Violante: seduta 39
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Pag. 1855 AUDIZIONE DEI RAPPRESENTANTI DEL MOVIMENTO PER IL VOLONTARIATO ITALIANO (MOVI) PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Audizione dei rappresentanti del movimento per il volontariato italiano (MOVI): Violante Luciano, Presidente .............. 1857, 1861, 1862 1863, 1864, 1867, 1869, 1871, 1879, 1882 Amodio Dario, Rappresentante del MOVI di Brin- disi .................................................. 1871 Cabras Paolo .............................. 1868, 1869, 1878 Calabrese Saverio, Rappresentante del MOVI di Nocera Inferiore ............................................. 1869 Calisi Rita, Rappresentante del MOVI di Pescara ....... 1873 Cascio Rosaria, Rappresentante del MOVI di Paler- mo .................................................... 1861 Cutrera Achille ....................................... 1868 D'Amelio Saverio ...................................... 1873 De Leo Anna, Rappresentante del MOVI di Bari .......... 1872 Di Martino Gianfranco, Rappresentante del MOVI di Ragusa ................................................ 1864 Florino Michele ....................................... 1868 Folena Pietro ......................................... 1875 Goldini Emanuele, Rappresentante del MOVI di Gela ............................................ 1862, 1863 Lanzone Damiano, Rappresentante del MOVI di Poggiomarino .................................... 1868, 1869 Lumia Giuseppe, Presidente del MOVI ................... 1857 1861, 1880 Mantineo Nino, Rappresentante del MOVI di Mes- sina .................................................. 1866 Nasone Mario, Vicepresidente del MOVI ................. 1858 Prezioso Nicola, Rappresentante del MOVI di Taran- to .............................................. 1870, 1871 Riggi Aldo, Rappresentante del MOVI di San Catal- do .............................................. 1863, 1864 Riggio Vito ........................................... 1874 Robol Alberto ................................... 1877, 1880 Russo Marcella, Rappresentate del MOVI di Catanza- ro .................................................... 1865 Sbreglia Dino, Rappresentante del MOVI di Napo- li .............................................. 1867, 1868 Comunicazioni del presidente: Violante Luciano, Presidente .............. 1882, 1883, 1884 Cutrera Achille ................................. 1883, 1884 Smuraglia Carlo ................................. 1882, 1883 Pag. 1856 Pag. 1857 La seduta comincia alle 18. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione dei rappresentanti del movimento per il volontariato italiano (MOVI). PRESIDENTE. La seduta odierna è dedicata ad un incontro con gli amici del movimento per il volontariato italiano (MOVI). Do subito la parola al presidente, Giuseppe Lumia. GIUSEPPE LUMIA, Presidente del MOVI. Nel ringraziare il presidente, onorevole Luciano Violante, il vicepresidente e tutti gli altri membri della Commissione parlamentare antimafia che ci hanno invitato a questo incontro, dico subito che abbiamo apprezzato il lavoro svolto dalla Commissione in questi mesi. Insieme a me, sono oggi presenti i rappresentanti di numerose realtà del volontariato: casalinghe, studenti, operatori pubblici, sacerdoti, i quali dedicano il loro tempo allo svolgimento di un'azione di impegno sociale, educativo e culturale nei diversi ambiti territoriali. Avere l'occasione di confrontarci con la Commissione parlamentare antimafia è un segno di come quest'ultima negli ultimi mesi stia dirigendo l'attenzione e l'impegno nella lotta alla mafia soprattutto verso le forme più aperte ed impegnate della società civile organizzata. Il MOVI coordina numerosi gruppi la cui caratteristica è rappresentata dall'impegno nel campo del disagio e dell'emarginazione. Ogni gruppo ha la propria identità: vi sono gruppi di diversa provenienza ed ispirazione e di diversa collocazione territoriale. Insieme, ci colleghiamo per sviluppare un'azione formativa ed un impegno non assistenzialistico ma finalizzato alla rimozione della cause che producono il disagio e l'emarginazione. In questi anni la nostra azione si è sviluppata anche nei territori ad alto rischio dove la mafia esercita un fortissimo controllo, a livello sia culturale sia di linguaggio, risponde ai bisogni dei cittadini, organizza la vita di tante famiglie in modo perverso ma efficace. Abbiamo apprezzato tantissimo, anzi, abbiamo dato il nostro consenso straordinario all'azione che finalmente ha portato a vedere il legame, gli intrecci tra la mafia e la politica. Finalmente, cominciamo a vedere piccoli spiragli, a livello sia di comprensione sia di intervento, anche con riferimento al rapporto mafia-economia. Constatiamo che, rispetto ad una capacità della mafia di essere organizzata sul territorio, di mantenere i propri piedi ben fermi nella vita sociale del territorio e nel quadro dei bisogni delle famiglie, si riscontra un certo ritardo culturale, un ritardo forte nell'azione delle istituzioni e del Governo ed anche un certo ritardo da parte del Parlamento. Vorremmo sfidare la Commissione parlamentare antimafia a guardare anche questa dimensione e ad intervenire sulla stessa. Sicuramente la mafia ha un volto politico, sicuramente ha un volto economico: su questo versante bisogna intervenire. Da noi avrete il pieno consenso a questa vostra azione, come cittadini impegnati e partecipi della vita comunitaria. Vorremmo anche che si prestasse attenzione alla capacità della Pag. 1858 mafia di avere fortissime radici: in particolare, la radice prioritaria della mafia è situata sul territorio. Vivendo la nostra esperienza e lavorando, per esempio, nei quartieri di Palermo, abbiamo constatato come Riina riuscisse a controllarli: egli era là e da quel posto si apriva ai grossi traffici internazionali, agli spostamenti del traffico della droga, ai processi finanziari. Nonostante questo, Riina aveva i piedi ben piantati sul territorio. Penso che lo stesso fenomeno si registri anche in Campania, in Calabria e, più di recente, in Puglia nonché in altre regioni ed aree del nostro paese. Vorremmo che si cominciasse a sradicare questa radice, vorremmo che lo Stato fosse presente con una dimensione più sociale. In questi anni la dimensione della presenza si è caratterizzata per essere stata troppo clientelare, passiva, fondata sullo scambio. Negli ultimi mesi abbiamo notato che è stata ripresa un'azione straordinaria ed efficace sotto il profilo repressivo. Vorremmo anche che lo Stato fosse presente sul territorio - ripeto, in modo non assistenzialistico - insieme alle forze organizzate della società civile come quelle del volontariato, sul versante sociale: operatori, educatori, animatori, persone preposte a servizi ed attività, che giorno per giorno tolgono terreno, cultura, possibilità per la mafia di riprodursi. Il pericolo, infatti, è che il fenomeno, superata questa fase, trasformandosi rispetto ai processi più globali, torni a riprodursi e ad avere nuovi leaders e nuove capacità di aggregazione e di diffusione. Volevamo avere questo incontro con voi anche per riuscire a mostrarvi un volto concreto del nostro agire. Vorremmo pertanto proporvi una serie di realtà e di indicazioni ben precise per cominciare a socializzare il territorio: è questo il nostro motto di vita e di impegno profuso in questi anni. Oggi la sfida prioritaria, insieme alle altre sfide riconducibili alla lotta contro la mafia, è proprio quella di socializzare il territorio: di questo sentirete parlare giorno per giorno; su questo punto vi "bombarderemo" e tenteremo anche di estendere il raggio della nostra azione. I volontari sono oggi milioni; siamo tanti cittadini che hanno assunto un impegno di mutamento, operativo e di proposta. Vorremmo quindi offrirvi, sui versanti delle politiche sociali, educativo, dell'economia locale, del territorio e dell'impegno del volontariato associazionista, alcune indicazioni operative. In particolare, vi vorremmo proporre alcune esperienze "in presa diretta". Spesso abbiamo notato una vostra straordinaria azione sul territorio, a livello di incontri e di conoscenza; nel contempo, abbiamo notato altrettanto spesso che voi sottovalutate le realtà che silenziosamente, giorno per giorno, oggi contendono un po' il terreno alla presenza mafiosa. Constatiamo come la mafia sappia gestire circoli ricreativi ed organizzare attività; in questo particolare momento, sta anche notando il nostro agire e comincia a "disturbarsi" ed inquietarsi. Di recente, infatti, vi sono state le prime azioni di minaccia per alcuni volontari. Tempo fa, addirittura, a Condofuri, nella zona di Reggio Calabria, è stato compiuto un attentato ad un centro giovanile. Ciò perché la mafia è disturbata da una realtà che comincia a privarla del monopolio di regolazione della vita sociale nel territorio. Noi entriamo nelle famiglie, seguiamo i ragazzi e con loro cominciamo ad adottare formule diverse dal clientelismo, dallo scambio, dalle appartenenze chiuse. Per quanto mi riguarda, attualmente coordino il MOVI a livello nazionale e provengo dall'esperienza di Termini Imerese, di Palermo, dall'esperienza meridionale. Lascio ora la parola al vicepresidente nazionale del MOVI, Mario Nasone, il quale proviene dall'esperienza di quartieri di Reggio Calabria e coordina il nostro lavoro soprattutto nel sud. MARIO NASONE, Vicepresidente del MOVI. A partire dall'esperienza che stiamo vivendo in determinati quartieri, abbiamo predisposto alcune proposte. Come diceva Peppe Lumia, vengo da Reggio Calabria che, come tutti sapete, è Pag. 1859 una realtà colpita in pieno dal problema mafioso. Proprio l'altro giorno ci confrontavamo con altri gruppi: siamo molto soddisfatti del modo in cui stanno reagendo sia la magistratura sia le forze dell'ordine nonché dell'impegno che si sta profondendo per spezzare il rapporto mafia-politica e per colpire direttamente la 'ndrangheta nei vari quartieri. Si tratta di un impegno che abbiamo apprezzato e sostenuto anche pubblicamente. Riteniamo tuttavia, come diceva Peppe Lumia, che tutto ciò non sia sufficiente, giacché pensiamo che il fenomeno della mafia vada estirpato dalle radici: non ci accontentiamo del fatto che venga colpita la testa o dei colpi inferti sul piano militare. Sappiamo benissimo - io, tra l'altro, sono anche operatore penitenziario e lavoro da quindici anni nelle carceri - che dietro i vari Riina, Imerti e Condello, vi sono centinaia e centinaia di persone pronte a prendere il loro posto. Noi vogliamo intervenire soprattutto in chiave di prevenzione per impedire che vi siano ragazzi i quali sposino il modello di vita che i vari Imerti e Condello vanno proponendo. L'altro giorno un insegnante, parlando specificatamente della situazione di Melito di Porto Salvo, uno dei primi comuni sciolti, diceva che in questi territori i ragazzi vedono come proprio modello di vita i boss, coloro i quali cioè continuano ancora a condizionare il comune non solo politicamente ma in tutti i sensi. E' necessario, quindi, realizzare soluzioni alternative. Intendiamo portare avanti, insieme alle istituzioni, la socializzazione del territorio. Abbiamo pensato di sottoporre alcune proposte, anche concrete, alla Commissione, perché poi essa se ne faccia carico, naturalmente non direttamente ma intervenendo sui ministeri competenti, sul Governo che deve assumere iniziative concrete. Quindi, chiediamo il vostro aiuto soprattutto come stimolo rispetto ad alcune domande che emergono dal nostro lavoro quotidiano. Abbiamo indicato alcuni versanti. Il primo è quello delle politiche sociali. Riteniamo che sia urgente cominciare ad affrontare il problema del degrado sociale ed urbanistico delle città, dei quartieri più degradati del Mezzogiorno, perché sappiamo che lì la mafia nasce, si nutre e si sviluppa. Sappiamo che la mafia non è solo un problema legato alla povertà ed al degrado, però sappiamo anche che la gran parte della manovalanza che arriva alla mafia proviene soprattutto attraverso questi canali. Nel documento che abbiamo predisposto proponiamo una serie di interventi per il potenziamento delle politiche sociali. In particolare, rispetto a questo versante, vorremmo formulare una proposta concreta. Noi vi chiediamo di agire sui ministeri competenti per effettuare una sperimentazione, per scegliere alcuni quartieri del Mezzogiorno - soprattutto di alcune zone più a rischio - nei quali lavorare per tre anni tutti insieme (istituzioni pubbliche, enti locali, volontariato), affinché questi quartieri vengano risanati dal punto di vista urbanistico ma soprattutto dal punto di vista sociale. Chiediamo un vostro intervento per fare questa sperimentazione. Chiediamo che si attivino risorse finanziarie e interventi per vedere cosa riusciamo a fare insieme in tre anni in una serie di quartieri del Mezzogiorno, anche come misura di un lavoro che deve essere verificato per accertare i cambiamenti che provoca. Rispetto alla questione delle risorse (anche per quel tipo di lavoro), sappiamo che la legge Rognoni-La Torre si sta applicando molto a rilento: molti sono i sequestri ma pochi i beni confiscati; ci stiamo documentando presso le prefetture e ci risulta siano una quantità risibile i beni che si possono utilizzare. Chiediamo che l'applicazione di questa legge venga accelerata e intensificata e chiediamo che i beni confiscati vengano destinati ad attività sociali, perché tali beni, frutto dell'arricchimento mafioso illecito, tornino alla società. Per quanto riguarda il versante educativo, riteniamo sempre di più che il problema della mafia sia di mentalità, di educazione, di formazione delle coscienze; quindi, riteniamo che la scuola e l'associazionismo educativo abbiano un ruolo Pag. 1860 fondamentale per ribaltare i modelli di vita perversi che la mafia propone. In particolare, chiediamo una cosa concreta - assieme a tutta una serie di attività che la scuola dovrebbe realizzare - cioè che si creino nelle varie province gruppi di lavoro misti tra insegnanti, docenti e animatori per realizzare insieme delle piste pedagogiche, perché i docenti hanno bisogno di capire come devono fare educazione antimafia con i ragazzi nelle scuole. Non c'è una tradizione: nessun programma ministeriale, nessun corso di aggiornamento - che naturalmente sono destinati a tutta l'Italia - ha mai preparato gli insegnanti in questa direzione; essi sono completamente sprovvisti di alcune competenze. Come volontariato abbiamo avuto alcune belle esperienze in diverse province del sud di seminari di educazione antimafia per insegnanti. Ne abbiamo coinvolti centinaia ma essi si sentono abbandonati a se stessi, perché, finito il progetto, che dura un anno, non c'è più continuità. Chiediamo che su questo si investa e vi chiediamo di intervenire presso il Ministero della pubblica istruzione per attivare anche questo tipo di sperimentazione. Riteniamo fondamentale il versante del lavoro. Dare lavoro ai ragazzi che sono disoccupati, che non hanno prospettive di vita e che rischiano di ottenere il lavoro dalla mafia, è fondamentale. Non è certo che chi ha lavoro non finisca nella mafia (sappiamo che nella mafia si può finire anche avendo un posto di lavoro), però un'occupazione è fondamentale perlomeno per contenere il fenomeno dell'arruolamento da parte della mafia che diventa datore di lavoro. In particolare, chiediamo che la legge n. 44, la cosiddetta legge De Vito, che è stata molto importante ed utile, venga integrata per quanto riguarda gli aspetti promozionali. Chiediamo che questa legge faccia promozione all'impresa e alla cooperazione; non ci bastano gli sportelli informativi. Soprattutto, è fondamentale che i ragazzi più sprovvisti, le fasce sociali più deboli che non hanno capitale e competenza, siano accompagnati nel loro cammino per realizzare imprese, altrimenti si perdono per strada, non riescono ad utilizzare le disposizioni di una legge fondamentale, che in genere viene utilizzata da chi già dispone di una forte base di partenza economica e di competenza. Per quanto riguarda il sostegno all'attività del volontariato e dell'associazionismo, riteniamo sia importante che la Commissione antimafia cominci a studiare e a capire quali sono le iniziative di resistenza attiva contro la mafia che si stanno realizzando. Alcuni mesi fa abbiamo svolto un convegno a Castellammare di Stabia in cui abbiamo tentato di raccogliere queste esperienze: quelle antiracket, quelle degli insegnanti che fanno educazione antimafia, quelle dei gruppi di volontariato che fanno lavoro di quartiere, quelle dei parroci che attraverso il lavoro pastorale operano per una formazione delle coscienze alternativa alla mafia. Però, ci sentiamo deboli in questo lavoro. Il presidente Violante più volte ci ha detto che non basta fare il tifo per i magistrati e per le forze dell'ordine ma che si deve scendere in campo. Perché la società civile, i cittadini, scendano in campo hanno bisogno di capire cosa concretamente possono fare. Chiediamo che la Commissione antimafia stimoli il Ministero dell'interno e altri ministeri perché, intanto, si inizi un censimento di tutte le realtà di base che in questo momento stanno svolgendo azione antimafia, per conoscere ciò che esiste (una sorta di censimento dell'Italia antipiovra come quella che compare su Televideo, ma che sia uno studio serio). Soprattutto, chiediamo che si aiutino queste esperienze, sia quelle che si stanno realizzando sia quelle nuove di chi vuole concretamente mettersi in cammino per rispondere alla domanda: "cosa posso fare nel mio territorio, pur non essendo un magistrato, un poliziotto o un politico, nella lotta alla mafia?". Abbiamo la possibilità, attraverso le esperienze che già ci sono, di proporre ad ognuno (sia esso cittadino, famiglia, insegnante, uomo di chiesa) di fare cose concrete. Se riusciamo a mettere insieme tutte queste Pag. 1861 esperienze, anche sul fronte della società avremo un alleato grandissimo nella lotta alla mafia e potremo cominciare un lavoro che certamente per il futuro avrà effetti duraturi. PRESIDENTE. La ringrazio molto. Credo che ora vi sia l'interesse da parte vostra ad esporre alcune situazioni locali particolari: è così? GIUSEPPE LUMIA, Presidente del MOVI. Sì. PRESIDENTE. Possiamo procedere con interventi stringati come quelli svolti finora. Vi siamo grati anche per questo. GIUSEPPE LUMIA, Presidente del MOVI. Prima di continuare vorrei dire che nel documento che abbiamo consegnato alla Commissione sono contenute proposte molto più ampie di quelle che abbiamo indicato come prioritarie; quindi lì potrete cogliere altri spunti interessanti. ROSARIA CASCIO, Rappresentante del MOVI di Palermo. Voglio partire da Palermo, la città dove subito dopo la morte dei giudici Falcone e Borsellino è iniziata l'esperienza dei militari, i cosiddetti vespri siciliani. Come MOVI abbiamo sostenuto l'azione dei militari ma abbiamo tentato di puntualizzare che accanto alla via giudiziaria e a quella repressiva era importante sollecitare la via dell'intervento sociale, la presenza sociale dello Stato. In questo senso, in maniera particolare abbiamo indicato e indichiamo in alcune carenze dello Stato sociale la necessità di introdurre nuove regole, anche all'interno di presenze forti dello Stato esistenti nella nostra città. In modo particolare - velocemente tento di riassumere i punti sui quali secondo noi può intervenire una Commissione come questa - riteniamo necessario tentare di sbloccare i concorsi pubblici e intervenire in questo senso sulle regioni e in particolare sulla nostra. Chiediamo di sbloccare i concorsi pubblici per quelle figure - mi riferisco agli assistenti sociali e agli psicologi - che possono lavorare nel campo della prevenzione. In particolar modo, bisogna privilegiare il settore del lavoro, come ha già detto Mario Nasone: è lì che, mancando i soldi per comprare il giorno dopo il latte per i bambini, la mafia dà risposte in termini di lavoro. La nostra regione dà risposte soprattutto con la formazione professionale, per la quale si spendono miliardi. Noi chiediamo che su questo tipo di risposta, quella della formazione professionale, si indaghi, perché non è sicuramente orientata a promuovere lo sviluppo di figure che possano far nascere occasioni di lavoro per i giovani del sud; mi riferisco, per esempio, all'autoimprenditorialità. In questo senso bisogna indagare sulle cooperative sociali che in numero assai rilevante, soprattutto quello di assistenza domiciliare, sono presenti nella nostra regione. Chiediamo che si indaghi sulla qualità dell'intervento da esse effettuato. E' necessario verificare quel che viene fatto con i soldi pubblici che vengono spesi anche per l'assistenza. Non ci basta avere i fondi per far andare avanti i progetti ma vogliamo che i progetti siano verificati; non vogliamo un intervento a pioggia ma un intervento su progetti. Voglio sottolineare un altro dato importante. La legge n. 216 ha promosso interventi per i minori a rischio finanziati dal Ministero di grazia e giustizia e dal Ministero degli affari sociali. Il comune di Palermo ha ottenuto l'approvazione di un progetto nel quartiere ZEN per 900 milioni. Tale progetto però prevede la presenza di operatori pagati solo per tre mesi, trascorsi i quali i loro contratti di lavoro non sono più rinnovabili. Chiediamo che si intervenga in questo senso, anche per verificare il tipo di lavoro che può essere condotto con questa precarietà, già insita all'interno dello stesso progetto. Concludo con il problema della scuola citando un esempio eclatante che non è contenuto nel documento. La refezione scolastica non esiste nelle scuole di Palermo, forse non a caso. Gli appalti per Pag. 1862 affidare la refezione scolastica vengono disertati da molte ditte, mentre vi partecipano alcune ditte, alle quali il servizio viene poi assegnato, che sono sicuramente controllate dalla mafia; il volontariato ha presentato una denuncia in proposito. Sarebbe importante andare a fondo in questa vicenda. La mancanza della refezione favorisce l'iscrizione dei bambini nelle scuole private. Come sapete, il comune di Palermo si è sciolto sul problema degli affitti delle scuole. Bisognerebbe indagare sul problema delle scuole private. Richiamo quindi l'attenzione su questi due punti, la formazione professionale e il problema delle scuole. EMANUELE GOLDINI, Rappresentante del MOVI di Gela. Faccio parte del gruppo scout Agesci di Gela. Operiamo soprattutto nel campo della formazione e dell'educazione dei giovani e in riferimento a questo vorrei sottoporre alla vostra attenzione un fenomeno la cui comprensione è fondamentale per combattere la delinquenza organizzata a Gela. Ci troviamo in una realtà dove perlomeno il 40 per cento della popolazione ha una cultura medio-bassa, più bassa che media. All'interno di questa realtà vivono bambini che non trovano la possibilità di essere aiutati nella formazione educativa. Il loro impatto con la scuola, quando questo avviene nella scuola elementare, incontra subito enormi difficoltà, per cui si registra una vastissima evasione scolastica, proprio perché il bambino non viene aiutato, nell'inserimento all'interno della scuola. Di contro, cosa succede? Il comune di Gela costruisce asili che non sono utilizzati. In particolare, da sei anni esistono due asili nido che non sono ancora utilizzati. In questo senso, esiste una grande esigenza. Visto e considerato che i bambini non riescono, aiutati dai genitori, ad inserirsi nella scuola dovrebbe essere il comune a preoccuparsi di dare una possibilità di avviamento all'inserimento nella scuola. Questa carenza crea una vasta evasione scolastica che poi sfocia nell'organizzazione delinquenziale. Vorrei evidenziare un altro fatto che sta avvenendo in questi giorni a proposito dell'abusivismo, un fenomeno piuttosto esteso a Gela. Se questo problema non viene affrontato adeguatamente dallo Stato, dagli organi competenti, esso potrà divenire una tigre cavalcata dalla mafia per creare ulteriori disfunzioni sociali, per alimentare disordini, per aizzare la povertà contro lo Stato. Lo scopo primario della mafia è quello di utilizzare le sacche di povertà contro lo Stato. Questo è uno dei fenomeni prioritari che emerge ad una prima analisi all'interno della realtà mafiosa. Desidero anche sottolineare che la nostra associazione si preoccupa della formazione e dell'educazione civile e morale dei giovani. Personalmente seguo la fascia di età dai 16 ai 21 anni e ho potuto constatare situazioni di impotenza e d'insoddisfazione da parte dei giovani i quali, dopo aver parlato lungamente di giustizia, di solidarietà, di pace e di libertà, si ritrovano a doversi vendere per un'occupazione. Questo è il più grosso ricatto morale che si possa fare ai giovani, per cui bisognerebbe pensare ad uno sviluppo economico non come quello fino ad ora adottato, cioè di tipo assistenzialistico, ma che guardi alle risorse del territorio e dia uno stimolo ed uno sprone affinché, utilizzando le risorse, possano sorgere imprese e cooperative in grado di dare occupazione diffusa a tutti quei giovani che ne fanno richiesta. PRESIDENTE. A quanto mi risulta, il Ministero di grazia e giustizia ha stanziato dei fondi per due interventi... EMANUELE GOLDINI, Rappresentante del MOVI di Gela. Sì, 700 milioni sono stati stanziati ed affidati ad una cooperativa di Catania, la quale ha già avanzato richiesta alle diverse associazioni di essere aiutata perché, diversamente, non sarebbe capace di fare niente. Questo è il risultato che si ottiene con le somme che vengono stanziate e questo è il modo in cui vengono utilizzate. La cooperativa cui ho fatto cenno si dovrebbe insediare all'interno dei quartieri Pag. 1863 Settefarine e Scavone che si trovano ai margini della città. La sede di Scavone è all'interno del quartiere, mentre quella di Settefarine è fuori quartiere. Questo è il motivo per cui tale centro non verrà mai utilizzato ai fini di un effettivo recupero, anche perché esso nasce vicino alla struttura dei salesiani al villaggio Aldisio e a quella scout che si occupa dell'inserimento di 1.200 giovani. Si tratterebbe quindi di una nuova struttura collocata all'interno di una realtà che già raccoglie 1.200 giovani e fuori dal quartiere designato. Ho già manifestato le mie perplessità presso l'assessorato dichiarando che a mio parere questa struttura rappresenta un fallimento. In realtà occorrerebbe verificare come questo tipo di iniziative vengano guidate e realizzate. PRESIDENTE. Avete mai pensato ad una proposta alternativa? E' contenuta nel documento che avete consegnato? EMANUELE GOLDINI, Rappresentante del MOVI di Gela. Noi abbiamo avanzato una proposta: data la grossa presenza di volontari a Gela occorrerebbe creare strutture nel cuore stesso dei sette quartieri periferici, dotando le associazioni di volontariato, responsabili di tali strutture, del materiale pedagogico necessario per i vari interventi. Purtroppo tale proposta non è stata accettata. PRESIDENTE. Questa proposta è stata già avanzata ed è stata respinta? EMANUELE GOLDINI, Rappresentante del MOVI di Gela. Sì. ALDO RIGGI, Rappresentante del MOVI di San Cataldo. Provengo da San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, patria del famoso... PRESIDENTE. Spero che San Cataldo abbia prodotto qualcosa di meglio. ALDO RIGGI, Rappresentante del MOVI di San Cataldo. Ha prodotto molte cose migliori. Sono qui a rappresentare le istanze di una città e di una zona che la Commissione conosce probabilmente in relazione al pentito Leonardo Messina. Forse sarete stanchi (lo dico tra virgolette) di sentire parlare di mafia; per questo noi cercheremo di rappresentarvi la vita, quello che cerchiamo di fare per opporre una mentalità nuova a quello che la mafia ci propina ogni giorno. Basti questo piccolo esempio: al momento della mia partenza per Roma, un mio familiare mi ha chiesto se fossi sicuro che non mi sarebbe accaduto nulla, dal momento che venivo qui (Si ride). Non so se si riferisse ai parlamentari presenti, ma non penso... Questo è sintomo di una mentalità purtroppo diffusa che cerchiamo in tutti i modi di cambiare. Bisogna tornare a socializzare il territorio e a dare nuovi motivi di vita. Fornirò ora alcune cifre a dimostrazione di quanto affermo. Nel distretto di Caltanissetta ed Enna nel 1992 vi sono stati 457 giovani segnalati per reati, di cui 30 con stato di fermo per reati abbastanza rilevanti. San Cataldo insieme a Gela ha il primato dei giovani morti ammazzati in relazione alla popolazione. Di fronte a queste realtà non si può rimanere indifferenti e dobbiamo interrogarci sui modi per intervenire. Molte possono essere le ipotesi di lavoro ma, se non cominciamo a far circolare fra la gente l'idea che vi è un modo diverso di essere cittadini in questo Stato, avremo perso la partita. Se la gente sentirà di meno sul collo, almeno all'inizio e poi sempre di più, il fuoco della mafia perché c'è non solo la presenza rassicurante dello Stato con le divise ma anche quella degli operatori che lavorano in mezzo alla gente, si sarà raggiunto un primo risultato concreto. Fra le varie proposte condivisibili ed applicabili alle diverse realtà una potrebbe essere quella di incentivare la messa alla prova dei minori, inserendoli nelle strutture di volontariato. I giovani con cui ci troviamo in contatto sono del tutto demotivati, non hanno più creatività né fantasia e cercano la "scorciatoia" Pag. 1864 tramite lo spaccio ed i piccoli furti. Vi posso assicurare che fino a qualche mese fa (poi si è verificato l'omicidio di un giovane) c'era un piccolo vivaio di giovani un po' "mafiosetti" che ora, in seguito all'operazione "Leopardo", si trovano in carcere, i quali erano "allevati": si diceva in giro che c'era questo gruppo di ragazzi "in allevamento". Infatti, in un certo periodo si è verificata una serie di furti in appartamenti e circolava chiara nella città la notizia che si trattava di un "allenamento" ai furti. Dopo qualche mese uno di questi giovani è stato ucciso, sembra dagli altri ragazzi per problemi di spartizione di bottino. Quindi dai furti si è passati all'omicidio. Se a questa socializzazione mafiosa non opponiamo una nuova socializzazione dei valori, non facciamo altro che chiacchierarci e piangerci addosso ed è tutto finito. Vediamo quindi se per questi giovani con tendenze penali sia possibile incentivare l'inserimento nel volontariato tramite una messa alla prova. Interveniamo, anzi intervenite voi, che siete i nostri referenti e a cui ci affidiamo come nostri rappresentanti, presso le amministrazioni locali. Voglio ricordare che Caltanissetta e Riesi (due città che presentano problemi di mafia molto gravi) hanno perso i 250 milioni finanziati per i minori in base alla legge n. 216 perché l'amministrazione non si è attivata. Guarda caso, a Riesi vi sono i commissari prefettizi, perché il comune è stato sciolto per mafia. PRESIDENTE. I finanziamenti si sono persi con la gestione commissariale? ALDO RIGGI, Rappresentante del MOVI di San Cataldo. Sì. E' un fatto molto grave che richiede risposte concrete. Ricominciamo dunque dalle cose piccole e serie. Per questo rivolgo a voi un appello: ricominciamo a socializzare il territorio, dateci coraggio! Noi non chiediamo soldi né assistenzialismo, perché di questo non ci importa nulla; chiediamo solo che ci sia un indirizzo nuovo. GIANFRANCO DI MARTINO, Rappresentante del MOVI di Ragusa. Faccio parte di un'associazione denominata Centro di solidarietà sociale di Pozzallo che si occupa di tossicodipendenza. Vorrei far emergere subito un dato molto contraddittorio relativo al modo di investire nei servizi sociali da parte del comune di Pozzallo. Il 15 per cento delle somme del bilancio comunale è destinato ai servizi sociali, quindi una quantità piuttosto rilevante rispetto ad altre realtà vicine. Se però guardiamo la dotazione organica del servizio sociale, vediamo che nella pianta organica è previsto soltanto un posto, per di più messo a concorso. Quest'ultimo è stato bloccato per vicende varie: vi sono state denunce e probabilmente vi saranno strascichi di carattere giudiziario. Di fatto l'assistente sociale a tempo pieno non esiste, esiste soltanto la convenzione con tre operatrici; tutto viene affidato alla buona volontà del singolo operatore e non ad una struttura efficiente che sia in grado di rispondere ai bisogni di una piccola realtà (soltanto 18 mila abitanti) che però sono molto rilevanti. Mi riferisco ai problemi che conosco di più, quelli relativi alla tossicodipendenza. In proporzione, vi è il maggior numero di tossicodipendenti dell'intera provincia. Si tratta di un dato significativo che deve far pensare al modo in cui è stata gestita la politica sociale, se mai vi è stata, negli ultimi decenni, quando le varie amministrazioni di un certo spessore politico si sono succedute. Vorrei far riflettere tutti anche sul numero altissimo delle scuole materne prese in affitto: praticamente i nostri bambini stanno in garage la cui destinazione è stata semplicemente... PRESIDENTE. A Pozzallo? GIANFRANCO DI MARTINO, Rappresentante del MOVI di Ragusa. Sì. A Pozzallo ben sei scuole sono state ricavate da locali la cui destinazione d'uso nei progetti era per rimessa. E' bastato semplicemente Pag. 1865 pavimentare la rimessa, intonacare le pareti, sostituire la tradizionale saracinesca con una vetrata per far diventare il locale una scuola materna ma senza spazi verdi, senza spazi vitali ed essenziali per i bambini. Tutto questo è avvenuto per privilegiare un certo modo di fare politica clientelare, piuttosto che costruire scuole materne. Hanno provato a costruirne una nelle zone soggette alla legge n. 167 ma da parecchi anni i lavori sono bloccati e quello che fino ad ora è stato costruito viene distrutto ad opera dei ragazzi del quartiere. Questo è l'esempio evidente di come nel settore sociale si investano male somme rilevanti; basti pensare al settore dell'assistenza agli anziani. E' questo un settore in cui si è investito molto ma siamo tutti in grado di capire il perché: gli anziani, diciamolo chiaramente, rappresentano una buona sacca elettorale, soprattutto per determinate forze politiche, da cui attingere con una certa costanza e sicurezza. Altrettanto non si può dire per i giovani. Perché esiste un centro giovanile per il quale vi sono stati anche finanziamenti statali? I 30 milioni di finanziamento sono stati utilizzati esclusivamente per l'arredamento di un locale che ora è chiuso e viene usato ogni tanto da dipendenti comunali per svolgere determinati lavori che non possono eseguire tradizionalmente negli uffici in cui sono impegnati quotidianamente. Quindi, sulla carta è previsto un locale destinato ad un centro giovanile che funziona e svolge attività, in realtà esiste soltanto una stanza ben arredata, con i mobili che stanno diventando vecchi ma non certamente per la troppo usura. A questa situazione degradante fa da contraltare l'impegno del volontariato organizzato, come quello dell'associazione che rappresento, e quello del volontariato non organizzato, come quello delle parrocchie o di singoli gruppi di persone sensibili che sostituiscono, amaramente, lo Stato. MARCELLA RUSSO, Rappresentante del MOVI di Catanzaro. Appartengo all'associazione Tribunale della difesa del diritto del minore. Ho la sensazione sgradevole di una grande enumerazione di dati negativi, che peraltro sono contenuti nella relazione che abbiamo presentato. Io provengo da Catanzaro, una città non direttamente investita (lo dico tra virgolette) dalla 'ndrangheta. La nostra associazione rileva che i minori, proprio perché sintomo di famiglie disgregate e che stanno quindi ai margini di situazioni di industrialismo fallito in zone come quelle di Crotone e di Lamezia, premono a livello occupazionale, oltre che di recupero, quindi clientelare, sui settori impiegatizio e terziario presenti nella città di Catanzaro. Lavorando sui minori abbiamo imparato che le varie istituzioni utilizzano una via lunga per risolvere il problema dei minori "a rischio" (uso questa bruttissima espressione). In occasione della raccolta dei dati che abbiamo prodotto, il provveditorato agli studi, certo, ci ha riferito di aver inviato alla Commissione antimafia i dati. Tuttavia, di fronte alla domanda relativa al come intervenire, la risposta è la seguente: "Abbiamo previsto delle ispezioni ministeriali". E quando la stessa domanda è stata posta agli assistenti sociali (sapete che ci sono delle fasce, dei quartieri a rischio?) la risposta è stata: "Sì, lo sappiamo, ma la dirigenza, nel darci la risposta, fa dei giri lunghissimi". Allora ci siamo chiesti, quando ci siamo ritagliati la nostra funzione di volontariato, che non vuole sovrapporsi alle istituzioni: è tanto difficile riuscire a fare dei collegamenti di competenze, scavalcando quindi questi legami immani di burocratizzazione? La proposta che faceva Nasone nasce da questa esperienza. Noi del volontariato, cioè, ci troviamo a fare da collegamento tra la buona volontà del funzionario del provveditorato agli studi e il preside che cerca di fornire i suoi locali, anche rischiando, anche senza il parere Pag. 1866 del provveditorato, per aprire, il pomeriggio, all'integrazione di quartiere. Se parliamo di minori dimenticandoci che dietro il minore c'è un anziano a casa, o c'è un invalido o un padre disoccupato, quando parliamo di servizi sociali corriamo il rischio di produrre una situazione schizofrenica. Dietro il minore, cioè, c'è una famiglia che sicuramente è a rischio, ma gli interventi, anche parziali, dei vari assessorati regionali e comunali che si interessano, per esempio, degli aspetti riguardanti gli anziani vengono scaricati ai comuni, mentre una parte dell'intervento sanitario viene scaricato alle USL. Questa parcellizzazione non è solo finanziaria ed economica, ma è anche relativa alla professionalità degli operatori, che sicuramente non si conoscono e non possono aprire quella rete. In questo senso, quindi, si deve socializzare il territorio: anche l'istituzione pubblica, cioè, deve imparare a socializzarsi. Il lavoro di équipe da noi è una mera chimera: non abbiamo questa abitudine alla formazione, che dovrebbe essere data anche nel pubblico impiego. La logica non dovrebbe essere quella della schizofrenia nell'affrontare i problemi sociali, bensì quella di osservare il sociale sotto i suoi vari aspetti. NINO MANTINEO, Rappresentante del MOVI di Messina. Sono socio volontario del Tribunale dei diritti del malato. I dati relativi al diritto alla salute, che è un problema vitale per i cittadini, non compaiono nel lavoro che abbiamo svolto nella città di Messina. Su tale aspetto voglio soffermarmi. Il policlinico universitario di Messina ha trasmesso all'assessorato regionale alla sanità dati riguardanti il personale utilizzato nella struttura. Questi dati, trasmessi dal policlinico universitario di Messina, hanno permesso, poi, all'assessore regionale di finanziare particolarmente questa struttura universitaria e di stipulare una convenzione tra regione e policlinico. Ebbene, il Tribunale dei diritti del malato ha verificato che quel personale non esiste, non opera, non c'è, è fantasma. Ed a causa di ciò giungono all'associazione le denunce di cittadini che lamentano che, ad esempio, devono uscire a comprare di persona le medicine, che devono fermarsi la notte ad assistere personalmente i familiari malati. Al di là del protocollo, mi pare di poter dire - lo affermiamo anche come associazione di volontariato, almeno per quanto riguarda Messina - che la città è tranquilla, è addormentata, è narcotizzata e che ancora si attende il segnale forte di una giustizia civile, che faccia il suo corso quando giungono le denunzie dei cittadini. Rispetto alla voce silenziosa dei cittadini che lamentano ingiustizia ancora la magistratura, almeno nella nostra città, non è riuscita ad intervenire ed a dimostrare efficacia. Desidero un attimo soffermarmi su Barcellona Pozzo di Gotto, prima di chiudere. A Barcellona è venuto anche il presidente della Commissione, onorevole Violante, dopo l'uccisione del giornalista Alfano. Ecco, quello di Barcellona è uno di quei casi in cui di mafia si parla quando avvengono omicidi. Nel contributo che offriamo alla Commissione abbiamo lamentato che a Barcellona non c'è soltanto la mafia degli appalti, della droga e che taglieggia i commercianti (che a tutt'oggi rimangono silenziosi, a differenza di quanto avviene a Capo d'Orlando), ma vi è anche la mafia dei quartieri a rischio, come hanno detto altri colleghi. Barcellona è una città che non fa nulla per far fronte ai bisogni dei cittadini. Non c'è un assistente sociale per 40 mila abitanti, non ci sono centri di accoglienza per i tossicodipendenti, non c'è un centro di accoglienza per i malati di AIDS, non c'è un centro di servizi sociali, mancano spazi di aggregazione e strutture per il tempo libero. Ancora una volta questi spazi minimi li lasciamo, bontà loro, ai preti che fanno questo lavoro, che offrono questo servizio. Pensiamo invece che lo Stato debba essere presente e ribadiamo che non sempre c'è bisogno di flussi finanziari enormi. C'è Pag. 1867 bisogno di una presenza che possa avvalersi dei cittadini, della gente che sul territorio vuole vivere e lavorare. DINO SBREGLIA, Rappresentante del MOVI di Napoli. Appartengo alla federazione provinciale di Napoli del MOVI ed opero nella comunità Vento nuovo della zona orientale di Napoli. Voglio risparmiarvi la descrizione della città, perché ormai la città di Napoli è conosciuta da tutti sia grazie alla letteratura sia grazie alla cinematografia. E' chiaro che si tratta di una città in cui il disagio è una condizione normale di vita per tutti i cittadini, ma in particolare per quella parte di essi molto più debole e in special modo per i giovani. Per essere molto sintetico, desidero portare alcuni dati e proposte. Faccio solo degli esempi: il nostro comune ancora non ha una politica sociale. Cito esempi relativi alla spesa: per i minori il comune ha speso (sono dati del LABOS del 1991, contenuti in una ricerca commissionata dal CNEL) 14 miliardi e 700 milioni. Ebbene, qualcuno potrebbe dire che spende quanto Torino, anche perché il disagio è grosso. Però, stranamente, a Napoli questi 14 miliardi e 700 milioni sono stati destinati dal comune (stando ai dati disponibili per il 1991, quindi recenti) per il 97 per cento al ricovero dei minori in istituto; mentre lo 0,1 per cento è stato destinato all'affido familiare alternativo alle famiglie in difficoltà, zero è stato speso per i centri diurni, per l'animazione di quartiere, per gli interventi domiciliari, eccetera. Quindi, la spesa è orientata politicamente in modo molto clientelare, a mio avviso. Un altro dato: nella nostra città ed in tutta la regione da 4-5 anni non esiste più la formazione professionale per i giovani, per quei giovani che, finita la scuola dell'obbligo, accedevano a queste scuole per imparare un mestiere. Non c'è più la formazione professionale, pur avendo la regione assunto 3 mila 800 professori, attualmente parcheggiati nei meandri della regione stessa, perché, afferma l'ente locale, dopo due anni di gestione delle scuole non ha i soldi per le suppellettili. La regione ha assunto 3 mila 800 insegnanti e li ha parcheggiati nell'ente locale! Sappiamo bene quale ruolo abbia rispetto alla prevenzione della criminalità organizzata e dell'ingresso dei ragazzi nella delinquenza l'opportunità di frequentare un corso professionale e di inserirsi in un'attività lavorativa. Inoltre, per quanto riguarda la scuola e l'evasione da essa, che rappresenta uno dei primi passi verso una devianza futura, ancora non abbiamo a disposizione dati precisi: essi oscillano tra il 5 e il 30 per cento per l'evasione scolastica. Napoli infatti ancora non dispone di un'anagrafe unica nel settore ed esistono tre enti che forniscono dati diversi: il comune parla del 5 per cento, la Sant'Egidio dice che si tratta del 30... PRESIDENTE. Chi è la Sant'Egidio? DINO SBREGLIA, Rappresentante del MOVI di Napoli. La comunità di Sant'Egidio, che svolge un grosso lavoro di recupero nei quartieri. Il comune e i gruppi di volontariato non si mettono d'accordo non esistendo un'anagrafe scolastica, in base alla quale stabilire effettivamente il dato relativo all'evasione. Per quanto riguarda le strutture, va detto che esse rappresentano un altro grande problema. La ricostruzione a Napoli ha creato moltissimo, molte strutture alternative, tra cui asili nido, centri sociali ed attrezzature sportive. Do solo un dato: nel mio quartiere, quello di Ponticelli, luogo di stragi e quindi di grande presenza della delinquenza, sono stati costruiti 7 nuovi asili nido e nessuno di essi è utilizzato. Sette nuovi asili nido da ben 5 anni! E questa situazione è presente in tutta Napoli. Centri sportivi ed un centro olimpionico: nessuno di essi è utilizzato! Ormai sono in mano a vandali... PRESIDENTE. Mi spieghi: che vuol dire che non è utilizzato? Pag. 1868 DINO SBREGLIA, Rappresentante del MOVI di Napoli. Significa che non sono mai stati aperti. Forse sarebbe utile in futuro portare dei documenti fotografici, perché forse andarci voi... PAOLO CABRAS. Non sono aperti, non esistono! DINO SBREGLIA, Rappresentante del MOVI di Napoli. Costruiti, mai attivati... MICHELE FLORINO. In seguito alla legge n. 219 non sono stati acquisiti dal comune! DINO SBREGLIA, Rappresentante del MOVI di Napoli. No, sono stati acquisiti dal comune, ma il comune dice di non avere gli operatori per gestire tali strutture. MICHELE FLORINO. In alcuni casi non sono acquisiti, mancano i collaudi. Inoltre, sono vandalizzati. ACHILLE CUTRERA. Sono ultimati, non utilizzati e in parte vandalizzati. DINO SBREGLIA, Rappresentante del MOVI di Napoli. In grossa parte vandalizzati. Il minimo delle strutture, cioè, è stato attivato. Abbiamo i dati. Da calcoli fatti si deduce che si spenderà per ripararli quasi quanto è stato necessario per costruirli. Quali proposte? Abbiamo l'esigenza che venga esercitata una forte pressione nei confronti del nostro ente locale, Napoli non è una città accogliente, vivibile per tutti quei ragazzi e quei giovani che poi rappresentano la fascia a maggior rischio ai fini del coinvolgimento nella delinquenza. Chiediamo che si facciano pressioni per invertire totalmente il tipo di spesa che viene fatto e la qualità della spesa: questo affinché nella nostra città si possano costruire e mettere in cantiere delle équipe di quartiere, compiere interventi domiciliari, realizzare centri diurni e comunità di pronta accoglienza. A Napoli esistono solo 8 piccole comunità a fronte di 52 istituti. Occorre che venga promosso l'affido familiare e vengano promossi i laboratori di quartiere. Purtroppo i pochi laboratori che esistono, i pochi centri diurni esistenti sono soltanto quelli gestiti dai gruppi di volontariato. E molto spesso, nei quartieri in cui esistono il gruppo di volontariato e la scuola, quest'ultima viene vista quasi come un nemico dalla gente, perché chiusa e rigida, mentre il gruppo di volontariato è l'unico segno di presenza dello Stato accogliente e sociale, che si pone in alternativa alla forza della camorra. La camorra poi offre tutto in alternativa: non c'è appartenenza e la camorra offre appartenenza; non c'è solidarietà e la camorra offre solidarietà ed anche assistenza, perché, quando uno di loro è in carcere, è la camorra che provvede a sostenere i familiari. La scuola non offre educazione e socializzazione, ma loro offrono socializzazione (a modo loro, chiaramente). Quindi, a volte, l'unica presenza in questi quartieri è quella del volontariato. Noi chiediamo, però, molto di più: che non si corra il rischio di affidare tutto al volontariato e che il volontariato poi diventi l'alibi delle istituzioni. Noi chiediamo una vera politica di investimento e di spesa locale, ma non chiediamo nuovi soldi, perché il comune ce li ha i soldi, ma li spende per altri interessi. Ci sono interessi molto più forti e li stiamo vedendo. Noi chiediamo delle pressioni affinché questi interessi invece si spostino verso le fasce più deboli ed i quartieri molto più degradati. DAMIANO LANZONE, Rappresentante del MOVI di Poggiomarino. Sono padre Damiano Lanzone, rappresentante dell'associazione italo-extra comunitaria di solidarietà "La Quercia", che opera a Poggiomarino e in provincia di Napoli. Desidero aggiungere soltanto due elementi nuovi, perché l'analisi svolta nel precedente intervento è valida anche per i comuni vesuviani, compreso Poggiomarino. Pag. 1869 PRESIDENTE. Il consiglio comunale di Poggiomarino è stato sciolto? DAMIANO LANZONE, Rappresentante del MOVI di Poggiomarino. Sì. I problemi relativi al disagio e alla carenza dei diritti dei cittadini vengono ancor più evidenziati nel nostro comune dal fatto che vi sono molti extracomunitari. Si diceva che le istituzioni non rispondono ai cittadini italiani ed io aggiungo anche agli extracomunitari, che risentono di problemi come quello sanitario o della casa. Il fatto che il consiglio comunale sia stato sciolto per motivi di collegamento con la criminalità organizzata ci ha fatto fare un'esperienza negativa: in precedenza infatti si era bloccati perché sul nostro territorio la presenza della camorra é molto pesante, anche a causa di certi modi della gestione politica clientelare, che non dà spazio alla democrazia e alla partecipazione dei cittadini. Attualmente si è aggiunta la gestione dei commissari, che noi giudichiamo fallimentare. Dal momento che si è concluso il periodo del commissariamento, noi, in quanto esponenti della società civile, chiederemmo di non prorogare la gestione commissariale e, se possibile, di tenere subito le elezioni. PAOLO CABRAS. Quando scade la gestione commissariale? DAMIANO LANZONE, Rappresentante del MOVI di Poggiomarino. E' scaduta a marzo ma non sappiamo ancora se dobbiamo votare o meno e questo ci blocca molto. Dal momento che sul territorio esistono segnali di partecipazione, vorremmo sapere, appunto, se dobbiamo votare, perché ciò significherebbe riprendere un cammino di partecipazione democratica, che rappresenta la risposta ai bisogni che parte dal volontariato. SAVERIO CALABRESE, Rappresentante del MOVI di Nocera Inferiore. Sono don Saverio Calabrese, sacerdote di Nocera Inferiore (Agro sarnese nocerino) e desidero ricordare che lo scorso anno sono stato aggredito, un mese dopo lo svolgimento di una manifestazione contro la camorra. Lo Stato, a mio avviso, non crede molto nell'investimento nel sociale, soprattutto per i minori (chiedo scusa per la brutalità): non si può dire che uno Stato è serio quando investe qualcosa soltanto per un po' di tempo. E' necessario invece puntare sui minori, perché questo è un investimento che crea speranze per il futuro. Anche se tutti diciamo che è meglio prevenire piuttosto che punire, lo Stato, a mio avviso, ci crede poco. Occorre pertanto investire sui minori, anche con cose spicciole: la mia esperienza mi insegna che se organizziamo il doposcuola e il tempo libero dei ragazzi, togliamo questi ultimi dalla strada. Potremmo poi organizzare anche botteghe di artigianato per promuovere alcuni mestieri che da noi stanno scomparendo. Si è affermato infatti il mito del posto di lavoro in cui si prende lo stipendio senza fare nulla e intanto scompaiono mestieri che rappresentano una ricchezza culturale, oltre che economica, per l'Agro nocerino sarnese, famoso per la produzione del pomodoro. In questa zona vi era una grandissima ricchezza rappresentata dall'agricoltura, anche grazie al terreno fertilissimo; anni fa i nostri politici vi hanno impiantato industrie, mentre noi non sappiamo cosa farcene, tanto che ormai sono in crisi. Vorrei quindi che si offrisse uno stimolo affinché i nostri ragazzi si riaffezionassero al lavoro delle campagne e all'artigianato. Anche questo significa, a mio avviso, socializzare il territorio e fare prevenzione. In particolare proporrei (dovrebbe essere presente il ministro del lavoro) di togliere i giovani dalla strada attraverso il salario ridotto. Nella nostra zona esistono inoltre famiglie disgregate, in quanto spesso le madri, per aiutare i mariti disoccupati o sottopagati, vanno via dalla famiglia per andare, per esempio, a lavare i pavimenti. Pag. 1870 Sarebbe quindi opportuno dare un salario alle casalinghe, affinché le madri possano stare in casa con i figli evitando che questi ultimi finiscano in mezzo alla strada. Occorre, a mio avviso, ricominciare dai minori, in quanto sono piuttosto disperato circa la possibilità di recuperare gli adulti ad una cultura della legalità. Nei miei oratori vi sono anche figli di camorristi, i cui padri mi chiedono di prendere i loro figli per recuperarli. Alcuni camorristi infatti non vogliono che i figli facciano la loro stessa fine. In conclusione, desidero sottolineare che da noi gli amministratori locali sono uno "strazio", nel senso che non capiscono nulla: è sufficiente che un cretino (scusate il termine) faccia un po' di propaganda e prenda 700 voti per diventare assessore senza capire assolutamente nulla. Inoltre, i comuni commissariati, come prima cosa, tagliano le spese sociali e questo non mi sembra assolutamente giusto. NICOLA PREZIOSO, Rappresentante del MOVI di Taranto. Sono padre Nicola Prezioso e faccio parte di una congregazione il cui obiettivo è quello di seguire i ragazzi poveri e abbandonati e tutt'altro che innocenti. Non mi attarderò a descrivere la situazione di crisi di Taranto perché credo sia abbastanza nota. Mi limiterò pertanto a fare riferimento ad un'esperienza, per così dire, "ruspante", dal momento che il quartiere in cui sono parroco da alcuni anni è il rione Tamburi, dove ho promosso la cooperativa "Progetto uomo 2000", che è entrata nel piano di finanziamento della legge n. 216, con cui stiamo aprendo un centro diurno. Mi preme sottolineare in questa sede che posso toccare con mano la questione della crisi d'identità dei giovani e la grande, potentissima forza della malavita nel dare un'identità agli stessi giovani. Ho insegnato per molto tempo nel quartiere in cui mi trovo da 14 anni ed ho constatato che alcuni ragazzi vengono sistematicamente bocciati perché sembra che la scuola abbia dei doveri di tipo soltanto nozionistico. Su questo tema, ho avuto degli scontri con diversi insegnanti, i quali mi rispondevano di non essere missionari e che io invece dovevo fare il missionario, mentre cercavo semplicemente di sottolineare i problemi di tipo educativo di cui risentivano questi ragazzi. Tra l'altro, molti dei miei alunni sono morti di AIDS, altri sono tossicodipendenti e con altri ancora ho avuto contatti drammatici in questura; essi mi dicevano: "Padre Nicola, ricordi che razza di ragazzo ero? Adesso ho messo la testa a posto". Vi era uno di questi ragazzi, di 15 o 16 anni, con la pistola in tasca, che stava in questura e si vantava di avere un ruolo all'interno di questi giri. Si tratta di una questione che non riguarda soltanto alcuni ragazzi, ma questi sono, per così dire, i leader e incarnano il sogno di tanti ragazzini, i quali vedono la polizia, molto presente nel nostro quartiere, come il nemico. Esiste una vera e propria cultura in tal senso, che io documento dal basso. Dal punto di vista delle proposte, si dovrebbe affrontare, a mio avviso, il discorso della microimpresa e della microimprenditorialità; al riguardo, per non limitarmi alle prediche, io stesso ho fatto il presidente di una cooperativa sottolineando la necessità di agire, nella speranza che poi qualcuno ci seguisse. Vi è stato per la verità un bel gruppo di operai dell'Ilva (dei quali sono anche cappellano di fabbrica) che hanno cominciato a costituire piccole imprese. Siamo stati tuttavia scoraggiati: da parte mia, non avevo conosciuto la legge n. 44 in quanto ho conosciuto prima la legge n. 9 della regione Puglia, che mi ha lasciato veramente "sotto zero". Attualmente, vi sono 150 milioni della famosa legge Binetti che non ci arrivano perché la regione Puglia ha visto bocciati per 4 o 5 volte dal commissario di Governo i decreti relativi alla legge n. 9 e non ho mai Pag. 1871 compreso le ragioni di ciò. Da parte mia, ho fatto la spola tra gli uni e gli altri. PRESIDENTE. Attualmente vi sono i fondi? NICOLA PREZIOSO, Rappresentante del MOVI di Taranto. I fondi sono andati in perenzione, perché dopo la quinta volta che erano stati bocciati mi è stato detto che i politici avevano dimenticato di inserirli nel piano preventivo dell'anno successivo. Quando il commissario di Governo ha dato finalmente la sua approvazione, ha rilevato che era troppo tardi. Pare che adesso siano necessari due o tre anni prima che si completi nuovamente l'intero iter. I giovani di cui io ero il presidente avevano alle spalle una parrocchia, una congregazione che li ha tolti dai guai relativi alle spese che avevamo inoltrato. Immaginiamo allora in che condizioni si trovano i giovani o gli operai che vogliono cominciare a prendere sul serio il percorso della microimprenditorialità. Comunque, non ho perso la speranza. PRESIDENTE. Se la perde lei, visto il mestiere che fa, siamo finiti! NICOLA PREZIOSO, Rappresentante del MOVI di Taranto. Io non ho perso la speranza ed anzi mi dicono che sono un sognatore (e questo mi fa piacere). Il fatto importante consiste, a mio avviso, nel far riscoprire alla gente il gusto di vivere nei propri quartieri, riinnamorandosi delle proprie piazzette, dei condomini. Su questo versante stiamo facendo, con le forze del volontariato, esperienze molto interessanti ed abbiamo constatato che la gente risponde in massa (si tratta di un fatto veramente impressionante). In tanti anni ho cercato con grande pazienza di convincere gli amministratori di Taranto che, piuttosto che spendere molti soldi per mandare i ragazzi in colonia, non si sa bene dove, sarebbe sufficiente molto meno per organizzare l'estate dei ragazzi, in attività di quartiere e nelle scuole; non per vantarmi ma per evidenziare che la cosa funziona, desidero sottolineare che già la scorsa estate abbiamo aggregato, senza difficoltà, 850 bambini soltanto nel rione Tamburi. Non si tratta di un'eccezione, perché lo stesso cocktail educativo funziona a Foggia, a Napoli (nel quartiere di Poggioreale), a Roma, a Cefalù (in Sicilia). Si tratta di piccoli espedienti che però sembra non vengano accettati, perché pare che i funzionari o gli assessori ai servizi sociali abbiano l'idea che soltanto quello che si è sempre fatto possa meritare un aiuto, mentre le cose nuove sarebbero assurde. Sto lottando ormai da 14 anni senza riuscire a far diffondere questa piccola iniziativa che funziona. Comunque, se volete siete invitati. PRESIDENTE. Grazie. DARIO AMODIO, Rappresentante del MOVI di Brindisi. Provengo da Brindisi e svolgo attività di volontariato tra Brindisi e Lecce. Mi interesso in modo particolare delle tossicodipendenze, nell'ambito della comunità Emmanuel. Invito la Commissione a riflettere sul fatto che la situazione esistente a Lecce e a Brindisi presenta certamente moltissime analogie con quella di tutta l'Italia meridionale, anche se in ogni territorio vi è forse qualcosa di specifico. Desidero segnalare in particolare un fatto: se si entra in una scuola pubblica, elementare o media, di Brindisi o di Lecce, si sente facilmente un ragazzo affermare che il padre "lavora alle sigarette". Poiché a Lecce vi era la manifattura dei tabacchi, si potrebbe essere tentati di pensare che il padre di quel ragazzo lavori presso tale struttura. PRESIDENTE. Sappiamo che non è così. DARIO AMODIO, Rappresentante del MOVI di Brindisi. Sappiamo perfettamente che non è così, anche se i ragazzi dicono: "Mio padre lavora alle sigarette". Qualche anno fa, quando vi fu un Pag. 1872 conflitto a fuoco tra la guardia di finanza e i contrabbandieri ed uno di questi ultimi morì, i contrabbandieri di Brindisi manifestarono contro la capitaneria di porto e scesero in sciopero. Essi furono addirittura ripresi dalla televisione e il filmato venne mandato in onda nel TG1: si vedeva chiaramente la folla di contrabbandieri che manifestava davanti alla piazza della capitaneria di porto di Brindisi. Quando su un territorio si considera così lecito e legittimo l'impiego fuori legge nel contrabbando e lo si reputa come un fatto naturale e un'opportunità di lavoro, il passo tra questo atteggiamento ed il comportamento, la mentalità e la prassi mafiose è impercettibile. Ecco come un territorio può scivolare lentamente nelle spire della mafia, divenirne vittima, assorbirne gli atteggiamenti, i comportamenti e la cultura senza rendersene conto. Nel momento in cui i ragazzi escono dopo aver terminato il cammino della tossicodipendenza, per fortuna recuperati (dopo 27 mesi), ci poniamo il problema della sorte di questi ragazzi, molti dei quali finiscono, come i padri, a "lavorare alle sigarette". Come ha giustamente sottolineato il nostro vicepresidente Nasone, specialmente in seguito al fallimento dei modelli industriali a Brindisi e Lecce (soprattutto a Brindisi dove chiudono le imprese che hanno lavorato nell'ENEL, si ridimensiona il polo petrolchimico e si verificano situazioni di grave crisi intorno alle "cattedrali nel deserto" che tali sono rimaste), uno dei problemi fondamentali è quello di intervenire efficacemente attraverso un'iniziativa che promuova il lavoro per i giovani. Non si può infatti uscire dalle spire e dallo strangolamento culturale della mafia senza offrire ai giovani una reale opportunità di impiego. Questo è il campanello d'allarme, la segnalazione, la raccomandazione che da Lecce e da Brindisi si muove alla Commissione antimafia. ANNA DE LEO, Rappresentante del MOVI di Bari. Faccio parte dell'associazione Famiglia dovuta, che si occupa di minori abbandonati e promuove gli affidi familiari. Data la brevità del tempo a disposizione mi limiterò a sottolineare la necessità che nella nostra città - come in altre, ritengo - vi sia un raccordo tra le pubbliche istituzioni, e tra queste e il privato sociale (le cooperative, il volontariato, eccetera). Dobbiamo purtroppo assistere ad atteggiamenti e provvedimenti delle istituzioni che, a dir poco, potremmo definire schizofrenici e incoerenti. Farò un solo esempio, peraltro riportato nella nostra scheda. Il comune di Bari - un grosso comune capoluogo - ha destinato, nel suo bilancio del 1992, una parte (7 miliardi) di una fetta irrisoria riservata al sociale, per l'affido di minori ad istituti, e 400 milioni, peraltro non pagati in quanto la relativa delibera è successivamente decaduta, per l'affido familiare. Ciò significa che non si vuole promuovere un'accoglienza a dimensione familiare. Aggiungo che lo stesso comune di Bari - ecco la schizofrenia! - ha da anni una convenzione con una cooperativa che promuove, sensibilizza la città di Bari all'affido familiare. In altri termini, degli operatori vengono pagati per i loro interventi di promozione degli affidi, ma poi non si consente che questi ultimi si realizzino e non si aiutano le famiglie con reddito medio-basso, piene di buona volontà ma che necessitano almeno di un rimborso spese per occuparsi di questi ragazzi. Da qui la necessità di un raccordo e di un progetto. Noi volontari vogliamo avere la nostra piccola funzione in un quadro più generale; ma purtroppo ho potuto constatare personalmente, anche nella mia qualità di funzionario regionale, che i comuni e le USL stanno letteralmente gettandosi sul volontariato. Sembra che quest'ultimo debba fare miracoli! Ma noi non facciamo miracoli, vogliamo soltanto che i servizi pubblici funzionino con Pag. 1873 l'apporto del privato sociale, con la nostra piccola integrazione. Non possiamo più consentire che asili nido comunali servano soltanto agli operatori, cioè al loro ventisette e non, invece, ai bambini che accolgono. Si pensi che da giugno a settembre gli asili comunali rimangono chiusi, per cui le famiglie che hanno bisogno di affidare i loro bambini debbono pagare fior di quattrini - ma per la verità somme notevoli si pagano anche al comune - per usufruire dei nidi privati. Il personale delle strutture comunali osserva l'orario scolastico (andando in ferie nei periodi natalizi e pasquali). Il che è assurdo. I nidi chiudono alle 14 e le mamme non sanno a chi lasciare i loro bambini. RITA CALISI, Rappresentante del MOVI di Pescara. Faccio parte dell'associazione Il girotondo per la tutela e l'affermazione dei diritti del minore. Rispetto al problema mafia, l'Abruzzo può sembrare una piccola isola felice. Infatti, fino ad alcuni anni fa, la criminalità abruzzese era legata soprattutto alla tossicodipendenza, per quanto riguarda la zona montana, e alla forte presenza di nomadi per quanto riguarda la zona costiera. Ultimamente, però, l'Abruzzo è assurto alla cronaca nazionale per omicidi eccellenti, come quelli, per esempio, dell'avvocato Fabrizi e di Ferretti, che hanno rivelato la presenza di infiltrazione dall'esterno di bande rivali che si contendono il controllo della zona. La nostra associazione, che si occupa prevalentemente del diritto dei minori, ha redatto una scheda sul servizio di politica sociale per i minori nel comune di Pescara. Ci siamo resi conto come, in effetti, sul territorio esistano strutture assolutamente insufficienti. Nell'organico del comune - nel cui territorio vi sono 121.000 abitanti - sono previsti due assistenti sociali. Con riferimento ai minori a rischio si è registrato, tra il 1991 e il 1992, un incremento del 46 per cento di procedimenti giudiziari. Le pratiche archiviate (quelle relative ai minori di età inferiore ai 14 anni) sono 400. Sappiamo benissimo come la mafia e la criminalità tendano proprio a sfruttare questa fascia di minori, che non è sottoponibile a procedimenti giudiziari. Nel comune di Pescara, la situazione è abbastanza problematica a seguito dei recenti avvenimenti che hanno portato ad inquisire il sindaco della città. In tale città il nostro apporto non vuole essere di contrapposizione con lo Stato o di sostituzione dei servizi sociali, ma soltanto di completamento e di appoggio. Però siamo impossibilitati ad intervenire perché nel nostro comune non sono stati emanati i regolamenti attuativi dello statuto. Chiediamo poi un controllo da parte della prefettura sulla situazione dell'assistenza sociale ai minori. Infatti, nel comune di Pescara non esiste in pratica un assessorato specifico per la politica di assistenza sociale ai minori. SAVERIO D'AMELIO. Vorrei anzitutto ringraziare la presidenza della nostra Commissione per aver consentito l'audizione odierna, che a mio avviso ha offerto elementi di valutazione che sono andati anche al di là delle aspettative che pure coltivavo, e di ciò mi compiaccio. Ci è stato infatti offerto uno spaccato della società nella quale trovano facilmente terreno fertile la mafia e le organizzazione delinquenziali. Su tale realtà si può tuttavia operare e la testimonianza di questi volontari mi pare che lasci ben sperare, a condizione però che si stabilisca - è questo il substrato che ha caratterizzato tutti gli interventi - il coordinamento che attualmente manca. Nelle zone in cui lo Stato è assente, è evidente che c'è bisogno di tutto. Quando invece ci si trova di fronte ad interventi discontinui, sporadici, limitati ma comunque esistenti, se questi vengono portati avanti senza l'interazione, qui più volte richiesta, allora essi sono destinati al fallimento, malgrado certe presenze e certe vitalità. Nel ringraziare tutti i rappresentanti del MOVI per il loro impegno, ritengo di Pag. 1874 dover dire che il punto centrale sia quello della sensibilizzazione della scuola nei confronti dei problemi ambientali. Credo sia opportuno - e in tal senso rivolgo una richiesta al presidente - programmare un'audizione del ministro della pubblica istruzione perché, uscendo dalla "burocratizzazione" delle solite audizioni si possa affrontare specificatamente il tema concernente gli interventi della scuola, cosa essa faccia per evitare il crescere della mentalità mafiosa o comunque delinquenziale. Sia pure per un brevissimo tempo sono stato sottosegretario per la pubblica istruzione. Ricordo che il secondo giorno successivo alla mia nomina a sottosegretario, fui invitato dal provveditore agli studi di Napoli a recarmi in quella città. Pensavo che sarebbe stata una giornata di festa, invece mi furono fatte vedere alcune scuole allocate in sottoscala, in garage, e via dicendo. Quella giornata diventò per me un momento di grande angoscia e tristezza. Non è vero che la scuola non investe; essa spende fior di quattrini. Diciamoci fino in fondo e chiaramente la verità! Non sempre, all'interno delle scuole, vi è la sensibilità perché al di là del ventisette e del nozionismo sul quale si attesta gran parte degli insegnanti, si possa inserire il nuovo, cioè il messaggio dei valori che deve essere trasferito ai ragazzi, perché si concretizzi la mentalità antimafiosa alla quale è stato qui fatto riferimento. Propongo che siano sentiti anche i rappresentati dei Ministeri dell'interno, degli affari sociali e della sanità, che stanno utilizzando fondi limitati ma pur sempre cospicui o comunque notevoli previsti da alcune leggi, come quella, per esempio, relativa alla lotta alla droga e la n. 216 concernente l'attività di sostegno ai minori. Analogamente, sarebbe utile prevedere un'audizione dei rappresentanti del Ministero del lavoro e di alcuni assessorati, con riferimento ai corsi di formazione che dovranno essere specializzati e finalizzati al tipo di problematica in oggetto. VITO RIGGIO. Desidero semplicemente sottolineare come nella passata legislatura questa Commissione elaborò un documento frutto di una serie di indagini. In proposito, voglio ricordare l'indagine conoscitiva sulla situazione del quartiere ZEN di Palermo, dalla quale scaturirono diverse proposte, peraltro tutte disattese, concernenti sia l'apprestamento di progetti integrati di intervento, di intesa tra i Ministeri della pubblica istruzione, dell'interno e degli affari sociali, in particolare in ordine a progetti di recupero delle aree di marginalità in alcune città degradate (Palermo, Catania e Bari), sia una seria responsabilizzazione delle autorità locali, in particolare quelle dei grandi comuni, che - chi più chi meno - hanno sempre fatto finta di dotarsi di strumenti, ma che in realtà hanno al massimo stipulato convenzioni con strutture di volontariato senza però avere né organici né professionalità: il che ha reso praticamente impossibile l'operatività dello stesso volontariato. Per tale motivo credo che dovremo far riferimento a quel documento di cui ho appena parlato e che ritengo fosse ben fatto. Ricordo che insieme al senatore Cabras facemmo una serie di accessi, constatando de visu quale fosse la condizione dei servizi sociali e delle strutture, a partire da quelle fisiche. Del resto, anche grazie alla relazione del collega Folena, abbiamo potuto conoscere la situazione della scuola palermitana, rimasta nelle stesse condizioni da noi riscontrate fin dal 1988. Da qui la necessità di un'audizione dei rappresentanti dei ministeri interessati, e di continuare quel lavoro di sensibilizzazione nei confronti delle autorità locali, perché gran parte delle competenze dovranno essere esercitate a livello regionale. In Sicilia, in particolare, ma anche in altre regioni c'è un vuoto di iniziativa amministrativa. La legge n. 22 della regione siciliana sui servizi sociali, per esempio, è una normativa avanzatissima ma inapplicata. E' inapplicabile perché non sono state indicate le competenze, ed è inapplicata perché, date le condizioni, Pag. 1875 l'unico risultato ottenuto è stato quello di recepire, dal punto di vista del manifesto dei principi, tutte le condizioni espresse dal volontariato. Naturalmente, non credo fosse questo l'obiettivo da raggiungere, cioè quello di avere una legge-manifesto, quanto piuttosto quello di un incremento, anche graduale, in termine di rendimento, dell'attività amministrativa. Al fine di completare il ragionamento sull'educazione a livello di base, si pone l'esigenza di un confronto con le amministrazioni locali, anche perché la nostra Commissione ha un compito di vigilanza nei confronti di questo tipo di inadempienze. PIETRO FOLENA. Anch'io desidero premettere che ritengo di grande importanza l'incontro di questo pomeriggio. Abbiamo di fronte un'associazione che raccoglie centinaia di gruppi di volontariato in tutto il territorio del paese. Credo che una delle cose più importanti che potremmo fare è rispondere ad una esigenza che mi pare sia indicata nel documento del MOVI (non ho ascoltato la relazione esposta dal presidente Lumia in quanto impegnato in una votazione in Assemblea). Una delle cose più importanti, dicevo, che dovremmo fare è quella di svolgere una funzione di collegamento, di coordinamento, di messa in rete di associazioni, di realtà, di aggregazioni esistenti in tante parti del territorio, soprattutto dove la mafia è più presente, ma anche in realtà che non sono oggetto di una particolare crescita e sviluppo di un fenomeno mafioso, ma in cui si sviluppano fenomeni di criminalità, di microcriminalità o in cui sono presenti in nuce fenomeni di tipo mafioso (mi riferisco alle periferie di Torino, di Milano e di altre grandi città). Sarebbe molto importante che la Commissione antimafia, che ha voluto segnare in questi mesi delle novità molto importanti sul terreno mafia-politica, sul terreno dell'aiuto alla magistratura per quel che riguarda l'adozione di nuovi provvedimenti, si qualificasse anche come uno strumento di confronto con queste forme della società civile organizzata. Anche se non faccio parte dell'ufficio di presidenza, credo che si sia già parlato della possibilità di indire un forum sul volontariato nel territorio, con particolare attenzione ai quartieri del disagio, nelle periferie, ma anche nei centri storici delle città del Mezzogiorno (poi dirò una cosa a proposito del centro storico di Palermo) per dare forza e far risaltare una realtà che spesso è poco conosciuta o meglio è poco apprezzata dai grandi mezzi di informazione. Quando usciremo da questa Commissione, al termine della seduta, probabilmente non ci sarà la fila di televisioni pubbliche e private (lo dico con grande rispetto per gli amici e colleghi giornalisti) che chiederanno all'onorevole Cabras, al presidente Violante, ai rappresentanti dei vari gruppi le rispettive opinioni su cosa è successo e si è detto. In questo caso non c'è nulla di particolarmente pruriginoso, non c'è uno scoop e tuttavia c'è qualcosa di almeno altrettanto importante (senza con ciò voler nascondere l'importanza del lavoro che abbiamo svolto nei mesi passati) che va valorizzato. Un forum aperto potrebbe rappresentare il modo attraverso il quale si invita la stampa, la televisione, i mezzi di informazione ad "aprire" su una realtà di tanto valore. In particolare a me pare molto giusto un giudizio contenuto nella relazione del MOVI circa il fatto che in questi mesi, dopo le stragi, mentre si è recuperato il ritardo esistente sul versante repressivo, sul versante mafia-politica, non si è ancora recuperato il ritardo sul versante economico. Abbiamo un ritardo sul versante dell'economia che se non viene affrontato di petto può diventare esiziale anche per il successo ed il buon fine di quanto la Commissione sta contribuendo a fare in altri settori. Tutto ciò dobbiamo saperlo per non riprodurre (nella relazione del MOVI non è scritto, ma voglio dirlo a scanso di equivoci) un'analisi di tipo sociologico del Pag. 1876 fenomeno mafioso, che alla fine potrebbe diventare di tipo giustificatorio: siamo di fronte a ritardi economici e a forme di degrado economico-sociale che provocano tale fenomeno. Queste forme di degrado sociale, l'arretratezza, o la distorsione della modernizzazione che si è determinata in una larga parte del paese, hanno rappresentato un terreno fertile per la presenza di un soggetto autonomo, che ha una sua forza, una sua articolazione anche di tipo economico. La forza della democrazia sta nel saper offrire un'alternativa anche di tipo materiale e non solo di tipo morale o civile alle forze che oggi vengono chiuse in questo dominio. Al riguardo mi sembra molto giusta la testimonianza di alcuni esponenti del volontariato impegnati in Campania ed in altre regioni. In particolare, vorrei sottolineare, anche se la cosa non riguarda direttamente il volontariato, la grande importanza che ha l'organizzazione di un tessuto democratico, quindi delle forze democratiche, nelle zone più degradate delle città e del paese. Nel corso di questi ultimi anni la chiusura o l'estinzione, in alcuni casi, di sezioni di partito in quartieri popolari, di organizzazioni del sindacato, di forme collettive dell'organizzazione della democrazia, ha fatto sì, anche se inconsapevolmente, che in questi quartieri i "don", gli "zii", le organizzazioni mafiose, le cosche e così via, diventassero in qualche modo un punto di riferimento perverso, distorto, terribile per le realtà del bisogno. Da questo punto di vista, rispetto agli obiettivi, desidero sottolineare alcuni punti di particolare urgenza. Nella relazione si fa riferimento all'obiezione di coscienza. A questo riguardo non si può non denunciare che la legge sull'obiezione di coscienza continua ad essere bloccata in Parlamento dalla posizione che in modo specifico, non tutto il Governo, hanno assunto nel corso di queste settimane il ministro della difesa, il Ministero della difesa. Non dico che la legge sull'obiezione di coscienza è in grado di risolvere tutti i problemi (in passato è stata applicata in modo distorto) e che da sola potrebbe consentire la realizzazione di un servizio civile; tuttavia, essa rappresenterebbe un segnale positivo e costruttivo. Pertanto, credo che la Commissione antimafia debba innanzitutto intervenire nei confronti del Parlamento affinché questa legge venga ripresa, letteralmente ripresa per i capelli (lo voglio dire come un grido di allarme anche agli amici del volontariato presenti), letteralmente ripresa per i capelli (oggi praticamente quasi affossata), nei prossimi mesi malgrado la crisi politica e le difficoltà legislative che abbiamo di fronte. In secondo luogo, ritengo di grande rilievo l'idea contenuta in modo ancora abbastanza generico nella relazione presentata dal MOVI (chiedo a Lumia e agli altri rappresentanti se esistono proposte più specifiche affinché le illustrino o le facciano pervenire alla Commissione) circa l'intervento da effettuare sulle periferie. Il collega Riggio si è soffermato su questo aspetto ed anche su quanto la precedente Commissione antimafia era riuscita a concretizzare in proposito. Ricordo la misera fine del decreto concernente l'Italispaca di cui la Commissione si è occupata varie volte, che prevedeva una serie di interventi per le città di Palermo e di Catania. In modo particolare per Palermo si prevedeva un intervento sull'area ovest e sull'area est della città che avrebbe potuto costituire la base per l'avvio di una ricostruzione di queste grandi periferie. Si tratta di definire le forme di tipo ordinario (così come si dice nella relazione) e non straordinario di intervento. Sottolineo questo aspetto perché non vorrei che, chiedendo interventi di emergenza (perché sicuramente c'è un problema di emergenza nelle periferie), potessimo reintrodurre pratiche o modalità che hanno una logica di tipo emergenziale che in ultimo fanno la fine che abbiamo già visto. Certamente abbiamo bisogno di un piano delle risorse economiche, degli strumenti legislativi e degli strumenti attuativi delle scelte e delle Pag. 1877 decisioni che si intendono adottare. Probabilmente a questo proposito, per quello che riguarda il futuro lavoro della Commissione antimafia, è opportuno isolare alcune zone. Come Commissione antimafia abbiamo deciso di svolgere un lavoro che parta dall'analisi di alcune realtà. Poco fa è stato sottoposto all'attenzione della Commissione il caso riguardante la città di Bari, ma io penso, ad esempio, anche alla questione del centro storico di Palermo di cui sarebbe opportuno, a mio giudizio, che ci occupassimo in modo specifico. In questi giorni ho inviato una lettera al presidente della Commissione affinché vengano acquisiti alcuni atti a proposito della questione del centro storico di Palermo ben sapendo che un progetto concentrato da un punto di vista economico, di strumenti attuativi, di verifica e di controllo su una grande realtà in cui vivono decine di migliaia di persone, rappresentanti strati e ceti popolari ancora non espulsi dal centro storico, potrebbe rappresentare uno di quegli interventi positivi di ricostruzione che dobbiamo operare. Infine, per concludere, sottoscrivo quanto è stato detto a proposito della legge sull'uso dei beni sequestrati e della possibilità di un intervento che ci permetta di reinserirli in un circolo democratico di cui il volontariato rappresenti uno dei soggetti attivi. Anche a proposito del pieno riconoscimento della soggettività di queste novità che si sono venute organizzando nell'Italia degli ultimi anni, in modo particolare nel Mezzogiorno, credo che dovremmo compiere un esame attento in ordine a cosa è avvenuto con gli statuti comunali. Ho l'impressione che la vicenda degli statuti comunali (è un giudizio che voglio dare prudentemente in quanto non confermato da dati di fatto), che doveva rappresentare un grande momento di riconoscimento a livello locale da parte delle amministrazioni circa il valore delle organizzazioni del volontariato, sia rimasta in larghissima parte lettera morta soprattutto per la crisi che ha investito la politica e per i casi di corruzione che hanno investito largamente le amministrazioni locali. Anche a questo proposito la Commissione antimafia può svolgere una funzione positiva per rivitalizzare lo strumento degli statuti comunali, che concretamente può rappresentare un riconoscimento sul terreno locale di un lavoro che viene svolto dal volontariato, che non chiede solo finanziamenti ma anche di poter essere riconosciuto per il proprio contributo politico e per la propria politicità in senso lato. ALBERTO ROBOL. Al presidente Lumia vorrei rivolgere una domanda che più volte ho avuto modo di porre in occasione delle trasferte svolte dalla Commissione a Brindisi, a Bari, in Calabria, riguardante la società civile, il volontariato. Credo sia opportuno concettualizzare meglio il volontariato rispetto al passato, quando la società civile non era sostanzialmente impegnata in quanto, come si è detto prima, assente dal dibattito. Lo stesso presidente del MOVI ha parlato di una accelerazione di sensibilità da parte della società civile. Credo sia pericoloso identificare il movimento del volontariato con la società civile. Per comprendere meglio il ruolo del volontariato forse dovremmo domandarci che rapporto c'è tra questo movimento, che rappresenta una parzialità finalizzante, e la società civile quale entità abbastanza astratta nelle sue sfaccettature. Da diversi interventi è emersa una componente direi quasi primigeniamente conflittuale con le istituzioni. Non so fino a che punto questa conflittualità, questa sorta di dicotomia tra istituzione e volontariato possa col tempo essere utile ai fini del lavoro da compiere. Se la conflittualità determinerà ulteriori situazioni positive di vita, allora potrà avere una sua finalizzazione, altrimenti rischierà di determinare una serie di paralisi. Anche in altre regioni esistono movimenti di volontariato, però ho l'impressione che in quelle non meridionali il rapporto con le società civili e con le istituzioni sia diverso. Negli ultimi due Pag. 1878 anni, quando a livello di repressione si è notata la presenza dello Stato, come ha reagito il volontariato? Come ha reagito, nei confronti della nascente società civile, come insieme di articolazioni e di prese di posizione, il volontariato? Il riferimento al televideo mi è parso opportuno perché, dall'assassinio del giudice Falcone in poi, tutte le iniziative assunte (che non sono però tutte riducibili al volontariato) testimoniano una generalizzata presa di coscienza. Vorrei a tale proposito qualche delucidazione. PAOLO CABRAS. Desidero anch'io ringraziare i rappresentanti del MOVI per il contributo di esperienza e di conoscenza che hanno dato ai nostri lavori. Condivido l'analisi contenuta nella vostra relazione sintetizzata dal presidente Lumia. L'azione di contrasto alla mafia non può essere affidata soltanto alle tradizionali politiche di repressione, né tanto meno può essere compito solo della magistratura e delle forze dell'ordine. Tale azione ha bisogno di una risposta molto più vasta, più articolata delle istituzioni, ma anche di chi, nella società civile, organizza forme ed interventi di solidarietà, di comunicazione, di iniziativa, antidoto questo ad una cultura mafiosa che è sempre cultura della separatezza, della distinzione, della contrapposizione, della conflittualità rispetto alle istituzioni ed alle regole, comunemente accettate, di convivenza. Giustamente vogliamo colpire la mafia anche nelle sue articolazioni economiche, produttive, nelle sue transazioni economiche, nelle sue connessioni interne ed internazionali. Sappiamo infatti che la mafia punta sempre verso il nord ed oltre il confine nazionale ma non dobbiamo dimenticare il suo aspetto territoriale; essa investe le sue risorse a New York ed in Canada, gioca in borsa a Milano, ha i suoi paradisi fiscali in Svizzera o nel Liechtenstein, però rimane sempre ancorata a quelle realtà territoriali che rappresentano un po' i suoi santuari, le sue radici di forza, di influenza. Non a caso i boss mafiosi non si nascondono mai in Sud America, bensì a Palermo o sulle montagne dell'Aspromonte. Ritengo pertanto indispensabile la presenza articolata delle organizzazioni del volontariato sul territorio per la contrapposizione alla mafia. Quello però che mi sorprende, non nella vostra denuncia ma in una realtà che conosco anch'io, è che, nonostante l'evoluzione della cultura prevalente e della legislazione attuale (penso alla legge quadro sul volontariato), vi sia ancora una difficoltà nel riconoscere il vostro ruolo e la vostra funzione da parte di soggetti istituzionali ed in particolar modo delle regioni, delle province e dei comuni. Penso inoltre alla destinazione ed all'impiego dei fondi a favore dei minori, per l'affido familiare e per tutte quelle cose che ci avete rappresentato con molta efficacia. Tutto ciò mi preoccupa perché è il segno di una insensibilità che non è neanche scossa da leggi che pure hanno dato al volontariato, che in tempi lontani le temeva come fossero una sorta di gabbia, di condizionamento, di limite, la possibilità di farsi conoscere ed apprezzare all'esterno. Purtroppo però le cose sono pressoché immutate e questo credo possa indurre la Commissione antimafia ad assumere un'iniziativa. La Commissione antimafia, allorquando svolge indagini sulle realtà provinciali e regionali, cerca sempre di trovare tra gli interlocutori chi rappresenta il volontariato. Questa è un'attenzione che dal sociale si dirama anche ai problemi della scuola, della cultura, delle occasioni di socializzazione che sono estremamente importanti, così come purtroppo sono completamente assenti. La denuncia che voi avete fatto per Gela, per Poggiomarino o altri centri potrebbe benissimo essere ripetuta per tutti quelli che abbiamo visitato (e molti me ne venivano alla mente mentre vi ascoltavo). In seno alla Commissione antimafia è stato costituito un gruppo di lavoro che si occupa dei temi sociali. Stiamo raccogliendo dati sull'abbandono scolastico e soprattutto sull'evasione della scuola dell'obbligo, nonché sul fenomeno della dispersione, fenomeno questo molto diffuso. Pag. 1879 Ritengo che vi sia la necessità di esaminare più a fondo la qualità della spesa sociale al sud, al di là della sua entità. A volte la percentuale può essere incoraggiante, ma spesso essa è più apparenza che sostanza. Vi è inoltre un problema di preparazione e di formazione professionale delle istituzioni a fronte degli interventi di carattere sociale; vi è un problema quindi della scuola, dell'occupazione, della formazione professionale. Sono ingentissimi i fondi che nel sud e non solo si impegnano per sostenere l'occupazione, per cui credo legittimo l'interrogativo che ci poniamo circa l'utilità sociale e la compatibilità con le linee di tendenza dell'evoluzione economica, di mestieri e di professioni. E' inoltre importante valorizzare ed utilizzare il volontariato per i minori devianti, per tutti quei casi in cui né la repressione né, tanto meno, la condizione detentiva possono risolvere i problemi dei tossicodipendenti. Se il nostro gruppo di lavoro riuscirà ad acquisire una serie di dati, compresi i documenti che voi oggi ci avete fornito, forse potremo programmare nel medio periodo un confronto tra la nostra Commissione, le organizzazioni del volontariato, le rappresentanze delle regioni, nonché i ministri degli affari sociali e della pubblica istruzione. Ritengo che da tale confronto possa scaturire un elaborato, un insieme di verifiche e di documentazioni, nonché alcune proposte. Dal canto vostro potrete benissimo arricchire ed integrare con la vostra esperienza il nostro lavoro. Probabilmente tutto ciò potrà anche influenzare la politica sociale delle regioni; oggi infatti tale politica non appartiene tanto al Governo centrale, quanto alla capacità di realizzare sul territorio interventi precisi e definiti da parte delle regioni (com'è giusto). Il rischio però è quello che a livello regionale si ripresentino tutte le degenerazioni dell'assistenzialismo, del clientelismo e del burocratismo. Per concludere ritengo che, se la Commissione concorderà con la mia proposta, potremo darci un nuovo appuntamento per confrontare l'esito del nostro lavoro con la vostra esperienza che oggi ci avete anticipato. PRESIDENTE. Vorrei anch'io ringraziare i nostri ospiti e dire che l'ipotesi politica dalla quale partiamo è stata spiegata con grande chiarezza dal senatore Cabras. Vi è un problema di repressione che va affrontato con tutta l'energia necessaria e vi è un problema di costruzione della democrazia, che va affrontato con pari energie: non basta infatti sradicare, bisogna anche piantare e lavorare in positivo. Voi avete fatto un elenco di alcune questioni concrete sulle quali la Commissione vorrebbe intervenire. Vi è poi il problema più generale di costruire un rapporto tra il vostro lavoro, il nostro e quello delle istituzioni, come poc'anzi hanno affermato i colleghi Cabras, Folena ed altri. Probabilmente è difficile fare questo lavoro in una sede nazionale, nel senso che i problemi sono diversi di volta in volta, caso per caso e rischiamo di perderci in un totale genericismo. Occorre pertanto decidere se vogliamo individuare un momento generale, cui accennava il vicepresidente Cabras, nel quale fare alcune verifiche, fissando però un'area specifica di esame. Non so se sarà la Campania, la Sicilia, o qualche altra zona, però in questa area da individuare occorrerà fare un confronto più ravvicinato con le amministrazioni locali. I soggetti sono tre: le organizzazioni del volontariato, le amministrazioni comunali e quelle regionali. Certamente sorgeranno delle difficoltà materiali, difficoltà d'impiego di fondi, di capacità di spesa, vi è tuttavia la necessità di individuare tali aree con una certa precisione. Vorrei inoltre informare che è stata già programmata l'audizione del ministro della pubblica istruzione nel gruppo di lavoro che si occupa delle questioni sociali, per cui in quell'occasione sentiremo l'opinione di una persona estremamente sensibile a questo tipo di problemi. Per quanto riguarda la legge n. 216, abbiamo ascoltato il consigliere Palomba, Pag. 1880 direttore del servizio minorile del Ministero di grazia e giustizia (esiste un resoconto sommario di quell'incontro che potremo consegnarvi). Mi ha colpito molto la questione di Gela che personalmente credevo, forse capendo male, si risolvesse in modo positivo. Se i colleghi sono d'accordo potremmo affidare al gruppo di lavoro il compito di elaborare un piano, fissando tuttavia un nuovo appuntamento con le organizzazioni del volontariato prima della pausa estiva, in modo tale che non si disperda l'esperienza fin qui maturata. Potremo inserire questo studio nel quadro del lavoro sulla Sicilia, visto che dovremo fare un lavoro ad hoc su questa regione, oppure nel quadro del lavoro sulla Campania. Ricordo infatti che abbiamo già programmato dei lavori per queste due regioni. Naturalmente, è difficile stabilire quale sia la sede prioritaria, ma dobbiamo comunque scegliere con un minimo di arbitrarietà. D'altronde, se non si stabiliscono priorità, non si fa nulla o al massimo cose di carattere generico. Si è parlato anche del problema della sensibilizzazione delle scuole. A me francamente pare che il problema più rilevante sia rappresentato dalle amministrazioni locali e regionali. Qui sta il punto chiave del vostro lavoro perché, se non riuscirete a raccordarvi con dati quali capacità, qualità ed effettività della spesa, tutto il resto probabilmente verrà meno. Pertanto, pur dando tutto lo spazio necessario alla scuola, dobbiamo trovare il modo di focalizzare la nostra attenzione su questo aspetto del problema. Noi siamo molto lieti di questo incontro anche perché siamo perfettamente consapevoli che la prevenzione costa meno della repressione. Gli "utili" della prevenzione però non si vedono nel senso che l'utile è fisiologico e quindi non emerge. Occorre pertanto una notevole maturità politica per impegnarsi sul piano della prevenzione piuttosto che su quello della repressione. Questo è un problema di democrazia che tutti i soggetti operanti nel paese devono tentare di risolvere. Chiedo, quindi, al presidente Lumia se è d'accordo su questo itinerario e se intende suggerire altre linee d'azione. Ricordo che il senatore Robol aveva posto un quesito. ALBERTO ROBOL. Oltre ai tre interlocutori di cui parlava il presidente - movimenti, istituzioni e Commissione antimafia - ne esiste un altro, la società civile che, rispetto al movimento del volontariato, negli ultimi anni ha dimostrato di essere molto più articolata. GIUSEPPE LUMIA, Presidente del MOVI. Innanzitutto desidero ringraziare la Commissione per averci ascoltato in sede plenaria perché spesso veniamo chiamati per interventi riguardanti il settore specifico delle politiche sociali; cosa, questa, che rischia di ghettizzare culturalmente l'intervento. L'individuazione di un settore è sicuramente necessaria - ed è bene che voi ne abbiate scelto uno, perché ciò rappresenta un indicatore di crescita e di evoluzione del vostro lavoro - ma un confronto sui problemi generali consente di aggiungere gradualmente un nuovo asse di intervento: la socializzazione del territorio. A proposito del rapporto con le istituzioni, desidero ricordare che sin dai primi vagiti del nostro agire e dai primi passi del movimento del volontariato abbiamo inteso liberarlo da un rapporto conflittuale di tipo ideologico. Nel volontariato, più che altrove troverete sempre accesi fans di nuove istituzioni e della capacità di queste ultime di essere presenti soprattutto nel territorio. Nel volontariato troverete esagerati tifosi di una riforma, di un cambiamento delle istituzioni. Ci scontriamo, infatti, giorno per giorno con la disfunzione, il degrado, l'incapacità delle istituzioni a rimuovere le cause del disagio e dell'emarginazione, soprattutto là dove situazioni particolari richiedono più di altre una capacità progettuale trasparente e competente. Abbiamo voluto una legge non sul volontariato, ma una legge che si limitasse a regolare il rapporto fra volontariato Pag. 1881 ed istituzioni proprio perché riteniamo che queste due sfere autonome non debbono essere fagocitate l'una dall'altra, ma devono intrattenere rapporti chiari e soprattutto giocati sul piano della progettualità. Perché sono presenti qui oggi realtà che operano nel Mezzogiorno? Perché la nostra specificità di volontariato consiste soprattutto nel produrre opinione e cultura dopo o contemporaneamente al fare esperienza. Nella società civile - che grazie a Dio è variegata - esistono tante forme di approccio alle tematiche culturali e sociali. Esistono soprattutto movimenti di opinione che su un determinato fenomeno registrano una sensibilità, elaborano una riflessione e propongono delle soluzioni. La nostra specificità dentro la società civile è quella di non parlare mai di territorio, di quartiere, di presenza mafiosa nel territorio e nei quartieri, dei minori, dell'affido e delle altre forme di prevenzione senza aver maturato prima esperienza di accoglienza e di condivisione. Questa è la nostra specificità. Cosa registriamo di nuovo in quest'ultimo periodo? Che le nostre azioni stanno piano piano erodendo o se volete stanno cominciando a contendere alla mafia la capacità di regolazione della vita sociale, economica e produttiva soprattutto nelle città e nei singoli quartieri, che rappresentano poi il livello in cui noi agiamo. Fino a poco tempo fa la mafia regnava incontrastata; adesso c'è qualche soggetto che comincia pian piano a creare concorrenza. L'esperienza che abbiamo accumulato in questi anni, che ha fatto nascere anche una certa antipatia e reazioni da parte della mafia, ci dimostra che quella intrapresa è una strada seria. Ci dimostra che è giunto il tempo perché il volto sociale dello Stato - assente o mal presente - cominci ad organizzarsi ed a manifestarsi. La nostra specificità si registra nei confronti sia della società civile che delle istituzioni. Noi diciamo sempre: un colpo qui e un colpo lì. Immaginate che fino a poco tempo fa a Palermo - la realtà che conosco meglio, ma il fenomeno è registrabile in altre realtà del paese - si affidava il compito della lotta alla mafia ad alcuni magistrati ed a qualche uomo politico, mentre sotto il profilo economico in sostanza si registrava un'assenza. Si è partiti, quindi, da una scena vuota: lì sul palco quei pochi magistrati e quei pochi uomini politici a contendersi la lotta, gli spazi di democrazia e là la mafia. Piano piano su questo grande palco hanno fatto il loro ingresso alcuni spettatori che hanno cominciato a tifare, a scaldarsi, a capire, a manifestare la loro simpatia ed il loro consenso per quei magistrati - non pochi - e per quei politici ai quali via via si aggiungeva qualcuno. Oggi l'esperienza del volontariato non è più quella del solo tifo, ma quella della pratica sportiva nella lotta alla mafia. Per questo abbiamo bisogno - non noi ma i cittadini e le istituzioni - di strumenti adeguati. Noi rappresentiamo una possibilità di anticipazione e di stimolo; dimostriamo che è possibile fare e che comunque non siamo noi la soluzione ma i cittadini e le altre forme di organizzazione della società civile - associazioni, cooperative - insieme alle istituzioni. Noi siamo lì a testimoniare che è possibile farlo. Signor presidente, desidero ricordare che la legge n. 216 andrà in scadenza alla fine del 1993, visto che quello previsto era un programma triennale. Riteniamo che sia necessario - e d'altronde l'abbiamo scritto nel nostro progetto - riprendere in mano la legge, usufruire delle innovazioni che ha prodotto, superare i tanti e tanti limiti che sono stati qui indicati e soprattutto assegnarle un compito di stabilità e di ordinarietà per intervenire non solo e non tanto sui minori, quanto sulla vita dei quartieri dove vivono i minori. Abbiamo notato, infatti, che intervenendo soltanto sulle singole categorie, non riusciamo a venire a capo dei problemi. Se un minore vive in un quartiere dove non funzionano i servizi, le famiglie non sono sostenute, non ci sono né educatori né spazi di aggregazione, l'intervento rischia di essere fallace. Dobbiamo cercare, perciò, di utilizzare e finanziare la legge Pag. 1882 n. 216, soprattutto spostandone l'intervento sui quartieri e assegnando il 60 per cento delle risorse alla stabilizzazione di quei progetti - previa una verifica rigorosa e puntuale - che hanno già prodotto risultati. Concludo riallacciandomi a quanto detto dall'onorevole Folena che ci chiamava in causa sul problema del risanamento dei quartieri. E' vero: questa è la sfida. Condivido appieno le indicazioni, gli stimoli e i suggerimenti dell'onorevole Folena. Nel nostro documento ci siamo limitati a fornire alcune indicazioni: esistono già delle documentate esperienze, una cultura ed una progettualità maturate in tanti quartieri del Mezzogiorno (ad esempio a Reggio Calabria, a Catania, a Bari, a Taranto e Cosenza) sulle quali possiamo misurarci, confrontarci e produrre progettualità. L'ultima questione che desidero affrontare è quella dell'incontro che è stato qui proposto. Nel documento da noi elaborato abbiamo trattato l'argomento: noi vogliamo rappresentare nell'ambito di tale incontro un piccolo segnale utile ad aprire a tante altre realtà di volontariato presenti sul territorio in maniera davvero straordinaria, nonché a tante altre realtà di autorganizzazione - che vanno dai commercianti, ai cittadini ed agli studenti - molto vive, presenti, capillari e diffuse. Per questo pensiamo che sarebbe bene confrontarci con esse, chiamando in gioco le istituzioni, per evitare quella sorta di imbarazzo e quella conflittualità che siamo spesso costretti a produrre a causa dei comportamenti delle istituzioni nazionali e locali che spesso ci fanno cadere dalla padella alla brace. Dobbiamo evitare questo tipo di rapporto e verificare se è possibile produrre progetti per avanzare con molta speditezza per non subire più. PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente i nostri ospiti. Tengo a precisare che il ringraziamento è sincero perché ci avete fornito un quadro della situazione che rappresenta per noi materiale di lavoro estremamente interessante. Vi faremo conoscere le nostre decisioni circa futuri incontri, fermo restando che prima della chiusura per le vacanze estive terremo un forum sulle questioni analizzate oggi. Vi saluto e vi auguro buon lavoro. (I rappresentanti del MOVI sono accompagnati fuori dall'aula). Comunicazioni del presidente. PRESIDENTE. Questa mattina, in sede di ufficio di presidenza, il senatore Smuraglia ha assunto l'incarico di disporre rapidamente un programma di lavoro circa la questione degli insediamenti mafiosi nelle aree non tradizionali, allo scopo di disporre, prima delle ferie estive, di un quadro complessivo dello stato di tali insediamenti, del modo in cui si caratterizzano ed in che cosa effettivamente consistano in aree diverse dalla Toscana già presa in considerazione. Prego, pertanto, il senatore Smuraglia di esporre sinteticamente le sue proposte. CARLO SMURAGLIA. Siamo partiti dal presupposto che non bisognava dividere l'Italia in due, cioè aree "tradizionali" da una parte e tutto il resto dall'altra, ma prendere in considerazione quel gruppo di zone che, alla luce delle informazioni e dei dati in nostro possesso, appaiono particolarmente a rischio. La scelta è caduta su Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Veneto, Piemonte e Lombardia. PRESIDENTE. Sulla base di atti in nostro possesso è venuta in luce una questione riguardante l'Abruzzo. CARLO SMURAGLIA. E' emerso inoltre che gli elementi che ci consentono un'indagine più mirata erano in particolare relativi al Piemonte, alla Valle d'Aosta ed al Veneto. Disponiamo anche di parecchi elementi riguardanti la Lombardia, già raccolti dalla precedente Commissione antimafia. Abbiamo inoltre chiesto Pag. 1883 un rapporto che ci aggiorni su nuovi insediamenti nelle zone di Como e Varese. ACHILLE CUTRERA. A chi sono state chieste queste informazioni? PRESIDENTE. Al capo della polizia. Alcune sono già arrivate. CARLO SMURAGLIA. Un altro rapporto è stato chiesto per l'Emilia Romagna visto che esiste un certo contrasto fra le indicazioni fornite ad esempio dal procuratore Vigna e da altri e quanto contenuto nella relazione del procuratore generale per l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Se si va in un luogo senza avere le idee precise e mirate, la prima reazione che si potrebbe suscitare è quella di sorpresa: ci si potrebbe chiedere perché si è andati da quelle parti, ci si potrebbe sentire offesi ed avere una reazione negativa. Si è pertanto pensato di fare una distinzione: procedere nella prima parte di maggio a due sopralluoghi, uno in Piemonte e Valle d'Aosta e l'altro in Veneto; subito dopo, se vi saranno elementi, potremo farne un altro in Emilia e completare l'opera per quanto riguarda la Lombardia. Nel frattempo potremo acquisire elementi anche nelle altre regioni dal momento che ci sono pervenute una segnalazione per quanto riguarda l'Abruzzo e una circa Potenza, e ci è stato chiesto un rapporto per quanto concerne la Sardegna. Potremmo predisporre una relazione per la Commissione prima della pausa estiva, divisa per capitoli, che colga non soltanto la singolarità delle varie regioni, ma anche i collegamenti - visto che esistono - e alcuni connotati del fenomeno. Si tratta di verificare se la Commissione concordi su questa strada. PRESIDENTE. Sottoporremo questo piano alla Commissione in una prossima seduta perché ora non siamo in numero legale. ACHILLE CUTRERA. Vorrei che venisse specificato il senso della proposta formulata dal senatore Smuraglia, nei limiti cioè di uno schema informativo preliminare. Sono sempre preoccupato che si possa immaginare esaustivo un lavoro del genere, fatto in poco tempo; è perciò opportuno condurre il nostro lavoro con cautela, non ipotizzando che per l'opinione pubblica possa costituire un vero e proprio rapporto della Commissione antimafia. CARLO SMURAGLIA. Concordo perfettamente con il collega Cutrera. PRESIDENTE. Informo che venerdì 23 aprile alle 9,30 si svolgerà un incontro preliminare con tutti gli esperti economisti in vista del forum "Economia e criminalità" che si terrà il prossimo 14 maggio. Naturalmente l'invito è rivolto a tutti i colleghi della Commissione e non solo ai membri del gruppo di lavoro competente; sarebbe utile che chi è interessato potesse partecipare, perché in quella sede si determineranno gli elementi comuni. ACHILLE CUTRERA. Signor presidente, desidero richiamare la sua attenzione e quella dei colleghi sul fatto che l'onorevole Folena ed io più volte ci siamo permessi di proporre la necessità urgente che il gruppo di lavoro che si occupa della materia degli appalti ravvede di acquisire elementi più specifici, sulla base della documentazione già pervenuta, attraverso due sopralluoghi, uno a Catania e l'altro a Palermo. Riteniamo che tale lavoro dovrebbe essere svolto con sollecitudine, per non sovrapporre i tempi a quelli delle competizioni elettorali che, svolgendosi in due turni, impegneranno tutto il mese di giugno. Ciò vuol dire arrivare alla pausa estiva ed essere costretti a rinviare tutto a settembre. Mi preoccupo di questo e lo dico con responsabilità... PRESIDENTE. Scusi, senatore Cutrera: fuori del quadro dell'intervento in Sicilia, quindi? Pag. 1884 ACHILLE CUTRERA. Ho sempre ritenuto questa un'indagine così specifica, mirata ed importante, come emerge dai dati che sono emersi, da giustificare i due accessi. A parte l'urgenza, vorrei dire che l'opportunità di tutto ciò può essere ravvisata nel fatto che probabilmente il Parlamento da giovedì prossimo sospenderà per un certo periodo la sua attività: questa indagine può essere condotta proprio durante questa sospensione. PRESIDENTE. Sta bene. La prego di farmi pervenire per venerdì un quadro completo di incontri ed audizioni, al fine di porlo in votazione. La seduta termina alle 20,25. |
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