Violante: seduta 44
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Pag. 1999 AUDIZIONE DEL MINISTRO DELL'INTERNO, SENATORE NICOLA MANCINO, SUL RECENTE ATTENTATO DI ROMA PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Audizione del ministro dell'interno, senatore Nicola Mancino, sul recente attentato di Roma: Violante Luciano, Presidente .............. 2001, 2002, 2003 2006, 2008, 2009, 2010, 2016, 2018 Brutti Massimo ........................................ 2011 Buttitta Antonino ..................................... 2016 Cabras Paolo .................................... 2016, 2017 Calvi Maurizio ........................................ 2016 Galasso Alfredo ........................... 2008, 2014, 2017 Mancino Nicola, Ministro dell'interno ................. 2001 2002, 2003, 2009, 2010, 2013, 2014, 2015 Matteoli Altero ................................. 2010, 2016 Robol Alberto ......................................... 2016 Rossi Luigi ........................................... 2008 Sorice Vincenzo ....................................... 2001 Taradash Marco ...................... 2013, 2014, 2015, 2016 Votazione per l'elezione di un vicepresidente: Violante Luciano, Presidente .......................... 2007 Buttitta Antonino ..................................... 2007 Cabras Paolo .......................................... 2007 Covello Francesco Alberto ............................. 2007 D'Amelio Saverio ...................................... 2007 Galasso Alfredo ....................................... 2007 Matteoli Altero ....................................... 2007 Proclamazione del risultato della votazione per l'elezione di un vicepresidente: Violante Luciano, Presidente .......................... 2018 Pag. 2000 Pag. 2001 La seduta comincia alle 17. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del ministro dell'interno, senatore Nicola Mancino, sul recente attentato di Roma. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del ministro dell'interno, senatore Nicola Mancino, sul recente attentato a Roma e più in generale sullo stato dell'azione di contrasto alla mafia dopo l'arresto di Santapaola. Avverto i colleghi che alle 18,45 circa il ministro ha un impegno non derogabile; al termine della sua esposizione decideremo quindi se esaurire entro oggi, com'è auspicabile, la discussione o se iniziarla oggi rinviandone la conclusione ad altra seduta o addirittura se rinviarne a tale occasione lo svolgimento. VINCENZO SORICE. Desidero farle presente, signor presidente, che, come deputati, abbiamo un'importante riunione di gruppo, per cui riterrei preferibile rinviare la discussione. PRESIDENTE. Ascoltiamo l'esposizione del ministro e poi decideremo. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. La ringrazio, signor presidente, per questa opportunità. Non vorrei però ripetermi perché su questo argomento ho già riferito alla Camera dei deputati e peraltro, come spesso capita, la prossima settimana dovrei riferire anche al Senato; cercherò quindi di sintetizzare alcune circostanze per passare poi alla situazione generale della criminalità e di quella organizzata in particolare. Vorrei sottolineare solo alcuni dati che possono, allo stato delle indagini, far propendere per una tesi di tipo mafioso-stragistico anziché per una tesi diversa; leggo anche quello che si scrive e i dubbi che sono stati sollevati, però vorrei precisare alcuni punti. Alle 21,37 del 14 maggio si verifica l'esplosione di un ordigno. Cinque secondi prima passano per via Fauro una Mercedes ed una Lancia Thema; la Mercedes non è la macchina che abitualmente prende il giornalista Costanzo, ma quella di un amico sulla quale sale insieme con la signora Maria De Filippi. Nella Lancia Thema invece c'è una guardia giurata di un servizio di vigilanza romano, la Capitalpol, e l'autista che fa da accompagnatore. Non so se possiamo ricostruire dal punto di vista anche logico e cronologico; certo, se la deflagrazione fosse avvenuta cinque secondi prima, probabilmente gli effetti rispetto alle due auto di passaggio sarebbero stati rilevanti. Lo scoppio dell'ordigno ha recato molti danni. I fabbricati che sono stati investiti sono ben sette, però danni rilevantissimi sono quelli del civico n. 62 della stessa strada, sito di fronte al luogo dell'esplosione. L'ordigno è stato apposto di sera ed è scoppiato di sera ed era sulla stessa direzione di un edificio scolastico e di una scuola materna. Se lo scopo era quello di creare una strage indiscriminata, bastava spostare l'obiettivo e mettere la macchina o le macchine dall'altra parte, fare scoppiare l'ordigno ed ottenere effetti anche più nocivi dal punto di vista dell'incolumità fisica. Pag. 2002 Il fatto è che è stato apposto sulla sinistra ed il tempo era quello che abitualmente non registra una frequentazione di pubblico: poteva passare qualcuno, abitante nella zona. Ci sono stati ferimenti: quelli che sono rimasti negli ospedali sono soltanto 5; le persone interessate dallo scoppio erano 23, con leggere ferite. Dal punto di vista della prontezza dell'intervento, posso dire che la prefettura di Roma, anche interessata da me, ha provveduto e provvederà; poi, insieme alla protezione civile, farà anche la propria parte per quanto riguarda il ricovero in alberghi, fino a quando non sarà ristrutturato o non saranno ristrutturati gli edifici. Il cratere determinatosi ha forma ovoidale, con l'asse maggiore di circa 2 metri e mezzo ed una profondità di 75 centimetri. Sembra che l'ordigno sia stato posto fra due macchine e non all'interno di una sola, perché il motore di una macchina è andato in una direzione e l'altro nella direzione opposta. Verosimilmente si può dire - userò molte volte la parola "verosimilmente", a scanso di contestazioni - che l'ordigno è stato apposto fra le due macchine. Le scocche erano sbalzate a 25 metri dall'epicentro dell'esplosione secondo il senso di marcia da una parte e a 50 metri dall'altra, in senso opposto. Le prime analisi chimiche hanno evidenziato la presenza sui resti delle due autovetture nella zona del cratere di residui di un esplosivo composto da tritolo e pentrite: questo è il materiale che è stato utilizzato per l'esplosione. I successivi accertamenti tecnici sono stati affidati dalla magistratura sia al servizio di polizia scientifica della direzione centrale della polizia criminale sia al centro di investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri. La dimensione del cratere, la liquefazione delle lamiere delle autovetture parcheggiate nelle vicinanze, la proiezione delle schegge a lunga distanza (un pezzo di lamiera è stato rinvenuto sul tetto di un palazzo), l'imponenza della forza d'urto, testimoniata dal crollo del muro di cinta della scuola San Pio X e dai danni agli edifici, confermano l'ipotesi di un esplosivo ad alto potenziale e ad altissima velocità. Vi sono state rivendicazioni: Falange armata (come sempre, ma sempre dopo), matrice serba, nuovo gruppo nazionale di gioventù, gruppo rivoluzionario Che Guevara. Tutte queste rivendicazioni sono pervenute non nella fase di intervallo fra l'esplosione e la conoscenza, ma dopo che tutte le agenzie e le televisioni avevano dato notizia dell'attentato. A prima vista sembrano inattendibili tutte queste rivendicazioni; sono state considerate anche dal dipartimento tentativi devianti, espressione di quelle nuove forme di destabilizzazione occulta che agiscono attraverso sistemi sofisticati di intimidazione, di indebita ingerenza e di disorientamento della pubblica opinione. Falange armata mi ha anche fatto grazia di un'attenzione particolare dicendo che il discorso fatto alla Camera era bello, costruito dal punto di vista logico, con finezza anche di ironia; naturalmente io ho ringraziato il responsabile di Falange armata, che bisognerà pure un giorno scoprire, perché questa è una centrale che dà notizie, muove minacce, ma soltanto quando è possibile utilizzare gli strumenti propri degli uffici; mai Falange armata è andata al di là degli orari possibili anche di... diciamo di chiusura degli uffici. PRESIDENTE. Può spiegare questo aspetto? L'onorevole Galasso non lo ha colto. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Si servono di uffici, si avvalgono delle strutture degli uffici. Gli analisti concordano nel ritenere estremamente improbabile che l'evento possa collegarsi al terrorismo internazionale o interno. Non esistono contrasti così forti da giustificare un intervento del genere del terrorismo di provenienza mediorientale, indiana, nordafricana, sikh, tamil, palestinese o islamista. Pag. 2003 Per quanto riguarda il conflitto nei Balcani, vi sono state minacce di tipo terroristico anche negli ultimi due anni contro l'Italia ed altri paesi occidentali, ma tali minacce non si sono mai concretizzate neppure in eventi di trascurabile rilevanza. Come si possono ricostruire i fatti? Sembra che sia ragionevole ipotizzare che l'azione criminosa abbia avuto quale obiettivo il giornalista Costanzo. Probabilmente, se Costanzo fosse stato colpito tutti avrebbero detto che era quello l'obiettivo; cinque secondi prima era l'obiettivo, cinque secondi dopo questo obiettivo è messo in forse. Non voglio dare certezze: del resto la magistratura sta svolgendo le indagini, la polizia giudiziaria asseconda l'attività della magistratura, vedremo cosa sarà possibile riscontrare nei prossimi giorni, augurandomi che anche tutto quello che è stato riferito, anche attraverso l'utilizzazione di un numero telefonico, da parte della gente che ha visto e degli abitanti della zona, possa essere ricostruibile anche ai fini dell'identificazione degli autori e dei loro mandanti. Ho già detto in Parlamento che l'evento è collegabile ad una matrice di chiaro segno mafioso. La mafia spesso si serve di interventi di tipo stragista, terroristico; ciò non significa che il terrorismo sia di ritorno nel nostro paese, ma che questo è il tipo di intervento che la mafia ha posto in essere in più di una circostanza, non soltanto in quest'ultima verificatasi a Roma. Certo, si può dire che la mafia è sempre rimasta all'interno del proprio territorio. PRESIDENTE. Non sempre. L'attentato al rapido 904 lo dimostra. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Certo, l'attentato al rapido 904 è indicativo. Non bisogna inoltre trascurare che negli ultimi tempi, soprattutto negli ultimi due o tre anni tra la mafia e le altre organizzazioni criminali si sono realizzate intese: vi è un'intesa soprattutto tra uomini della cupola e uomini della camorra e a volte tra uomini della cupola e uomini della 'ndrangheta e tali alleanze portano molte volte anche a fuoriuscire dal proprio territorio. Se si pensa al delitto Casillo a Roma, ci si può facilmente rendere conto che, anche se è di provenienza camorrista, si è andati al di fuori del territorio dell'area napoletana per sconfinare in quello romano. Vi do questa versione, che è verosimile, il che non significa vera: verosimile può essere attendibile ma smentibile in ogni momento da accertamenti più rigorosi da parte della magistratura cui è rimesso, anche per ragioni di competenza, l'accertamento definitivo della verità. Non ho mancato di esprimere solidarietà al giornalista Costanzo e vi posso anche dire che nel colloquio che con lui ho avuto qualche ora dopo l'esplosione egli ha tentato di allontanare da sé l'idea di essere l'obiettivo dell'attentato. E' un atteggiamento comprensibile dal punto di vista umano, però a mano a mano che il tempo si allontanava dall'evento anch'egli ha dovuto rendersi conto di essere con grande probabilità l'obiettivo degli attentatori, proprio per la posizione di prima linea che ha assunto nelle sue trasmissioni televisive. Questo è un elemento da considerare con estremo rigore ma anche con grande preoccupazione: è in sostanza un tentativo di intimidazione. Ci sono obiettivi simbolo che sono rappresentativi di qualcosa. L'offensiva era certamente rivolta contro lo Stato nel suo complesso, ma è stata realizzata attraverso un uomo che ha assunto una posizione di prima linea nella denuncia della presenza della criminalità organizzata nel controllo del territorio. E le trasmissioni incidono eccome! Peraltro, chi ha partecipato a quelle trasmissioni - e il presidente Violante può essere buon testimone - sa che l'attenzione, l'offensiva nei confronti dei mezzi di comunicazione è stata ed è piuttosto intensa (dal racket alla criminalità organizzata, a tutti gli attentati, ai delitti eccellenti) e che potevano essere l'obiettivo vero della mafia, a parte lo Pag. 2004 Stato che, avendo organizzato un'azione di contrasto piuttosto forte ed avendo ottenuto risultati di tutto rilievo, rimane sempre nello sfondo di questa azione di tipo terroristico. Del resto, basta considerare i punti di vantaggio accumulati negli ultimi tempi: possiamo guardare insieme a tutto ciò che è accaduto nel 1992 per avere la cognizione della caduta della delittuosità nel nostro paese, anche in Sicilia e non solo nelle altre aree del territorio nazionale. Come ho già rilevato in altre occasioni in questa sede, in Sicilia ci si è serviti anche dell'esercito, che ha fornito risultati apprezzabili dal punto di vista del controllo del territorio perché ha consentito alle forze dell'ordine di dedicarsi con maggiore attenzione - tenuto conto della loro professionalità - all'azione di contrasto alla criminalità organizzata. Do ora lettura di alcuni valori che raffrontano i reati consumati nel 1992 rispetto al 1991: omicidi volontari -20,22 per cento (da 1810 a 1444), tentati omicidi -15,75 per cento, associazione per delinquere (qui c'è invece un'impennata) .00122,52 per cento, rapine -19 per cento, estorsioni -17 per cento, furti -13 per cento, attentati dinamitardi -17,12 per cento. Si è poi verificato un aumento di incendi dolosi, di persone denunciate e di persone arrestate, e questo si vede anche dall'estremo disagio che registriamo soprattutto nelle nostre carceri. Questa caduta di delittuosità sta ad indicare che il contrasto esercitato dallo Stato è stato piuttosto forte e che la collaborazione dei cittadini ha consentito di incidere su un settore che è continuamente esposto ad estorsioni ed intimidazioni. Recentemente abbiamo ottenuto un successo con l'operazione denominata "Mare verde" che ha portato alla scoperta di un'aggressione di patrimoni da parte della malavita organizzata, realizzatasi con l'acquisto di esercizi commerciali, addirittura di alberghi e con collegamenti con la Francia (si trattava di una zona nevralgica fra la Liguria e la Francia). Ciò sta ad indicare che spesso le risorse, in partenza sporche e poi diventate pulite, vengono impiegate in attività di carattere produttivo: titoli azionari, obbligazionari, costituzione di società a responsabilità limitata, costituzione di società fiduciarie, intestazioni simulate. Comunque, a parte un incremento di denunce, c'è certamente un'appropriazione del settore del commercio da parte della malavita organizzata, direttamente o per interposta persona: direttamente quando si costituiscono società fittizie, con intestazioni... Soprattutto nelle società a responsabilità limitata, dove è più difficile il controllo della mano pubblica, vi è la presenza di origine mafiosa, camorristica, della 'ndrangheta o della Sacra corona unita. Per quanto riguarda l'incremento dei reati di associazione per delinquere ex articolo 416, vi vorrei leggere alcuni dati. Per la Valle d'Aosta è vero che il numero è irrilevante, e quindi la percentuale diventa preoccupante, però vi è una variazione del 100 per cento ma riconducibile ad una unità. Proseguo: Liguria 18,18 per cento, Veneto 46,15 per cento, Marche 120 per cento, Toscana 77 per cento, Umbria 100 per cento, Basilicata (che era una regione "pulita") 275 per cento. Questo per rilevare che la malavita organizzata si è diffusa con le proprie radici sul territorio e ha investito l'intero territorio nazionale; anzi, se vogliamo essere precisi fino in fondo, si è espansa al di là dello stesso territorio nazionale aggredendo soprattutto i territori della Germania orientale, della Polonia, dell'Ungheria, della Cecoslovacchia e della stessa Russia. Tutti o quasi tutti gli altri tipi di reati hanno subito decrementi notevoli, salvo per le rapine nella Valle d'Aosta (che registra valori assoluti di poche decine ma che prima era quasi immune), dove abbiamo un incremento del 52,17 per cento, e nel Trentino-Alto Adige, dove l'incremento è del 21,43 per cento. Come vedete, soprattutto nei territori di confine c'è un'espansione della presenza della malavita organizzata che va sempre nella Pag. 2005 direzione del commercio e delle attività cosiddette produttive del terziario. Sul piano delle estorsioni abbiamo un considerevole numero di denunce rispetto a prima: c'è minore preoccupazione, minore paura, maggiore collaborazione. Se poi vogliamo dire quali sono le punte massime di silenzio e di denunce, possiamo segnalare che a Palermo si registra il maggiore silenzio e a Torino la maggiore disponibilità a denunciare le estorsioni che si subiscono. Anche a questo riguardo fornisco comunque alcuni dati: in Piemonte nel rapporto abbiamo una variazione del .00125,48 per cento, nella Valle d'Aosta .00180 per cento, in Liguria .00119 per cento, nel Veneto .00140 per cento, in Friuli .001169 per cento, in Emilia Romagna .00118,28 per cento, nel Molise .00120 per cento, in Campania .00132 per cento, in Basilicata .00175 per cento. Il raffronto consente di affermare che non solo c'è stato un incremento di estorsioni, ma che si è anche registrata una forte collaborazione da parte delle persone estorte ed intimidite, che hanno dimostrato maggiore fiducia nelle forze dell'ordine. Si sono addirittura costituite associazioni di protesta in intere aree. Faccio l'esempio delle zone del messinese e del nisseno dove si sono costituite associazioni e fondazioni che hanno dato notevoli frutti dal punto di vista della cattura degli estorsori, che sono stati processati e condannati a pene anche severe. Non vorrei attardarmi ulteriormente, perché possiamo parlare della condizione del fenomeno della criminalità. Ho inviato ai Presidenti di Camera e Senato i rapporti che ho fatto spedire anche al presidente della Commissione antimafia. Ne possiamo discutere diffusamente facendo un approfondimento anche di natura culturale non solo sulla nascita e sull'incremento ma anche sulla pericolosità raggiunta da queste organizzazioni malavitose in Sicilia, in Campania, in Calabria e in Puglia, ed effettuando una valutazione delle presenze di queste organizzazioni anche all'estero. Nella lotta alla criminalità abbiamo ottenuto determinati risultati nel 1992 ma si registra un andamento positivo nell'azione di contrasto anche nei primi quattro mesi del 1993. Ciò, signor presidente, mi pone in questa paradossale situazione: non posso dire che bisogna fermarsi, perché bisogna andare avanti con gran determinazione, però mi trovo anche di fronte a problemi che spesso vengono posti alla mia attenzione dal ministro di grazia e giustizia, il quale giustamente è preoccupato della condizione carceraria nel nostro paese. Ieri sera in Consiglio dei ministri abbiamo appreso che il numero delle presenze in carcere è salito dalle 48 mila di un mese e mezzo fa a 52 mila. Si tratta di un problema serio che a mio avviso non possiamo risolvere in termini di revisione della normativa anticrimine, che ha rappresentato una faticosa conquista conseguita in sede parlamentare ma, semmai, attraverso una riflessione più attenta da svolgere magari anche in questa Commissione, o soprattutto in questa Commissione. Guai ad immaginare che, per ottenere un decremento della presenza dei detenuti nelle carceri, noi possiamo ritoccare i provvedimenti che invece debbono mantenere la stessa severità che ha consentito di registrare i successi conseguiti! Anche a proposito delle disposizioni dell'articolo 41-bis, c'è un problema che noi dobbiamo valutare attentamente, presidente, anche per i riflessi che si possono avere in ordine alla situazione generale della criminalità e dell'ordine pubblico complessivamente considerato. Noi non possiamo ritenere che ogni specifico settore vada guardato isolatamente: lo dobbiamo invece guardare come inserito nel contesto. Guai ad immaginare che tra l'amministrazione dell'interno e quella della giustizia vi possano essere compartimenti stagni! Noi dobbiamo avere interrelazioni e dobbiamo guardare a questo fenomeno sapendo benissimo che non possiamo abbassare la guardia: guai ad immaginare di abbassare la guardia in un periodo in cui l'andamento della criminalità nel Pag. 2006 nostro paese registra non soltanto successi dal punto di vista della cattura di latitanti eccellenti ma anche abbassamenti dei tassi di delittuosità! Questa mattina, nel corso di una conferenza stampa dedicata al rapporto annuale relativo all'andamento della criminalità, ho dovuto anche dire ad alta voce che siamo arrivati a quasi 60 scioglimenti dei consigli comunali. Dico "quasi" perché sono maturi altri provvedimenti rispetto ai 57 già ufficiali. La politica dell'amministrazione dell'interno finora - e, almeno per quanto mi riguarda, certamente anche nel prossimo futuro - è volta ad evitare che permangano fasce di collusione o zone condizionate dalla criminalità organizzata. Spesso l'amministratore è costretto a fare determinate cose perché c'è una forte intimidazione esterna dal punto di vista psicologico. Quando vi sono questa mancanza di autonomia e questa compressione della volontà, bisogna incidere anche con lo scioglimento. Si tratta, certo, di un fatto difficile perché è al confine tra un atto dovuto ed un arbitrio, però io non mi baso mai su una sola relazione ma ne prendo in considerazione più di una per avere, dal confronto, la certezza di non sbagliare (anche se certamente si sbaglia, perché tutto è affidato al giudizio dell'uomo). Sta di fatto che il condizionamento rappresenta il dato peculiare di alcune amministrazioni. L'infiltrazione e la presenza all'interno delle strutture delle amministrazioni comunali sono tali che non basta sciogliere i consigli, ma che bisognerebbe fare qualcos'altro. A tale riguardo, chiedo un aiuto alla Commissione per valutare in che modo si possa risolvere, insieme ai provvedimenti repressivi nei confronti dell'amministrazione elettiva, il problema di una certa presenza, non in attesa dei processi ma per poter reagire prontamente rispetto a strutture di uffici che, collaborando con l'ambiente esterno, rendono difficile la stessa opera delle gestioni straordinarie. Quanto alla collusione, si tratta di un problema che, una volta accertato, non può che portare allo scioglimento certo del consiglio comunale interessato. Mi avvio alla conclusione. Spesso mi trovo di fronte ad interrogazioni parlamentari che chiedono di intervenire. Vorrei fosse chiaro che il potere di sindacato nei confronti delle amministrazioni comunali è e resta quello di tipo criminoso, con riferimento alla criminalità organizzata. Non abbiamo un rapporto diretto tra l'ente locale, che resta giustamente geloso della sua autonomia, anche quando vi sono arresti per ragioni di trasparenza... Ho presentato al Consiglio dei ministri - che lo ha condiviso - un disegno di legge di adeguamento della legge n. 16. Il trattamento nei confronti dell'amministrazione locale responsabile di reati contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione e peculato) deve essere lo stesso che si adotta nei confronti di un pubblico dipendente: la sospensione prima e la rimozione successivamente. Se aspettiamo l'esito del processo di secondo grado, probabilmente dovremmo conservare a livello di amministrazione comunale una serie di corrotti, di concussori, di peculatori. Ho interpretato, insieme agli uffici del ministero, la possibilità dell'applicazione dell'articolo 40 (ragioni di ordine pubblico) nei confronti di questi amministratori ed ho deciso per il provvedimento di sospensione da parte dei prefetti e per il successivo decreto di rimozione. Credo che soltanto attraverso quest'opera che si muove in diverse direzioni (tenere conto della necessità della collaborazione della magistratura; tenere sempre alta la guardia da parte delle forze dell'ordine; intervenire nei confronti delle amministrazioni che sono condizionate, colluse o dove si registrano infiltrazioni) si possano concretizzare i punti chiave di svolta di una politica volta a rimuovere la presenza di criminalità organizzata sul territorio. PRESIDENTE. La ringrazio, ministro. Pag. 2007 Votazione per l'elezione di un vicepresidente. PRESIDENTE. Colleghi, se siete d'accordo e se il ministro lo consente, potremmo convenire di aprire fin d'ora le urne per lo svolgimento della votazione per l'elezione di un vicepresidente, in modo che ciascuno possa votare in corso di dibattito. SAVERIO D'AMELIO. Presidente, a parte il fatto che non mi pare che sia presente la maggioranza dei colleghi della Commissione... PRESIDENTE. Siamo in numero legale. SAVERIO D'AMELIO. Mi fa piacere, ma vedo presenti due colleghi che non vanno computati ai fini del numero legale. PRESIDENTE. Sì, lo sappiamo bene. Siamo comunque 17. SAVERIO D'AMELIO. Comunque, il problema è di chiarire se cortesemente... ALTERO MATTEOLI. Perché i due colleghi presenti non vanno computati ai fini del numero legale? PRESIDENTE. I due colleghi sono - diciamo così - graditi ospiti, ma teoricamente non avrebbero potuto essere presenti a questa seduta giacché la Presidenza della Camera non ha ancora inviato la comunicazione relativa al loro subentro. Prego comunque i due colleghi di trattenersi perché abbiamo chiesto al Presidente della Camera di inviarci tale comunicazione via fax. SAVERIO D'AMELIO. Chiedo se si possa evitare la votazione. Mastella mi ha telefonato dicendomi che nel nostro gruppo ci potrebbe essere un disorientamento in quanto il gruppo socialista avrebbe designato due possibili candidati (Commenti del senatore Calvi). PRESIDENTE. Se mi consentite, che i gruppi possono essere disorientati è un fatto che riguarda i gruppi stessi e non la Commissione. PAOLO CABRAS. Non riesco a capire perché Mastella si debba fare interprete dei turbamenti del gruppo socialista! PRESIDENTE. Propongo di mantenere aperte le urne fino alle 18,30. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Invito il segretario, onorevole Sorice, a seguire le operazioni di voto. FRANCESCO ALBERTO COVELLO. Eravamo in una riunione del direttivo dedicata ad altri problemi ed è arrivata una telefonata del presidente Acquaviva... PRESIDENTE. Colleghi, non è questa la sede per fare campagna elettorale! FRANCESCO ALBERTO COVELLO. Ma allora in questa Commissione manca la libertà di parola! Lei poi, presidente, si avvale della collaborazione del vicepresidente, il quale è ancora peggio perché non ci fa parlare proprio (Si ride)! Se Acquaviva propone Frasca, io voglio sapere se il candidato è Calvi oppure Frasca! PRESIDENTE. Colleghi, non si possono discutere candidature in sede di votazione! Siamo riuniti infatti come mero seggio elettorale. Se vi sono problemi, questi vanno discussi fuori e non all'interno della Commissione. ALFREDO GALASSO. Questa discussione non mi pare molto gratificante! ANTONINO BUTTITTA. E' vero che siamo ridotti molto male, ma che addirittura siamo giunti al punto che la DC debba parlare per noi, mi sembra veramente eccessivo! Pag. 2008 Si riprende l'audizione del ministro dell'interno. PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rossi, al quale do senz'altro la parola. LUIGI ROSSI. Ho già avuto occasione di esprimere un apprezzamento molto vivo nei confronti del ministro Mancino durante il dibattito che è seguito alla sue dichiarazioni rese in Aula in merito alla stessa vicenda di cui ci stiamo occupando oggi. Non posso quindi fare altro che ripetere quanto ho già detto e cioè che da quando Mancino è ministro dell'interno le cose sembrano andare molto meglio. Altrettanto vivamente apprezzo il modo non enfatico con il quale il ministro ci ha fornito le notizie e con il quale ci ha incitato ad alzare la guardia. Ciò significa che il senso di responsabilità con il quale si sta conducendo la battaglia contro la criminalità organizzata è davvero notevole. Vorrei dire molto sinteticamente... PRESIDENTE. Scusi, onorevole Rossi, ma debbo pregare i colleghi Covello e Cabras di chiarire altrove i rispettivi punti di vista. LUIGI ROSSI. Quello che è accaduto a via Fauro ha avuto una notevolissima ripercussione, insieme all'arresto di Nitto Santapaola, specialmente all'estero. Avendo letto giornali stranieri, in particolari tedeschi, oggi, nella fase iniziale della stagione turistica, mi permetto di richiamare l'attenzione del ministro sul fatto che alcuni giornali tedeschi hanno scritto che noi stiamo esportando la mafia all'estero. Richiamo l'attenzione del ministro su questo punto e gli chiedo se non sia il caso che egli faccia un giro nei paesi della CEE... Scusate, colleghi, se mi consentite di parlare io continuo, altrimenti smetto subito: basta che me lo diciate. PRESIDENTE. Il collega Rossi ha ragione. LUIGI ROSSI. Se sto dicendo delle sciocchezze, basta che me lo diciate e io me ne vado! Vorrei chiedere all'onorevole ministro se non ritiene opportuno, magari in seno all'UEO, di rendere dichiarazioni esplicite precisando che non è vero che l'Italia è tutta mafiosa ma che, anzi, si registra una notevole ripresa della lotta contro la mafia e la criminalità organizzata. Soprattutto - dicevo - perché sta per iniziare la stagione turistica. Quindi, in questa campagna, nella quale si dice che l'Italia sia una terra mafiosa, ci sono indubbiamente interessi da parte di coloro che vogliono impedire che il nostro turismo possa avere i riconoscimenti che tutti gli hanno dato sempre e in tutti i tempi. Per quel che riguarda i numeri che il ministro ci ha fornito, relativi alla diminuzione di alcuni reati della criminalità organizzata, vorrei dire che i numeri che contano ritengo siano quelli dei delitti più gravi. Quindi, pregherei l'onorevole ministro di volerci dire se nell'ambito dei delitti più gravi - attentati, eccetera - a lui risulta che si siano registrati diminuzioni od aumenti. Sono perfettamente d'accordo con il ministro sul fatto che bisogna contemporaneamente applicare tutte le misure che sono necessarie nei confronti di tutti quegli amministratori che colludono con la mafia o che comunque sono disonesti: che siano applicate immediatamente, come il ministro ha detto! ALFREDO GALASSO. Anch'io trovo verosimile la ricostruzione che ha fatto il ministro dell'attentato di Roma. Vorrei anche ricordare che gli obiettivi delle stragi, le modalità di esecuzione delle stragi, come la storia insegna, soprattutto in questi ultimi anni, sono assai varie e non per questo muta la matrice mafiosa. Non è vero che la mafia ha sempre gli stessi obiettivi o, addirittura, usa sempre le stese modalità. Dico però che la ragione per la quale avevo anche chiesto la convocazione del ministro e di altre autorità preposte Pag. 2009 all'ordine pubblico sta nel fatto che questa natura terroristico-mafiosa - su cui concordo - al di là del comprensibile allarme che determina, richiede però, a mio parere, anche un'informazione ed una valutazione più approfondita sullo stato delle cose, sul rischio esistente e dunque sulla possibilità di prevenzione. Fra l'altro, la caduta del tasso di criminalità o comunque la modificazione quantitativa e qualitativa del tasso di criminalità per il 1992, che il ministro ci ha illustrato, ha però per riscontro tragico il fatto che nel 1992 ci sono state due stragi e due delitti di natura politica - quelli di Lima e Salvo, per intenderci - che dimostrano l'esistenza di una strategia di tipo politico di livello estremamente elevato da parte della mafia. Siccome abbiamo ascoltato il presidente della Commissione antimafia, il ministro dell'interno, il procuratore nazionale in più di una occasione mettere nel conto - non dico prevedere, perché non è possibile - una prosecuzione di questa strategia di tipo stragistico, chiedo di saperne un po' di più, nei limiti del rispetto di ciò che riguarda la riservatezza o il segreto (questo lo do per scontato tra addetti ai lavori). Questo mi sembra un punto molto importante ed era quello sul quale avevo chiesto un incontro con il ministro. Aggiungo altre due questioni. Mi sembra estremamente opportuna - lo dico al presidente della Commissione - questa disponibilità del ministro dell'interno (aggiungerei anche il ministro della giustizia) a discutere insieme a fondo, a partire da questo dato, perché anche il metodo domanda-risposta rende molto più complicato tirare poi le fila di ciò che ciascuno nell'ambito delle proprie competenze può fare. Se la strategia è cambiata, vuol dire che probabilmente è cambiata anche la natura e la finalità di Cosa nostra in questo periodo e sentiamo tutti l'esigenza di approfondire questo punto che non è soltanto teorico, perché è ovvio che da un'analisi indovinata o comunque la più vicina possibile alla realtà possono derivare rimedi molto più incisivi. Si può cominciare dalla questione - che lo stesso ministro poneva - dell'affollamento delle carceri, ma c'è il problema delle indagini, del codice di procedura penale, sul quale sentiamo ancora una volta esprimersi lamentele di segno spesso opposto (o troppo lassista o troppo garantista; a seconda dei casi, troppo incisivo in una direzione anziché in un'altra). Ministro Mancino, per una ragione di correttezza desidero dirle che insieme ad altri colleghi - siamo in una triste ricorrenza - ho presentato un'interrogazione per sapere come mai sia ancora così abbandonata e triste la sorte dell'unico sopravvissuto della strage di Capaci, l'agente Costanza. Ho appreso in un servizio molto puntuale su un giornale il fatto che egli non ha avuto il risarcimento del danno - mentre è stato risarcito quello prodotto all'automobile - che è senza lavoro e persino che è stata impugnata, non so se dal ministro della giustizia o dal ministro dell'interno, la diagnosi che dava un responso di invalidità permanente del 46 per cento. Mi sembra una cosa molto grave, se è vera, perché non possiamo fare celebrazioni e proclamazioni e dire - come ripetiamo spesso - che non esistono vittime di serie A e di serie G, quando poi le cose vanno in questa maniera. PRESIDENTE. Do la parola al ministro Mancino, che l'ha chiesta, su tale questione, anche per tranquillizzare la Commissione. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Ho appreso il fatto da poco tempo, perché c'è stata polemica. Peraltro, mi sono anche meravigliato che sia stata creata questa polemica, non perché non sia giusta una reazione ma perché, probabilmente, fra amministrazioni diverse avrebbe potuto anche prevalere un certo fair play. La commissione consultiva presso i servizi civili ha espresso perplessità sulla riduzione della capacità lavorativa del 46 per cento. E' stato interessato il collegio medico legale presso il Ministero della Pag. 2010 difesa. Il collegio medico legale ha convocato il Costanza in data 29 marzo 1993. Egli non si è presentato, anche sostenendo che aveva difficoltà di natura economica. L'amministrazione si è dichiarata disponibile, anzi ha fatto qualcosa in più della dichiarazione di disponibilità. Adesso, sarà sottoposto ad una nuova visita, che è stata fissata per il 7 giugno. Poi ci sono altre questioni collegate, se ci sia stata o no attenzione. Vorrei dire che un'attenzione già si è avuta con l'assunzione di un figlio e un'altra attenzione si sta per realizzare, perché si tratta di vedere anche le qualifiche che vengono richieste e quelle che l'ordinamento rende possibile. A me dispiace che intervengano casi come questi, che potrebbero dare il segnale di un'incuria generalizzata, però si tratta soltanto di mancate collaborazioni che provengono anche dall'interessato, il quale dice di essere anche in conflitto con la propria famiglia e quindi di autogestirsi personalmente. Sul piano umano, tutta la mia solidarietà e comprensione, però non vorrei... ALTERO MATTEOLI. Se è così, è un problema suo: non è che lo Stato debba fare meno perché... NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Non dico che lo Stato non lo debba aiutare, ma se uno non si presenta alla visita lo Stato non è in condizione di dare l'indennità dovuta, che ammonta a 160 milioni. Non è colpa dello Stato se non può dare i 160 milioni, perché lo Stato non può anticipare tale somma rispetto ad un accertamento che mi sembra doveroso. ALFREDO GALASSO. A quanto pare ha perso la milza. PRESIDENTE. In questo quadro mi pare rientri anche il problema dell'eventuale risarcimento dei danni provocati dall'attentato di via Fauro. So che sono stati presi provvedimenti da questo punto di vista che poi, magari, alla fine della seduta, il ministro potrà chiarire. ALTERO MATTEOLI. Signor ministro, lei ha detto - e non poteva dire diversamente - che quel che sosteneva è verosimile, cioè che l'obiettivo era il giornalista Costanzo. Si possono anche sostenere tesi diverse, comunque è verosimile, anche se si afferma che sarebbero trascorsi cinque secondi... Non so come possa essere stato calcolato questo tempo ma chi conosce quella zona sa che in cinque secondi si possono percorrere oltre cento metri. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. C'è anche una curva. ALTERO MATTEOLI. Abito in quella zona. Sono anch'io una vittima perché abito lì vicino; sono anche cadute dalle mensole - ma non farò richieste allo Stato - alcune bottiglie di vino...! (Si ride). Abito vicino, in via Paolo Frisi e chi conosce i Parioli sa che si trova nelle vicinanze. A parte le battute, è verosimile che l'obiettivo sia stato il giornalista Costanzo, non tanto per il suo impegno giornalistico, che trovo spesso - anche questo è un mio parere - impregnato di demagogia, ma per il successo che quella trasmissione indubbiamente ha: è seguita dagli italiani. Il ministro non poteva nemmeno enfatizzare - lo dico senza polemiche - l'arresto del boss Santapaola, perché quando lo Stato arriva ad arrestare un boss di quella portata dopo 12 anni e lo trova nel letto con la moglie che dorme tranquillamente, se lo Stato avesse enfatizzato un arresto di questo genere indubbiamente avrebbe fatto una cosa che non meritava di essere fatta. Delle dichiarazioni del ministro - oneste, anche dal punto di vista intellettuale - le cose che mi preoccupano di più sono altre: le organizzazioni malavitose si sono espanse su tutto il territorio nazionale; c'è un problema serio legato alle carceri, perché negli ultimi quattro mesi i detenuti sono aumentati di 4 mila unità su Pag. 2011 tutto il territorio nazionale; già 60 comuni sono stati sciolti. Una delegazione di questa Commissione è rientrata ieri a tarda sera da Palermo, dove ha potuto verificare una situazione preoccupante: se qualcuno sostenesse la tesi che tra pochi mesi si potrebbe votare a Palermo risponderei che invece la situazione è preoccupante. Quindi, anche questo problema esiste ed in maniera pesante. Vorrei però sottolineare quel che è avvenuto subito dopo lo scoppio della bomba, in particolare le dichiarazioni dei massimi vertici dello Stato; dichiarazioni assai simili ad altre che vennero rese quando scoppiò la prima bomba nel 1969 a Milano nella Banca dell'agricoltura: "bisogna stare tutti uniti" ed altre di questo tenore. Queste dichiarazioni - ovviamente, la mia è una valutazione di ordine politico - mi preoccupano, perché mi sembra che subito, appena scoppiata la bomba, essa sia stata utilizzata dai massimi vertici dello Stato per ricompattare un sistema che dimostra di non poter stare più insieme. Abbiamo assistito poc'anzi ad una diatriba per una cosa di modeste proporzioni come l'elezione di un vicepresidente di una Commissione, anche se importante come la nostra, il che dimostra come sia un po' difficile rimettere insieme questo sistema anche attraverso le bombe. Ma le dichiarazioni rese, a cominciare da quelle del massimo vertice dello Stato, il Presidente della Repubblica, sono state indirizzate in questo senso. Anche se questa volta fortunatamente - speriamo - i servizi segreti non c'entrano, come invece è avvenuto altre volte, tanto che vi sono stati agenti degli stessi servizi condannati per questo (evidentemente quindi è stato acclarato il loro coinvolgimento), in qualità di parlamentare, sia pure di opposizione, prego il ministro di tenere presente che questo sistema non può ripercorrere ancora una volta le solite strade. Poiché si sostiene che la situazione è cambiata e che sta cambiando giorno per giorno, cerchiamo di acclarare la verità e soprattutto di catturare, non tra dodici o venti anni, i colpevoli di questo ennesimo attentato, anche se per fortuna (ma solo per fortuna) questa volta non vi sono stati morti. MASSIMO BRUTTI. Desidero esprimere apprezzamento per la sobrietà con la quale il ministro Mancino ha descritto uno scenario verosimile con riferimento alla bomba di via Fauro ed anche per la sobrietà con cui egli ha fatto cenno, in questi giorni, alla cattura di Nitto Santapaola. In quest'ultima vicenda vedo due elementi di novità che intendo sottolineare: anzitutto essa dimostra che una barriera protettiva, che finora aveva funzionato per anni a difesa di questo latitante, si è rotta ed egli è stato catturato anche con una certa sorpresa da parte sua. In secondo luogo, poiché, stando alle dichiarazioni che sono state rese a proposito di questa cattura, essa non deriva dalla collaborazione di elementi interni o che si sono distaccati dall'organizzazione mafiosa, ciò significa che vi è stato un affinamento delle tecniche investigative, che ha consentito di stringere il cerchio attorno a Santapaola. Questo non può che essere sottolineato come un aspetto positivo; abbiamo avuto occasione di discutere della necessità di potenziare tutte le tecniche investigative, tra cui quelle relative alle intercettazioni ambientali, che possano aiutare a individuare elementi di prova, a colpire le organizzazioni mafiose, anche al di là della collaborazione con la giustizia che finora è stata un elemento decisivo. Per quanto riguarda l'attentato di via Fauro, stiamo svolgendo qui una discussione per certi versi imbarazzante, nel senso che non sappiamo nulla e il ministro dell'interno ha detto con molta franchezza che tutto quanto egli può dirci rientra nell'ordine delle cose verosimili. L'impressione che ricaviamo dalla lettura dei giornali è che le indagini segnino il passo; io ho anche un'altra impressione che voglio sottoporre all'attenzione del ministro: ritengo cioè che non sia stato fatto, immediatamente dopo l'attentato, tutto ciò che si sarebbe dovuto fare Pag. 2012 perché lo stato dei luoghi e delle cose rimanesse inalterato e perché la ricerca di materiale probatorio potesse svolgersi compiutamente e in modo efficace. Io stesso, come credo molti altri, ho visto in televisione un signore che si faceva riprendere con in mano un frammento dell'auto che sarebbe stata quella in cui era collocato l'ordigno esplosivo. Questo significa che là evidentemente non vi è stata quella tutela dell'integrità dei luoghi e delle cose che avrebbe potuto giovare alle indagini. Nel merito, che cosa si può dire al di là di quello che ha affermato il ministro? Credo che la storia del passato dimostri che quando l'offensiva di Cosa nostra viene portata fuori del territorio direttamente controllato dall'organizzazione mafiosa ciò significhi che nella zona in cui si svolge l'attentato vi è un supporto, un sistema di alleanze e che questo consenta di sferrare l'attacco terroristico. La strage sul rapido 904 dimostra proprio questo ed i contatti e i rapporti tra Cosa nostra e la banda della Magliana a Roma dimostrano come costruire teste di ponte e insediare emissari significhi anche stabilire alleanze con la malavita locale (a Roma si trattava della banda della Magliana). Ma proprio la storia della presenza di Cosa nostra a Roma non è soltanto storia di rapporti con settori della malavita ma investe anche rapporti con settori delle autorità ufficiali, degli apparati dello Stato, e anzitutto dei servizi segreti. La storia del SISMI deviato al tempo in cui al vertice del servizio segreto militare vi erano uomini della P2 è intrecciata con la storia della banda della Magliana e con quella della presenza di Cosa nostra a Roma. Credo che questi precedenti del passato possano fornire ipotesi di lavoro e consentano di individuare scenari possibili. Ascoltando l'intervento del ministro Mancino alla Camera avevo già annotato, ed anche oggi le ho trascritte, le espressioni con le quali egli ha fatto riferimento all'affollarsi di rivendicazioni immediatamente dopo l'attentato o nella giornata successiva. Egli ha parlato di tentativi devianti ed anche di centri di destabilizzazione occulta. Il ministro oggi ha reso anche un'altra affermazione, ossia che le rivendicazioni della Falange armata si segnalano per la loro peculiarità, rappresentata dal fatto che intervengono tutte negli orari d'ufficio. Egli ha poi insistito sui termini "ufficio" e "uffici"; il fatto che un ministro dell'interno dica questo è impegnativo ed ha un significato politico e istituzionale. Se infatti parliamo di un centro di destabilizzazione occulta che conduce le proprie manovre negli orari d'ufficio e usiamo con insistenza questo termine, ciò significa che abbiamo in mente (ed io condivido questa impressione del ministro) che quel centro occulto di destabilizzazione, come egli l'ha definito, è dentro gli apparati dello Stato. Se così è, chiedo di sapere che cosa si faccia per snidare questi signori i quali, osservando un orario d'ufficio ed entrando in una stanza davanti alla quale forse vi è anche un piantone che rappresenta la presenza dello Stato in quei locali e in quegli edifici, compiono un'opera di destabilizzazione occulta. Che cosa stiamo facendo per scovarli? La sigla della Falange armata comincia a manifestarsi, se non ricordo male, dopo l'omicidio, avvenuto ad Opera, di un operatore carcerario e in alcune situazioni mi è sembrato di capire che questi signori avanzassero rivendicazioni telefoniche dimostrando di sapere qualcosa, che quindi essi non fossero esclusivamente dei parassiti della notizia in prima pagina, che non cercassero soltanto di entrare in un gioco al quale non partecipavano in alcun modo. Sarebbe allora bene sapere che cosa significhi questo gioco e chi lo conduca. Questo elemento si colloca ai margini della vicenda dell'attentato ma potrebbe anche non essere del tutto marginale, perché un elemento della funzione, dello scopo e delle finalità di questi attentati è proprio l'intossicazione dell'informazione, la ridda delle interpretazioni, visto che l'effetto intimidatorio si raggiunge anche con l'intossicazione informativa. Pag. 2013 Per questi motivi chiedo al ministro dell'interno che cosa egli sappia, che cosa possa dire e soprattutto quali iniziative si possano assumere su questo terreno. Dal momento che è stato usato un ingente quantitativo di esplosivo, mi domando se sia possibile che si spostino per le strade di Roma quantitativi così ingenti di esplosivo, che vi sia un traffico che funziona senza che nessuna azione di intelligence riesca a prevenirlo, a conoscerlo; è possibile che i servizi di informazione e di sicurezza siano sordi a quel che accade nel sottosuolo criminale di una grande metropoli come Roma? Non è infatti cosa di tutti i giorni spostare un quantitativo di tritolo così ingente in una città come Roma. E' possibile che non vi sia stato alcun segnale e che i servizi che dovrebbero svolgere questa funzione di prevenzione non siano minimamente in grado di svolgerla? MARCO TARADASH. Vorrei innanzitutto anch'io che il ministro ci aiutasse a sciogliere l'enigma relativo agli uffici e alla Falange armata, dal momento che si tratta di una sigla ricorrente. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. E' una questione alla quale dedico molta attenzione e che sto approfondendo. MARCO TARADASH. Questa allusione è comunque interessante, non so se contenga un suo messaggio trasversale ma, essendo stata resa in questa sede, è ovvio che susciti la nostra curiosità, perché a partire dalle storie di Bologna fino alla vicenda della Uno bianca in poi la Falange armata si è fatta sentire spesso in termini di rivendicazioni; forse si tratta di un telefonista folle o di un pensionato che si trova di tanto in tanto in qualche ufficio e usufruisce di un telefono gratuito ma potrebbe non essere così. Al di là di questo, il ministro ha fornito un'informazione molto scarna sull'accaduto e, non essendovi certezze, si è giustamente limitato a parlare di verosimiglianze. Ritengo però che dovremmo cercare anche di avere un quadro della situazione e che il ministro dovrebbe aiutarci a dare un'interpretazione del perché siano accaduti determinati fatti nell'ultimo anno, almeno a partire dall'omicidio di Salvo Lima, passando per quello di Salvo; aggiungerei nel quadro anche le accuse nei confronti di Andreotti e il modo in cui all'improvviso determinati pentiti sono usciti allo scoperto, nonché l'arresto di Totò Riina, avvenuto in circostanze di assoluta tranquillità, così come in grande tranquillità è avvenuto quello di Nitto Santapaola. Il ministro dovrebbe aiutarci a comprendere perché si siano verificati questi episodi, intercalati poi dai due fatti di aggressione mafiosa contro le istituzioni dello Stato, cioè le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Un'interpretazione di questi fatti è necessaria ed io ne tento una, non perché ritengo che sia quella giusta ma perché, se nessuno tenta delle interpretazioni, la realtà finisce per ridursi alle cose, delle quali prendiamo atto ponendoci di fronte ad esse senza cercare di influire sul loro percorso. La mia interpretazione è che sia entrato in crisi un sistema politico, un sistema partitocratico, quello dell'erogazione dei fondi pubblici a chi era capace di prenderli senza destinazione e senza controllo di alcun tipo, né politico né giudiziario. E' entrato quindi in crisi un capitolo del bilancio mafioso che era sicuramente molto forte; la crisi di questo capitolo fa saltare le alleanze che si erano costituite intorno a questa fonte di ingresso. Salta così un rapporto tra mafia e politica che era decennale, ventennale, che via via si era allargato e al suo interno aveva fatto modificare il gioco delle alleanze e dei controlli reciproci: se infatti è vero che vi era un controllo della mafia sui poteri politici, probabilmente vi era anche un controllo dei poteri politici sulla mafia, per cui quest'ultima non poteva permettersi certe cose se non voleva correre il rischio di perdere quel tipo di rapporti che facevano capo alle istituzioni e ai legislatori, a Roma o in Sicilia e così via. Pag. 2014 Se quest'ipotesi ha qualche attendibilità e se quindi la caduta di una parte della mafia è anche effetto della caduta di una parte del sistema politico e Tangentopoli riguarda anche la mafia, le cose, a mio avviso, si possono spiegare meglio: si può comprendere, per esempio, perché vengano liquidati i referenti politici preesistenti, perché anche una generazione mafiosa che su quei rapporti aveva costruito il suo potere e il suo predominio in realtà venga messa da parte, non soltanto grazie all'attività delle forze dell'ordine o al fatto che sono cadute le barriere protettive di cui parlava il collega Brutti ma anche perché all'interno della mafia vi è forse una nuova generazione, una nuova cultura, un nuovo management che ha preso il posto di quello precedente. Ritengo che tali riflessioni vadano fatte, anche per comprendere se di qui in avanti la mafia con cui avremo a che fare sarà magari meno inquinante con riferimento alla prospettiva politica ma eventualmente più inquinante sotto l'aspetto criminale e della criminalità economica, perché certamente l'altra fonte di profitto mafioso, rappresentata dal narcotraffico, non è stata minimamente toccata dalla guerra alla droga che abbiamo proclamato con la legge Jervolino-Vassalli e con altre attività. Vorrei acquisire l'opinione del ministro su tale aspetto e sapere quale importanza il ministro dell'interno dello Stato italiano attribuisca al ramo droga. Infatti, a quanto si può orecchiare, in Italia si pensa che questa fonte di introiti non sia poi tanto importante, mentre invece tutti i paesi del mondo, pur non avendo - beati loro! - una mafia con le caratteristiche di quella nostra, contrastano durissimamente il narcotraffico. La guerra alla droga nel mondo è stata proclamata ufficialmente dai presidenti della potenza più forte del mondo e molti Stati quotidianamente vedono messi a morte in questa guerra giudici, uomini delle forze dell'ordine, politici e cittadini. Da noi, invece, quest'aspetto è assolutamente sottovalutato. Si dice che noi abbiamo la nostra mafia e che il narcotraffico - lo affermano anche i sociologi consulenti della Commissione - non riveste poi così tanto interesse per la mafia nostrana che lo ha delegato ad altri e che si occupa di diversi traffici. Io non ci credo assolutamente! ALFREDO GALASSO. Se leggi gli atti del maxiprocesso, ti accorgi che non è così. MARCO TARADASH. Io so che non è così. Dico soltanto che l'interpretazione degli "strateghi" della lotta alla criminalità parte dal presupposto che il fattore droga non sia così importante e che quindi non bisogna dare eccessivo peso al problema delle modalità di contrasto politico di tale fattore. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Vorrei rassicurarla dicendole che il 27 e il 28 maggio prossimi si terrà a Roma una conferenza dei ministri dell'interno, non solo dell'Europa occidentale ma di molti altri paesi del centro e dell'est europeo, che avrà ad oggetto il problema delle rotte della droga. Come sapete, prima la rotta era quella balcanica mentre oggi si deve parlare di rotte europee. Lo scopo è quello di vedere come contrastare ed abbattere il fenomeno del traffico degli stupefacenti. Probabilmente, le valutazioni si differenzieranno sui mezzi ma le posso assicurare che questa sensibilità esiste. MARCO TARADASH. Sono contento di quello che lei dice perché mi sembra che, a livello politico, questa sensibilità non vi sia. Quando i ministri dell'interno fanno politica internazionale tale sensibilità si manifesta sempre. I nostri governi hanno partecipato a tutti gli incontri internazionali anche perché chiamati dai doveri derivanti dalla nostra partecipazione alle organizzazioni sovranazionali. Quando, però, si tratta di confrontarsi in Italia con il fenomeno del narcotraffico, la sottovalutazione è enorme e così, Pag. 2015 nella politica contro il crimine, le parole "droga" e "traffico di droga" finiscono quasi per non avere diritto di accesso. Sicuramente esiste una diversità di valutazioni sui mezzi con cui intendiamo contrastare il fenomeno. L'altro giorno alla festa della polizia lei si è arrabbiato - e non so perché - ed ha sostenuto che dobbiamo rivedere la legge Jervolino-Vassalli dopo il referendum perché non è più possibile mandare in galera presunti spacciatori sorpresi con pochi grammi o milligrammi di sostanza... NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. L'aggettivo "pochi" lo aggiunge lei. Questo è il problema. MARCO TARADASH. Lo aggiungo io semplicemente perché leggo cose che lei evidentemente non legge. La camera penale di Torino ha condotto un'inchiesta su tutti i processi ivi celebrati nel corso di sei mesi: il 45 per cento di tutti i processi nel tribunale erano per droga ed il 43 per cento di essi riguardava la detenzione fino a due grammi di eroina. Se lei legge l'ultimo rapporto del ministro degli affari sociali, troverà che il 65 per cento di tutti gli arresti per droga - che, come lei sa, rappresentano una percentuale enorme sui 52 mila detenuti di cui ha parlato poc'anzi - avvengono per detenzione di meno di 5 grammi di eroina. La realtà, signor ministro, è che il combinato disposto fra l'obbligatorietà dell'azione penale - e quindi l'impossibilità di adottare una strategia criminale che passi attraverso l'opera della magistratura - e il fatto che gli arresti in quantità danno soddisfazione, anche pubblicitaria, alle forze dell'ordine ed ai magistrati, fa sì che vengano portate in carcere migliaia e migliaia di persone che o non sono spacciatori o che, se lo sono, rappresentano un elemento del tutto marginale nell'ambito del fenomeno del narcotraffico. E questo, anche se non la impedisce, sicuramente ostacola una più efficace aggressione del fenomeno stesso. Vi inviterei perciò a riflettere sul fatto che non è vero che la modifica introdotta con il referendum riguardante la legge Jervolino-Vassalli rende più difficile il contrasto del narcotraffico, tant'è che negli anni della sua vigenza - come d'altronde negli anni precedenti - il fenomeno si è ingigantito, gli arresti sono saliti alle stelle, senza che ciò incidesse minimamente sul fenomeno stesso. Il nostro paese vede operare al suo interno organizzazioni mafiose votate non soltanto all'arricchimento ma anche al controllo del territorio e della vita politica ed economica di alcune regioni o dell'intero paese e registra una larghissima commercializzazione della droga: nonostante ciò, ci rimettiamo a decisioni strategiche assunte da decenni, che hanno dato e continuano a dare in tutti i paesi del mondo - anche in quelli che solo di recente sono stati invasi dalla droga - lo stesso risultato, vale a dire un fallimento assoluto. Dico questo perché, ministro Mancino, o cominciamo a discutere sul modo in cui sottrarre il mercato della droga alle organizzazioni criminali oppure - se è vero che si è spezzato un certo rapporto tra mafia e politica e che ci si pone il problema del narcotraffico - ci avvieremo verso una situazione di tipo colombiano. E ciò significa che dalla ideologia mafiosa, legata ad un certo mondo, si passerà alla "videologia", cioè al fenomeno che per la prima volta si è manifestato nei giorni scorsi. Si è tentato, infatti, di colpire un simbolo che non è direttamente collegato agli interessi mafiosi, il che, dal punto di vista televisivo e della comunicazione, sta a dire: "Guardate che noi la guerra la portiamo dallo Stato alla società; lo Stato non ci interessa più, facciamo la guerra alla società". Il messaggio diretto allo Stato è questo: "Riducete la pressione nei nostri confronti, altrimenti quello che avrete sarà una sempre maggiore diffusione del terrore all'interno della società italiana". Vogliamo accettare che si verifichino quei fatti che hanno portato a certe situazioni in Colombia, in Bolivia ed in altri paesi - dove peraltro il controllo da parte delle organizzazioni mafiose del Pag. 2016 traffico della droga è assimilabile a quello esercitato nella società italiana - oppure vogliamo cercare strategie alternative? Lei probabilmente darà a questa domanda una risposta diversa dalla mia ma ciò non toglie che bisogna cercare di inquadrare i problemi e di porsi di fronte ai rischi che fa correre l'incamminarsi su una determinata strada. Ritengo che per un esponente politico ciò sia doveroso. PRESIDENTE. Prima di dare la parola al collega Cabras, che svolgerà l'ultimo intervento di questo pomeriggio, desidero ricordare che il ministro deve allontanarsi per cui, se i colleghi sono d'accordo, potremmo rinviare il seguito della discussione - anche con le caratteristiche suggerite da qualcuno - a venerdì 4 giugno, alle ore 9,30. MAURIZIO CALVI. E' la settimana di chiusura del Parlamento. ALBERTO ROBOL. Ci sono le elezioni. ALTERO MATTEOLI. C'è la campagna elettorale. PRESIDENTE. Ma i comizi non si fanno il pomeriggio o alla sera? Io ricordo così. ALTERO MATTEOLI. Bisogna arrivarci, però. Se la facessimo in piazza San Silvestro... MAURIZIO CALVI. Sarebbe opportuno rivedersi dopo il 6 giugno. ANTONINO BUTTITTA. Poi bisognerà leccarsi le ferite, Matteoli. MARCO TARADASH. Matteoli non dovrà leccarsi le ferite. PRESIDENTE. In questo caso una data utile può essere quella dell'8 giugno, con seduta dalle ore 15,30, perché in genere il martedì mattina si tiene Consiglio dei ministri. ANTONINO BUTTITTA. Noi non siamo ministri. PRESIDENTE. Ma lui sì. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Per me non vi sono problemi. PAOLO CABRAS. Intervengo per esprimere il mio apprezzamento sui contenuti della relazione svolta dal ministro, in particolare per il quadro che egli ha fornito che fa anche giustizia di tante illazioni ed interpretazioni che, in eventi quali quello di via Ruggero Fauro, si accumulano nelle dichiarazioni di alcuni, caratterizzate da protagonismi ingiustificati nel tentativo di dare una spiegazione più originale di un'altra. Senza esprimere alcuna certezza, penso sia verosimile l'ipotesi della matrice mafiosa di quel tentativo di strage; perché di questo si è trattato, pur senza conseguenze per le persone. Questo aspetto ci conforta ma non toglie che le modalità dell'attentato sono state tali da ricordarci altre stragi e molti lutti che per fortuna in questo caso non dobbiamo lamentare. Del resto, la coincidenza della data con l'anniversario della strage di Capaci, la concomitanza con vicende note ai mafiosi quali la festa della polizia e la vigilia della chiusura del Forum tenuto dalla Commissione parlamentare antimafia su "Economia e criminalità", chiuso dal Capo dello Stato, rappresentano simbologie che suggestionano anche i mafiosi. Tutto ciò rende, quindi, verosimile il quadro che il ministro ha disegnato poc'anzi. Reputo anche verosimile l'ipotesi secondo cui si sia voluto colpire Maurizio Costanzo considerato come simbolo. Credo, però, che l'obiettivo non fosse soltanto questo, perché non mi pare che l'intervento fosse specificamente mirato. Penso all'effetto di intimidazione ed anche ad un segnale "all'armata mafiosa dispersa" che, nell'ambito di una concezione militarista e nel momento in cui vede i suoi capi subire processi e delegittimazioni Pag. 2017 da parte dei pentiti in pubblici processi trasmessi alla televisione, ha bisogno di mostrare la propria forza. La mafia è molto sensibile a questo, ed anche dal carcere si possono inviare segnali in questa direzione. A mio avviso, è apprezzabile che si sia fatta giustizia del vezzo di dipingere eventi di questo tipo come un qualcosa che va oltre la mafia, per sostenere che si è trattato come sempre di stragi o di delitti di Stato. Credo che questa interpretazione - che rappresenta anche la ricerca di altre compatibilità e responsabilità - vada accantonata, a meno che non esistano prove, indizi, piste che forniscono precise indicazioni. Ritengo, inoltre, che il momento non debba avviare una corsa al trionfalismo. Bisogna, però, essere consapevoli che la risposta complessiva data dalle leggi, dal comportamento del Parlamento e dall'attività del Governo consente di conseguire successi a scadenza ravvicinata. Personalmente, considero un successo il fatto che Santapaola sia stato catturato nel proprio letto e non in un conflitto a fuoco scatenatosi occasionalmente tra una pattuglia in perlustrazione ed una banda di criminali. Le modalità della cattura di Santapaola indicano una sola cosa: che le tecniche di appostamento e di pedinamento, l'inseguimento per la penisola - sulla base di quanto ci è dato sapere, Santapaola si è mosso molto in quest'ultimo periodo, anche all'estero - sono stati davvero efficaci. ALFREDO GALASSO. Chi cerca trova. PAOLO CABRAS. La ricerca, però, va condotta con intelligenza, con mezzi e capacità. Non penso, perciò, che bisogna strologare sul fatto che sia stato trovato a letto: piuttosto bisogna compiacersene. Considero importante la disponibilità del ministro a discutere sulla trasformazione della mafia. La prossima settimana avvieremo un'indagine sulla camorra: parlare della mafia, della sua trasformazione e della sua evoluzione è sicuramente necessario ma lo è altrettanto occuparsi del nuovo allarme rappresentato dalla camorra - che per molti versi presenta aspetti simili a quelli della criminalità mafiosa - che riveste caratteristiche estremamente inquietanti, principalmente sotto il profilo della sua pervasività nel tessuto economico, istituzionale e locale. Credo che bisognerà discutere anche di questa trasformazione, che vede sempre la conferma delle radici: l'importanza del territorio, delle commistioni e delle collusioni a livello locale, e questa grande capacità di prolungamento e di proiezione della mafia e della camorra, che poi indica la necessità di battere sempre su un obiettivo. Su di esso anche il ministro ha avuto modo di intrattenersi recentemente e ad esso abbiamo dedicato il nostro Forum sull'economia mafiosa, tanto camorristica e criminale. Questa, a mio avviso, rappresenta il vero obiettivo e spiega i prolungamenti, nonché le nuove interrelazioni della mafia, i suoi nuovi rapporti politici, economici e sociali. Devo esprimere anche la mia soddisfazione: non ritengo che quando un ministro denuncia - come ha fatto - tentativi di depistaggio e colloca la sua ricerca in ambiti ufficiali, o ufficiosi, si debba pensare a messaggi trasversali. E' sintomo della cattiva esperienza che abbiamo per il passato il dover considerare una dichiarazione onesta e trasparente come un messaggio trasversale: io la considero un contributo alla chiarezza. Se ne avessimo avuti in passato, tante P2, tanti servizi segreti deviati, tanti depistaggi non vi sarebbero stati: probabilmente, saremmo stati allertati e vigili, ed avremmo potuto risalire a vicende che rappresentano ancora, purtroppo, la costellazione dei misteri d'Italia. A proposito di depistaggi, non dobbiamo trascurare anche quelli che hanno segnalato le vicende mafiose: non dimentichiamo che nell'estate scorsa, a proposito della procura di Palermo e dintorni, vi è stato un messaggio che tutti abbiamo considerato - non a livello ufficiale, ma lo Pag. 2018 ricordo a livello di dibattito parlamentare - un messaggio di apparati dello Stato che utilizzavano notizie vere mischiandole a molte notizie false e a molti depistaggi, per raccontare alcune vicende e soprattutto per distrarre l'attenzione. Apprezzo molto quindi la volontà che il ministro ha manifestato, perché abbiamo grande bisogno di chiarezza, di trasparenza, di accertamento di certi giochi: è anche questo un contributo che possiamo dare ad un'azione di contrasto alla mafia che spazzi via tutto quello che approfitta della mafia e la utilizza per altri giochi e per altre stanze. PRESIDENTE. Ricordo che sono ancora iscritti a parlare i colleghi Boso, Buttitta, D'Amelio e Imposimato. Ringrazio il ministro per il suo intervento in questa sede; con lui proseguiremo il nostro confronto martedì 8 giugno, alle ore 15,30. (Il ministro Mancino esce dall'aula). Ricordo ai colleghi che domani alle ore 9,30 si riunirà l'ufficio di presidenza della Commissione allargato ai rappresentati dei gruppi ed ai colleghi eletti in Campania per definire il programma della visita della nostra delegazione in Campania. Proclamazione del risultato della votazione per l'elezione di un vicepresidente. PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. A norma del regolamento, procederò, coadiuvato dall'onorevole Taradash in qualità di segretario facente funzioni, allo spoglio delle schede. (Segue lo spoglio delle schede). Comunico il risultato della votazione per l'elezione di un vicepresidente: Presenti e votanti: 25. Hanno ottenuto voti: Calvi 10; Ferrara Salute 3. Schede bianche: 8 Voti dispersi: 4 Proclamo eletto vicepresidente della Commissione il senatore Maurizio Calvi, al quale formulo i migliori auguri (Applausi). La seduta termina alle 18,50. &00080493DOC11-4-258 Pag.1 DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE IN GIUDIZIO nei confronti del deputato CIRINO POMICINO per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui all'articolo 416-bis, primo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, dello stesso codice (associazione di tipo mafioso, pluriaggravata) TRASMESSA DAL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA (CONSO) l'8 aprile 1993 All'onorevole Presidente della Camera dei Deputati Roma Roma, 7 aprile 1993. OGGETTO: Richiesta di autorizzazione a procedere a norma dell'articolo 68 della Costituzione nei confronti dell'onorevole Cirino Pomicino Paolo formulata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli (procedimento n. 13910/R/1992 D.D.A). Per il tramite del procuratore generale presso la Corte di appello, il procuratore della Repubblica legittimato alle indagini mi ha inviato l'allegata richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del parlamentare sopra indicato. Per le iniziative di competenza, trasmetto pertanto la predetta richiesta con il fascicolo contenente gli atti del relativo procedimento. Il Ministro Conso Pag.2 All'onorevole Presidente della Camera dei Deputati Roma Napoli, 6 aprile 1993. OGGETTO: Richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di: CIRINO POMICINO Paolo, nato in Napoli il 3 settembre 1939, deputato; MEO Vincenzo, nato in Nola (Napoli) il 5 agosto 1937, senatore della Repubblica; GAVA Antonio, nato in Castellammare di Stabia (Napoli) il 30 luglio 1930, senatore della Repubblica; VITO Alfredo, nato in Napoli il 16 aprile 1946, deputato; MASTRANTUONO Raffaele nato a Napoli il 2 luglio 1943, deputato. INDICE Pag. CAPITOLO I Premessa ............................................ 2 CAPITOLO II Le indagini contro l'organizzazione criminosa di Carmine Alfieri .................................. 4 CAPITOLO III L'oggetto della presente indagine ...................16 CAPITOLO IV La posizione del senatore Antonio Gava ..............23 CAPITOLO V La posizione del senatore Vincenzo Meo ..............38 CAPITOLO VI La posizione dell'onorevole Antonio Vito ............42 CAPITOLO VII La posizione dell'onorevole Raffaele Mastrantuono ...45 CAPITOLO VIII La posizione dell'onorevole Paolo Cirino Pomicino ...47 CAPITOLO IX Richieste ...........................................64 Il pubblico ministero, letti gli atti del procedimento penale numero 13910/R/1992 D.D.A. osserva: Capitolo I PREMESSA A) Gli elementi costitutivi del reato di associazione di tipo mafioso. I reati associativi sorgono storicamente per la esigenza di anticipare la risposta penale contro la criminalità organizzata. Essi costituiscono una deroga al principio sancito dall'articolo 115 del codice penale cui non è punibile la condotta di chi si accorda per commettere un reato e questo non sia commesso. La ragione fondamentale per cui il legislatore ha configurato come autonomo titolo di reato il delitto di associazione per delinquere (articolo 416 del codice penale), consiste nel pericolo per l'ordine pubblico determinato dalla permanenza del vincolo associativo tra più persone legate da un comune fine criminoso. Ciò spiega, altresì, perché sia irrilevante la eventuale mancata consumazione dei delitti programmati per la sussistenza del delitto associativo. Il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale - introdotto nel nostro ordinamento nel 1982 dalla legge Rognoni-La Torre - costituisce, sul piano sistematico, un ulteriore arretramento della soglia di punibilità per i reati associativi. In sostanza la associazione tra più persone, indipendentemente dalla commissione di altri reati, diviene penalmente rilevante a causa dei fini perseguiti e dei mezzi usati per la loro realizzazione. Le novità di maggior rilievo della figura delittuosa dell'articolo 416-bis del codice penale, che la distinguono dall'articolo 416 codice penale, sono essenzialmente due: l'eterogeneità degli scopi che la associazione mira a realizzare ed il ricorso alla forza di intimidazione per il conseguimento dei propri fini. Il requisito della "forza di intimidazione del vincolo associativo" non deve necessariamente essere utilizzato dai singoli associati, né deve necessariamente estrinsecarsi, di volta in volta, in atti di Pag.3 violenza fisica o morale perché ciò che caratterizza, sul piano descrittivo e su quello ontologico l'associazione di tipo mafioso è la condizione di assoggettamento (che implica uno stato di soggezione derivante dalla convinzione di essere esposti ad un concreto ed ineludibile pericolo di fronte alla forza dell'associazione) e di omertà (che consiste in una forma di solidarietà che ostacola o rende più difficoltosa l'opera di prevenzione e di repressione (in tali termini Cassazione, sezione I, sentenza n. 6203 del 6 giugno 1991). L'associazione viene qualificata di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte, mediante il ricorso alla forza di intimidazione, perseguono il fine di commettere ovvero quello di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessione, di autorizzazione, appalti e servizi pubblici ovvero il fine di realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Anche la realizzazione di uno solo degli scopi indicati (che di per sé possono non rivestire la natura di illeciti) è idoneo ad integrare il delitto in esame. Deve essere notato che l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito con la legge 7 agosto 1992, n. 356, entrato in vigore dall'8 agosto 1992, ha aggiunto alle finalità del reato in esame quella di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazione elettorali. In fase interpretativa ed applicativa dovrà essere chiarito se la disposizione in esame costituisca una mera esplicitazione delle finalità tipiche della associazione di tipo mafioso (con il recepimento in sede legislativa di un orientamento già formulato dalla giurisprudenza in sede interpretativa - vedi postea ) ovvero una nuova ipotesi di reato assoggettata alla disciplina della successione delle leggi penali nel tempo di cui all'articolo 2 del codice penale. La prima tesi potrebbe essere avvalorata dalla autonoma e contemporanea introduzione della nuova ipotesi di reato di cui all'articolo 416-ter del codice penale: scambio elettorale - politico - mafioso (vedi articolo 11- ter della legge n. 356 del 1992). B) La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso. La partecipazione ad una associazione di tipo mafioso - autonomamente sanzionata dal primo comma dell'articolo 416bis del codice penale - può assumere forme e contenuti diversi e variabili e consiste nel contributo causale all'esistenza o al rafforzamento dell'associazione e quindi nella realizzazione degli scopi alternativamente previsti dalla norma penale, qualunque sia il ruolo o il compito che il partecipe svolga nell'ambito della associazione. La giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, in questi anni, ha chiarito che la fattispecie della partecipazione è a forma libera e che la mancata "legalizzazione" - cioè l'atto formale di inserimento nell'ambito della organizzazione criminosa - non esclude che il partecipe sia di fatto in essa inserito e contribuisca con il suo comportamento alla realizzazione dei fini della associazione (vedi Cassazione Sezione I, sentenza n. 13070 del 22 dicembre 1987). Può inoltre essere ipotizzato il delitto di associazione mafiosa, sulla base delle regole che disciplinano il concorso di persone, anche nel caso della cosiddetta "partecipazione esterna". Ed infatti la Cassazione ha chiarito che deve essere ravvisato il concorso nel reato quando l'agente, estraneo alla struttura organica della associazione, si sia limitato alla occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo comportamento, non privo di idoneità causale per il conseguimento di uno degli scopi del sodalizio (vedi Cassazione Sezione I, sentenza n. 8242 del 15 settembre 1988). Da ultimo deve essere esaminata la ipotesi della partecipazione che si realizza nella condotta del candidato alle elezioni che, in cambio di voti di una organizzazione di stampo mafioso, si impegni ad agevolarla nella realizzazione dei suoi fini. Pag.4 La Suprema Corte ha recentemente esaminato la questione, prima della modifica apportata dalla legge n. 356 dell'agosto 1992, stabilendo che: "Il fatto di chi promette voti contro l'impegno del candidato che, una volta eletto, concluderà il sinallagma attraverso la elargizione di favoritismi, è sanzionato dall'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, che prevede appunto come reato il fatto della promessa di qualsiasi utilità per ottenere il voto e l'utilizzazione di quest'ultimo come oggetto di scambio. Peraltro se un simile patto viene stipulato da un candidato con un'organizzazione di stampo mafioso, e la controprestazione del beneficiario del consenso elettorale è la promessa di agevolare chi gli assicura la elezione nella realizzazione dei fini elencati nella norma di cui all'articolo 416-bis del codice penale, il fatto è suscettibile di integrare gli estremi di una partecipazione alla associazione criminale, tanto più se l'accordo risulta di tale portata ed intensità da far apparire il candidato stipulante come autentica espressione del sodalizio criminale" (in tali sensi Cassazione Sezione I, sentenza n. 2699 del 17 giugno 1992). C) Thema probandum. Conseguentemente, sulla scorta della legislazione vigente e della giurisprudenza più garantista della Suprema Corte, si deve ritenere che l'onere probatorio dell'accusa in un procedimento penale relativo al reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, previsto dal primo comma dell'articolo 416-bis del codice penale, è costituito dalla dimostrazione: 1) della esistenza di una "societas scelerum "; 2) della natura di tipo mafioso della associazione nel senso che alcuni componenti della stessa si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva; 3) della finalizzazione della stessa alla realizzazione indifferentemente di uno dei seguenti scopi: 3a - la commissione di delitti; 3b - la acquisizione della gestione o del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici; 3c - la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri; 3d - l'impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali; 4) della partecipazione, anche esterna alla associazione, che si concreti - in qualsiasi forma - in un contributo causale alla realizzazione di uno degli scopi; una delle modalità può consistere nell'impegno di agevolare la realizzazione di uno degli scopi tipici in cambio della promessa di voti. Capitolo II LE INDAGINI CONTRO L'ORGANIZZAZIONE CRIMINOSA DI CARMINE ALFIERI 1) L'esistenza di una struttura organizzativa criminale di tipo mafioso, egemone nel nolano e con diramazioni e collegamenti in quasi tutta la Campania, gerarchicamente strutturata alle dipendenze di Carmine ALFIERI e dedita ad ogni sorta di attività delittuose, ha formato oggetto di numerose indagini e di procedimenti penali. Questi ultimi risalgono alla metà degli anni '70 e si intrecciano con la storia e la crescita criminale di Carmine ALFIERI. Tale vicenda, che qui è opportuno tratteggiare per inquadrare correttamente i fatti delittuosi e gli obiettivi della presente indagine, inizia nel 1976, allorché l'ALFIERI venne imputato quale mandante dell'omicidio in danno di tale Giuseppe GLORIOSO da San Giuseppe Vesuviano. Pag.5 Per tale fatto delittuoso l'ALFIERI venne assolto, per insufficienza di prove, dalla Corte di assise di Napoli. Alla lettura del dispositivo della sentenza si registrò un episodio che può ritenersi preludio della rapida ascesa dell'ALFIERI nella gerarchia criminale campana: l'annuncio dell'assoluzione fu accompagnato da un fragoroso applauso da parte del pubblico presente. Nel corso delle indagini sull'omicidio del GLORIOSO, i Carabinieri della compagnia di Torre Annunziata eseguirono il 6 marzo 1976 una perquisizione domiciliare nell'abitazione di Carmine ALFIERI, rinvenendo, tra l'altro, un biglietto con annotata la dicitura: "Patriarca on. casa 8711716 - uff. 8714146 - Roma uff. 06/6794568 - 689251 - 689428 - lettere 8794961". La crescita criminale dell'ALFIERI inizia negli anni '80, in coincidenza con l'omicidio del fratello Salvatore, consumato in Pompei 26 dicembre 1981. A tale data si fa risalire anche lo sviluppo della sua attività imprenditoriale quale commerciante all'ingrosso di carne macellata, attraverso la gestione della società SIM CARNI dei fratelli SIMEOLI di San Sebastiano al Vesuvio, della società Vesuviana Carni e della Ital Carni di Arzano. Il 26 agosto 1984 venne perpetrata la strage di Torre Annunziata nel corso della quale furono uccise otto persone e ferite altre sette tra affiliati e fiancheggiatori del clan capeggiato da Valentino Gionta. E' l'episodio criminale più efferato mai registrato nelle regioni di Italia aggredite dal fenomeno mafioso. Nel processo di primo grado davanti alla I sezione della Corte d'assise di Napoli, Carmine ALFIERI, Gennaro BRASIELLO e Ferdinando CESARANO vennero dichiarati responsabili della strage, nonché di associazione di tipo mafioso (le due imputazioni erano strettamente connesse) e vennero condannati alla pena dell'ergastolo. Il giudizio di appello, conclusosi il 29 gennaio 1990, davanti alla Corte di assise di appello di Napoli, capovolse completamente l'impostazione della sentenza di primo grado: gli imputati ALFIERI, BRASIELLO e CESARANO vennero assolti con formula piena da entrambi i reati loro ascritti. Dalla sentenza di appello, passata in giudicato il 2 febbraio 1990, è utile estrapolare le parti che riguardano l'accertamento degli schieramenti criminali esistenti all'epoca della strage. Tali schieramenti erano formati dai clan Gionta e Nuvoletta, a cui avevano aderito anche i D'Alessandro e Vangone, da una parte, e dai clan Bardellino, Alfieri e Fabbrocino, ai quali si erano aggregati anche i Muollo ed il Cesarano, dall'altra. Questa suddivisione riproduceva, in maniera speculare, quella che si era creata in Sicilia tra le famiglie mafiose vincenti dei Greco e dei Leggio, alle quali erano legati Nuvoletta e Zaza, e le famiglie perdenti dei Badalamenti e Buscetta, alle quali era rimasto fedele Antonio Bardellino. Nel corso dell'istruttoria per la strage era stato escusso il pentito Salvatore Federico, già affiliato alla N.C.O. e passato poi nel 1981 alla contrapposta organizzazione allora denominata N.F.: il teste riferì che Carmine Alfieri era il capo assoluto della N.F. nell'area vesuviana e Mario Fabbrocino era il suo braccio armato. Appare a questo punto necessario riportare il passo della motivazione della sentenza assolutoria di appello sulla strage in cui si afferma che: "del resto la difesa, riportandosi alle suddette sentenze assolutorie, ha prospettato con argomenti concreti e talora sconcertanti come la fama dell'Alfieri dipenda in gran parte da una immagine distorta della realtà, insinuatasi nell'opinione pubblica e recepita anche nei rapporti di polizia giudiziaria, attraverso l'attribuzione di fatti riguardanti i suoi omonimi, il sovrapporsi di notizie vere e di notizie false con inevitabili ingigantimenti e travisamenti, le delazioni di "confidenti" e "pentiti", le supposizioni, le congetture ecc; egli è stato confuso con i fratelli Michele e Vincenzo Alfieri, abitanti come lui a Piazzola di Nola ed implicati in gravi reati; gli sono Pag.6 state attribuite condanne che non figurano nel suo certificato penale, sono stati indicati come suoi fratelli Biagio Alfieri, ucciso a Barra nel 1981 e Felice Vincenzo Alfieri, ucciso dalla N.C.O. nel 1978 (con conseguente pretesa di sua adesione alla N.F.) laddove trattavasi di persona completamente estranea alla sua famiglia. In realtà i suoi modesti precedenti penali, mai attinenti a reati tipici di associazione per delinquere (estorsioni, sequestri di persona, contrabbando, traffico di stupefacenti), la limitatezza del suo patrimonio come accertato in numerosi rapporti della Guardia di finanza, la sua attività del tutto lecita di intermediazione di compravendita di terreni e di finanziamento o partecipazione all'attività imprenditoriale di terzi, con la conseguente apparenza di notevoli movimenti finanziari nei suoi conti correnti che non corrispondevano ad effettiva ricchezza, come riconosciuto nelle predette sentenze assolutorie, tutto ciò sembra avvalorare l'esclusione di una sua appartenenza ad un clan camorristico, in conformità del dato processualmente acquisito ad onta delle mere convinzioni, congetture, sospetti che gravano sul personaggio". A questo punto vanno evidenziati dati su cui si fonda il giudizio assolutorio, perché quel clamoroso verdetto dovrà essere tenuto presente, quando più avanti si esamineranno le denunciate collusioni tra il clan Alfieri ed esponenti delle istituzioni. Va in primo luogo rilevato come la Corte di assise di appello mostri di ignorare la parentela, in quanto fratelli, tra Carmine Alfieri e Salvatore Alfieri, ucciso, come si è detto, in un'agguato di camorra il 26 dicembre 1981. Tale omicidio costituiva un indubbio elemento per ritenere il coinvolgimento della famiglia Alfieri nella lotta per il controllo del territorio e per quella conseguente adesione di Carmine Alfieri alla N.F. in contrapposizione violenta con la N.C.O. di Raffaele Cutolo. Quanto ai precedenti penali dell'Alfieri, essi non apparivano affatto modesti, atteso che fra di essi risaltavano: estorsione aggravata in concorso (con condanna ad otto mesi di reclusione), detenzione abusiva di armi (con condanna a sei mesi di arresto), oltre alla assoluzione per insufficienza di prove in relazione all'omicidio Glorioso. Peraltro, già fin dal 1^ luglio 1985, e quindi ben prima della sentenza di appello per la strage, il Tribunale di Napoli - sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione aveva sottoposto Carmine Alfieri alla sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, desumendo la sua pericolosità dai già citati precedenti penali. Nell'arco di tempo tra il 1984 ed il 1989, come risultava ampiamente da numerosi rapporti di polizia giudiziaria (richiamati nella allegata informativa del Nucleo operativo - Gruppo carabinieri di Napoli II datata 14 aprile 1992 - doc. n. 1 - l'organizzazione criminosa capeggiata da Carmine Alfieri aveva esteso la propria aria di influenza, rispetto alla zona di tradizionale operatività, cioè quella di Nola, verso Pomigliano d'Arco (ove era entrata in conflitto con il clan capeggiato da Antonio Egizio, conflitto cui sono riconducibili gli omicidi dei fratelli Sebastiano e Mario Felice Russo e la scomparsa di Luigi Russo, fratello dei primi due, tutti esponenti di rilievo del clan Alfieri), verso l'agro nocerino-sarnese tra Scafati, Angri e San Antonio Abate (nei cui territori l'Alfieri aveva combattuto contro il clan Rosanova-Abbagnale una guerra che aveva causato la morte dei fratelli Rosanova e dei fratelli Abbagnale, e dove lo stesso Alfieri aveva stretto alleanze con il clan Galasso-Loreto), verso la fascia costiera tra Torre Annunziata e Castellammare di Stabia (ove aveva stretto alleanze con i Muollo e i Cesarano e dove era entrato in conflitto con i clan Gionta e D'Alessandro) e verso l'area vesuviana nei comuni di Somma Vesuviana, Sant'Anastasia e Volla (ove aveva stretto alleanza con i clan capeggiati da Fiore D'Avino e da Orefice Giuseppe), riuscendo da vincitore a formare un "cartello" di associazioni le quali, pur conservando la loro autonomia territoriale-operativa, rispondevano all'Alfieri come capo indiscusso della consorteria mafiosa. Pag.7 Tutto ciò, si ripete, era già ampiamente noto e documentato agli atti del procedimento all'epoca del giudizio di Appello sulla strage di Torre Annunziata, in quanto frutto di approfondite indagini degli organi di polizia giudiziaria. Nel dicembre 1989, poco prima della citata sentenza assolutoria, questo ufficio iniziava una attività di indagine fondata su intercettazioni delle utenze telefoniche di cui appariva probabile che l'Alfieri, all'epoca ancora latitante, ed i vari appartenenti al sodalizio criminoso si servissero per comunicazioni inerenti le loro attività delittuose. I risultati di quelle indagini, che portarono nel febbraio 1990 all'emissione di provvedimenti cautelari nei confronti di Carmine Alfieri e di altri aderenti all'organizzazione (tra cui Giuseppe Autorino, tuttora latitante) già fornivano un quadro estremamente allarmante. In un clima di ferrea omertà (che aveva pesantemente ostacolato le indagini e coperto per otto anni la latitanza dell'Alfieri) emergeva che quest'ultimo aveva effettivamente costituito, nel nolano e nelle altre zone della Campania controllate dai suoi affiliati, una sorta di anti-Stato dotato di proprie leggi e proprie regole, tali da garantire all'associazione l'incontrastato esercizio di attività tipicamente delittuose e delle altre attività espressive del metodo mafioso. Tutto ciò anche, e soprattutto, attraverso il condizionamento e spesso l'aperta complicità di amministratori pubblici e di pubblici funzionari. All'esito delle indagini preliminari, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, in data 7 ottobre 1992, su conforme richiesta di quest'ufficio, disponeva il rinvio a giudizio di Carmine Alfieri, Giuseppe Autorino, Angelo Ambrosino, Donato Prisco, Costantino Ruggero, Marzio Sepe, Michele Tufano, Francesco Alfieri, Gennaro Alfieri e Michele Autorino, per rispondere per i delitti di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto illegali di armi clandestini ed altri reati minori (doc. n. 2). Il giudizio è pendente dinanzi al Tribunale di Napoli - V sezione penale. Nella richiesta di rinvio a giudizio quest'ufficio, nell'evidenziare le fonti di prova acquisite, svolgeva le seguenti osservazioni. "1. Struttura organizzativa verticistica di tipo mafioso facente capo a Carmine Alfieri. L'esistenza e l'operatività di siffatta struttura si desumono, anzitutto, dall'informativa del centro CRIMINALPOL Campania del 29 gennaio 1990, e da numerose comunicazioni telefoniche intercettate sull'utenza della IESA dei fratelli Ambrosino. In particolare, essa è ben descritta nella telefonata numero 150 del 27 dicembre 1989, ore 12:24, da cui risulta in modo inequivocabile la posizione di assoluta preminenza di Alfieri Carmine all'interno del gruppo rispetto a tutti gli affiliati che, a cominciare da Autorino Giuseppe, lo riconoscono come il loro indiscusso, temuto e riverito capo; all'Alfieri, affiancato dall'Autorino in molte circostanze, fanno capo tutte le attività dell'organizzazione, come risulta anche dalle telefonate numero 129 del 20 dicembre 1989 ore 17:46, numero 180 ter del 13 gennaio 1990 ore 19:11, numero 182 del 14 gennaio 1990 ore 12:29, numero 206 del 26 gennaio 1990 ore 11:01, numero 213 e numero 214 del 29 gennaio 1990 ore 20:41 e 20:42. Da alcune di queste emerge, tra l'altro, la frenetica attività di numerosi adepti alla consorteria criminosa in vista della attesa e preannunciata assoluzione dell'Alfieri in grado di appello, nel processo per la nota strage di Torre Annunziata, assoluzione poi effettivamente pronunciata il 29 gennaio 1990 e del conseguente ritorno del capo alla piena libertà di manovra. L'organizzazione criminosa esercita un controllo assoluto sul territorio, che si articola in particolare: a) nel controllo della centrale SIP di Piazzolla di Nola, che ha consentito agli affiliati di venire tempestivamente a conoscenza delle intercettazioni delle utenze facenti capo ad Autorino Giuseppe e ad altre persone con le quali Carmine Alfieri Pag.8 teneva contatti telefonici durante la latitanza (cfr. telefonate numero 50 del 2 dicembre 1989 ore 19,38, numero del 4 dicembre 1989 ore 17,43, numero 81 dell'11 dicembre 1989 ore 21,34, ed altre); b) nel controllo di tutte le attività illecite, anche di quelle di scarso rilievo, che si svolgono sul territorio (cfr. telefonate numero 45 dell'1 dicembre 1989 ore 23,49, numero 49 del 2 dicembre 1989 ore 19,24, numero 1989 del 12 dicembre 1989 ore 20,13); c) nella garanzia di "pace sociale" attraverso interventi pacificatori di privati dissidi (cfr. telefonata numero 76 del 9 dicembre 1989 ore 23,56, nonché quanto risulta dagli allegati atti relativo al triplice omicidio Pizza, circa gli interventi di Autorino Giuseppe nella lite tra i Pizza ed altre persone). d) nel controllo delle pubbliche amministrazioni della zona. A questo riguardo - mentre si richiama il contenuto della telefonata intercettata sull'utenza IESA numero 61 del 5 dicembre 1989 ore 13,38, relativa al comune di Nola, è opportuno evidenziare quanto segue. Nel corso delle ricerche dei latitanti Alfieri Carmine ed Autorino Giuseppe, polizia di Stato e carabinieri individuavano, come obbiettivo "sensibile" la villa di Alfieri Francesco (pregiudicato, cugino e padrino del capo dell'organizzazione criminosa, imprenditore edile e personaggio "di rispetto" della zona), sita in Casamarciano. Veniva pertanto effettuato un servizio di intercettazione sull'utenza telefonica installata nella villa (numero 081/8297957) e si procedeva a periodiche perquisizioni della villa stessa finalizzate alla ricerca dei latitanti. Dalle intercettazioni emergeva, anzitutto, la conferma che la villa era frequentata anche da appartenenti al sodalizio criminoso, tra cui certamente l'Autorino (cfr. telefonata numero 3 del 10 febbraio 1990, in cui l'imputato Sepe Marzio chiede a "don Ciccio" Alfieri se "don Geppino" è venuto alla villa, evidente riferimento all'Autorino, noto, appunto, come "don Geppino"). Da altre telefonate emergeva altresì che l'Alfieri Francesco intratteneva stretti e frequenti rapporti con amministratori locali e funzionari pubblici, in alcuni casi anche frequentatori della sua villa. Al riguardo, si segnalano le telefonate: numero 5 dell'11 febbraio 1990 ore 21.39 con Riccio Luigi, sindaco di San Paolo Belsito e presidente dell'USL 28 di Nola, (nonché le informazioni rese dal Riccio a questo ufficio); numero 6 dell'11 febbraio 1990 ore 21,41 con Velotti Luigi, sindaco di Cimitile fino al giugno 1990, attualmente consigliere comunale e membro del comitato di gestione della USL 28 di Nola (nonché le informazioni rese dal Velotti); numero 9 del 21 febbraio 1990 ore 8,02 e numero 8 del 23 marzo 90 ore 17,23 con Virtuoso Aniello, sindaco di Casamarciano (nonché le informazioni rese dal Virtuoso). In data 3 luglio 1991, in occasione di un'irruzione nella predetta villa, i carabinieri interrompevano una riunione conviviale e identificavano, tra i convitati intenti a consumare una cena, FERRARO Luigi, sindaco di Lauro, e ALTERIO Giovanni, consigliere della regione Campania e già sindaco di Ottaviano. Tra i convitati, oltre al padrone di casa, vi erano anche altre persone con precedenti penali e giudiziari. Nell'occasione, l'Alterio Giovanni era accompagnato dai collaboratori MEROLLA Valentino, LOLLO Bruno e D'AVINO Antonio, quest'ultimo anche suo cugino, oltre che da tale DI BUONO Giuseppe. Gli stessi MEROLLA e D'AVINO saranno poi nuovamente sorpresi nella villa dell'ALFIERI dai carabinieri, in data 4 ottobre 1991, in occasione dei festeggiamenti per l'onomastico dell'imputato (cfr. atti relativi alle perquisizioni ed informazioni rese al pubblico ministero da ALTERIO Giovanni, MEROLLA Valentino, D'AVINO Antonio in fascicolo atti di indagine). Pag.9 Nel corso delle indagini veniva sottoposta a intercettazione anche l'utenza telefonica installata nell'abitazione dell'ALFIERI Francesco, sita in Nola (numero 081/8234587). Dalla telefonata del 9 aprile 1990 ore 08,26 tra CANONICO Fioravante (maresciallo dei vigili urbani di Avella) e la moglie dell'ALFIERI, emergeva un appuntamento per l'indomani alla villa di Casamarciano (utilizzata dall'imputato come sede di "rappresentanza") tra il "don Ciccio" ed il generale Mario DE SENA, sindaco di Nola. Il DE SENA, pur negando (smentito dal CANONICO) di aver fissato quell'appuntamento all'ALFIERI, ha poi ammesso di essersi recato presso la villa di quest'ultimo per un incontro pre-elettorale, durante la campagna per le amministrative del novembre 1989. Va a questo punto segnalato che il De Sena è presidente della Società Italiana per le Condotte d'Acqua s.p.a., partecipante al Consorzio Campania Felix, che sta realizzando, in località Bosco Fangone di Nola, lo stabilimento della Alenia (gruppo IRI-Finmeccanica), destinato alla produzione ed all'assemblaggio di parti di aereo. I lavori di movimento terra per lo stabilimento in parola sono stati subappaltati alle società IESI s.r.l. (il cui gestore, Ambrosino Luigi, era stato segnalato ai responsabili del cantiere dal De Sena) e MOVISUD Costruzioni s.r.l., di cui risultano soci Morra Vincenzo e Alfieri Luigi, rispettivamente genero e nipote dell'imputato Alfieri Francesco. Risulta, ancora, che fu lo stesso Ambrosino Luigi a chiedere al committente consorzio di associarsi nel subappalto alla MOVISUD per accelerare i lavori. Inoltre, il materiale inerte necessario per il cantiere di Bosco Fangone veniva estratto da un appezzamento di terreno, sito in Roccarainola, facente capo allo stesso Alfieri Francesco. Tale appezzamento fu trasformato, per l'occasione, in cava, su concessione del sindaco di Roccarainola, e successivamente sequestrato dai carabinieri, il 4 gennaio 1991, per gli ingenti guasti ecologici provocati dallo sbancamento e trasporto degli inerti e del materiale di risulta (cfr. informativa dei carabinieri di Napoli 2 del 14 aprile 1992 c/ Alfieri Francesco ed altri). Di particolare interesse - a riprova del potere di condizionamento ed influenza su personaggi politici locali, anche di rilievo nazionale, che l'Alfieri Francesco intende esercitare - è il contenuto dell'interrogatorio reso dallo stesso imputato. Questi, nell'ammettere i propri rapporti di frequentazione con numerosi personaggi politici, anche, si ripete, di livello nazionale, ha spavaldamente dichiarato che sono costoro ad avere bisogno di lui per motivi elettorali, non lui di loro. Con ciò ammettendo anche una propria capacità di influenzare l'elettorato e di indirizzarlo su candidati "graditi", tipica dell'agire mafioso. 2. Forza di intimidazione del vincolo associativo. Tale essenziale componente del metodo mafioso risulta in modo tangibile dalle telefonate IESA del 25 novembre 1989 ore 21,30 e numero 29 del 28 novembre 1989 ore 12,29, nonché dalle telefonate (intercettate nel corso di altra indagine sull'utenza numero 081/5121229 intestata a Russo Luigi) di cui al rapporto dei carabinieri di Castello di Cisterna del 2 novembre 1989. Risulta altresì dal tenore delle altre telefonate tra Alfieri Francesco ed i sindaci Riccio e Virtuoso. Questi ultimi si rivolgono all'imputato con tono di ossequio e di disponibilità che la dice lunga sul potere dell'Alfieri (anche se poi il Virtuoso, negando spudoratamente l'evidenza, dirà dell'imputato: "Io non ci vado da questa gente"). 3. Assoggettamento ed omertà. Tali requisiti, caratteristici dell'associazione mafiosa, risultano, anzitutto, dalle telefonate che comprovano la circostanza che Carmine Alfieri, durante la latitanza, si avvale di più utenze telefoniche e, Pag.10 quindi, di più abitazioni i cui proprietari, in rapporto di evidente sudditanza rispetto all'imputato, consentono al latitante di trovarvi rifugio (cfr. in particolare le telefonate intercettate sulle utenze numero 5115245, numero 5115430 e numero 8203588). Ulteriori e decisive prove della sussistenza dei requisiti predetti emergono: dalla disponibilità di un "covo" per il rifugio dei latitanti Autorino Giuseppe ed Alfieri Gennaro e per nascondervi le armi, fornite dai coimputati Tranchese Carmine ed Autorino Michele; dal contenuto dell'interrogatorio reso a questo pubblico ministero dal coimputato Alfieri Gennaro. Questi, che ha sollecitato l'interrogatorio dopo essersi rifiutato di rispondere dinnanzi al giudice per le indagini preliminari, si è interamente accollato - contro ogni evidenza - la responsabilità delle armi e persino del denaro sequestrato all'atto del suo arresto, allo scopo di scagionare gli altri coimputati, primo fra tutti l'Autorino Giuseppe, che nega addirittura di conoscere (cfr. atti di polizia giudiziaria e interrogatorio Alfieri Gennaro in fascicolo numero 17564/r/91); dal favoreggiamento personale commesso da Impacciarelli Imma in favore di Alfieri Carmine e di Autorino Giuseppe. 4. Finalità di commissione di delitti. La commissione di delitti contro la persona ed il patrimonio, nonché la gestione del lotto clandestino, ed i conseguenti illeciti profitti, rappresentano - al pari del controllo delle attività economiche - l'obiettivo principale del sodalizio criminoso, come risulta, in particolare, dalle telefonate numero 3 del 26 ottobre 1989 ore 15,03 (autorizzazione numero 8202508), numero 15 del 23 novembre 1989 ore 09,37, numero 32 del 28 novembre 1989 ore 18,27, numero 52 del 4 dicembre 1989 ore 03,22, numero 72 del 9 dicembre 1989 ore 11,58, numero 76 del 9 dicembre 1989 ore 23,56, numero 74 del 9 dicembre 1989 ore 13,39, numero 180 del 13 gennaio 1990 ore 14,14, numero 251 e numero 252 del 12 febbraio 1990 ore 09,15 e ore 10,38, numero 188 del 16 gennaio 1990 ore 21,03. Tali telefonate (si tratta di atti allegati al procedimento numero 1704/R/90, pendente dinnanzi alla V sezione penale del tribunale di Napoli a carico di Carmine Alfieri ed altri: nota del pubblico ministero) attengono, in particolare, alla gestione del lotto clandestino, ad estorsioni ed al coinvolgimento dell'Autorino, unitamente ad Alfieri Carmine ed ai fratelli Tufano, nelle indagini per il triplice omicidio Pizza (si segnala, al riguardo, anche l'annotazione datata 5 febbraio 1990 dei carabinieri di Napoli 2 concernente la mancata presentazione dell'Autorino ai carabinieri per il prelievo delle impronte digitali, nell'ambito delle indagini per l'efferato delitto; mancata presentazione di cui è anticipato riscontro in una delle citate telefonate). Con riferimento alle attività delittuose dell'organizzazione, rilevano, inoltre, le dichiarazioni ripetutamente rese da Pizza Amalia, attualmente detenuta e sottoposta ad indagini, unitamente al padre Salvatore, quale responsabile dell'omicidio del coimputato Tufano Raffaele Carlo, dalla stessa già indicato quale uno dei responsabili dell'omicidio dei fratelli, unitamente all'Alfieri Carmine ed all'Autorino Giuseppe (cfr. atti istruttoria ed indagini preliminari per il triplice omicidio Pizza ed atti relativi al fermo, in data 14 aprile 1992, di Pizza Amalia per l'omicidio Tufano). 5. Disponibilità delle armi. La disponibilità di armi micidiali da parte del gruppo criminale per la esecuzione di atti di intimidazione e/o di ritorsione già risulta con certezza dalla telefonata numero 3 del 26 ottobre 1989 ore 15,03 sull'utenza numero 8202508, nonché dalle telefonate numero 15 del 23 novembre 1989 ore 19,06 e numero 32 del 28 novembre 1989 ore 18,27, entrambe sull'utenza numero 8203588. Pag.11 Il definitivo riscontro emerge dal sequestro delle armi clandestine e delle munizioni in possesso dei latitanti Autorino Giuseppe ed Alfieri Gennaro, nonché dei coimputati Tranchese ed Autorino Michele, effettuato in Saviano il 13 dicembre 1991. 6. Finalità di gestione e controllo di attività economiche. Tali preminenti obiettivi del sodalizio criminoso risultano, in particolare: dal contenuto delle telefonate sull'utenza numero 8203588 della IESA, numero 24 del 27 novembre 1989 ore 12:48 del 27 novembre 1989 ore 13:15, numero 35 del 29 novembre 1989 ore 13:52; dalla documentazione sequestrata presso l'agenzia "Lavoro e Sicurtà", sita in S. Vitaliano, facente capo ad Autorino Giuseppe; dalle risultanze delle indagini dei carabinieri gruppo Napoli II, di cui alla informativa numero 1098/15-90 del 14 aprile 1992; dalle risultanze delle indagini preliminari condotte - in collegamento ex articolo 371 del codice di procedura penale con questo ufficio - dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno nei confronti di Nocera Tommaso ed altri, per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso ed altro (cfr., in atti, richiesta di misura cautelare ed interrogatorio degli indagati detenuti; procedimento penale numero 2160 R.G. Tribunale Salerno)". Fin qui la richiesta di rinvio a giudizio. Dalle intercettazioni sull'utenza telefonica della abitazione di Francesco Alfieri emergevano, peraltro, altre due telefonate in uscita per le utenze dell'abitazione e dello studio dell'architetto Vincenzo Meo, (febbraio - marzo 1990) non ancora parlamentare, ma dirigente politico democristiano. Il contenuto di tali telefonate sarà diffusamente illustrato più avanti, trattando della posizione del senatore Vincenzo Meo. 2) Le risultanze processuali finora esposte ed i contenuti della informativa dei carabinieri del gruppo Napoli II datata 14 aprile 1992 determinavano la necessità di ulteriori indagini nei confronti di altri presunti compartecipi dell'associazione criminosa, individuati in prossimità della scadenza dei termini di cui agli articoli 406-407 del codice di procedura penale per i primi indagati. Appariva chiaro infatti, in particolare dagli accertamenti societari e patrimoniali (peraltro da sviluppare ulteriormente) di cui alla citata informativa, che il gruppo Alfieri gestiva una sorta di holding economico-finanziaria operante nei settori più disparati e, per giunta, in posizione di quasi monopolio. I rapporti di affari con le pubbliche amministrazioni risultavano avere assunto, in molti casi, il carattere di una autentica simbiosi. Infatti, appariva dimostrato come alla continua elargizione di appalti e subappalti, di concessioni ed autorizzazioni in favore di segmenti imprenditoriali del sodalizio criminoso si accompagnassero, come un feroce contrappunto, atti violenti e intimidatori diretti ad eliminare ogni forma, anche marginale, di concorrenza. Il filone investigativo che tali risultanze imponevano di percorrere fino in fondo non era certamente ignoto a quest'ufficio. Il rapporto mafia-imprenditoria-politica aveva infatti già formato oggetto - solo per citare un esempio - del procedimento penale numero 405/1A/84 R.G.P.M. nei confronti di Lorenzo Nuvoletta e di alcuni imprenditori all'epoca dei fatti (1981-1984) legati al Nuvoletta e con costui attivi in società produttrici di calcestruzzo, impegnate negli appalti della ricostruzione post -sisma, ed oggi, non per caso, transitati nell'orbita della organizzazione di Carmine Alfieri. Passaggio che segue la linea evolutiva del potere di controllo dell'impresa dal Nuvoletta all'Alfieri. Pag.12 Il procedimento penale in parola è stato definito in primo grado con condanne, per i delitti di associazione di tipo mafioso ed estorsione, del Nuvoletta e dell'imprenditore Luigi Romano. Nel frattempo, il Tribunale di Napoli - sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione, ha disposto la confisca di tutte le società del gruppo Romano Agizza. Un altro autonomo settore di indagine veniva quasi contemporaneamente individuato a seguito dei servizi di intercettazione telefonica e di osservazione svolti in Roma dal servizio centrale operativo della polizia di Stato finalizzati alla cattura di Carmine Alfieri. Tali servizi si concentravano su Marzio Sepe, personaggio di rilievo del clan Alfieri, già rinviato a giudizio unitamente all'Alfieri, come si è visto, che a seguito di scarcerazione per decorrenza termini, con divieto di soggiorno in Campania, aveva preso dimora in Roma. Di particolare interesse per le indagini risultavano gli incontri del Sepe con Ferdinando Cesarano (già coimputato con Carmine Alfieri per la strage di Torre Annunziata), accompagnato dal cugino Vincenzo Cesarano, con Ciro Maresca, noto esponente della malavita campana legato ad Umberto Ammaturo ed allo stesso Alfieri, e con altri non identificati personaggi: segnale di una probabile proiezione "romana" del gruppo criminale. 3) La cattura di Carmine Alfieri avveniva all'alba dell'11 settembre 1992, in località masseria Aliperti di Scisciano, ad opera dei carabinieri del gruppo Napoli II, mentre era in compagnia dei due poc'anzi citati Marzio Sepe e Vincenzo Cesarano. Una quarta persona, che era di guardia all'esterno dell'abitazione ove il latitante si nascondeva, certamente armata di pistola, riusciva a sottrarsi all'arresto con la fuga. Sottoposto ad interrogatorio, l'Alfieri si avvaleva della facoltà di non rispondere. 4) In data 18 agosto 1992 quest'ufficio raccoglieva la dichiarazione di Pasquale GALASSO, all'epoca detenuto presso la casa circondariale di Spoleto, di voler collaborare con questa autorità giudiziaria in relazione a fatti criminosi, compresa la progettazione, da parte di alcuni capi della camorra e della mafia con lui detenuti a Spoleto, di attentati in danno di magistrati ed esponenti delle forze dell'ordine. Quest'ultima informazione risulterà poi confermata da numerose altre indicazioni analoghe pervenute agli organi di polizia giudiziaria. Il GALASSO era detenuto a seguito di condanna per il delitto di estorsione aggravata continuata, inflittagli, all'esito di procedimento istruito da questo ufficio, dalla Corte di appello di Napoli. Poiché, alla stregua di numerose indagini, risalenti ai primi anni '80, il GALASSO era già ritenuto da questo ufficio elemento di estremo rilievo nell'organizzazione criminosa facente capo a Carmine ALFIERI, le sue dichiarazioni collaborative venivano inserite nel filone di indagine di cui ai procedimenti indicati sub paragrafo 3), nei confronti dell'organizzazione camorristica dell'ALFIERI. A conferma di tanto il GALASSO, in un successivo esame effettuato da questo ufficio in data 28 agosto 1992, ammetteva i propri strettissimi rapporti con Carmine ALFIERI e indicava i nominativi delle persone a costui più vicine nelle sue attività criminose. Ancor più, nel successivo esame del 16 novembre 1992, il GALASSO riferiva di attività di reinvestimento di capitali illeciti, costituenti profitto dell'attività camorristica dell'ALFIERI, da lui effettuate per conto di quest'ultimo. Poco dopo il GALASSO, che aveva ottenuto dalla Corte di appello di Napoli gli arresti domiciliari per motivi di salute, veniva raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso dalla autorità giudiziaria di Salerno nei suoi confronti, e di numerose altre persone, per i delitti di associazione di tipo mafioso, estorsioni ed altro. In tale provvedimento, emesso dalla magistratura salernitana all'esito della prima fase di una complessa ed articolata Pag.13 indagine, il GALASSO veniva indicato quale attuale capo di una organizzazione criminosa autonoma operante, in stretto collegamento con quella di Carmine ALFIERI, prevalentemente nella provincia di Salerno, ma con interessi e investimenti nell'intero territorio nazionale ed all'estero (doc. n. 3). Il quadro complessivo che veniva in evidenza dalle pregresse indagini di questa autorità giudiziaria (sulle quali si tornerà di qui a breve) e da quelle più recenti della autorità giudiziaria di Salerno forniva l'esatta misura dell'eccezionale livello criminale raggiunto dal GALASSO nell'arco di tempo di un decennio: da personaggio di spicco del clan ALFIERI ("mente" e "finanziatore-riciclatore" del gruppo) a capo carismatico di una autonoma organizzazione criminale, operante in stretto collegamento con quella dell'ALFIERI. La propria ascesa all'interno del clan ALFIERI, a partire dai primi anni '80, verrà poi confermata dallo stesso GALASSO a questo pubblico ministero fin dall'interrogatorio reso presso la casa circondariale di Novara in data 21 dicembre 1992. In tale occasione egli iniziava a riferire, in particolare, episodi di collusione con la criminalità organizzata di rappresentanti del mondo imprenditoriale, amministrativo, politico ed istituzionale che potevano essere noti, così come narrati, soltanto ad un esponente di vertice della criminalità organizzata medesima. Prima di procedere oltre nella esposizione della vicenda che, attraverso progressive aperture, ha portato il GALASSO all'attuale livello di collaborazione con la giustizia, è opportuno ancora soffermarsi sulla dimensione finanziaria e criminale del soggetto in esame, quale risultava a questo ufficio ben da prima dell'inizio della sua collaborazione. 5) Le indagini patrimoniali svolte dalla Guardia di finanza nel 1985, per delega di questo ufficio, avevano già evidenziato a carico dei fratelli Pasquale, Ciro e Martino GALASSO la disponibilità di rilevanti liquidità finanziarie, nell'ordine di miliardi, cui non corrispondeva riscontro nelle dichiarazioni di reddito, e senza che le stesse trovassero giustificazione nelle pur sussistenti attività imprenditoriali, commerciali e finanziarie della famiglia. Scriveva, al riguardo, il giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli nell'ordinanza di rinvio a giudizio emessa il 5 agosto 1989 a carico di GALASSO Sabato ed altri (tra cui i figli Pasquale e Ciro), imputati di associazione mafiosa ed estorsione, che "tutto il modo di operare dei GALASSO, con riferimento alle società finanziarie, è improntato al principio per cui le operazioni di versamento e di prelevamento devono avvenire attraverso sistemi di occultamento, che consentono di non far apparire all'esterno i veri controllori dei flussi e delle operazioni finanziarie". Proprio attraverso questi meccanismi finanziari, i GALASSO erano riusciti ad estendere la loro attività e la loro "influenza" al di fuori della provincia di Napoli, diversificando l'impegno in svariati settori, da quello dei veicoli industriali a quello dei prodotti alimentari, dalle attività immobiliari alla produzione del calcestruzzo. A tali attività apparentemente lecite, si era poi sempre accompagnata quella di finanziamenti a tasso usurario nei confronti di commercianti ed imprenditori, cui spesso seguiva un'attività estorsiva per il recupero dei relativi crediti. Tale modello di sviluppo malavitoso era stato agevolato dal terrore che - come poi dirà a questo pubblico ministero il GALASSO stesso, confessando una lunghissima serie di omicidi - induceva nella popolazione di Poggiomarino e dei comuni limitrofi il solo nome di "Pasquale GALASSO". Esempio paradigmatico del metodo mafioso come fattore di sviluppo dell'impresa e come mezzo di penetrazione della camorra nella società civile. Parimenti noto, e documentato in atti giudiziari, era il potere di infiltrazione e di collusione con le pubbliche amministrazioni esercitato dalla famiglia GALASSO. Basta, al riguardo, citare un solo esempio traendolo dalla sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Napoli in data 19 Pag.14 ottobre 1990, nel già ricordato procedimento a carico di GALASSO Sabato ed altri. Vi si legge: "ai GALASSO in generale non sono mai mancati appoggi politici, che hanno sempre permesso al gruppo familiare di espandersi sempre di più, economicamente. Ne è prova la deposizione del teste D'ANDREA, direttore della filiale del Banco di Napoli di Nocera Inferiore, il quale ha riferito di aver ricevuto nel mese di settembre 1987, nel corso di una istruttoria di una pratica concernente la apertura di un conto corrente alla FINPAR (la finanziaria dei GALASSO, n.d.p.m.) una telefonata del senatore Francesco Patriarca, proprio in riferimento ai GALASSO. Il PATRIARCA dinnanzi al giudice istruttore non aveva smentito il suo intervento, ma lo aveva giustificato asserendo che aveva ricevuto informazioni da parte dell'avvocato DE ROSA in relazione al fatto che, nonostante che alcuni dei GALASSO fossero stati prosciolti da alcune misure di sicurezza (rectius : di prevenzione, più precisamente le misure patrimoniali: n.d.p.m.) il Banco di Napoli aveva comunque delle difficoltà a ricostruire il rapporto". Dunque, l'allora senatore PATRIARCA - il medesimo personaggio politico i cui numeri telefonici, anche privati, erano stati rinvenuti nel 1976 in possesso di Carmine ALFIERI - era intervenuto personalmente per sbloccare la pratica di credito in favore dei GALASSO, inducendo, con il peso politico di cui allora disponeva, gli organismi direttivi del Banco di Napoli a recedere da una decisione negatoria del credito, già assunta nonostante il proscioglimento dei GALASSO dalle misure di prevenzione patrimoniali. Una vicenda che basterebbe da sola (se non vi fossero tutte le altre poi narrate dal GALASSO nelle sue dichiarazioni) a dimostrare il potere di condizionamento di organismi pubblici che i GALASSO erano in grado di esprimere grazie ai loro "referenti" politici. Tale essendo il livello criminale, finanziario e "politico" di Pasquale GALASSO, risultarono evidenti la elevata attendibilità intrinseca della collaborazione da lui offerta e l'eccezionale rilievo della stessa ai fini della azione di contrasto delle infiltrazioni della criminalità mafiosa nella società civile. Contestualmente alla progressiva acquisizione delle dichiarazioni del GALASSO, questo ufficio attivava, con opportune deleghe agli organi di polizia giudiziaria, la verifica delle stesse con il reperimento degli elementi di obiettivo riscontro. Tale attività, tuttora in corso - come tuttora in corso sono gli interrogatori del GALASSO ad opera di questo ufficio e della autorità giudiziaria di Salerno - sta fornendo risultati ampiamente positivi. Nella presente richiesta si farà menzione dei riscontri obiettivi già acquisiti ed ostensibili. Ovvie esigenze di cautela processuale - particolarmente pregnanti in relazione alla natura del contenuto dell'indagine, nel quale l'aspetto dell'omertà e dell'intimidazione rendono estremamente difficile qualsivoglia acquisizione probatoria - impediscono di pubblicizzare senza pregiudizio per le indagini numerosi altri elementi che pure incidono sul giudizio positivo di credibilità complessiva del collaborante. Il presente procedimento penale è collegato, a norma dell'articolo 371 del codice di procedura penale, ad altri in corso presso la Direzione distrettuale antimafia di Salerno, fra cui il già citato procedimento a carico del GALASSO. Il procuratore nazionale antimafia, nell'esercizio delle proprie specifiche attribuzioni, ha attuato il coordinamento tra le direzioni distrettuali antimafia di Napoli e di Salerno, mediante direttive volte ad assicurare l'efficacia e la speditezza delle indagini in corso. 6) A conferma della posizione di vertice occupata nella criminalità organizzata campana, il GALASSO forniva, nelle dichiarazioni rese il 28 agosto 1992, un quadro completo ed aggiornato degli equilibri e delle alleanze tra i sodalizi criminosi dominanti in questa regione e, in particolare, nelle province di Napoli e Caserta. Pag.15 Il GALASSO riferiva, tra l'altro, dei rapporti tra il gruppo ALFIERI e quello composto da LICCIARDI - CONTINI - MALLARDO, e dei rapporti tra l'ALFIERI e Michele D'ALESSANDRO, mantenuti per il tramite di Ferdinando CESARANO. Nel successivo interrogatorio del 21 dicembre 1992, il GALASSO forniva l'organigramma completo del gruppo ALFIERI, confermando esplicitamente di averne fatto parte e indicando, fra gli altri, Francesco ALFIERI quale componente di rilievo dell'organizzazione. Nello stesso interrogatorio il GALASSO indicava i nomi di numerosi imprenditori e personaggi politici legati a Carmine ALFIERI, narrando in molti casi episodi specifici, che sono attualmente oggetto di verifica e riscontro. Il GALASSO inoltre confessava i più gravi delitti da lui commessi, essendosi ormai convinto che solo una totale confessione avrebbe reso credibile la propria collaborazione con la giustizia. Il dichiarante narrava anzitutto le vicende personali e familiari che, da studente universitario, lo avevano condotto fino a diventare un capo della camorra: i rapporti già intrattenuti dal padre Sabato, e poi da lui direttamente, con malavitosi della zona; le attività imprenditoriali condotte "barcamenandosi" con la malavita; il tentativo di sequestro di persona in suo danno, nel quale egli aveva ucciso i due sequestratori; il lungo periodo di detenzione conseguito a tale episodio, che lo aveva indotto ad allacciare rapporti con Raffaele CUTOLO, con i fratelli Salvatore e Carmine ALFIERI e con altri personaggi di spicco della camorra; l'omicidio del fratello Antonio - commesso dai cutoliani per ritorsione all'omicidio di Alfonso CATAPANO, a sua volta ritorsione per l'omicidio di Salvatore ALFIERI - che aveva scatenato il proprio desiderio di vendetta e, unitamente a quello nutrito da Carmine ALFIERI per l'omicidio del fratello, la successiva sanguinosa faida con i cutoliani. Quindi il GALASSO confessava nei dettagli una lunghissima serie di omicidi, indicando, per ciascuno di essi, il movente ed i propri correi. Tra gli altri, confessava gli omicidi in danno dei fratelli Alfonso e Antonio CATAPANO, di Giovanni NAPOLITANO BIFULCO e dei fratelli GIUGLIANO, nonché quello di Giuseppe CASO. Confessava inoltre gli omicidi di Vincenzo CASILLO e di Ciro NUVOLETTA: due episodi delittuosi che, al pari della strage di Torre Annunziata, risultano di capitale importanza nel quadro dei rapporti tra le organizzazioni camorristiche, per i loro devastanti effetti sugli equilibri tra queste ultime e sulle successive alleanze e dinamiche criminali. Riservando al prosieguo della trattazione la vicenda dell'omicidio CASILLO, è qui opportuno soffermarsi, per comprendere la valenza probatoria delle dichiarazioni del GALASSO, sulla narrazione dell'omicidio di Ciro NUVOLETTA. Alla richiesta di spiegare i rapporti tra Carmine ALFIERI e Lorenzo NUVOLETTA, il GALASSO riferiva quanto segue. "Fino al 1981 i rapporti tra Carmine Alfieri e Lorenzo Nuvoletta erano di stretta alleanza, unitamente ad Antonio Bardellino, che io considero una delle figure più rappresentative della camorra napoletana, un uomo di grande coraggio e rispettoso delle regole. Una volta incominciato lo scontro con Cutolo Raffaele, determinato dalla sua sete di potere, fu promossa una riunione nella tenuta di Nuvoletta a Vallesana cui parteciparono tutti i più importanti capicamorra, da Lorenzo Nuvoletta a Antonio Bardellino, da Carmine Alfieri a Michele Zaza, Pasquale Cutolo e Davide Sorrentino. Tutte le organizzazioni camorristiche, eravamo più di cento persone, non temevano l'intervento di alcuno nemmeno della polizia o dei carabinieri, perché Nuvoletta aveva rapporti ottimi con politici, tra cui Antonio Gava, e rappresentanti delle forze dell'ordine". "(omissis) In questa fase così delicata Lorenzo Nuvoletta mantenne una posizione equivoca in relazione anche ai loro legami con i corleonesi, che non volevano una guerra con Cutolo". Pag.16 "(omissis) Bardellino decise con Alfieri Carmine di dare un duro colpo ai Nuvoletta che facevano il doppio gioco "guadagnando" da ogni lotta interna". Dopo avere indicato i nomi dei propri correi nell'esecuzione materiale del delitto (nomi che qui si omettono per esigenze di cautela processuale) il GALASSO proseguiva: "Tutte queste persone parteciparono alle fase successiva dell'attacco ai Nuvoletta, in cui dovevano essere uccisi Ciro, Lorenzo, Aniello e Angelo Nuvoletta". Nel corso degli stessi interrogatori, il GALASSO riferiva altresì dei propri contatti con Raffaele CUTOLO, avvenuti dopo la sua scarcerazione e mentre il CUTOLO era prima detenuto al manicomio giudiziario di Aversa (la sorella Rosetta confermerà al pubblico ministero i continui contatti non registrati tenuti dal Raffaele in quella struttura) poi latitante a seguito di evasione; forniva la ricostruzione di alcuni sequestri di persona, tra cui quello del banchiere Amabile, e di numerosi altri gravissimi fatti delittuosi, in parte da lui non commessi, ma a lui noti fin nei particolari in quanto componente di rilievo del clan ALFIERI. La narrazione fatta dal GALASSO appare allo stato coincidere, sia per quanto concerne l'omicidio di Ciro NUVOLETTA che per quanto riguarda gli altri delitti sopra indicati, con le risultanze obiettive delle indagini di polizia giudiziaria ed istruttorie. Nelle dette dichiarazioni - specificamente in quelle rese negli interrogatori del 21 e 22 dicembre 1992, dell'11 e 12 marzo 1993, del 17 marzo 1993 e del 18 e 19 marzo 1993 - il GALASSO rivelava, con sempre maggiore precisione di dettagli, e quasi sempre per conoscenza diretta, episodi relativi ai parlamentari GAVA, CIRINO POMICINO, MEO, VITO e MASTRANTUONO, che li coinvolgevano in rapporti diretti e di reciproca funzionalità, con Carmine ALFIERI, con lo stesso GALASSO e, in definitiva, con l'intera organizzazione criminosa. Alla stregua di tali risultanze, che saranno in prosieguo analiticamente illustrate, e degli elementi probatori di oggettivo riscontro già acquisiti, in parte anche prima dell'inizio delle dichiarazioni del GALASSO, risultava evidente l'impossibilità per questo pubblico ministero di proseguire nell'ulteriore doveroso approfondimento istruttorio in assenza della condizione di procedibilità di cui all'articolo 343 del codice di procedura penale. Capitolo III L'OGGETTO DELLA PRESENTE INDAGINE 1) Come già accennato, il presente procedimento costituisce il punto di confluenza dei contenuti di numerose altre indagini, condotte da questo ufficio negli ultimi anni, dirette a comprendere ed a ricostruire il rapporto camorra-affari-politica. Fra queste indagini vanno qui ricordate quelle dirette a individuare e perseguire la penetrazione di imprese mafiose e di soggetti direttamente o indirettamente collegati ad organizzazioni mafiose nell'intervento di ricostruzione in Monteruscello di Pozzuoli ed in Quarto Flegreo; quella nei confronti della articolazione imprenditoriale mafiosa facente capo a Lorenzo Nuvoletta ed al gruppo Agizza - Romano; quella più recente, relativa al sistema di corruzione e di infiltrazione mafiosa nella gestione amministrativa della U.S.L. 35 di Castellammare di Stabia, accertato nel corso delle indagini sull'omicidio di Corrado Sebastiano, dipendente e sindacalista del predetto ente pubblico, avvenuto l'11 marzo 1992. Già nella sentenza-ordinanza emessa in data 30 luglio 1988, nel procedimento contro il Nuvoletta, il giudice istruttore presso questo tribunale osserva che: "Risulta ormai da molti atti processuali, ed in particolare dalle misure di prevenzione inflitte dal Tribunale di Napoli, che il settore imprenditoriale è stato Pag.17 utilizzato come terreno di conquista da parte delle più moderne organizzazioni criminali (ed in ciò la camorra campana è tributaria delle più razionali ed aggiornate strategie mafiose) al fine non solo di ottenere un effetto di riciclaggio del denaro proveniente da traffici illeciti (cd. "money laundry ") ma di individuare investimenti produttivi da cui ottenere ulteriori profitti, questa volta - ed è qui la caratteristica con conseguenze drammatiche in tema di difficoltà d'indagini da un lato, di inquinamento sociale dall'altro - su un terreno di teorica liceità formale ... E' infatti avvenuto - proseguiva il giudice istruttore - che l'impresa del Mezzogiorno è stata individuata da parte delle organizzazioni (ormai la distinzione fra camorra e mafia si riduce a poco più di un fatto geografico, dopo che invece esse avevano avuto fino agli anni '82-'83 differenti connotati assai specifici e delineati) come punto particolarmente debole del tessuto sociale, per difficoltà interne di cui questo non è luogo di analisi. Fatto sta che nella crisi dell'attività produttiva si salva la sola impresa dell'edilizia ed anche questa non nel suo complesso, ma invece la grande impresa in quanto destinataria dell'assistenza o dell'esecuzione di interventi finanziati da mano pubblica (impresa peraltro sempre più rivolta verso un ruolo di intermediazione finanziaria e sempre meno alla produzione edile vera e propria: sicché vi è quasi sempre sproporzione, all'interno dei grandi gruppi che monopolizzano sempre il settore delle concessioni nell'attività di ricostruzione "post sisma", fra fatturati, altissimi, e forza - lavoro impiegata, spesso ridotta a poche decine di impiegati più che operai); e, più disordinatamente, quella piccola, che dalla prima dipende per l'aggiudicazione di una miriade di appalti e sub appalti tramite i quali vengono effettivamente realizzate le opere pubbliche - con quanto guadagno per la qualità finale del prodotto è facile immaginare -. Viene invece completamente bypassata la media industria, quella che dovrebbe costituire il nerbo di un sistema di mercato efficiente ed effettivamente libero". "Risulta in particolare evidente - osservava ancora il giudice istruttore - che, una volta impadronitesi di pezzi importanti dell'imprenditoria, le organizzazioni ne hanno fatto strumento di penetrazione assai incisivo". "E' infatti fisiologia sociale che da quel settore si diramino una serie di canali di comunicazione, secondo uno schema che può così ricostruirsi: da impresa mafiosa a società civile passando per: mondo politico locale e nazionale, pubblica amministrazione, istituti di credito, impresa non inquinata. In particolare, le imprese mafiose: 1) dispongono di capitali praticamente illimitati (il rapporto sull'economia dell'istituto CENSIS ha calcolato il giro d'affari degl'investimenti criminali intorno ai 100.000 miliardi per il 1988) ... Tali disponibilità incidono: a) da un lato su un'impresa in perenne crisi di liquidità e con una scopertura verso il sistema bancario nel tutto patologica, che rende esposta a cedimenti facili nei momenti di maggior delicatezza; b) dall'altro su un settore politicoamministrativo ormai - è esperienza quotidiana, ma se ne avrà riscontro specifico nel procedimento - pervaso da illegalità diffusa , e quindi particolarmente sensibile in molti suoi pezzi al richiamo del denaro, o semplicemente ricattabile; c) infine sul settore del credito, che rende particolarmente ben disposto a concedere mutui e finanziamenti, a tassi di favore, ad imprese che dimostrino solidità economica - finanziaria; 2) dispongono anche di una capacità intimidatrice di altissimo livello, che non esitano a porre brutalmente in atto tutte le volte che incontrano resistenze "degli onesti" o peggio di pezzi di poteri istituzionali o imprenditoriali ritenuti infiltrati da organizzazioni schierate su fronti opposti". "Dunque, - concludeva il giudice istruttore - conquista di mercato ottenuta con corruzione o intimidazione; nonché Pag.18 con il ricorso a quelle disponibilità economiche che sbaragliano la concorrenza (sul piano dei prezzi, ad esempio, o della durata delle dilazioni nei pagamenti). Disponibilità economica che la facilità del ricorso al credito fa avvitare su se stessa, con un perverso effetto autoriproduttivo, in una spirale: solidità finanziaria - credito agevolato - solidità finanziaria in cui ogni termine è causa del successivo, e l'ultimo coincide con il primo (di qui, l'autorigenerazione di cui si diceva)". Il procedimento penale contro Carmine Alfieri e gli altri coimputati che è già in fase dibattimentale ha consentito di enucleare altri importanti profili dell'intreccio camorra-affari-politica. Ci riferiamo, in particolare, al rapporto tra esponenti del mondo politico-amministrativo e camorristi già evidenziato, sulla base di specifici elementi probatori, nel Capitolo II paragrafo 2. Ciò che, in questa sede, è necessario porre nel massimo risalto è il costante rapporto di interazione funzionale esistente, nell'area territoriale controllata dall'organizzazione dell'Alfieri, tra la rete politica-elettorale, da un lato, ed il sistema di interessi criminali, dall'altro, entrambi raggrumati intorno a individualità rappresentative e carismatiche, interagenti tra loro sia direttamente che attraverso i propri rispettivi fiduciari. Tanto già si evinceva, a chiarissime note, dalle intercettazioni effettuate sulle utenze di Francesco Alfieri e dagli atti di indagini ad esse conseguenti. Basta citare soltanto alcuni esempi. Dall'interrogatorio di ALFIERI Francesco, in data 6 febbraio 1992: "La villa di Casamarciano è mia. Ne acquistai il rudere dall'avvocato Avella e la ristrutturai circa sette - otto anni or sono. Non abito nella villa, che tengo solo per affezione e vi ricevo, di tanto in tanto, qualche amico o qualche personaggio politico. Spontaneamente aggiunge: non sono io ad invitare i politici, sono loro che si autoinvitano in occasione delle elezioni. Sono loro che hanno bisogno di me, non io di loro perché io vivo del mio lavoro". "Ricevo contestazione delle telefonate intercorse l'11 febbraio 1990, tra me e Riccio Luigi, sindaco San Paolo Belsito e tra me e Velotti Luigi, all'epoca sindaco di Cimitile. Ero stato richiesto dal mio amico Salvatore De Falco, imprenditore edile di Nola, di invitare alla villa il compianto onorevole MAZZELLA per un incontro preelettorale (c'erano in vista le amministrative) con tutti i sindaci della zona; perciò mi premurai di combinare l'incontro avvertendo il Riccio, il Velotti, Guido Virtuoso, sindaco di Casamarciano, Giuseppe De Falco (fratello di Salvatore), allora sindaco di Saviano, nonché il sindaco di Poggiomarino (che io però non conoscevo e fu invitato dal De Falco)". A domanda del pubblico ministero sui suoi rapporti con il sindaco di Nola, Mario DE SENA, l'ALFIERI risponde: "Il generale DE SENA è stato una sola volta a casa mia, a Casamarciano, in occasione delle elezioni al comune di Nola, tenutesi nell'ottobre 1989. Si trattò di una riunione pre-elettorale; anche il generale chiedeva il mio sostegno elettorale per sè e per i candidati della sua lista, la DC. Io feci il possibile per sostenere quella lista". A domanda del pubblico ministero di come mai i politici e gli amministratori della zona abbiano bisogno del suo sostegno elettorale, l'ALFIERI risponde: "I politici si appigliano a tutti. Io non garantisco niente a nessuno. Dico sempre loro "adesso vediamo che si può fare". Loro sanno che sono una brava persona. Io faccio quello che posso. Raccomando il voto dei candidati che mi chiedono il sostegno alle persone che conosco (parenti, operai, ecc.). Non vado girando per le case. Io sono benvoluto nella zona per la mia bontà d'animo; così mi rivolgo a quelli che mi vogliono bene quando si tratta di raccomandare qualcuno, compresi i politici. Ai politici chiedo solo qualche piccolo favore, ma non per me". Va da sé che i "piccoli favori" ottenuti dall'ALFIERI in cambio del sostegno elettorale erano, come si è già visto, il subappalto dei lavori presso lo stabilimento dell'Alenia, o quello presso i Regi Pag.19 Lagni per conto dell'impresa Zecchina, o gli altri lavori specificamente indicati nell'allegata informativa dei carabinieri gruppo Napoli II del 14 aprile 1992. Dall'esame testimoniale di Riccio Luigi, sindaco di San Paolo Belsito e presidente della U.S.L. 28 di Nola, in data 21 dicembre 1990: a domanda del pubblico ministero su come mai egli, in una telefonata con Francesco ALFIERI, gli si rivolga dicendo "siete il mio padrone", il RICCIO risponde: "L'espressione "voi siete sempre il mio padrone", da me usata nei confronti dell'ALFIERI, è un modo comune di dire, una forma di rispetto, tanto è vero che quando parlo per telefonare con l'onorevole Alfredo VITO, con il quale collaboro, lo chiamo spesso "padrone mio"". A domanda del pubblico ministero se quindi egli chiami indifferentemente "padrone" sia il politico che il pregiudicato, il RICCIO risponde: "Io apprendo solo dalla Signoria Vostra che l'ALFIERI è pregiudicato. Per me è una persona perbene, almeno così lo ritengo da come appare". Dall'esame testimoniale di Giovanni ALTERIO (attualmente deputato, già sindaco di Ottaviano, all'epoca consigliere regionale) in data 9 ottobre 1991: "Ho conosciuto l'ALFIERI Francesco, se ben ricordo, ai funerali della madre dell'onorevole Carmine MENSORIO, svoltisi in Saviano nel 1989. Se ben ricordo mi fu presentato da alcuni amministratori di Saviano. Vostra Signoria mi chiede, in particolare, da chi mi fu presentato; rispondo che, per quanti sforzi faccia in questo momento non riesco a ricordarmelo. In quella circostanza colui che mi presentò l'ALFIERI mi disse che si trattava di un parente del noto camorrista Carmine ALFIERI e che si occupava di grandi opere pubbliche stradali. Desidero precisare che non mi fu detto che l'ALFIERI era un pregiudicato. Rividi una seconda volta l'ALFIERI in occasione di una manifestazione elettorale democristiana per le elezioni amministrative al comune di Nola, lo scorso anno". Dall'esame testimoniale di Luigi VELOTTI, sindaco di Cimitile fino al 1990 e membro del comitato di gestione della USL 28 di Nola, in data 21 dicembre 1990: a domanda del pubblico ministero se egli già conoscesse la villa di Casamarciano dove l'ALFIERI lo aveva invitato per l'incontro con i MAZZELLA, il teste risponde: "Sì, la conoscevo, come la conoscono tutti. Peraltro io non sapevo, né so tuttora, che la villa fosse dell'ALFIERI (Francesco). Anzi, si dice che sia sua, benché risulti intestata a tale "o conte" di Visciano, che sarebbe un prestanome dell'ALFIERI. Anzi, da come si dice in giro, questa villa sarebbe del noto latitante e pregiudicato Carmine ALFIERI". A domanda del pubblico ministero di quale corrente democristiana facessero parte lui e gli altri sindaci invitati presso la villa dell'ALFIERI, il VELOTTI risponde: " Facevamo tutti parte della corrente dell'onorevole Antonio Gava ". Dalla semplice disamina dei contributi probatori inerenti ai rapporti tra gli amministratori citati e Francesco ALFIERI nonostante le innumerevoli menzogne e reticenze che costellano le dichiarazioni assunte, si deducono le seguenti proposizioni: a) esiste uno stretto rapporto dei reciproco interesse, su base scambio, tra gli amministratori locali ed i rappresentanti dell'articolazione imprenditoriale del gruppo criminale ALFIERI; b) tale rapporto riproduce lo schema tipicamente mafioso, vede il politico in posizione di apparente subalternità ("don Ciccio" ALFIERI organizza l'incontro; convoca gli amministratori; colloquia telefonicamente con loro in tono garbato ma autorevole; afferma che sono i politici ad avere bisogno di lui, non viceversa), ma che è nella sostanza perfettamente paritetico, posto che l'organizzazione criminale non potrebbe perseguire i propri obiettivi affaristici senza la sponda dei pubblici amministratori collusi; Pag.20 c) gli amministratori ed esponenti politici democristiani, che risultavano in evidente rapporto collusivo con gli ALFIERI avevano - ad eccezione, per quanto asserisce, dell'ALTERIO - quale referente politico il senatore Antonio Gava. Ed è estremamente significativa sul punto la vicenda di Mario Sangiovanni, indotto, come si vedrà più avanti, dagli "amici" tra cui Pasquale Galasso, a schierarsi con Gava, così divenendo sindaco di Poggiomarino. 2) L'indagine che muove dalle dichiarazioni di Pasquale Galasso si innesta sull'ampio tema probatorio sopra definito e ne costituisce il naturale sviluppo. Va subito detto, e rimarcato, che il Galasso afferma di conoscere personalmente tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nelle sue propalazioni ivi compresi i parlamentari in oggetto. Le vicende da lui narrate gli sono note, a quanto afferma, in buona parte perché direttamente da lui vissute o, in taluni casi, perché a lui rivelate da Carmine Alfieri. Il contributo della collaborazione finora resa dal Galasso al tema di indagine indicato si articola, allo stato, su due vicende fondamentali: a) le conseguenze del sequestro e della liberazione di Ciro CIRILLO sul rapporto camorra-affari-politica; b) la gestione politico-mafiosa degli appalti della ricostruzione. Le indicazioni che il Galasso fornisce sul sequestro Cirillo costituiscono, nel suo racconto, la premessa alla confessione dell'omicidio di Vincenzo Casillo. In sintesi, e rinviando al capitolo seguente una più completa esposizione della versione resa dal dichiarante, il Galasso sostiene: che, durante il sequestro del Cirillo, egli fu contattato da Raffaele Boccia che, a nome di Antonio Gava, gli chiese che lui e Carmine Alfieri intervenissero per liberare il Cirillo; che l'Alfieri, cui egli aveva comunicato la richiesta del Gava, preferì rimanere estraneo alla faccenda, non intendendo farsi strumentalizzare dai politici (si tratta della stessa concezione del rapporto con i politici già espressa nel suo interrogatorio da Francesco ALFIERI); che, dopo il diniego dell'Alfieri, egli era venuto a sapere che della "questione Cirillo" era stato interessato Raffaele Cutolo; che la successiva liberazione del Cirillo aveva generato in lui e nell'Alfieri, ben consapevole che essa era avvenuta per l'intervento del Cutolo, il timore che quest'ultimo avesse rafforzato il proprio sodalizio con l'onorevole Gava, e che da ciò potesse derivare la scarcerazione del Cutolo per interessamento dei politici; che i Gava (padre e figlio) erano notoriamente legati al vecchio Alfonso Rosanova, a sua volta "padre spirituale" del Cutolo e che era stato la vera "mente" della liberazione di Cirillo, sicché il Rosanova costituiva, nell'ottica di Alfieri e Galasso, il punto di saldatura tra i Gava e Cutolo; che, dopo la liberazione del Cirillo, Cutolo aveva incominciato a ricattare i Gava, pretendendo il rispetto dei patti e minacciando di far scoppiare, con rivelazioni e documenti, uno scandalo che avrebbe travolto gli apparati istituzionali che con lui avevano tramato per la liberazione dell'ostaggio; che, pertanto, i Gava, sentendosi minacciati dal Cutolo, si erano rivolti ed avevano stretto alleanza con l'unica persona in grado - avendo già dimostrato di contrastare efficacemente il Cutolo, e cioè con Carmine Alfieri; che l'Alfieri e lo stesso Galasso - cui nel frattempo i cutoliani avevano ucciso i fratelli - erano autonomi portatori di un fortissimo movente di vendetta, ed avevano già deciso eliminare lo stato maggiore cutoliano, e cioè Casillo, Puca e Di Maio, latitanti e localizzati in Roma dal Galasso; Pag.21 che l'Alfieri contro le aspirazioni del Galasso (che avrebbe voluto "sparargli in bocca" personalmente per vendicare il fratello, dal Casillo personalmente ucciso) aveva deciso di eliminare il Casillo con un attentato stragista per far capire al Cutolo che era finito, che non contava più nulla, e che dunque doveva tacere sul caso Cirillo; e per dimostrare a tutti di essere diventato il nuovo "referente" di Gava e degli altri politici a lui legati; che della alleanza tra il Gava e l'Alfieri egli aveva avuto piena conferma negli anni successivi, verificando personalmente gli strettissimi rapporti intercorrenti tra gli Alfieri (Carmine e suo cugino Francesco) ed i massimi esponenti gavianei della zona vesuviana e nolana, tra cui il Meo, il Riccio, il De Sena e molti altri (pure indicati) di cui si omette il nome, essendo in corso sul punto indagini; che il Cutolo, recepito il messaggio insito nell'omicidio del Casillo, cercò di trarne profitto facendo circolare, nelle carceri e fuori, la falsa voce di esserne stato l'autore in accordo con i servizi di sicurezza; che la morte del Casillo e la sconfitta del Cutolo avevano determinato l'ascesa di Carmine Alfieri che, ormai incontrastato, era diventato rapidamente il punto di riferimento in Campania sia delle organizzazioni criminali, che del ceto imprenditoriale e politico locale. Non è questa la sede per esprimere una compiuta valutazione - che sarebbe comunque prematura - delle dichiarazioni del Galasso. In linea generale si può già, tuttavia, osservare che esse appaiano intrinsecamente e logicamente coerenti. Inoltre, la confessione del delitto Casillo risulta già convalidata, come si vedrà più avanti, da forti elementi di oggettivo riscontro. Quanto alla vicenda del sequestro Casillo, va preso atto delle conclusioni in cui pervenne il Tribunale di Napoli con la sentenza in data 25 ottobre 1989 (doc. n. 4), nel processo a carico di Cutolo Raffaele ed altri, imputati di estorsione. Ma non vanno sottaciuti gli aspetti della vicenda rimasti irrisolti in quel giudizio, per gli insuperabili ostacoli frapposti all'accertamento penale, che hanno prodotto un risultato probatorio dai "contenuti oscuri ed a volte indecifrabili" (Tribunale di Napoli, sentenza numero 7524 del 25 ottobre 1989, p.185). Anche su questi aspetti sarà opportuno tornare nel prosieguo della trattazione. 3) Sul secondo, fondamentale tema della ricostruzione il Galasso fornisce una chiave di lettura che riconduce ancora una volta all'intreccio politico-mafioso nella gestione degli appalti. Nell'interrogatorio in data 22 dicembre 1992, richiesto dal pubblico ministero di spiegare il sistema della spartizione dei profitti degli appalti tra camorristi, imprenditori e politici, il Galasso, dopo avere riferito episodi, a suo dire, esemplificativi di tale sistema, dichiarava: "In effetti, com'è chiaro, il rapporto fra i politici e gli amministratori da una parte, gli imprenditori da un'altra ed i camorristi da altra ancora, trova una sua completa realizzazione e totale fusione nel meccanismo degli appalti. In particolare, per tutto quanto ho potuto constatare di persona, nel corso della mia attività imprenditoriale e della mia frequentazione con Carmine Alfieri ed altri camorristi o imprenditori, mi è risultato evidente che il politico che gestisce il finanziamento dell'appalto e quindi l'assegnazione dello stesso o della relativa concessione, fa da mediatore fra la ditta quasi sempre del settentrione o del centro Italia, di notevolissime dimensioni, e la camorra. Tale mediazione avviene imponendo all'impresa suddetta sia una tangente a lui stesso od ai suoi rappresentanti diretti, sia l'assegnazione di sub-appalti a ditte controllate direttamente dalle organizzazioni camorristiche. Il rapporto diviene più complesso allorché alla ditta principale vengono affiancate, in condizioni di parità nel lavoro, ditte locali: in questo caso avviene una gestione complessiva dell'operazione da parte di politici, imprenditori e camorristi Pag.22 direttamente rappresentati, in totale fusione. Comunque, nel momento in cui la ditta incaricata del lavoro viene in contatto con il capo camorra che controlla la zona, è tenuta a versare una tangente anche a lui ed alla sua organizzazione. Voglio anche far presente che le ditte coinvolte in via principale nel lavoro pagano la tangente al politico anticipatamente, mentre le ditte in sub-appalto ovviamente vengono pagate nel corso dello svolgimento del lavoro. Ciascun politico d'altra parte ha proprie ditte di fiducia, che ciascuno di essi convoca allorché si trova nelle condizioni di forza sufficiente per imporla. Ovviamente, allorché viene affidato un lavoro ad una determinata ditta, questa paga tangenti non solo al politico cui deve quell'assegnazione, ma anche agli altri che controllano politicamente il territorio. Domanda: - con quali modalità le ditte sub-appaltatrici e la stessa ditta appaltante ricevono sufficiente liquidità per effettuare tali pagamenti? Risposta: - ciò avviene mediante una soprafatturazione o falsa fatturazione della ditta appaltante nei confronti delle ditte appaltatrici, che era in mano alla prima disponibilità di liquidi in nero. Desidero però anche far presente che le organizzazioni camorristiche ricevono ulteriori utilità nell'affare, allorché le ditte subappaltatrici non siano nella loro materiale disponibilità, impedendo ulteriori tangenti a tali imprese, che vi soggiacciono senza alcuna resistenza, perché è solo perché effettuino quei pagamenti che ricevono quel determinato sub-appalto. Di fatto poi avviene che tutte le ditte appaltatrici vengono man mano a cadere, anche quando non lo siano in partenza ed abbiano solo invece un rapporto di soggezione, nella totale disponibilità del vertice dell'organizzazione criminale, attraverso varie modalità, che vanno dall'intimidazione alla compartecipazione economica e finanziaria, con tutta la gamma intermedia di possibilità. Al termine di questo percorso di presa di possesso da parte dell'organizzazione camorristica sulla singola ditta, si trova la totale disponibilità della stessa persona fisica dell'imprenditore da parte del responsabile dell'organizzazione: ciò ovviamente comprende la disponibilità da parte di questo dell'intera capacità imprenditoriale e dell'intero mondo delle relazioni pubbliche dell'imprenditore caduto il suo dominio. Ciò ancora significa che, allorché ad esempio Carmine Alfieri ha necessità di stabilire un collegamento con personalità politiche con le quali quel rapporto ancora non ha stabilito, utilizza in maniera piena quegli imprenditori che di volta in volta egli sa esser referenti e collegati con quelle personalità. Ovviamente, i titolari di quelle ditte scelgono liberamente, e con importantissimo tornaconto economico di ritorno, l'inserimento nell'organizzazione criminale, di cui ovviamente hanno piena consapevolezza". Richiesto dal pubblico ministero, nello stesso interrogatorio del 22 dicembre 1992, di rendere dichiarazioni sui rapporti fra persone del mondo politico e Carmine ALFIERI, se esistenti, il GALASSO forniva una vivida descrizione della aggressione camorristica ad alcune strutture dei partiti politici - e quindi all'essenza del sistema democratico - attraverso collaudati meccanismi di interazione tra esponenti politici collusi ed organizzazioni criminali di controllo del territorio e del consenso elettorale. Il particolare, il GALASSO riferiva quanto segue: "tali rapporti esistono e vi sono coinvolte numerosissime personalità del mondo politico. Fra queste la più importante figura è sicuramente quella del senatore Antonio Gava. Questi (a sua domanda, non so dire se conosca personalmente Alfieri, ma ritengo che sicuramente lo abbia incontrato in anni lontani) ha sul territorio della Campania una serie di riferimenti fedelissimi che gestiscono i suoi interessi politici sulle varie realtà sociali. Fra questi, ricordo l'architetto Meo su Nola, Ciccio Catapano ed il figlio Pasquale su S. Giuseppe Vesuviano, dottor Liguori su Poggiomarino (ma più fidato di questo, Pag.23 Achille Marciano), Raffaele Boccia, di cui ho già parlato, Giuseppe Caso ed il fratello Romualdo - il primo di essi finito assassinato (dallo stesso Galasso, come poi confesserà: n.d.p.m.) - pure a Poggiomarino, l'avvocato (omissis) di Pompei, poi allontanatosi; l'avvocato (omissis) e l'ingegner (omissis) pure di Poggiomarino, il sindaco Casillo su Terzigno se ben ricordo, i fratelli Riccio di S. Paolo Belsito, (omissis) di Palma Campania, (omissis) di S. Antonio A; ecc. Di fatto tutte queste persone o quasi tutte erano altresì in strettissimo rapporto con Carmine Alfieri, e gli assicuravano sia una potentissima base elettorale (passata all'onorevole Vito in queste ultime elezioni) ed anche una solidissima ed efficiente cerniera per la gestione di quel meccanismo di appalti e sub-appalti di cui ho parlato. Ed in particolare passando ad un esame più dettagliato dei fatti, posso far riferimento a tutto quanto ho già detto per una sintomatica vicenda relativa all'acquisto di un suolo in Nola con la mediazione dell'architetto Meo. So inoltre che il Catapano Francesco è vecchissimo amico di Carmine Alfieri, in quanto in passato ha abitato per molti anni, o accanto o addirittura nello stesso edificio in cui Carmine Alfieri aveva il suo mobilificio in S. Giuseppe Vesuviano. Successivamente, invecchiato questi, il suo potere nella gestione degli appalti è passato al figlio Pasquale, presidente della USL del luogo. E' fin troppo ovvio che, al momento delle elezioni, questi rapporti privilegiati fra la rete politica elettorale di un uomo politico e l'organizzazione criminale si trasformava in appoggio sul voto. E il meccanismo era lo stesso già così ben sperimentato nel settore degli appalti e i sub-appalti, sicché i pacchetti di voti di notevolissima consistenza che l'organizzazione criminale era in condizione di gestire, veniva divisa a tavolino fra i vari partiti politici e, al loro interno, fra i rappresentanti di fiducia dell'organizzazione. Nelle ultime elezioni ad esempio è sorto qualche contrasto in quest'organizzazione perché Alfieri ha dovuto suddividere (con il Cesarano e gli altri affiliati) i suoi voti nell'intera Campania fra la DC ed il PSI, come in seguito dirò. Per questo l'intero pacchetto dei voti controllati dal Gava attraverso l'Alfieri non passò per intero all'onorevole Vito, ma fu riversato anche su alcuni esponenti socialisti, quali l'onorevole Mastrantuono (omissis) ". Il concetto di identificazione di molti degli amministratori ed esponenti politici, indicati come "uomini di GAVA e uomini di ALFIERI", viene dal dichiarante desunto alla stregua di vicende personalmente vissute. Infatti il GALASSO ha attivamente partecipato anche alla vita politica locale nel partito democristiano ed era quindi, egli stesso, uomo di ALFIERI e sostenitore politico del senatore GAVA. La compiuta verifica, in verità già positiva per taluni casi (MEO, RICCIO, DE SENA, LIGUORI, CATAPANO, MARCIANO, CASILLO, in attesa di ulteriori riscontri) della corrispondenza di tale concetto alla realtà dei fatti rappresenta uno dei punti nodali dell'indagine in corso. Capitolo IV LA POSIZIONE DEL SENATORE ANTONIO GAVA 1) Il senatore GAVA, alla stregua delle prime acquisizioni di indagine, si pone in posizione centrale nel sistema di cointeressenze politico-mafiose già evidenziato. E qui va subito detto, a chiare lettere, che occorre tenere ben netta la distinzione tra responsabilità politica e responsabilità penale: la prima esula dal campo di valutazione giudiziario; la seconda è strettamente personale. Ne consegue che l'oggetto della presente indagine, ancora tutta da sviluppare ed approfondire, non sono le scelte politiche in sé e neppure il mero fatto che il senatore GAVA abbia potuto beneficiare dell'appoggio elettorale della camorra, bensì la verifica dell'esistenza di un patto di mutua solidarietà che avrebbe portato il senatore GAVA a porre in essere condotte Pag.24 funzionali agli interessi dell'organizzazione mafiosa, in cambio del sostegno politico di questa e contro gli interessi della collettività. In una parola, a costituirsi come il principale, ma non unico, referente attivo della camorra nolana e vesuviana. Questa ipotesi appare allo stato sorretta da un materiale probatorio univoco, che appare maggiormente garantito dalla eterogeneità delle fonti di prova e dalla conseguente riduzione del rischio di inquinamenti. L'oggetto dell'indagine, come si è detto, si articola su due vicende fondamentali: costituite l'una dalle conseguenze del sequestro Cirillo, l'altra dalla immedesimazione tra numerosi amministratori locali e componenti dell'associazione camorristica facente capo all'Alfieri. 2) Nella esposizione degli elementi costituenti il "thema probandum" è opportuno partire dalla vicenda del sequestro CIRILLO e dell'omicidio CASILLO, non perché questa sia la prima volta che il nome del senatore GAVA emerge nell'indagine, ma poiché tale vicenda rappresenta, allo stato, il presupposto storico, logico e giuridico della stessa indagine sul conto del parlamentare. Ed ecco il racconto del GALASSO nell'interrogatorio del 12 marzo 1993 reso a questo pubblico ministero presso la casa circondariale di Biella: "A questo punto, dopo avere a lungo riflettuto, dichiaro che intendo confessare nei particolari l'omicidio di Vincenzo Casillo ed il ferimento di Cuomo. Rendo tale dichiarazione, consapevole dei rischi a cui mi espongo, ma ritengo necessario farlo per dimostrarvi la sincerità della mia collaborazione ed il livello della stessa, soprattutto con riferimento al coinvolgimento di esponenti politici legati ad Alfieri. Dobbiamo partire dal sequestro di Ciro Cirillo avvenuto, se ben ricordo, nella primavera del 1981 e, quindi prima dell'omicidio di Salvatore Alfieri. Durante il sequestro Cirillo, l'onorevole Antonio Gava mi fece contattare da Raffaele Boccia, suo fedelissimo rappresentante in Poggiomarino, e mi fece chiedere dal Boccia se io e gli Alfieri potevamo fare qualcosa per liberare Cirillo. Più precisamente, secondo il Gava, io dovevo interpellare gli Alfieri allo scopo di intervenire per Cirillo. Il Boccia mi disse che Gava gli aveva promesso la candidatura alle elezioni politiche alla Camera, candidatura alla quale egli già da tempo aspirava; sicché lo stesso Boccia teneva moltissimo ad ottenere l'interessamento di Alfieri per Cirillo poiché ciò avrebbe rafforzato la possibilità che il Gava lo appoggiasse alle elezioni. ADR: Non credo che Gava, in quella circostanza, fece contattare soltanto me. Certamente anche altri malavitosi furono contattati allo stesso scopo. Peraltro io sapevo che anche l'onorevole Vincenzo Scotti si stava interessando assieme a Gava per la liberazione di Cirillo. ADR: Non so se l'onorevole Scotti avesse, a tale scopo, contattato direttamente personaggi della malavita. Certo è che Gava e Scotti erano notoriamente coloro che, in quel periodo, si stavano muovendo più attivamente di tutti per liberare Cirillo. Appena ricevuto il messaggio di Gava ne parlai con Carmine Alfieri. L'Alfieri mi disse che dovevamo rimanere estranei a quella faccenda. Carmine Alfieri, per sua struttura mentale e strategia criminale, ha sempre evitato di farsi strumentalizzare dai politici, e ha sempre inteso utilizzare lui i politici per i propri scopi. ADR: Ho incontrato personalmente più volte l'onorevole Gava in Poggiomarino, sia nella sede della D.C., in occasione di visite del parlamentare, sia a casa di Francesco Liguori, sindaco gavianeo di Poggiomarino, eletto poi nel 1975 consigliere provinciale. Non ho mai chiesto piaceri all'onorevole Gava. Se avevo bisogno di qualcosa preferivo rivolgermi al Liguori. Ad esempio, nel 1980 se ben ricordo, incontrai a casa del Liguori il senatore Francesco Patriarca ed (omissis) affinché si interessassero per problemi inerenti alla sorveglianza speciale cui ero sottoposto. Non ricordo se poi ottenni il favore Pag.25 richiesto, anche perché poco dopo quell'incontro mi resi latitante perché colpito da mandato di cattura. Tornando al sequestro Cirillo, dopo il diniego di Alfieri ad interessarci della questione, venimmo a sapere che della stessa era stato interessato Raffaele Cutolo. Allorché il Cirillo venne liberato, essendo noi ben consapevoli che la liberazione era avvenuta per l'intervento di Cutolo, tememmo che quest'ultimo avesse rafforzato il proprio sodalizio con l'onorevole Gava e con l'onorevole Scotti. Preciso a questo punto che anche il senatore Silvio Gava era stato notoriamente interessato alla liberazione di Cirillo. Tememmo che dal legame stretto tra il Cutolo Raffaele ed esponenti politici di tale livello potesse derivare la scarcerazione del Cutolo per interessamento degli stessi politici. Voglio aggiungere un altro particolare che ritengo importante. I Gava, padre e figlio, erano notoriamente legati al vecchio Alfonso Rosanova ed ai suoi fratelli soprannominati "i tre grani". Alfonso Rosanova, a sua volta, era il padre spirituale di Raffaele Cutolo fin dalla gioventù di quest'ultimo. Noi sapevamo che proprio Alfonso Rosanova era stato la mente della liberazione di Ciro Cirillo. Ciò confermò la saldatura del legame tra i Gava e Cutolo. Peraltro il Cutolo già aveva dato segnali di forza con l'omicidio di Francesco Fabbrocino e con l'attentato a Mario Fabbrocino. Avvennero poi i fatti delittuosi che ho già riferito, culminati con gli omicidi di Salvatore Alfieri e di mio fratello Nino. L'omicidio di Salvatore Alfieri fu il segnale che ormai Cutolo non si sarebbe fermato più, sentendosi le spalle coperte dai politici e dai servizi segreti che erano entrati nell'affare Cirillo. Intendo chiarire a questo punto che Cutolo, senza siffatta copertura, non si sarebbe mai sognato di attentare ad un Alfieri, essendo consapevole che ciò lo avrebbe portato ad uno scontro frontale con tutti i malavitosi della Campania. D'altra parte già l'omicidio di Francesco Fabbrocino era stato un segnale molto forte delle intenzioni di Cutolo. Come ho già detto ieri, dopo l'omicidio di mio fratello Nino io mi determinai a vendicarne la morte e cominciai a dare la caccia ai cutoliani. In particolare venni a sapere che Vincenzo Casillo, Cuomo, Puca Giuseppe, detto "o giappone", Di Maio Salvatore, Giuseppe Rizzo, Guido Rizzo, Rolando Tortora, Rosetta Cutolo, Pasquale Scotti e Luigi Rosanova si erano trasferiti a Roma e gestivano tutte le attività illecite dei cutoliani nella capitale. In particolare essi operavano nella zona di Fiumicino e presso l'ippodromo di Tor di Valle. Del gruppo faceva parte anche la madre dei fratelli Rizzo, convivente di Rolando Tortora, il cui cognome era Di Maio (ma non era parente di Salvatore Di Maio). Su Roma gravitavano pure i fratelli Catapano. Insomma, dopo il sequestro Cirillo, tutto il gruppo dirigente cutoliano si era trasferito a Roma al seguito di Vincenzo Casillo. La prima informazione circa la presenza in Roma di questo gruppo mi fu data da (omissis). Come ho già riferito, in quel tempo io risiedevo a Roma ed avevo colà trasferito la mia famiglia. Apprese da (omissis) le notizie sulla presenza dei cutoliani a Roma, per prima cosa mi preoccupai di assicurarmi la fedeltà di (omissis) nel senso che volevo essere sicuro che non mi avrebbe venduto ai cutoliani. Il (omissis) mi giurò che sarebbe stato sempre dalla mia parte. A quel punto gli rivelai la mia determinazione di uccidere uno alla volta tutti i cutoliani di Roma. Un giorno (omissis) mi accompagnò a Tor di Valle dove vidi Rolando Tortora. Ero armato di quattro pistole ed avrei potuto ucciderlo, ma non lo feci perché volevo prima eliminare le menti del gruppo e solo successivamente i gregari, come il Rolando Tortora. I miei obiettivi primari erano Casillo, Cuomo, Puca e Di Maio. Il (omissis) mi fece anche vedere una tenuta nobiliare, sita sulla via (omissis). Il (omissis) mi disse che in questa tenuta, dove c'era anche un maneggio per cavalli, si era rifugiata Rosetta Cutolo con tutto lo staff cutoliano. Pag.26 Un altro appartamento in disponibilità del gruppo cutoliano era sito in via (omissis). Non ricordo se ne disponevano i figli di Rosanova oppure Rolando Tortora con la Di Maio. Un altro appoggio logistico dei cutoliani era situato in via (omissis) . Qui faceva base in particolare Vincenzo Casillo con i suoi accoliti. (omissis) venne poi condannato come appartenente alla N.C.O. e attualmente mi risulta che egli è estraneo ad ogni attività criminale". "Sempre il (omissis) mi informò che Vincenzo Casillo era in stretto rapporto con esponenti dei servizi segreti (non mi fece nomi di funzionari dei servizi) e che girava con un documento di identità falso intestato all'avvocato Luigi Riccio, da San Vitaliano, suo parente. (omissis) Mentre, assieme al (omissis) , aspettavo il momento opportuno per colpire i miei obiettivi, il capitano Niglio (all'epoca comandante della Compagnia di Nocera Inferiore) arrestò Salvatore Di Maio tra Latina e Roma. A quel punto Vincenzo Casillo cominciò a sentire intorno a sé la pressione dei carabinieri e chiese al (omissis) , con il quale era nel frattempo entrato in rapporto confidenziale, di procurargli altre due o tre abitazioni dove sistemarsi con il gruppo cutoliano (evidentemente temendo che le basi logistiche di cui ho parlato fossero state localizzate dai carabinieri). Il (omissis) mi riferì di questa richiesta del Casillo ed io intuii che quella era per me l'occasione che aspettavo. Infatti, il (omissis) mise subito a disposizione dei cutoliani un proprio appartamento, (omissis) dove si sistemò Giuseppe Puca, con la moglie ed alcuni suoi accoliti di S. Antimo". "Il (omissis) era poi in trattative per l'acquisto di un appartamento a Primavalle, non lontano da (omissis). Io mi inserii e detti al (omissis) cento-centoventi milioni per l'acquisto di quell'appartamento. In quest'ultimo si sistemarono Vincenzo Casillo, con la sua convivente, soprannominata "Baby Doll", ed il Cuomo. Il (omissis) , in quel periodo, mi informava che il Casillo teneva contatti e si incontrava talora anche con esponenti politici, primo fra tutti l'onorevole Antonio Gava. In occasione di una mia convocazione a Piazzolla di Nola da parte di Carmine Alfieri, che il quel periodo incontravo raramente, comunicai all'Alfieri che avevo ormai in pugno Vincenzo Casillo e gli altri cutoliani. Carmine Alfieri si mostrò sulle prime incredulo ed io faticai a convincerlo. Alla fine l'Alfieri, convintosi, ordinò ai suoi più fidati (omissis) di accompagnarmi a Roma per dimostrare a (omissis), della cui fedeltà Carmine ancora diffidava, che a fianco a me c'era tutta l'organizzazione. Il gruppo contattò il (omissis) e fece poi sapere a Carmine Alfieri che ci si poteva fidare di costui. A quel punto l'Alfieri dispose che tutto il gruppo che ho già nominato (omissis) si concentrasse a Roma con le armi per procedere alla esecuzione degli attentati. Lo stesso Alfieri aveva peraltro condiviso la mia idea e cioé che bastava eliminare Casillo, Cuomo, Puca e Di Maio per farla finita con Cutolo. Ci concentrammo quindi a Roma e facemmo base in un cantiere edile di proprietà del (omissis) a (omissis). Perdemmo alcuni mesi per localizzare i nostri obiettivi, che si spostavano con grande facilità tanto da vanificare le soffiate che ci dava il (omissis) (ad un certo punto dubitammo anche che il (omissis) facesse il doppio gioco). Io avevo sempre con me una valigetta ventiquattro ore con le mie pistole. Disponevamo anche di bombe a mano e di fucili. L'occasione propizia però non arrivava. In quel periodo il (omissis) si incontrò a Roma con (omissis). Costui ci dette anche più di un appoggio logistico (ad esempio, ci fece ospitare per un periodo in (omissis). Per amor del vero, devo dire che il (omissis) non era a conoscenza dei nostri obiettivi ed anzi era stato volutamente depistato dal (omissis) il quale gli aveva fatto intendere che eravamo a Roma per effettuare una grossa rapina o un sequestro di persona. Ciò perché l'Alfieri non si fidava del (omissis). omissis Pag.27 Intanto, Carmine Alfieri cominciò ad innervosirsi perché vedeva che tardavamo a passare all'azione contro i cutoliani. Un giorno Carmine Alfieri venne a Roma, accompagnato da Antonio Malvento, per rendersi conto della situazione e per "caricare" sia noi suoi adepti che il (omissis), al quale promise mari e monti se ci avesse messi in condizione di realizzare i nostri scopi. Giunti verso la fine del 1982, il (omissis) consegnò al Casillo l'appartamento di Primavalle acquistato con i miei soldi. Noi cominciammo a studiare il modo di colpire contemporaneamente il Puca ed il Casillo, di cui ormai avevamo sotto tiro le abitazioni. Un giorno l'Alfieri ci convocò tutti a Piazzolla di Nola, dopo averci raccomandato di incaricare il (omissis) di tenere sotto controllo gli obiettivi. Nel corso dell'incontro con Alfieri io dissi che potevamo senz'altro passare all'azione. A quel punto l'Alfieri assunse una posizione che mi lasciò perplesso e delle cui reali motivazioni solo successivamente mi resi conto. Mentre io dicevo che eravamo pronti ad agire, l'Alfieri - che fino a poco tempo prima ci aveva incalzati al punto di venire personalmente a Roma - assunse inaspettatamente un atteggiamento temporeggiatore e di assoluta tranquillità. Ci disse in sostanza di stare tranquilli e di studiare con calma il modo migliore per agire. Dopo due o tre giorni appresi dall'Alfieri che (omissis) erano stati arrestati, per una rissa in discoteca, a Torino dove si erano recati per procurare un congegno esplosivo con telecomando per l'esecuzione degli attentati. Grande fu la mia sorpresa di fronte al proposito di Alfieri di effettuare gli attentati in modo così eclatante; ne riportai anche motivo di personale disappunto perché volevo avere la soddisfazione di "sparare in bocca" agli assassini di mio fratello. Incominciai allora a capire la sottile strategia politica che aveva indotto Alfieri a scegliere una azione così eclatante e tale da rischiare una strage di innocenti. In quel momento noi sapevamo che i Gava erano pressati dalle richieste di Raffaele Cutolo, che pretendeva il rispetto dei patti stretti per la liberazione di Ciro Cirillo e minacciava di far scoppiare uno scandalo che avrebbe travolto gli apparati istituzionali che con lui avevano tramato per la liberazione di Cirillo. Quindi, evidentemente, i Gava, sentendosi minacciati dal Cutolo, si erano rivolti ed avevano stretto alleanza con l'unica persona che potesse in quel momento contrastare efficacemente il Cutolo. Questa persona era Carmine Alfieri. Di questa mia intuizione ebbi poi piena conferma negli anni successivi allorché verificai personalmente (come già in parte ho riferito) gli strettissimi rapporti intercorrenti tra gli Alfieri, Carmine e suo cugino Francesco, ed i massimi esponenti gavianei della zona vesuviana e nolana: Vincenzo Meo, Riccio Luigi e suo fratello, il generale Mario De Sena, Catapano Pasquale (presidente dell'USL di San Giuseppe Vesuviano), (omissis) e Giuseppe D'Antuono (già sindaco di San Antonio Abate), nonché (omissis): Tutti costoro erano e sono contemporaneamente uomini di Gava e uomini di Carmine Alfieri. Ciò mi riservo di dimostrare compiutamente, avendovi del resto già reso dettagliate dichiarazioni sul conto del Meo e del (omissis). Torniamo al delitto Casillo. Capii, dunque, che l'Alfieri aveva deciso di usare l'esplosivo per lanciare a Cutolo, in nome e per conto degli apparati istituzionali a lui legati, un ultimo messaggio: "non sei più nessuno, sei finito, è meglio che ti stai zitto". Noi sapevamo che Cutolo era effettivamente in possesso di prove documentali con le quali avrebbe dimostrato la trama perversa che era stata ordita per la liberazione di Cirillo. L'obiettivo dell'azione con la bomba era dunque quello di convincere Cutolo a tacere per sempre ed a non tirare fuori i documenti, così come sembrava deciso a fare. Al tempo stesso con quell'azione eclatante, Carmine Alfieri avrebbe dimostrato a tutti di essere il nuovo referente di Gava e degli altri politici a lui legati. Ricordo bene che Alfieri ci disse di essere certo che Cutolo, con la morte di Casillo, avrebbe capito di essere finito. Pag.28 (omissis) vennero scarcerati dopo pochi giorni e portarono a Piazzolla il congegno a telecomando, che si erano procurati a Torino presso un mafioso siciliano. ADR: non so il nome di questo siciliano, ma so che era paralitico, a seguito di attentato, e che si trovava a Torino in soggiorno obbligato. Dopo l'omicidio di Casillo questo siciliano venne a visitare Carmine Alfieri, accompagnato da (omissis) che erano andati a prelevarlo appositamente a Torino. Ricevuto il congegno elettronico a telecomando, si pose il problema di reperire un tecnico di fiducia che fosse in grado di farlo funzionare. L'impresa non era facile perché occorreva agire con estrema segretezza. Carmine Alfieri ci raccomandò di non parlare di nulla nemmeno con i nostri congiunti. (omissis: vi è qui la spiegazione di come e da chi sia stata organizzata la parte "militare" dell'attentato: n.d.p.m.) Il (omissis) doveva mostrare loro l'autovettura Golf del Casillo. Quest'autovettura era intestata alla sorella dell'onorevole Scarlato di Scafati o al suo convivente, ex fidanzato della figlia. Questo giovane fu ucciso dopo poco tempo a Scafati da Alfieri e (omissis), in quanto era un uomo di Casillo. Devo precisare che la sorella di Scarlato ed il suo convivente erano entrambi legatissimi a Casillo ed alla sua organizzazione. A questo punto premetto che le modalità esecutive dell'azione contro il Casillo che adesso riferirò furono raccontate a me e all'Alfieri dagli autori materiali del delitto appena rientrarono a Piazzolla. (omissis: qui avviene il dettagliato racconto della fase esecutiva del delitto: n.d.p.m.). Questa ragazza sarà poi uccisa, su ordine di Cutolo, da Pasquale Scotti e da Mauro Marra in Casoria. Lo stesso Marra, dopo avere iniziato a collaborare con la giustizia, ne fece trovare il cadavere sotterrato e coperto dalla calce. La ragazza, che era una spogliarellista francese, fu fatta uccidere da Cutolo. Il Cutolo, avendo recepito il messaggio a lui diretto con l'omicidio del Casillo, dette ordine a Pasquale Scotti di uccidere la ragazza temendo che avesse potuto rivelare confidenze fattele dal Casillo in merito alla vicenda Cirillo. Su questo episodio so che già Mauro Marra ha reso dichiarazioni e potrete quindi verificare con il Marra se è vera la causale dell'omicidio della ragazza, causale che peraltro a noi già risultava prima che il Marra si pentisse (doc. n. 5). Dopo che il Casillo ed il Cuomo presero posto sull'autovettura e si avviarono, (omissis) entrò in azione con il telecomando. Ebbe però qualche difficoltà a far esplodere l'ordigno. Dovette azionare ripetutamente il telecomando prima che l'autovettura esplodesse, avvicinandosi progressivamente all'autovettura stessa fino a trovarsi a poche decine di metri dal mezzo quando finalmente la bomba esplose. Il Cuomo si salvò proprio perché, essendosi accorto della presenza del Ruocco, tentò di buttarsi fuori dalla macchina, rimettendoci nell'esplosione soltanto le gambe. Ricordo che immediatamente i mezzi di diffusione dettero la notizia che a Roma era saltata in aria un'autovettura, con due persone non identificate a bordo, mentre trasportavano una bomba. Io, l'Alfieri e (omissis), stando assieme, apprendemmo tale notizia e tememmo che potessero essere saltati in aria (omissis) mentre trasportavano l'ordigno. Ci rassicurammo solo quando vedemmo arrivare a Piazzolla (omissis) e gli altri quattro, i quali ci comunicarono che Casillo era "zompato". Che io ricordi quella fu l'unica volta che commentammo un delitto con euforia. Alfieri abbracciò (omissis) complimentandosi con lui per il coraggio dimostrato. So che poi gli regalò un orologio Rolex. Dopo l'omicidio del Casillo Raffaele Cutolo cercò di strumentalizzare il fatto a proprio vantaggio facendo circolare, nelle carceri, la voce che era stato lui, con i servizi segreti, a far saltare per aria Casillo il quale lo aveva tradito e si era preso, tra l'altro, il denaro del riscatto del Cirillo, contro la sua volontà. Con questa falsa notizia il Cutolo sperava di far intendere ai suoi di non essere stato sconfitto e di avere ancora in pugno la propria organizzazione. Ottenne invece Pag.29 l'effetto contrario, perché proprio da quel momento alcuni suoi fedelissimi, come Salvatore Di Maio, Puca Giuseppe ed altri, si "girarono" verso di noi e verso Bardellino. Anche in conseguenza di questo fatto si moltiplicarono i pentiti della N.C.O. La morte del Casillo e la sconfitta definitiva del Cutolo determinarono l'ascesa di Carmine Alfieri che, ormai incontrastato, diventò rapidamente il punto di riferimento in Campania sia delle organizzazioni criminali, che del ceto imprenditoriale e politico locale. Tutti i vecchi gruppi cutoliani (Maiale di Eboli, Forte di Baronissi, Salvatore di Maio di Nocera Inferiore, Pepe Mario di Salerno, i fratelli Marinelli di Avellino, Graziano di Quindici, Maisto di Giugliano ed altri) si avvicinarono alla nostra organizzazione. Contemporaneamente andò crescendo il peso politico ed affaristico dell'Alfieri e del suo braccio destro Antonio Malvento, che acquisì il controllo di tutte le imprese edili campane, prima legate al Cutolo (prima fra tutte la Sorrentino), e strinse legami con esponenti politici locali, fra cui quelli della corrente gavianea cui ho prima accennato. Solo questo reticolo di alleanze e di complicità può spiegare il motivo della protrazione della latitanza dell'Alfieri per circa dieci anni". Fin qui il racconto del GALASSO sul punto. Passando agli elementi di obiettivo riscontro delle dichiarazioni rese dal GALASSO, non può prescindersi dal richiamare alcune conclusioni cui, relativamente alla trattativa per il rilascio di Ciro CIRILLO, è pervenuto il Tribunale di Napoli nella ricordata sentenza contro CUTOLO Raffaele ed altri, imputati di estorsione ed altro. Ebbene il Tribunale, pur assolvendo il CUTOLO, lo IACOLARE ed il MADONNA perché il fatto non sussiste, dalla imputazione di estorsione consumata (e quindi escludendo la trattativa e l'accordo tra CUTOLO e la DC) ha affermato testualmente che: "Il quadro complessivo degli elementi di fatto converge obiettivamente ed univocamente, in modo armonico, verso una sola possibile conclusione: attraverso il contatto con il detenuto CUTOLO Raffaele, capo della potente organizzazione camorristica denominata N.C.O., i servizi di sicurezza (salvo meglio specificare in seguito ruoli e responsabilità dei medesimi) non posero le basi per attività informative volte a ricercare nell'ambiente della delinquenza comune le notizie utili alla scoperta della ubicazione della prigione del CIRILLO, ma viceversa crearono solo le premesse per lo svolgimento di una trattativa tendente a conseguire la liberazione dell'esponente politico democristiano attraverso la mediazione, nel rapporto Stato-B.R., di un pericolosissimo potere criminale". E conclude: "Una siffatta ricostruzione storica degli eventi svoltisi tra il 27 aprile 1981 ed il 24 luglio 1981 è autorizzata da una serie imponente di elementi, tutti obiettivamente convergenti in tale direzione" (pag. 297-298). Ai fini della presente trattazione va ricordato che altri fatti "incontestabilmente provati" sono stati ritenuti dal Tribunale le visite fatte al CUTOLO dai camorristi CASILLO e IACOLARE nel carcere di Palmi e quelle effettuate, senza accompagnamento da parte dei servizi di sicurezza, dal GRANATA e dal CASILLO nella casa circondariale di Ascoli Piceno (p. 270). Quanto, in particolare, alle visite al CUTOLO da parte di Giuliano Granata - all'epoca sindaco gavianeo di Giugliano e segretario particolare del CIRILLO - il Tribunale (non senza aver rimarcato le "incongruenze logiche" delle giustificazioni fornite dal GRANATA per tali visite), osserva che "resta, dunque in piedi l'ipotesi (che esse) si inserissero armonicamente nel contesto dell'iniziativa attuata dal SISMI per pervenire alla liberazione dell'esponente politico democristiano.... così come, peraltro, non può assolutamente escludersi che le stesse avessero invece il senso di una azione autonoma condotta dalla N.C.O., con l'apporto e l'appoggio del GRANATA medesimo, in forza del canale ormai loro aperto, a livello ministeriale ed a livello di direzione Pag.30 della casa circondariale di Ascoli Piceno, che consentiva un incontestabile agevole accesso in siffatto penitenziario per colloqui informativi e strategici con il capo della N.C.O. (pag. 275). Le conclusioni cui perviene il Tribunale in ordine alla ipotizzata "trattativa" sono poi le seguenti: "a) in occasione del sequestro di persona dell'assessore regionale Ciro CIRILLO vi fu un intervento attivo dell'organizzazione cutoliana, espressamente sollecitato dai servizi di sicurezza, in funzione della possibile liberazione dell'esponente democristiano; b) tale intervento non si inserì affatto all'interno di una indagine informativa mirante ad acquisire notizie utili alla ubicazione della prigione dell'ostaggio ed alla cattura dei sequestratori, ma si atteggiò come ricerca di una trattativa con la colonna napoletana delle B.R; c) la scelta di una siffatta metodologia di intervento da parte dei servizi di sicurezza, oltre ad essere in contrasto con le finalità istituzionali degli stessi, comportò l'assurdo ed inaccettabile riconoscimento di un efferato potere criminale quale mediatore nel rapporto tra lo Stato e l'organizzazione terroristica Brigate Rosse; d) l'intervento operativo della N.C.O. non raggiunse mai il livello della effettiva e concreta mediazione tra lo Stato e la colonna napoletana delle B.R., e dunque, non ebbe alcuna sostanziale incidenza causale sulla gestione del sequestro da parte del gruppo terroristico"; e) i patti stipulati tra il CUTOLO ed i servizi di sicurezza nell'ambito della trattativa.... non possono... integrare il reato di estorsione consumata o tentata". (pag. 499-500)". Integravano bensì, secondo il Tribunale, il reato di estorsione tentata a carico del CUTOLO, del MADONNA, dello IACOLARE e del PANDICO (capo C della rubrica) i tentativi di costoro di procurarsi un profitto ingiusto, consistente in denaro, favori giudiziari ed altro, attraverso la minaccia di uno scandalo politico, attuata con la pubblicazione di articoli di stampa che riferivano - prendendo spunto da un falso rapporto di polizia giudiziaria da loro indicato e fatto pervenire alla redazione del quotidiano L'Unità - che erano state compiute da esponenti politici della DC irregolarità ed immoralità per ottenere la liberazione di Ciro CIRILLO. Fatti avvenuti tra l'autunno 1981 ed il marzo 1982. Sul punto osserva e conclude il tribunale: "Dunque, promesse formulate ad Ascoli Piceno in occasione delle trattative per la liberazione del CIRILLO, individuazione nella DC dell'interlocutore principale di tali intese, pretese inadempienze del partito nel rispetto degli impegni assunti; tutti questi elementi, coerentemente combinati tra loro, non possono non esplicitare le motivazioni alla base della condotta estorsiva attuata dal CUTOLO e completare, anche sotto il profilo delle causali, il quadro complessivo delle responsabilità dell'imputato" (pag. 567). Da tali azioni ricattatorie del CUTOLO sarebbe derivata per il senatore GAVA, secondo il GALASSO, l'esigenza di rivolgersi all'ALFIERI. *** La confessione del GALASSO in ordine al delitto CASILLO risulta già riscontrata negli atti del procedimento penale celebratosi dinanzi alla Corte di assise di Roma. Con la sentenza del 4 febbraio 1989, divenuta irrevocabile, la Corte ha assolto Raffaele CUTOLO, Rosetta CUTOLO e Giuseppe PUCA dall'accusa di strage, per non aver commesso il fatto. Dagli atti del procedimento risulta poi, conformemente a quanto riferito dal GALASSO, che: a) addosso al CASILLO furono rinvenute una patente di guida ed una carta di identità intestata a RICCIO Luigi, da San Vitaliano; Pag.31 b) l'autovettura su cui viaggiavano il CASILLO ed il CUOMO era una Volkswagen Golf acquistata da tale CILLARI Giuseppe e intestata a PAPA Francesco, marito di SCARLATO Elena, sorella dell'ex parlamentare DC SCARLATO Vincenzo (il Papa venne poi ucciso, in un agguato di chiara matrice camorristica, in Scafati il 12 aprile 1983); c) sono stati individuati gli appartamenti in uso al CASILLO ed al CUOMO, rispettivamente siti in via Gregorio XIII numero 13/A ed in località Mariana di San Nicola, entrambi acquistati nel novembre 1982. Analogo risultato positivo hanno dato le ricerche delle altre strutture logistiche indicate dal GALASSO come in disponibilità dei cutoliani. Di queste, come delle altre risultanze di indagine, si omette l'indicazione per evidenti esigenze di cautela processuale. E' stato identificato il pregiudicato paralitico indicato dal GALASSO come fornitore del congegno elettronico di telecomando: trattasi di CARDELLA Leonardo, deceduto in Torino il 7 luglio 1990, palermitano, soggiornante obbligato nel capoluogo piemontese. La convivente del CASILLO, indicata dal GALASSO come "Baby doll", è da identificare in MATARAZZO Giovanna. La donna venne barbaramente uccisa, per ordine del CUTOLO, da Pasquale SCOTTI e da Mauro MARRA. Quest'ultimo, divenuto collaboratore, ne fece poi ritrovare il cadavere. Rosetta CUTOLO, interrogata in data 24 marzo 1993, ha fornito ulteriori riscontri alla dichiarazione del GALASSO (doc. n. 6). In particolare, la CUTOLO ha confermato di essere stata latitante dal settembre 1981, e di essere riparata a Roma su indicazione di Vincenzo CASILLO, che già vi si era trasferito insieme a molti "amici" di suo fratello Raffaele, rimanendovi fino al febbraio 1982. La CUTOLO ha pure confermato di essere stata ospite, in Roma, dalla madre dei fratelli (omissis: trattasi di persone indicate dal GALASSO). 3) Passando al tema della identificazione di numerosi esponenti politici locali come "uomini di GAVA e, contemporaneamente, uomini di ALFIERI", nell'interrogatorio del 12 marzo 1993 nel carcere di Biella, rispondendo alla domanda se fosse in possesso di elementi di obiettivo riscontro alle indicazioni già fornite, il GALASSO dichiara: "Già in precedenza vi ho riferito fatti specifici, nei quali sono stato direttamente coinvolto, che riguardano il senatore Vincenzo Meo, (omissis). Posso ora riferirvi alcuni fatti relativi al generale Mario De Sena. Io so per certo, per averlo appreso direttamente da Carmine Alfieri, che il De Sena ha costituito un punto di riferimento costante della nostra organizzazione, fin da molto prima che diventasse sindaco di Nola. Peraltro, l'Alfieri mi annunciò che il De Sena sarebbe diventato sindaco di Nola ancor prima della sua elezione in consiglio comunale. L'Alfieri magnificò in quella occasione le doti morali del De Sena, che peraltro io già sapevo - per esperienza diretta, come dirò subito essere persona disponibile a favorire la nostra organizzazione (omissis). Questo lo potrete verificare voi con le vostre indagini, ma già posso affermare che il De Sena è intervenuto, con la propria influenza politica, negli appalti del CIS di Nola in favore del gruppo Alfieri, unitamente a (omissis) ed al senatore Meo, referente locale di Antonio Cava". "Essendo io ben addentro, e ad alto livello, alla organizzazione Alfieri, il fatto stesso che il De Sena sia stato nominato sindaco di Nola mi dà l'assoluta certezza - che potrete, ripeto, verificare con le indagini - che gli sia stato messo in quel posto proprio per gestire gli affari che interessavano Carmine Alfieri. Del resto sarebbe stato impossibile eleggere a Nola un sindaco contro la volontà di Carmine Alfieri". Circa il riscontro a tali dichiarazioni, non può che farsi rinvio a quanto già Pag.32 illustrato sui rapporti accertati in base ad intercettazioni telefoniche (e conseguente attività istruttoria) tra il RICCIO, il MEO, il DE SENA e Francesco Alfieri, vero alter ego del cugino Carmine, all'epoca latitante, nella conduzione del rapporto con i politici. Riservando l'esposizione di ulteriori elementi specifici a carico del MEO alla trattazione della sua posizione, va qui ancora ricordato quanto riferito dal GALASSO a proposito dei suoi rapporti con il RICCIO. Nell'interrogatorio in data 8 ottobre 1992, il GALASSO dichiarava quanto segue: "Altro personaggio con il quale ho avuto modo di interagire è Luigi Riccio, sindaco di San Paolo B. e presidente della U.S.L. di Nola. Lo incontrai sulla base di un appuntamento che lo stesso Carmine Alfieri mi prese con il Riccio allorché gli dissi che cercavo una raccomandazione per (omissis). Alfieri mi disse che Riccio era un suo amico, e che questi conosceva il (omissis). A casa del Riccio mi accompagnò (omissis) uomini di Alfieri. Fu l'Alfieri ad incaricare il (omissis) di accompagnarmi dal Riccio, tanto che il (omissis) rimase presente all'intera conversazione. Il Riccio, che manteneva un contegno di grande sicumera ed arroganza, mi rassicurò che sarebbe intervenuto sul (omissis) per spiegargli come io fossi estraneo ai fatti. Sempre con quel suo fare guappesco, il Riccio mi raccontò anche come fosse stato inviato dal senatore Antonio Gava (che lui chiamava "o masto mio") a risolvere il problema delle candidature in Poggiomarino per le elezioni amministrative del 1985, dove vi erano forti litigi fra vecchi candidati e nuovi aspiranti. Egli li risolse con il suo fare guappesco, decidendo l'esclusione di alcuni vecchi candidati, quali D'Avino, l'avvocato E. Serafino, penalista, ed altri della vecchia guardia. Questi si ribellarono per tale esclusione, ma furono piegati dal fare guappesco del Riccio. Solo uno dei vecchi candidati, Miranda Giuseppe, riuscì a farsi inserire nella lista, sostenendo la sua vicinanza al Gava, che fu confermata al Riccio da quest'ultimo. Il Miranda aveva riferito al Riccio di esser anche molto amico mio: io confermai al Riccio solo che stimavo il Miranda una brava persona. Una seconda volta, sempre accompagnato dal (omissis) tornai a casa del Riccio, il quale mi assicurò che aveva compiuto l'intervento richiesto ed aveva avuto ampie rassicurazioni dal (omissis). Quanto fossero serie quelle rassicurazioni lo potete giudicare voi considerando che sono stato condannato per tutti i delitti ascritti ad una pena di 10 anni di reclusione. Capii dunque chiaramente che il Riccio mi aveva solo raggirato". Un altro personaggio che, a dire del GALASSO, rivestirebbe il ruolo di cerniera tra la malavita e gli interessi politici del senatore GAVA è Raffaele Rosario BOCCIA, imprenditore, titolare dell'Istituto "Settembrini" di Poggiomarino. Costui sarebbe stato, secondo il GALASSO, ambasciatore della richiesta rivolta dal GAVA a lui ed all'ALFIERI di interessarsi per la liberazione di Ciro CIRILLO. Con riferimento al BOCCIA, nell'interrogatorio dell'8 ottobre 1992, il GALASSO dichiarava quanto segue: "nel 1984 o 1985, alcuni mesi prima delle elezioni politiche, Raffaele Rosario Boccia mi disse che era sicuro che sarebbe stato eletto al Parlamento, ed in particolare alla Camera dei deputati (in quel momento era presidente della U.S.L.) in quanto avrebbe ottenuto l'inserimento fra i candidati tramite l'intervento dell'onorevole Antonio Gava. In favore di Gava il Boccia aveva già compiuto ogni tipo di favore ed intervento, con rilascio di diplomi ecc; e mi disse che aveva versato, con assegni e contanti, molto denaro al Gava e ad uomini della sua corrente (in particolare all'(omissis), come dirò). Il Boccia, per precisione, mi disse che personalmente aveva versato nelle mani del Gava 160 o 170 milioni, parte anche in assegni. Si stava già preparando la campagna elettorale, fra i medici ed il personale della U.S.L., della sua scuola, ecc. Avvenne poi che, non so per quale motivo, quell'inserimento Pag.33 non avvenne. So che dissero al Boccia che esso non era stato possibile a causa di una pendenza giudiziaria che egli aveva, ed egli rispose (come mi riferì) che c'erano onorevoli, senatori e candidati che avevano ben altre pendenze o situazioni giudiziarie ben più gravi. Proprio a seguito di questo episodio, e dell'amarezza che ne era nata in lui, il Boccia ebbe dinnanzi a me uno sfogo (per la verità ne ebbe diversi) in cui mi ricostruì nuovamente tutta la vicenda, ripetendo le somme versate. Presente in una di queste occasioni era anche uno dei miei fratelli: precisamente (omissis), che però vi chiedo, per quanto possibile, di tener fuori da questa situazione. Quanto a (omissis), anche per lui la situazione si ripetè: il Boccia mi disse di aver fatto per lui una intensissima campagna elettorale con manifestazione in alberghi della penisola sorrentina ecc; ed anche con la consegna di denaro personalmente al (omissis), anche se non so dirne l'ammontare. All'epoca, il Boccia non era più nell'orbita dei Catapano, che avevano perso ogni potere, e si era avvicinato, come ritengo, a Carmine Alfieri". E' da notare che il Tribunale di Napoli sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione - con provvedimento del 4 aprile 1990, rigettò la proposta di applicazione al Boccia della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. La proposta si fondava, tra l'altro, sui rapporti economici intrattenuti dal Boccia con la famiglia GALASSO, in favore dei cui componenti aveva emesso, negli anni 1980-1983 assegni per oltre 500 milioni, contro assegni ricevuti dai GALASSO per soli 10 milioni. Il Tribunale riconobbe la "disponibilità" mostrata dal BOCCIA nei confornti dei GALASSO, e, quindi, la sua "contiguità" alla loro associazione criminosa, rigettando però la proposta per mancanza di attualità della presunta pericolosità. Conferma delle dichiarazioni del GALASSO in ordine all'immedesimazione di cui si sta trattando sono i seguenti elementi, acquisiti in sede di altre indagini, a questa collegate, ed attualmente ostensibili: a) Antonio Casillo, sindaco di Terzigno di area gavianea, viene contattato da persona di fiducia del latitante Franco Ambrosio, camorrista e strettissimo collaboratore del Mario Fabbrocino, anch'egli latitante - entrambi indagati nell'ambito del presente procedimento - , per un appuntamento per l'indomani: le modalità, l'ora ed il luogo di tale appuntamento saranno decise dall'Ambrosio; osservazioni dei carabinieri confermeranno l'uscita del sindaco nell'orario indicato (cfr. doc. 7); b) nel procedimento numero 11761/R/92 nei confronti di Ambrosino Ferdinando ed altri, rispettivamente sindaco e componenti la giunta municipale di Saviano di Nola, gli indagati sono stati raggiunti da provvedimento di custodia cautelare in carcere richiesto in data 5 febbraio 1993, per i delitti di abuso d'ufficio e turbativa di gara d'appalto per aver favorito un imprenditore il cui nome era stato deciso in base ad accordo fra concorrenti (alcuni dei quali già risultanti agli atti di quest'indagine come appartenenti al gruppo Alfieri: doc. n. 8); c) nel procedimento numero 13878/R/92 nei confronti di Marciano Achille, Catapano Pasquale, Liguori Francesco e Casillo Antonio, tutti indicati dal Galasso come uomini del Gava e dell'Alfieri, si procede per il delitto di associazione per delinquere, abuso d'ufficio ed altro, commessi nell'ambito della gestione della USL 33 al fine "di usare della struttura di tale USL come personale strumento di arricchimento e di distribuzione di favori". A questo punto è opportuno far riferimento a quanto narrato dal GALASSO a proposito della vicenda politica di Poggiomarino. Nel corso dell'interrogatorio dinanzi al pubblico ministero del 17 marzo 1993 nel carcere di Biella, PASQUALE GALASSO riferisce: "(omissis: il GALASSO riferisce intimidazioni subite per impedirgli di collaborare Pag.34 sul livello politico delle sue conoscenze) Per dimostrarvi però che per nulla ormai mi sento intimidito da quelle minacce, intendo ricostruirvi con maggiori dettagli tutte le occasioni in cui la mia attività si è intrecciata con la politica nel comune di Poggiomarino. Inizialmente io, nel 1971 o 1972 venni presentato da mio padre a don Ciccio Liguori, esponente della corrente gavianea e sindaco di Poggiomarino, fortemente sostenuto (unitamente ad Achille Marciano) dal malavitoso Salvatore Gaudino, compare addirittura di Pascalone di Nola e gestore di bische clandestine in Poggiomarino intorno alle quali gravitava tutta la malavita di quel comune, da me già descritta in altro verbale. Il Liguori divenne per me un esempio di vita verso il quale mio padre mi voleva avviare, tanto che mi iscrissi anche per questo alla facoltà di medicina; solo in seguito appresi quale corruzione e melma si nascondesse sotto quella persona e quel modo di far politica: io infatti con gli anni ho capito che tutta la sequenza di omicidi che ha distrutto me, la mia famiglia come tante altre dell'intera Campania, fa in fin dei conti il gioco proprio di questi politici, i quali sono pronti a defilarsi ed attendere il vincente, con il quale poi allearsi per la gestione di affari e di voti. Nel 1973 ricordo di aver partecipato, ancora giovanissimo, ad una riunione nel corso della quale conobbi Carlo Leone e per la prima volta incontrai anche Antonio Gava e Francesco Patriarca. Erano candidati mi sembra per la Camera e vi furono anche altre riunioni elettorali consimili, presso la sezione della DC o nella casa di Mario e Francesco Sangiovanni, proprio di fronte alla ex sede della concessionaria Galasso (poi trasformata in un edificio con molti appartamenti). Ovviamente la mia famiglia in quelle politiche appoggiò la corrente gavianea ed i suoi candidati, appunto il Gava, il Leone ed il Patriarca. Qualche anno dopo vi furono le elezioni amministrative, e si affermò una lista civica presentata da Enzo Battaglia ed i Sangiovanni (in particolare il Mario), persone assai oneste, molto legate a noi ed in particolare al mio buon fratello Nino, ed ostili alla cattiva gestione del potere operata fino ad allora dalla corrente dorotea. In tale occasione, la lista civica venne appoggiata dai fratelli Caso, Carmine, Pasquale, Gennaro e Giuseppe (inteso perticone, il più delinquente di tutti). Quell'esperienza però ebbe vita breve, perché il Battaglia ed il sindaco Boccia Montefusco vennero picchiati nella piazza di Poggiomarino, ad opera di tale Salvatore detto "o boss", malavitoso, inviato dai Caso. Ciò in quanto il Carmine Caso, che si era presentato nella lista civica, non era risultato eletto, cosicché lui ed i suoi fratelli si defilarono, riunendosi ai cugini avvocato Giuseppe e geometra Aldo Caso, rimasti fedelissimi al Liguori. Anche il Sangiovanni, per coerenza con la sua fede democristiana, si era defilato, non condividendo la scelta del Battaglia di allearsi con i socialisti del Boccia Montefusco (omissis). Alle amministrative del 1985 appoggiai anche il Lettieri, che mi portò richieste in tal senso del Pomicino, e questi riportò circa 1000 voti. Il mio prestigio in quel periodo, benché latitante, era altissimo in Poggiomarino: ormai avevo eliminato l'Orbuso ed il Caso, uccidendoli, il Gaudino, umiliandolo pistola in pugno e costringendolo a ritirarsi da tutto, i Catapano uccidendoli e facendoli fuggire, gli Annunziata facendo abbandonare loro Poggiomarino. Ero dunque l'unica 'autorità' del paese, e però devo dire che sentivo sempre che quell'autorità derivava dall'affetto e dalla stima dell'intero paese piuttosto che dalla paura della capacità d'azione da me dimostrata. Ricordo che per la formazione di quelle liste vi era stato un pesante intervento del Riccio, inviato espressamente da Antonio Gava, per risolvere uno scontro fra giovani e vecchi rappresentanti della DC; il Riccio privilegiò i giovani, salvo che per Peppuccio Miranda, che lasciò nella lista. Venne eletto con grande successo il Sangiovanni, che era rientrato nella DC (ed i giovani che gli erano attorno) e che Pag.35 era privo di riferimento di corrente all'interno del partito. Immediatamente venne da me (che ero latitante per un provvedimento cautelare per associazione mafiosa) il mio difensore avvocato De Rosa, il quale mi chiese, su incarico del Patriarca, d'incontrare il Sangiovanni, per dirgli, con tutto il peso della mia fama camorristica, di allearsi con Gava, che gli garantiva il posto di sindaco. Io resistevo perché non volevo essere immischiato in quelle beghe, anche perché avevo un ottimo rapporto con il Sangiovanni, e non intendevo minacciarlo e nemmeno indirettamente intimidirlo; sicché rifiutai di farmi così strumentalizzare. Venni poco dopo chiamato dall'Alfieri, che mi chiese le ragioni di quel rifiuto, mi confermò che Gava era un nostro amico e che non dovevo negargli quel favore. Incontrai allora il Sangiovanni presso il mio rifugio di Sarno, e gli trasmisi quella richiesta, sia pure con il maggior tatto possibile, e dopo aver insieme commemorato mio fratello Nino. Tuttavia era impossibile disgiungere dalla mia figura ormai la fama che mi ero fatto ed il condizionamento che derivava anche dal mio stato di latitante. Il Sangiovanni fu così convinto ad appoggiarsi al Gava, figura che, come ho detto, non aveva mai amato. Vicesindaco venne nominato il Lettieri, della corrente di Pomicino. Per tutta la durata di quell'amministrazione, io facevo un po' da ago della bilancia, convincendo ora l'uno - che non voleva lasciare la carica di sindaco - ora l'altro - che voleva invece avvicendarglisi - a restare uniti. Lo scenario disegnato dal GALASSO è oltremodo inquietante, e necessita di complesse verifiche. Tuttavia, il valore indiziario di quelle dichiarazioni ha trovato conferma in alcuni, decisivi, aspetti. Il ruolo decisivo di mediazione politica svolto, secondo tipiche modalità mafiose di intervento condizionatore dei comportamenti altrui, da Pasquale GALASSO, così come dallo stesso riferito, in occasione e in vista della formazione della giunta comunale a seguito delle elezioni del 1985 è, infatti, confermato da quanto riferito dall'ex sindaco Mario SANGIOVANNI, sentito dal pubblico ministero quale persona informata dei fatti il 2 aprile 1993. Le parole del predetto esponente politico locale valgono efficacemente a descrivere la dinamica delle relazioni politicomafiose che risultava di fatto governare la designazione degli amministratori di Poggiomarino. Dichiara SANGIOVANNI: "... Io non ho mai fatto parte di alcuna corrente democristiana anche se nel 1985 avevo simpatie per le posizioni dell'onorevole Scotti. Dopo l'elezione ci furono molte pressioni perché io mi avvicinassi alle posizioni di GAVA. A.D.R. Effettivamente in tale periodo incontrai Pasquale GALASSO e con lui parlai della situazione politica del momento. L'incontro per quanto ricordi si svolse in Poggiomarino, ma non posso escludere che si sia svolto in altro luogo. Nell'incontro PASQUALE ed io ricordammo la figura di NINO e il tempo trascorso insieme a lui. Nel corso del colloquio Pasquale GALASSO effettivamente fece riferimento alla volontà dell'allora senatore PATRIARCA che io mi appoggiassi dopo la formazione della giunta alla corrente di GAVA. A.D.R. Pasquale GALASSO mi fece capire che avrebbe personalmente gradito il mio avvicinamento alla corrente di GAVA, ma in alcun modo esercitò pressioni su di me poiché anzi i nostri rapporti erano di grande affettuosità reciproca. A.D.R. In pratica, PASQUALE fece discorsi del tipo "so che siete amico di Scotti, qui ci sta il senatore PATRIARCA che ci terrebbe a voi, fate i vostri conti, ma vorrei che vi schieraste con questi amici". Il passaggio formale con GAVA avvenne però alcune settimane dopo, in occasione di una manifestazione con GAVA in S. Giuseppe Vesuviano ... alla quale fui condotto da Achille MARCIANO e Ciccio Pag.36 LIGUORI i quali da tempo premevano su di me perché passassi a GAVA. Dopo la manifestazione pubblica nella quale presi la parola su invito di Ciccio CATAPANO che sedeva a fianco a GAVA e che in tal modo voleva sancire davanti a tutti il mio passaggio con GAVA, in una sala privata incontrai GAVA che mi fu presentato da CATAPANO. CATAPANO testualmente disse "questo è Mario SANGIOVANNI, in passato si è "distratto", ma ora è con noi". Il valore emblematicamente espressivo della capacità mafiosa di Pasquale GALASSO e, attraverso lui, dell'organizzazione ALFIERI, di orientare la vita politica locale, modificando significativamente i rapporti di forza fra gruppi e schieramenti, non potrebbe forse trovare più eloquente rappresentazione. Correlativamente, risulta confermato il consapevole e programmato ricorso dei politici e, segnatamente e direttamente, anche dei maggiori esponenti campani della struttura politica facente capo al senatore GAVA, alla forza di intimidazione individuale e collettiva ed alla capacità di controllo territoriale delle medesime organizzazioni mafiose: alle quali si assicurano condizioni privilegiate di accesso ai flussi finanziari pubblici e atteggiamenti "benevoli" degli organi amministrativi. Il SANGIOVANNI, rende ulteriori dichiarazioni altamente indicative del clima nel quale si svolgeva la propria esperienza amministrativa: "Voglio dire che la mia esperienza politica è sempre stata caratterizzata da correttezza personale pur in periodi di grande difficoltà personale. Praticamente sono sopravvissuto "camminando in mezzo alle fiamme senza bruciarmi"". In pari data venivano assunte informazioni anche da LETTIERI Salvatore. LETTIERI negava di aver mai ricevuto l'appoggio elettorale della famiglia GALASSO, ammettendo di aver avuto semplici rapporti di "cortesia" dal 1986, ed indicava nel SANGIOVANNI il destinatario degli effetti elettorali della capacità d'influenza dei GALASSO. Ricostruisce, quindi, conformemente a quanto dichiarato dal GALASSO e dal SANGIOVANNI, la struttura gavianea del partito, organizzata attorno alle figure del vecchio Ciccio LIGUORI, di Achille MARCIANO, dell'avvocato CASO (successivamente dal GALASSO ucciso) e dei CATAPANO, indicati quanto a loro rapporti con i fratelli CASO come "una sola cosa". Afferma, infine, che anche in occasione delle elezioni politiche del 1987 l'aiuto elettorale della famiglia GALASSO privilegiò soltanto i candidati PATRIARCA e GAVA. Della campagna elettorale del 1987 PASQUALE GALASSO riferisce che: "Altra persona influente di quel periodo, di cui ho parlato, è Peppuccio Miranda, fedelissimo del Liguori e quindi del Gava. Il Miranda, allorché vi furono le politiche del 1987, venne da me chiedendomi di aiutare il Gava, che mi rimproverava una non coerente collocazione in occasione delle amministrative precedenti per l'appoggio dato al Lettieri di Pomicino, e temeva che avrei potuto ripetere l'appoggio già dato a quest'ultimo nel 1978. Pretendeva invece che io gli assicurassi l'integrità del pacchetto di 1500-2000 voti che il Gava aveva sempre raccolto in quel comune. Il Miranda insistette a lungo perché accettassi di ricevere il Gava nel corso di una riunione presso la mia abitazione, che io invece rifiutavo per evitare di evidenziare un mio schieramento con l'uno o l'altro politico. Fui invece incastrato dal Miranda e da Achille Marciano, i quali, dopo essermi venuti a trovare, sparsero la voce in paese che quella riunione vi era stata, tanto che venni rimproverato sia dai gavianei, per non averli chiamati, sia dal Lettieri, perché si sentiva tradito. In quelle politiche appoggiai più il Gava che il Pomicino (questi mi sembra che prese un centinaio di voti meno del Gava) soprattutto perché tenevo molto al Sangiovanni, ma aiutai anche il Lettieri per non perdere il buon rapporto con il Pomicino. Qualche anno dopo, per vari motivi e per mie esigenze commerciali mi rivolsi a Pag.37 Roberto Gava, tramite Antonio Bifulco ed il Gava mi contestò che il fratello Antonio si era sentito tradito dal mio comportamento in occasione delle precedenti politiche. Per avere il suo appoggio, io versai a Roberto Gava duecento milioni, ma su tutta questa storia ho già reso dettagliatissime dichiarazioni al pubblico ministero di Salerno. Nel settembre 1991, ricorda LETTIERI Salvatore, lamentando l'utilizzazione strumentale dei suoi rapporti di parentela con il pregiudicato Rosario ANNUNZIATA, il consiglio comunale di Poggiomarino veniva sciolto in applicazione della recente normativa dettata a tutela della vita politico-amministrativa dai condizionamenti mafiosi. 4) Nell'interrogatorio del 22 dicembre 1992, il GALASSO forniva, infine, alcune specifiche indicazioni dimostrative, a suo dire, del rapporto intrattenuto dal senatore Antonio GAVA con Michele D'ALESSANDRO, capo della organizzazione dominante in Castellammare di Stabia. Secondo il GALASSO, durante il periodo di co-detenzione nel carcere di Spoleto (luglio-agosto 1992), il D'ALESSANDRO gli aveva confidato "che in breve tempo si sarebbe risolta la sua posizione processuale grazie all'interessamento diretto del GAVA, con il quale manteneva ottimi rapporti tramite la sorella di quest'ultimo e i propri familiari". In quella circostanza il D'ALESSANDRO gli aveva raccontato che, durante il suo periodo di latitanza, si era incontrato spessissimo con il Gava proprio per chiedergli il suo interessamento per la sua posizione e per gli affari gestiti dal D'Alessandro stesso. Naturalmente, secondo il GALASSO, i contatti e gli incontri tra il Gava e il D'Alessandro erano stati molto più intensi quando quest'ultimo non aveva problemi con la giustizia. Il D'Alessandro, nonostante tali confidenze, non gli aveva parlato delle sue attività economiche legate al Gava, ma gli aveva fatto chiaramente intendere che a questi si rivolgeva per ogni necessità, fosse essa l'appalto da far aggiudicare a una determinata impresa, fosse il posto di lavoro da concedere a persone d'interesse. Queste le dichiarazioni rese dal GALASSO il 22 dicembre 1992 presso il carcere di Novara: "durante il passeggio, D'ALESSANDRO Michele mi riferì che in breve tempo si sarebbe risolta la sua posizione processuale grazie all'interessamento diretto del GAVA, con il quale manteneva ottimi rapporti tramite la sorella di quest'ultimo e i propri familiari. In quella circostanza, mi raccontò che durante il suo periodo di latitanza, si era incontrato spessissimo con il GAVA proprio per chiedergli il suo interessamento per la sua posizione e per gli affari gestiti dal D'ALESSANDRO stesso. Naturalmente, i contatti e gli incontri tra il GAVA e il D'ALESSANDRO erano stati molto più intensi, quando quest'ultimo non aveva problemi con la giustizia. Il D'ALESSANDRO, nonostante tali confidenze, non mi parlò delle sue attività economiche legate al GAVA, ma mi fece chiaramente intendere che a questi si rivolgeva per ogni necessità, sia essa l'appalto da far aggiudicare a una determinata impresa, sia il posto di lavoro da concedere a persone d'interesse". La vicenda della inopinata scarcerazione del D'Alessandro, effettivamente avvenuta alcuni mesi dopo, risulta talmente singolare da rendere meritevole di adeguata verifica l'indicazione del Galasso. Invero, il provvedimento di scarcerazione emesso dalla Procura generale di Napoli in data 1^ marzo 1993 risulta in palese ed insanabile contrasto con l'ordinanza emessa dalla Corte di assise di appello di Napoli in data 23 ottobre 1992 e con la sentenza emessa dalla Corte di cassazione in data 18 dicembre 1992 (su conforme parere del procuratore generale, le quali avevano concordemente stabilito la inapplicabilità al D'Alessandro dell'indulto di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1990 (doc. n. 9). Pag.38 Il provvedimento della Procura generale di Napoli disattende il principio di diritto fissato, nel caso specifico, dalla Corte di cassazione, e sorretto da costante giurisprudenza, per cui non è consentito applicare il principio di fungibilità ex articolo 657 del codice di procedura penale della detenzione cautelare con la pena inflitta per un reato commesso successivamente al periodo di custodia cautelare sofferto in relazione al primo procedimento. Con riferimento alla disponibilità del senatore Gava a far ottenere posti di lavoro a persone di interesse del D'Alessandro, un importante riscontro alla indicazione del Galasso proviene dalle dichiarazioni di altro collaborante, tale De Falco Silvio. Il De Falco, già appartenente al clan Imparato, e quindi avversario dei D'Alessandro, interrogato dal pubblico ministero in data 17 giugno 1992, riferiva testualmente: "Nel secondo incontro che ebbi con Imparato Umberto Mario nel 1990, il predetto, alle mie richieste circa la possibilità di reperirmi una attività lavorativa, rispose che, se non si fosse distaccato da D'Alessandro, avrebbe potuto, tramite sindaco (non fece nomi, né indicò il comune) farmi ottenere un posto di lavoro alle poste. Disse che il lavoro alle poste il sindaco lo avrebbe ottenuto tramite Patriarca e Gava e aggiunse che, nelle poste, D'Alessandro aveva sistemato centinaia di persone". Capitolo V LA POSIZIONE DEL SENATORE VINCENZO MEO Nell'ambito delle complesse attività di investigazione dirette a disvelare la trama delle relazioni criminose, imprenditoriali e politiche funzionali alle esigenze del clan ALFIERI delle quali si è ampiamente dato conto nel capitolo II della presente richiesta, emergevano, come già accennato, significativi elementi obiettivi di collegamento fra ALFIERI Francesco, il cui ruolo direttivo all'interno dell'organizzazione si è innanzi compiutamente delineato, e l'allora segretario provinciale della D.C., architetto Vincenzo MEO. Il giorno 25 febbraio 1990, sull'utenza numero 8234587/081 intestata e in uso a Francesco ALFIERI, veniva intercettata una telefonata fra il predetto esponente mafioso e l'architetto MEO, identificato dallo stesso ALFIERI nel corso dell'interrogatorio dinnanzi al pubblico ministero del 6 febbraio 1992. Il contenuto di tale comunicazione telefonica dimostra inequivocamente la consuetudine dei rapporti fra gli interlocutori, la deferenza che il MEO dimostra verso l'ALFIERI (al quale continua a rivolgersi con il "voi" mentre l'altro passa al "tu"), la natura illecita dell'oggetto del comune interesse (il carattere ermetico del discorso e la cautela dei colloquianti lo rivela indubitabilmente: ne è conferma, poi, la reticenza di ALFIERI sul punto specifico nell'interrogatorio). La riproduzione del testo della conversazione vale a darne eloquente rappresentazione. Chiamante: ALFIERI Francesco (A), Chiamato: MEO Vincenzo (M), M: Pronto? A: buongiorno, c'è l'architetto per piacere, sono Francesco Alfieri... M: Oeh! buongiorno, sono io, come state? A: Oeh! (ride) eh! presidente come state? M: Come andiamo... non c'è male, voi? A: E ringraziamo Dio tiriamo avanti che dobbiamo fare, un po' bene e un po' male... M: eh! A: I fastidi non mancano mai... M: Eh! Eh! come andiamo.. A: bene grazie... volevo domandare quel fatto che parlammo l'altra domenica... M: Uhm! e ci vuole ancora qualche giorno... A: va bene, va bene... M: Eh! A: vi ho chiamato tanto per... Pag.39 M: va bene.. A: Vi devo venire a trovare... M: quando volete.. A. Eh! M: va bene, comunque (non comprensibile)... io a voi... A: va benissimo.. M: va bene? A: allora mi dai un colpettino di telefono.. M: Sì, sì, sì, vi dò un colpo di telefono... A: grazie infinite... M: Eh! figuratevi... A: anche a voi, arrivederci... M: arrivederci. Ulteriore segno della continuità di contatti fra ALFIERI Francesco e MEO è costituito dalla conversazione del 1^ marzo 1990, ore 21,14, intercettata sull'utenza n. 8297957/081 intestata e in uso al primo. Nella conversazione DE FALCO Salvatore, così individuato dall'ALFIERI (trattasi del fratello del sindaco di Saviano, Giuseppe), dopo aver composto il numero dell'utenza privata del MEO, discorre con un collaboratore di quest'ultimo, tale ALDO, dal quale apprende dello svolgimento di una riunione fra MEO e persone indicate come "il gruppo dei dirigenti di Nola" ed annuncia che si porterà subito presso l'abitazione di MEO. Tali conversazioni si inseriscono compiutamente nella rete di relazioni politiche ed istituzionali organizzata attorno a sé da ALFIERI Francesco e nella quale si esprime la capacità di orientamento delle scelte delle amministrazioni locali e di controllo elettorale già oggetto di esposizione. Il quadro già delineato di diffusione della potenza condizionante dell'organizzazione camorrista egemone consente di apprezzare con obiettività la forza della spinta alla distorsione delle potestà pubbliche riconosciute alla titolarità delle istituzioni soprattutto locali in funzione del perseguimento di interessi diversi da quelli pubblici e segnati dall'appartenenza alla sfera mafiosa. Soprattutto, tali immediati e diretti dati di collegamento fra MEO e ALFIERI Francesco valgono a confermare il consapevole ruolo svolto dal primo di raccordo fra la funzione di influenza politico-amministrativa esercitata nell'area nolana dalla dirigenza gavianea del partito democristiano e l'area di interessi dell'organizzazione mafiosa di Carmine ALFIERI, così come emergente dal quadro probatorio tracciato dalle dichiarazioni rese da Pasquale GALASSO e dai contributi testimoniali raccolti. Reiteratamente, nel corso degli interrogatori dinanzi al pubblico ministero - alcuni dei quali già riportati - Pasquale GALASSO assegna all'architetto Vincenzo MEO il ruolo di "grande mediatore" degli interessi economici coinvolti nelle trame delittuose delle strutture organizzative collocate in posizione egemonica sia sul versante politico che su quello criminale. Siffatto ruolo di cerniera si staglia con nitida precisione di contorni nella fondamentale area di interesse economico-finanziario definita dall'illecito orientamento delle potestà pubbliche in tema di assetto edilizio ed urbanistico del territorio. Le dichiarazioni di Pasquale GALASSO documentate nel verbale di interrogatorio del 17 settembre 1992 sono straordinariamente emblematiche della generale condizione dinanzi descritta. Riferisce GALASSO che: "... Carmine (Alfieri) era divenuto personaggio di estrema importanza camorristica... Una volta ricordo che mi propose di acquistare dei terreni in Nola il cui proprietario era un commercialista che abita in Roma, dottor D'Avanzo. Andai all'appuntamento con questo accompagnato da Geppino Autorino (poteva essere il 1986 o 1987). L'incontro avvenne nella casa di tale geometra Franzese, che abita sulla strada fra Nola e Piazzolla. Ero preoccupato in quanto mi sembrava che l'Autorino fosse latitante. In quella sede eravamo presenti io, Autorino, il Franzese, il D'Avanzo, sua moglie (mi pare sorella del notaio Napolitano di Nola). Da una richiesta iniziale di circa un miliardo, e Pag.40 dopo che quegl'incontri si reiterarono per trovare un accordo, giungemmo ad un compromesso per la cessione dei suoli per 600 milioni. Prima che sottoscrivessimo il compromesso, in un incontro diretto, l'Alfieri mi chiese di intestarmi questi suoli, ma io mi opposi, in quanto ero ancora sottoposto a vincoli della legge antimafia. Ci accordammo allora, su sua richiesta, perché i suoli venissero intestati a mio cognato Saporito Saverio. Alla richiesta del D'Avanzo di ricevere un anticipo in contanti, l'Alfieri, garantendomi che avrei immediatamente recuperato il denaro poiché aveva intenzione di rivendere subito dopo, mi convinse a versare quest'anticipo, per 150 o 180 milioni. Controllerò se sono ancora in possesso di una copia di tale compromesso. Versato questo denaro, firmammo il compromesso. Subito dopo fui richiamato dall'Alfieri, il quale mi chiese di preparare un progetto per lottizzare e costruire su questo suolo di circa 24.000 mq. e di richiedere su esso le concessioni edilizie. Mi disse anche che mi avrebbe procurato un appuntamento con un amministratore importante del nolano, cui avrei dovuto condurre un tecnico di mia fiducia perché si potesse concordare come condurre l'operazione edilizia. In un successivo appuntamento, l'Alfieri mi procurò un appuntamento con l'architetto Vincenzo MEO (già all'epoca dirigente della DC provinciale e persona di fiducia dell'onorevole Gava; oggi senatore), con studio in Nola: mi incontrai con lui una prima volta in una masseria in Saviano, sulla strada verso Piazzolla, che sapevo esser in proprietà di un parente di Carmine Alfieri, generale in pensione; non ricordo se in quell'occasione fosse presente anche il tecnico di mia fiducia, l'architetto Supino, di Nocera, che sapeva che il terreno era mio. In quest'incontro si parlò della planimetria del suolo e dei conseguenziali indici di fabbricabilità del suolo. Disse anche che le difficoltà erano enormi, e che avrebbe dovuto assumere altre informazioni. Ci accordammo per incontrarci nuovamente presso lo studio dell'architetto Meo, e questa volta sono certo che fosse presente anche il Franco Supino, circa una settimana dopo. Credo fosse la fine del 1987. In quest'occasione il Meo ci confermò le difficoltà, e ci chiese ancora alcuni giorni. Ci disse però di recarci dal tecnico del comune di Nola, geometra De Falco, dove mi recai sempre insieme al Supino. Il De Falco si mise a nostra disposizione, ci confermò che i problemi erano notevoli, che vi era stato anche un esproprio parziale di questi suoli per la costruzione di edificio scolastico, si scambiò il numero di telefono con il Supino, e concordammo un ulteriore incontro a pochi giorni. Il Supino, dopo quell'incontro, mi disse che aveva bisogno di associarsi nell'incarico il suo collega Nando Orza, di Sarno, con il quale io avevo già avuto rapporti professionali. Passarono alcuni giorni ed il Supino (che stava facendo lavori a casa mia) mi disse che il De Falco lo aveva chiamato per dirgli che aveva studiato come redigere il progetto in maniera che consentisse il rilascio delle concessioni. In quest'incontro spiegò al Supino la situazione edilizia dei suoli, facendo capire che comunque il Meo avrebbe proseguito ad esercitare la sua influenza sulla commissione edilizia e sul comune. Del resto lo stesso Meo, nel corso dei nostri precedenti incontri, ci aveva chiaramente detto che avrebbe seguito personalmente l'iter della pratica presso il comune di Nola. In seguito a quest'incontro il Supino e l'Orza presentarono richiesta di rilascio di concessione, che ottenemmo regolarmente. Preciso che mi sembra che il De Falco sia ingegnere e non geometra. Mi sembrò di capire che la scappatoia usata per ottenere le concessioni fu quella di offrire al comune la costruzione di una piazzetta che servisse la scuola che doveva esser costituita nei pressi. Mi sembra che si trattasse di circa mc. 10.000. Contestualmente, nel corso di uno dei nostri consueti incontri, l'Alfieri mi disse che mi avrebbe inviato alcuni acquirenti di questo suolo. .. Il Franzese mi propose diversi acquirenti, ma i prezzi che mi faceva erano giudicati dall'Alfieri (al quale immediatamente li comunicavo) troppo bassi. Io venni poi arrestato per estorsione dai carabinieri di Torre Annunziata Pag.41 (insieme a mio cognato Saverio Saporito) e rimasi detenuto in carcere otto mesi. Nel frattempo il D'Avanzo si agitò molto, e ci diffidò a concludere il definitivo ovvero a risolvere il compromesso. Fra l'altro era scaduta anche la data in cui avremmo dovuto versare un ulteriore acconto di 200 milioni. Questa somma fu procurata dall'Alfieri, dopo che avevo fatto cadere le sue richieste di procurarle io". L'attendibilità del narrante ha già trovato verifiche estrinseche su aspetti decisivi della ricostruzione e, segnatamente: la sua effettiva presenza operativa nella gestione degli interessi economici in gioco in conseguenza dell'acquisto a fini speculativi del fondo "feudo di cannice" (dichiarazioni al pubblico ministero del venditore D'AVANZO Enrico, del mediatore FRANZESE Giovanni, degli architetti SUPINO Francesco ed ORZA Ferdinando); l'effettivo succedersi delle attività negoziali ed esecutive secondo le modalità ed i tempi descritti dal collaborante, e confermati dai testi esaminati; la stessa presenza all'incontro con il venditore di Giuseppe AUTORINO, notoriamente alter ego di Carmine ALFIERI, è circostanza che, infine, lo stesso mediatore FRANZESE (già chiamato in passato da ALFIERI ad intervenire nel regolamento di analoghi suoi interessi) non esclude; soprattutto , lo studio preliminare di "fattibilità" del disegno lottizzatorio e speculativo ed i primi contatti diretti con l'amministrazione ebbero luogo per il tramite e su indicazione dell'architetto MEO, in difetto di qualsivoglia incarico professionale ovvero amministrativo di intervento diverso dalla posizione di garante degli interessi mafiosi sottostanti; tale intervento di "indirizzo" si realizzò a seguito di incontri avuti dal MEO direttamente con Pasquale GALASSO il ruolo di rappresentante negoziale di Carmine ALFIERI appare indubbio (cfr. dichiarazioni citate di ORZA e SUPINO). Le dichiarazioni dell'architetto ORZA Ferdinando e dell'architetto SUPINO Francesco, progettisti designati fiduciariamente dal GALASSO, confermano appieno il ruolo del MEO. Dichiara ORZA al pubblico ministero: "Prima ancora di contattare l'ufficio tecnico di Nola, per iniziativa del GALASSO, unitamente a quest'ultimo, il SUPINO ed io incontrammo l'architetto MEO da noi non conosciuto in precedenza ... Fu il GALASSO a dirci che il MEO ci avrebbe dato le indicazioni necessarie alla realizzazione del progetto. ... Non ricordo se a seguito di indicazione del MEO ovvero per nostra iniziativa, prendemmo successivamente contatto con il dirigente dell'ufficio tecnico di Nola, ingegner DE FALCO. Da costui avemmo conferma che si poteva realizzare un intervento edilizio nei termini già individuati nell'incontro con il MEO". Dello stesso tenore sono le dichiarazioni sul punto dell'architetto SUPINO: "L'intenzione del GALASSO era quella di utilizzare l'intero fondo a scopo edilizio nei limiti dello strumento urbanistico vigente. Ciò, a parere mio e dell'ORZA, non era possibile in assenza di un piano di lottizzazione. Se ben ricordo ... vi erano anche dei problemi scaturenti dalle prescrizioni del programma di fabbricazione. Un giorno Pasquale GALASSO ci comunicò che dovevamo incontrare l'architetto VINCENZO MEO". L'intera operazione speculativa, ricondotta dal GALASSO, si è visto attendibilmente, all'influenza politica del MEO e alla volontà speculativa del vertice dell'organizzazione mafiosa, si realizzò illegalmente. L'amministrazione comunale nolana consentiva, infatti, alla realizzazione di un vero e proprio intervento lottizzatorio in assenza di qualsivoglia, relativa, convenzione; venivano rilasciate concessioni edilizie in spregio delle norme di salvaguardia connesse all'intervenuta adozione del piano regolatore generale e delle previsioni Pag.42 di esso; veniva omessa l'adozione del prescritto nulla-osta paesistico così sottraendosi la materia alle competenze dell'autorità preposta alla tutela del vincolo; veniva espletata un'istruttoria tecnica ed amministrativa tesa unicamente ad evitare ogni doverosa e pur minima verifica di legalità ed opportunità. L'allegata relazione dei consulenti tecnici professor Sebastiano Conte ed architetto Massimo D'Ambrosio vale a ricostruire compiutamente l'incredibile sequela di omissioni, artifici ed abusi attraverso i quali trovò approvazione l'intervento speculativo promosso da Carmine ALFIERI e Pasquale GALASSO (doc. n. 12). La vicenda descritta è in sé emblematica ed obiettivamente rilevante al fine della dimostrazione indiziaria della consapevole partecipazione attiva del senatore MEO agli scopi di reimpiego speculativo di capitali mafiosi nell'ambito di una più ampia posizione di influenza politico-amministrativa a lui assegnata in ragione dei legami di appartenenza al gruppo gavianeo, dominante nel nolano (cfr. anche dichiarazioni al pubblico ministero dell'architetto DE FALCO Vittorio, doc. n. 13). La consapevolezza della relazione di reciprocità strumentale con l'organizzazione mafiosa è nel senatore MEO tale che egli, secondo GALASSO, giunge a richiedere a Carmine ALFIERI di organizzare un simulato attentato dinamitardo contro il proprio studio professionale al fine di occultare il vincolo associativo ed anzi apparire come una vittima della camorra. L'episodio dell'attentato narrato da GALASSO, certamente in grado di ricevere confidenze del genere di quella riferita da Carmine ALFIERI, è risultato effettivamente dotato di storicità di dimensione (cfr. annotazione di polizia giudiziaria del 27 marzo 1993: doc. n. 14). Il quadro indiziario convergente sulla posizione del senatore MEO nel senso della sua stabile partecipazione alle finalità dell'organizzazione ALFIERI appare tale da rendere necessario proseguire le attività investigative. Capitolo VI LA POSIZIONE DELL'ONOREVOLE ALFREDO VITO La richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'onorevole Vito si fonda sulla necessità di approfondire gli intrecci esistenti fra rappresentanti delle istituzioni e la camorra, che sono emersi dalle indagini seguite alle dichiarazioni di Pasquale GALASSO e di altri, che si preciseranno nel prosieguo della presente nota. Afferma sul punto il GALASSO: "Relativamente a VITO Alfredo ebbi modo nel 1991-92 di avvicinarlo approssimandosi il giudizio di appello a seguito della condanna a 10 anni per associazione ed estorsione. Da tempo sentivo parlare del VITO Alfredo come politico vicino al clan ALFIERI tramite ...omissis... sindaco di S. Giuseppe Vesuviano, carica imposta sul comune da Mario FABBROCINO, Franco AMBROSIO e Biagio BIFULCO, che aveva intimidito tutti i consiglieri. Fu così che consigliato da ALFIERI Carmine decisi di avvicinare il VITO Alfredo; in questo modo si otteneva un risultato positivo per me e per l'organizzazione. In quel periodo ero latitante ma avevo ottimi rapporti con l'ex sindaco di Saviano ...omissis... Avvicinai il VITO Alfredo nella prospettiva delle elezioni politiche del 1992. ALFIERI aveva piena fiducia del ...omissis... e ritenne che il suo intervento fosse sufficiente a fare avere alla cosa esito positivo. Siamo nel periodo luglio-settembre 1991. Il ...omissis ... mi disse che potevamo nutrire buone possibilità dell'interessamento del VITO alle mie vicende, in cambio gli avrei dovuto promettere il mio interessamento sul clan ALFIERI, in senso lato, per un appoggio consistente sull'elettorato. Fu così che il ..omissis ... insieme a mio fratello (omissis) , il quale non faceva nulla rappresentandomi solo come familiare, prese ad andare a trovare il VITO Alfredo nella sua segreteria politica a Napoli. Il ...omissis ... mi riportava i discorsi che riusciva ad avere con il VITO, preparatori al nostro incontro, che come Pag.43 ho detto era stato consigliato dallo stesso ALFIERI, perché una volta che vi avesse consentito avrebbe sancito la piena disponibilità di un altro uomo politico agli affari della organizzazione. Fu così che il ...omissis ... mi spiegava come aveva detto al VITO "di non prendere il treno GALASSO", che significava per lui avere il consistente appoggio di ALFIERI Carmine, Mario FABBROCINO e i voti delle amministrazioni dagli stessi controllati ...omissis ... Fu così che, per un complesso di cose, nel mese di settembre 1991, il ...omissis... mi informò che avrei potuto incontrare il VITO Alfredo, il quale si era convinto dell'enorme importanza del mio appoggio elettorale. L'occasione scelta fu quella di una riunione politica nell'abitazione del ...omissis... Infatti io mi portai nell'abitazione di ...omissis ... attendendo di incontrare il VITO al momento più opportuno. La cosa che mi fece quasi ridere fu che sentendo discorsi che venivano fatti dal futuro parlamentare udii il VITO parlare anche di contrastare la camorra e di lì a poco lo avrei incontrato pur essendo latitante. Fu così che ad un certo punto vennero nell'abitazione del ...omissis... il VITO Alfredo ...omissis... Il VITO fece finta di non sapere che era preparato a detto incontro, chiedendo al ...omissis ... chi ero, ed appreso il mio nome mi manifestò la sua meraviglia nel vedermi come una persona giovane, per bene. Sapeva certamente della mia latitanza anche perché altrimenti diverso sarebbe stato il luogo del nostro incontro, eppoi i giornali mi avevano ben illustrato. Mi riferì che aveva ben compreso la mia situazione, promettendomi di interessarsi perché aveva buone amicizie tra i giudici, in particolare per il mio processo alla Corte d'appello di Napoli. Dopo l'incontro con il VITO, il ...omissis ... mi fece sapere che era opportuno un rinvio dell'udienza che era fissata mi sembra al 21 settembre 1991 e ciò per dar modo al VITO di potersi interessare efficacemente. Anzi, i miei avvocati erano contrari a presentare un'istanza di rinvio, perché, per motivi tecnici che non sono in grado di precisare, alla data del 19 ottobre 1991 sarebbero scaduti i termini per la scarcerazione di mio fratello CIRO e di SAPORITO Saverio, e il rinvio avrebbe fatto slittare questo termine. Io insistei sul rinvio ...omissis... Puntavo tutto su VITO ALFREDO che, come mi riferiva il ...omissis ... certamente si stava interessando invogliato dalla prospettiva di poter avere il formidabile aiuto elettorale del clan ALFIERI, che come ho detto disponeva di un buon serbatoio elettorale sul territorio dallo stesso controllato. Negli incontri che avevo con ALFIERI Carmine gli riferivo anche l'esito dell'interessamento di VITO, e lui mi incoraggiava dicendomi che i politici sono disposti ad ogni cosa pur di avere voti. Diceva ancora che VITO era giovane e sarebbe diventato un personaggio molto utile. Approssimandosi le elezioni io inviavo messaggi ai personaggi politici presenti nei vari comuni ... omissis... Il VITO era ben consapevole dell'appoggio politico di tutto il clan ALFIERI e della sua organizzazione. Il mio appoggio era la sua definitiva sicurezza di poter contare su tutto il potere criminale del suo territorio elettorale. Dopo la sentenza, del marzo 1992, che mi aveva assolto con i miei familiari dall'accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico, mi mandò a dire il VITO Alfredo, tramite il ...omissis ... che mi aveva accontentato, si trattava di un ottimo risultato e che di più non si poteva ottenere. In effetti mio padre era stato assolto completamente, unitamente a mio cognato SAPORITO Saverio, ed erano state ridotte le pene agli altri imputati. Io rispettai gli accordi che c'erano stati e che il ...omissis ... mi ricordò, e così ritengo che il VITO ha usufruito pesantemente del voto camorristico". Altre dichiarazioni del GALASSO sul VITO sono state rese il 22 dicembre 1992 nel carcere di Novara: "Domanda: prosegua nelle dichiarazioni relative ai rapporti fra persone del mondo politico e Carmine Alfieri, se esistono. Risposta: tali rapporti esistono e vi sono coinvolte numerosissime personalità Pag.44 del mondo politico. Fra queste la più importante figura è sicuramente quella del senatore Antonio GAVA (omissis). Di fatto tutte queste persone o quasi tutte erano altresì in strettissimo rapporto con Carmine Alfieri, e gli assicuravano sia una potentissima base elettorale (passata all'onorevole Vito in queste ultime elezioni) ed anche una solidissima ed efficiente cerniera per la gestione di quel meccanismo di appalti e subappalti di cui ho parlato (omissis). E' fin troppo ovvio che, al momento delle elezioni, questi rapporti privilegiati fra le rete politica elettorale di un uomo politico e l'organizzazione criminale si trasformava in appoggio sul voto. E il meccanismo era lo stesso già così ben sperimentato nel settore degli appalti e subappalti, sicché i pacchetti di voti di notevolissima consistenza che l'organizzazione criminale era in condizione di gestire, veniva divisa a tavolino fra i vari partiti politici e, al loro interno, fra i rappresentanti di fiducia dell'organizzazione. Nelle ultime elezioni ad esempio è sorto qualche contrasto in quest'organizzazione perché Alfieri ha dovuto suddividere (con il Cesarano e gli altri affiliati) i suoi voti nell'intera Campania fra la DC ed il PSI, come in seguito dirò. Per questo l'intero pacchetto dei voti controllati dal Gava attraverso l'Alfieri non passò per intero all'onorevole Vito, ma fu riversato anche su alcuni esponenti socialisti, quali l'onorevole Mastrantuono ed (omissis)". Ancora, nell'interrogatorio del 19 marzo 1993, nel carcere di Biella, il GALASSO ulteriormente precisa: "Nelle politiche del 1992, come ho già detto, Carmine Alfieri si pose il problema di dividere il notevolissimo pacchetto di voti di cui disponeva fra il Vito, diretto referente e successore nominato del Gava ed alcuni socialisti. Io nel 1992, come pure ho già detto, ho appoggiato il Vito, interessando nel corso della campagna elettorale tutti i capi-elettori dipendenti dall'organizzazione criminale, quali alcuni sindaci della zona vesuviana, quali (omissis) a Saviano e Boscoreale, (omissis) a S. Giuseppe Vesuviano (questi erano incerti se schierarsi con altro candidato doroteo di cui non ricordo il nome, ed io li convinsi, ricorrendo al mio rapporto con l'Alfieri), (omissis) in Pompei; in Poggiomarino lo appoggiai fortemente, e prese credo oltre mille voti". Queste le dichiarazioni di GALASSO che, allo stato, offrono tuttavia uno spaccato inquietante sui rapporti che sono intercorsi tra l'onorevole VITO e il clan ALFIERI. Né si può tacere che effettivamente il GALASSO è stato assolto dall'imputazione più grave di organizzatore di associazione di stampo camorristico e che è ancora pendente il procedimento per la confisca dei suoi beni, dopo che la Corte di cassazione ha annullato un precedente decreto della Corte d'appello di Napoli sezione misure di prevenzione. Ulteriori elementi di turbativa, derivanti da uno stretto intreccio tra interessi politici e camorristici, si rinvengono in indagini che riguardano una USL campana, ai cui vertici risultano essere state imposte, politicamente, persone legate all'onorevole VITO e che da questi riceverebbero disposizioni e a questi renderebbero conto delle loro decisioni manageriali. In ordine a quanto detto e sull'aspetto di quello che è lo strumento, ormai noto, del pagamento di tangenti, quale mezzo di corresponsione di utilità personali e di finanziamento di gruppi politici, valga per tutte quanto ha dichiarato a verbale una persona, di cui allo stato, per motivi di cautela processuale, non si indicano le generalità: "La suddivisione delle tangenti avviene secondo criteri e modalità da me già indicati in precedenti interrogatori. Tale sistema, nei suoi elementi costitutivi, sia personali che pratico-organizzativi, garantisce anche gli interessi delle organizzazioni mafiose locali, le quali partecipano alla metodica aggressione degli interessi economici degli imprenditori contrattualmente legati alla USL, così come già spiegato nei precedenti interrogatori. Ribadisco che agli esponenti politici locali prima nominati fanno capo gli interessi Pag.45 economici dei vari clan, dei quali gli stessi sono, quando non organica espressione, referenti ...omissis ... I legami politico-mafiosi anzidetti naturalmente hanno una valenza elettorale della quale tutti i partecipanti sono perfettamente consapevoli ...omissis ... In zone significative del comprensorio della USL l'onorevole VITO ha ottenuto risultati quasi plebiscitari e ciò in particolare so essersi verificato nella sezione della zona del quadrilatero delle carceri e di quella di Torre centrale entrambe in Torre Annunziata". Quanto appena detto, pur riguardando altra indagine, è fondatamente connesso con il procedimento nei confronti del clan ALFIERI in tutte le sue espressioni, dal momento che vi sono in comune personaggi legati a questa organizzazione, sul cui operato e sul cui ruolo questo ufficio sta indagando in maniera approfondita. Ciò che si vuol sottolineare è che il controllo, anche delle sole forniture alle strutture di una USL, passa sovente attraverso l'accordo perverso tra amministratori, a loro volta referenti di un gruppo politico, e organizzazioni criminali. Il riferimento nelle dichiarazioni indicate all'onorevole VITO non è casuale dal momento che il territorio su cui si esercita detto controllo costituisce da un lato la sua principale base elettorale e dall'altro la zona di influenza del più pericoloso ed articolato clan camorristico, appunto quello di Carmine ALFIERI il cui appoggio elettorale sarebbe stato garantito proprio da Pasquale GALASSO. Capitolo VII LA POSIZIONE DELL'ONOREVOLE RAFFAELE MASTRANTUONO Il complessivo quadro di sostanziale sovrapposizione ed effettiva interazione funzionale fra rete politico-elettorale e il sistema di interessi criminali facente capo al clan Alfieri rivela vieppiù i suoi connotati di pericolosità in presenza della dimostrata capacità dell'organizzazione mafiosa di assicurarsi il collegamento con una pluralità di soggetti politici, anche di diversa estrazione. In tale contesto va esaminato il valore degli elementi indizianti che univocamente e gravemente caratterizzano le posizione dell'onorevole MASTRANTUONO, deputato del PSI e già vice-presidente della Commissione giustizia della Camera. Nel corso dell'interrogatorio del 21/22 dicembre 1992, il collaboratore Pasquale GALASSO riferiva della capacità dell'organizzazione camorristica dell'ALFIERI di diversificare, secondo i propri interessi, il consenso elettorale controllato riversandolo anche su candidati appartenenti a varie formazioni politiche e, fra questi, in particolare, sul candidato socialista MASTRANTUONO. Riferisce sul punto il GALASSO, alla domanda di chiarire precedenti accenni sul punto: "Si sapeva da tempo che il Mastrantuono aveva collegamenti con il clan Alfieri, perché aveva fatto in modo che (omissis) avesse gli arresti domiciliari, dopo di che questi si era reso irreperibile. Ho poi avuto la prova dei suoi stretti rapporti con Alfieri Carmine e i suoi affiliati. Infatti il Mastrantuono si interessò per (omissis) detenuto per rapine commesse in alta Italia. Il (omissis) aveva sposato una sorella del (omissis) ucciso in (omissis) nel 1984 nello scontro Nuvoletta contro Fabbrocino. Il (omissis) era cugino di (omissis) . So che il Mastrantuono si era interessato per fare avere permessi per il (omissis), che era detenuto a (omissis) e aveva brigato per farlo uscire in libertà. La liberazione di (omissis) che era stata una vera e propria condizione di (omissis) per fare avere al Mastrantuono un appoggio elettorale. Queste cose le ho sapute parlando con Alfieri Carmine e (omissis). Ricordo che prima delle elezioni l'Alfieri aveva difficoltà a distribuire i voti tra vari politici che egli appoggiava, cioè Vito, Mastrantuono, (omissis) Meo, perché la cosa non si presentava facile. So tutto questo perché avevo chiesto all'Alfieri se si poteva chiedere al Mastrantuono di aiutarmi nelle mie vicende giudiziarie, proprio con Pag.46 le sue amicizie con i giudici. L'Alfieri mi rispose che il Mastrantuono si stava interessando per far tornare libero il (omissis) prima del Natale 1991, e che dopo si sarebbe dovuto interessare dei suoi problemi. Ricordo che poco tempo prima delle elezioni, circa un mese prima, mi trovavo, nel tardo pomeriggio, con Carmine Alfieri all'aperto, a una cinquantina di metri, forse meno, anzi a dieci-quindici metri dalla casa di Pasquale Aliperti ed un centinaio di metri da dove è stato arrestato Alfieri. Alfieri mi disse che doveva arrivare Mastrantuono in quanto, come gli aveva anticipato (omissis) si trovava in difficoltà perché le previsioni lo davano perdente e quindi era necessario il suo aiuto personale per fargli avere la differenza di voti necessaria alla sua elezione. Ad un certo punto vidi arrivare due macchine da una delle quali vidi scendere una persona che riconobbi per l'onorevole Mastrantuono, che conoscevo bene per averlo visto in televisione e sui giornali. Il Mastrantuono fu fatto entrare nell'abitazione del Pasquale Aliperti, il quale avvicinandosi all'Alfieri gli disse: "don Carmine, il signore è arrivato". Preciso che il Mastrantuono era accompagnato da (omissis) che era uscito dal carcere. Come lei mi chiede, non si avvicinò (omissis) all'Alfieri perché doveva far entrare e accompagnare il Mastrantuono in casa dell'Aliperti. L'Alfieri mi lasciò rappresentandomi l'inopportunità, perché anch'io latitante, di partecipare all'incontro con il Mastrantuono. Nei giorni successivi quando rividi l'Alfieri, questi mi disse che avrebbe impegnato tutta la sua autorità per fare in modo da fare eleggere il Mastrantuono, il quale si era impegnato a sua volta ad aiutarlo in tutti i modi nel suo procedimento penale pendente alla procura con riferimento a tutte le indagini nei suoi confronti, compreso il triplice omicidio Pizza. So che l'aiuto poi c'è stato perché se andate a vedere il Mastrantuono ha avuto voti in comuni, come San Paolo Belsito, dove lo stesso non è assolutamente conosciuto, e così nelle piccole frazioni come Pozzo Ceravolo ed altri". Le persone coperte da omissis sono pericolosissimi pregiudicati, indagati nel corso del presente procedimento. Il racconto di GALASSO, in sé logicamente coerente ed attendibile, possiede valore indiziario della consapevole partecipazione del MASTRANTUONO agli obiettivi tipicamente propri dell'organizzazione mafiosa di assicurazione ai propri aderenti di condizioni di privilegiato trattamento processuale e carcerario. Siffatta dimensione probatoria è obiettivamente corroborata dalla vicenda, autonomamente accertata da quest'ufficio, dell'intervento dell'onorevole Mastrantuono sui giudici della III sezione penale del Tribunale di Napoli chiamati a pronunciarsi sulla proposta di applicazione di misura di prevenzione nei confronti di NOCERA Bruno, indiziato di appartenenza all'area di criminalità mafiosa raggrumata attorno alla figura di Antonio BARDELLINO e poi del noto latitante Umberto AMMATURO (cfr. allegato decreto del Tribunale e dichiarazioni al pubblico ministero del dottor Giannelli: doc. n. 15, 16 e 17). Tali referenti criminosi del "raccomandato" appaiono vieppiù gravi ed eloquenti ove si consideri che il collegamento di BARDELLINO all'organizzazione ALFIERI è inequivocamente dimostrato dalla vicenda dell'omicidio di Ciro NUVOLETTA e che i rapporti fra AMMATURO ed ALFIERI, oltre che dalle dichiarazioni di Pasquale GALASSO, sono attestati dall'incontro, fotograficamente documentato, avvenuto nel giugno 1992 in Roma, dei rispettivi luogotenenti, Ciro MARESCA per AMMATURO e Ferdinando CESARANO e Marzio SEPE per ALFIERI. La vicenda in parola, prontamente denunciata al presidente del Tribunale di Napoli dai giudici Angela Cirillo e Fernando Giannelli, comprova al di là di ogni dubbio la stabile disponibilità del MASTRANTUONO ad avvalersi del prestigio della propria altissima carica istituzionale al fine dell'assicurazione di benevoli trattamenti processuali in favore di persone legate ad ambienti di criminalità mafiosa. Pag.47 Questo il documento: "Il giorno 3 ottobre 1989 ... nella camera di consiglio della sezione ... il segretario giudiziario ... comunicava che l'onorevole MASTRANTUONO, tale qualificatosi, già presente in aula d'udienza da un po' di tempo, chiedeva con insistenza di parlare con i giudici ... l'onorevole MASTRANTUONO ... presentatosi nella qualità e nella veste di vicepresidente della Commissione giustizia della Camera ... comunicava di essere venuto per "segnalare" la posizione di tale NOCERA Bruno, proposto dalla procura della Repubblica per la sottoposizione a misura di prevenzione ai sensi della legge n. 575 del 1965, come integrata dalla legge n. 646 del 1982 (antimafia), facente parte di un più ampio procedimento contro Rea Francesco ed altri, già riservato per la decisione.... A tanto gli esponenti ... hanno immediatamente invitato l'onorevole ad accomodarsi fuori, reiterando l'invito con maggior fermezza allorché l'onorevole, stupito della reazione, invitava i giudici a non "preoccuparsi"". L'esposizione degli avvenimenti contenuta nella nota indirizzata al capo dell'ufficio dai giudici Cirillo e Giannelli vale a rappresentare la gravità istituzionale e giuridica del comportamento dell'onorevole MASTRANTUONO, al quale la successiva narrazione del GALASSO risulta attribuire inequivoca ed oltremodo inquietante valenza dimostrativa di consapevoli e strumentali rapporti con organizzazioni criminose. Un'ulteriore conferma della capacità della organizzazione criminale di dispiegare, anche attraverso i propri referenti politici, interventi e pressioni sulla magistratura diretti ad "aggiustare i processi" può esser colta in altre pagine di questo procedimento, che sono state trasmesse alla competente autorità giudiziaria di Salerno, in quanto riguardanti magistrati che hanno svolto le loro funzioni in uffici del distretto di Napoli. Capitolo VIII LA POSIZIONE DELL'ONOREVOLE PAOLO CIRINO POMICINO L'ipotesi accusatoria allo stato formulabile nei confronti dell'onorevole Paolo Cirino Pomicino è più complessa. Essa prende le mosse dal rapporto esistente fra il suddetto parlamentare ed il fenomeno della cosiddetta ricostruzione post -terremoto nei termini in cui il meccanismo che ha governato tale fenomeno è stato descritto dal GALASSO: val la pena di ricordare quella pagina. "In effetti, com'è chiaro, il rapporto fra i politici e gli amministratori da una parte, gli imprenditori da un'altra ed i camorristi da altra ancora trova una sua completa realizzazione e totale fusione nel meccanismo degli appalti. In particolare, per tutto quanto ho potuto constatare di persona, nel corso della mia attività imprenditoriale e della mia frequentazione con Carmine Alfieri ed altri camorristi o imprenditori, mi è risultato evidente che il politico che gestisce il finanziamento dell'appalto e quindi l'assegnazione dello stesso o della relativa concessione fa da mediatore fra la ditta quasi sempre del settentrione o del centro Italia, di notevolissime dimensioni, e la camorra. Tale mediazione avviene imponendo all'impresa suddetta sia una tangente a lui stesso od ai suoi rappresentanti diretti, sia l'assegnazione di subappalti a ditte controllate direttamente dalle organizzazioni camorristiche. Il rapporto diviene più complesso allorché alla ditta principale vengono affiancate, in condizioni di parità nel lavoro, ditte locali: in questo caso avviene una gestione complessiva dell'operazione da parte di politici, imprenditori e camorristi direttamente rappresentati, in totale fusione. Comunque, nel momento in cui la ditta incaricata del lavoro viene in contatto con il capo camorra che controlla la zona, è tenuta a versare una tangente anche a lui ed alla sua organizzazione. Pag.48 Voglio anche far presente che le ditte coinvolte in via principale nel lavoro pagano la tangente al politico anticipatamente, mentre le ditte in subappalto ovviamente vengono pagate nel corso dello svolgimento del lavoro. Ciascun politico d'altra parte ha proprie ditte di fiducia, che ciascuno di essi convoca allorché si trova nelle condizioni di forza sufficiente per imporla. Ovviamente, allorché viene affidato un lavoro ad una determinata ditta, questa paga tangenti non solo al politico cui deve quell'assegnazione, ma anche agli altri che controllano politicamente il territorio. Domanda: con quali modalità le ditte sub-appaltatrici e la stessa ditta appaltante ricevono sufficiente liquidità per effettuare tali pagamenti? Risposta: ciò avviene mediante una soprafatturazione o falsa fatturazione della ditta appaltante nei confronti delle ditte appaltatrici, che crea in mano alla prima disponibilità di liquidi in nero. Desidero però anche far presente che le organizzazioni camorristiche ricevono ulteriori utilità nell'affare, allorché le ditte subappaltatrici non siano nella loro materiale disponibilità, imponendo ulteriori tangenti a tali imprese, che vi soggiacciono senza opporre alcuna resistenza, perché è solo perché effettuino quei pagamenti che ricevono quel determinato subappalto. Di fatto poi avviene che tutte le ditte appaltatrici vengono man mano a cadere, anche quando non lo siano in partenza ed abbiano solo invece un rapporto di soggezione, nella totale disponibilità del vertice dell'organizzazione criminale, attraverso varie modalità, che vanno dall'intimidazione alla compartecipazione economica e finanziaria, con tutta la gamma intermedia di possibilità. Al termine di questo percorso di presa di possesso da parte dell'organizzazione camorristica sulla singola ditta, si trova la totale disponibilità della stessa persona fisica dell'imprenditore da parte del responsabile dell'organizzazione: ciò ovviamente comprende la disponibilità da parte di questo dell'intera capacità imprenditoriale e dell'intero mondo delle relazioni pubbliche dell'imprenditore caduto in suo dominio. Ciò ancora significa che, allorché ad esempio Carmine Alfieri ha necessità di stabilire un collegamento con personalità politiche con le quali quel rapporto ancora non ha stabilito, utilizza in maniera piena quegli imprenditori che di volta in volta egli sa esser referenti e collegate con quelle personalità. Ovviamente, i titolari di quelle ditte scelgono liberamente, e con importantissimo tornaconto economico di ritorno, l'inserimento nell'organizzazione criminale, di cui ovviamente hanno piena consapevolezza". Fin qui il Galasso, salvo ad aggiungere, in altra parte del verbale, l'utile di ritorno al "politico" in termini di voto in occasione delle campagne elettorali. Va peraltro detto che la contiguità fra l'impresa operante nella ricostruzione e le organizzazioni camorristiche è emersa in molti procedimenti penali: vedi per tutti quello concluso con ordinanza di rinvio a giudizio a carico di Nuvoletta Lorenzo, Romano Luigi ed altro, e poi con sentenza di condanna in primo grado per il delitto di cui all'articolo 416-bis, estorsione ed altro, nei passi riportati al capitolo III. Dunque, l'ipotesi accusatoria si basa sul pieno coinvolgimento dell'onorevole Pomicino nella regia della complessiva operazione della cosiddetta "ricostruzione"; regia che aveva quale altri comprimari (in determinate, ampie zone geografiche) Carmine Alfieri e l'enorme numero di ditte orbitanti nella sua sfera d'influenza: elementi dunque di quel coinvolgimento si traggono: 1) dal ruolo di estremo rilievo svolto dall'onorevole Pomicino nell'ambito della "ricostruzione"; 2) dal rapporto fra l'onorevole Pomicino e Carmine Alfieri ed i diretti referenti di quest'ultimo; 3) dalla comunanza d'interessi dei due nella co-gestione del grande flusso di capitale pubblico impiegato in tali opere, ovvero nel favorire imprenditori ad entrambi legati; Pag.49 4) dai contatti tenuti dall'onorevole Pomicino con altri rappresentanti del capitale sicuramente camorristico. *** 1) Personaggio chiave per comprendere il rapporto fra l'onorevole Pomicino e la ricostruzione è senz'altro l'ingegner Vincenzo Maria Greco: questi infatti viene definito dal dottor Manco, commercialista ed ex assessore del comune di Napoli e per anni componente del "gruppo" pomiciniano "il rappresentante dell'onorevole Pomicino nella ricostruzione" (doc. n. 18). Frase che ovviamente contiene una doppia affermazione: che il Greco è persona di strettissima fiducia del Pomicino, ma anche che questi è in stretta correlazione con gl'interventi edilizi finanziati con la legge n. 219 del 1981 e successive. Il dottor Manco riferisce che lui stesso era stato invitato dall'onorevole Pomicino a desistere dall'attività strettamente politica, dedicandosi invece al "fare", cioè ad operare ponendo la sua capacità professionale al servizio dell'agire "politico" del parlamentare, ruolo che l'ingegner Greco aveva accettato di svolgere. Il dottor Manco ha sul punto una completa attendibilità, sia per la sua attività professionale e politica, che più volte l'ha portato a contatto con l'onorevole Pomicino, sia per la dimostrazione di un totale affidamento che il secondo riponeva sul primo, anche proponendogli accordi costituenti gravi ipotesi criminose, come risulta da conversazione registrata dal dottor Manco all'insaputa dell'onorevole Pomicino, posta a base di diverso procedimento (attualmente quindi coperta da segreto d'indagine). Conferme in ogni caso ad entrambe queste affermazioni del Manco vengono da molti elementi, alcuni dei quali già posti al centro dell'indagine giudiziaria conclusasi con i provvedimenti a carico del Nuvoletta sopra citati: in tale procedimento l'ingegner Greco veniva prosciolto dall'accusa di esser componente di un'associazione mafiosa con la seguente motivazione: "Più delicata la posizione degli imputati del terzo gruppo, Greco e Vela. Denunciati con rapporto del nucleo operativo dei carabinieri di Napoli I, del 26 ottobre 1985 - che operava stretti collegamenti, in parte risultati purtroppo fondati, fra l'intervento edilizio straordinario cosiddetto di "Monteruscello", e le organizzazioni criminali di tipo mafioso presenti nella zona; e che poneva il Greco quale strettissimo collaboratore dell'onorevole Cirino Pomicino - a loro carico sono state effettuate indagini patrimoniali e bancarie, e prolungate intercettazioni telefoniche. Non è questo il luogo per commentare il quadro che da esse è risultato - peraltro già contestato in tutti i suoi elementi agli imputati, che hanno reso dettagliate ricostruzioni dei fatti, risultate a volte scarsamente credibili - se non per dire che esso impone la prosecuzione delle indagini a loro carico per i reati d'interesse privato ed altro di cui alle comunicazioni giudiziarie a suo tempo dagli stessi ricevute. Invece, in questa sede si vogliono valutare gli elementi a loro carico in ordine alla specifica contestazione di appartenenza ad associazione mafiosa. Ebbene, nel contesto processuale, la posizione del Greco è emersa come quella di un tecnico di elevatissima capacità di gestione di rapporti professionali e politici, anche al più alto livello, che gli consentono - unitamente alla sua abilità scientifica, da lui stesso con forza ribadita - di prender parte ad un numero impressionante di iniziative finanziate dallo Stato, dalla Cassa per il Mezzogiorno, dal Commissariato straordinario, e così via, che lo vedono presente nei ruoli - volta a volta - di progettista, collaudatore, direttore dei lavori, ecc. (a fl. 176 vol. 2 proc. 1731/86 ne sono riportate 12, ma di molte altre ancora si parla nel suo recente interrogatorio); direttamente o mediante suoi colleghi di studio o soci in una ditta (la "Eta Sud", dalle non convincentemente chiarite finalità). Il pubblico ministero definisce tale attività come quella "frenetica di un faccendiere ad alto livello (estrinsecatasi) Pag.50 gestendo, controllando e distribuendo appalti ed incarichi professionali", con la particolarità, rimasta inspiegata in sede processuale, di suoi interessamenti e coinvolgimenti in soluzioni e problemi in cui non ha alcuna veste istituzionale per entrare. Quanto alle risultanze economiche di questi impegni, da lui stesso definiti, nel corso di una conversazione intercettata, tutto sommato non certo stressanti, esse vengono contabilizzate in quella stessa telefonata in un ordine molto superiore al miliardo (a questo proposito s'impongono le ulteriori indagini sopra accennate, la cui esigenza era stata sottolineata già dal pubblico ministero nella missiva di formalizzazione, laddove faceva riferimento al reddito imponibile del Greco, lievitato dai 75 milioni del 1979 ai 905 del 1983, con grande balzo negli anni che segnano l'inizio dei finanziamenti della ricostruzione post-terremoto). In questo quadro, l'unico elemento serio che in qualche maniera può collegare il Greco alle organizzazioni mafiose di cui ci si occupa in questo procedimento (oltre ad una conoscenza con il Romano, estrinsecatasi in alcune chiamate telefoniche di quest'ultimo verso il primo rimaste senza esito di cui il Greco non fornisce una convincente spiegazione) è quello contenuto in una conversazione telefonica intercorsa con il Vela, nel corso della quale questi riferisce che le ditte appaltatrici del consorzio di cui il Greco è direttore dei lavori (Pozzuoli-Quarto) vogliono "mano libera" nella scelta delle ditte fornitrici, il che non può esser consentito, ed il Greco risponde che se ne sarebbe occupato. Ebbene tale elemento - spiegato da entrambi gli autori della conversazione come un'interessamento del Greco in favore del consorzio di ditte del calcestruzzo CEDIC di Caserta di cui il Vela era vicepresidente: spiegazione peraltro non convincente poiché non di solo calcestruzzo si parla nella conversazione; ed inoltre perché troppo modesta è la fornitura per la quale si va ad innescare un meccanismo di pressione così complesso se messo in relazione al CEDIC, del quale la ditta (di cui il Vela era partecipe di minoranza) era piccola parte - tale elemento, si diceva, non riesce di alcuna utilità ai fini della contestazione di associazione mafiosa rivolta agli imputati. Allo stesso modo, la garanzia prestata al Pizzarotti dal Greco in favore dell'impresa dei fratelli Sorrentino (che recenti testimonianze mettono in stretto contatto con il Romano - le cui forniture di calcestruzzo spingono molti ad utilizzare - mentre indagini patrimoniali e di altro tipo pongono in relazione ai massimi referenti del Greco) uno dei quali ucciso con modalità tipicamente camorriste, ed altro prima condannato poi assolto con formula dubitativa in via non definitiva per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, è del pari non significativo per quello stesso fine. Infine, non è stato possibile accertare - e qualsiasi ipotesi che giustifichi tale impossibilità appare altamente inquietante - nonostante approfondita istruttoria, su quale base già nel 1983 vengono richieste dal nucleo operativo dei carabinieri di Napoli I informazioni dettagliate alla Guardia di finanza sul conto del Greco, il cui nome viene inserito fra quelli del gotha delle organizzazioni mafiose della Campania, ai fini dell'irrogazione di misure di prevenzione ai sensi della legge n. 646 del 1982 (cd. La Torre) appena entrata in vigore. Neanche per questi imputati sussiste quindi la prova della partecipazione all'associazione contestata, e va quindi provveduto ai sensi dell'articolo 152 del codice di procedura penale". Fin qui il giudice istruttore: Peraltro, per render più comprensibile il meccanismo che regolava il funzionamento della società Eta sud, costituita dal Greco unitamente a tecnici di tutta Italia di chiara fama, è necessario rileggere gli interrogatori resi dal tecnico, dove si rileva (doc. n. 19): che la società prevedeva che tutti i componenti versassero tutto quanto ricevuto per incarichi professionali a venire nell'ambito degl'interventi ex legge n. 219 del 1981 alle casse della società stessa; Pag.51 che i proventi così costituiti avrebbero dovuto esser divisi fra tutti in parti eguali dopo che ne era stato detratto un 10 per cento, riservato alla società; che tale riserva non trovava alcuna motivazione, in quanto la società non aveva praticamente spese, utilizzando la sede, l'ufficio, la segreteria, il telefono, la fotocopiatrice e quant'altro del Greco; che effettivamente i componenti di quella società (che al momento dell'intervento giudiziario non aveva ancora operato) avrebbero presto iniziato a ricevere gli incarichi professionali previsti; che il Greco, che aveva come unico incarico pubblico quello di componente del comitato tecnico regionale, non avrebbe mai avuto il potere di assegnare quegli incarichi; ma che tale potere invece senz'altro aveva quell'onorevole Pomicino che era fisso referente dei contatti telefonici con il Greco, nel corso delle intercettazioni già contestate a quest'ultimo nell'interrogatorio citato. La sola lettura di quegl'interrogatori, i riferimenti a numerosi assegni (per consistenti somme versate a vario titolo a politici, tecnici, imprenditori, parenti suoi e dell'onorevole Pomicino), a telefonate intercettate, a dichiarazioni rese da testimoni rende un quadro di grande rilievo dell'attività del Greco in tutto quel fenomeno della ricostruzione che al suo interno ha celato compromissioni di ogni genere, che in questi giorni stanno venendo alla luce. Addirittura, risulta esser lo stesso Greco a ricevere richiesta da parte dell'avvocato De Siena, dirigente del Commissariato regionale, di interessarsi per il finanziamento di quell'ente per 600 miliardi: e come poteva una persona così priva di potere istituzionale costituire un tale referente per chi tale potere invece aveva, se non in quanto diretta emanazione e rappresentanza dell'onorevole Pomicino, all'epoca presidente della Commissione bilancio? Ad ulteriore conferma, si vedano le dichiarazioni rese: da De Falco Agostino, co-titolare della ICLA, nel marzo 1993 (doc. n. 20), secondo cui: "il Greco era una sorta di "mente" all'interno del Commissariato regionale di Governo anche se non so se avesse un ruolo ufficiale (che non aveva: n.d.p.m.). Mi risulta anche che avesse curato i progetti di molte opere realizzate dallo stesso Commissariato. Se ben ricordo fui io a prospettare al Greco il desiderio della mia azienda a partecipare ai lavori del Commissariato regionale ed il Greco mostrò una grandissima conoscenza di tutti gl'interventi infrastrutturali che il Commissariato regionale avrebbe intrapreso a realizzare. Il Greco mi disse che sarebbe stato possibile che l'ICLA s'inserisse in queste opere; mi disse che quello era il momento giusto. Io ho avuto contatti con il Greco in quanto occorreva in concreto fissare in quale opera inserire l'ICLA. Fu direttamente il Greco a dirmi che l'ICLA poteva esser inserita... (il segreto d'indagine impedisce di disvelare più precisamente operazioni edilizie, luoghi e fatti specifici); da Boffa Aldo (doc. n. 21), assessore regionale per la DC e rappresentante napoletano dell'onorevole Scotti (è sempre il dottor Manco a riferirlo, ma è circostanza a tutti nota), il quale afferma che il Greco: "era ed è persona di fiducia dell'onorevole Pomicino. In particolare il Greco aveva all'epoca un rapporto di consulenza con l'onorevole Pomicino.... In particolare il Greco suggeriva ed indicava determinate scelte da parte del Commissariato di Governo ed aveva possibilità d'incidere sulle scelte di quest'ultimo.... Questo potere lo aveva dato, ad esso Greco, l'onorevole Pomicino, nel senso che il Greco intanto aveva il potere di incidere sulle scelte della struttura commissariale in quanto era l'uomo di fiducia di Pomicino. Pag.52 All'epoca infatti Pomicino era presidente della Commissione bilancio e programmazione economica, dalla quale in qualche modo dipendevano gli stanziamenti delle somme con cui finanziare le opere di ricostruzione del post -terremoto, per cui il Greco, essendo persona di fiducia di Pomicino, ed operando nell'ambito della struttura commissariale, aveva la possibilità di svolgere un concreto interessamento per poter ottenere il finanziamento delle opere di ricostruzione da realizzare". Quali e quanti siano stati tali incarichi forma oggetto di separati procedimenti in corso presso quest'ufficio dinnanzi al pubblico ministero con delega specifica alle indagini sugl'illeciti verificatisi nel corso della "ricostruzione". Recentemente il Greco è stato colpito da provvedimento cautelare di custodia in carcere proprio per attività illecita svolta in tale ambito. Ed è oggi, alla luce di quei provvedimenti, che va riletta la relazione conclusiva del lavoro della Commissione d'indagine richiesta dall'onorevole Pomicino (cd. "giurì d'onore") a seguito delle dichiarazioni dell'onorevole Piro, pubblicata negli atti parlamentari - Camera dei deputati, seduta dell'11 febbraio 1992, secondo cui "l'ingegner Greco è un professionista affermato nel campo della progettazione di opere pubbliche, ed è inoltre particolarmente attivo nel settore degli appalti. E' anche stretto collaboratore nelle attività ed iniziative politiche ("ed editoriali" interrompe l'onorevole Piro, riferendosi alla partecipazione dell'ingegner Greco alla società Itinerario) del ministro Pomicino, come lo stesso ministro ha confermato". Può dirsi dunque, concludendo sul punto, che esistono elementi probatori, che dovranno esser ulteriormente approfonditi, nel senso che l'onorevole Pomicino ha esercitato un pregnante controllo ed una sostanziale direzione dell'attività del Commissariato regionale di Governo. *** 2) Tutto ciò premesso, va esaminato ora il quadro degl'indizi che pongono direttamente l'onorevole Pomicino in contatto con Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, per verificare se il rapporto del primo con la ricostruzione post sisma abbia intersecato anche l'attività che l'organizzazione camorristica capeggiata dall'Alfieri ha dispiegato sul complessivo e colossale investimento di risorse pubbliche seguito al terremoto del 23 novembre 1980. Su questo punto, possono esaminarsi le dichiarazioni rese dal Pasquale Galasso al pubblico ministero nel corso dell'interrogatorio del 22 dicembre 1992, laddove afferma: "Il professor ZARONE, nel 1978, mi contattò e mi chiese, per le elezioni politiche che si tennero in quell'anno (anzi forse nel 1979) l'appoggio per la campagna elettorale di Paolo Cirino POMICINO. Data la gratitudine ed il profondo rispetto che la mia famiglia nutriva e nutre verso il professor ZARONE, non avemmo alcuna esitazione nell'accogliere quell'invito, ed organizzammo nella nostra concessionaria una riunione elettorale, in Poggiomarino, cui intervennero circa 100 persone. Fatto sta che in quelle elezioni, il Cirino POMICINO raccolse in Poggiomarino circa 8001000 voti. Nel 1979 o 1980 si presentò a casa mia Carmine ALFIERI in compagnia di una persona che non conoscevo, e che mi presentò in quell'occasione per (omissis) . Si trattava di un professore che era stato sindaco di Nola ed ancora lo sarebbe stato negli anni successivi. Questi, dopo che l'ALFIERI mi aveva chiesto di aiutarlo in ogni modo possibile, mi spiegò che c'era un'indagine (non so se penale o amministrativa) in corso su alcune irregolarità commesse riconoscendo a persone che avevano presentato richieste di invalidità una percentuale d'invalidità superiore a quella reale che consentiva il riconoscimento di invalidità pensionabile a persone che non ne avevano titolo. Io rimasi sorpreso per tale richiesta, e chiesi all'ALFIERI cosa potevo fare per favorire il suo amico; Carmine ALFIERI mi rispose che avevano saputo [il (omissis) in particolare lo aveva appreso in direzione provinciale della DC, suo partito]) che io ero Pag.53 molto legato al POMICINO, per avergli dato aiuto elettorale. Essendo poi il POMICINO inserito nella medesima corrente politica dell'onorevole SCOTTI, all'epoca ministro del lavoro, questi aveva la possibilità di risolvere i problemi dell'amico (omissis). Ripeto che non so di che natura fosse l'indagine in corso né di che tipo di aiuto necessitasse il (omissis). Mi posi allora in contatto con il professor ZARONE, il quale mi espresse il suo rammarico per il fatto che il POMICINO dopo aver ricevuto il mio aiuto, non aveva sentito il bisogno di ringraziarmi adeguatamente. Io gli risposi che la cosa non m'importava, e gli chiesi come mettermi in contatto con il POMICINO. Il professor ZARONE mi dette il numero telefonico della sua segretaria, che mi sembra si chiamasse e si chiami tuttora Anna Maria, che io immediatamente chiamai. Appena sentì il mio nome, la segretaria mi mise subito in contatto con l'onorevole POMICINO, il quale subito ci tenne a ringraziarmi per l'aiuto che gli avevo dato ed a scusarsi per non essersi fatto sentire dopo la sua elezione. Gli esposi sinteticamente il problema, e gli dissi che il (omissis) voleva parlargli; non mi sembra (a sua domanda) che gli dissi che avrebbe partecipato all'incontro anche il Carmine ALFIERI, da poco uscito dal carcere. Ricordo invece benissimo che il POMICINO mi spiegò che al mattino successivo sarebbe partito per Roma molto presto e che per incontrarlo o saremmo dovuti andare alla stazione di Mergellina alle 05,45, o avremmo potuto vederci la settimana successiva. Io scelsi la prima soluzione e la mattina dopo condussi Carmine ALFIERI, ed il (omissis) all'appuntamento. Il POMICINO mostrò di conoscere il (omissis), ma non battè ciglio quando io gli presentai l'ALFIERI, pur essendo questo all'epoca già pregiudicato assai noto. Gli esposero brevemente il problema, ed egli rispose che avrebbe verificato quanto si poteva fare e ci avrebbe ricontattato. Dopo 7-10 giorni ci risentimmo (non so dire, a sua domanda, su richiesta mia o su iniziativa del POMICINO) e quest'ultimo ci dette appuntamento presso il 1^ Policlinico, deve egli aveva una lezione o una riunione, non ricordo bene. Ricordo però che il POMICINO mi disse che io potevo comprendere bene il luogo e l'appuntamento poiché a quell'epoca ero studente in medicina. C'incontrammo ancora una volta noi quattro, poi presero altro appuntamento, di lì a qualche giorno, sotto gli uffici della previdenza sociale, in via Marina a Napoli. Li accompagnai ancora una volta, poi mi sganciai, in quanto la mia presenza era divenuta inutile; seppi però in seguito che grazie all'intervento dell'onorevole POMICINO, il (omissis) aveva risolto i suoi problemi, e le persone le quali aveva effettuato quelle "forzature" erano state escluse dagli elenchi delle verifiche. Il (omissis) peraltro mi disse che alle elezioni successive aveva aiutato l'onorevole POMICINO invece che i precedenti referenti (che peraltro non so chi fossero). Per riferire ulteriori rapporti di notevole importanza intercorsi fra il Carmine ALFIERI e l'onorevole POMICINO, ho necessità di fare una premessa (omissis) . ... L'ALFIERI mi mandò a chiamare, e, in un colloquio a quattro occhi, mi disse che sarei potuto a breve rientrare di tutto quanto avevo sborsato ingiustamente. Mi spiegò che aveva saputo che l'AMBROSIO Franco - suo amico personale, sua persona di fiducia e suo prestanome come mi riservo di spiegare più avanti - stava costruendo anzi stava facendo costruire, nel porto di Napoli, degli importantissimi silos per la sua Italgrani, che avrebbero assorbito enormi quantità di calcestruzzi. Mi disse anche che il POMICINO aveva fatto in modo che a vincere la gara per quella costruzione fosse una ditta che era sotto il materiale di controllo di (omissis : trattasi di imprenditore condannato in via non definitiva per associazione camorristica) anche se questi non ne appariva in alcun modo interessato". Prosegue il GALASSO: "sono ancora a conoscenza delle seguenti circostanze: "a) (omissis : persona indagata nel presente procedimento) di cui già vi ho Pag.54 parlato, mi riferì prima o poco dopo l'ottobre 1990 [epoca in cui mi rivolsi a lui per ottenere un aiuto nel mio procedimento, attraverso le amicizie sue e dei suoi referenti politici, in particolare l'onorevole (omissis) con alcuni giudici di cui non so il nome] che si trovava in gravi difficoltà economiche, tanto che stava per mettere in cassa integrazione molti dipendenti, in quanto c'era, soprattutto nella zona del Nolano ma non solo, il POMICINO che, attraverso ditte sicuramente e direttamente da lui controllate, come la ICLA, o attraverso ditte che comunque e per vari motivi voleva favorire, tramite e grazie l'amicizia di Carmine ALFIERI riusciva ad accaparrarsi un elevatissimo numero di appalti, di fatto levandogli gran parte dello spazio impreditoriale fisiologico. A sua domanda, non mi fece il nome di tali ditte, oltre l'ICLA; b) i fratelli SIMEOLI erano legatissimi a Carmine ALFIERI, come ho già detto e come dirò, e grandi elettori del POMICINO. Ricordo a questo proposito una vicenda, che può fare maggiore chiarezza assai significativa (omissis : sull'episodio sono in corso indagini da parte di altra autorità giudiziaria); c) altro episodio inerente i fatti di cui sto parlando riguarda il CIS di Nola. Premetto che, sia per quanto riferiva l'ALFIERI sia per quanto apprendevo nel corso della mia attività imprenditoriale era evidente che l'intera operazione, nata poco dopo la conoscenza fra il (omissis), il POMICINO ed il Carmine ALFIERI di cui ho detto, era gestita sul piano politico dal POMICINO e sul piano camorristico dall'ALFIERI. Ciò potrà essere facilmente dimostrato esaminando la reale titolarità sia delle ditte appaltatrici che di quelle concessionarie. In particolare il grande mediatore degli interessi complessivamente coinvolti era il MEO, di cui ho già parlato, mentre il "controllore del livello imprenditoriale, referente dell'ALFIERI per il livello camorristico e del POMICINO per quello politico, era (omissis : trattasi di soggetto indagato nel presente procedimento). Fra le principali ditte appaltatrici e concessionarie vi erano quelle di Matteo e Bruno SORRENTINO, legatissimi al POMICINO, e quella della PIZZAROTTI, a sua volta legata al MALVENTI ed al Bruno SORRENTINO. La PIZZAROTTI mi sembra avesse l'incarico di costruire un importante pezzo della ferrovia o dell'autostrada. Il (omissis) - se ben ricordo - mi raccontò che il PIZZAROTTI si lamentava perché doveva pagare, secondo richieste ricevute, anche tangenti alle bande camorristiche anche dopo aver ricevuto assicurazione da parte di politici, cioè del POMICINO, che pagando loro la tangente del 10 per cento avrebbe ricevuto anche la sicurezza sui cantieri verso la camorra. So che in seguito il MALVENTI ed il Matteo SORRENTINO risolsero la questione, non so in che modo"". Fin qui le dichiarazioni che possono essere esposte. Va peraltro affermato che il professor Zarone, sentito come teste, ha confermato di aver presentato il Galasso (persona che gli aveva affidato una consulenza tecnica di parte medico-legale) all'onorevole Pomicino, su richiesta di quest'ultimo (doc. n. 22); così come è risultato provato che il parlamentare nelle elezioni indicate riportò un buon successo di voti se si tien conto del nessun radicamento politico che aveva nella zona (circa 600 voti: meno dell'onorevole Gava, ma ben più del capolista onorevole Scotti: doc. n. 23). Si deve anche tener presente che in quel periodo il Galasso era sottoposto a procedimento penale per un duplice omicidio avvenuto qualche anno prima, procedimento che lo portava ad alterne vicende detentive. Ulteriore conferma dell'esistenza di un rapporto fra il Galasso e l'onorevole Pomicino risulta dalle dichiarazioni rese a proposito di Salvatore Lettieri, amministratore pubblico e sindaco di Poggiomarino che proprio il Galasso aveva avviato al "gruppo" pomiciniano. Afferma infatti il Galasso: "Le elezioni dunque si ripeterono, se ricordo bene, nel 1980, e conquistò nuovamente la maggioranza il Liguori, con 1500 Pag.55 o 2000 voti, anche con il nostro appoggio. Tuttavia un piccolo appoggio lo demmo anche ad una figura nuova, Salvatore Lettieri. Questi, che non aveva spazio nella DC controllata dal Gava, fu da me inviato al Pomicino (per il quale nel frattempo avevo svolto un aiuto nel 1978, come ho detto, portandogli mi sembra 800 voti, comunque tutti i voti che egli ebbe in Poggiomarino) tramite la sua segretaria Anna Maria; ed i due entrarono in contatto, come vedremo. Il Salvatore Lettieri è parente di Rosario Annunziata, al quale, insieme a Raffaele Boccia e con l'intervento dell'avvocato Eduardo Serafino, acquistarono una casa in Porto Azzurro, prima che uscisse da quel penitenziario dov'era detenuto per la sua attività di riciclatore dei sequestri avvenuti in Campania e Calabria (la moglie dell'Annunziata era una Macrì).... Alle amministrative del 1985 appoggiai anche il Lettieri, che mi portò richieste in tal senso del Pomicino, e questi riportò circa 1000 voti. Il mio prestigio in quel periodo, benché latitante, era altissimo in Poggiomarino: ormai avevo eliminato l'Orbuso ed il Caso, uccidendoli, il Gaudino, umiliandolo pistola in pugno e costringendolo a ritirarsi da tutto, i Catapano, uccidendoli e facendoli fuggire, gli Annunziata facendo abbandonare loro Poggiomarino. Ero dunque l'unica "autorità" del paese, e però devo dire che sentivo sempre che quell'autorità derivava dall'affetto e dalla stima dell'intero paese piuttosto che dalla paura della capacità d'azione da me dimostrata.... Il Miranda, allorché vi furono le politiche del 1987, venne da me chiedendomi di aiutare il Gava, che mi rimproverava una non coerente collocazione in occasione delle amministrative precedenti per l'appoggio dato al Lettieri di Pomicino, e temeva che avrei potuto ripetere l'appoggio già dato a quest'ultimo nel 1978. Pretendeva invece che io gli assicurassi l'integrità del pacchetto di 1500-2000 voti che il Gava aveva sempre raccolto in quel comune. Il Miranda insistette a lungo perché accettassi di ricevere il Gava nel corso di una riunione presso la mia abitazione, che io invece rifiutavo per evitare di evidenziare un mio schieramento con l'uno o l'altro politico. Fui invece incastrato dal Miranda e da Achille Marciano, i quali, dopo essermi venuti a trovare, sparsero la voce in paese che quella riunione vi era stata, tanto che venni rimproverato sia dai gavianei, per non averli chiamati, sia dal Lettieri, perché si sentiva tradito. In quelle politiche appoggiai più il Gava che il Pomicino (questi mi sembra che prese un centinaio di voti meno del Gava) soprattutto perché tenevo molto al Sangiovanni, ma aiutai anche il Lettieri per non perdere il buon rapporto con il Pomicino... Alle ultime elezioni politiche poi "il Lettieri non so chi appoggiò, mi sembra avesse litigato con il Pomicino poiché voleva entrare in lista per la provincia e ciò non gli venne consentito, pur avendo addirittura presentato i manifesti per questo: c'era stato uno scontro su questo fra il Gava ed il Pomicino, che voleva interrompere la tradizione che voleva un candidato gavianeo, contro cui il Lettieri uscì perdente. Credo che potrete trovare quei manifesti ancora in un fabbricato da lui costruito abusivamente su suolo destinato alle IACP, che usa come deposito per il suo commercio di seta cinese". Il Lettieri, sentito dal pubblico ministero, pur negando ovviamente l'influenza del Galasso sulla sua elezione, ricostruisce tutti gli spostamenti politici interni alla DC di Poggiomarino nei medesimi termini, ponendo l'inizio del suo inserimento nel "gruppo" dell'onorevole Pomicino al 1986 (doc. n. 24). *** 3) Si innesta a questo punto dello sviluppo delle indagini il tema dei comuni interessi che consistenti indizi fanno allo stato ritenere abbiano l'onorevole Pomicino ed il Carmine Alfieri nella cosiddetta ricostruzione, o - in maniera più ampia - in tutto il settore dell'edilizia finanziata con capitale pubblico. Pag.56 Vi sono elementi (sui quali necessitano approfondite, assai complesse indagini) per ritenere che il rapporto dell'onorevole Pomicino con la ricostruzione abbia nell'ingegner Greco il suo strumento tecnico, e nel Carmine Alfieri il suo referente camorristico (in grado di assicurargli ogni tipo di copertura, assistenza e protezione nelle aree da lui controllate in tutti i settori con cui dovesse interagire: correnti politiche diverse dalla sua, gruppi camorristici aggressivi, amministratori tiepidi o intraprendenti; o comunque con chiunque non ne riconoscesse il potere): e trova alla metà degli anni '80 il suo braccio operativo nella ICLA s.p.a. (si è già detto del riferimento che vi fa il Galasso). Lo sviluppo di tale società può esser letto nell'informativa della Guardia di finanza - nucleo polizia tributaria di Potenza del 30 marzo 1992, prot. 30/R, che esamina il credito assai rilevante che tale società ha ricevuto da parte della Banca di Pescopagano (doc. n. 25). Tale informativa è utile per documentare come questa società, assai vicina alla decozione nei primi anni '80, allorché apparteneva al gruppo Bastogi, abbia in seguito subito un fortissimo rilancio allorché è stata acquisita da due tecnici napoletani, De Falco e Buonanno; rilancio tutto dovuto all'eccezionale capacità di penetrazione dimostrata nel settore degli appalti pubblici, in particolare in quelli finanziati ai sensi della legge n. 219 del 1981, come nota l'organo tecnico del Banco: non certo agl'investimenti operati dai due imprenditori, dell'ordine di qualche centinaio di milioni, com'essi stessi riferiscono. Fatto sta che, dopo aver acquisito il controllo di varie società nel 1990, quali la Fondedile (con un costo di circa 100 miliardi, fortemente interessata nelle opere di ricostruzione nonché nell'Interporto di Nola, opera funzionale al CIS ed alla sua espansione), la Ceretti e Tanfani (coinvolta in appalti e tangenti nella funicolare di Napoli), il portafoglio-lavori dell'azienda al 1992 ammontava ad oltre 1.800 miliardi. Sono in corso accertamenti - che proseguiranno più alacremente ove venga accolta la presente richiesta - per verificare se il denaro utilizzato per la costituzione ed i primi finanziamenti della ICLA sia effettivamente derivato dalle presunte illecite acquisizioni operate dall'onorevole Pomicino come ricostruite nelle numerose dichiarazioni acquisite in diversi procedimenti che verranno a conoscenza di codesta Camera nei prossimi giorni; o addirittura dei referenti camorristici sopra indicati; fatto sta: che né il Buonanno né il Di Falco avevano pregressa attività imprenditoriale in grado di giustificare un così imponente aumento di capitali; il dottor Manco ha riferito di aver sentito l'onorevole Pomicino dire all'ingegner Greco che dovevano "parlare a Gigino della ICLA": dove il Gigino era il Manco, e dove il senso della frase non può che denotare la possibilità in chi la pronuncia di "gestire" sostanzialmente la società, o comunque di avervi forti interessi e coinvolgimenti; le stesse dichiarazioni del Di Falco, tratto in arresto in esecuzione di provvedimento cautelare emesso sempre per reati inerenti l'attività illecita svolta dalla ICLA nell'ambito della ricostruzione post sisma pur smentendo formalmente l'ipotesi, paiono invece sostanzialmente avvalorarla, laddove spiegano solo con la professionalità degli imprenditori un successo dovuto in particolare alla capacità di acquisire commesse pubbliche; ancor più esplicite sul punto le dichiarazioni di Aldo Boffa, arrestato per i medesimi delitti (doc. n. 21) secondo cui: "in ordine all'esistenza all'epoca della ricostruzione del post -terremoto di una sorta di lottizzazione politica delle imprese che partecipavano all'opera di ricostruzione, posso dire che, all'epoca, vi era nella DC una geografia per cui, se una ditta era vicina ad una certa persona della DC, si riteneva dai più che tale ditta fosse sponsorizzata da quella persona cui era vicina. A tal proposito faccio presente che, nella vicenda del dopo terremoto, Pomicino era ben rappresentato dalla ICLA. E Pag.57 ciò perché il De Falco, titolare della ICLA, era molto amico sia di Greco che di Pomicino ... Con riferimento alla vicenda che mi viene contestata (per la quale il Boffa si trova in stato di custodia cautelare in carcere: n.d.p.m.) intendo dire che Greco e Pomicino già potevano ritenersi soddisfatti dall'inserimento, nella realizzazione dei lavori del post-terremoto, della ditta ICLA"; altrettanto deve dirsi per quelle rese da Recinto Giovanni, ingegnere dipendente dall'ANAS, al pubblico ministero di Napoli (doc. n. 26) laddove afferma di esser stato chiamato dal Ministero dei lavori pubblici per certificare l'urgenza di un determinato intervento edilizio su una strada, al fine di far concedere quei lavori di manutenzione, già finanziati, a trattativa privata; alle sue resistenze per l'inesistenza di quell'urgenza, il segretario del ministro dei lavori pubblici "mi rispose, piuttosto irritato nei confronti del ministro, che quella variante stava a cuore al ministro stesso poiché interessava la ICLA che faceva capo notoriamente al ministro Pomicino". Alla luce di tutte queste acquisizioni (che saranno senz'altro approfondite ove venga accolta la presente richiesta) appare: a) che le su esposte acquisizioni vanno ad aggiungersi a quelle già raccolte dal "giurì d'onore" sopra indicato, laddove, premesso che "l'onorevole Pomicino ha dichiarato che Bonanno e De Falco sono ottimi imprenditori ed amici personali", ha osservato che "non può costituire prova né il crescente e provato aumento del volume d'affari dell'ICLA che ha accompagnato l'influenza in ascesa dell'onorevole Pomicino nel Parlamento e nel Governo, né le abnormi revisioni dei prezzi (talvolta da 1 a 14) che sono state denunciate dalla Commissione Scalfaro, né l'acquisizione di benefici da parte di imprese che hanno cooptato l'ICLA proprio alla vigilia della riunione del CIPE del 3 luglio 1986. E non possono nemmeno esser considerate prove neanche gli appoggi elettorali che due imprenditori hanno, secondo altre affermazioni, fornito a Pomicino"; b) risulta assolutamente riscontrata dalle ammissioni del Boffa la dichiarazione resa in precedenza dal Galasso secondo cui il politico che s'interessava di procurare il finanziamento pubblico di una determinata opera, imponeva anche la presenza della ditta da lui "sponsorizzata" (per usare l'espressione del Boffa); c) risulta non veritiera l'affermazione del Di Falco secondo cui dalla fine del 1989 sarebbe cessata qualsiasi attività di "reciproca assistenza" fra la ICLA ed il Pomicino, in quanto le dichiarazioni del Recinto fanno riferimento ad episodio assai successivo (1991). Solo approfondite indagini potranno dire se la ICLA "appartenga" all'onorevole Pomicino, ovvero sia stata da questi protetta perché a lungo ne ha finanziato ogni tipo di attività politica, editoriale, imprenditoriale ecc. Appaiono però esistere multiformi elementi, della più varia provenienza, che confermano l'esistenza fra i due soggetti di un rapporto di cointeressenza, sufficienti allo stato per ritenere confermate le prime ipotesi investigative. Quanto alle dichiarazioni del Galasso sulla costruzione del CIS di Nola, iniziativa nata a seguito del contatto fra l'onorevole Pomicino ed il Carmine Alfieri, solo delicate e complesse indagini potranno fare chiarezza sul punto. Quel che è certo però fin d'ora è che: l'opera ha avuto la possibilità di godere di cospicui finanziamenti pubblici, avvenuti nel periodo in cui l'onorevole Pomicino era presidente della Commissione bilancio della Camera; l'iniziativa prevede futuri imponenti finanziamenti nella sua espansione e nel suo collegamento con l'Interporto NolaMarcianise-Maddaloni (importo finale previsto solo per quest'opera: 1.294 miliardi). E Nola, come si è visto, è il cuore, l'epicentro del potere criminale dell'Alfieri, che vi controlla attività economiche, elezione Pag.58 dei sindaci, funzionamento delle USL, ecc.: numerosissimi gli omicidi nati dalla faida per il controllo dei subappalti all'esterno dell'area nolana, omicidi culminati con l'eccidio di Acerra dell'1 maggio 1992, che ha visto 5 morti - fra cui un ragazzo di 15 anni ed una ragazza incinta - e 3 feriti, come da provvedimento cautelare (doc. n. 27); vi partecipano fin dal primo momento altre ditte di fiducia sia dell'onorevole Pomicino che dell'Alfieri, prima fra le quali quella di Bruno Sorrentino: che merita un particolare, approfondito discorso, che si riprenderà in seguito. Medesimi i protagonisti in quella che appare come la più paradigmatica delle opere della ricostruzione: la sistemazione dell'asta valliva dei cosiddetti Regi Lagni, operazione finora finanziata con oltre 500 miliardi, e con previsione di spesa di circa 900, con inizio nel nolano e fine in territorio della potente banda dei casalesi, in cui: l'assegnazione dei lavori al consorzio CORIN, guidato dall'ingegner Cabib, avvenne senza alcuna trattativa ma semplicemente perché quel consorzio era concessionario della realizzazione di un insediamento abitativo finanziato con la legge n. 219 del 1981 in Marigliano, uno dei 9 comuni in cui erano in corso analoghe iniziative e che, nell'area nolana, scaricavano in quel canale (dichiarazioni del Guglielmi e del Cabib: n. 28 e n. 29); nessuna disposizione normativa consentiva di ritenere un'opera idraulica di quella portata finanziabile ai sensi della legge n. 219 del 1981; progettista del CORIN in Marigliano era l'ingegner Greco; l'ingegner Cabib, pur avendo nominato progettista un tecnico di chiara fama che da decenni trattava il problema (l'ingegner Guglielmi), gli impose di esser affiancato dalla soc. servizi ingegneria, controllata da ("di proprietà di" dirà il Guglielmi) l'ingegner Greco (i rapporti fra tale ditta ed il Greco, di totale identificazione, emergono con chiarezza dalle intercettazioni telefoniche e dalle indagini bancarie contestate al Greco nel corso degli interrogatori citati); l'ingegner Cabib impone lo stesso ingegner Greco quale consulente ai progettisti, con modalità del tutto anomale (il compenso per progettisti e consulenti è di svariati miliardi); il CORIN, che palesemente è inidoneo a gestire un così complesso incarico, si associa varie altre ditte, fra cui quella di Isidoro Balsamo, cognato del Greco (valgono per il Balsamo le medesime considerazioni su assegni - per centinaia di milioni - e telefonate che lo indicano in strettissimo rapporto con il Greco); risulterebbero finanziate a quest'ultima ditta opere funzionali non a quelle autorizzate ma ad interventi stralciati e non ancora finanziati; il regista effettivo dell'intero intervento, e la vera autorità nella direzione dei lavori era l'ingegner Greco; importantissimo subappalto dal Cabib fu affidato, come lui stesso riconosce, a ditta appartenente al figlio di un noto pregiudicato della zona (si ricordi: di area nolana); lo stesso Alfieri Francesco, congiunto di Carmine, di cui spesso si è parlato, risulta sub-appaltatore di altro componente del consorzio operante, cioè il cavalier Zecchina, come risulta dalle citate intercettazioni telefoniche sull'utenza dell'Alfieri, nonché dalle ammissioni di quest'ultimo; sono acquisite agli atti le dichiarazioni di Maninetti Alessandra, vedova del noto capo-camorra Raffaele Nuzzo, secondo la quale l'omicidio del marito e di altra persona fu dovuto allo scontro con la banda dei casalesi per il controllo del subappalto di quelle opere, da cui si prevedeva di ricavare un utile di circa 5 miliardi di lire (doc. n. 30); pure agli atti sono le dichiarazioni di altro dissociato (di cui si tace il nome Pag.59 per motivi d'indagine, ma le cui dichiarazioni hanno trovato tutti i possibili riscontri) secondo cui ditte legate ai capi camorra di Acerra e Casal di Principe controllavano tutti i subappalti di quei lavori. Si ricordi a questo punto quanto affermato dal Galasso circa il meccanismo di controllo politico-camorrista dell'attività imprenditoriale nella ricostruzione postsisma, e vi si troverà riscontrato l'intero disegno da lui tracciato. Altro rapporto strettissimo che l'onorevole Pomicino ha tenuto con ditta legata all'organizzazione di Carmine Alfieri è quello - cui si è in precedenza accennato - intrecciato con la Sorrentino s.p.a. di Bruno Sorrentino, a sua volta legatissima alla Pizzarotti di Parma. Tale legame ha trovato una prima illustrazione nella relazione conclusiva del cosiddetto "giurì d'onore" più volte citata, nella quale si legge: "l'onorevole Piro ha potuto dimostrare che il ministro era da anni in relazione di amicizia con il fratello Alessandro Sorrentino, assassinato nel 1985, al quale aveva rivolto delle lettere confidenziali, come risulta anche dal rapporto dei carabinieri n. 337/29 del 26 ottobre 1985, redatto in occasione delle indagini sul suo omicidio, che la Commissione ha acquisito, (quale) vittima di una vendetta trasversale". Ma il quadro diviene ancor più significativo ove si rilevi che: l'onorevole Pomicino acquista dai Sorrentino le quote di una società detentrice di un appartamento in via Nevio per la somma di 200 milioni, sul cui pagamento sono in corso indagini; la Sorrentino fa registrare un'improvvisa impennata imprenditoriale nei primi anni '80, durante i quali acquisisce numerosissime commesse pubbliche, fra le quali, appunto, principale l'Interporto di Maddaloni ed il CIS di Nola; il Bruno Sorrentino è tuttora sottoposto a procedimento penale per associazione per delinquere di stampo mafioso, ed ha subito l'irrogazione di misura di prevenzione antimafia; il padre, Matteo, era sottoposto a procedimento penale per il delitto di associazione camorristica, interrotto per il suo decesso; il Galasso offre una descrizione (pienamente riscontrata, allo stato, dai suddetti elementi) precisa e dettagliata dell'attività camorristico-affaristica di quella società e del suo titolare, a proposito del CIS di Nola, già sopra riportate. Varrà a descrivere la figura del Sorrentino - con il quale l'onorevole Pomicino, come si è visto, entra in rapporti commerciali secondo il Galasso tutt'affatto episodici - il ritratto che ne traccia il decreto che lo ha sottoposto a misura di prevenzione (il provvedimento di appello, che lo ha revocato, è stato annullato dalla Corte di cassazione con un durissimo commento alla superficialità della motivazione della Corte d'appello, favorevole al Sorrentino: doc. n. 31), secondo cui tratti di rilievo della personalità sono: "innanzitutto la sua esperienza societaria con Vincenzo Casillo (si ricordi che la morte di questo fu voluta, secondo il GALASSO, con quelle eclatanti modalità, per segnalare al Cutolo l'avvenuto passaggio con l'Alfieri di politici ed imprenditori un tempo a lui vicini: n.d.p.m.) il potente dirigente della N.C.O. misteriosamente ucciso ... la stessa pericolosa disponibilità si ripresenta nell'aver consentito che lo Iacolare (trattasi di pericoloso capo cutoliano, a sua volta coinvolto nella trattativa Cirillo: n.d.p.m.) si appoggiasse ad un suo appartamento. Bruno Sorrentino appare troppo disinvolto nel prendere in locazione la superaccessoriata villa di Michele Zaza. Ma ciò che - prosegue il Tribunale per le misure di prevenzione - maggiormente induce a ritenere il Sorrentino attualmente una persona disponibile alla mediazione fra società civile e poteri criminali ... è il suo ruolo, confessato, di cassiere delle bande di criminali associate che con Pag.60 il vincolo dell'intimidazione hanno taglieggiato gli imprenditori ... ciò costituisce un meccanismo di trasmissione dei piani e della progettualità dei poteri criminali nella società civile, con un capovolgimento delle regole non solo dei rapporti economici, ma dell'intera convivenza". Ed ancora, nota il procuratore generale nei motivi di ricorso avverso la decisione d'appello accolti dalla Suprema Corte (doc. n. 32): "... la seconda spiegazione riguarda l'aumento di capitale della società Sorrentino Costruzioni S.p.A. da lire 20.000.000 a lire 1 miliardo ... avvenuto nel 1982 ... Sta di fatto che, siano stati o meno pagati i titoli di favore, o siano avvenuti per altra via i conferimenti alla società, nulla si sa su come si siano formati i 9/10 del capitale sociale della Sorrentino Costruzioni. Tale circostanza appare ben compatibile con la posizione di riciclatori di capitali illeciti che i pentiti e la polizia giudiziaria attribuiscono ai Sorrentino ... escluso quindi (per le perdite in precedenza subite) che la società si sia autofinanziata, deve spiegare il Sorrentino quali altre attività personali abbiano consentito di realizzare risparmi per investire lire 500.000.000 in pochi anni mentre la sua società perdeva e mentre per le sue mani passavano fiumi di liquidità provenienti da tangenti camorristiche". Va detto che la procedura di prevenzione è iniziata nel 1985 (come si evince dal numero di registro generale della pratica) dinnanzi al tribunale, ma ben prima dinnanzi al pubblico ministero: sicché, essendo la relazione dell'onorevole Pomicino con Alessandro Sorrentino risalente ad "anni prima" rispetto alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1985 (come nota la relazione conclusiva del giurì d'onore) è ben strano che l'onorevole Pomicino, allorché acquistò dal Bruno Sorrentino l'appartamento di via Nevio nel 1983, non ne conoscesse le "multiformi attività". Altro imprenditore "cerniera" fra il Carmine Alfieri e l'onorevole Pomicino è, alla stregua degl'indizi raccolti, Franco Ambrosio, titolare dell'Italgrani e di altre importanti società nel settore cerealicolo. Il rapporto dell'Ambrosio con l'onorevole Pomicino risulta già documentato nella citata relazione conclusiva dei lavori della Commissione per il cosiddetto "giurì d'onore", laddove si riportano le sue ammissioni: "a) di aver avuto in affitto triennale dal gruppo Armital-Sadav un'imbarcazione di 10 metri denominata "ITAMA 88"... dal 1989 al 1991 l'ha sostituita con un'altra imbarcazione di 13,5 metri e di 117 HC denominata Claila ("dalle iniziali dei nomi delle figlie!" esclama l'onorevole Piro) ... per tale imbarcazione l'onorevole Pomicino ha pagato un canone annuale progressivamente salito a 30 milioni. La società Armital-Sadav non ha mai, dal 1985 ad oggi, richiesto od ottenuto l'autorizzazione all'esercizio di detta attività (cioè, di noleggio armatoriale); b) che la rivista Itinerario (che peraltro l'onorevole Pomicino ha fondato insieme ad intellettuali di prestigio) è di proprietà di una società, la Sevip, che comprende diversi imprenditori fra cui lo stesso Ambrosio ... Dalla composizione del capitale sociale risulta che il capitale sociale dell'Italgrani s.p.a. di Ambrosio era nel 1988 di 35 milioni successivamente passati a lire 42.317.000 fino a raggiungere, come risulta dalla relazione della Sevip sul bilancio chiuso al 31 dicembre 1989, lire 185.410.794; c) che il pagamento dell'anticipo per l'intervento chirurgico avvenne ad opera di un agente di Ambrosio, cui il fratello di Pomicino si era rivolto trovandosi l'onorevole Pomicino all'estero in situazione di emergenza; d) di aver acquistato per 800 milioni l'appartamento del signor Ambrosio, fornendo al giurì la copia e gli estremi degli assegni versati ad Ambrosio stesso (circa 600 milioni) nonché il contratto di mutuo per gli altri 200 milioni ... Tale valore è risultato conforme ai coefficienti automatici ... Tuttavia, secondo i dati forniti dall'ufficio Pag.61 tecnico erariale di Napoli con successive note ... il valore immobiliare medio indicativo di mercato per il biennio 1988-89 è compreso tra i 6 e gli 8 milioni al metro quadrato (l'estensione dell'appartamento è di mq. 386,40: n.d.p.m.). Il prezzo pagato è, ad avviso della Commissione, oggettivamente favorevole secondo il valore di mercato, all'acquirente ...". Prosegue poi la relazione: "Un discorso particolare merita il contratto di programma: esso è stato istruito dal Ministero degli interventi straordinari nel Mezzogiorno, e il CIPE, presieduto dall'onorevole Pomicino, si è limitato a deliberare il contratto nei termini proposti da detto Ministero, salvo le modifiche imposte dalla CEE che hanno anzi portato ad una riduzione del finanziamento, passato a 754 miliardi. Detto contratto appare ad alcuni componenti il giurì (come del resto all'associazione mugnai e pastai, alla concorrente Ferruzzi ed alla stessa CEE) non dettato dalle necessarie ragioni di convenienza economica (ingenti interventi a carico del bilancio pubblico per la costruzione di amiderie in un paese importatore di cereali e per di più costruite in zone del sud, sottoutilizzati al 58 per cento; poco convincenti distillazioni dell'alcool dall'amido). Ma tali critiche, ammesso che siano fondate, non valgono a provare che vi sia stata corruzione, né tanto meno che di essa sia stato partecipe l'onorevole Pomicino. ... E' ben vero che il ministro, come l'onorevole Piro ha indicato al giurì, si recò a Bruxelles il 5 ottobre per conferire con il commissario Ray Mc Sherry, il quale aveva bloccato l'accordo di programma ... In conclusione, a giudizio della commissione, sono intercorsi rapporti anche economici tra Ambrosio ed il ministro Pomicino, il quale ne ha tratto alcuni vantaggi". Dunque, secondo la Commissione, l'onorevole Pomicino ha tratto vantaggi dal rapporto con l'Ambrosio; l'Ambrosio ha sicuramente ricevuto oggettivi vantaggi dall'attività politica dell'onorevole Pomicino, ma fra le due circostanze non vi è collegamento. E' stato poi accertato (cfr. dichiarazioni rese dal rappresentante dell'Armital, Della Rotonda, doc. n. 33) che la barca all'onorevole Pomicino fu sostanzialmente concessa con un contratto di favore. Ebbene di Franco Ambrosio, titolare della Italgrani, Pasquale Galasso ricostruisce la storia imprenditoriale, come legata fortemente al Carmine Alfieri. Ed infatti, il 22 dicembre 1992 dichiara nel carcere di Novara: "... Altri grandi e potenti imprenditori sicuramente legatissimi ad ALFIERI sono (omissis), AMBROSIO Francesco, legati anche ai politici Cirino POMICINO ed Antonio GAVA. Mi riservo di spiegare con maggiore precisione in seguito. (omissis) ". Altro collaboratore di giustizia, le cui parole hanno trovato sempre elementi di positivo riscontro in relazione alla faida nata per il controllo delle estorsioni e dei subappalti che si concluse con l'eccidio di Acerra, di cui già si è detto, si riferisce all'Italgrani come ditta quanto meno "protetta" dall'Alfieri. Questo collaboratore, che per mesi ha operato nel campo del traffico contrabbandiero di sigarette ed in quello di cocaina per conto della banda dell'Alfieri, il 28 gennaio 1993 nel carcere di Campobasso - riprendendo un discorso accennato mesi prima - ha dichiarato: "Posso ancora dire che per motivi vari ho appreso che la Findus e l'Italgrani erano direttamente controllati da Carmine Alfieri. Per quanto riguarda la Findus ho già raccontato che, in occasione della rapina che su un camion di tale merce facemmo a Lagonegro, Peppe Ruocco s'interessò, anche attraverso un suo compariello ... di far recuperare almeno il mezzo alla Findus; in seguito (omissis: trattasi di componente di grande spicco della banda Alfieri), quando io gli proposi di utilizzare quei camion per il contrabbando perché difficilmente sottoposti a controllo, me lo Pag.62 escluse categoricamente, in quanto non voleva che le attività lecite dell'Alfieri venissero coinvolte nei traffici illeciti. Analogamente avvenne con l'Italgrani, allorché mezzi di questa ditta erano stati usati, come seppe il (omissis: vedi sopra) da un "padroncino" per il contrabbando. (omissis: vedi sopra) andò su tutte le furie, e duramente redarguì, per lo stesso motivo sopra indicato, chi aveva assunto quella iniziativa. Mi riferì quest'episodio quando la stessa idea venne a me e gliela proposi". Non stupisca il richiamo alla Findus: l'attività di commercializzazione del prodotto era riservata a ditta del Malvento (che il collaboratore neanche conosce: si tratta di pregiudicato di grande rilievo di Fuorigrotta, imprenditore, già parente dell'Alfieri, inserito nella sua organizzazione e da lui e dal Galasso fatto uccidere insieme ad altri, come il collaborante ha già confessato). Come si vede, si tratta di riscontri incrociati di grande spessore, che devono trovare in successive, complesse e delicate indagini conferme ulteriori o definitive smentite. *** 4) Il legame fra l'onorevole Pomicino e l'organizzazione criminale capeggiata da Ciro Mariano (di recente condannato per il delitto di cui all'articolo 416-bis con sentenza di primo grado, ma pregiudicato per il medesimo delitto, capo indiscusso, sanguinario e potente, delle organizzazioni camorristiche che controllano i "quartieri spagnoli" di questa città; attualmente tratto a giudizio come autore e mandante di numerosissimi omicidi) risulta affermato con forza dall'onorevole Piro in varie interpellanze parlamentari, che hanno contribuito a far nascere quel "giurì d'onore" cui si è accennato ripetutamente in questa richiesta. In particolare, la relazione della Commissione sul punto così conclude: "Assai più vaghe sono le accuse riferite a "coperture politiche" nei confronti del clan camorrista dei fratelli Ciro e Salvatore Mariano. Tali coperture deriverebbero dalla circostanza che un cugino di secondo grado della moglie dell'onorevole Pomicino, Lello Scarano, gestore del teatro Politeama, avrebbe usufruito, attraverso la società Sinthesys, di denaro proveniente da riciclaggio (avrebbe ricevuto, secondo l'onorevole Piro, a Cattolica da Ciro Mariano, 93 milioni). Lo stesso Pomicino ha dichiarato che Lello Scarano è cugino in secondo grado della consorte, e di aver avuto da lui un appoggio elettorale nel 1983 con l'uso del Politeama per una manifestazione. Alla Commissione risulta inoltre che le precarie condizioni finanziarie del signor Lello Scarano sono state oggetto di preoccupazione da parte del Pomicino, come rivela una telefonata intercettata nel citato rapporto dei carabinieri ... ma tutto ciò non costituisce prova delle gravi accuse lanciate al ministro ... su tutta questa vicenda, coperta tuttora dal segreto istruttorio, la Commissione non può pronunciarsi. E' ora opportuno, cessate le più strette esigenze di segreto d'indagine, tornare su questa vicenda, che è assai complessa, per le consuete omertà che scattano immancabilmente allorché, come in questo caso, entra in scena, con tutta la sua potenza economica ed intimidatrice, l'organizzazione camorristica. Vengono allegati agli atti sia parte dell'informativa della Criminalpol del Lazio (doc. n. 34) che un volumetto contenente gl'interrogatori dei principali indagati nell'ambito del procedimento penale che ne è nato (doc. n. 35). La vicenda, come si ripete assai complessa, può esser schematizzata (abbozzando una ricostruzione che tenga conto dei dati accertati e di quelli più attendibili, per coerenza logica interna e riscontri esterni fra la gran massa di quelli comunque riferiti) in questo modo: a) Lello Scarano, titolare delle società Cilea, Politeama e Compagnia (tutte prive di qualsivoglia contabilità, tanto che, giunte al fallimento, lo Scarano è stato in questi giorni oggetto di fermo del pubblico ministero per bancarotta documentale), entra, fra il 1990 ed il 1991, in Pag.63 uno stato di forte insolvenza nei confronti delle esposizioni debitorie - risultate ammontare a svariati miliardi dai primi conteggi fallimentari -; b) al fine di trovare una soluzione, tenta contemporaneamente di trovare liquidità con operazioni bancarie (in particolare, la concessione da parte del Banco di Napoli di un mutuo per l'acquisto del Politeama) e ricorrendo alla finanziaria Synthesys, di Edoardo Sorrentino, cui affida la gestione economica di tutte le sue società, riservandosi la direzione artistica dei teatri amministrati dalle società stesse; c) dinnanzi al fallimento dell'operazione, in quanto il Sorrentino non è in grado di gestirla (questi in realtà, già indebitato per suo conto per 4 miliardi, aveva visto nel mutuo del Banco di Napoli la possibilità di risanare contemporaneamente la situazione propria e quella dello Scarano, ma, non essendo andata in porto quell'operazione, ha accumulato di fatto soltanto i propri debiti a quelli dello Scarano) l'unica soluzione consiste nel ricercare denaro ad interesse. A fornirlo sono inizialmente degli imprenditori irpini, tali Canelli (uno dei quali, Bruno, già proposto per misura di prevenzione per i suoi contatti con Tancredi Emilio, a sua volta pregiudicato per associazione camorristica ed altri gravi reati come luogotenente di Michele Zaza) i quali ben presto lasceranno il posto direttamente al Tancredi. Questi, anticipati titoli di favore ed altre utilità fino ad un ammontare di circa 700 milioni, inizia a premere per ottenere la restituzione di quanto gli spetta, rivolgendo minacce di morte al Sorrentino ed ai suoi collaboratori; d) entra in scena tale Criscuolo, il quale, per iniziativa di tale Gennaro De Pasquale, introduce nell'operazione prima un finanziere "d'assalto" di Milano, tale Michelangelo La Porta (il quale tranquillizza il Sorrentino garantendogli la sua possibilità di "proteggerlo" dal Tancredi, ed organizza il passaggio di tutte le attività del complesso delle società dello Scarano e del Sorrentino in una nuova società con sede a Milano); poi direttamente Ciro Mariano. Questi, a lungo latitante, viene poi arrestato in un ristorante romano insieme al La Porta, al De Pasquale, ed altri personaggi dell'entourage che hanno condotto l'operazione. In possesso del Ciro Mariano e del La Porta, appunti, titoli, denaro eccetera comprovanti l'intenzione del Mariano di portare circa 150 milioni a "rinsanguare" finanziariamente il gruppo Scarano-Sorrentino, oltre a 3 miliardi circa in cambiali. Questa, in estrema sintesi, la ricostruzione della complessiva operazione, che, ove non sventata da un'efficace operazione della polizia di Stato, avrebbe portato, secondo il classico schema 1) di prestiti usurari offerti dagli esponenti finanziari della camorra a società in difficoltà, 2) di successive intimidazioni, e 3) finali offerte di protezione previo passaggio di mano del controllo effettivo della società, al controllo effettivo e mascherato di pezzi del sistema imprenditoriale (e, in questo caso, addirittura di importanti, vivi momenti della cultura partenopea). Ebbene, in tutta questa vicenda, è inquietante rilevare la presenza dell'onorevole Pomicino. 1) lo Scarano ammette, solo nel corso dell'ultimo interrogatorio, che la sua situazione debitoria è dovuta anche ad alcune manifestazioni elettorali svolte in favore dell'onorevole Pomicino, ciascuna delle quali del costo di 25 milioni (l'onorevole Pomicino ne ammetteva al giurì d'onore una sola, lo Scarano parla ora di due, ma sul punto dovrebbe ulteriormente indagarsi). Tali erogazioni erano dallo Scarano "finalizzate ad ottenere eventuali interventi in mio favore" da parte dell'onorevole Pomicino; 2) un primo intervento dell'onorevole Pomicino in favore dello Scarano consiste nella richiesta rivolta alla Synthesys di gestire il risanamento delle società dello Scarano: si vedano le dichiarazioni del La Porta del 28 aprile 1992, secondo cui, in una riunione presso il Banco di Napoli di cui si dirà, il Sorrentino minaccerà di Pag.64 rivelare alla stampa che in quella situazione lui era stato trascinato per l'intervento della segreteria politica dell'onorevole Pomicino; 3) fallita quella prima operazione, altri interventi vengono effettuati sul Banco di Napoli che si sostanziano: secondo lo Scarano, in telefonate dell'onorevole Pomicino a dirigenti dell'Istituto a fine di sollecitare la concessione di mutui a fondo perduto alle società dello Scarano per manifestazioni teatrali che, secondo la SIAE, non potevano riceverle; secondo il La Porta, in riunioni negli uffici della Direzione generale del Banco, in cui si cerca la soluzione più idonea alle difficoltà finanziarie per le difficoltà del gruppo; comunque, sicuramente, in un pesantissimo indebitamento del Banco di Napoli nei confronti del gruppo, molto al di là del valore dei beni conferiti in garanzia; peraltro, lo stesso Scarano riferisce nell'ultimo interrogatorio che era stata la segreteria politica dell'onorevole Pomicino ad intervenire sul Banco per favorire una soluzione (doc. n. 36); 4) infine, per bloccare le minacce del Tancredi, intervengono tali Criscuolo e Gennaro De Pasquale: questi è sicuramente colui che ospita il latitante Ciro Mariano, com'è evidente sia da alcune inequivocabili intercettazioni telefoniche, sia dal ritrovamento in casa sua del caricabatterie del telefonino cellulare che il Mariano aveva in uso al momento dell'arresto. Va sottolineato: in uso, il che smentisce qualsiasi ipotesi di precedente occasionale dimenticanza dell'oggetto come afferma il De Pasquale. Ebbene: nel corso di un'intercettazione telefonica, il La Porta ben chiarisce come la complessiva operazione di salvataggio della Synthesys (si badi, per l'intervento del Mariano) si svolga sotto l'egida dell'onorevole Pomicino; il De Pasquale aveva, nella sua rubrica, il numero dell'ufficio dell'onorevole Pomicino, e quello di casa: al momento dell'arresto affermerà di esser fidanzato della figlia Ilaria del parlamentare, ma lo negherà in sede d'interrogatorio; lo stesso De Pasquale ammetterà al pubblico ministero una risalente conoscenza con l'onorevole Pomicino, ed una comune militanza politica, in gruppi giovanili andreottiani della città. Sul punto, l'onorevole Piro, sentito come teste da altro pubblico ministero, ha riferito che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rimini (luogo in cui il La Porta ha riferito di aver conosciuto il latitante Mariano): "ha provveduto a numerosi arresti nell'ambiente di persone inviate al soggiorno obbligato nella città di Rimini o adiacenze; risultati appartenere alla camorra, e che durante il periodo di soggiorno poterono contare su coperture politiche che consentirono loro l'inizio di lucrose attività economiche sul territorio". Inquietante, si diceva, la vicenda; doverosi gli approfondimenti ove li consentirà codesta Camera dei deputati. Capitolo IX RICHIESTE Il nucleo qualificante del nuovo modello processuale consiste nell'assegnare alla fase delle indagini preliminari una funzione meramente endoprocessuale. L'articolo 326 del codice di procedura penale stabilisce che la finalità delle indagini preliminari è quella di svolgere le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale. In questa fase il pubblico ministero, in base all'articolo 358 del codice di procedura penale, compie ogni attività necessaria e svolge accertamenti anche a favore della persona sottoposta alle indagini. Al termine delle indagini, da espletarsi entro termini rigorosi, il pubblico ministero, Pag.65 quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale (articoli 405-50 del codice di procedura penale). Quando la persona sottoposta ad indagini è un membro del Parlamento, il pubblico ministero deve richiedere l'autorizzazione a procedere (che è una condizione di procedibilità dell'azione) ancora prima di assumere le proprie determinazioni in ordine all'eventuale esercizio dell'azione, entro trenta giorni dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona per la quale è necessaria la autorizzazione. E' di tutta evidenza che nella ipotesi di indagini complesse il termine di trenta giorni appare assolutamente inadeguato ad esprimere determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale, per cui la richiesta assume la natura di condizione per l'espletamento delle indagini preliminari. Per questi motivi il pubblico ministero, visti gli articoli 343 e 344 del codice di procedura penale, chiede l'autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Antonio GAVA, del senatore Vincenzo MEO, del deputato Paolo CIRINO POMICINO, del deputato Alfredo VITO, del deputato Raffaele MASTRANTUONO, in ordine al seguente reato: delitto previsto e punito dagli articoli 110 - 416-bis - primo, terzo comma del codice di procedura penale per aver fatto parte di una associazione per delinquere di tipo mafioso promossa, diretta ed organizzata da Carmine Alfieri e da altri capi della camorra campana, contribuendo in modo non occasionale al raggiungimento degli scopi della associazione mafiosa, ed in particolare, al controllo di attività economiche, al rilascio di concessioni e di autorizzazioni, all'acquisizione di appalti e servizi pubblici, al conseguimento di profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri ed, inoltre, ad impedire ed ostacolare il libero esercizio del voto ed a procurare voti in occasione di consultazioni elettorali. Con le aggravanti di cui all'articolo 416-bis, commi quarto, quinto, sesto, trattandosi di associazione armata volta a commettere delitti, nonché ad acquisire e mantenere il controllo di attività economiche, mediante risorse finanziarie di provenienza delittuosa. Accertato in Napoli fino al marzo 1993. I sostituti procuratori della Repubblica Giovanni Melillo Antonio Laudati Luigi Gay Paolo Mancuso Il sostituto procuratore nazionale antimafia Franco Roberti Il procuratore aggiunto della Repubblica Paolo Mancuso |
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