell'agosto 1943 Lord Rennel, capo del governo militare
alleato nei territori occupati, così scriveva in un rapporto
inviato a Londra:
    "Io temo che nel loro entusiasmo nel destituire i podestà
fascisti e i funzionari municipali delle localit rurali, i
miei ufficiali, in alcuni casi per ignoranza della società
locale, abbiano scelto un certo numero di capimafia o
autorizzato tali personaggi a proporre docili sostituti pronti
a obbedirli. La mia difficoltà risiede a questo punto nel
codice siciliano dell'onore, o omertà. Quasi non riesco ad
ottenere informazioni da parte degli stessi carabinieri del
posto, i quali ritengono che sia preferibile tacere e salvare
la vita quando il locale rappresentante
----------
     (48) Public Record Office, Foreign Office, 371/37326,
R 8305/G, cit. in F. Renda, Storia della Sicilia, vol.III,
1987, Sellerio, Palermo, p.82.
                        Pag. 1820
dell'AMGOT decide di nominare un mafioso piuttosto che
vedersi accusati dall'AMGOT di simpatie filo-fasciste",
accuse, si comprende da un passo successivo, che i mafiosi
lanciavano disinvoltamente contro i loro nemici(49).
    La quarta legittimazione venne dai grandi latifondisti
siciliani, che, preoccupati per le rivendicazioni contadine
ritornarono ad affidare ai gabelloti mafiosi il controllo dei
campi:
    "Accanto ai gabelloti, osserva la relazione Carraro (p.
119), tornarono sulla scena le schiere di soprastanti, di
campieri, di guardiani, in una parola di tutti coloro che i
proprietari incaricavano di amministrare le proprie terre e di
proteggerle dalle ruberie dei piccoli delinquenti, ma
soprattutto dalle pretese dei contadini".
    In questo modo giunsero ad amministrare vastissimi feudi
alcuni tra i più potenti capimafia, da Calogero Vizzini a
Giuseppe Genco Russo, a Vanni Sacco a Luciano Leggio che
riuscì a svolgere tali sue mansioni nonostante fosse colpito
da mandato di cattura per alcuni gravi delitti.
    40. La quinta legittimazione venne alla mafia dalla
vicenda del bandito Giuliano. Cosa Nostra risultò il
burattinaio di tutta la vicenda, nel corso della quale si
verificarono avvenimenti idonei ad incrinare fortemente la
credibilità dello Stato. Si venne a sapere ad esempio di un
incontro tra il bandito Giuliano ed il procuratore generale di
Palermo Pili. L'ispettore di polizia Verdiani, dopo essere
stato esonerato dall'incarico della lotta al banditismo, si
incontrò più volte con il bandito Giuliano. Alcuni banditi
furono muniti di documenti di riconoscimento che permettevano
loro di muoversi liberamente in Sicilia. Esplosero
pubblicamente gravi rivalità tra Carabinieri e Polizia. In
questo quadro contorto e confuso, aggravato dalle oggettive
difficoltà in cui trovava il giovane Stato democratico
italiano, la mafia si comportò da padrona. Prima favorì i
rapporti tra separatisti e banditi; poi assicurò una lunga
impunità a Salvatore Giuliano, utilizzandolo ai propri fini;
infine contribuì all'arresto dei banditi pi pericolosi ed alla
stessa liquidazione fisica di Giuliano.
    Il quadro delle complicità appariva tale che persino il
prudente estensore della sentenza che concluse il processo di
Viterbo per la strage di Portella della Ginestra fu costretto
a scrivere, avendo documentato che con il bandito erano
riusciti ad incontrarsi giornalisti, fotografi e persino tre
giovani appositamente venuti in Sicilia dall'Italia del Nord:
"... egli, solo per le forze di polizia era diventato
inarrivabile."
    "Può dirsi ormai storicamente accertato - scrive inoltre
la relazione Carraro - che fu la mafia di Monreale... a
frantumare le ulteriori resistenze della banda Giuliano e a
permettere la cattura di alcuni degli uomini che gli erano più
vicini... e fu sempre la mafia che, puntando sul tradimento di
Gaspare Pisciotta, arrivò alla liquidazione fisica di Giuliano
per l'interesse che aveva al suo definitivo silenzio sulle
troppe cose che forse sapeva".
----------
     (49) Cole e Weinberg, Civil affairs, soldiers become
governors, Washington, 1964, p. 210.
                        Pag. 1821
    Gaspare Pisciotta, che sarebbe stato ucciso in carcere il
9 febbraio 1954 da una dose di stricnina, gridò nell'aula
della Corte d'Assise di Viterbo: "Siamo un corpo solo banditi,
polizia e mafia, come il padre, il figlio e lo spirito
santo.". Era una vanteria; ma rispecchiava probabilmente il
pensiero di larga parte della popolazione siciliana.
                            V
    41. Le modalità dell'integrazione, in questa prima fase,
furono via via diverse; non sempre ci fu un patto, come con
settori del separatismo. Più spesso si verificò confluenza
oggettiva di interessi e tolleranza da parte dei pubblici
poteri che, ancora fragili, guardavano con una certa
preoccupazione al crescente peso di Cosa Nostra.
    Il generale Silvio Robino, che comandava la terza
divisione Carabinieri, in una relazione del 30 luglio 1948
denunci duramente la situazione di assoggettamento di settori
delle istituzioni, dei partiti politici e della società tanto
alla mafia quanto al banditismo. Sentenze benevoli nei
confronti di parenti del bandito Giuliano, promesse di
amnistia a mafiosi e banditi fatte da candidati durante la
campagna elettorale, interventi di esponenti politici presso
le autorità di polizia per favorire delinquenti arrestati,
l'accoglienza da parte di "autorità e personalità varie" dei
parenti di Giuliano che ostentavano una crescente ricchezza.
In questa situazione, sintetizzava l'ufficiale, "si rafforza
nella popolazione la convinzione che le varie autorit non sono
in condizioni di opporsi a tale sconcio"(50). D'altra parte
nonmancava alle autorità del tempo la lucidità nella
valutazione dello stato delle cose. Le autorità USA di stanza
in Sicilia avevano chiesto ai loro superiori direttive sulle
iniziative da intraprendere contro la mafia "a causa della
delicata natura politica del problema". Il capitano dei
servizi segreti americani W.E. Scotten fu incaricato di
redigere un rapporto sulla situazione. Il rapporto di
straordinario interesse per la storia di quegli anni e rivela
la piena consapevolezza dell'amministrazione alleata della
gravità dei processi che si erano oggettivamente avviati.
"Secondo alcune fonti, scrive Scotten, l'AMG non solo
svantaggiata dal trattare con la mafia, (evidentemente
trattative c'erano, n.d. rel.) ma ha finito per farne il
gioco". Scotten poi passava ad indicare tre possibili
soluzioni. Arresto e deportazione per tutta la durata della
guerra di 500 o 600 capimafia "senza badare alle personalit e
alle connessioni politiche". Per qualche anno la mafia sarebbe
stata frenata e la popolazione avrebbe acquisito il senso
della legalità; nel frattempo la polizia si sarebbe
riorganizzata ed avrebbe potuto contrastare con pienezza di
mezzi l'eventuale ripresa di attività mafiose.
    La seconda ipotesi prevedeva un accordo con la mafia, che
avrebbe dovuto rinunciare all'ingresso sul mercato degli
alimenti e dei generi di prima necessità, nonché ad azioni
contro obbiettivi di carattere
----------
     (50) Rapporto 30 luglio 1948 al Comandante Generale
dell'Arma dei carabinieri, gen. Fedele De Giorgis, ACS, Min.
Int., Gabinetto, 1949, fasc. 1489/2/1, Sicilia ordine
pubblico, cart. 1.
                        Pag. 1822
militare. In cambio gli alleati non avrebbero interferito
nelle vicende della mafia, salvo a chiedere la punizione per i
reati comuni. Non ci sarebbe stata cioè un'azione repressiva
contro la mafia in quanto tale.
    La terza soluzione prevedeva la via della resistenza e
del contenimento, ma senza azioni dirette a distruggere
l'organizzazione mafiosa(51). Non si mai trovata la risposta
dell'autorit superiore, che aveva sede in Algeri, forse
perduta o forse mai inviata. Ma le vicende successive fanno
ritenere che si sia optato, di fatto, per la terza soluzione.
    Né può costituire prova un altro rapporto del gen. Robino
al suo comandante generale. Informandolo sulle vicende
dell'Ispettorato generale della PS per la Sicilia, il generale
scrive "Il successore del comm. Messana, Comm. Vittorio
Modica, a causa delle elezioni politiche che sconsigliavano
un'azione a fondo contro la mafia e favoreggiatori, non ha
potuto far nulla di conclusivo anche perché attendeva che il
Ministero risultante dalle nuove elezioni si decidesse a
fornirgli i maggiori mezzi per l'azione."(52).
    42. L'intervento di Cosa Nostra nella vicenda Giuliano
chiude la fase apertasi sette anni prima con lo sbarco
angloamericano in Sicilia. Nel corso degli anni che vanno dal
1943 al 1950 la mafia riuscì ad insediarsi stabilmente nella
società siciliana sfruttando con abilità ogni occasione che le
si presentava per radicarsi nella società, stringere relazioni
con pubblici poteri, irrobustire le file ed incrementare le
risorse.
    Su un altro versante, l'assassinio di esponenti politici,
capilega e sindacalisti, la devastazione delle Camere del
Lavoro e di sedi dei partiti comunista e socialista collegò
Cosa Nostra agli ambienti più reazionari ed agli interessi più
retrivi. L'impunità per tutti questi crimini valse a fondare
il convincimento popolare della "legalità sostanziale" della
sua presenza e del suo operato.
    "La mafia in questo modo finisce per perdere quel rilievo
che invece dovrebbe avere e di fronte alle sue manifestazioni
delittuose si attenua o addirittura scompare la necessit di
una valutazione rigorosamente negativa, tale da non lasciare
spazio con pericolosi cedimenti od omissioni, a tentativi di
infiltrazione o comunque alle possibilit di successo
dell'organizzazione mafiosa." (rel. Carraro, p. 169)
    I primi anni del nuovo Stato, lungi dal segnare una
rottura delle vecchie collusioni, cementarono Cosa Nostra
dentro il nuovo assetto. Ci che avvenne in quegli anni segn
profondamente la vicenda degli anni successivi. Fatti e
personaggi determinanti in quegli anni, hanno continuato ad
esserlo per lunghissimo tempo in tutta la vicenda siciliana ed
in parte, anche, nella vicenda nazionale.
    Le ragioni oggettive per le quali le vicende della mafia
e dell' antimafia costituiscono parte non irrilevante della
storia repubblicana, affondano le loro radici in quei sette
anni di passaggio dal regime fascista all'Italia
democratica.
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    (51) W.E.Scotten, Report on the Problem of Mafia in
Sicily, Public Record Office, Foreign Office R 11483321/37327,
R 11483 cit. in Renda, Storia della Sicilia, cit. p.85 ss.
    (52) ACS, cit., rapporto 21 aprile 1948.
                        Pag. 1823
                            VI
    43. Il permanere e l'irrobustirsi dei rapporti tra mafia
e pubblici poteri nei decenni successivi fu determinato, oltre
che da corruzioni individuali, da tre fattori di carattere
oggettivo, tra loro molto diversi, uno relativo alla
situazione politica generale, l'altro alle tradizionali
tecniche di investigazione, il terzo ad alcuni caratteri del
rapporto tra lo Stato centrale e la Sicilia.
    44. La lotta politica nei primi anni del dopoguerra non
ha avuto come traguardo una pura alternanza dentro schemi
comunemente accettati da tutte le parti. Entrarono in gioco
scelte di vita, schieramenti di campo, sistemi di civiltà. In
un mondo dominato dal bipolarismo la vicenda italiana, vedeva
da un lato il più forte partito comunista e dall'altro uno
schieramento maggioritario di indirizzo nettamente
filoccidentale. La preoccupazione maggiore delle forze di
governo era di rinsaldare costantemente la propria alleanza
che avrebbe potuto condurre il paese fuori della propria
collocazione internazionale.
    In questo scontro non sono stati risparmiati nè colpi nè
strategie. In un lucido articolo apparso il 28 luglio 1992 su
"Il Corriere della Sera", il filosofo Emanuele Severino
riconduceva i rapporti tra settori dello Stato e la mafia e la
conseguente impunità della mafia, alle esigenze del
bipolarismo. Ciascuna delle parti in campo, sostiene Severino,
si avvalsa di ogni opportunità, lecita ed illecita, per
consolidare se stessa e destabilizzare l'avversario. In
sostanza Cosa Nostra è stata una componente non secondaria del
fronte filoccidentale e questo ha contribuito per lungo tempo
a preservarla da un'azione repressiva permanente e decisiva.
    Ne è derivata una condizione di coabitazione politica con
la mafia che molti hanno rifiutato; ma chi la ha accettata ha
concorso ad indebolire il sistema democratico e a rendere
unica l'Italia per gli omicidi politici e le stragi, nel
panorama delle democrazie occidentali.
    La "coabitazione" ha favorito tentativi di infiltrazione
negli apparati dello Stato, nella magistratura, nelle forze di
polizia e negli Enti Locali. Alcuni tentativi sono andati in
porto, con conseguenze disastrose per la legalità e per la
credibilità dell'azione dei pubblici poteri.
    45. Un ulteriore fattore di indebolimento strutturale
dell'azione dello Stato derivato dai limiti oggettivi delle
tradizionali tecniche di investigazione.
    Tali tecniche si sono basate per molti decenni sulla
figura del confidente. Si trattava di delinquenti, in genere
di basso livello, che fornivano informazioni agli organi di
polizia sugli autori dei reati commessi nella zona e
guadagnavano in cambio favori di vario tipo, dalla licenza,
che altrimenti non avrebbero potuto ottenere, al silenzio su
taluni dei loro reati.
    Nelle regioni prive di organizzazioni mafiose e radicate
nel tessuto sociale, la negoziazione con i confidenti non
incideva sull'efficacia dell'attività repressiva.
    Diversa era la situazione laddove, invece, tali forme di
criminalità si manifestavano con forza. Nei luoghi ove era
radicata Cosa Nostra, nessun piccolo delinquente avrebbe osato
tradire un "uomo d'onore",
                        Pag. 1824
pena la vita. In queste aree l'attività di informazione era
discretamente svolta dai capimafia o da loro emissari nei
confronti, naturalmente, non di altri uomini d'onore ma delle
forme minute di criminalità. Ma è inevitabile che le
contropartite da offrire a questi speciali confidenti
dovessero essere tali da agevolare l'organizzazione mafiosa ed
indebolire la possibilità di reazione dello Stato. In sostanza
questa tecnica investigativa ha agevolato forme di
negoziazione tra Cosa Nostra e istituzioni repressive, con
nessun vantaggio per lo Stato e risultati di legittimazione ed
impunità per Cosa Nostra.
    E' il caso di ricordare la franca esposizione del
problema presentata alla Commissione dal capo della polizia,
prefetto Vincenzo Parisi:
    "...in merito alla natura dei rapporti tra l'operatore di
polizia ed il confidente ritengo che egli potesse
indifferentemente avvicinare grandi e piccoli personaggi,
quando questi ultimi fossero inviati dal grande personaggio
non sono immaginabili margini di manovra dei piccoli
personaggi, salvo penalizzazione irreversibile da parte
dell'organizzazione. Tutto poteva fare parte di un gioco
concertato soltanto dall'organizzazione. Questo è il lavoro
svolto negli anni passati, di profilo medio-basso, dove si
operava su segmenti e si assecondavano gli scontri tra i
gruppi di mafia senza che lo Stato traesse un vantaggio
effettivo, al di là di quello meramente apparente...
l'intervento dello Stato sui pentiti è stato fondamentale: ha
determinato l'elevazione della dignità degli operatori dello
Stato, magistrati e forze dell'ordine"(53).
    46. Un ruolo di rilievo ha giocato infine un certo
isolamento della Sicilia dal resto d'Italia.
    Il fenomeno è stato determinato dallo scarso entusiasmo
con il quale il nuovo Stato accolse l'ipotesi autonomista e da
quello spirito "sicilianista" assai diffuso nei primi anni
della regione e spesso risorgente in esperienze politiche ed
istituzionali di segno assai diverso(54). L'autonomia fu
riconosciuta alla Sicilia prima che fossero consolidate le
fondamenta del nuovo Stato democratico, per l'esigenza di
fronteggiare e respingere le istanze separatiste. Ma la
situazione siciliana e quella del resto d'Italia era tale nel
maggio 1946 da non consentire la predisposizione delle
condizioni politiche ed istituzionali idonee a raccordare la
Sicilia autonoma allo Stato nazionale. Lo Stato centrale
dimostrò in non poche occasioni la sua ostilità all'autonomia.
Le forze politiche siciliane reagirono con un'esasperazione
della loro anima autonomistica.
    Il governo nazionale non accolse la richiesta di inviare
nella neonata regione un nucleo di funzionari esperti che
potessero costituire l'ossatura della nuova amministrazione
regionale. Ciò contribuì a determinare reclutamenti affrettati
e privi di garanzie. Delle 8887 persone entrate alle
dipendenze della Regione dal 1946 al 1963 ben 8236, il 90 per
cento, sono state assunte senza concorso "e ciò si deve
ritenere sulla base di segnalazioni e di rapporti di amicizia
e di
----------
    (53) cfr. res. sten. audizione prefetto Vincenzo Parisi,
2 febbraio 1993, p. 913.
    (54) G.C. Marino, L'ideologia siciliana, Flaccovio,
Palermo, 1971; Salvatore Butera, Introduzione al volume da lui
stesso curato Regionalismo siciliano e problema del
mezzogiorno, SVIMEZ, (Giuffrè, 1981, p. 9 ss.).
                        Pag. 1825
favore" (rel. Carraro, p.206); la percentuale saliva ancora
per i dipendenti della Presidenza, il maggior centro di potere
amministrativo, 405 su 431.
    A questa debolezza amministrativa si aggiunse una
tendenza alla esasperazione dei poteri regionali; come
riconosce la relazione Carraro:
    "...la conquista del governo o anche la partecipazione
alla maggioranza rappresentarono fin dall'inizio un traguardo
decisivo per esercitare nell'isola un'influenza effettiva.
Nacquero di qui le gravi deviazioni nella politica regionale e
un'abitudine tutta particolare agli incontri e alle alleanze
più inverosimili e in genere alla pratica del trasformismo"
(p.125).
    Contro l'ipotesi di Sturzo della "Regione nella nazione"
prevalse, nei primi anni, l'ipotesi "Sicilia senza
Mezzogiorno", specificità siciliana come ragione della sua
separatezza dal resto d'Italia e come fondamento di peculiari
assetti istituzionali, economici e finanziari.
    Questo atteggiamento, politico e culturale, consentì nel
passato e consente tutt'ora di anticipare in Sicilia processi
in corso in tutto il Paese ma che a livello nazionale faticano
a manifestarsi: così è stato nel passato per il
centro-sinistra, che venne costituito in Sicilia nel 1961 con
due anni di anticipo sull'esperienza nazionale e, nei nostri
tempi, con la riforma del sistema elettorale per i comuni e
per la riforma del sistema degli appalti, approvate dal
parlamento siciliano prima che da quello nazionale. Ma
presenta costi assai gravosi: è stato correttamente notato che
il sicilianismo, non del tutto scomparso, tende ad isolare la
regione dal Mezzogiorno e dal resto del Paese(55).
    L'intreccio tra il disinteresse dello Stato centrale e la
vocazione "sicilianista" agevolò il rapporto tra Cosa Nostra
ed i pubblici poteri. La debolezza amministrativa comportò
l'ingresso negli uffici regionali di persone non sperimentate
ed indebolì la funzione amministrativa nel suo complesso,
favorendo le organizzazioni mafiose che si nutrono proprio
della debolezza dei poteri pubblici.
    Il sicilianismo ha costituito in più occasioni una
cintura di sicurezza attorno ai processi degenerativi
considerati troppo spesso un "fatto interno" della Sicilia; ha
fornito un alibi a quelle autorità del governo nazionale che
non intendevano impegnarsi sino in fondo nello scontro con la
mafia; non ha agevolato il pieno dispiegarsi dell'azione
repressiva; ha allontanato nel tempo la comprensione della
vera matrice del potere mafioso.
    Alcuni collaboratori hanno adombrato il pericolo che Cosa
Nostra potrebbe favorire il sorgere e lo svilupparsi di nuove
tendenze separatiste in Sicilia.
    Il separatismo è oggi antistorico e profondamente
lontanto dagli interessi della Sicilia, mentre il regionalismo
e l'autonomia appartengono a pieno titolo alla migliore
cultura democratica. Ma atteggiamenti separatisti potrebbero
essere usati, come a volte nel passato da settori delle classi
dirigenti, per potenziare la capacità contrattuale della
regione nei confronti dello Stato centrale, specie in una fase
in cui si riducono le possibilità di manovra sui flussi di
danaro pubblico, che hanno tradizionalmente alimentato nel
Mezzogiorno non l'interesse di tutti ma catene clientelari
alle quali non sono stati estranei gli interessi
mafiosi.
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     (55) S. Butera, cit., p.24.
                        Pag. 1826
    47. Una delle sperimentazioni più controverse e distorte
del "sicilianismo" si è avuta nel triennio 1958-1961 con la
cosiddetta operazione Milazzo, che ha visto per la prima ed
unica volta nella storia siciliana, la DC all'opposizione. Il
raggiungimento di questo fine, che le forze politiche di
sinistra e di destra, nonché forze economiche emergenti
nell'Isola sentivano come determinante per conquistare uno
spazio autonomo e non subalterno, produsse una grave
sottovalutazione dei mezzi usati. Alcuni intenti apparivano
apprezzabili, in particolare quelli legati ad uno sviluppo
economico autonomo della Sicilia, in coincidenza con le forti
entrate fornite dalle royalties sulla estrazione del
petrolio(56). L'innaturale alleanza tra destra e sinistra,
rendeva di per sè fragile il progetto politico. Della fase di
confusione istituzionale e politica seppe approfittare la
mafia, che sostenne l'operazione ed introdusse uomini propri o
a lei vicini.
    "Nella costituzione del governo Milazzo - dice Antonino
Calderone alla Commissione antimafia(57) - l'azione di Cosa
Nostra è stata molto incisiva. Prima della costituzione del
governo si dovevano votare delle leggi speciali a Palermo(58).
Era molto vicino a Milazzo un uomo d'onore consigliere della
famiglia di Catania, l'onorevole Concetto Gallo.... Alcuni
deputati uomini d'onore dicevano a Totò Greco, detto
Cicchiteddu, che all'epoca era segretario della provincia di
Palermo, che certi deputati erano contro queste leggi. Ebbene
Nicola Greco, uomo d'onore della famiglia di Ciaculli,
telefonò ad alcuni deputati minacciandoli ed intimando loro di
non andare a votare, ad altri mise lettere di minaccia sotto
la porta. Così è nato il governo Milazzo ed è stato un
boom. La mafia l'ha sostenuto in modo fortissimo".
                           VII
    48. I fattori indicati nei tre paragrafi precedenti, le
esigenze di politica internazionale ed interna, la
negoziazione istituzionale, le tendenze isolazioniste in
Sicilia, concorsero a creare un clima di "coabitazione", nel
quale si sono sviluppate le connessioni tra mafia e politica a
partire dagli anni '50.
    Ma le condizioni politiche ed investigative che hanno
favorito l'intreccio tra mafia, politica ed istituzioni, non
hanno mai integrato uno "stato di necessità". Hanno reso
difficile ma non impossibile la lotta contro la mafia. Molti,
infatti, hanno combattuto duramente e non pochi tra questi
sono stati uccisi per il loro impegno. E' necessario
riconoscere le responsabilità politiche dei vertici del
vecchio sistema che hanno favorito o non hanno osteggiato la
convivenza tra Stato e mafia. Questo riconoscimento segna, con
la massima nettezza possibile, la capacità e la volontà di
rinnovamento.
    49. L'azione repressiva ha proceduto "a fisarmonica",
come ha riconosciuto il direttore del Sisde nel corso
dell'audizione davanti alla
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    (56) V. Vincenzo Carollo, Petrolio e sviluppo
economico, in Banco di Sicilia, Notiziario economico
finanziario siciliano, 1959, p. 20 ss.; Eugenio Peggio,
Il complesso petrolchimico di Gela, in Politica ed
Economia, n.11, novembre 1959.    (57) Cfr. res. sten.
audizione dell'11 novembre, p. 286.
    (58) Potrebbe trattarsi della legge sulla
industrializzazione siciliana approvata dall'assemblea
regionale siciliana il 31 luglio 1957.
                        Pag. 1827
Commissione(59). Si è attaccato quando Cosa Nostra attaccava;
e poi si ritornava alla coabitazione. Si è commesso l'errore
di scambiare la pax mafiosa, frutto di un rigido
controllo delle cosche, con l'assenza di attività criminali.
 Lo Stato non colpiva Cosa Nostra in quanto associazione
criminale, ma solo quando compiva omicidi particolarmente
gravi. Cosa Nostra, dal canto suo, non colpiva i
rappresentanti dello Stato in quanto tali, ma soltanto coloro
che, compiendo atti repressivi particolarmente efficaci,
derogavano alle regole non scritte della convivenza(60).    In
pratica i rapporti tra istituzioni e mafia si sono svolti per
moltissimi anni come relazioni tra due distinte sovranità;
nessuno dei due ha aggredito l'altro sinché questi restava
entro i propri confini. Le indagini giudiziarie, come osservò
la relazione Carraro, per troppi decenni si sono limitate ad
accertare se esistevano elementi di prova sulle persone
denunciate, e non si sono impegnate a trovare i responsabili
dei delitti commessi. I rapporti di polizia, inoltre, non
erano considerati altrettanti punti di partenza dai quali
sviluppare le indagini, ma il punto di arrivo delle indagini
stesse. Il magistrato inquirente per limiti culturali, per
abitudine, quieto vivere o per peggiori ragioni, sceglieva il
più delle volte per sè stesso un ruolo notarile, di verifica
dell'operato della polizia giudiziaria; rifiutava, in genere,
un ruolo propulsore, investigativo. Di qui l'altissimo numero
di assoluzioni per insufficienza di prove.
    50. Solo la sottovalutazione della necessità di
combattere la mafia in quanto tale, può spiegare perché le
leggi antimafia più importanti sono tutte successive ai grandi
delitti.
    La legge sulle misure di prevenzione (1965) successiva
alla strage di Ciaculli (1963); la proposta di legge
presentata dal deputato Pio La Torre il 31 marzo 1980 e che
sino a quel momento aveva visto l'approvazione di un solo
articolo, fu approvata in dieci giorni, dopo l'assassinio del
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa(61). Le integrazioni della
legge La Torre e la concessione di più incisivi poteri
all'Alto Commissario antimafia (legge 15 novembre 1988,
n.486), seguirono all'omicidio del presidente Antonino Saetta
(25 settembre 1988).
    Le leggi in materia di sequestri di persona e di
protezione dei collaboratori di giustizia (L. 15 marzo 1991,
n.197), di buon andamento dell'attività amministrativa (L. 12
luglio 1991, n.203), di
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    (59) Cfr. res. sten. audizione prefetto Angelo
Finocchiaro, 12 gennaio 1993,p. 740.
    (60) Res. sten. Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, p. 1258.
    (61) Nei mesi precedenti la presentazione erano stati
uccisi Michele Reina, segretario provinciale della DC (9 marzo
1979), Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo
(21 luglio 1979), Cesare Terranova, capo dell'ufficio
istruzione di Palermo (25 settembre 1979), Pier Santi
Mattarella, presidente della Regione siciliana (6 gennaio
1980). Dopo la presentazione e prima dell'omicidio di Carlo
Alberto Dalla Chiesa (3 settembre 1982) vennero uccisi il
capitano Emanuele Basile, Comandante della Compagnia di
Monreale (3 maggio 1980), il procuratore della Repubblica di
Palermo Gaetano Costa (6 agosto 1980), lo stesso Pio La Torre
(30 aprile 1982), tre carabinieri di scorta al mafioso Alfio
Ferlito, più l'autista e lo stesso Ferlito (16 giugno 1982,
cosiddetta strage della Circonvallazione), Paolo Giaccone (12
agosto 1982), medico legale, che si era rifiutato di redigere
una falsa perizia in favore di Giuseppe Marchese, responsabile
della strage di Bagheria, che inizierà la collaborazione con
l'autorità giudiziaria dopo la strage di Capaci. La sequenza è
impressionante, erano state decapitate tutte le istituzioni,
ma solo l'omicidio del prefetto Dalla Chiesa convinse della
necessità di una svolta strategica nella lotta contro la
mafia.
                        Pag. 1828
scioglimento dei consigli comunali inquinati (L. 22 luglio
1991, n.221), di irrigidimento del processo penale,
trasparenza degli appalti e dell'attività amministrativa (L.
13 maggio 1991, n.152), di coordinamento dell'attività
antimafia della polizia (L. 30 dicembre 1991, n.410 e L. 20
gennaio 1992, n.8), di limitazione dell'elettorato passivo per
gli imputati di reati di mafia (L. 18 gennaio 1992, n.16),
furono precedute ed accompagnate da un fortissimo clima di
tensione dovuto ad un eccezionale numero di omicidi nelle
regioni tradizionalmente infestate dalla mafia. Gli omicidi di
mafia furono 226 nel 1988, 377 nel 1989, 557 nel 1990, 718 nel
1991(62).
    L'opinione pubblica fu straordinariamente colpita da un
omicidio, quello del giovane magistrato Rosario Livatino (21
settembre 1990) ad Agrigento.
    Il decreto-legge antiracket, richiesto da tempo,
venne presentato il 31 dicembre 1991, dopo l'omicidio a
Palermo dell'imprenditore Libero Grassi (29 agosto 1991).
    Le più recenti misure antimafia sono state introdotte con
decreto legge 8 giugno 1992, 15 giorni dopo l'assassinio del
giudice Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e furono convertite
in legge il 7 agosto 1992, diciannove giorni dopo l'assassinio
del giudice Paolo Borsellino (19 luglio). Le prime proposte di
riforma del codice di procedura penale, accolte in quel
decreto, erano state avanzate all'unanimità dalla Commissione
antimafia nell'ottobre 1991.
    La faticosa approvazione di questi provvedimenti, nella
gran parte dei casi indispensabili per una più moderna lotta
contro la mafia, è stata frenata da un lento processo
applicativo.
    Le più significative innovazioni avanzate nella X
legislatura, quelle che prevedono regolamenti amministrativi
di esecuzione, hanno cominciato a trovare applicazione
soltanto nella legislatura successiva.
    Per superare queste lentezze si cerca a volte di
recuperare il terreno perduto con provvedimenti eccezionali:
ma contro la mafia serve una "straordinaria ordinarietà", un
eccellente funzionamento degli strumenti ordinari. Gli
strumenti straordinari reggono se funziona l'ordinario;
altrimenti, come è accaduto tante volte, vengono risucchiati
nella generale dispersione.
    51. Nonostante i ritardi, c'è un forte risveglio nelle
istituzioni e nella società civile e la repressione dei
livelli militari della mafia sta procedendo con efficacia.
    Questi risultati, ottenuti con un sistema di risposta non
ancora perfezionato, devono convincere le autorità di governo
ad agire energicamente perché vengano accantonate esasperanti
rivalità, perché vengano premiati coloro che hanno manifestato
efficienza e capacità professionale, perché vengano
individuati i responsabili di vecchie e nuove connivenze.
    52. Il clima di "coabitazione" ha impedito di prendere
tempestivamente in considerazione informazioni preziose,
proprio perché riferentesi a Cosa Nostra in quanto tale e
sganciate dalla responsabilità per specifici gravi delitti.
    E' noto il caso del mafioso Leonardo Vitale che il 30
marzo 1973 si presentò spontaneamente alla squadra mobile di
Palermo, confessò delitti da lui stesso commessi, riferì
notizie di eccezionale rilievo su
----------
    (62) Dati desunti dai dossiers "Andamento della
criminalità. Situazione aggiornata", relativi agli anni 1989,
1990, 1991, redatti dal Ministero dell'interno.
                        Pag. 1829
Cosa Nostra; nel giudizio, venne ritenuto attendibile e
condannato solo per le accuse che riguardavano se stesso;
venne invece ritenuto seminfermo di mente e non attendibile
per le accuse rivolte agli altri componenti di Cosa Nostra;
uscì dal carcere nel giugno 1984, fu ferito gravemente in un
agguato il 2 dicembre dello stesso anno e morì cinque giorni
dopo.
    Meno nota un'altra vicenda altrettanto grave. Il 25
agosto 1978 i carabinieri di Palermo presentarono alla Procura
di quella città un rapporto giudiziario scaturente dalle
confessioni spontaneamente rese da Giuseppe Di Cristina, boss
di Riesi, e dalle indagini conseguenti. Di Cristina aveva
anticipato la guerra di mafia che porterà i corleonesi ai
vertici di Cosa Nostra; aveva annunciato l'omicidio di Cesare
Terranova (che verrà ucciso il 25 settembre 1979); aveva
indicato la famiglia dei Brusca di San Giuseppe Jato come una
tra le più pericolose alleate dei corleonesi; aveva svelato
l'organigramma delle famiglie mafiose; aveva fornito
informazioni nuove ed assai rilevanti sul traffico di
stupefacenti. Ma sulla base di quel rapporto non venne
compiuta alcuna indagine.
    53. La "coabitazione" è stata un criterio largamente
dominante, ma non esclusivo nei rapporti tra Stato e mafia.
    Lo Stato la interruppe dopo la strage di Ciaculli nel
1963, dopo l'omicidio del procuratore di Palermo Pietro
Scaglione nel 1971 e dopo l'assassinio del generale Dalla
Chiesa nel 1982. In tutti e tre i casi le risposte immediate
furono eccellenti ma si arenarono dopo pochi anni.
    La prima si arenò verso la fine degli anni '60 dopo la
mite sentenza emessa nel 1968 dalla Corte di Assise di
Catanzaro. La seconda nel 1974 dopo la sentenza del tribunale
di Palermo contro Albanese 74, con la condanna soltanto di 34
imputati a pene miti e per lo più già espiate. La terza si
arenò nel 1988, quando la maggioranza del CSM decise di
inviare a dirigere l'Ufficio istruzione di Palermo, non
Giovanni Falcone, ma Antonino Meli, un magistrato più anziano,
del tutto inidoneo a comprendere il processo di
modernizzazione della mafia. Il dr. Meli sollevò conflitto di
competenza con il tribunale di Termini Imerese, sostenendo che
Cosa Nostra non era una struttura unitaria. La prima sezione
penale della Cassazione gli dette ragione e le inchieste si
frantumarono in decine di rivoli l'uno separato dall'altro e
tutti inoffensivi per Cosa Nostra(63).
    Il fatto che in quelle occasioni le risposte dello Stato
ci furono, dimostra che è ben possibile sconfiggere Cosa
Nostra. Le modalità del loro arenarsi dimostrano che la forza
di Cosa Nostra non è tanto in se stessa quanto nelle debolezze
del sistema politico, nella episodicità degli interventi e
nelle contraddizioni degli apparati istituzionali.
    54. Cosa Nostra ruppe, a sua volta, le regole della
"coabitazione" quando ai suoi vertici ascesero i corleonesi,
in una "guerra" che durò
----------
    (63) Lo spezzettamento dei processi è un grave errore non
solo perché non consente una valutazione uniraria di un
fenomeno che è unitario, ma anche perché disperde e
contrappone preziose energie giudiziarie. Oggi non si profila
un errore analogo a quello compiuto dalla prima sezione della
Cassazione nel caso citato nel testo. Può profilarsi, invece,
il rischio che per un malinteso "primato" nella gestione dei
diversi procedimenti nascano tensioni tra vari uffici
giudiziari che possano avere come effetto quella dannosa
frantumazione delle indagini.
                        Pag. 1830
tra fine degli anni '70 e i primi anni '80. I collaboratori
della giustizia ascoltati dalla Commissione hanno chiarito che
prima dell'avvento dei corleonesi il principio di fondo era
che "non si doveva fare la guerra allo Stato"(64).
    Sino a quel momento la violenza era stata usata sul
fronte interno per i regolamenti di conti e per eliminare
testimoni pericolosi; sul fronte esterno per colpire avversari
politici, come nei casi degli assassinii dei capilega e dei
sindacalisti e nel caso, meno noto, dell'assassinio di
Pasquale Almerico, ex sindaco di Camporeale e segretario della
locale sezione DC, ucciso la sera del 25 marzo 1957 perché
contrastava nel suo comune lo strapotere del capomafia Vanni
Sacco. Questi fu assolto per insufficienza di prove dalla
Sezione istruttoria della Corte d'Appello di Palermo il 21
luglio 1958.
    I corleonesi, invece, proposero una strategia di tipo
diverso, fondata su un più immediato ricorso all'omicidio,
anche nei confronti di quelle autorità dello Stato che non si
piegavano al compromesso. D'altra parte, il ricorso alla
violenza veniva deciso molto spesso senza ricercare il
consenso di tutte le componenti della commissione
interprovinciale. Questa strategia corrispondeva ai caratteri
originari del gruppo che faceva capo a Liggio, a Riina e a
Provenzano. Si trattava di mafiosi che si erano affermati dopo
una lunga guerra contro i vecchi boss culminata con l'omicidio
di Michele Navarra, capo della mafia di Corleone (2 agosto
1958, ad opera di Luciano Liggio, suo luogotenente), abituati
a latitanze disagiate nelle campagne del corleonese,
intendevano egemonizzare il traffico di stupefacenti e
dominare sulle famiglie mafiose di Palermo, non erano abituati
alle frequentazioni della città ed anzi erano presi in giro
per la loro rozzezza(65).
    A questo mutamento di strategia corrisposto un alto
numero di omicidi di esponenti delle forze dell'ordine,
magistrati, politici.
    55. Il rapporto tra mafia e politica negli anni che vanno
dalla morte di Salvatore Giuliano ai nostri giorni è stato
particolarmente complesso. Lo snodo decisivo è costituito
dalla trasformazione della mafia del latifondo in mafia dei
suoli urbani, una modernizzazione rapida e violenta, indotta
da quello che fu chiamato "il sacco di Palermo".
    Nacque un nuovo modello di comportamento mafioso, che si
è successivamente esteso a tutto il Mezzogiorno e all'interno
del quale si sono intrecciati i rapporti tra la mafia, i
burocrati, i politici e gli imprenditori.
    56. Il passaggio dalla mafia di campagna a quella di
città avviene tra la fine degli anni '50 e gli inizi degli
anni '60, in coincidenza con due fattori, uno demografico ed
uno politico.
    Nella svolta di fine decennio si verifica in tutta Italia
un processo di urbanizzazione. A Palermo questo processo è
frenetico. In dieci anni, dal 1951 al 1961, gli abitanti
aumentano di centomila unità. Cosa Nostra si rende conto che
la città può diventare un Eldorado e rivolge perciò la propria
interessata attenzione in una prima fase ai mercati
----------
    (64) L'espressione è di Gaetano Badalamenti cfr la
relazione del sen. Massimo Brutti sulle DDA.
    (65) Cfr., ad es. resoconto stenografico dell'audizione
di Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, p. 372.
                        Pag. 1831
ortofrutticoli, che costituiscono il tramite tra le risorse
della campagna, ove la sua forza resta considerevole, e le
esigenze della città che va crescendo. Ma non fatica ad
accorgersi che il grande affare di quegli anni è l'edilizia.
Il processo di urbanizzazione preme su Palermo.
Contemporaneamente si assiste ad una profonda trasformazione
nei gruppi dirigenti della città. Nel 1954 Amintore Fanfani
vince il congresso nazionale della DC sulla linea
dell'assoluta centralità democristiana. I gruppi dirigenti
democristiani dell'isola avevano sino a quel momento tenuto ai
bordi del campo i partiti liberale e monarchico, cui facevano
riferimento i vecchi latifondisti con il loro seguito di
capimafia. La vittoria di Amintore Fanfani porta ad un cambio
della guardia anche a Palermo; le redini vengono prese da
Gioia e Lima, che inglobano i vecchi latifondisti con il loro
seguito e si lanciano sullo sviluppo urbanistico di Palermo.
    Dal 1959 al 1964 è sindaco Salvo Lima, vicino alla
mafia di Bontate; assessore ai lavori pubblici è Vito
Ciancimino, legato invece ai corleonesi. Furono gli anni del
"sacco di Palermo", con l'avvio di un patto tra mafia,
amministrazione pubblica e costruttori, che diventò un modello
criminale per moltissime aree del Mezzogiorno.
    Si crearono molte "cordate" tra mafiosi,
imprenditori e singoli uomini politici, che portarono allo
snaturamento delle funzioni pubbliche, alla distruzione del
mercato, alla ridicolizzazione della legalità amministrativa.
Nacque la particolarità palermitana delle "alleanze verticali"
tra mafiosi, imprenditori, burocrati, professionisti e uomini
politici, l'una contrapposta all'altra.
    Gli uomini politici che contavano avevano ciascuno
i propri imprenditori, i propri professionisti e il proprio
capomafia. Nacque una sorta di sistema integrato di
competenze, di funzioni e di poteri che aveva il suo centro di
gravità in Cosa Nostra e che riusciva a condizionare le
vicende della spesa pubblica, gli equilibri politici e i
rapporti di forza tra i vari gruppi di Cosa Nostra. La lotta
politica diventava immediatamente terreno per ampliamenti o
restrizioni delle fette di mercato dei contendenti e Cosa
Nostra interveniva frequentemente, con la minaccia o con
l'eliminazione fisica, anche nelle vicende politiche perché da
esse, in quell'assetto, dipendevano le sorti degli
imprenditori, le entrate della mafia ed il peso dei singoli
uomini d'onore.
    Il rapporto del dr. Bevivino, incaricato il 15
novembre 1963 dal presidente della regione D'Angelo, di
compiere un'ispezione straordinaria presso il comune di
Palermo (AAPP, Senato della Repubblica, VIII Leg., doc.
allegata alla relazione conclusiva della Commissione
antimafia, Doc. XXIII, n.1), ed allegato agli atti della
Commissione, documenta uno straordinario artificio di
falsificazioni, che culminò nella concessione di 2.500 licenze
edilizie su un totale di 4.000 a tre pensionati, che fungevano
da prestanome di uomini di Cosa Nostra o di imprenditori
sospetti.
    Qui preme indicare i mutamenti che la vicenda
edilizia impose nei rapporti tra mafia e politica. Quel
rapporto, che nel passato era stato occasionale, diventa
essenziale perché l'edilizia comporta per necessità un
rapporto con la pubblica amministrazione e con gli uomini
politici che ne sono responsabili.
                        Pag. 1832
    Ma è un rapporto che per forza di cose non si ferma
all'edilizia. Investe tutte le attività comunali, gli appalti,
le locazioni, le manutenzioni. E' criterio guida per fare e
disfare alleanze politiche, maggioranze e governi locali. Il
comune in quest'ottica è considerato una mucca da mungere
sinché si può, una stazione di smistamento della spesa
pubblica, ma anche una sede nella quale arrivare ad insediare
uomini che operino per conto della cordata(66). La mafia si
modernizza, diventa mafia di città e di affari, cerca di
integrarsi coni centri più importanti nella vita della città,
spesso riuscendovi. La cultura dello scambio, del rapporto
permanente ed integrato con il politico nasce in questa fase e
su quel terreno.
    Non è solo un salto di qualità nel rapporto mafia e
politica; nasce un modello che ritroviamo oggi in molte città
del sud e che si riprodurrà in Campania, con un'accelerazione
violenta dopo il terremoto, quando il passaggio dalla camorra
"solidaristica" di Cutolo a quella di Bardellino, affaristica
ed incline al rapporto con gli enti locali, sarà proprio
legato alla spesa per la ricostruzione.
    Bardellino d'altra parte, che era uomo d'onore, come Zaza
e Nuvoletta, conosceva già la tecnica dell'intreccio tra
mafia, affari ed enti locali.
    57. Nei trent'anni successivi i rapporti tra uomini della
mafia ed esponenti della politica si sviluppano sui diversi
piani con diverse modalità e responsabilità e secondo diverse
linee-guida.
    Il terreno fondamentale sul quale si costituiscono e si
rafforzano i rapporti di Cosa Nostra con esponenti dei
pubblici poteri e delle professioni private è rappresentato
dalle logge massoniche. Il vincolo della solidarietà massonica
serve a stabilire rapporti organici e continuativi. L'ingresso
nelle logge di esponenti di Cosa Nostra, anche di alto
livello, non è un fatto episodico ed occasionale, ma
corrisponde ad una scelta strategica. Il giuramento di fedeltà
a Cosa Nostra resta l'impegno centrale al quale gli uomini
d'onore sono prioritariamente tenuti. Ma le affiliazioni
massoniche offrono all'organizzazione mafiosa uno strumento
formidabile per estendere il proprio potere, per ottenere
favori e privilegi in ogni campo: sia per la conclusione di
grandi affari sia per "l'aggiustamento" dei processi, come
hanno rivelato numerosi collaboratori di giustizia. Tanto più
che gli uomini d'onore nascondono l'identità dei "fratelli"
massonici, ma questi ultimi possono anche non conoscere la
qualità di mafioso del nuovo entrato.
    Oltre alle logge massoniche, Cosa Nostra stabilisce
rapporti con settori o singoli esponenti del sistema politico,
anche attraverso il controllo del voto e del meccanismo degli
appalti. Si tratta di due canali istituzionali, su cui pesano
fortemente le attività di intimidazione e di corruzione che
Cosa Nostra è in grado di dispiegare.
    58. Rapporti tra Cosa Nostra e la Massoneria erano già
emersi nell'ambito dell'attività di due commissioni
parlamentari d'inchiesta, quella sul caso Sindona e quella
sulla loggia massonica P2, che avevano approfondito la vicenda
del finto rapimento del finanziere e della sua permanenza in
Sicilia dal 10 agosto al 10 ottobre 1979.
----------
    (66) Res. sten. Leonardo Messina, 4 dicembre 1992,
p.602.
                        Pag. 1833
    Della vicenda si erano anche occupate la magistratura
milanese e quella palermitana, accertando i collegamenti di
Sindona con esponenti mafiosi e con appartenenti alla
massoneria.
    In Sicilia sono particolarmente presenti comunioni e
pseudocomunioni massoniche che si richiamano all'obbedienza di
Piazza del Gesù, con peculiarità organizzative che le
contraddistinguono rispetto all'altra obbedienza massonica,
quella del Grande Oriente d'Italia. Le comunioni di Piazza del
Gesù, infatti, sono spesso caratterizzate dalla presenza di
strutture organizzative che aggregano gli affiliati sulla base
della comune professione svolta (camere
tecnico-professionali), sovrapponendosi alla tradizionale
organizzazione territoriale (logge). Molte logge di queste
comunioni, spesso coperte, operano esclusivamente nel campo
delle cosiddette "attività profane", professionali, politiche,
amministrative, affaristiche. Esse si caratterizzano per una
troppo estensiva interpretazione del concetto di solidarietà
massonica e sono perciò in grado di determinare gravi
interferenze nell'esercizio di funzioni pubbliche.
    Sui rapporti tra mafia e circoli massonici esiste una
piena corrispondenza tra gli elementi acquisiti dalle
commissioni d'inchiesta sul caso Sindona, sulla loggia
massonica P2, da questa commissione, dall'autorità giudiziaria
e quelli forniti dai collaboratori della giustizia.
    Nel gennaio 1986 la magistratura palermitana aveva
disposto una perquisizione e un sequestro presso la sede
palermitana del Centro sociologico italiano, sito in Via Roma,
391. Furono sequestrati gli elenchi degli iscritti alle logge
siciliane della Gran Loggia d'Italia di Piazza del Gesù. La
Commissione antimafia ha recentemente acquisito le schede
anagrafiche di quegli iscritti: tra i quali figurano Salvatore
Greco e Giacomo Vitale.
    Sui 2.032 nominativi in questione e su quelli di altri
400 affiliati a logge siciliane, questi ultimi già resi
pubblici dalla Commissione P2, sono state elaborate analisi
statistiche. Di particolare interesse appare quella relativa
alla distribuzione dei soggetti, in base ai periodi di
iscrizione, aggregati per quinquenni, che rivela un'impennata
delle iscrizioni proprio nel quinquennio 1976-1980, che
conferma le dichiarazioni dei diversi collaboratori.
    I riscontri effettuati negli archivi delle forze di
polizia hanno inoltre messo in luce che molti dei soggetti
presi in esame risultano avere precedenti penali per reati di
mafia.
    Nell'aprile del 1986 la magistratura trapanese dispose il
sequestro di molti documenti presso la locale sede del Centro
studi Scontrino. Il centro studi, di cui era presidente
Giovanni Grimaudo (con precedenti penali per truffa,
usurpazione di titolo, falsità in scrittura privata e
concussione), era anche la sede di sei logge massoniche:
Iside, Iside 2, Osiride, Ciullo d'Alcamo, Cafiero ed Hiram.
L'esistenza di un'altra loggia segreta, trovò una prima
conferma nel rinvenimento, in un'agenda sequestrata al
Grimaudo, di un elenco di nominativi annotati sotto la
dicitura "loggia C"; tra questi quello di Natale L'Ala, capo
mafia di Campobello di Mazara.
    Nella loggia Ciullo d'Alcamo risultano essere stati
affiliati: Fundarò Pietro, che operava in stretti rapporti con
il boss mafioso Natale
                        Pag. 1834
Rimi; Pioggia Giovanni, della famiglia mafiosa di Alcamo;
Asaro Mariano, imputato nel procedimento relativo
all'attentato al giudice Carlo Palermo.
    Nel procedimento trapanese contro Grimaudo vari testimoni
hanno concordato nel sostenere l'appartenenza alla massoneria
di Mariano Agate; dagli appunti rinvenuti nelle agende
sequestrate al Grimaudo risultano poi collegamenti con i boss
mafiosi Calogero Minore e Gioacchino Calabrò, peraltro
suffragati dai rapporti che alcuni iscritti alle logge
intrattenevano con gli stessi.
    Alle sei logge trapanesi ed alla "loggia C" erano
affiliati amministratori pubblici, pubblici dipendenti
(comune, provincia, regione, prefettura), uomini politici
(l'onorevole Canino ha ammesso l'appartenenza a quelle logge,
pur non figurando il suo nome negli elenchi sequestrati),
commercialisti, imprenditori, impiegati di banca.
    Gli affiliati a questo sodalizio massonico interferivano
sul funzionamento di uffici pubblici, si occupavano di appalti
e di procacciamento di voti in occasione delle competizioni
elettorali, tentavano di favorire posizioni giudiziarie e di
corrompere appartenenti alle forze dell'ordine amici.
    Il Grimaudo risulta aver chiesto soldi agli onorevoli
Canino (DC) e Blunda (PRI) per sostenerne la campagna
elettorale; la moglie di Natale L'Ala ha testimoniato che, su
richiesta del Grimaudo, il marito si attivò per favorire
l'elezione degli onorevoli Nicolò Nicolosi (DC) e Aristide
Gunnella (PRI).
    Particolare rilevanza assume, infine, nel contesto
descritto, il rapporto di Grimaudo con Pino Mandalari.
Mandalari fu arrestato nel 1974 per favoreggiamento nei
confronti di Leoluca Bagarella e nel 1983, fu imputato con
Rosario Riccobono. E' legato a Totò Riina e socio fondatore
nel 1974, con il mafioso Giuseppe Di Stefano, della società
Stella d'oriente di Mazzara del Vallo, della quale fece parte
dal 1975 Mariano Agate. Della società facevano parte parenti
del boss camorristico Nuvoletta, membro di Cosa Nostra.
Mandalari è un esponente significativo della massoneria e
riconobbe, nel 1978, le logge trapanesi che facevano capo a
Grimaudo(67).
    Nel 1973 Gelli convocò nella sua villa di Arezzo i
vertici dell'Arma dei Carabinieri auspicando l'avvento di un
governo di destra presieduto dal magistrato Carmelo Spagnuolo.
Il collaboratore Leonardo Messina ha parlato di un tentativo
eversivo, che avrebbe dovuto verificarsi nello stesso anno,
del quale Cosa Nostra era stata messa a conoscenza tramite le
proprie relazioni massoniche.
    I magistrati di Milano e di Palermo hanno accertato i
collegamenti di Sindona con esponenti della mafia e della
massoneria siciliana, nel corso della vicenda del finto
rapimento del finanziere e della sua permanenza in Sicilia dal
10 maggio al 10 ottobre 1979. Sindona era stato aiutato da
Giacomo Vitale, cognato di Stefano Bontate e Joseph Miceli
Crimi, entrambi aderenti ad una comunione di Piazza del Gesù,
il C.A.M.E.A (Centro attività massoniche esoteriche
accettate).
    Nel 1984 Buscetta aveva per la prima volta parlato del
rapporto tra mafia e massoneria nel contesto del tentativo
golpista di Junio
----------
    (67) Giovanni Grimaudo risulta anche iscritto ad una
delle logge di Via Roma, 391.
                        Pag. 1835
Valerio Borghese del dicembre 1970; anche Luciano Liggio e
Antonino Calderone rievocano, in momenti diversi, lo stesso
episodio davanti ai giudici palermitani.
    Le dichiarazioni recentemente rese alla magistratura ed
alla Commissione antimafia da Calderone, Buscetta, Messina,
Mutolo e Mannoia, confermano le conoscenze già acquisite e
forniscono ulteriori elementi utili per ridisegnare l'insieme
dei collegamenti intercorsi nel tempo tra Cosa Nostra e la
massoneria.
    Le richieste di cooperazione erano sollecitate dalla
massoneria e talora accolte da Cosa Nostra in una logica
utilitaristica. Cosa Nostra ha conservato la sua autonomia
decisionale e non è mai stata subalterna alla massoneria, con
la quale non ha condiviso strategie, limitandosi a compiere
azioni che potevano anche risultare gradite alla massoneria,
ma che da questa non erano mai state imposte.
    Antonino Calderone sostiene che nel 1977 una loggia
segreta della massoneria avrebbe chiesto ai vertici di Cosa
Nostra di far affiliare due uomini d'onore per ciascuna
provincia. Stando a quanto riferitogli dal fratello Giuseppe,
la proposta sarebbe stata accettata, con l'ingresso in
massoneria di Michele Greco e Stefano Bontate per la provincia
di Palermo; di Giuseppe Calderone e di un altro uomo d'onore
per la provincia di Catania; di Bongiovino per quella di Enna
e di Totò Minore per quella di Trapani. I personaggi citati
rappresentavano all'epoca i vertici di Cosa Nostra. Calderone
ha illustrato il ruolo che gli iscritti alla massoneria
potevano svolgere nel favorire la posizione giudiziaria degli
uomini d'onore, avvicinando i magistrati massoni.
    Tommaso Buscetta dichiara che alcuni massoni si erano
interessati al cosiddetto "processo dei 114"(68) e che il
massone Giacomo Vitale aveva accompagnato Michele Sindona,
massone anch'egli, presso Salvatore Inzerillo e Stefano
Bontate.
    Nel corso della sua audizione davanti alla Commissione
antimafia, Buscetta conferma le dichiarazioni rese alla
magistratura sul golpe Borghese. Il collegamento tra Cosa
Nostra e gli ambienti golpisti era stato stabilito attraverso
il fratello massone di Carlo Morana, uomo d'onore; la
contropartita offerta a Cosa Nostra consisteva nella revisione
di alcuni processi. Buscetta parla del coinvolgimento della
massoneria al tentativo eversivo del 1974. Al golpe erano
interessati ambienti massonici e militari, ma certamente anche
Cosa Nostra, sostiene Buscetta, poiché il direttore, anch'egli
massone, del carcere dell'Ucciardone lo informò dell'evento,
assicurandogli che nell'occasione lo avrebbe fatto evadere
ospitandolo a casa sua. Sostiene inoltre che Sindona nel '79
lasciò la Sicilia perché Cosa Nostra non condivise il suo
progetto separatista.
    Leonardo Messina nella sua audizione dichiara che il
vertice di Cosa Nostra sarebbe affiliato alla massoneria e, in
particolare, sarebbero massoni Totò Riina, Michele Greco,
Francesco Madonia, Stefano Bontate, Giacomo Vitale, Mariano
Agate, nonché vari esponenti della famiglia di San Cataldo:
Nicola Terminio (che avrebbe affiliato in massoneria Bontate),
Moreno Micciché e Gaetano Piazza(69). Terminio e Piazza
avrebbero ospitato a San Cataldo Sindona durante la sua
permanenza in Sicilia. E' anche iscritto alla massoneria
l'imprenditore Angelo Siino(70), referente dei corleonesi
nella gestione
----------
    (68) Processo contro Angelo La Barbera ed altri svoltosi
presso la Corte d'assise di Catanzaro nel 1968 (sentenza del
22.12.1968).
    (69) Gaetano Piazza risulta essere affiliato alla loggia
coperta periferica I normanni di Sicilia di Palermo della Gran
Loggia d'Italia degli A.L.A.M.: vedi allegati relazioni
Commissione P2, volume IV, tomo 2, p. 1.153.
    (70) Siino risulta essere affiliato alla loggia Orion di
Palermo del CAMEA insieme a Giacomo Vitale: vedi allegati
relazione Commissione P2, volume VI, tomo XIV, pag. 167.
                        Pag. 1836
degli appalti in Sicilia. Messina ritiene che spetti alla
commissione provinciale di Cosa Nostra decidere l'ingresso in
massoneria di un certo numero di rappresentanti per ciascuna
famiglia; trattasi, in particolare, di un'ala segreta della
massoneria, per cui non sarà mai possibile dimostrare queste
affiliazioni.
    A suo giudizio il rapporto mafia-politica si concretizza
attraverso gli appalti e la massoneria. Quest'ultima è
definita "un punto di incontro per tutti". Cosa Nostra può
ritenere utile avere propri uomini all'interno della
massoneria o stabilire rapporti con massoni: servono per
combinare appalti, contattare magistrati al fine di
"aggiustare" processi, garantire contatti esterni.
    Gaspare Mutolo ha sostenuto davanti alla Commissione
antimafia di non essere a conoscenza diretta dell'appartenenza
di uomini d'onore alla massoneria, ma di aver sentito parlare,
soprattutto in tempi più recenti, dell'importanza che la
massoneria rivestiva per Cosa Nostra "in quanto tutti i punti
chiave, sia commercialmente, sia nelle istituzioni, si sa che
sono occupati per la maggior parte da massoni".
    Mutolo conferma che alcuni uomini d'onore possono essere
stati autorizzati ad entrare in massoneria "per avere strade
aperte ad un certo livello" e per ottenere informazioni
preziose, ma esclude che la massoneria possa essere informata
delle vicende interne di Cosa Nostra. Gli risulta che iscritti
alla massoneria sono stati utilizzati per "aggiustare"
processi attraverso contatti con giudici massoni. Riferisce
anche sul ruolo svolto dagli psichiatri Semerari e Ferracuti,
di cui non conosceva la comune appartenenza alla loggia P2,
nel predisporre perizie favorevoli agli uomini d'onore.
    Il complesso delle dichiarazioni dei collaboratori della
giustizia appare dunque essere concordante su almeno tre
punti:
      * intorno agli anni 1977-1979 la massoneria chiese alla
commissione di Cosa Nostra di consentire l'affiliazione di
rappresentanti delle varie famiglie mafiose; non tutti i
membri della commissione accolsero positivamente l'offerta;
malgrado ciò alcuni di loro ed altri uomini d'onore di spicco
decisero per motivi di convenienza di optare per la doppia
appartenenza, ferma restando la indiscussa fedeltà ed
esclusiva dipendenza da Cosa Nostra;
      ** nell'ambito di alcuni episodi che hanno segnato la
strategia della tensione nel nostro Paese, vale a dire i
tentativi eversivi del 1970 e del 1974, esponenti della
massoneria chiesero la collaborazione della mafia;
      *** all'interno di Cosa Nostra era diffuso il
convincimento che l'adesione alla massoneria potesse risultare
utile per stabilire contatti con persone appartenenti ai più
svariati ambienti che potevano favorire gli uomini d'onore.
    59.E' pacifico che Cosa Nostra influisce sul voto. Ciò
non corrisponde ad una scelta ideologica, ma alla convenienza
di sfruttare nel miglior modo possibile il radicamento sociale
e territoriale: i vasti compiti degli enti locali hanno
incentivato l'attenzione della mafia per le amministrazioni
comunali.
    Non sembra sia stata ancora svolta una analisi seria
degli effetti che ha avuto sulla crescita dei rapporti tra
mafia ed enti locali il tradizionale decentramento della
spesa. Piccole amministrazioni comunali, prive di strutture
burocratiche adeguate, e prive anche dei necessari livelli di
competenza, si sono trovate a spendere somme
                        Pag. 1837
enormi che sono finite frequentemente nelle mani di
speculatori, o di gruppi mafiosi. Troppo spesso il
decentramento è stato puro spostamento di poteri dal centro
alla periferia senza creazione di supporti efficienti e
culture adeguate.
    60. Agli atti della Commissione ci sono documenti che non
riguardano solo l'attivazione "spontanea" di Cosa Nostra verso
uno o più candidati, ma l'attivazione dei candidati verso gli
uomini di Cosa Nostra. Alcuni candidati hanno pagato somme di
danaro in cambio dei voti. L'appoggio di Cosa Nostra può anche
consistere nella prestazione di una particolare "vigilanza" a
favore del candidato che, girando per il collegio insieme agli
uomini della famiglia, non solo è protetto nella sua
incolumità, ma mostra ai suoi elettori, di essere sostenuto da
uomini che contano.
    Il procuratore della Repubblica di Caltannissetta così ha
sintetizzato le tre ipotesi possibili di intervento di Cosa
Nostra nella campagna elettorale:
    "... La mafia decide: questo picciotto è uomo d'onore, è
laureato, ha cultura, si presenta bene, ne facciamo un
politico, i voti li abbiamo e possiamo portarlo
nell'amministrazione locale, in quella regionale o in
Parlamento.... La seconda ipotesi è quella di un uomo politico
non mafioso che chiede aiuto a Cosa Nostra per la sua campagna
elettorale.... La terza ipotesi, infine è quella dell'uomo
politico il quale, pur non facendo parte di Cosa Nostra, è
talmente vicino ad essa che ne riceve un aiuto concreto (il
guardaspalle, l'autista, la garanzia di tranquillità nel corso
della campagna elettorale e via dicendo). In sostanza si crea
un rapporto di dare-avere: "Ti do i voti in cambio
dell'appoggio che fornirai quando servirà"(71).
    Per comprendere il rilievo di questo scambio si può
ricordare quanto ha riferito un magistrato della Direzione
Distrettuale di Catania. Da un'intercettazione ambientale è
risultato che un gruppo mafioso rivendicava nei confronti di
altro gruppo il contributo decisivo dato all'elezione di un
candidato e conseguentemente manifestava una sorta di
"proprieta'" dell'eletto in relazione alle prestazioni che
questi avrebbe potuto successivamente assicurare. Magistrati
della stessa Direzione hanno riferito che nell'ambito del loro
distretto si registra, naturalmente non da parte di tutti i
partiti, nè da parte di tutti i candidati, un ricorso
sistematico ai gruppi mafiosi per ottenerne il voto.
    Cosa Nostra non ha mai avuto preclusioni. Nessun partito
può essere aprioristicamente immune. Ma i mafiosi non votano a
caso; scelgono naturalmente candidati non ostili alla mafia e
vicini agli interessi dei singoli gruppi. A Palermo, ha
ricordato il dr. Giaocchino Natoli, sostituto procuratore
della Repubblica, dalle indagini compiute risulta che i
mafiosi "facevano convergere naturalmente i loro voti verso la
democrazia cristiana, in quanto essa aveva rappresentato, fin
dalla costituzione della Repubblica, il centro e l'asse
d'equilibrio
----------
    (71) Cfr. res. sten. audizione Procura Distrettuale di
Caltanissetta, 17 novembre 1992, p. 448, 449.
                        Pag. 1838
dell'intero sistema(72). Ma nello stesso capoluogo ed in
altre aree della Regione i voti vanno anche a candidati di
altri partiti. La Commissione ritiene che questo problema vada
visto nella sua obbiettiva storicità e ciò comporta l'esigenza
di precisare i seguenti criteri:
      * la scelta del partito e degli uomini è ispirata ad
una logica di pura convenienza; più conta il partito e più
ampia è la disponibilità di Cosa Nostra; questo spiega
l'appoggio costantemente fornito a candidati appartenenti a
partiti di governo, ancorché piccoli. Per questi anzi la
dimensione ristretta dell'elettorato rende i voti di Cosa
Nostra più produttivi, talora essenziali al raggiungimento del
quorum ed alla elezione dei candidati.
      ** Il rapporto tra Cosa Nostra e i politici è di
dominio della prima nei confronti dei secondi; la
disponibilità di mezzi coercitivi conferisce a Cosa Nostra una
illimitata possibilità di richiesta e di convincimento;
      *** da ciò non può derivare una interpretazione
vittimistica di quel rapporto; il politico non è costretto ad
accettare i voti di Cosa Nostra e se li accetta non può non
sapere quali saranno le richieste e gli argomenti dei suoi
partners;
      **** oggi, essendo cresciuta la sensibilità delle
istituzioni e dell'opinione pubblica, il tradizionale rapporto
mafia-politica può avere risvolti tragici: per il politico è
impossibile sottrarsi all'abbraccio di Cosa Nostra una volta
che ha chiesto ed accettato i voti, ma per lui è sempre più
difficile rendere i favori per i quali è stato eletto.
    61. Cosa Nostra influisce sulle elezioni in vari modi.
    Fa ritenere all'ambiente nel quale opera che è in grado
di controllare il voto e quindi fa nascere negli elettori il
timore di rappresaglie. L'intimidazione è assai diffusa e così
anche il presidio dei seggi. In vari casi si ricorre ai
brogli.
    Più spesso non c'è bisogno di alcuna intimidazione. E'
sufficiente il consiglio. L'assenza di tensione e passione
politica, la concezione per la quale il voto serve soltanto a
contrassegnare l'appartenza ad una clientela e non ad indicare
una scelta ideale, l'appiattimento delle tradizioni politiche
tra i diversi partiti può condurre quasi naturalmente, senza
alcuna forzatura, a rispettare gli ordini di scuderia, come
Messina chiama le designazioni elettorali che venivano dai
vertici di Cosa Nostra.
    62. Da appartenenti alla Commissione è stato chiesto ai
collaboratori della giustizia quale dovesse essere il
comportamento ufficiale dei loro "amici" nei confronti di Cosa
Nostra. La risposta è venuta con l'abituale cinismo degli
"uomini d'onore". Il politico può anche partecipare a
manifestazioni antimafia, fare discorsi contro la mafia,
l'importante è che poi, nella sostanza, protegga gli interessi
di Cosa Nostra. Un politico può anche proporre e far approvare
leggi contro la mafia, se questo è necessario a dargli un
alibi. Importante è che
----------
    (72) Res. sten., audizione della DDA di Palermo, 5
novembre 1992, p. 219.
                        Pag. 1839
quelle leggi non vengano applicate o che i processi si
possano "aggiustare"(73).
    Nel corso dell'audizione di Tommaso Buscetta, il
presidente chiese: "Se un uomo politico amico di Cosa Nostra
deve fare una legge contro di voi... deve avvertirvi e
spiegarvi qualcosa?" Buscetta: "...prima che si approvi una
legge in Italia passano degli anni..." Presidente: "Ma se la
legge si fa?" Buscetta:"Si fa e lui deve conservare
quell'immagine pubblica anche a scapito di Cosa Nostra."
Presidente: "E Cosa Nostra capisce questa cosa?" Buscetta:
"Nel passato la capiva. Non so se adesso la capisca più" (pag.
428).
    63. Nelle vicende riguardanti i rapporti tra mafia e
politica e in una serie di indagini giudiziarie ricorre
costantemente il nome di Salvo Lima.
    Per anni egli è stato l'esponente politico di maggiore
rilievo tra quelli di cui venivano denunciati collegamenti con
Cosa Nostra. Per sette anni, a partire dal 1958, è stato
sindaco di Palermo, poi deputato al Parlamento per tre
legislature e parlamentare europeo per altre tre fino alla sua
morte nel 1992. Ha guidato l'amministrazione comunale di
Palermo negli anni in cui la speculazione edilizia è stata più
intensa ed è cresciuto il potere mafioso.
    La stabilità delle giunte al comune di Palermo ed alla
Provincia si è fondata a lungo sull'accordo politico tra il
gruppo di Lima e quello di Ciancimino, già esponente
democristiano, più volte inquisito, sottoposto a misure di
prevenzione personale e patrimoniale e condannato anche per
reati di mafia. Nel periodo in cui Lima è stato sindaco di
Palermo, Ciancimino è stato assessore ai lavori pubblici per
cinque anni consecutivi(74). Come ha avuto occasione di
dichiarare Elda Pucci, vi era una sostanziale unità di azione
tra i cianciminiani e la corrente che faceva capo a Salvo
Lima. Secondo quanto affermato da Giuseppe Insalaco, è proprio
attraverso l'accordo con Lima che Ciancimino ha portato il
proprio gruppo a confluire per alcuni anni nella corrente di
Giulio Andreotti. E' certo che un incontro tra Lima,
Ciancimino ed Andreotti, volto a realizzare tale intesa, si
svolse in data 6 novembre 1976(75).
    Le conflittualità all'interno della maggioranza
sorgeranno dalla rottura di tale accordo. Ciò porterà
all'ascesa di sindaci democristiani anomali, perché più
autonomi rispetto alle forze che tradizionalmente
controllavano l'amministrazione, come Nello Martellucci, Elda
Pucci, Giuseppe Insalaco e Leoluca Orlando. Essi tuttavia
saranno sempre eletti con l'appoggio determinante della
corrente di Lima.
    In particolare, la corrente di Lima partecipò con propri
esponenti alla prima giunta di pentapartito diretta da Leoluca
Orlando; votò in
----------
    (73) Cfr. le audizioni dei collaboratori, res. sten.
Buscetta del 16 novembre 1992, pp 419-428; Mutolo, il 9
febbraio 1993 p. 1288.
    (74) Dal luglio 1959 in sostituzione di Lima, al luglio
1964; precedentemente era stato assessore alla azienda
municipalizzata, dal giugno 1956 al luglio 1959.
    (75) Confronta le dichiarazioni di Elda Pucci (4.11.1984)
e di Giuseppe Insalaco (6.11.1984), in ordinanza-sentenza
emessa nel proc. penale contro Baio Giuseppe 8, tribunale di
Palermo n.1588/88 R.G.U.I., pp. 105-109. Sull'incontro tra
Lima, Ciancimino e Andreotti confronta requisitoria della
procura della Repubblica di Palermo nel procedimento penale
contro Greco Michele ed altri (n. 3162/89A-p.m.),volume I, pp.
90 e ss; 117 e ss. Lo stesso Lima definì quell'incontro "...
volto a raggiungere una pacificazione generale a
Palermo".
                        Pag. 1840
consiglio comunale per la seconda giunta, che vedeva la
partecipazione del PCI, pur avendola osteggiata nelle sedi
interne di partito. Gli uomini di Lima hanno poi sostenuto le
giunte che si sono succedute dal 1990 sino ad oggi.
    Esistono numerosi elementi di conoscenza circa i rapporti
tra Salvo Lima e gli uomini di Cosa Nostra. E' pacifico che
egli avesse un forte legame con i cugini Antonino ed Ignazio
Salvo (entrambi processati per associazione a delinquere di
tipo mafioso, il primo deceduto in data anteriore al giudizio
ed il secondo condannato con sentenza definitiva). Furono essi
- come è emerso nel maxiprocesso - a fornirgli un'auto
blindata a scopo di tutela personale, durante i primi anni
'80, quando la guerra di mafia era al suo culmine.
    La vicinanza tra l'on. Lima e i due cugini Salvo, per
lungo tempo titolari delle esattorie siciliane, oltre ad
essere ben nota, era già dalla fine degli anni '60 considerata
estremamente imbarazzante all'interno della democrazia
cristiana, come è stato puntualmente segnalato dall'on. Sergio
Mattarella, in una deposizione davanti ai giudici di Palermo,
relativa a vicende del 1968(76). I rapporti intrattenuti da
Salvo Lima durante gli anni '60 con elementi mafiosi ed in
particolare con Salvatore La Barbera, che lo stesso Lima
ammise di avere conosciuto e con Tommaso Buscetta, sono
indicati come certi nella sentenza ordinanza del 23 giugno
1964 contro La Barbera ed altri, redatta dal giudice
istruttore del tribunale di Palermo Cesare Terranova
assassinato da Cosa Nostra il 25.9.1979.
    A proposito dei collegamenti di Lima con ambienti mafiosi
in epoca più recente, vanno menzionati due rapporti del
Comando Generale della Guardia di Finanza risalenti al gennaio
1983. Con il primo del 4.1.1983 il comando riferiva a
proposito di un traffico di armi facente capo a Cosa Nostra:
"Di Chiara Lorenzo (poi condannato con sentenza definitiva
n.d.r.) era coinvolto con membri della famiglia Bonanno nel
traffico di armi destinate in Italia ad esponenti di rilievo
della mafia, compresi tale "Sal.", sindaco di Palermo, e
persone di Castellammare del Golfo...". Nel secondo rapporto
del 25.1.1983 la Guardia di Finanza riferiva che "Nell'estate
1982 a Pantelleria vi era stato un incontro tra uno dei
fratelli Di Chiara e Fidanzati Stefano, fratello di Gaetano,
noto trafficante di armi e di stupefacenti; che il |P'Sal.
sindaco di Palermo|P', di cui al precedente rapporto, era da
identificarsi non già nel sindaco di Palermo in carica bensì
nell'onorevole Salvo Lima, ex sindaco di Palermo(77)".
    Inoltre, è agli atti della Commissione il verbale della
intercettazione di una telefonata intercorsa il 7 aprile 1990,
tra l'on. Lima e l'ing. Nino Ciaravino della SIRAP(78). Nel
colloquio telefonico concernente l'interessamento dell'uomo
politico, per far assumere un suo raccomandato, risulta
direttamente dalla voce di Lima l'esistenza di buoni rapporti
tra lui e l'imprenditore mafioso Cataldo Farinella.
    Ciò che caratterizza la posizione di Lima nei suoi
rapporti con Cosa Nostra è il fatto di essere stato a lungo
punto di riferimento per varie famiglie mafiose. Ciò risulta
chiaramente dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia.
    Dapprima, soprattutto attraverso i Salvo, egli aveva
rapporti con Stefano Bontate e con Tommaso Buscetta. Ignazio
Salvo, in piena guerra di mafia e dopo l'omicidio di Stefano
Bontate (aprile 1981),
----------
    (76) La deposizione è del 17.12.1990, quando Lima era
ancora vivo: confronta la già citata requisitoria contro Greco
Michele ed altri, volume I, pag. 97.
    (77) Il testo dei due rapporti è trascritto nella
sentenza della Corte d'assise di Caltannissetta nel processo
per l'omicidio del giudice Ciaccio Montalto.
    (78) La SIRAP è coinvolta nelle indagini sugli appalti
controllati da Cosa Nostra.
                        Pag. 1841
tramite l'ing. Lo Presti, suo cognato, si era messo in
contatto con Buscetta, in Brasile, per sollecitare il suo
ritorno in Italia. L'esistenza di un collegamento diretto tra
Lima e Buscetta è stata ammessa di recente dallo stesso
Buscetta, che, dopo essersi a lungo rifiutato di approfondire
nelle proprie deposizioni il capitolo relativo ai rapporti fra
mafia e politica, ha deciso di cambiare atteggiamento
all'indomani dei tragici omicidi di Falcone e Borsellino. Egli
ha fornito dettagliate notizie circa i propri personali
rapporti con l'on. Lima, sia negli anni 60, quando si
rivolgeva al sindaco di Palermo per ottenere favori (e ciò
conferma quanto già accertato dal giudice Terranova), sia nel
1980, prima di lasciare l'Italia. E' in questo quadro che
Buscetta ha messo in luce come, dopo l'omicidio di Stefano
Bontate, Salvo Lima fosse ben presto diventato un punto di
riferimento, sempre attraverso la mediazione dei Salvo, anche
per altri esponenti di Cosa Nostra, a partire da Totò Riina, e
quindi per famiglie diverse da quelle con le quali aveva avuto
rapporti negli anni precedenti. "Mi consta - ha dichiarato
Buscetta - che Salvo Lima era effettivamente l'uomo politico a
cui principalmente Cosa Nostra si rivolgeva per le questioni
di interesse dell'organizzazione che dovevano trovare una
soluzione a Roma"(79).
    Altri collaboratori di giustizia hanno fornito in momenti
diversi notizie concordi sui rapporti di Lima con Cosa Nostra.
Francesco Marino Mannoia ha dichiarato ai giudici di Palermo:
"l'on. Salvo Lima frequentava Stefano Bontate e credo anzi che
fosse il personaggio politico con il quale il Bontate avesse
maggiore intimità. Io stesso l'ho visto più volte insieme con
Stefano Bontate, ma non nel fondo Magliocco, bensì in una casa
adibita ad ufficio di Gaetano Fiore; inoltre qualche volta
l'ho visto nei locali del Baby Luna, nei giorni di
chiusura..."(80).
    Sul voto mafioso a favore di Lima ha reso dichiarazioni
il collaboratore di giustizia Vincenzo Marsala.
    Leonardo Messina ha riferito di aver saputo, attraverso
altri uomini d'onore,da lui specificamente indicati, che Lima
non era uomo d'onore, ma che "era stato molto vicino a uomini
di Cosa Nostra, per i quali aveva costituito il tramite presso
l'on. Andreotti per le necessità della mafia siciliana".
Sostanzialmente identiche sul ruolo di Lima sono state le
dichiarazioni di Buscetta e di Mutolo(81), anche davanti alla
Commissione antimafia.
    Tutte le notizie di cui la Commissione dispone circa le
modalità del rapporto tra Lima e le famiglie mafiose mettono
in luce una prassi consolidata, un circuito di favori che
riguardano essenzialmente due questioni, alle quali
l'organizzazione mafiosa attribuisce un particolare rilievo ai
fini della propria autodifesa e per la conquista
dell'impunità.
    Anzitutto si chiede l'intervento dell'uomo politico per
il trasferimento di funzionari scomodi. Antonino Calderone ha
ricordato in proposito un incontro con Lima a Roma,
organizzato con la mediazione dei Salvo, al quale egli
partecipò insieme al fratello (allora rappresentante della
famiglia di Catania), per ottenere il trasferimento di un
funzionario della Questura, che faceva seriamente le indagini.
    In secondo luogo, l'organizzazione chiede ed ottiene
l'aiuto dell'esponente politico (che ha collegamenti ed
amicizie importanti a
----------
    (79) Res. sten. audizione Buscetta, 16 nevembre 1992, pp
372-373.
    (80) Cfr. ordinanza custodia cautelare sul delitto Lima.
    (81) Res. sten. Mutolo 9 febbraio 1993, p. 1287.
                        Pag. 1842
Roma), allo scopo di "aggiustare" i processi, impedendo che i
mafiosi vengano condannati a lunghe pene detentive.
    Gaspare Mutolo(82) ha riferito di uno specifico
interessamento di Lima, contattato da Ignazio Salvo, per un
processo di omicidio nel quale era coinvolto. Anche egli ha
dichiarato che a Lima ci si rivolgeva solitamente attraverso i
Salvo, e attraverso Bontate negli anni precedenti alla sua
eliminazione.
    Gaspare Mutolo(83), Giuseppe Marchese e Leonardo
Messina(84) hanno dichiarato, con varie sfumature, che i
mafiosi confidavano in un annullamento del maxiprocesso in
Cassazione(85). A ciò , secondo questi collaboratori, si
sarebbe impegnato l'on. Lima. Già in appello vi era stato un
"aggiustamento" parziale. La Cassazione avrebbe dovuto
smentire l'operato di Falcone, annullando persino l'ordinanza
di rinvio a giudizio e facendo retrocedere il processo alla
fase istruttoria; cosa puntualmente verificatasi per la
posizione di Bono Giuseppe, stralciata in appello e per la
quale la prima sezione penale della Cassazione ha proprio
annullato l'ordinanza di rinvio a giudizio(86).
    E' difficile credere che il rapporto di Cosa Nostra con
il sistema politico si sia esaurito nell'attività di garante
degli interessi mafiosi che sarebbe stata svolta da Salvo Lima
direttamente a Palermo e a Roma, attraverso i propri referenti
nazionali. I collaboratori di giustizia hanno descritto una
prassi ed un sistema. Ma dell'una e dell'altro non poteva
essere Lima l'unico esecutore. E' necessario identificare gli
altri politici che hanno agevolato Cosa Nostra.
    64. Risultano certi alla Commissione i collegamenti di
Salvo Lima con uomini di Cosa Nostra. Egli era il massimo
esponente in Sicilia della corrente democristiana che fa capo
a Giulio Andreotti.
    Sulla eventuale responsabilità politica del senatore
Andreotti, derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima, dovrà
pronunciarsi il Parlamento.
    65. Gli appalti di opere pubbliche costituiscono uno dei
principali terreni di incontro tra mafia, imprenditori, uomini
politici, funzionari amministrativi.
    Gli obiettivi pratici sono tre: lucrare tangenti,
collocare mano d'opera nei subappalti, far acquisire le
forniture dalle ditte "amiche".
    Ma l'obiettivo generale è più ambizioso: con le mani
sugli appalti, Cosa Nostra riesce a controllare gli aspetti
essenziali della vita politica ed economica del territorio,
perché condiziona gli imprenditori, i politici, i burocrati, i
lavoratori, i liberi professionisti. Questo aspetto
contribuisce a rafforzare il dominio sul territorio, consolida
il consenso sociale, potenzia le singole famiglie mafiose nel
territorio, nella società e nell'ambiente politico e
amministrativo.
    Cosa Nostra controlla totalmente gli appalti in Sicilia.
Ha la funzione di garantire che gli accordi siano rispettati
ed eseguiti, di
----------
    (82) Res. sten. audizione Gaspare Mutolo, 9 febbraio
1993, pp. 291-599.
    (83) Res. sten. audizione Gaspare Mutolo, 9 febbraio
1993, p. 1255.
    (84) Res. sten. audizione Leonardo Messina, 4 dicembre
1992, p. 565.
    (85) Cfr.l'ordinanza di custodia cautelare delitto Lima.
    (86) La sentenza è del 24.6.1992 n.555, depositata il
24.7.1992, presidente Carnevale, relatore Grassi. Il dott.
Grassi, sostituto procuratore della Repubblica di Catania, era
stato sottoposto ad una indagine del CSM per atti di
favoritismo nei confronti dell'imprenditore Costanzo;
l'indagine fu archiviata perché il dott. Grassi chiese
spontaneamente il trasferimento ad altra sede.
                        Pag. 1843
intervenire laddove si verifichino "disfunzioni",
danneggiando le imprese che si rifiutano di sottostare e, se
necessario, uccidendo gli imprenditori recalcitranti.
    In una importante audizione tenuta dalla sottocommissione
Appalti(87), presieduta dal sen. Cutrera, è risultato che in
Sicilia esiste un comitato di gestione degli appalti, "una
sorta di direttivo formato da imprenditori, i più importanti
imprenditori siciliani e qualche imprenditore di valenza
nazionale, che decidono a priori, al di la di tutte le scelte
della pubblica amministrazione, l'aggiudicazione degli appalti
alle imprese.". Il comitato può funzionare solo perché Cosa
Nostra garantisce: e questa presenza spiega il silenzio degli
imprenditori in Sicilia sulle corruzioni.
    La mafia non interviene per decidere chi deve vincere
l'appalto, a meno che non tenga a qualche impresa in
particolare o non debba esigere con la minaccia il rispetto
dei criteri di spartizione. Chiunque vinca, la sua quota di
reddito è assicurata.
    Il comitato non potrebbe svolgere la sua funzione se,
oltre alla garanzia di Cosa Nostra, non ci fosse la connivenza
degli amministratori e dei direttori dei lavori.
    La vicenda degli appalti in Sicilia dimostra la
molteplicità delle connessioni di Cosa Nostra e, insieme, la
necessità che oltre ai politici anche i diversi ceti
imprenditoriali e professionali rompano con decisione i
rapporti che intrattengono con i gruppi mafiosi.
    66. La Commissione antimafia ha in corso una importante
verifica sugli appalti del comune di Palermo, con particolare
riferimento agli ultimi anni. Si trae l'impressione di un
particolare disordine nella materia, che risale negli anni,
senza soluzione di continuità. Si sono verificati standard di
ribassi analoghi per lo stesso tipo di opere, del 24 per cento
circa, per gli edifici scolastici, che appaiono
particolarmente sospetti.
    E' emersa l'esigenza di esaminare la gestione dei piani
regolatori generali dei comuni siciliani. Essa costituisce in
molti casi una delle fonti di maggior guadagno per Cosa Nostra
e di maggior corruzione per gli uffici pubblici e per i
privati professionisti.
    Per quanto concerne, più in particolare, i 211 immobili
di proprietà privata destinati a scuole e ad uffici, la
lettura degli atti acquisiti dalla Commissione evidenzia una
grave situazione caratterizzata da ritardi, inadempienze ed
omissioni da parte dell'amministrazione comunale di Palermo.
La Commissione stima che tali irregolarità comportino un onere
annuale a carico del comune di circa 20-30 miliardi l'anno.
    I competenti organismi comunali, oltre a provvedere nel
più breve tempo possibile a sanare tale situazione,
individuando tutte le eventuali responsabilità di
amministratori e funzionari, dovrebbero nel futuro fare
ricorso ad immobili di proprietà comunale, avviando nel
contempo un piano di edilizia scolastica in grado di
soddisfare definitivamente il fabbisogno di aule della
popolazione scolastica palermitana.
----------
    (87) La sottocommissione, coordinata dal sen. Cutrera, si
occupa tanto dell'analisi del fenomeno, con particolare
attenzione per le città di Palermo e di Catania, quanto della
riforma legislativa. La relazione del sen. Cutrera affronterà
ampiamente i temi specifici.
                        Pag. 1844
    La vicenda suscita comunque il dubbio che dalle manovre
speculative messe in atto possano aver tratto beneficio
personaggi legati alle organizzazioni mafiose.
    La Commissione compirà le necessarie indagini
presso il comune di Palermo per gli appalti e per le locazioni
di edifici privati, con particolare riferimento a quelli
destinati ad uso scolastico e presso alcuni comuni siciliani,
scelti come campione, per la gestione dei piani regolatori
generali. Riferirà quindi rapidamente al Parlamento.
    67. L'applicazione della legge sullo scioglimento dei
consigli comunali ha rivelato una dimensione locale dei
rapporti tra mafia e pubblici poteri che ha effetti molto
gravi sulla vita delle comunità.
    La questione stata specificamente affrontata dalla
Commissione con una relazione del vicepresidente sen. Cabras
gi inviata al Parlamento. Dal quadro delineato emerge una
costante: l'ingresso della mafia nelle istituzioni locali
fortemente agevolato dalla fragilit amministrativa. Laddove la
pubblica amministrazione inerte o corriva, dove i controlli
amministrativi non funzionano, si crea in modo quasi
automatico l'ambiente favorevole all'intreccio tra mafia e
politica. Spesso non pi di intreccio si tratta, ma di
occupazione delle pubbliche istituzioni da parte di emissari
dei gruppi mafiosi, che gestiscono il potere per conto della
famiglia di appartenenza, contro gli interessi dei cittadini e
a volte nel silenzio degli organismi di controllo, tanto
amministrativi quanto giurisdizionali.
    In queste aree, si tratta per lo più di piccoli comuni,
si è sviluppato un microsistema mafioso che condiziona la vita
quotidiana dei cittadini in modo particolarmente opprimente;
il degrado profondo e non esiste diritto civile di un qualche
rilievo che possa essere esercitato senza la mediazione
mafiosa.
    Alla Commissione preme rappresentare al Parlamento che il
rapporto mafia-politica non si sviluppa soltanto nelle
macrodimensioni nazionali o regionali o delle grandi città, ma
anche nelle microdimensioni dei piccoli comuni, dove si
realizza una sospensione della legalità.
                           VIII
    68. Oggi sono superate le condizioni oggettive che hanno
favorito quel processo che si è definito di "coabitazione".
    Il tragico spartiacque è costituito dalle stragi di
Capaci e di Via Mariano D'Amelio.
    I due massacri, per la popolarità dei magistrati caduti,
per la potenza e la determinazione che Cosa Nostra rivelò in
quell'occasione, hanno fatto scattare nell'opinione pubblica
un senso di solidarietà e di ribellione che ha coinvolto tutto
il Paese. Nelle istituzioni si è colta l'impossibilità di
proporre il tradizionale stop and go e si sta agendo con
determinazione, conseguendo risultati di evidente rilievo.
    Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati i grandi
delegati delle istituzioni e della società civile nella lotta
contro la mafia. Ma questa è una battaglia troppo dura, troppo
sanguinosa perché possano essere pochi a combatterla.
L'antimafia del giorno dopo non compensa
                        Pag. 1845
le schermaglie insidiose che hanno progressivamente isolato
quei due uomini contribuendo a creare le condizioni per la
loro soppressione.
    69. Anche gli omicidi di Lima e Salvo hanno, per profili
assai diversi, una propria tragicità. Uccidere i vecchi
mediatori, o per punirli, o perché non si ha più bisogno di
loro, è un ammonimento spaventoso per tutti i politici che
sono stati vicini a Cosa Nostra. Nulla è sicuro, dopo quegli
omicidi, nelle relazioni tra mafia e politica.
    70. Non è solo lo sdegno per Giovanni Falcone, Paolo
Borsellino e per le loro scorte, che ha reso decisa e
penetrante la risposta alla mafia dopo la terribile primavera
del '92. E' anche la consapevolezza che gli omicidi di Lima e
Salvo sono espressione di una inedita fragilità, dell'affanno
per recuperare un terreno perduto.
    71. Questa lezione la società civile e le istituzioni
sembra l'abbiano finalmente compresa. L'impegno sembra
divenire collettivo.
    Ma sopravvivono ancora gli strascichi della vecchia fase.
E' sempre in agguato il ciclo tradizionale che segue le
stragi: lo sdegno, le misure eccezionali, una fase di
efficienza straordinaria e poi, lentamente, l'assorbimento
nell'ordinaria amministrazione. La Commissione antimafia ha
avuto modo di rilevare, oltre a prove di straordinaria
efficienza, anche fatti di segno diverso: il trattamento
insolitamente ossequioso di cui ha goduto nelle prime udienze
il capomafia Riina; la concessione della liberazione
anticipata a numerosi pericolosi "capimafia", trattati come se
fossero piccoli ladri d'auto; la non tempestiva applicazione
di misure di controllo al boss della camorra D'Alessandro, che
ne ha facilitato la fuga dopo la scarcerazione; la permanenza
di conflitti e gelosie tra i diversi settori delle forze
dell'ordine che non consentono ancora il pieno dispiegamento
delle potenzialità della DIA e frenano la complessiva spinta
degli apparati antimafia.
    A differenza del passato, però, queste sono eccezioni in
un panorama complessivamente positivo.
    La Commissione le sottopone all'attenzione del Parlamento
e del Governo perché si assumano provvedimenti per correggere
gli errori e punire i responsabili. L'esperienza dimostra che
in tema di mafia nessuna fase è irreversibile; queste
eccezioni, senza una pronta reazione, possono ritrasformarsi
in regola.
    72. Il sicilianismo è ormai comunemente ritenuto un
cascame del passato perché, come ha sottolineato il presidente
del governo regionale siciliano, on. Campione, oggi la Regione
tende ad un rapporto più organico con lo Stato centrale al
fine di far entrare pienamente i propri interessi nel grande
circuito nazionale.
    "Il prestigio di questa opposizione "sicilianista" di una
Sicilia siciliana, quella del potere e della violenza -
osserva Giuseppe Giarrizzo(88) - alla Sicilia moderna dei
diritti, naturali e civili, sembra da qualche tempo in
declino...".
----------
    (88) G. Giarrizzo, introduzione a "La Sicilia" in Le
regioni dall'unità a oggi, Einaudi, 1987, LVII.
                        Pag. 1846
    E' vero che lo stesso Giarrizzo osserva che la partita
non è ancora vinta, ma è la prima volta, probabilmente, che si
delinea con forza e con consenso sociale una Sicilia dei
diritti contro quella della violenza.
    Sono altresì venute meno le due condizioni oggettive del
bipolarismo e dei limiti investigativi.
    Il superamento del partito comunista italiano sul
versante interno ed il successivo superamento del bipolarismo
sul versante internazionale, hanno tolto ogni alibi politico
alla mafia ed ai suoi alleati.
    L'emergenza anticomunista, fondata o infondata che fosse,
non può più costituire un collante per nessun agglomerato di
forze o di interessi. Perci oggi non dovrebbero più
manifestarsi resistenze di carattere politico al dispiegamento
di un'azione permanente ed efficace contro la mafia.
L'efficacia che negli ultimi mesi sta caratterizzando nel suo
complesso l'azione antimafia sembra confermare tale ipotesi.
    Analogo il ragionamento sul piano investigativo. Oggi le
forze di polizia dispongono di una penetrante legge sui
collaboratori della giustizia, sono autorizzate dall'autorit
giudiziaria ad infiltrazioni, a controlli delle conversazioni
tra persone presenti, anche in via preventiva, prescindendo
cio dalla commissione di un delitto. Possono svolgere con
particolare flessibilit i loro interventi fuori degli
schematismi del passato: ogni negoziazione, insomma, sarebbe
oggi un atto di inescusabile favoritismo. Sono quindi venute
meno tutte le condizioni oggettive che hanno nel passato
ostacolato un pieno e continuativo dispiegarsi dell'azione
antimafia dello Stato.
    73. Il superamento delle condizioni oggettive della
"coabitazione" e lo spartiacque costituito dalle stragi di
Capaci e di Via Mariano d'Amelio, non garantiscono di per se
il definitivo avvio della rottura dei rapporti tra mafia ed
esponenti del mondo politico. Le vecchie condizioni oggettive,
infatti, non hanno determinato quei rapporti in modo
automatico, inevitabile; le convenienze, mascherate dietro
l'alibi delle condizioni oggettive, non sono state certamente
tutte sradicate e restano in agguato.
    Di qui la necessità di avviare un processo positivo con
regole e comportamenti nuovi, che riallaccino un rapporto di
fiducia tra cittadini ed istituzioni.
    La Commissione ritiene innanzitutto indispensabile che i
partiti politici, indipendentemente dagli accertamenti di
carattere giudiziario, allontanino gli eletti, i dirigenti,
gli iscritti che in modo diretto od indiretto abbiano dato
luogo con i propri comportamenti a quel giudizio di
responsabilità politica cui si è fatto innanzi riferimento. Se
non lo fanno, ritengono compatibili quelle presenze con il
proprio indirizzo politico.
    Significativo è il caso del deputato regionale siciliano
Biagio Susinni, tratto in arresto per abuso d'ufficio a scopo
patriominiale nel marzo del 1991 in relazione ad appalti
concessi in qualità di sindaco del comune di Mascali
(Catania).
    Il Susinni, espulso dal PRI, alle elezioni regionali del
successivo giugno 1991, presentava una propria lista,
"Democrazia repubblicana", e veniva nuovamente eletto con
oltre 20 mila voti. Il suo voto
                        Pag. 1847
risultava determinante per l'elezione del governo regionale
formato subito dopo tali elezioni dell'on. Vincenzo Leanza,
che lo ringraziò esplicitamente in Aula, per l'appoggio
fornitogli.
    Utile è la decisione assunta dalla direzione della
democrazia cristiana di sollecitare i propri parlamentari, che
abbiano in corso una richiesta di autorizzazione a procedere,
a chiedere essi stessi la concessione dell'autorizzazione. Non
si tratta di subordinazione alla giurisdizione, ma della
sensibilità ad un'esigenza di chiarezza che è molto viva in
tutto il Paese.
    74. La Commissione intende sollevare un'allarme in ordine
ai possibili condizionamenti di logge massoniche coperte e
deviate nelle pubbliche istituzioni. Qualunque sia il giudizio
che si ritenga di dare della massoneria, è certo che questa
associazione non può essere considerata, nella sua globalità,
illegale ed eversiva nonostante i gravi fatti che hanno
coinvolto molti aderenti a logge massoniche.
    Ma c'è il pericolo che la fedeltà massonica si
sovrapponga a doveri di lealtà istituzionale. Questo pericolo
ha indotto alcune istituzioni a stabilire il principio di
incompatibilità tra l'esercizio di funzioni pubbliche
particolarmente delicate e l'adesione a logge massoniche.
L'assemblea regionale siciliana ha approvato nel novembre 1992
una mozione con la quale si impegna il presidente della
Regione a far sottoscrivere ai componenti della Giunta, nonché
a tutti i dirigenti e dipendenti della regione una
dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante la
non appartenenza alla massoneria ovvero l'indicazione della
loggia di appartenenza, anche se coperta, e a ritirare la
delega agli assessori che risultino affiliati a logge deviate,
coperte o che risultino mendaci. Anche il CSM, con propria
risoluzione del 22.3.1990, ha rilevato l'inopportunità
dell'iscrizione alla massoneria da parte dei magistrati e,
nella seduta del 12.11.1992, nel ribadire il contenuto della
risoluzione suddetta, ha chiesto a varie autorità giudiziarie
di acquisire i nominativi di magistrati che risultino iscritti
a logge massoniche.
    Queste iniziative rendono ancora più opportuno che i
vertici massonici prendano esplicitamente le distanze da
queste logge, da questi iscritti e da questi comportamenti ed
adottino la linea della massima trasparenza; altrimenti, sul
piano delle valutazioni dell'opinione pubblica, sarà
impossibile separare la loro responsabilità da quella di
quegli iscritti e di quelle logge.
    75. Si riflette, soprattutto in questa fase della vita
del Paese, su quale sia il sistema elettorale che garantisca
meglio l'impermeabilità alla mafia. Non esiste un sistema che
garantisca in assoluto. La mafia controlla la formazione e
l'espressione del consenso politico e quindi occorre
innanzitutto impedire questo controllo isolando e sconfiggendo
Cosa Nostra.
    Va prestata maggiore cura alla formazione dei seggi
elettorali, nella designazione dei presidenti di seggio,
nell'impedire i "piantonamenti" dei seggi da parte di gruppi
criminali. Il cittadino deve sentirsi tutelato dalla presenza
e dall'attenzione dello Stato.
    76. Restano passività in molti organismi dello Stato,
delle Regioni e degli Enti locali. Sono necessari interventi
sanzionatori adeguati. Ma
                        Pag. 1848
serve un indirizzo politico nuovo e visibile, che dia a tutti
il senso di un'etica professionale in grado di resistere alle
pressioni mafiose. Si può morire anche per questo, come
dimostra il caso di Giovanni Bonsignore(89), ma lo Stato ha
comunque il dovere di non lasciare soli i funzionari che
operano nelle aree più esposte.
    Al di là delle regole formali, a questi funzionari va
data la consapevolezza che si muovono secondo indirizzi
riconosciuti e garantiti. Invece, ancora oggi, sono lasciati
soli, tra enormi difficoltà, come accade il più delle volte
per i commissari straordinari dei consigli comunali sciolti
per mafia.
    77. Compito delle forze politiche, delle autorità di
governo e della magistratura è perseguire l'obbiettivo della
distruzione di Cosa Nostra, attraverso la confisca di tutte le
ricchezze, l'arresto, il processo e la condanna dei vertici,
degli alleati e di tutta la struttura militare. Non sono più
ammissibili i discorsi di un tempo sul contenimento di Cosa
Nostra o sulla sua riduzione a "dimensioni fisiologiche".
Verso questo obbiettivo vanno indirizzate le risorse. I
partiti e le istituzioni devono assumere comportamenti
coerenti. Questo consentirà di chiedere anche ai cittadini
nella loro quotidianità, una coerenza. Non esiste un'etica
pubblica, se sono disastrate le etiche private; ma la
ricostruzione deve partire dalla politica.
    L'Italia ha i mezzi, le intelligenze e le volontà per
rompere i vecchi rapporti, sconfiggere Cosa Nostra, guardare
fiduciosa al proprio futuro. C'è uno Stato che funziona,
nonostante la mafia e le corruzioni; anche i segnali che
sembrano più inquietanti sono il frutto di un ritrovato
primato della legalità, premessa per la ricostruzione del
sistema politico.
    La Commissione, nell'ambito delle responsabilità
affidatele dal Parlamento, ha inteso contribuire a questo
difficile passaggio.
----------
    (89) Giovanni Bonsignore, funzionario della Regione
Siciliana, fu ucciso il 9 maggio 1990. Si era opposto, nelle
sue funzioni, alla destinazione di 38 miliardi di lire,
previsti per i centri commerciali all'ingrosso, ad una società
che si occupa di mercati agro-alimentari. La vicenda fu
oggetto di una relazione della Commissione antimafia della X
legislatura, doc. XXIII, n.43.
                        Pag. 1849
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