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Violante: seduta 45

Violante: seduta 45
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   AUDIZIONE DEL CAPO DELLA POLIZIA, PREFETTO VINCENZO
 PARISI, DEL COMANDANTE GENERALE DELL'ARMA DEI CARABINIERI,
GENERALE LUIGI FEDERICI, DEL COMANDANTE GENERALE DELLA GUARDIA
DI FINANZA, GENERALE COSTANTINO BERLENGHI E DEL DIRETTORE
DELLA DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA, DOTTOR GIANNI DE
GENNARO, SUL TEMA DELL'ORDINE PUBBLICO, SULLO STATO DELLA
 CRIMINALITA' MAFIOSA E SULLA RELATIVA AZIONE DI CONTRASTO
         PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                       pag.
Audizione del capo della polizia, prefetto Vincenzo
Parisi, del comandante generale dell'Arma dei carabinieri,
generale Luigi Federici, del comandante generale della Guardia
di finanza, generale Costantino Berlenghi e del direttore
della direzione investigativa antimafia, dottor Gianni de
Gennaro, sul tema dell'ordine pubblico, sullo stato della
criminaltà mafiosa e sulla relativa azione di contrasto:
Violante Luciano,  Presidente  ______________________ 2021
                         2039, 2041, 2044, 2045, 2046, 2048
                         2049, 2051, 2052, 2053, 2054, 2059
                         2062, 2063, 2065, 2066, 2067, 2068
Ayala Giuseppe Maria __________________________________ 2039
Berlenghi Costantino,   Comandante generale della Guardia
di finanza  _____________________________________2033, 2060
Boso Erminio Enzo __________________________2042, 2052, 2054
Brutti Massimo ________________________________________ 2049
Cabras Paolo _____________________________________2047, 2058
Calvi Maurizio ________________________________________ 2057
Cappuzzo Umberto ______________________________________ 2042
Covello Francesco Alberto _____________________________ 2044
De Gennaro Gianni,  Direttore della Direzione investigativa
antimafia  __________________________2034, 2039, 2059, 2062
De Matteo Aldo _____________________________2044, 2050, 2051
Federici Luigi,   Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri  ______________________________2030, 2062, 2063
Florino Michele _______________________________________ 2055
Galasso Alfredo ____________________________2045, 2046, 2066
Imposimato Ferdinando _____________________________ &&P 2051
Mastella Mario Clemente __________ &&P2044, 2047, 2048, 2053
Matteoli Altero __________________________________2047, 2054
Parisi Vincenzo,  Capo della polizia  __________2021, 2063
                                     2065, 2066, 2067, 2068
Tripodi Girolamo ___________________________2052, 2053, 2054
Comunicazioni del Presidente:
Violante Luciano,  Presidente  ______________________ 2059
Sostituzione di un membro della Commissione :
Violante Luciano,  Presidente  ______________________ 2059
                          Pag.2020
                          Pag.2021
La seduta comincia alle 9,25.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione del capo della polizia, prefetto Vincenzo
Parisi, del comandante generale dell'Arma dei carabinieri,
generale Luigi Federici, del comandante generale della Guardia
di finanza, generale Costantino Berlenghi e del direttore
della direzione investigativa antimafia, dottor Gianni de
Gennaro, sul tema dell'ordine pubblico, sullo stato della
criminalità mafiosa e sulla relativa azione di
contrasto.
  PRESIDENTE.  L'ordine del giorno reca l'audizione del
capo della polizia, prefetto Vincenzo Parisi, del comandante
generale dell'Arma dei carabinieri, generale Luigi Federici,
del comandante generale della Guardia di finanza, generale
Costantino Berlenghi e del direttore della Direzione
investigativa antimafia, dottor Gianni de Gennaro, sul tema
dell'ordine pubblico, sullo stato della criminalità mafiosa e
sulla relativa azione di contrasto.
   Desidero innanzitutto rivolgere, a nome della Commissione,
l'apprezzamento più vivo nei confronti dei capi delle tre
forze dell'ordine e del direttore della DIA per i risultati
molto importanti che sono stati conseguiti quest'anno. Si
tratta di risultati davvero straordinari, che probabilmente
saranno illustrati da chi dirige le tre forze dell'ordine e la
DIA: credo, tuttavia, che tutti abbiamo presente il fatto che
mai, in così poco tempo, si erano raggiunti obiettivi di così
alto livello. Vi siamo davvero grati per l'impegno che state
profondendo, sotto la guida politica dei responsabili di
Governo.
   Do senz'altro la parola al prefetto Parisi, direttore del
dipartimento della pubblica sicurezza: successivamente
interverranno i capi delle altre due forze ed il direttore
della DIA.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia.  Signor
presidente, onorevoli commissari, darò innanzitutto lettura di
una relazione, dichiarandomi pronto ad aderire poi a qualsiasi
richiesta di integrazione e chiarimento. Farò inoltre
riferimento ad alcuni allegati alla relazione stessa.
   Gli attentati dinamitardi di maggio, a Roma ed a Firenze,
ed il fallito attentato del 2 giugno a Roma - che verranno in
prosieguo analizzati e particolarmente esposti - non possono
esulare da un contesto generale illustrativo dell'ordine e
della sicurezza pubblica del paese, cornice ineludibile delle
successive valutazioni e delle analisi di competenza.
Valutazioni ed analisi che risentono, evidentemente, degli
influssi che, da più parti, giungono ad interessare le mie
funzioni di direttore generale della pubblica sicurezza,
comportando le conseguenti misure di prevenzione e
repressione.
   La mia esposizione, pertanto, anche a fini di maggiore
incisività e sintesi delle problematiche, si svilupperà lungo
ampi riscontri di schede allegate, che consegnerò, giungendo,
in epilogo, ad una valutazione più specifica degli eventi
criminosi in argomento.
   Il panorama generale dell'ordine pubblico (allegato 1),
che è oggetto di attento e costante monitoraggio, nonché di
puntuali e calibrate iniziative da parte del dipartimento
della pubblica sicurezza e
                          Pag.2022
delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, risulta
interessato da molteplici dinamiche, connesse, per lo più, ai
seguenti fattori: vicende sindacali, con aspetti, talvolta, di
tensione, risalenti alle problematiche occupazionali ed alle
vertenze per i rinnovi contrattuali, sfociate, tra l'altro,
nel 1993, in 81 blocchi stradali, 79 ferroviari e 4
aeroportuali; tornate elettorali, attuate e di prossima
attuazione; attività contestative delle formazioni estremiste,
concretizzatesi, in alcuni casi, in circoscritti episodi di
intolleranza razziale e di aggressione politica; sicurezza
delle manifestazioni sportive, laddove viene profuso ogni
sforzo per l'attivazione di misure, preventive e repressive,
sempre più efficaci contro ogni degenerazione delle tifoserie;
esigenze di tutela a beneficio delle persone destinatarie di
misure di protezione individuale, delle personalità straniere
in visita in Italia, degli obiettivi sensibili, delle sedi
diplomatiche e consolari.
   In proposito, emergono come di particolare rilevanza le
misure di protezione adottate per le seguenti esigenze:
scorta; tutela; vigilanza fissa; vigilanza ad orari convenuti;
vigilanza generica. I parametri emergenti di maggiore rilievo
risultano nell'allegato 2 che, tra l'altro, pone in luce: le
modalità amministrative di adozione; il numero delle persone
protette (755, di cui 185 personalità politiche, 355
magistrati, 215 altre persone a rischio); l'entità delle forze
dell'ordine impegnate (3.608); l'intendimento di giungere, in
armonia con le disposizioni del ministro dell'interno, ad una
revisione straordinaria dei servizi di protezione individuale,
in vista della verifica rigorosa dell'attualità e del grado di
effettiva esposizione a pericolo dei destinatari.
   L'entità dell'azione dispiegata dalle forze di polizia per
il mantenimento dell'ordine pubblico è agevolmente
sintetizzabile nei dati riferiti all'impiego, in sede e fuori
sede per la specifica esigenza, del relativo personale, che ha
interessato, nel solo 1992, 818 mila appartenenti alla polizia
di Stato, 825 mila carabinieri e 48 mila elementi della
Guardia di finanza (espressi in termini di giornate di
impiego).
   Le terminologie terroristiche ed eversive (allegato 3)
prospettano un quadro che suggerisce costante attenzione e
capillare vigilanza. In particolare, le formazioni
dell'estrema sinistra eversiva hanno fatto registrare un certo
risveglio, manifestatosi, oltre che in talune iniziative
contestative e nella costante ricerca di consenso, nel
tentativo di danneggiamento, mediante ordigno esplosivo, degli
uffici della Confindustria a Roma (18 ottobre 1992).
   L'area dell'extraparlamentarismo di destra, dal canto suo,
è stata interessata da una certa reviviscenza dei temi di
fondo più cari a tale area, sempre più orientata in senso
xenofobo, razzista e antisemita, laddove assai tempestivo si è
rivelato il recentissimo varo di una calibrata normativa di
contrasto.
   Il terrorismo internazionale, infine, risente della
difficile congiuntura internazionale, con pericolosità
emergenti dalla virulenza dell'ETA militare, dalle perduranti
gravissime tensioni sullo scenario mediorientale, vieppiù
caratterizzate dall'espansione del fondamentalismo e, ancora,
dagli avvenimenti in atto nella ex Jugoslavia, che postulano
gli specifici interventi a spettro generale e locale, già
posti in essere a fini di tutela preventiva.
   L'incisività dell'azione sviluppata dal dipartimento della
pubblica sicurezza è testimoniata dall'arresto, dal 1^ gennaio
1992, di 80 appartenenti all'eversione di sinistra e di 32
elementi dell'eversione di destra (tra i quali il pericoloso
latitante Augusto Cauchi, catturato in Argentina).
   La situazione della sicurezza pubblica (allegato 4) rileva
la considerevole flessione dell'andamento della delittuosità
nel primo trimestre del 1993 rispetto all'analogo periodo del
1992, con concreti arretramenti che sembrano consolidarsi su
una diminuzione pari a circa l'11 per cento. In tale valore
generale è di rilievo il calo degli omicidi volontari (20,31
per cento), dei tentativi di omicidio (8,18 per cento), degli
attentati dinamitardi (29,68
                          Pag.2023
per cento) e della cosiddetta microdelinquenza (13,63 per
cento). Il decremento, già significativo nei suoi aspetti
quantitativi, acquista ulteriore pregnanza nella valenza
qualitativa, laddove lo stesso ha riguardato, incisivamente,
anche la situazione delle cosiddette regioni a rischio
(Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Sostanzialmente
stabile è rimasto l'andamento delle rapine gravi e degli
episodi estorsivi denunciati.
   Oltremodo positiva si è rivelata l'azione dispiegata dalle
forze di polizia, come confermato dai dati relativi a: denunce
ed arresti effettuati, aumentati, rispettivamente, del 10,36
per cento e del 14,5 per cento nel rapporto tra il primo
trimestre del 1993 e quello del 1992; lotta alla droga, con
7.289 chilogrammi di sostanze stupefacenti sequestrate ed
11.292 trafficanti e spacciatori deferiti all'autorità
giudiziaria, dei quali 8.187 tratti in arresto; contrasto ai
traffici di armi ed esplosivi (certamente favoriti dalle note
vicende belliche nei vicini territori della ex Jugoslavia)
laddove, già nel raffronto tra il 1992 ed il 1991, si era
registrato un incremento dei sequestri di tali materiali pari
al 7 per cento, mentre nel 1993 la sola polizia di Stato ha
condotto ben 700 operazioni, sequestrando 195 armi da guerra,
50 bombe, 305 confezioni di esplosivo, 344.642 munizioni e
196,299 chilogrammi di esplosivo.
   In tale contesto, non marginale rilievo assume la
considerazione per la quale, nel raffronto degli indici
nazionali di criminalità per 100 mila abitanti del 1991,
quozienti più alti di quelli registrati in Italia (4.612) si
sono avuti in Svezia (13.871), Regno Unito (10.402), Olanda
(9.507), Finlandia (8.434), Germania Federale (6.649),
Lussemburgo (6.801), Francia (6.580), Austria (6.074), USA
(5.897), Svizzera (5.631) e Norvegia (5.220). Quozienti più
bassi sono stati rilevati solo in Belgio (3.639), Grecia
(3.576), Irlanda (2.679), Spagna (2.482) e Portogallo (921).
   Ancora più significativa, infine, risulta la rilevazione
della tendenza all'incremento degli indici di delittuosità
osservata, nel raffronto tra gli anni 1991 e 1992, in Germania
Federale, Austria, Lussemburgo e Giappone, circostanza,
questa, che contribuisce a connotare positivamente la
contestuale predetta flessione del 10 per cento realizzatasi
nel nostro paese.
   L'attualità dei profili della criminalità organizzata
(allegato 5), rivelatrice di indubbie potenzialità eversive,
prospetta un quadro di perdurante perseguimento, da parte dei
sodalizi mafiosi, dei tradizionali fini di profitto e di
illecito arricchimento, con il protervo ricorso alle regole
dell'intimidazione e della violenza per il consolidamento di
un proprio potere nelle aree di rispettiva influenza.
   L'inconciliabile confliggenza tra tali esiziali obiettivi
e l'intensa e penetrante attività di contrasto sviluppata, con
crescente efficacia, da parte dello Stato, informa anche
talune recenti manifestazioni proprie di una strategia
criminale d'ampio respiro, sfociata in delitti emblematici
contro la collettività.
   In tale contesto, se da un lato vanno certamente inseriti
gli omicidi, pur assai diversi nelle motivazioni sottese, di
Salvatore Lima, dei compianti magistrati Falcone e Borsellino
e delle loro scorte, di Ignazio Salvo, dall'altro appare
congruo includere, per i profili di partecipazione di
organizzazioni di stampo mafioso e camorristico in sintonia
con forze eversive e destabilizzanti, i recenti attentati di
Roma e di Firenze in un perverso intendimento di freno allo
sforzo repressivo dello Stato ed alla realizzazione
democratica dei mutamenti socio-politico-economici del paese.
   L'analisi delle dinamiche interne alla criminalità
organizzata, riguardata con specifico riferimento alle
cosiddette aree a rischio (Campania, Calabria, Puglia e
Sicilia), rivela, oltre ad una tendenza alla contrazione degli
scontri tra sodalizi criminosi, il crescente coinvolgimento
degli stessi nel settore della droga, con inserimenti sia nei
traffici di cocaina per le esigenze del mercato europeo, sia
nelle rotte degli oppiacei e cannabinoidi interessate
                          Pag.2024
 dai mutamenti del sistema geopolitico dei paesi dell'Est.
   In questo nuovo programma, caratterizzato dalla rimozione
di barriere che impedivano la mobilità di persone e capitali,
vanno considerate le condizioni che favoriscono gli ulteriori
contatti della malavita organizzata italiana con quella
dell'Europa orientale, con possibilità di utilizzare
aggiornati circuiti per la conduzione di attività correlate,
prioritariamente, al riciclaggio di denaro sporco, alla
collocazione di banconote false, ai traffici di armi, di droga
e di tecnologia.
   Una specifica analisi, riferita alle interazioni fra i
gruppi delinquenziali nazionali e quelli dei paesi dell'Est,
considerati maggiormente disponibili ad operazioni illecite,
ha permesso di individuare, con prospettive investigative e
repressive, importanti circuiti praticati dalla criminalità
organizzata e di gettare le basi, attraverso accordi
intergovernativi, per concreti approcci di collaborazione tra
le forze di polizia.
   Per una ricognizione più compiuta degli accertati rapporti
intessuti dalla malavita italiana con quella dell'Europa
orientale, si richiamano le note di riferimento contenute
nell'allegato 5.
   Non è sottovalutabile inoltre l'indiscutibile, stretto
rapporto tra criminalità organizzata e fenomeno estorsivo,
mentre si registra positivamente la marcata flessione nei
sequestri di persona, certamente risalente alla diminuita
remuneratività di tale odiosa pratica per effetto sia
dell'efficacia normativa antisequestro ed antiriciclaggio
recentemente introdotta, sia dell'incisiva azione preventiva
ed investigativa dispiegata dalle forze dell'ordine nei
migliorati spazi operativi dischiusi dalla normativa stessa.
   Perdura, infine, il tentativo mafioso di cooptazione degli
strati sociali che vivono nell'illegalità, di coinvolgimento
della delinquenza giovanile, di sviluppo di una rete di
appoggi garantiti con la minaccia, l'intimidazione e la
corruzione: tutti volani, questi, funzionali al
perfezionamento del ciclo produttivo delle organizzazioni
criminali nell'ambito dei circuiti illeciti internazionali ed
all'espansione del sistema che lo alimenta con proiezioni
operative in altri paesi.
   La risposta istituzionale contro la criminalità
organizzata, sostenuta da una lungimirante, sensibile e acuta
politica legislativa, ha coinvolto, in armonica sinergia,
l'intera compagine statuale - magistratura, forze dell'ordine,
apparati di tutela - con risultati invero assai lusinghieri
che si auspicano prodromici del più generale successo contro
la minaccia mafiosa.
   A questo punto desidero rivolgere un vivissimo
ringraziamento al presidente di questa Commissione, che ha
rivolto parole di apprezzamento e sostegno per l'operato della
magistratura e delle forze dell'ordine, e a tutta la
Commissione per l'azione di impulso che è stata data. Il mio è
un saluto particolarmente deferente e cordiale in quanto non
poca linfa a questa attività è giunta proprio dall'impulso di
grande rilievo morale, civile e politico che questa
Commissione ha saputo dare anche con indicazioni preziose sul
piano giuridico ed operativo.
   L'azione investigativa ha consentito, nel decorso anno e
nei primi mesi del 1993, il perseguimento di 301 sodalizi di
tipo mafioso, con il coinvolgimento di 4.423 affiliati, in una
successione di operazioni che hanno inflitto duri colpi, tra
gli altri, ai clan Mariano, Ranieri-Cardillo e Alfieri-Galasso
in Campania; Imerti e Mammoliti, presenti a Reggio Calabria e
lungo le coste ionica e tirrenica del reggino in Calabria;
Corleonesi, Cursoti, Santapaola, Urso e Carbonaro-Dominante,
in Sicilia. Molteplici inoltre le indagini, talvolta molto
complesse e con proiezioni estere, conclusesi favorevolmente
( "Green Ice" , "Leopardo", "Mare Verde", "Pegaso", tra
quelle più note; l'arresto degli autori della strage di
Acerra; l'individuazione dei mandanti dell'omicidio Lima; la
cattura di uno dei partecipanti alla strage di via D'Amelio a
Palermo e così via).
   Di grande importanza si è rivelato l'apporto dei
collaboranti di giustizia, il cui numero sempre crescente (420
al 7 giugno 1993) è da porre in correlazione
                          Pag.2025
non solo con dinamiche interne alle organizzazioni criminali
ma anche con l'ormai comprovata efficacia delle norme di
protezione e di assistenza dei collaboranti stessi e delle
loro famiglie. Norme, queste, che hanno trovato piena e
proficua attuazione da parte del Servizio centrale di
protezione - istituito in seno alla direzione centrale della
polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza -,
struttura interforze in costante raccordo con le autorità
provinciali di pubblica sicurezza per la realizzazione degli
articolati, compositi programmi di protezione, la cui
latitudine spazia dalla garanzia della tutela agli interventi
in campo organizzativo, logistico ed assistenziale.
   Altrettanta professionalità, non disgiunta da notevoli
doti di equilibrio, è richiesta dalla gestione "operativa" dei
pentiti, laddove massimo è l'impegno profuso dall'autorità
giudiziaria e dalle forze di polizia nella delicata fase di
riscontro delle dichiarazioni ricevute, in una prospettiva di
perseguita progressiva spersonalizzazione del rapporto a
beneficio di approcci ancor più strutturali, coordinati,
omogenei.
   Di tutto rilievo sono altresì gli importanti successi
conseguiti sul piano, fondamentale, della ricerca e della
cattura dei latitanti; risultati testimoniati, ancor più che
dalle cifre (224 pericolosi latitanti, dei quali 21 oggetto di
speciale programma interforze, assicurati alla giustizia dal
gennaio 1992 al 7 giugno 1993), dal livello criminale degli
arrestati. Per citare solo i più noti: Salvatore Riina,
Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia, Giuseppe Pulvirenti,
Carmine Alfieri, Umberto Ammaturo, Rosetta Cutolo, Antonino
Imerti, Domenico Libri, Matteo Boe (si veda l'allegato 6,
contenente il prospetto di sintesi relativo ai latitanti, con
riguardo al coordinamento interforze della ricerca, alla
ripartizione per singola forza di polizia o a gruppi
interforze, alla situazione nominativa attuale degli arrestati
dal 1^ gennaio 1992 ad oggi).
   E' proseguito ancora l'impegno nei settori sia delle
misure di prevenzione patrimoniali, quantificabile nel
sequestro, a far data dal gennaio 1992, di beni di provenienza
illecita per un valore commerciale di oltre 4.100 miliardi di
lire, sia della salvaguardia della trasparenza della pubblica
amministrazione, laddove il forte impulso impresso dal
ministro dell'interno ha consentito, per la parte di
competenza e nel medesimo periodo, lo scioglimento di 39
consigli comunali inquinati da condizionamenti mafiosi ed il
deferimento alla magistratura di oltre 1.300 tra
amministratori e funzionari pubblici.
   Mirati interventi legislativi in tema di poteri
investigativi dell'autorità giudiziaria e della polizia
giudiziaria (norme in materia di "colloqui investigativi", di
potenziamento delle attività di iniziativa della polizia
giudiziaria, di intercettazione di comunicazioni autorizzate
dalla magistratura, eccetera); oculate scelte di politica
penitenziaria, col trasferimento, in ispecie, di
pericolosissimi detenuti in carceri di massima sicurezza di
zone diverse da quelle di provenienza; ulteriore affinamento
delle procedure di controllo del territorio, col prezioso
contributo in Sicilia di molti reparti delle forze armate;
ulteriore slancio alla forza trainante del coordinamento
interforze, nel perfezionamento dei modelli di
intelligence , così come nell'organizzazione informatica,
nell'aggiornamento delle "mappe" della criminalità, nella
migliore reciprocità informativa e negli avviati programmi di
collegamento fra le sale operative; rinnovata attenzione
dedicata alla lotta al riciclaggio, anche con l'ausilio del
fattivo contributo del Ministero del tesoro e della Banca
d'Italia in funzione valutativa e propositiva per più
rispondenti strumenti normativi nello specifico settore: sono
questi solo alcuni dei parametri che hanno supportato lo
slancio generoso ed - è d'uopo riconoscerlo - efficace delle
migliori risorse dello Stato contro la delinquenza mafiosa;
impegno, però, che può essere pienamente valorizzato e
coronato da definitivo successo solo in un quadro
collaborativo internazionale idoneo a
                          Pag.2026
spezzare il perverso reticolo, ormai planetario, dei traffici
di armi e di droga, nonché delle manovre finanziarie collegate
ad attività illecite.
   In tale contesto, il nostro paese ha assunto un ruolo
trainante adoperandosi su più direttrici: ratifica di
importanti convenzioni; impulso al canale Interpol; stipula di
intese bilaterali e plurilaterali; cooperazione di carattere
giudiziario ed investigativo; formazione ed assistenza delle
forze di polizia dei paesi di produzione e transito della
droga. Il tutto, in un quadro che ha evidenziato ancor più il
rinsaldamento degli ottimi rapporti collaborativi con tutti i
paesi alleati ed amici, con particolare riguardo a quelli,
ormai decennali, con gli Stati Uniti d'America.
   Altrettanto risoluta la ricerca di ogni migliore formula
collaborativa in ambito comunitario, con iniziative che vanno
dal pieno sostegno del programma EDU-Europol, varato in ambito
TREVI, all'organizzazione di imprescindibili momenti di
approfondimenti, quali la conferenza ministeriale di Roma del
26-27 maggio scorso, alla predisposizione degli strumenti per
la migliore partecipazione del nostro paese al concerto
europeo sul piano della lotta alla criminalità organizzata.
   Nel quadro complessivo - così delineato nei suoi tratti
essenziali che investono le problematiche dell'ordine
pubblico, del terrorismo e dell'eversione, della sicurezza
pubblica nonché dei profili di attualità della criminalità
organizzata - devono essere inseriti ulteriori riferimenti
ricognitivi delle minacce qualificate di attentati (allegato
7), delle minacce generiche e rivendicazioni (allegato 8), dei
rinvenimenti di esplosivo (allegato 9) e degli attentati
dinamitardi effettuati (allegato 10).
   E' su tale generalità, quindi, che in armonia con le
direttive del ministro dell'interno si è innestata la funzione
di indirizzo operativo propria del dipartimento della pubblica
sicurezza, estrinsecatasi in mirate direttive (allegato 11),
riferite sia alla più idonea predisposizione delle misure di
tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, sia alle
iniziative decise con specifico riguardo allo scenario
delineatosi a seguito degli attentati di Roma in via Fauro
(allegato 12), di Firenze (allegato 13), di Roma in via dei
Sabini (allegato 14).
   Dalla fine del 1991 il risveglio di un più consapevole
senso civico, il supporto di una valida normativa di
prevenzione e di contrasto del crimine, l'attuazione di
importanti provvedimenti ordinamentali ed organizzativi a
favore dell'impegno della magistratura e delle forze
dell'ordine, l'accentuata cooperazione internazionale, i
contributi di circa 400 pentiti hanno concorso a migliorare i
parametri di convivenza civile, consentendo tra l'altro al
ministro dell'interno l'illustrazione al Parlamento dei dati e
delle valutazioni presentati con la  Relazione sull'attività
delle forze di polizia e sullo stato dell'ordine e della
sicurezza pubblica nel territorio nazionale, per il
1992 .
   In tale cornice si collocano altresì le recenti
approvazioni, rispettivamente della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica, di un disegno di legge del Governo in
materia di controllo degli assetti societari delle aziende
commerciali e delle compravendite di negozi e di suoli e del
disegno di legge n. 688 del 1992, relativo alla ratifica ed
all'esecuzione della convenzione sul riciclaggio, la ricerca,
il sequestro e la confisca dei proventi di reato, redatta a
Strasburgo l'8 novembre 1990, che ha riformulato la citata
fattispecie criminosa facendo riferimento alla sostituzione o
al trasferimento di denaro o altre utilità provenienti non più
da un limitato numero di reati ma da qualsiasi delitto non
colposo, con il non trascurabile significato rivestito dai più
recenti impegni assolti sul terreno della politica criminale,
diretti a rendere più difficili i processi di indebita
accumulazione di ricchezze.
   La progressiva perdita di consenso popolare da parte della
mafia e la caduta di compositi sistemi delinquenziali fondati
sulla coordinata gestione di affari
                          Pag.2027
illeciti, logica conseguenza dei successi derivati
dall'azione di contrasto dell'apparato dello Stato, hanno
fatto tenere in debito conto i rischi concreti di azioni di
riaffermazione dei poteri illegali.
   In proposito giova ricordare l'importante operazione di
polizia, conclusa positivamente il 19 ed il 22 marzo scorso,
nelle città di Palermo e di Milano, con l'individuazione e
l'arresto di tre pericolosi esponenti della "famiglia"
Altofonte di Palermo che stavano preparando gravi attentati in
pregiudizio di strutture giudiziarie, di rappresentanti
dell'ordine giudiziario e delle forze di polizia nonché del
mondo imprenditoriale.
   Nel cennato contesto sono stati, inoltre, analizzati i
segnali di minacce di attentati, registrati anche di recente,
oggetto di approfondite valutazioni, e le conseguenti
operazioni di controllo della criminalità che hanno portato al
rinvenimento ed al sequestro di esplosivi, precipuamente nelle
regioni cosiddette a rischio. Tra questi taluni eventi che
hanno riguardato un episodio del 15 maggio a Vittoria
(Ragusa), dove il vicepresidente del Consiglio superiore della
magistratura, Giovanni Galloni, stava tenendo una conferenza.
La minaccia di un attentato nel teatro, luogo del convegno,
con segnalazioni pervenute alle forze di polizia ed alla
stampa, ha fatto scattare l'allarme, determinando
l'interruzione dei lavori ed il rinvenimento di un finto
ordigno.
   Altro episodio, quello riferito all'incendio doloso
dell'istituto professionale statale per l'industria e
l'artigianato di Bagheria (Palermo), del 26 maggio, dopo che
la Commissione parlamentare antimafia guidata dal suo
presidente si era recata, il 19 dello stesso mese, a visitare
il citato complesso scolastico, a seguito di una richiesta
avanzata dagli studenti e dal corpo docente.
   Collaterali fattori possono aver inciso, altresì, in
chiave eziologica, sulla consumazione di successivi efferati
delitti. Tra questi, il grande consenso sociale e la
mobilitazione dei cittadini registrati in occasione della
ricorrenza, il 23 maggio, dell'anniversario della strage di
Capaci e l'intensità della lotta alla malavita organizzata,
esaltata in termini di attualità dal contrasto dialettico tra
collaboratori di giustizia ed appartenenti al consesso
mafioso, mentre la forte cooperazione delle forze di polizia e
l'efficacia dei dispositivi di vigilanza esistenti nelle aree
a maggior rischio - dove per altro tentativi di ripresa e
reazione della malavita erano stati scoperti e sventati -
potrebbero avere contribuito alla scelta di obiettivi
diversificati, per altro ben ponderata, in città nelle quali
più eclatanti sarebbero apparsi gli effetti destabilizzanti
ricercati.
   Nella situazione generale dell'ordine e della sicurezza
pubblica sopra delineata che, pur conservando momenti non
scevri di preoccupazione, è stata e resta contrassegnata da
sicuri segnali di positività, vengono a collocarsi con tratti,
per diversi aspetti analogici, i tre barbari attentati di
maggio e giugno, a Roma e a Firenze.
   In merito alla valutazione di tali fatti delittuosi,
desidero premettere che ogni possibile contributo conoscitivo
ed informativo, ricadente in un contesto di attività di
polizia giudiziaria, è stato e sarà offerto dalle strutture
investigative delle forze di polizia alla magistratura. Vorrei
però ribadire la proponibilità e, nel contempo, la doverosità
di una mia valutazione degli attentati suddetti, per il
profilo delle responsabilità riguardanti la mia persona, sia
in tema di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica sia
in materia d'analisi di ipotesi, di ragionamenti, di spunti e
ovviamente senza travalicare i confini oltre i quali si
sviluppa il lavoro dell'inquirente, nell'ottica della
prevenzione da attivare in direzioni ben focalizzate ad
evitare vuoti e dispersioni di energia.
   Accedendo alla costruzione logica di una convergenza di
interessi di diversificate ma contigue forze del crimine,
dirette a tarpare l'anelito di ripresa della comunità
nazionale, appare quanto mai significativo il fatto che
l'attentato di Firenze sia stato perpetrato nel cuore
                          Pag.2028
della città con il fine di produrre la massima risonanza a
livello universale e con il risultato, tra l'altro, di
arrecare un'offesa indelebile alla cultura mondiale e
gravissimi danni all'economica fiorentina e nazionale, fondata
in gran parte sui flussi turistici.
   Giustapposte le considerazioni afferenti le tentate stragi
di Roma, va sottolineato che l'insieme dei parametri di
contrasto suddetti, in uno con la caduta di coperture di
sistemi economici non trasparenti, ha comportato sia
coincidenze temporali tra gli attentati, sia contemporaneità
di esecuzione degli stessi con importanti momenti espressivi
della vita nazionale.
   Si rammenta, infatti, che l'episodio di via Fauro in Roma
si è verificato il giorno della celebrazione della festa della
polizia di Stato e che quello di Firenze è avvenuto nella
notte precedente l'apertura nella capitale della Conferenza
internazionale sulle "rotte europee della droga", con la
partecipazione dei ministri dell'interno, o di loro
rappresentanti, di 41 paesi, finalizzata alla ricerca di
sistemi di intercettazione delle correnti di traffico e di
nuovi scambi informativi per assicurare una tempestiva ed
efficace azione repressiva, mentre quello di via dei Sabini,
sempre in Roma, era stato preordinato per il 2 giugno, festa
della Repubblica.
   Operando lungo le citate direttrici, appare logico
considerare, inizialmente, talune circostanze volte a cogliere
la oggettiva sistematicità di tali attentati stragistici, in
un contesto ideativo ed esecutivo che pare omogeneo, anche per
le finalità tipiche che sembrano percorrere le strade di una
vera e propria strategia del terrore.
   Le affinità tra gli attentati si ricavano, in primo luogo,
dal  modus operandi , caratterizzato dall'impiego di
autovetture rubate, utilizzate per celarvi cariche esplosive
risultate poi, in base ai primi accertamenti, similari od
omologhe, con modalità operative che richiamano altresì alla
mente le stragi di Capaci e di via D'Amelio del decorso anno,
che determinarono una risposta istituzionale di alto contenuto
repressivo.
   Altri elementi meritevoli di considerazione riguardano: il
brevissimo arco di tempo che separa gli attentati, tanto da
farli considerare passaggi di un unico programma; la scelta
dei luoghi, suscettibile di creare un'eco sempre più vasta,
prima entro i confini nazionali e, successivamente, su scala
internazionale, in una chiara prospettiva di forte pregiudizio
all'immagine del paese e d'intento esiziale nel frenarne il
cammino democratico, caratterizzato da positive operazioni di
rinnovamento sul piano della trasparenza istituzionale e della
vita economica e sociale.
   Ulteriore analogia accomuna gli episodi nel fatto che si è
operato contro obiettivi non specificamente protetti, con
l'intento stragistico tipico di ingenerare distruzioni,
conseguenze letali, terrore e panico indiscriminati.
   La configurazione di proponibilità per un accostamento
degli ultimi eventi ai fatti di Palermo - in specie per quanto
riguarda la capacità tecnico-operativa e l'uso di esplosivi -
comporta l'esigenza di scoprire la logica perversa seguita
dagli autori dei delitti.
   Sembra indubitabile che gli attentati relativi alle
"stragi Falcone e Borsellino", realizzate in Sicilia, siano da
correlarsi al perseguimento di obiettivi di tutto spessore,
per un verso strettamente connessi all'azione giudiziaria dei
due magistrati e, per altro verso, risalenti all'intento
omicida contro il personale della polizia di Stato
direttamente colpito, con riflessi di forte intimidazione sia
nei confronti della magistratura e del personale addetto alle
scorte, sia nei riguardi della cittadinanza di Palermo.
   Di contro, il coinvolgimento della mafia nelle ultime
operazioni criminali, di elevato profilo terroristico ed
eseguite fuori dalla Sicilia, non appare che situabile in un
disegno ancor più ampio, laddove interessi macroscopici
illeciti, sistemazioni di profitti, gestioni d'intese con
altre componenti delinquenziali ed affaristiche nazionali ed
internazionali
                          Pag.2029
emergono con ogni evidenza, in una prospettiva che tende
sempre più a sfumare dal rango di mera ipotesi a quello di
tesi di rilievo.
   Inoltre, tutte le componenti delinquenziali sopra
delineate verrebbero ad assumere veste di sensore altamente
reattivo per i processi di aggiornamento dei circuiti
dell'illecito, provocati anche dalla spinta degli stessi
mutamenti socio-politico-economici, riscontrabili in contesti
geografici internazionali, a cominciare da quelli europei.
   La spettacolarità, la proditorietà, la luttuosità, i
sottesi messaggi proposti dalle stragi ripetono i connotati di
quelli della strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, per
la quale furono acclarate giudiziariamente le responsabilità
di componenti mafiose e camorristiche, unitamente ad elementi
dell'eversione di destra che avevano agito, pure in quella
circostanza, al chiaro fine di bloccare l'intervento
repressivo dello Stato nelle aree di maggior radicamento della
criminalità di tipo mafioso, con lo scopo non secondario sia
di distrarre l'attenzione da tali aree, sia di indurre a
modificare le priorità repressive statuali.
   Non può sfuggire, nella cennata valutazione, l'importanza
del tipo di rivendicazioni effettuate dopo i fatti criminosi
dei giorni scorsi. L'esperienza maturata a seguito di azioni
terroristiche induce a sottolineare che la paternità degli
attentati viene reclamata normalmente in modo da non cedere ad
altri la paternità dell'evento, con ciò contribuendo anche ad
orientare gli investigatori circa la matrice degli stessi.
   Gli attentati in argomento si presentano contraddistinti,
invece, dal silenzio tipico degli eventi stragistici che, per
la loro efferatezza, non possono essere rivendicati da alcuno,
rimanendo solamente suscettibili di essere affidati
all'intelligenza di coloro che devono capire il perché siano
avvenuti.
   Le rivendicazioni giunte da parte della Falange armata e
da poche altre sedicenti formazioni (allegato 8), anche per
l'ora e le modalità, risultando inattendibili. Esse sono
altresì tali per la Falange anche per il fatto che finora
questa sigla si è attribuita la responsabilità di quasi tutti
i fatti delittuosi di una certa gravità registrati negli
ultimi anni e non riconducibili certamente ad un unico spazio
programmatico.
   Permane, tuttavia, un alone di mistero che circonda
l'evidente pretesa di proporsi, come forza eversiva, di tale
sedicente formazione che, proprio per la continuata
reiterazione del suo manifestarsi, ha indotto a specifiche
investigazioni volte a svelarne i tratti, in particolare con
il concorso dedicato da parte dei servizi di informazione e
sicurezza.
   La configurabilità di una matrice diversa da quella
tipicamente mafiosa non può essere, evidentemente, scartata
a priori , specie in presenza della complessità dei
menzionati delitti, che - comunque omologa a quelli praticati
dalla mafia - congiunge interessi più che compositi, nazionali
ed internazionali.
   La volontà terroristica, espressa nelle menzionate
circostanze, si pone senza alcun dubbio come diretta a creare
notevolissimo allarme sociale ed a determinare un'accentuata
spinta alla sfiducia generalizzata.
   La ricerca di una corretta valutazione sulle motivazioni
dei segnalati delitti e sulle scelte temporali effettuate dai
criminali, potrebbe anche comportare immediate risposte,
correlanti il tutto al momento storico vissuto dal nostro
paese per il cambiamento ed il rinnovamento, dove fondamentali
appaiono l'impegno ed i risultati conseguiti nella lotta alla
criminalità organizzata.
   Sono indubitabili gli effetti prodotti dall'efficace
risposta dello Stato: disarticolazione di solide
organizzazioni criminali di stampo mafioso; neutralizzazione
di fortune economiche appartenenti al sistema criminale;
interruzione di consolidati circuiti praticati per i traffici
di droga ed il riciclaggio del denaro "sporco", in un contesto
di pregnante valenza per le relazioni intessute dalla malavita
associata a livello internazionale; operazioni molteplici per
la cattura di pericolosi
                          Pag.2030
 latitanti; individuazione, con riflessi giudiziari, di forti
legami illeciti tra ambienti mafiosi e settori sia economici
sia amministrativi.
   I successi investigativi ottenuti hanno assunto poi
particolare rilievo per essere stati conseguiti, oltre che sul
territorio nazionale, anche all'estero, e questo in virtù
dell'ampliamento e del sistematico sviluppo della cooperazione
internazionale e del più aggiornato quadro normativo, idoneo
ad alimentare il processo di armonizzazione delle specifiche
legislazioni a livelli comunitario.
   Appare evidente, alla luce di quanto detto, che, in un
momento segnato dall'impegno di tutte le componenti
istituzionali - comprese quelle giudiziarie, vivificate dal
nuovo impianto della Direzione nazionale antimafia e delle
procure distrettuali - volto a riscattare l'immagine del paese
e ad assicurargli condizioni di sviluppo e di ripresa anche
economica, la lettura dei gravi fatti delittuosi di Roma e
Firenze non può prescindere da un'attenzione speciale all'area
della illegalità, nella quale si collocano centrali malavitose
di tipico stampo mafioso ed aree inquinate della vita
economica, che praticano il riciclaggio e gli investimenti di
profitti acquisiti illecitamente, con presenze in circuiti
nazionali ed internazionali, con una prospettiva di impedire,
anche dall'esterno, la realizzazione dei mutamenti in atto.
   La sfida posta dalla criminalità organizzata, portatrice
oltre tutto di odiosi, recenti riferimenti di mafiosità
stragistica, con connotati di impatto traumatizzante, è quella
che quindi, più di ogni altra, ci impegna sulla tormentata via
del progresso civile ed ordinato del paese.
   Su tale linea di progresso, puntualmente delineata anche
da codesta Commissione, si sta operando con alacrità per
perfezionare e potenziare il controllo del territorio, nello
sviluppo di un imponente lavoro di  intelligence  e di
numerose e consistenti inchieste - in pieno raccordo con le
varie procure - che incrociano anche trasversalmente progetti
e fatti criminosi di inusitato spessore. Questi, a loro volta,
sembrano collegare il grande arcipelago dei diversi sodalizi
delinquenziali all'intreccio di interessi diversificati, tra i
quali primeggiano quelli risalenti a proventi illeciti,
acquisiti ed utilizzati quali mezzi di perverso potere che
vuole, a qualunque costo, riaffermarsi, perpetuarsi,
espandersi.
   E' sullo sfondo di questo scenario che si sono collocati,
in meno di dodici mesi, le stragi di Palermo e gli attentati
di Roma e Firenze. La serena valutazione dei fatti, aperta per
altro, come ho detto, alla configurazione di ogni possibile
matrice degli eventi, ha comportato la verifica degli attuali
sistemi di difesa dell'apparato istituzionale,
l'intensificazione delle attività di prevenzione e di
sicurezza, il dispiegamento sul territorio di tutte le risorse
disponibili.
   Ulteriori iniziative, assunte in sede di Comitato
nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, riguardano
sia i dispositivi di vigilanza, quelli già esistenti
ulteriormente potenziati, sia l'apparato investigativo,
interamente mobilitato.
   Le forze dell'ordine, in strettissimo raccordo con la
magistratura, continueranno a profondere ogni energia con
determinazione, coraggio e fermezza per il mantenimento della
legalità ed a sviluppare, con coerenza ed unità di intenti, le
attività di contrasto del fenomeno delinquenziale, attivando,
inoltre, ogni attività collaborativa con gli organismi
giudiziari e di polizia dei paesi alleati ed amici, ai quali
fin d'ora si indirizza, grato, il nostro pensiero per
l'insostituibile apporto di conoscenza e di volontà già in
passato profusi.
   Le singole istituzioni statuali, le aggregazioni sociali,
i cittadini sono chiamati, tutti, ad un corale appoggio che,
dalla collettività, si volga a favore della società
democratica per giungere, insieme, alla sconfitta delle forze
illiberali che tramano, nell'ombra, contro la Repubblica ed i
supremi valori della nostra Costituzione.
  LUIGI FEDERICI,   Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri . Anzitutto
                          Pag.2031
voglio esprimere al presidente e a tutti i componenti la
Commissione il piacere e la soddisfazione di sedere per la
prima volta attorno a questo tavolo e parlare loro
dell'impegno dell'Arma dei carabinieri nel contrasto della
criminalità organizzata.
   Dopo il quadro globale ed esauriente fatto dal prefetto
Parisi sulla situazione della criminalità e sulla situazione
della sicurezza pubblica, incentrerò il mio brevissimo
intervento sui provvedimenti attuati recentemente e da attuare
a breve scadenza, per rendere sempre più attuale ed adeguata
all'evolvere della criminalità l'operatività dell'Arma dei
carabinieri. Inizio il mio intervento da una brevissima
sintesi sui provvedimenti già adottati.
   Come loro sanno, a partire dal 1991, l'Arma ha adottato un
nuovo modello ordinativo che consiste: nell'elevazione del
numero delle divisioni da 3 a 5; nella soppressione del
livello di Brigata, la cui competenza territoriale non trovava
riscontro nell'ordinamento amministrativo; nella istituzione
dei comandi regionali retti da generali di Brigata, con
estensione territoriale corrispondente alle regioni
amministrative; nella costituzione, in ciascuna provincia, di
un solo comando provinciale nel cui ambito sono collocati
anche i gruppi eventualmente esistenti in zona diversa dal
capoluogo; nell'attribuzione dei comandi di compagnia
particolarmente impegnativi a maggiori, che hanno una più
qualificata esperienza, anziché a capitani; nel potenziamento
delle stazioni, finalizzato (come vedremo dopo anche nel
programma 1994) a consentire l'apertura al pubblico delle
stazioni almeno per 12 ore al giorno, ossia stazioni di
seconda fascia; infine nel potenziamento di alcuni presidi
carabinieri in zone particolarmente a rischio, quali il comune
di Terlizzi, quello di San Luca e quello di Barcellona Pozzo
di Gotto.
   Parallelamente è stato incrementato il personale da
impiegare nei servizi esterni mediante l'adozione di servizi
telematici avanzati che consentono di limitare gli oneri nelle
attività non specificatamente operative e la contrazione dei
tempi necessari per la trasmissione degli ordini, per lo
sviluppo dell'attività informativa e la gestione degli oneri
tecnico-logistici; infine è stato perseguito il recupero di
personale da incarichi non prettamente istituzionali.
   A due anni dall'avvio di questo nuovo ordinamento, posso
dire senza dubbio, e confermare alla Commissione, che il nuovo
modello ordinativo, più strettamente correlato al territorio,
ha già confermato la sua piena ed assoluta validità.
   Passiamo rapidamente ad esaminare i provvedimenti di
prevista attuazione a breve scadenza, che sono poi quelli che
interessano di più.
   Per adeguare ulteriormente la struttura dell'Arma
all'evolvere della criminalità, sono in atto i seguenti
provvedimenti da attuare entro l'anno, intesi ad elevare il
livello di prontezza operativa dell'istituzione nel suo
complesso e dei singoli presidi. Innanzitutto è prevista
l'istituzione entro l'anno, direi entro l'autunno, del comando
regione Basilicata nella città di Potenza; è prevista
l'istituzione di altri otto comandi provinciali (Prato, Lecco,
Lodi, Rimini, Crotone, Vibo Valentia, Biella, Verbano). E'
prevista inoltre l'istituzione di venti nuovi comandi di
compagnia, soprattutto nell'Italia meridionale:
Palermo-Brancaccio, Roma-Appia, Campi Salentina (Lecce),
Mercato San Severino (Salerno), Latisana (Udine), Montebelluna
(Treviso), Bojano (Campobasso), Rende (Cosenza), San Donà di
Piave (Venezia), San Lazzaro di Savena (Bologna), Peschiera
del Garda (Verona), San Vito dei Normanni (Brindisi), San
Giuseppe Vesuviano (Napoli), Venafro (Isernia), Follonica
(Grosseto), Scandicci (Firenze), Orte (Viterbo), Massafra
(Taranto), Solofra (Avellino) e Misterbianco (Catania).
   E' prevista inoltre l'istituzione di trentasei nuove
stazioni, tra cui quella di Firenze-Uffizi; è previsto il
trasferimento di 537 stazioni dalla prima fascia (apertura
otto ore) alla seconda (apertura 12 ore), è prevista
l'acquisizione entro il mese di ottobre di altre 171 stazioni
mobili che si aggiungono alle 173 già
                          Pag.2032
distribuite, che possono integrare sul territorio il
controllo delle aree più sensibili con un'attività diuturna,
mobile su tutto il territorio; è prevista la realizzazione di
dieci casermette, già in avanzata fase di realizzazione, direi
quasi in fase conclusiva, in Sardegna per il controllo delle
zone impervie ed isolate che verranno presidiate entro l'anno
con stazioni carabinieri fisse o con squadriglie. Grazie
all'impegno del prefetto Parisi è stato concesso l'aumento da
otto a quindici del tetto delle ore di straordinario mensile
di possibile retribuzione al personale delle stazioni, il che
consente un deciso aumento del livello di operatività delle
stazioni stesse.
   Oltre ai provvedimenti indicati, che sono essenzialmente
ordinativi, segnalo alcuni provvedimenti
organizzativo-logistici che contribuiscono ad incrementare la
complessiva efficienza dei reparti. Tra questi voglio
ricordare l'estensione della rete in ponte radio a tutti i
comandi intermedi ed ai nuclei elicotteri; l'acquisizione di
"moduli cripto", di cui sentivamo la necessità, per apparati
radio-veicolari; la distribuzione di apparati per trasmissioni
in facsimile sino a livello stazione; l'acquisizione di
terminali mobili in gamma radio per collegamenti con le banche
dati; la distribuzione a livello comando provinciale di
sistemi per archiviazione dati a tecnologia ottica che
consentiranno di recuperare sensibili tempi che potremmo
dedicare all'attività operativa; la distribuzione di sistemi
elaborativi per la gestione automatizzata dei dati fino a
livello stazione; la sperimentazione in programma di radio
localizzazione dei veicoli; il completamento delle dotazioni
per artificieri antisabotaggio, con l'acquisizione di
robot  filo-guidati e rilevatori di esplosivi, come
quello comparso recentemente in televisione; il potenziamento
delle dotazioni di sistemi per le intercettazione delle
comunicazioni; l'acquisizione di sistemi automatizzati per la
realizzazione di  identikit  elettronici e memorizzazione
di foto segnaletiche; l'acquisizione di laboratori per analisi
del DNA, indagini foniche e balistiche, individuazione ed
identificazione di esplosivi.
   I problemi ancora da risolvere più significativi, le cui
soluzioni peraltro sono già allo studio, sono prevalentemente
di carattere infrastrutturale e riguardano il completamento
del programma previsto dalla cosiddetta legge Botta, la n. 16
del 1985; programma che sarebbe indispensabile riprendere e
che dovrebbe prevedere un rifinanziamento della legge stessa
per circa mille miliardi; la unificazione della scuola
sottufficiali, in atto frazionata in tre sedi, il che comporta
notevoli oneri organizzativi e di personale, che vorremmo
unificare nella sede di Firenze e che comporterà un onere
globale di circa 500 miliardi; il completamento del comando
regione Calabria in Catanzaro. L'opera, avviata sin dal 1984
con fondi ordinari del competente provveditorato regionale
alle opere pubbliche, è ferma alle strutture portanti, per cui
è indispensabile un ulteriore finanziamento di 43 miliardi.
Infine, occorre completare il complesso polifunzionale di
Roma-Tor di Quinto che pone una esigenza finanziaria di 100
miliardi. Con questo ho terminato di illustrare il quadro
panoramico dei provvedimenti già adottati, di quelli allo
studio e di quelli da attuare.
   Vorrei ora fare un rapidissimo quadro delle valutazioni
sui recenti attentati di Roma e Firenze. Le valutazioni
formulate sull'argomento dal prefetto Parisi non richiedono
ulteriori integrazioni. Posso solo sottolineare che le
risultanze dei primi accertamenti tecnici sugli episodi di via
Fauro e di Firenze, consentono di rilevare notevoli analogie
quantitative e qualitative nell'esplosivo impiegato, posto che
non sono state sinora rinvenute tracce dei congegni impiegati
per l'innesco.
   Posso ancora precisare che la vicenda del rinvenimento, in
via dei Sabini a Roma, della Fiat 500 contenente un composto
esplosivo, per gli elementi valutativi allo stato disponibili,
non sembra assolutamente riconducibile o assimilabile agli
altri fatti. Gli accertamenti in atto, che tengono presenti
anche gli altri attentati, non possono escludere una matrice
                          Pag.2033
 indipendente sulla spinta di motivazioni che, allo stato,
non è possibile intravedere. Il fatto che, in questo caso, vi
sia la presenza di un teste collaborante, che ha messo
magistrati ed investigatori nelle condizioni di acquisire
integra l'autobomba, consente però di poter sviluppare le
indagini concrete sulla base di una serie di dati di fatto
negli altri casi non disponibili.
   Le valutazioni espresse sugli attentati di Roma e Firenze,
rafforzate dalla mancanza di rivendicazioni attendibili o
decifrabili, come ha detto poc'anzi il prefetto Parisi,
portano a preponderare per una matrice mafiosa. Tale pista,
priva peraltro di obiettivi concreti riscontri, può trovare
una spiegazione solo nella volontà di una componente di Cosa
nostra di perseguire un disegno di scontro finale con le
istituzioni, già avviato con gli attentati di Capaci e di via
D'Amelio, riaffermando nel contempo, con la politica del
terrore, l'egemonia interna all'organizzazione.
   L'arresto del capo assoluto, Salvatore Riina, e dei suoi
collaboratori, potrebbe infatti aver posto in discussione la
leadership  del gruppo corleonese. Da qui l'esigenza di
riaffermarne la forza con la massima violenza, ricercando
forse nuove alleanze e nuovi spazi operativi anche al di fuori
di quelli tradizionali.
  COSTANTINO BERLENGHI,   Comandante generale della
Guardia di finanza . Vorrei innanzi tutto rivolgere il mio
deferente saluto al presidente e a tutti i membri della
Commissione. Dico subito che consegnerò un documento al
termine della mia esposizione; la mia sarà una valutazione
molto più semplice e meno articolata di quella fatta dal Capo
della polizia, prefetto Parisi, alla quale mi rimetto, nella
sua interezza, trattandosi di una valutazione ben più completa
di quella che io potevo fare.
   Mi soffermerò su alcuni punti di rilievo riguardanti in
particolare l'attività del corpo della Guardia di finanza. Più
volte abbiamo avuto modo di valutare la normativa vigente in
questa ed in altre sedi; ritengo che essa sia molto valida:
dal 1990 al 1992 ha consentito l'adozione di decisioni e
determinazioni così fondamentali, che in questo momento il
contrasto alla criminalità mafiosa può essere svolto - mi
riferisco all'azione della Guardia di finanza - in maniera
pressoché completa.
   Sicuramente, i movimenti di denaro relativi al riciclaggio
e ad altri tipi di reati che riguardano la criminalità
mafiosa, possono essere contrastati in misura adeguata. Senza
alcun dubbio alla normativa potranno essere apportati dei
perfezionamenti, ma si tratta di modifiche marginali poiché
essa è all'avanguardia.
   Per quanto riguarda l'attività della Guardia di finanza
nel contrasto alla criminalità mafiosa, mi limiterò a
sottolineare alcuni elementi. In primo luogo, l'attività
svolta dalla Guardia di finanza è preventiva e repressiva e
riguarda le diverse forme sia di microcriminalità sia di
macrocriminalità. Per quanto riguarda la microcriminalità, si
tratta del contrasto alla minuta vendita di tabacchi lavorati
esteri, allo spaccio di sostanze stupefacenti, che sicuramente
danno manovalanza alla criminalità di tipo mafioso.
   L'azione di contrasto contro la macrocriminalità riguarda,
invece, il traffico su larga scala di tabacchi lavorati
esteri, delle sostanze stupefacenti, nonché le interferenze in
appalti e subappalti di opere pubbliche, e soprattutto la
percezione indebita di contributi comunitari.
   In tali contesti si estrinseca anche un'attività di
rilievo, che è quella dell'emissione di fatture per operazioni
inesistenti che vengono ad incidere anche sull'aspetto
fiscale.
   Per quanto riguarda la Guardia di finanza, che, come
sappiamo, ha funzioni prevalenti di polizia economica, posso
dire che la nostra azione è tesa alla ricostruzione
finanziaria delle attività criminose. Riteniamo che in questo
momento vi siano elementi di una certa soddisfazione per
quanto si riesce a fare nel seguire i movimenti del denaro
"sporco". In particolare, sarebbe auspicabile che tali
movimenti potessero essere
                          Pag.2034
seguiti attraverso una banca-dati realizzata a livello
centrale, sia pure con tutte le garanzie richieste per non
arrivare oltre certi limiti nel controllo dei contribuenti.
   Sempre relativamente alla criminalità mafiosa, le
fondamentali direttrici che vengono seguite riguardano
l'assolvimento di compiti demandati dalla normativa antimafia,
l'espletamento di indagine di polizia giudiziaria nei
confronti delle organizzazioni criminose e delle imprese
sospettate, la prevenzione e la repressione del contrabbando e
del traffico di stupefacenti, l'incremento dell'attività di
natura prettamente fiscale concernente soprattutto i soggetti
sospettati di appartenere alla criminalità organizzata ed i
settori economici di maggior rischio; con ciò intendo
riferirmi - ne ho già fatto cenno - agli appalti pubblici,
alle società finanziarie che vengono distinte in fasce di
minore e maggiore pericolosità, nonché alle imprese
beneficiarie di contributi comunitari.
   In questi settori vi è anche una incentivazione
dell'attività informativa e soprattutto di controllo dei
cantieri edili, talvolta anche in rapporto ad esigenze di
carattere tributario relative a carenze nella dichiarazione
dei redditi, ai fini del rispetto dell'IRPEF e, d'accordo con
l'INPS, a fini contributivi. Tutto questo ci consente anche di
controllare l'esistenza di eventuali subappalti nei cantieri.
   Logicamente, la Guardia di finanza concorre con le altre
forze di polizia, nei limiti delle sue possibilità e della sua
professionalità, anche ad azioni di controllo del territorio.
Fra i risultati di maggior rilievo realizzati in questi tempi,
c'è quello - ben noto - dell'autoparco Salesi di Milano, che
ha portato alla denuncia di 88 persone, di cui 47 in stato di
arresto, alla esecuzione di 191 perquisizioni, nonché al
sequestro di ingenti quantitativi di armi e di sostanze
stupefacenti. I dati sono riprodotti nella documentazione
allegata e sono suscettibili di aggiornamenti in quanto le
indagini sono ancora in corso.
   Per quanto riguarda il futuro del Corpo non ho particolari
esigenze da rappresentare. Dirò soltanto che anche per la
Guardia di finanza è giunto il momento di attuare una
ristrutturazione. Una ristrutturazione che vorrebbe
attribuirle massima elasticità e ridurre i livelli gerarchici.
   In questo momento un disegno di legge (atto Senato n.
1151) attende di essere esaminato. Tale disegno di legge è a
costo zero; con esso, in pratica, i livelli di comando vengono
ridotti da 4 a 3. Ciò consentirebbe di avere, così come è già
avvenuto per l'Arma dei carabinieri, una maggiore
corrispondenza con l'organizzazione territoriale del paese. In
questo modo sarebbe possibile avere un comando generale,
comandi regionali e comandi provinciali. Nient'altro! Sarebbe
inoltre possibile realizzare una struttura più flessibile ed
aperta, non vincolata a livelli predeterminati di comando.
Faccio un esempio: il comando provinciale potrebbe benissimo
essere retto da un ufficiale superiore, un maggiore, oppure un
colonnello nelle provincie di maggior rilievo, soprattutto a
fini fiscali. Nell'intento di poter utilizzare al meglio
l'attività degli uomini, la loro professionalità e capacità ci
auguriamo che il suddetto disegno di legge - che giudico
flessibile - possa essere rapidamente approvato dal
Parlamento.
  GIANNI DE GENNARO,   Direttore della Direzione
investigativa antimafia . Signor presidente, la ringrazio
ancora per avermi dato l'ulteriore onore di intervenire in
questa Commissione.
   Dopo la relazione fatta dal capo della polizia, che ha
dato un quadro completo ed esaustivo della situazione della
criminalità, mi riesce un po' difficile integrare in qualche
modo la visione dei fatti.
   Se mi è consentito, a supporto della individuazione che il
capo della polizia ha fatto della possibilità di inserire
questi attentati in un contesto riferito alla criminalità
organizzata, darò lettura di una relazione, data la natura
specialistica dell'ufficio da me diretto. Tale relazione
                          Pag.2035
cercherà di dimostrare o indicare come questi attentati
possano essere direttamente riconducibili all'attività
criminale di tipo mafioso e forse ad altre componenti,
comunque di criminalità organizzata in genere.
   La brevità del tempo trascorso dalla commissione dei
delitti ad oggi e la conseguente fisiologica incompletezza dei
dati finora raccolti in sede di indagini, debbono indurre ad
un'assoluta prudenza nell'anticipare conclusioni che
potrebbero rivelarsi solo parzialmente esatte al vaglio
dell'ulteriore sviluppo dell'azione investigativa. Ciò
nonostante alcune considerazioni di carattere tecnico possono
essere svolte sulla base degli elementi già acquisiti o
partendo da valutazioni espresse in occasione delle stragi di
Capaci e di via D'Amelio, che seppure relativamente più
lontane nel tempo, appaiono alle ultime strettamente
correlate.
   Nel mese di maggio dello scorso anno, allorché fu
sviluppata un'analisi delle motivazioni e delle circostanze
che avevano determinato la strage di Capaci, il mio ufficio
valutava il gravissimo attentato quale momento saliente di una
strategia di attacco alle istituzioni attuata da Cosa nostra
per reagire alla condotta repressiva degli organi statuali nei
suoi confronti.
   In quel contesto si osservava che il delitto andava a
collocarsi, in un ordine temporale, a breve distanza
dall'omicidio di Salvo Lima, prima tappa di un unico disegno
criminoso di cui era dato conoscere il momento iniziale, ma
non erano altresì prevedibili la successiva evoluzione ed il
punto terminale. La conoscenza di questi ultimi dati
(evoluzione e fine) veniva ritenuta condizionata, infatti, da
due variabili: la capacità, da un lato, e la possibilità,
dall'altro, degli apparati dello Stato di incidere con
ulteriore profondità nel tessuto delle strutture criminali
fino a ridurle ad una definitiva impotenza.
   In quel contesto, in base a valutazioni fatte subito dopo
l'episodio delittuoso, si attribuiva all'omicidio in danno del
giudice Giovanni Falcone, così come all'omicidio in danno
dell'onorevole Lima, una valenza di tipo strategico, e ciò a
differenza di quanto rilevato in occasione di altri delitti
che, seppur altrettanto violenti ed eclatanti, erano apparsi
rivestire una valenza piuttosto tattica, finalizzata ad
incidere su uno specifico fenomeno o fatto che costituiva un
momentaneo intralcio per l'organizzazione mafiosa. Si
citavano, a titolo di esempio, gli omicidi del giudice Saetta,
del giudice Livatino, del giudice Scopelliti e
dell'imprenditore Libero Grassi, che potevano essere tutti
letti come reazioni violente di Cosa nostra contro la società
civile per contrastare effetti dannosi di natura contingente
(la presidenza di un processo o il sostenimento della pubblica
accusa e così via).
   La strage di Capaci ed ancora prima l'omicidio di Salvo
Lima apparivano, invece, come l'avvio da parte di Cosa nostra
di una strategia di difesa dell'intera organizzazione, la cui
sopravvivenza era stata particolarmente compromessa dalla
definitività della sentenza di condanna del maxi-processo e
dal valore attribuito alle testimonianze dei collaboratori di
giustizia, le cui deposizioni, particolarmente devastanti per
la struttura criminale, erano assurte a rango di prova in sede
giurisprudenziale per decisione della Suprema Corte.
   A conclusione di queste osservazioni, in cui si
riconduceva l'esecuzione del delitto solo ed esclusivamente
alla matrice delinquenziale di Cosa nostra, si formulava la
previsione secondo cui la reazione violenta del sodalizio
criminale sarebbe proseguita, stante la necessità dei suoi
vertici di riaffermare il proprio potere all'interno
dell'organizzazione, di garantirsi ulteriori consensi
all'esterno e di evitare disgregazioni interne o fughe
destabilizzanti.
   Si prevedeva, in altri termini, l'avvio di una vera e
propria stagione di terrorismo mafioso.
   Dopo due mesi, il 27 luglio dello stesso anno, a ridosso
della strage di via D'Amelio, i risultati conclusivi erano
lievemente
                          Pag.2036
 diversi da quelli enunciati a margine del precedente
delitto.
   Le circostanze dell'eccidio di via D'Amelio, i tempi e le
modalità di esecuzione, gli effetti negativi di quella che si
è rivelata una vera e propria ritorsione dello Stato contro la
struttura criminale, che appariva aver ideato e consumato il
delitto, erano stati ritenuti elementi validi per imporre di
suggerire un allargamento degli orizzonti investigativi.
   Se per un verso, si riteneva che le considerazioni svolte
in precedenza avessero trovato puntuale conferma nel delitto
di via D'Amelio, per l'altro era altrettanto chiaro che la
precedente analisi dovesse essere meglio sviluppata alla luce
di una serie di ulteriori e diversificati elementi di
valutazione che offrivano un quadro di riferimento più ampio
ed articolato.
   Benché il delitto di via D'Amelio fosse stato consumato in
un contesto tale da farne ricondurre con sufficiente certezza
l'esecuzione a Cosa nostra - non solo per il luogo di
esecuzione, ma anche per la qualità delle vittime - e benché
risultasse in tal senso confermata l'attualità di una
strategia di attacco di Cosa nostra nei confronti delle
istituzioni e la validità delle previsioni che la stessa non
si sarebbe fermata con il delitto di Capaci, ciò nonostante si
intravedevano elementi tali da far sospettare che l'intero
progetto eversivo non fosse di esclusiva gestione dei vertici
di Cosa nostra, bensì che allo stesso potessero aver
contribuito altri esponenti di un più vasto potere criminale.
   Era infatti evidente nell'omicidio Borsellino una chiara
anomalia nel tradizionale comportamento mafioso, aduso a
calibrare le proprie azioni delittuose sì da raggiungere il
massimo risultato con il minimo danno; al delitto, infatti,
era stata data una cadenza temporale tale da accelerare
anziché infrenare l'azione reattiva delle istituzioni, con un
conseguente ed apparente danno per l'organizzazione criminale.
   Con riferimento allo specifico episodio, si può rilevare
come l'azione statuale e governativa di risposta alla strage
di Capaci si era all'inizio limitata all'emanazione di un
decreto-legge in cui venivano esaltati alcuni poteri
repressivi degli organi inquirenti ed investigativi, ma il
provvedimento non aveva incontrato l'unanime favore dei
tecnici del diritto e di alcune categorie di operatori della
giustizia (la classe forense ed anche l'associazione
magistrati) e non si poteva escludere che in sede di
conversione la sua incisività avrebbe potuto essere di molto
limitata.
   La strage di via D'Amelio, per cui in realtà, come i fatti
hanno ampiamente dimostrato, non esisteva una effettiva
motivazione di urgenza nell'esecuzione, fa superare ostacoli e
perplessità nei confronti del provvedimento governativo, che
viene anzi rafforzato nella sua capacità repressiva e
privilegiato nel suo iter parlamentare. Poi, come prima
ricordava il prefetto Parisi, presso il Governo e l'opinione
pubblica trovano anche accoglimento misure repressive
straordinarie: l'intervento dell'esercito a presidio del
territorio, il trasferimento dei mafiosi in carceri speciali
con regime di detenzione differenziato.
   Aggiungendo a tali osservazioni la considerazione della
particolare valenza stragistica dell'attentato e la preventiva
accettazione del rischio di colpire decine di cittadini non
direttamente coinvolti nell'evento, non si poteva non
riflettere sul fatto che l'obiettivo potesse essere forse più
ampio di quello di eliminare soltanto un giudice "scomodo".
   Il risultato avrebbe potuto essere, infatti, quello di
provocare nella gente reazioni ancora più ampie di quanto in
effetti è accaduto a seguito della strage.
   Fin dalla data della sua esecuzione, il delitto di via
D'Amelio veniva letto anche in chiave di azione strategica
indirizzata, potenzialmente, nei confronti di persone estranee
alla repressione del fenomeno mafioso. In tal senso, e per
evidenziare, altresì, come il fatto non rappresentasse una
novità assoluta per il gruppo direzionale al tempo operante ai
vertici di Cosa nostra, fin da allora si cercò un
                          Pag.2037
riscontro storico, chiaro ed evidente nella strage del treno
rapido 904, del 23 dicembre 1984.
   Nelle considerazioni conclusive di questo elaborato si
diceva, infine che, laddove l'analisi svolta fosse stata
esatta ed avesse trovato riscontro nelle successive indagini,
non era difficile prevedere che la strategia di attacco contro
le istituzioni da parte di Cosa nostra sarebbe proseguita
anche con azioni dimostrative eclatanti, tendenti ad innalzare
il livello della protesta civile, e che in una fase successiva
poteva anche coinvolgere i vertici dello Stato o altre
istituzioni. In quel senso, si suggeriva di adottare
nell'azione investigativa particolare attenzione ad eventuali
accordi tra potere mafioso e centri di potere occulto, così
come ai risvolti di carattere internazionale, per i rilevanti
interessi che, come il signor capo della polizia ricordava
prima, derivano da specifiche attività delinquenziali (il
contrabbando degli stupefacenti, il traffico delle armi, il
reinvestimento di capitali illeciti), il cui esito era
fortemente compromesso dalle indagini di polizia e
magistratura e dall'azione repressiva dello Stato nel suo
complesso (i risultati illustrati lo hanno ampiamente
dimostrato).
   Dalla data di esecuzione della strage di via D'Amelio al
14 maggio di quest'anno, giorno in cui si è registrata
l'esplosione a Roma, in via Ruggero Fauro, si sono verificati
numerosi eventi di natura diversa che possono assumere un
particolare significato per meglio comprendere i fatti in
esame.
   Il primo episodio di rilievo si verifica a Palermo nel
mese di settembre dello scorso anno, allorché viene ucciso
nella propria abitazione, a colpi di pistola, con modalità
operative analoghe a quelle del delitto Lima, il mafioso
Ignazio Salvo. Non sono note ancora le motivazioni
dell'omicidio Salvo, è però un dato certo che lo stesso fosse
strettamente collegato all'onorevole Salvo Lima, e non può
escludersi che la sua eliminazione fisica possa avere una
correlazione con il delitto in danno del parlamentare europeo.
   Il secondo episodio meritevole di attenzione è
rappresentato dall'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal
tribunale di Palermo, nei confronti dei presunti mandanti del
delitto Lima. Il provvedimento giudiziario, la cui validità ai
fini dell'accertamento dei fatti è del tutto relativa, stante
la fase iniziale del procedimento penale, individua però,
quale movente del delitto, proprio quella definitività della
sentenza del maxiprocesso che sembra essere stato il momento
scatenante della reazione di Cosa nostra contro gli apparati
statuali.
   Terzo fondamentale episodio è l'arresto del capo
indiscusso di Cosa nostra, Salvatore Riina, che rivela, fin
dalle prime apparizioni pubbliche, tutto il suo carisma,
dimostrando di essere saldamente al vertice
dell'organizzazione criminale ed in grado di determinarne le
scelte con la virtuale prosecuzione di quella linea di
condotta violenta e stragistica posta in essere quando era
ancora latitante.
   Significativa appare anche l'emissione del provvedimento
di custodia cautelare, all'inizio del 1993, contro 60 e più
esponenti di spicco di Cosa nostra, molti dei quali, sebbene
detenuti, vedevano avvicinarsi la data di espiazione di una
pena abbastanza lieve, e che venivano ora invece imputati
dall'autorità giudiziaria di Palermo per gravissimi delitti,
in particolare omicidi, su una base di riscontro probatorio
sufficientemente solida.
   Una citazione infine merita, tra i fatti più salienti
intercorsi nello spazio temporale sopra indicato, cioè dalla
strage di via D'Amelio alla strage di via Fauro, l'ordinanza
di custodia cautelare emessa dal tribunale di Reggio Calabria
contro mandanti ed esecutori dell'omicidio Scopelliti, con la
quale vengono raggiunti da imputazione i vertici della
commissione provinciale di Cosa nostra palermitana e nella
quale, da una diversa autorità giudiziaria e con differenti
fonti di prova, viene ribadito il timore dell'organizzazione
mafiosa di una definitività della sentenza di condanna del
maxiprocesso.
                          Pag.2038
   Gli eventi citati, tutti cronologicamente successivi,
rafforzano un'ipotesi iniziale secondo la quale, con
riferimento proprio alla strage di via D'Amelio, i fatti hanno
dimostrato come l'intenzione dell'organizzazione mafiosa nel
decidere l'omicidio del giudice Borsellino non fosse soltanto
quella di rallentare l'azione repressiva dello Stato, ma
avesse l'effetto più ampio di creare nella società civile una
reazione di timore generalizzato e quindi di dissuasione dal
proseguimento della predetta attività repressiva.
   Se le considerazioni espresse all'indomani della strage di
Capaci trovavano una qualche conferma nella strage di via
D'Amelio era logico presupporre che le analoghe ed ancor più
preoccupate valutazioni formulate dopo il delitto Borsellino
avrebbero potuto trovare ulteriore riscontro.
   Attesa l'unitarietà di linea strategica
dell'organizzazione mafiosa, anche dopo l'arresto del suo
capo, e l'evidente presenza carismatica al vertice del
sodalizio di quest'ultimo, anche in regime di detenzione, era
logico, come peraltro preannunciato anche da alcune alte
cariche istituzionali, prevedere l'esecuzione di altri gravi
attentati.
   Che le strutture organizzative ed operative di Cosa
nostra, nonostante l'incisività delle operazioni repressive di
polizia e magistratura, fossero vive e vitali e pienamente il
linea con la strategia di violenza che da anni ormai aveva
permeato la struttura dell'organizzazione, emerge anche con
assoluta certezza nel contesto di un'indagine sviluppata a
Palermo nel mese di marzo a carico di due qualificati
esponenti del sodalizio. Come ha già ricordato il prefetto
Parisi, possono citarsi alcuni particolari dell'indagine in
quanto la stessa nei giorni scorsi ha acquisito una relativa
pubblicità con l'emissione di un complesso provvedimento di
custodia cautelare.
   L'attività investigativa, consistita nell'installazione di
un'intercettazione ambientale in un "covo" di latitanti
mafiosi, ha permesso, da un lato, di vedere confermate le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia attraverso la
viva voce di chi dagli stessi era stato accusato, mentre,
dall'altro, ha evidenziato la disponibilità di armi da parte
dell'organizzazione, la programmazione di gravissimi delitti
contro dipendenti delle istituzioni, la dimestichezza all'uso
di notevoli quantità di esplosivi. Tutto ciò si rivelava con
prove inconfutabili e successivamente all'arresto di Salvatore
Riina.
   C'è da osservare, in oltre, che le indagini in atto ormai
da circa un anno sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio
sembrano portare a riscontri attendibili, al di là delle
semplici considerazioni derivanti dalle circostanze di tempo e
di luogo dell'esecuzione dei delitti, circa una diretta
partecipazione di elementi collegati a Cosa nostra, ovvero
addirittura di esponenti di primo piano della stessa in veste
di esecutori materiali.
   Se le considerazioni fin qui svolte hanno un senso
compiuto e si basano su parametri di riferimento
oggettivamente validi, appare legittimo individuare,
nonostante la scarsità di elementi di riscontro investigativo,
nell'attentato di via Ruggero Fauro il primo atto grave
riconducibile ad una medesima strategia criminale.
   Non sembrano ormai esserci grandi dubbi in ordine al fatto
che la vittima designata potesse essere il giornalista
Maurizio Costanzo. L'ora ed il luogo dell'esecuzione del
delitto sono indicazioni sufficienti, così come il  modus
operandi , che evidenziano l'accuratezza dell'attività
preparatoria, a partire dal furto dell'auto utilizzata,
all'idoneità del luogo prescelto per commetterlo, alle
dimensioni ed alla composizione dell'ordigno per assicurarne
la riuscita, all'individuazione stessa dell'obiettivo.
   Se l'attentato era dunque rivolto al giornalista, la
miracolosa assenza di vittime non può che essere
ragionevolmente attribuita a circostanze fortuite, quali il
ritardo nell'innesco dell'ordigno e la provvidenziale presenza
di ostacoli che hanno interrotto il potere dell'onda d'urto.
Né deve meravigliare oltre tanto l'intempestivo azionamento
del congegno laddove
                          Pag.2039
si consideri che esempi di errori analoghi da parte di
mafiosi sono stati già riscontrati in passato, come nel caso
della strage di Pizzolungo, dove il non puntuale innesto
dell'ordigno ha salvato la vita al giudice Palermo, pur
provocando altre vittime innocenti.
  PRESIDENTE.  Forse, anche Capaci, tutto sommato. No?
  GIANNI DE GENNARO,   Direttore della Direzione
investigativa antimafia . In quel caso si dovrebbe discutere
un attimo, perché il congegno potrebbe essere stato attivato
in anticipo. Però, probabilmente volevano colpire la prima
macchina e non altre, per essere certi di coinvolgerle tutte e
tre, così dice il magistrato.
  GIUSEPPE MARIA AYALA.  Che però Falcone fosse a bordo di
quella di mezzo lo sapevano tutti!
  GIANNI DE GENNARO,   Direttore della Direzione
investigativa antimafia . In assenza di altri elementi che
possano far ritenere la strage indirizzata verso obiettivi
diversi, ovvero eseguita a scopo meramente dimostrativo, ed in
assenza altresì di dati certi che possano far ritenere autori
del gesto criminoso gruppi eversivi nazionali od
internazionali, non sembra che si possano avanzare grandi
dubbi in ordine al fatto che l'attentato di via Fauro presenti
tutte le caratteristiche per apparire, in sintonia con le
considerazioni svolte, come logica prosecuzione di Capaci e di
via D'Amelio, in grado di realizzare una strategia
destabilizzante.
   Se dunque, come le indagini tendono a dimostrare negli
attentati di Palermo ha operato la criminalità organizzata
siciliana, la sua presenza non può escludersi, almeno a
livello di componente determinante, anche nel delitto di via
Fauro.
   Né possono non essere rilevate le conseguenze
potenzialmente gravi dell'evento, che ben più lo sarebbero
state se nel raggio dell'esplosione, oltre al giornalista,
alla sua compagna, al suo autista, agli uomini della scorta,
si fossero trovati occasionali passanti o se fosse stato
mortalmente attinto qualcuno degli abitanti del quartiere
rimasto invece solo ferito.
   Se nelle considerazioni conclusive a margine della strage
di via D' Amelio si riteneva di ipotizzare un proseguimento
della strategia di attacco di Cosa nostra contro le
istituzioni con azioni eclatanti tendenti ad innalzare il
livello della protesta civile e a far cadere il consenso
sociale nell'azione repressiva dello Stato contro Cosa nostra,
tutto ciò è certamente riscontrabile nell'attentato di via
Fauro. L'uccisione del giornalista poteva costituire, infatti,
uno strumento valido per un'azione intimidatrice della mafia
che raggiungeva con una sola impresa due obiettivi: eliminare
un personaggio scomodo protagonista di continue, mirate azioni
di disturbo nei confronti dell'organizzazione, cercando tra
l'altro di creare un sentimento popolare di reazione contro la
criminalità organizzata; suscitare una reazione di sdegno
nell'opinione pubblica, ma al contempo un diffuso clima di
insicurezza generalizzato teso ad indebolire quel consenso di
cui lo stesso Costanzo aveva partecipato contribuendo alla
lotta e al contrasto alla criminalità organizzata.
   In un'analisi successiva all'attentato di via Fauro,
riprendendo poi le considerazioni espresse all'indomani della
strage di via D'Amelio, si riproponeva la similitudine tra il
delitto di Roma e l'attentato al treno rapido 904.
   L'esecuzione di un attentato fuori della Sicilia portava a
far prendere in considerazione una compartecipazione al
delitto di elementi criminali non necessariamente organici a
Cosa nostra, anche se con la stessa strettamente collegati. La
sentenza definitiva di condanna per la strage del 904 aveva
peraltro già ampiamente dimostrato la possibilità che
interagissero in un medesimo progetto criminoso esponenti di
Cosa nostra in collusione con elementi della malavita
napoletana e personaggi legati a gruppi estremistici di
destra.
   Un'eventualità di tal fatta avrebbe potuto realizzarsi
altrettanto validamente
                          Pag.2040
a Roma, dove le tre componenti criminali hanno svolto in
passato attività congiunte. E' sufficiente citare gli stretti
rapporti esistenti tra Pippo Calò ed alcuni esponenti della
banda della Magliana e l'utilizzazione di personaggi della
malavita romana nell'esecuzione di attentati, come nel caso di
Danilo Abbruciati in missione a Milano per eliminare Rosone.
   La strage del 904 e quello di via Ruggero Fauro presentano
peraltro analogie e similitudini: entrambe avvengono in un
momento in cui fortissima è la pressione statuale nei
confronti della criminalità organizzata di tipo mafioso;
entrambe trovano esecuzione al di fuori di territori
tradizionalmente controllati dalle cosche criminali; entrambe
hanno come obiettivo persone non istituzionalmente interessate
alla repressione del fenomeno mafioso.
   Se dopo l'attentato di via D'Amelio si era fatto cenno
alla elevata potenzialità terroristica dell'atto criminoso ed
alla sua capacità di acuire la tensione in seno agli organismi
deputati all'attività investigativa e di prevenzione, nonché
di creare le condizioni di un innalzamento della protesta
civile, ancor più dopo la strage di via Fauro le suddette
valutazioni acquistano rilievo soprattutto alla luce
dell'attualità di approfondite indagini pendenti presso
diverse autorità giudiziarie e svolte in direzione di
potentati economici e finanziari, strettamente collegati con
centri di potere occulto, oltre che con la criminalità
organizzata di tipo mafioso.
   Basti a tal proposito citare le iniziative investigative,
che di certo vanno ad incidere su ingenti capitali di origine
illecita, in atto pendenti presso le autorità giudiziarie di
Roma e di Salerno nei confronti dell'imprenditore faccendiere
romano Enrico Nicoletti, sicuramente collegato ad ambienti
camorristici e mafiosi e a personaggi, già coinvolti in
vicende giudiziarie complesse, quali il noto Flavio Carboni.
   In questo senso, pur nell'attribuire un ruolo determinante
nell'esecuzione dell'attentato di via Fauro ai gruppi mafiosi,
si è dianzi fatto riferimento alla possibilità di altre
presenze criminali coinvolte nell'esecuzione del delitto.
   Mi è stato chiesto di esprimere valutazioni tecniche sui
recenti attentati dinamitardi. Allo stato delle indagini,
mentre per l'episodio di via Fauro sembra possibile avere un
quadro di riferimento quale quello fin qui esposto, può
apparire forse un po' più difficile un analogo collegamento
con l'attentato di via dei Georgofili.
   L'elemento di incertezza nella strage di Firenze può
derivare, anche se la valenza dell'obiettivo creava
sicuramente una situazione di terrore generalizzato,
dall'apparente mancanza di un obiettivo riconducibile, sulla
base di argomenti oggettivi, ad un'azione intimidatrice della
mafia. Sul punto occorrerà attendere l'esito delle indagini
per poter sciogliere una serie di dubbi circa: la casualità
del luogo dove è stato collocato l'ordigno esplosivo, la
possibilità che fosse effettivamente destinato a danneggiare
il museo degli Uffizi, l'effettiva consapevolezza che
nell'edificio colpito abitassero delle persone.
   L'elemento di raccordo, credo determinante tra i due fatti
criminali, sembra però possibile individuarlo nel  modus
operandi , nella potenza devastatrice della bomba, nella
composizione della miscela esplosiva, che fin dai primi
accertamenti speditivi, presenta concrete analogie con la
carica utilizzata in via Fauro e similitudini con quelle di
via D'Amelio e di Capaci.
   Perché possa vedersi anche nello specifico episodio
un'iniziativa criminale riconducibile ad un medesimo disegno
criminoso posto in essere da organizzazioni mafiose, sia pure
in collegamento con altre frange di criminalità, occorre far
riferimento a fatti comportamentali susseguenti al delitto.
Elemento determinante in tal senso potrebbe essere l'assoluta
mancanza di una rivendicazione attendibile dell'attentato che
potrebbe offrire la possibilità di ricondurre l'evento
delittuoso ad un'iniziativa di carattere terroristico.
                          Pag.2041
   L'esecuzione della strage a Firenze potrebbe essere
comunque compatibile con l'attività della criminalità
organizzata, che in Toscana può contare da sempre su
insediamenti mafiosi ormai consolidati nella regione. Basti
pensare che già agli inizi degli anni ottanta Tommaso Spadaro
utilizzata Firenze come base operativa per ingenti traffici di
droga, che in quel periodo nel capoluogo toscano si riuscirono
a sequestrare 81 chilogrammi di eroina in una sola volta,
quantità enorme considerati i tempi. In Toscana, come peraltro
ricordava già il generale Berlenghi, la puntuale azione
incisiva della procura distrettuale e degli organismi
investigativi ha anche recentemente consentito di portare a
compimento importanti operazioni antimafia - quella
dell'autoparco di Milano è significativa - e di trarre in
arresto esponenti di spicco dell'organizzazione.
   Ipotizzando a questo punto una possibile responsabilità
anche nell'attentato di Firenze della criminalità mafiosa, può
trovarsi la continuità logica con i precedenti, analoghi
delitti nel possibile movente della strage, già ipotizzato per
via D'Amelio e di via Fauro: realizzare una frattura tra
l'opinione pubblica e gli organi istituzionali deputati alla
repressione del fenomeno mafioso, togliendo a questi ultimi il
consenso e il supporto della gente comune, che, con
l'instaurazione di un regime di terrore, potrebbe essere
indotta a ritenere troppo elevato in termini di rischio di
vite umane il contrasto di tale forma di criminalità.
   Accanto a ciò, il tentativo, già in parte attuato nel 1984
con la strage al treno rapido 904, di distogliere l'attenzione
degli investigatori  (Commenti del deputato Matteoli)  da
un preciso campo d'indagine, indirizzandone gli sforzi in
direzione di diversi scenari criminali di natura puramente
terroristica.
   Maggiore difficoltà si incontra a dare un'esatta
collocazione logica all'attentato sventato a Roma in via dei
Sabini. E' ancora troppo presto per dare una valutazione
altrettanto correlata, anche perché gli elementi in possesso
degli investigatori sono non sufficienti per poter dare un
quadro certo di riferimento. Comunque, è un fatto gravissimo,
che, come ricordava il generale Federici, consente di attivare
indagini più puntuali proprio perché l'evento non si è
verificato e sono rimasti in mano degli investigatori elementi
possibili per sviluppare le indagini.
   In punto di sintesi, credo di aver offerto una serie di
elementi utili per poter privilegiare la pista mafiosa quale
quadro di riferimento investigativo delle indagini per gli
attentati di Capaci, via D'Amelio e via Fauro e di poter
considerare compatibile con questi, nello stesso contesto
investigativo, anche l'attentato di via dei Georgofili.
   Sarebbe limitativo, specialmente negli attentati di Roma e
Firenze, ritenere però che sia unica la matrice dei delitti e
non prendere in esame la possibilità - come peraltro
ripetutamente è stato sottolineato - che con l'organizzazione
criminale mafiosa possano aver interagito anche altri gruppi
criminali, soprattutto nel timore di vedere ulteriormente
indebolita la loro potenzialità delinquenziale nel settore
delle iniziative economico-finanziarie.
   Soltanto gli esiti delle indagini, che puntualmente in
modo raccordato vengono svolte dalle procure distrettuali di
Firenze, Roma, Palermo e Caltanissetta, potranno evidenziare
la presenza di centri di interesse criminale diversi da quelli
fin qui delineati o confermare la bontà delle analisi svolte.
  PRESIDENTE.  Passiamo alla seconda fase dei nostri
lavori.
   Il prefetto Parisi ha fornito un quadro complessivo della
situazione dell'ordine pubblico. I colleghi porranno le
singole questioni specifiche; mi pare comunque che interessi
alla Commissione conoscere la valutazione dei nostri
interlocutori odierni circa l'opportunità e la sussistenza
delle condizioni per costituire un apposito ufficio che si
occupi specificamente della tutela dei pentiti, separato dagli
organi investigativi.
                          Pag.2042
   Il generale Federici ha chiarito gli indirizzi dell'Arma.
A questo proposito, credo che alla Commissione interessi
sapere in particolare se l'estensione della presenza dell'Arma
stessa interessi paritariamente tutte le aree del territorio
nazionale o cominci ad esservi una differenziazione tra aree
urbane, metropolitane e non metropolitane.
   Credo che i colleghi desiderino conoscere più
approfonditamente la questione del teste collaborante, cui ha
fatto riferimento in relazione a via dei Sabini. Il teste
collaborante farebbe pensare ad un qualche soggetto presente
dentro la struttura criminale che poi ha fornito, per fortuna,
una deposizione testimoniale.
   Il generale Berlenghi ha riproposto l'aspetto legislativo
ed organizzativo, se non ho capito male, della questione del
riciclaggio, sulla quale i colleghi stanno lavorando.
   Il dottor De Gennaro ha formulato un'analisi molto
specifica ed importante per noi dei singoli attentati. Forse
ai colleghi interessa anche conoscere quale sia stato il ruolo
di Ganci - la persona arrestata ieri - nella struttura di
comando mafioso.
   Sono iscritti a parlare, nell'ordine, i colleghi Cappuzzo,
Covello, Galasso, Matteoli, Mastella, Brutti, De Matteo,
Imposimato, Tripodi, Ayala, Boso...
  ERMINIO ENZO BOSO.  Mi scrive sempre in fondo; poi quando
è il momento di parlare, la Commissione è in procinto di
chiudere ... come l'altra volta!
  UMBERTO CAPPUZZO.  Desidero innanzitutto esprimere il mio
vivo apprezzamento al presidente per la sensibilità e la
prontezza nell'indire questa audizione, che si colloca in un
momento particolare. Vorrei sottolineare questo punto perché
da esso poi discende quello che ci attendiamo dall'audizione
stessa. Intendo anche esprimere un apprezzamento alle
relazioni svolte; sono complete, esaurienti, danno un quadro
interessante non soltanto delle azioni compiute e delle
iniziative assunte, ma anche di quello che è  in itinere
per quanto riguarda la stessa struttura e l'organizzazione.
Questi aspetti meriteranno qualche approfondimento.
   Il prefetto Parisi si è anche soffermato sulle
statistiche; queste però sono un po' pericolose. Interessa non
tanto il confronto con gli altri paesi sull'indice di
criminalità, quanto la sensazione di insicurezza che si
registra nel nostro paese. E' un fatto indubitabile che, pur
avendo magari indici di criminalità diversa, abbiamo in Italia
un senso di insicurezza maggiore; il fatto è che questa
insicurezza discende da tanti fattori, anche di carattere
psicologico, in un paese caratterizzato da un altissimo tasso
di inefficienza. Insicurezza diffusa e microcriminalità;
ricordo, per esempio, l'insistenza con cui ieri un giornale di
grande tiratura si è soffermato su aspetti particolari di
quanto si verifica a Bari. E' questo un paese che sente di non
essere, sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza
pubblica, sufficientemente garantito.
   La prima domanda che rivolgo al prefetto Parisi è dunque
la seguente: che cosa ritiene al riguardo e cosa si potrebbe
fare per dare agli italiani doverosamente questo senso di
sicurezza?
   Un fatto molto importante è il numero dei successi
ottenuti, ma naturalmente l'uomo della strada si chiede:
perché adesso e non prima? In proposito dovremmo togliere
tanti interrogativi; perché questi benedetti latitanti, che
peraltro sono stati presi alle porte di casa, nelle loro zone
di influenza, per tanto tempo sono riusciti a sfuggire alle
forze dell'ordine? Quali misteriosi canali si erano stabiliti?
Non voglio ora dare una risposta, ma certamente l'uomo della
strada si chiede: perché adesso e non prima?
   Vorrei ricevere una risposta rispetto a questo
interrogativo; mi si dirà che c'è tutta una legislazione
premiale e via dicendo, ma desidero riascoltare queste ragioni
per avere motivo di maggiore tranquillità.
   Da tempo sostengo - il dottor De Gennaro ha dato valide
argomentazioni, che approvo - che tutto il complesso
                          Pag.2043
dell'attività criminale è legato ad una strategia dell'azione
molto importante, cui si accompagna a mio avviso una strategia
della disinformazione. In proposito ho anche presentato in
questi giorni un'interpellanza, che varrebbe la pena di
considerare attentamente. Dico subito che non tralascerei
anche che in questo gioco si inseriscano spezzoni di servizi
segreti disintegrati, che vanno vagando per tutta Europa e si
offrono anche al miglior offerente. Giorni fa ho seguito con
molto interesse alla televisione un'intervista rilasciata dal
presidente della commissione antimafia russa, in cui si
parlava di prospettive estremamente interessanti sotto il
profilo operativo ma molto pericolose: addirittura di
possibilità di commercio di materiale fissile, nucleare.
Qualche parola al riguardo non sarebbe forse superflua.
   Faccio notare che il nostro paese sembra particolarmente
permeabile; ritengo che il passaggio di armi sia molto
maggiore di quanto non risulti e non sia stato messo in
evidenza nelle relazioni. Non è un mistero che in alcune
regioni di frontiera il traffico delle armi ha raggiunto
dimensioni assai preoccupanti. Dirò di più: a livello locale
si sa benissimo dove si possono comprare tali armi.
Richiamerei soprattutto l'attenzione sulla Puglia, sul
brindisino e su altre aree similari. Che cosa si sta facendo
per rendere impermeabile il nostro paese? Capisco che è
difficile, che è facile caricare armi su TIR che portano altra
merce; vi sono anche movimenti di questo tipo dalle aree della
ex Jugoslavia, che fanno temere un'  escalation . Mi
collego anche alla visione strategica del dottor De Gennaro:
stiamo attenti, perché potremmo arrivare a forme molto, molto
più pericolose e sanguinose.
   L'interessante dichiarazione del presidente della
commissione antimafia russa meriterebbe qualche considerazione
- lo dico alla Commissione - con i contatti che la presidenza
potrà ritenere opportuni. Ci sono infatti riferimenti alla
mafia italiana, ai siciliani, che sono arrivati in zona con
l'acquisto di ristoranti e attività imprenditoriali varie, i
quali probabilmente potrebbero fornire un panorama ancora più
vasto di questi fenomeni.
   Quando si parla di strategia, bisogna sempre porsi la
domanda: a chi giova? E' stato fatto in genere. Tuttavia, una
tesi che non mi convince molto è che alzando il tiro la mafia
possa ottenere più consenso. In realtà, notiamo con piacere
che in Italia si registra un coinvolgimento quale mai si era
avuto, una vasta presa di coscienza con partecipazione
popolare e giovanile, per cui credo che il panorama vada
esaminato in maniera più compiuta. Non ritengo che la gente
sottoposta all'azione di questi criminali reagisca chiedendo
che si sia più teneri nei loro riguardi.
   In ordine al controllo del territorio - mi rivolgo al capo
della polizia - riferisco quello che ho avuto modo di
constatare personalmente. Si dice che il territorio viene
controllato; ebbene, tra domenica scorsa e l'altro ieri ho
fatto rimuovere, ricorrendo al 112 - chiedo al comandante
dell'Arma di dare un plauso al tenente Argiolaz che
prontamente è intervenuto domenica - le seguenti vetture: una
Renault rossa senza targa, una Ritmo blu senza targa, una Fiat
128 verde senza targa, una Fiat 500 bianca targata Roma
M97564, una Fiat 127 rossa targata Roma Y34967. Tutte queste
vetture erano regolarmente parcheggiate in uno spazio di non
più di cinquecento metri in prossimità di via Marghera (Castro
Pretorio) e della caserma della polizia di Stato. Come
cittadino intervengo sempre in casi del genere, ma dico questo
perché c'è una grande carenza da parte degli organi e degli
enti locali: si segnalano queste macchine e i vigili urbani
non intervengono. Alcune di quelle rimosse erano parcheggiate
da circa un anno e nonostante i miei interventi nulla si era
determinato. Al riguardo avevo presentato un'interpellanza,
ottenendo una risposta dal ministro Mancino, ma la situazione
non era cambiata. Occorrerebbe attivare la partecipazione
degli organi locali affinché questo non si verifichi più. Tra
                          Pag.2044
l'altro, le macchine erano diventate il luogo di soggiorno di
individui poco raccomandabili.
   Controllo del territorio: si è accennato alla costituzione
della compagnia Brancaccio. Credo che due anni or sono sia
stato creato anche un commissariato con lo stesso nome: si
ripropone quindi il fenomeno della ridondanza e della
sovrapposizione delle presenze, dal quale scaturiscono
problemi di coordinamento locale, con il che mi ricollego alla
domanda del presidente.
   Avrei altre argomentazioni da evidenziare, ma mi limito ad
un'ultima osservazione. La questione della centralità del
traffico della droga si pone in maniera drammatica. Gli
episodi recenti e le stragi ci ricordano Medellin: se quelle
tecniche si trasferissero nel nostro paese ci sarebbe da
pensare al narcotraffico - il collega Taradash potrà essere
più preciso in argomento - e quindi alla centralità del
traffico delle sostanze stupefacenti.
  PRESIDENTE.  Se i colleghi sono d'accordo si potrebbe far
intervenire un oratore per gruppo e successivamente gli altri.
  ALDO DE MATTEO.  Non si possono porre domande brevissime?
  PRESIDENTE.  Scusate, colleghi, poiché martedì si
svolgerà l'audizione del ministro, le questioni politiche
verranno trattate in quella sede. Oggi sono presenti i
dirigenti tecnici ai quali vanno poste domande di carattere
tecnico. Ripeto, con il ministro svolgeremo il dibattito
politico.
  MARIO CLEMENTE MASTELLA.  Signor presidente, stabiliamo
un criterio valido per tutti.
  PRESIDENTE.  La questione è la seguente: si può porre un
limite ragionevole (cinque minuti) agli interventi oppure, per
permettere a tutti i gruppi di esprimere, con rapidità, la
propria posizione - il collega Boso ha posto una questione non
secondaria, anche se è abbastanza accidentale annotare
l'ordine degli interventi quando tutti insieme chiedono la
parola - si consente di intervenire uno per gruppo. Il termine
ristretto deve essere comunque rispettato.
   Mi sembra di capire che si preferisca la prima proposta;
procediamo pertanto con interventi di cinque minuti.
  FRANCESCO ALBERTO COVELLO.  Senza essere ripetitivo
vorrei rivolgere un apprezzamento alla presidenza perché la
Commissione è diventata un punto di riferimento per le
istituzioni, grazie anche all'attivismo del presidente, il
quale gira tutta l'Italia, dell'ufficio di presidenza e di
tutti i colleghi.
   Un apprezzamento va rivolto anche agli ospiti presenti,
dal prefetto Parisi al comandante Federici, dal comandante
Berlenghi al dottor De Gennaro per le brillanti operazioni
portate a termine negli ultimi mesi (sottolineo ultimi mesi).
Cari colleghi, stiamo vivendo una delle stagioni più
difficili, si incontrano difficoltà obiettive e si registra un
senso di smarrimento da parte della gente: i recenti attentati
dimostrano che qualcuno vorrebbe minare alle radici la nostra
democrazia. Ancor più grave è la constatazione di una
demotivazione della classe politica, la quale viene presa di
mira come punto di riferimento dell'impotenza che esisterebbe
nel nostro paese.
   Ecco perché la riunione odierna, presidente Violante,
giunge in un momento importante al fine di instaurare un clima
di collaborazione tra il Parlamento e i responsabili - ad alto
livello, quali sono gli ospiti odierni - dei settori più
delicati del nostro paese.
   Poiché la cultura del sospetto dilaga nel paese, la
collaborazione dovrebbe essere instaurata non solo a livello
centrale, ma anche periferico, che non è più come una volta,
almeno per quello che riscontriamo. In Parlamento - ha ragione
il comandante Berlenghi - vi sono molti provvedimenti  in
itinere , il cui esame credo debba essere affrontato con
determinazione e celerità.
                          Pag.2045
   Ai responsabili dell'Arma dei carabinieri, della Guardia
di finanza, della polizia e della DIA vorrei chiedere se i
successi registrati con le ultime brillanti operazioni siano
dovuti ad un certo tipo di organizzazione interforze e ad un
migliore coordinamento tra le forze presenti e se gli ultimi
attentati avrebbero potuto essere evitati, prevenuti, se vi
fossero azioni propedeutiche in tal senso. Vorrei inoltre
sapere se esista quella collaborazione che dovrebbe esserci (e
mi auguro ci sia) tra le forze qui rappresentate e i servizi
segreti. In altri termini, vorrei capire che ruolo è stato
svolto dal SISMI e dal SISDE in questi ultimi mesi; che
collaborazione e che confronto esiste con l'Arma dei
carabinieri, le forze di polizia, la DIA e la Guardia di
finanza. Credo infatti si avverta il bisogno di una grande
organizzazione per ciò che si sta verificando nel paese e per
il grado di tensione del momento politico: occorre predisporsi
a tutto e prevenire alcuni fatti, altrimenti si parlerà e si
interverrà in ritardo.
   Allora, presidente Violante, con la sua caparbietà e la
grande disponibilità che ha sempre dimostrato, vorrei che
organizzasse un incontro con il Comitato di vigilanza sui
servizi di informazione e sicurezza. Abbiamo capito dalle
dichiarazioni del neo presidente, senatore Pecchioli, che si
sta cercando di individuare una revisione, una verifica degli
007, un modo diverso di organizzazione dei servizi segreti
italiani.
   Dal momento che lei, presidente Violante, ha organizzato
forum con le superprocure ed altri soggetti, le chiedo di
pensare ad un incontro, alla presenza dei ministri
dell'interno e di grazia e giustizia, nonché dei
rappresentanti del SISMI, SISDE e degli autorevoli
rappresentanti delle forze dell'ordine - qui presenti - come
momento di confronto per una grande organizzazione, che sia
efficiente nella prevenzione e nel dare garanzie ai cittadini,
i quali di questo hanno bisogno. Le chiedo con umiltà di
organizzare questo incontro come momento di confronto oltreché
per conferire grande efficienza ai nostri servizi.
  PRESIDENTE.  Grazie, senatore Covello. Sentiremo
l'opinione degli altri colleghi e, se si manifesterà consenso,
investiremo le Commissioni affari costituzionali di Camera e
Senato, competenti in materia.
  ALFREDO GALASSO.  Grazie, signor presidente. Quando ho
sollecitato - ricevendo una risposta immediata - all'onorevole
Violante un incontro del genere, pensavo che dopo gli ultimi
attentati si stesse disegnando o ridisegnando una strategia
della tensione. Stamane ho avuto un'autorevole conferma che
richiede - può sembrare un dato banale - da parte dello Stato,
delle forze politiche e sociali una strategia, non una pura e
semplice azione di contrasto, benché più puntuale rispetto a
quella determinatasi in anni precedenti.
   Detto questo, poiché voglio rispettare i tempi, farò un
rapido elenco dei "punti interrogativi".
   Rivolgendomi al prefetto Parisi, vorrei sottolineare come
la situazione delle scorte - questione da me sollevata anche
con un'interrogazione parlamentare - sia ancora largamente
insoddisfacente: questo lavoro è svolto da ragazzi e ragazze,
che ho imparato a conoscere direttamente in questi anni, che
sono straordinari non solo per professionalità, ma anche per
impegno costante; vi è però, a quanto constato, anche un
moltiplicarsi delle scorte e una difficoltà di selezione. Ciò
che disse il ministro un anno fa, ossia che si sarebbero
rivisti i criteri, rendendo più efficienti le scorte e più
sicuro il lavoro svolto, in realtà ha avuto un'attuazione
molto, molto parziale. In altri termini, i mezzi sono rimasti
pressoché identici, o meglio sono stati aumentati e
riqualificati in proporzione assolutamente inferiore
all'incremento dei compiti attribuiti. E' un problema umano,
professionale e politico di grande rilievo che ritengo debba
essere considerato, altrimenti quando celebriamo le vittime
facciamo una pura e semplice declamazione.
   Ho ricevuto una lettera - che credo abbia ricevuto anche
il presidente della
                          Pag.2046
Commissione antimafia - che mi ha fatto pensare: parlo dei
pentiti cosiddetti remoti, che in gran parte credo siano
attualmente ospitati a Paliano, i quali pongono un problema
non secondario. Questi hanno parlato tanti anni fa, dando
contributi decisivi - ne ricordo uno per tutti, Sinagra - ...
  PRESIDENTE.  Quando era più rischioso, tra l'altro.
  ALFREDO GALASSO.  Certo, quando era più rischioso, più
difficile, più complicato e ci si esponeva di più. Costoro
lamentano di essere praticamente abbandonati o trattati in
maniera non più rigorosa, ma più pesante in termini di pena e
di altro rispetto al piano di protezione.
   Il principio elementare di uguaglianza, di giustizia
richiederebbe di riprendere in considerazione ciò che dico.
   Al comandante della Guardia di finanza vorrei dire che la
questione del riciclaggio, dei circuiti finanziari, che appare
come centrale, è da collegare a quanto sosteneva il dottor De
Gennaro, poiché vi sono potentati economici e finanziari a
livello internazionale e anche da parte di Cosa nostra vi è un
riciclaggio continuo di denaro che sta inquinando altre
regioni d'Italia, non soltanto la Toscana. E' un punto
essenziale rispetto al quale rilevo (a quanto mi consta) non
solo una insufficienza delle forze disponibili nella Guardia
di finanza, che è il corpo più qualificato per lavori del
genere, ma anche qualche resistenza proveniente dai circuiti
bancari e finanziari; ciò peraltro era stato rilevato dallo
stesso governatore della Banca d'Italia, a quel tempo era
ancora il dottor Ciampi, quando fornì dati sulle cosiddette
operazioni sospette francamente molto ridotti.
   Sulla Falange armata il ministro ha affermato cose
abbastanza gravi: in sostanza, questa sigla o voce nasce
dall'interno, ma non si sa da dove; si è parlato di indagini
in corso.
   In relazione all'azione di contrasto e alla dissuasione,
vi sono due aspetti che intendo sottolineare. Credo si debba
sciogliere un nodo (anche in sede investigativa) solo
accennato, rispetto al quale noto delle oscillazioni. Non
tutto ciò che riguarda la criminalità organizzata di tipo
mafioso si può riferire oggi a Cosa nostra: lo sostengo da
tempo e mi pare che la situazione si stia sviluppando in tale
direzione. Probabilmente però vi è ancora una riserva legata
al fatto che forse le investigazioni non sono giunte ancora al
punto da capire che tipo di intreccio si sia determinato tra i
capi mafia di Cosa nostra e gli altri soggetti presenti nel
circuito. Questo è un punto cruciale se vogliamo stabilire una
strategia di contrasto adeguata, altrimenti si continua a
ragionare in termini di mafia come se fosse soltanto Cosa
nostra quando quest'ultima probabilmente si è integrata in un
circuito molto più vasto di strategia della tensione.
   Rispetto a questo ci sono due aspetti che riguardano
l'investigazione.
  PRESIDENTE.  Ha superato di molto il tempo a sua
disposizione, onorevole Galasso.
  ALFREDO GALASSO.  Lo so. Uno riguarda i rapporti tra
mafia...
  PRESIDENTE.  La consapevolezza dell'illecito lo rende più
grave.
  ALFREDO GALASSO.  Lo so. Quello dei rapporti tra mafia e
politica è un tema non più soltanto generico o sociologico ma
di investigazione. Si vede, non possiamo far finta che non
esista. L'altro aspetto è quello relativo ai rapporti tra
mafia e istituzioni. Quando si parla di servizi (deviati o
meno, non lo so) si parla anche di personaggi con nome e
cognome venuti alla ribalta della cronaca giudiziaria che sono
attualmente sotto processo. Il silenzio non è possibile in
sede politica ma neanche in sede di responsabilità dell'ordine
pubblico, perché anche i rapporti tra mafia e politica e mafia
e istituzioni riguardano l'ordine pubblico.
                          Pag.2047
  ALTERO MATTEOLI.  Spero di utilizzare soltanto una parte
dei cinque minuti che mi sono concessi.
   L'audizione di oggi si svolge - consentitemelo - in un
clima di autocelebrazione per i risultati conseguiti. Io
appartengo, forse per mia colpa, a quella schiera di cittadini
che non possono dimenticare che Riina è stato latitante 22
anni, Santapaola 12, Pulvirenti 11. Quindi, questo clima di
soddisfazione per l'arresto dei latitanti è da parte mia
sempre meno compreso, dal momento che tali ritardi hanno
causato tanti e tanti morti. In tutti gli interventi ho
riscontrato una sintonia, quasi da fotocopia, escluso il
generale Federici che ci ha fornito alcuni dati aggiuntivi di
un certo interesse. Da questi interventi è emersa una frase
ripetuta due volte: Cosa nostra si sta attrezzando per un
attacco definitivo alle istituzioni.
   La prima domanda che vorrei porre è la seguente: pensate
che Cosa nostra abbia reciso ogni legame e che quindi agisca
da sola senza più rapporti politici? Intendo non citare la mia
relazione di minoranza, nella quale sostengo una determinata
tesi, ma la relazione di maggioranza votata quasi
all'unanimità ad esclusione di due gruppi, nella quale sono
contenute alcune affermazioni. Quindi, la prima domanda che
vorrei porre è questa: pensate voi che non esistano più questi
rapporti? Se così fosse, o viene meno tutta la relazione
approvata, oppure vuol dire che c'è stato un cambiamento ed
oggi Cosa nostra è svincolata da tali rapporti e quindi
combatte le istituzioni.
   La seconda domanda che desidero porre è la seguente. Quali
misure preventive sono state adottate soprattutto dopo
l'attentato di via Fauro che poi ha portato a quello
disastroso di Firenze?
   La terza domanda che desidero porre è la seguente: c'è una
spiegazione sul modo in cui la Fiat 500 è giunta in via dei
Sabini a Roma? In pochi secondi, non per citare fatti
personali, vorrei ricordare alla Commissione che in data 11
marzo ho subìto il furto della mia autovettura parcheggiata
sotto la mia abitazione. Nella denuncia del furto da me subìto
ho segnalato che nell'autovettura erano custoditi i permessi
di accesso al centro storico e di parcheggio. Faccio presente
che abito in piazza Euclide a Roma e la mattina quando mi reco
alla Camera con la piccola autovettura oggi a mia disposizione
vengo fermato per ben tre volte e precisamente in via Veneto,
in piazza San Silvestro e infine in piazza del Parlamento.
Tutte le volte devo spiegare che mi è stata rubata
l'autovettura e mostrare la denuncia del furto subìto.
   Mi chiedo come sia possibile che la Fiat 500 sia stata
parcheggiata a circa 200 metri da palazzo Chigi. Voglio
sperare che le massime autorità dello Stato, oggi di fronte a
noi, siano in grado di fornire una spiegazione in proposito.
  PAOLO CABRAS.  Dopo le 20 chiunque può accedere al centro
storico.
  ALTERO MATTEOLI.  Volevo sentirmi dire proprio questo! Vi
pare possibile che dopo le 20 l'accesso non sia controllato?
Se questa è la risposta, allora sono ulteriormente disgustato
di ciò che è accaduto e si spiega perché Cappuzzo, che ha
l'esperienza che ha, pone domande del tipo di quelle formulate
nel suo intervento!
   L'ultima domanda che desidero porre probabilmente sarebbe
più adatta al ministro Mancino e la farò in futuro. Vorrei
sapere quali giudizi diano i due nuovi vice dei servizi
segreti sui modi e sulle scelte e soprattutto quale sia il
loro  curriculum  che li ha portati a fare una scelta di
questo tipo.
  MARIO CLEMENTE MASTELLA.  Non soltanto per ragioni di
stile, come richiede la sobrietà della nostra Commissione,
vorrei ringraziare i nostri interlocutori anche se esiste una
doverosità della politica e una doverosità per quanto riguarda
le vostre responsabilità. Attraverso loro vorrei ringraziare
l'anonimo carabiniere, poliziotto e finanziere che sul
territorio promuove l'azione di contrasto nei confronti della
criminalità.
                          Pag.2048
   La prima domanda è la seguente: si è parlato di
collegamenti internazionali; evidentemente, esiste anche una
forma di politologia sulle questioni alle quali abbiamo fatto
riferimento. Per quanto riguardava le vicende drammatiche
della Sicilia qualcuno parlò per la prima volta di fatti di
natura quasi sudamericana. E' possibile realisticamente
affermare o escludere che tali collegamenti esistono? Si è
parlato dei successi fin qui registrati, abbastanza eclatanti,
e della capacità di risposta della criminalità organizzata che
alza il tiro nelle varie direzioni in dipendenza dei successi
ottenuti dallo Stato. Nel momento in cui (lo dico come
avvocato del diavolo) maggiori sono i successi probabilmente
la "piovra" dovrebbe contrarsi anziché passare ad azioni più
forti. Se si è in fase di riorganizzazione ed i successi dello
Stato sono importanti dovremmo assistere ad una fase di
rimessa e non di attacco e ne spiego i motivi.
   Sono tra coloro che hanno plaudito alla dichiarazione di
guerra comune, smentendo alcune asserzioni giornalistiche
secondo le quali il mio sarebbe stato un partito demotivato a
fronteggiare tali questioni. All'interno del partito abbiamo
avuto qualche problema per sostenere determinate tesi. La
dichiarazione di guerra, non soltanto quella che giustamente
viene dichiarata dalle istituzioni che voi rappresentate, alla
criminalità organizzata ci fa ritenere che non tutto deve
essere assommato in una sorta di equazione, secondo la quale
tutto ciò che avviene è legato alla mafia, a Cosa nostra e a
coloro che ad essa sono collegati. Da più parti, anche De
Gennaro lo ha ricordato, ho sentito parlare della presenza di
una donna all'interno del commando. Se ciò è vero, ci
troveremmo di fronte ad una ritualità diversa dalla tipicità
con la quale sono avvenuti i fatti di natura stragistica
tipicamente mafiosa.
   E' vero o non è vero che per la prima volta sarebbero
labili i rapporti ed i collegamenti con dati di natura
politica? Mi spiego meglio. Se in passato - lo dico tra
virgolette - dietro il treno c'era la criminalità o parte
della criminalità (credo in questo caso la camorra) e c'era la
condizione di convivenza con la destra, oggi non si può, con
una forma di malizia abbastanza strana, far riferimento solo
ad alcuni partiti. Voglio sia fatta giustizia netta da questo
punto di vista. Se allora dietro il treno c'era un certo
atteggiamento politico, vorrei che oggi si dicesse non in
maniera generica chi c'è dietro questi fatti: in sostanza se
la loro matrice è di destra, di sinistra o di centro. Vedete
con quale onestà d'intenti svolgo tali considerazioni! E'
opportuno che si smentisca un certo tipo di ritualità che
altrimenti diventa un'equazione abbastanza assurda e dal mio
punto di vista anche abbastanza goffa.
   Non ricordo chi abbia parlato di opinione
pubblica-istituzioni: mi pare anche il giudice Di Lello qui
presente. Dai giornali ho appreso (ho questa mania un po'
hegeliana di leggere tantissimi giornali, come preghiera
quotidiana, spiegava Hegel)...
  PRESIDENTE.  Tutti siamo costretti ad essere hegeliani.
  MARIO CLEMENTE MASTELLA.  Chi più chi meno. Dopo i fatti
di Roma e Firenze il problema che si poneva era quello di
stabilire se fossimo di fronte ad una strategia della tensione
stabilizzante o destabilizzante. Non so se tali fatti
stabilizzino o destabilizzino. Vorrei dire (da questo punto di
vista la mia opinione è molto netta e molto ferma, al pari di
altri) che nessuno può pensare che la criminalità spinga a
favore dell'opinione pubblica. Non esistono queste condizioni
perché quando si uccidono bambini non c'è la commozione
dell'opinione pubblica, ma soltanto il desiderio che si faccia
molto di più nei confronti della criminalità organizzata. Non
so se tali fatti stabilizzino o destabilizzino. Probabilmente
destabilizzano di più, danno l'impressione che alcuni siano
più resistenti di altri e che mentre altri vorrebbero
assolutamente cambiare c'è qualcuno che non vuole cambiare,
come si fece agli
                          Pag.2049
esordi del terrorismo quando si addossarono responsabilità ad
un certo tipo di destra, mentre poi scoprimmo che l'album di
famiglia riguardava altre connotazioni.
   Nel nostro recente viaggio in Campania ci siamo resi conto
della presenza del fenomeno camorristico in una città come
Napoli dove la collera dei poveri potrebbe sfociare in fatti
molto forti, in presenza di una disoccupazione che cresce a
dismisura in termini geometrici nel sud d'Italia e a Napoli in
particolare. Vorrei sapere dai responsabili dell'ordine
pubblico (mi rivolgo in particolare al capo della polizia)
quali azioni di prevenzione si intenda porre in essere in una
situazione quale quella da me descritta. Non dimentichiamo che
nei mesi di luglio o di agosto migliaia di disoccupati non
riceveranno più alcuna forma di sussidio e che quindi potrebbe
realizzarsi una miscela che in passato ha dato luogo ad alcuni
fatti di sangue. Ricordo l'assessore regionale - mio amico e
compagno di scuola - Delcogliano ucciso dalla criminalità
organizzata e dal terrorismo in Campania.
  MASSIMO BRUTTI.  Anzitutto una considerazione sui
risultati. Non si può non sottolineare come rispetto al
passato si registri una forte discontinuità nel rendimento
delle operazioni delle forze di polizia (nei cui confronti non
possiamo che esprimere il nostro apprezzamento) ed alcuni
risultati molto significativi soprattutto sul terreno della
cattura dei latitanti.
   Desidero approfittare di questa occasione per chiedere a
voi, con grande rispetto per il vostro lavoro e la delicatezza
delle indagini in corso, di adoperarvi perché sia fatto il
massimo di chiarezza possibile in ordine all'ultimo fallito
attentato verificatosi a Roma. Il punto riguarda il ruolo e la
funzione svolta da questo test collaborante o confidente di
cui si è parlato, poiché due sono le ipotesi che subito
vengono alla mente. Innanzitutto, che egli fosse interno al
gruppo che ha organizzato l'attentato, tanto interno da
conoscere la decisione di chi l'ha presa. Ciò vorrebbe dire,
desidero sottolinearlo, che l'attentato di via dei Sabini è
cosa diversa dall'attentato di via Fauro e dalla strage di
Firenze, poiché mi rifiuto di credere...
  PRESIDENTE.  E' cosa diversa o cosa fatta da
organizzazioni diverse? Sono due concetti distinti.
  MASSIMO BRUTTI.  Si può dire che è cosa fatta da
organizzazione diversa, perché mi rifiuto di credere che
persona interna a tale organizzazione abbia assistito alla
preparazione e all'effettuazione di quegli attentati senza
mettere immediatamente gli apparati con cui era in contatto in
condizione di sventarli. L'altra ipotesi è che invece egli non
fosse interno al gruppo che ha deciso ed organizzato
l'attentato. Su questo interrogativo vorremmo una risposta e
vi chiedo di fare il possibile perché su questo punto
specifico vi sia la massima trasparenza. Non è infatti del
tutto remota l'ipotesi - non saprei come articolarla in
concreto perché me ne mancano gli elementi - che l'attentato
fallito di via dei Sabini potesse avere un'altra funzione, una
funzione cioè di depistaggio, o segnasse l'ingresso di un
altro gruppo all'interno di una strategia che, a questo punto,
diventerebbe multipolare anziché monopolare.
   Vi è poi una seconda questione. Tutte le relazioni - e mi
sembra tutti gli interventi - hanno toccato la questione dei
rapporti tra la mafia ed altri centri occulti di potere. Sono
convinto che l'offensiva non si sposti al di fuori delle aree
di insediamento tradizionale se non si dispone di una rete
efficiente di alleanze e mi sembra che un dato che emerge - se
ho ben capito - dalle indagini, quello cioè di una distanza di
tempo molto breve tra il furto della vettura e la sua
utilizzazione come autobomba, faccia pensare ad una rete
efficiente sul territorio della zona in cui l'attentato è
stato compiuto.
   Per mettere oggi meglio a fuoco lo scenario relativo ai
rapporti tra mafia ed altri centri occulti di potere, vorrei
richiamare l'attenzione su alcune questioni,
                          Pag.2050
in primo luogo su quella del riciclaggio, strettamente legata
alla natura dell'organizzazione mafiosa. I collaboratori di
giustizia ci hanno parlato a volte della funzione che svolgono
professionisti, notai, commercialisti nel meccanismo del
riciclaggio. Mi domando se vi sia soltanto questo, o se esista
un sistema più complesso e più alto, di portata non solo
nazionale, e cosa potete dirci per delinearlo. Ho letto alcuni
atti giudiziari che si riferiscono all'operazione  Big
John , al ruolo giocato dal Lottusi a Milano. In quel caso
ci troviamo già di fronte ad una personalità più complessa, ad
una rete di rapporti assai più estesa e solida; però, a quanto
ho potuto rilevare, anche la personalità del Lottusi mi sembra
inadeguata rispetto ad un sistema nel quale si spostano,
superando i confini nazionali, enormi quantità di denaro.
Sarebbe allora opportuna la definizione dello scenario, per
ricostruire a grandi linee, sulla base di quanto voi potete
dirci, cosa sia oggi il sistema del riciclaggio.
   Per quanto riguarda poi il problema dei rapporti con la
camorra, vorrei sapere se oggi vi siano elementi, e quali, per
pensare a rapporti diversi rispetto al passato con i gruppi
camorristici. Non abbiamo dati - in proposito vorrei da voi
una conferma - per ritenere che sia avvenuta una mutazione
genetica della mafia, né per credere che il centro strategico,
il quartier generale, si sia spostato al di fuori di Palermo.
Vorrei comunque una conferma sulla centralità di Palermo.
   Dallo scenario che ci è stato descritto dal dottor Di
Gennaro mi sembra si ricavasse che si è rotto un compromesso
tradizionale tra mafia e settori della politica e degli
apparati; non possiamo dire, però, che questo compromesso
tradizionale si sia spezzato e sia venuto meno soltanto perché
si ricorre ad eclatanti delitti politici e si commettono
stragi. In realtà negli anni ottanta, questo compromesso, sia
pure sottoposto ad una forte pressione (perché i Corleonesi
avevano ereditato referenti nazionali prima propri dei gruppi
tradizionali, quelli che facevano capo a Bontate) perdurava,
ma le stragi già si verificavano. Mi riferisco alla strage del
rapido 904, ad attentati di tipo stragista; l'assassinio di
Chinnici nel 1983 è già di quel genere, così come l'attentato
contro Palermo. Oggi si può dire invece che questa fase, in
cui da un lato si pigiava l'acceleratore sui delitti politici
e dall'altro si ricercava comunque un compromesso, sia finita?
I Corleonesi hanno oggi referenti politici locali sul modello
di Ciancimino oppure no? Utilizzano referenti politici
nazionali, oppure non lo fanno più? Il rapporto con le logge
massoniche coperte continua? Si può presumere che abbiano
ancora rapporti con uomini degli apparati, con settori
deviati? Vorrei sapere se qualcosa è cambiato e cosa, tenendo
conto di questo tentativo di rappresentazione analitica dei
diversi tipi di rapporto.
  ALDO DE MATTEO.  Vorrei illustrare tre osservazioni
riprendendo in primo luogo un argomento affrontato dal collega
Cappuzzo per fare una sottolineatura che ritengo importante.
Credo infatti che ci troviamo di fronte ad una
sottovalutazione, in particolare, del fenomeno del traffico di
armi. Questo argomento è passato, nella nostra graduatoria, in
secondo ordine; al centro della nostra attenzione vi è il
narcotraffico, mentre il commercio delle armi è un qualcosa
che viene dopo. Probabilmente si giustificano così i risultati
che su questo terreno appaiono modesti. Peraltro, un riscontro
interessante si potrebbe fare con studi anche recenti svolti a
livello internazionale su questo traffico, al quale invece si
presta un'attenzione maggiore rispetto alle operazioni di
polizia condotte nel nostro paese.
   La seconda osservazione riguarda i risultati straordinari
che sono stati conseguiti in quest'ultima fase ed un
ragionamento, molto semplice, che viene fatto e che ripropongo
perché credo abbia un suo significato. Secondo voi, la tesi di
una riorganizzazione della mafia può provocare anche
l'espulsione dei vecchi ingombri - chiamiamoli così -, delle
cose più
                          Pag.2051
pesanti al suo interno? E' qualcosa di teorico, di menti non
allenate ad apprezzare...
  PRESIDENTE.  Per capirci, senatore De Matteo: questo
processo dovrebbe riguardare però tutte le organizzazioni,
perché il pari livello di smantellamento è in tutte le
organizzazioni.
  ALDO DE MATTEO.  Sì.
  PRESIDENTE.  Lo dico per capirci, perché lei faceva
riferimento solo ad un'organizzazione. Se facciamo riferimento
a tutte forse questo quadro risulta più chiaro.
  ALDO DE MATTEO.  Certo. Ho posto il problema solo per
accertare se vi sia un approfondimento, oppure se la materia
sia stata messa da parte rispetto invece ad altri risultati
che sono straordinari.
   La terza considerazione che intendo svolgere riguarda i
collaboratori di giustizia, tema delicatissimo del quale credo
però si debba parlare nel modo giusto. Siamo ormai di fronte
ad un nucleo di oltre 400 collaboratori (tale cifra ci è stata
riferita questa mattina; io ero rimasto al dato di 384
collaboratori riportato dagli ultimi rapporti). A questo
proposito vorrei richiamare un problema politico di carattere
generale, consapevole come tutti noi della difficile fase di
transizione che viviamo, nella quale credo sia necessario
introdurre tutti gli elementi di chiarezza possibili, proprio
a partire dall'utilità dei collaboratori rispetto agli
obiettivi che perseguiamo per combattere la mafia.
   Vengono spesso richiamate differenze che vi sarebbero
nell'utilizzo dei pentiti rispetto a quanto avviene in altri
ordinamenti e si fa riferimento agli Stati Uniti d'America,
affermando che in quel paese i pentiti vengono diversamente
impiegati. Un elemento di questa differenziazione, spesso
esplicitato, riguarda il resoconto, la confessione del pentito
che negli Stati Uniti sarebbe resa in un'unica soluzione,
mentre nel nostro paese avverrebbe a seconda delle "dosi"
necessarie. Si tratta, a mio avviso, di un ragionamento molto
pericoloso, perché si rischia di indurre nell'opinione
pubblica la convinzione che possono esservi trame nelle trame
che si vogliono combattere. Ciò sarebbe estremamente dannoso
per la democrazia. Mi chiedo allora se sia possibile una
trasparenza sulle modalità di utilizzo dei pentiti, sui
codici, sui criteri, in modo da sgombrare il campo da tutta
una serie di elementi che rischiano di inquinare un importante
strumento che in questa fase stiamo utilizzando in modo molto
efficace.
   L'ultima osservazione riguarda il generale Federici. Sono
soddisfatto delle novità delle presenze: quando penso però ad
una stazione dei carabinieri aperta  part-time , anche se
la durata del servizio passa dalle otto alle dodici ore, la
considerazione che magari dalle 20 della sera fino alle 8
della mattina quella stazione dei carabinieri è chiusa - o,
come spesso accade, è funzionante una segreteria telefonica -
fa sorgere qualche perplessità. Occorrerebbero dunque un
piano, un'accelerazione, i sacrifici necessari per arrivare a
presenze che non siano soltanto burocratiche, ma risultino
significative ed incisive in considerazione dei fenomeni che
si vogliono combattere.
  FERDINANDO IMPOSIMATO.  Desidero rivolgere un
ringraziamento ed un saluto al capo della polizia, ai
comandanti dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di
finanza ed al mio amico, dottor Di Gennaro.
   Vorrei arrivare subito al cuore del problema, che riguarda
in particolare le stragi. Non intendo pormi il problema di
stabilire se queste stragi siano destabilizzanti o
stabilizzanti, ma vorrei sapere se sia possibile prevederle e
prevenirle. In particolare, mi riferisco a quanto hanno più
volte affermato i responsabili del dicastero dell'interno, a
partire dal ministro Scotti, circa la possibile consumazione
di stragi. Ricordo che il ministro Scotti parlò appunto di una
strategia della tensione che si sarebbe risolta nella
                          Pag.2052
consumazione di una serie di stragi. Mi sembra anche di
rammentare che alcune delle notizie provenivano da Ciolini il
quale, come è noto, è collegato con la strategia della
tensione e che sono state preparate da parte della mafia
stragi in danno di Di Pietro, Vigna e Caselli (mi sembra che
un attentato mirasse addirittura a far saltare il palazzo di
giustizia di Palermo). Vi è dunque una serie di fatti che
hanno preceduto le ultime stragi. Mi chiedo allora se,
sommando tutti i segnali precedenti - che non sono di ordine
logico, ma storico -, sia possibile offrire un quadro più
preciso non solo delle matrici, diciamo così, in astratto, ma
in concreto delle responsabilità degli organizzatori delle
stragi stesse, tenendo presente appunto che Ciolini parlò
delle azioni di Cosa nostra contro istituzioni, uomini
politici e personaggi del mondo giudiziario.
   Vorrei anche sapere se si possa ritenere che l'obiettivo
di queste stragi sia stato non solo quello di creare una
spaccatura tra il mondo istituzionale - cioè la polizia e la
magistratura - e l'opinione pubblica, perché, in realtà, si
vorrebbe che l'opinione pubblica ritenesse causa, sia pur
indiretta, di queste stragi i magistrati impegnati nelle
inchieste "mani pulite" contro la mafia. Ciò perché il
perdurare di queste inchieste può provocare come reazione la
consumazione di stragi di questa portata.
   Vorrei sapere, inoltre, quale sia stato e quale sia il
ruolo dei mafiosi arrestati rispetto alle stragi. Visitando le
carceri, con il gruppo di lavoro che si occupa della materia,
ho avuto la sgradevole sensazione di percepire un certo
lassismo dello Stato rispetto alla gestione dei mafiosi e dei
camorristi i quali, anziché essere isolati ed internati in
istituti di massima sicurezza dove possono essere più
facilmente controllati, per una ragione o per l'altra
continuano a girare per l'Italia e secondo me hanno ancora
oggi il potere di intervenire e di dare ordini che possono
incidere sulla consumazione delle stragi.
   Infine, vorrei chiedere al capo della polizia, ai
comandanti dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di
finanza e al dottor De Gennaro se possano fornirci un quadro
preciso di tutti i fatti di strage che si sono verificati
negli ultimi anni, in particolare di quegli episodi che si
riferiscono alla preparazione di stragi che non sono state
consumate, in modo da avere una visione unitaria. Non possiamo
fermarci, infatti, soltanto alla riflessione su quanto è
accaduto, ma dobbiamo cercare, purtroppo, di fare una
previsione su quello che potrà verificarsi. Su questo punto,
ripeto, credo sia necessario avere un'idea: la strategia delle
stragi, in sostanza, continuerà - come io purtroppo temo -
oppure assisteremo alla sua stasi?
  PRESIDENTE.  La parola all'onorevole Tripodi. E' poi
iscritto a parlare l'onorevole Ayala che però credo abbia di
fatto rinunciato  (Interruzione del deputato Mastella) .
  ERMINIO ENZO BOSO.  Mi difendo da solo, onorevole
Mastella, non ho bisogno di avvocati! Non mi serve il
burattinaio!
  PRESIDENTE.  Su questo non abbiamo dubbi, senatore Boso.
  GIROLAMO TRIPODI.  Desidero anch'io esprimere il più
sincero apprezzamento alla polizia, all'Arma dei carabinieri,
alla Guardia di finanza e alla DIA per gli eccezionali
risultati conseguiti con la cattura di pericolosi latitanti,
anche se mi domando anch'io per quale motivo quanto è avvenuto
adesso non si sia verificato in passato, quando tutti
denunciavamo che i latitanti rimanevano sul posto, dove
passeggiavano, dominavano e decidevano. Del resto è clamoroso
e scandaloso il fatto che Mammoliti, che mi pare sia stato
citato, si è sposato in una chiesa distante cinquanta metri
dalla caserma dei carabinieri ed abbia avuto anche molti figli
sebbene fosse latitante; cito questo ma potrei citare tanti
altri
                          Pag.2053
casi. Ecco dunque l'interrogativo che la gente si pone e al
quale bisogna dare una risposta.
   Vorrei poi fare un'altra osservazione, attinente alla
precedente. Nonostante i risultati raggiunti, non credo che
qualcuno si possa convincere che ci troviamo ormai di fronte
ad una imminente sconfitta dell'organizzazione criminale
mafiosa: su questo dobbiamo essere molto chiari perché la
mafia è presente, è organizzata e controlla ancora il
territorio nelle zone in cui dominava, anche se ha subìto
colpi molto pesanti.
   La più importante questione che mi pare questa mattina sia
stata posta concerne gli attentati di Roma e di Firenze. Non
mi convince - me lo consentano i nostri illustri interlocutori
- la versione che è stata data, cioè quella secondo la quale
questi attentati sono stati effettuati dalla mafia che si
prepara ad assaltare il "palazzo d'inverno", cioè lo Stato.
Non ne sono convinto perché questa analisi sarebbe a mio
avviso molto limitata in quanto la mafia non poteva colpire
Firenze e Roma senza avere collegamenti con altre forze; la
mafia, infatti, è forte laddove ha un'ambiente favorevole.
Credo pertanto che questa analisi sia lontana dalla realtà.
Bisogna allora considerare se vi siano stati o vi possano
essere collegamenti con servizi deviati, del resto questi
fatti si sono verificati, come dimostrano le vicende degli
ultimi tempi (vi sono persone appartenenti ai servizi segreti
che oggi sono inquisite per rapporti con la mafia).
   Del resto neanche le stragi di Capaci e di via D'Amelio
sono convinto che siano state organizzate soltanto dalla
mafia: anche in quei casi il fatto che non si scopra ancora
niente e neppure i pentiti dicano chi sono stati i mandanti e
gli esecutori è la dimostrazione di una grande debolezza e di
una situazione molto più oscura e complicata. A Firenze vi è
stata non solo la cattura dei mafiosi ma anche
l'individuazione di rapporti precisi tra mafia e massoneria.
Questo, quindi, può essere un altro elemento da valutare, ed
altri ancora possono essere i rapporti con i servizi; la
questione, comunque, va approfondita.
   Non so in che modo potete stabilire che questi attentati
mirano a destabilizzare. Personalmente non sono di questo
avviso, ritengo semmai che la mafia vuole impedire il
cambiamento dell'assetto istituzionale e politico. E' questo
uno dei punti fondamentali: la mafia, assieme alle altre forze
che con essa collaborano, vuole stabilizzare.
   Vorrei infine porre la questione delle scorte. Il capo
della polizia ha affermato che vi sono 3.608 agenti addetti
alle misure di sicurezza, di scorta a politici, funzionari,
magistrati. Innanzitutto vorrei sapere come avvenga la scelta
per l'assegnazione della scorta. Si dice poi, dottor Parisi,
che Licio Gelli sia superscortato. Perché un uomo che in
questi giorni viene processato a Palmi per collegamenti con la
criminalità organizzata nel processo Pesci di Rosarno, ha una
scorta, mentre altri che dovrebbero avere qualche tutela,
magari quelli che sono in prima linea nella lotta contro la
mafia, ne sono privi? Vorrei sapere per quali meriti, se è
vero, Licio Gelli abbia diritto a questa tutela, e chi l'abbia
decisa.
   Per concludere, in merito ai collegamenti con la politica,
vorrei sapere se in queste ultime elezioni abbiate avuto modo
di accertare l'impegno della mafia verso forze politiche e se
si sia trattato delle forze tradizionali. Vorrei sapere, per
esempio, come si è comportata la mafia a Taurianova, dove è
stato sciolto un consiglio comunale per mafia, dove si è
votato e vi sono stati tanti camuffamenti.
  PRESIDENTE.  Come sono andate le elezioni a Taurianova?
  MARIO CLEMENTE MASTELLA.  La DC ha perso punti, quindi...
  GIROLAMO TRIPODI.  No, non ha perso niente perché il
candidato della DC è il primo in ballottaggio ed è, caro
Mastella, uno degli inquisiti per reati contro il patrimonio
che faceva parte della vecchia giunta. Questo è molto grave.
                          Pag.2054
  PRESIDENTE.  Vi prego, colleghi.
  GIROLAMO TRIPODI.  Mi scusi, signor Presidente, ho
soltanto risposto all'interruzione dell'onorevole Mastella.
   Il comandante generale della Guardia di finanza ha
affermato che viene svolta particolarmente un'azione contro
gli evasori fiscali. Al riguardo, se possibile, vorrei avere
qualche notizia in ordine all'individuazione dell'evasione
fiscale da parte delle cosche mafiose o dei prestanome ad esse
collegati.
  ERMINIO ENZO BOSO.  Vorrei partire da una delle ultime
questioni poste dal collega Tripodi. Si è parlato di oltre 3
mila agenti di scorta a politici che a volte hanno anche
caratteristiche delinquenziali. Io credo che basterebbe un
carabiniere o un poliziotto del centro sportivo per scortarli
e non i 9 o 10 agenti che accompagnano questi personaggi e le
loro famiglie dalle loro abitazioni, dalle loro ville, a Roma.
Da quanto ne so, vengono impiegati anche agenti della Guardia
di finanza per proteggere persone come la figlia di Moro che
non vedo per quale motivo debba essere scortata dai
carabinieri sotto casa e dalla Guardia di finanza che
l'accompagna a fare la spesa. Sarebbe l'ora che questi agenti,
anche ripiegando sul discorso dei comandi stazione citofonici,
vengano recuperati ed utilizzati correttamente nella società.
   Mi lascia poi perplesso il fatto che non si sia parlato
del cosiddetto decreto Conso, che scadrà domenica, il quale
permette ai carabinieri e agli agenti della Guardia di finanza
e della polizia di Stato di arrestare gli extracomunitari
clandestini, i delinquenti ed espellerli direttamente dal
territorio. Si guarda sempre ai quadri alti, dove si può
gestire un certo tipo di politica, ma molti di voi si
dimenticano facilmente dove veramente operano gli agenti o se
ne ricordano soltanto al momento dei funerali di Stato, per le
connivenze politico-mafiose di coloro da cui siamo
amministrati.
   Vorrei rivolgere una domanda in particolare al dottor
Parisi: sul suo tavolo sono mai arrivate notizie di indagini
sulle falangi armate? Ha mai esaminato il decreto voluto per i
naziskin e quanta pericolosità viene imputata ai cittadini
nazionali in difesa degli extracomunitari, anche quando questi
ultimi diventano delinquenti, anche quando fanno parte di quei
gruppi di contrabbando della droga, della delinquenza
organizzata, di avvicinamento alla mafia? Forse si deve
soltanto combattere la delinquenza locale, ma dovrei
richiamare anche a lei il fatto che a luglio scadrà il decreto
per la riorganizzazione del corpo della pubblica sicurezza, di
cui qui non si è fatto parola. Ci sono uomini che all'interno
del corpo al quale appartengono vivono nel malessere e ciò si
ripercuote anche nei servizi che effettuano. Uomini che si
lamentano di questa condizione sociale all'interno del proprio
corpo e poi devono fare quello che si sta facendo all'esterno.
Oltre al servizio c'è anche il malessere all'interno.
   Dottor Parisi, la richiamo anche come responsabile ...
  ALTERO MATTEOLI.  Lo richiama all'ordine!
  ERMINIO ENZO BOSO.  Parlo come voglio io, tu fai la tua
parte! Io dico quello che voglio!  (Commenti) .
   Il dottor Parisi ha difeso la figura di Contrada, che oggi
è stato riconosciuto uno dei collettori della mafia, da quel
che si dice. Quindi, dottor Parisi, vorrei veramente sapere se
lei non ne sapeva niente, perché mi sembra veramente
pericoloso che all'interno dei servizi, da dove lei proviene,
un responsabile come Contrada abbia avuto collegamenti, sia
stato garante della mafia.
   Come ricordava poco fa il collega Tripodi, non si sente
più parlare di riaprire l'indagine sulla massoneria, di poter
reincriminare Gelli. Quali sono stati i medici che hanno
certificato che Gelli sarebbe morto entro 90 giorni, per cui
doveva essere scarcerato? Quali sono stati quei giudici
creduloni, secondo i quali Gelli avrebbe dovuto morire sei
                          Pag.2055
anni fa e invece ancora gira, dal mare alle Dolomiti,
scortato da quegli agenti che dovrebbero difendere la comunità
da questi soggetti? E' questo che mi fa paura.
   Qua dentro si sente da parte vostra fare macropolitica,
che è una cosa pericolosa. Invece dovreste darci i riscontri
che chiedo. Perché questi giudici e questi dottori stanno
ancora esercitando? Perché Gelli, se stiamo a questo punto, è
stato protetto. E' stato protetto da responsabili della
medicina (gente che deve curare), da giudici, dai servizi, da
forze dello Stato che dovrebbero garantire la cittadinanza. E
lei, dottor Parisi, che da quello che si sente dovrebbe
aspirare a diventare il nuovo collettore della lotta alla
criminalità, in qualità di segretario generale delle forze di
polizia incorporate secondo l'indirizzo della Comunità
europea, ci fa trovare di fronte a queste condizioni? Questo,
come cittadino, mi fa veramente paura!
   Poiché abbiamo queste indicazioni, le chiedo: dove andremo
a finire se a lei stesso, che dovrebbe coordinare, sfuggono
queste situazioni in casa sua? E' questo che mi fa paura! Ecco
perché le chiedo e voglio sapere chi siano i responsabili.
Gelli doveva morire: chi l'ha messo in libertà? Da chi è
protetto? Dal Ministero dell'interno, dal Ministero delle
finanze, dalla Banca d'Italia? Chi è che garantisce
quest'uomo, che è collettore di grossi atti delinquenziali?
   Se all'interno dei suoi servizi... Lei, dottor Parisi,
proveniva dal SISDE e dal SISDE è rientrato Contrada. Chi
pilota questi funzionari, chi li mette in condizione di
controllare? Questo io voglio sapere. Mio nonno diceva sempre:
il pesce puzza dalla testa.
  MICHELE FLORINO.  Desidero porre una domanda che già
hanno formulato altri colleghi ma forse con più brutalità,
poiché ho qui con me una rassegna di stampa, anche vecchia,
degli allarmi lanciati dall'ex ministro dell'interno Scotti,
dall'attuale ministro dell'interno Mancino e dallo stesso
presidente della Commissione antimafia Violante sulle ipotesi
di attentati; ipotesi di attentati che, come è evidente da
queste dichiarazioni, partono da lontano.
   In considerazione di ciò che questi hanno dichiarato, e
che quindi hanno saputo da fonti ben informate, perché i due
ministri dell'interno lasciano presumere di ricevere voci
confidenziali che superano gli aspetti delle notizie che
rimbalzano ogni giorno sui quotidiani, quali misure di
sicurezza sono state adottate sul territorio? E' questa la
prima domanda che pongo, ricordando che quelle voci erano più
che un'informazione e facevano presagire stragi che poi si
sono puntualmente verificate.
   La seconda, più che una domanda, è un'osservazione su tesi
ed ipotesi che, sempre con riferimento alle stragi, sono
rimbalzate in quest'aula. Non intendo polemizzare sulla
questione dell'accostamento, anche perché c'è una sentenza e
quindi ci inchiniamo al volere dei magistrati (mi riferisco
soprattutto al rapido 904 e al fatto che si cerchi di
collegare a quella strage il nostro collega, quindi elemento
di destra, onorevole Abbatangelo). Lasciamo che sia l'operato
dei giudici, che dovranno giudicare Abbatangelo da qui a
qualche mese, a far crollare tutta la montatura; crediamo
infatti che sia una montatura creata apposta per coinvolgere
l'amico di destra Abbatangelo, che certamente è molto lontano
da questo tipo di pensiero, non solo di attività ma di
pensiero, mentre il solo ricordo di una simile strage fa
accapponare la pelle. Proprio perché alcuni hanno voluto dare
spiegazioni e suggerimenti - qui abbiamo eminenti uomini che
lottano contro la mafia e la delinquenza organizzata - vorrei
però ricordare alcune ipotesi. La mafia, la camorra ed altre
associazioni similari ormai hanno consolidato il sistema
economico e finanziario nelle aree ad alta densità criminale e
in relazione a tale sistema sta emergendo tutta una serie di
collegamenti che fanno addirittura allibire, se non saltare
sulla sedia (giudici, avvocati, politici e criminali). Se
questo sistema di collegamento è diventato
                          Pag.2056
 così solido nelle aree ad alta densità criminale e si sta
estendendo ad altre aree, vi sembra che le associazioni
criminali abbiano intenzione di sfidare lo Stato, quindi nello
stesso tempo di allertarlo? Che interesse avrebbero a farlo in
una situazione di fatto garantita da una serie di attività
economiche che hanno tutto il sapore ed anche l'aspetto del
lecito rispetto agli illeciti che vengono fuori? Perché per
quanto riguarda gli illeciti poi ci pensano i giudici, che a
fronte del sacrificio della Guardia di finanza e delle altre
forze dell'ordine, che riescono a requisire patrimoni
criminali, emanano subito l'ordinanza di derequisizione per
cavilli - abbiamo letto alcune sentenze - che mettono
nuovamente in piedi l'impero economico.
   In questa situazione mi sembra molto fragile la tesi che è
prospettata qui e che qualche volta mi ha affascinato, quella
cioè della mafia e della camorra che vogliono sfidare lo
Stato. Perché sfidare lo Stato se sono presenti con imponenti
ricchezze su tutto il territorio e soprattutto nelle aree ad
alta densità criminale? Abbiamo letto in questi giorni le
dichiarazioni del collaboratore Galasso: nemmeno un complesso
di banche avrebbe potuto mettere insieme mille miliardi, ma
l'ha potuto fare tutta una serie di attività presenti sul
territorio.
   Ritengo, allora, che forse si debba distogliere un po'
l'attenzione dagli aspetti mafiosi e criminali, perché già
consolidati sul territorio, per guardare a quella che si può
definire, come qualcuno ha affermato in questa sede, strategia
della tensione. A chi fa comodo? Bisogna indubbiamente dare a
voi il compito di accertare queste responsabilità. Ma a questo
riguardo desidero focalizzare una serie di interventi che sono
stati fatti in quest'aula, rappresentando un dubbio che assale
l'opinione pubblica: è possibile che Riina, Pulvirenti,
Santapaola, lo stesso Alfieri, Imparato a Castellammare di
Stabia siano stati trovati in breve giro di tempo dopo che si
era creato un mito intorno alle loro figure? Sorgono al
riguardo sospetti e misteri che tocca a voi diradare.
   La terza ed ultima domanda concerne la camorra, che mi
interessa più da vicino e che agisce in un'area ad alta
densità criminale peggiore di quella di Palermo. Ho dichiarato
in varie occasioni che a mio giudizio la camorra è più
pericolosa di Cosa nostra, ed il presidente di recente lo ha
confermato: mi fa piacere che vi sia questa nuova visione
dell'evolversi delle organizzazioni criminali sul territorio.
La camorra ha una funzionalità mutuante sul territorio, non ha
l'efferratezza della mafia (diciamo che va avanti con il
sorriso sulle labbra), però ha la capacità di assoggettare a
sé tutte le attività, anche quelle lecite. E' presente sul
territorio ed a Napoli ne abbiamo avuta la conferma. La
situazione - e qui mi rivolgo al capo della polizia - è a dir
poco disperata: rispetto al sacrificio delle forze
dell'ordine, alle quali va il nostro apprezzamento, si
registra una infiltrazione consistente negli apparati della
polizia; emblematico è il caso, emerso in questi giorni, dei
cinque agenti arrestati per riciclaggio di auto rubate, ma
posso fare riferimento a tanti altri episodi inquietanti.
   Proprio per la situazione particolare in cui versa Napoli
ed anche per la situazione di aggressione politica che tende
ad allentare la presa del potere istituzionale, che è quello
delle forze dell'ordine, mi rivolgo ora al comandante dei
carabinieri per far presente il caso di un coraggioso maggiore
che avendo combattuto senza sosta la camorra ed avendo
conseguito grossi successi per l'Arma è stato inspiegabilmente
trasferito alla scuola di addestramento dei giovani
carabinieri di Chieti: parlo del maggiore Tommasoni. Proprio
perché questo ufficiale si era dedicato alla lotta non solo
alla camorra ma anche al sistema di rapporti tra politici e
camorra, ho il sospetto - non la prova - che un certo potere
politico agisca ed imperversi nella città di Napoli al fine di
neutralizzare qualsiasi reazione dello Stato.
                          Pag.2057
   Dunque, con riferimento a quell'infiltrazione cui
accennavo poco fa - mi dispiace dover segnalare queste cose -
invito il capo della polizia a promuovere un'ispezione
ministeriale che esamini da vicino soprattutto le vicende che
hanno interessato la polizia nel napoletano. Naturalmente le
mie obiezioni non riguardano il questore, che è stato nominato
da poco e quindi, forse, deve ancora rendersi conto della
situazione napoletana.
  MAURIZIO CALVI.  Rivolgo innanzitutto un ringraziamento
non formale ma sostanziale agli uomini ed agli apparati
impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata.
   Faccio una prima domanda. In tutte le fasi della storia
democratica del nostro paese, quando l'incertezza del clima
politico è diventata sempre più forte, la strategia della
tensione ha creato le condizioni della instabilità. Sulla base
di questo primo giudizio, esprimo soltanto una riserva sulle
analisi compiute in relazione agli avvenimenti degli ultimi
giorni e alla diversità degli obiettivi che si sono voluti
conseguire. Mentre nel primo caso il giornalista rientra nella
casistica degli obiettivi strategici della mafia (che
comprende anche uomini che possono essere imprenditori,
avvocati, magistrati), nel caso del mancato attentato e in
quello di Firenze vi sono obiettivi di carattere
indiscriminato, che fuoriescono dalla logica onnicomprensiva
della strategia della mafia e rientrano di più in strategie
che tendono ad alimentare il clima dell'insicurezza nel nostro
paese, soprattutto in vista (purtroppo ho constatato che
questo tipo di analisi non è ancora presente) delle elezioni
del 6 giugno. Gli obiettivi (quello mancato e quello di
Firenze) possono essere ricollegati a motivi di carattere
politico per aumentare il regime di insicurezza e
probabilmente per orientare l'elettorato italiano in maniera
diversa.
   Vorrei capire se anche in riferimento all'obiettivo
politico delle elezioni del 6 giugno si possa compiere
un'analisi in considerazione della diversità degli obiettivi
che possono essere collegati alle stragi, mancate e non.
   La seconda questione che intendo affrontare prende spunto
da un elemento indicato dal dottor De Gennaro quando ha
registrato un passaggio strategico da parte dello Stato nella
lotta contro la mafia e contro la criminalità organizzata in
genere, quando cioè ha indicato il passaggio dalla tattica
alla strategia della criminalità e della mafia in particolare.
Ovviamente vi è stato il passaggio conseguente alla strategia
dell'azione dello Stato in relazione alla tattica e alla
strategia della criminalità organizzata. Vorrei capire se sia
possibile compiere analisi su questi passaggi di carattere
storico e permanente, oltre che sui passaggi successivi a
questa fase di strategia della tensione in relazione a
possibili obiettivi della criminalità organizzata e della
mafia nei prossimi mesi. Se è stato colto come elemento quello
relativo alle elezioni del 6 giugno e se la strategia dovesse
terminare oggi, dovremmo registrare una diversità di giudizio
nei confronti di tali obiettivi. Mi chiedo se si stia
compiendo un'analisi delle strategie future della mafia nel
nostro paese e quali possano essere i filoni che tali
strategie sottendono. Per noi è importante cogliere i momenti
della grande prevenzione, il recupero della sicurezza e
dell'ordine pubblico nel nostro paese, perché dobbiamo passare
dalla fase della insicurezza a quella della sicurezza sociale,
politica, istituzionale ed economica.
   Ritengo che questo sia uno dei passaggi politici che la
Commissione parlamentare antimafia debba cogliere maggiormente
per capire soprattutto e per prevenire fenomeni
destabilizzanti o quanto meno contenere quella fase di
incertezza politica che ho descritto e che, se perdurasse,
potrebbe mettere in crisi la stessa democrazia del nostro
paese.
   Probabilmente a queste domande di carattere politico
avrebbe potuto rispondere il ministro dell'interno ma, sia per
le responsabilità che esercitate collettivamente
                          Pag.2058
 sia per una strategia comune che avete affinato, credo che
un'analisi sulle proiezioni future della strategia della
criminalità di qualsiasi tendenza ed espressione possa essere
compiuta per comprendere e per contenere le attuali fasi di
strategia della tensione nel nostro paese.
  PAOLO CABRAS.  Innanzitutto, vorrei rivolgere un
apprezzamento sincero e non formale per le relazioni puntuali,
precise, concrete e ricche di dati e di risposte ad
interrogativi che avevamo ed abbiamo nutrito in questi mesi di
fronte agli avvenimenti che abbiamo ricordato.
   Mi limiterò a tre brevi domande, la prima delle quali fa
riferimento al traffico di droga e di armi e al relativo
problema del riciclaggio dai paesi dell'Europa orientale. A me
sembra che la situazione politica ed economica di tali paesi
rappresenti un elemento importante, ma comunque sappiamo che
le indagini in corso portano su questo terreno. Vorrei quindi
avere qualche notizia in più sulle rotte delle armi e della
droga dall'Europa orientale e, soprattutto, sui livelli di
cooperazione internazionale stabiliti. A me risulta infatti
che da parte dei governi e dell'opinione pubblica di questi
paesi c'è un'assoluta indifferenza, c'è un assoluto silenzio
su questi argomenti. Mi è accaduto di essere intervistato da
un giornalista della televisione ungherese il quale si è molto
sorpreso del fatto che nel suo paese non si parli di questi
argomenti (a dir la verità non se ne parla molto neanche in
altri paesi dell'Europa orientale).
   Per quanto concerne la criminalità economica (tema al
quale la Commissione ha dedicato un forum a cui tutti voi
avete partecipato) è da molto tempo che siamo particolarmente
attenti agli intrecci, alle implicazioni, ai coinvolgimenti
che banche e società di intermediazione finanziaria hanno
nelle vicende non solo di riciclaggio ma anche di investimento
e reinvestimento dei profitti di natura criminale. Anche oggi
al riguardo sono stati fatti riferimenti e nella relazione del
direttore della DIA erano contenuti alcuni nomi, in
particolare quelli di Carboni e di Nicoletti. Il nome di
Carboni è sicuramente significativo per gli intrecci che
portano fuori dell'Italia in connessione con vicende
importanti, come quella del Banco Ambrosiano e che per questo
hanno una dimensione che indubbiamente indica una pista da non
abbandonare. Quella di Nicoletti sembra più una vicenda legata
alla criminalità nazionale, anche se lo vediamo molto mobile
sul territorio nazionale, non limitato ai suoi noti rapporti
di camorra a Roma, in Campania e in altre regioni d'Italia.
   Rimane tuttavia, almeno al nostro livello ma mi auguro che
vi sia la possibilità di riempire questo vuoto, una certa
carenza di informazione e conoscenza, perché credo che questa
sia la strada per corrispondere alle indicazioni che oggi
concordemente, dal capo della polizia e dal direttore della
DIA, ci sono state date sulle forze esterne alla mafia che
possono aver supportato attentati stragistici di chiara
matrice mafiosa.
   Non credo che questo possa essere ricercato soltanto nelle
direzioni più conosciute, più note, quelle che consentono
un'analisi politica che ripete altri momenti della storia del
paese e che fa giocare su quelle parole - stabilizzazione o
destabilizzazione - in cui si impegnano tanti, secondo me con
poco costrutto e poco frutto perché riecheggiano polemiche
diverse, polemiche del passato; occorre invece avere maggiori
conoscenze su questi intrecci, sui personaggi, sulle
intermediazioni, sulla mappa dei colletti bianchi nazionali ed
internazionali che stanno dietro a colossali interessi
finanziari. La forza della mafia certamente sta nel suo
radicamento territoriale. Sono convinto che i capi della mafia
si chiamino Totò Riina e non con nomi esotici o con terzi
livelli, ma sono altrettanto convinto che i prolungamenti
della mafia, nazionale ed internazionale, soprattutto a
livello economico, siano oggi più importanti dei mafiosi e dei
boss che, per fortuna, riusciamo ad assicurare alla giustizia.
                          Pag.2059
   L'ultima domanda riguarda la Falange armata. Il capo della
polizia ha fornito alcune notizie e voglio ricordare, più a me
stesso che alla Commissione, che il ministro dell'interno
Mancino l'ultima volta che è venuto qui ha usato espressioni
allarmanti che qualcuno ha sottolineato con meraviglia ("Ma
come, un ministro parla così?"). Io invece l'ho ringraziato
perché finalmente ho sentito un ministro usare un linguaggio
esplicito e chiamare le cose con il proprio nome.
   Ebbene, a proposito della Falange armata, il ministro
Mancino ha dichiarato che questi comunicati vengono da uffici
e da tavoli e in orari di lavoro, intendendo il riferimento di
questi messaggi denominati "falange armata" come qualcosa che
abbia a che vedere con attività della pubblica amministrazione
o istituzionali.
   Ho avuto, e non da oggi, analogo sospetto. Ricordo che
l'estate scorsa, quando a luglio fu trovato il famoso
documento sulla procura di Palermo in cui accanto a molti
depistaggi e a molte calunnie erano presenti elementi
verosimili, cioè di sicura provenienza da fonti che
conoscevano e sapevano in Parlamento rispetto ad altre
fantasie che sempre si sprigionano in questi casi, avvertii la
necessità di guardare all'interno di uffici e di
amministrazioni pubbliche.
   Vorrei dunque sapere se qualche passo avanti sia stato
compiuto o possa essere compiuto perché questa sigla sta
diventando quella di una provocazione, e non vorrei che
dovessimo pensare ad una provocazione troppo interna ad ambiti
ed istituzioni che vogliamo difendere anche da questo tipo di
intrusioni e strumentalizzazioni.
  PRESIDENTE.  Propongo che le risposte vengano date in
ordine inverso, lasciando al prefetto Parisi la parola
conclusiva.
   Informo che nel rispondere ci si può riservare di produrre
successivamente risposte scritte poiché alcune delle questioni
poste esigono la consultazione di documenti.
        Sostituzione di un membro della Commissione.
  PRESIDENTE.  Comunico che, in data 9 giugno 1993, il
Presidente del Senato ha chiamato a far parte della
Commissione parlamentare antimafia il senatore Antonio
Guerritore in sostituzione del senatore Carlo Ballesi,
dimissionario.
              Comunicazioni del presidente.
  PRESIDENTE.  Comunico che, a norma dell'articolo
25- decies  della legge 7 agosto 1992, n. 356, l'ufficio
di presidenza allargato ai capigruppo all'unanimità ha chiesto
che venga designato come consulente a tempo pieno della
Commissione il colonnello Castore Palmerini della Guardia di
finanza. Siamo grati al generale Berlenghi per aver messo a
disposizione della Commissione un ufficiale di altissime
qualità professionali.
                Si riprende la discussione.
  PRESIDENTE.  Ha facoltà di rispondere il dottor De
Gennaro.
  GIANNI DE GENNARO,   Direttore della direzione
investigativa antimafia . Cercherò di essere breve e di
soffermarmi su quei due o tre aspetti che possono essere
direttamente correlati alla precedente relazione. Partirò
dall'osservazione del senatore Calvi sulla diversità degli
obiettivi per ricordare che nel mio intervento ho indicato con
sufficiente certezza e continuità logica le successioni dei
delitti Capaci, via D'Amelio, via Fauro, esprimendo un minimo
di riserva sull'attentato di Firenze proprio perché sembra
esserci un obiettivo non definito, anche se tale poteva essere
considerata la strage al treno n. 904, per la quale vi è una
sentenza passata in giudicato.
   Circa la tattica e la strategia da seguire, finora nelle
analisi via via svolte si è notata una conseguenzialità di
azioni criminose e forse un'unicità di disegno
                          Pag.2060
criminoso, certamente con riferimento fino a Firenze.
L'analisi politica, ovviamente, non spetta a noi tecnici e non
mi permetto di avventurarmi su questo tema.
   Per quanto riguarda la domanda che poneva il senatore
Florino sulla situazione garantita (perché gli attentati?),
credo che proprio per mantenere lo  status quo  ci sia
questa azione statuale, istituzionale, pesante, precisa e
convergente che mette in difficoltà notevolissima le
organizzazioni criminali. Quell'obiettivo può essere di
interromperla soprattutto nel modo che mi sono permesso di
accennare prima, cioè quello di togliere all'azione degli
organismi istituzionali un consenso che è importantissimo per
portare avanti un'azione puntuale.
   L'onorevole Mastella ha posto una domanda circa la
presenza di una donna nel commando. Mi pare che al riguardo vi
siano ancora indagini in corso di cui è opportuno aspettare
l'esito. Comunque, con riferimento ai collegamenti
internazionali, certamente questi esistono e sono comprovati
da attività investigative precise e puntuali. Il capo della
polizia ha ricordato soltanto le più importanti azioni
investigative che hanno messo in luce chiaramente i
collegamenti internazionali (gli interessi possono essere
comuni ad organizzazioni criminali che operano fra di loro) e
un'azione investigativa che può essere sviluppata al riguardo.
Su altri argomenti specifici mi riservo di rispondere in un
secondo momento.
  COSTANTINO BERLENGHI,   Comandante generale della
Guardia di finanza.  Rispondendo alle domande che riguardano
direttamente la Guardia di finanza, affronterò in primo luogo
il problema del riciclaggio, quindi quello dell'eventuale
insufficienza delle disponibilità del corpo; in proposito sono
intervenuti gli onorevoli Galasso e Brutti.
   Per il riciclaggio, aspetti fondamentali sono la
criminalizzazione degli investimenti illeciti, il riordino e
la razionalizzazione dei sistemi di intermediazione
finanziaria, l'acquisizione coatta dei profitti illeciti. La
normativa vigente è valida ed anzi potrebbe essere definita di
avanguardia; non è però sufficiente a contrastare il fenomeno:
siamo all'avanguardia ma non troviamo riscontro sul piano
internazionale in misura adeguata; al di fuori del nostro
paese, quello del riciclaggio è un problema che non merita
grande attenzione.
   Dunque, mentre a livello internazionale occorre ricercare
una omogeneizzazione ed una identica volontà di contenimento
del fenomeno, sul piano interno occorrono ancora
perfezionamenti. E' vero che la legge n. 197 del 1991 ha
introdotto per la prima volta in Italia, come già in vigore in
Inghilterra, la collaborazione degli intermediari finanziari,
prevedendo l'obbligo di segnalare al questore, e quindi al
nucleo speciale di polizia valutaria, le operazioni soggette a
riciclaggio. E' però altrettanto vero che sono necessari
perfezionamenti che dovrebbero riguardare soprattutto la
miglior disciplina della segnalazione dei casi sospetti, oggi
nell'ordine di qualche centinaio mentre in Inghilterra
raggiungono il livello di migliaia, nonché una più pronunciata
partecipazione del sistema finanziario.
   La Banca d'Italia ha emanato un decalogo di comportamento
che praticamente delinea alcune fattispecie e le relative
segnalazioni. Purtroppo questo intervento non è sufficiente,
perché gli operatori finanziari non sempre si sentono
impegnati a dare risposte; qualche volta ciò accade per paura.
Sulla base di questa esperienza, la Guardia di finanza ha
proposto di spersonalizzare le segnalazioni, di eliminare ogni
valutazione soggettiva da parte degli operatori bancari,
imponendo la segnalazione in presenza di alcuni indici, quali
ad esempio lo "sconsultamento" notevole di prelevamenti e
versamenti anomali, quali una serie di libretti al portatore
di 19 milioni 900 mila lire l'uno. Di casi simili se ne sono
verificati molti e le indagini di polizia giudiziaria, ad
esempio nel settore delle tangenti, hanno verificato casi di
versamenti ripetuti per tali entità, ovvero di somme cospicue
non segnalate da
                          Pag.2061
parte delle banche; in quest'ultimo caso i responsabili
saranno sottoposti a procedimenti penali.
   Sempre in materia di riciclaggio, vorrei dire al senatore
Brutti che il Corpo sul fenomeno ha predisposto una relazione
nella quale vengono indicate le cause, le connessioni, le
tecniche e le strategie operative. Tale relazione, che è stata
inviata al presidente Violante a metà aprile, al ministro di
grazia e giustizia ed ai vertici delle forze di polizia,
nonché alla Banca d'Italia, potrebbe essere oggetto di
ulteriori approfondimenti e ci riserviamo di aggiornarla
continuamente con i dati più recenti.
   Per quanto riguarda l'insufficienza delle forze
disponibili, non credo che la Guardia di finanzia soffra di
particolari carenze. In questo momento gli uomini sono circa
60.500; gli organici prevedono, in base al cosiddetto
pacchetto-Scotti, che nei prossimi anni la cifra possa
arrivare fino a 66.256 uomini. Le attuali carenze rispetto
agli organici del futuro sono di circa 300 ufficiali e di
circa un migliaio di finanzieri (non molto rilevanti), ma
soprattutto di 4 mila sottufficiali, la cui carenza in
particolare è dovuta alla mancanza di scuole di reclutamento.
Ne avevamo una a Cuneo ed una ad Ostia; mentre quella
dell'Aquila, che ha la capienza di un battaglione di 1.350
uomini ed eventualmente di un secondo battaglione allievi
(oltre 400 unità provenienti dagli appuntati e dai
finanzieri), è in fase di realizzazione. Una volta ultimato il
progetto, per il quale sono necessari 170 miliardi, riusciremo
a migliorare il reclutamento del personale e a riorganizzare
le altre scuole, elevando il livello, già valido, dei nostri
uomini.
   Relativamente al traffico di armi ed all'evasione fiscale
da parte delle cosche mafiose, l'intervento della Guardia di
finanza è illustrato nella relazione; per mia carenza, non ne
ho parlato nel corso dell'intervento svolto poc'anzi ed anche
ora per brevità rinvio a quella relazione.
   I risultati raggiunti sono di una certa validità. In
proposito vorrei dire che non siamo affatto convinti di aver
raggiunto risultati di altissimo rilievo al punto tale da
considerare che la criminalità mafiosa sia stata sconfitta.
Anzi, siamo determinati a continuare perché forse siamo solo
all'inizio di un'attività che tutte le forze di polizia devono
perseguire fino al raggiungimento di risultati ancora più
validi.
   Il senatore Boso mi ha chiesto informazioni sulla tutela
che la Guardia di finanza esercita nei confronti della signora
Maria Fida Moro. Si tratta di un compito oneroso che ci è
stato attribuito e che in quanto tale espletiamo: non siamo
noi a decidere. Credo che la decisione sia stata assunta del
comitato provinciale dell'ordine della sicurezza pubblica;
potrà essere più chiaro di me il prefetto Parisi, anche perché
mi risulta che il ministro dell'interno abbia deciso che il
caso deve essere rivisto.
   Le armi e la droga sono argomenti oggetto della relazione,
per cui rinvio a questa per quanto concerne le domande poste
dal senatore Cabras. Quanto alle società di intermediazione
finanziaria, mi riservo di fornire ulteriori elementi. Come
già ho detto nel corso di altre riunioni, le forze di polizia
devono controllare una enorme quantità di soggetti, poiché le
società di intermediazione finanziaria sono nell'ordine delle
23-24 mila, una cifra che arriva a 90 mila se si calcolano
anche le società atipiche.
   La Guardia di finanza ha sperimentato un intervento di
contrasto che poi è stato esteso a tutto il territorio
nazionale alla fine del 1991. Praticamente, ho deciso di far
dividere le società in quattro fasce, la prima delle quali
comprendente le società tradizionali, che non hanno rilievo se
non ai fini di carattere fiscale, mentre le altre tre
comprendono società che, per la presenza di operatori
implicati in fenomeno mafiosi o camorristici, devono essere
controllate con maggiore determinazione; i controlli sono più
pressanti a seconda della fascia. A tale proposito, la
normativa vigente consente ampie facoltà di intervento alla
Guardia di finanza ed alle altre forze di polizia, che sono
tutte molto sensibili al problema. Ciò non
                          Pag.2062
toglie che il dio denaro sia l'elemento motore della
criminalità e quindi ci dia grandi preoccupazioni. Non siamo
affatto convinti di aver raggiunto risultati determinanti.
  PRESIDENTE.  Ringrazio il generale Berlenghi per la
completezza della sua replica.
   Vorrei chiedere al dottor De Gennaro un chiarimento circa
la figura di Ganci.
  GIANNI DE GENNARO,   Direttore della direzione
investigativa antimafia.  L'operazione relativa a Raffaele
Ganci rappresenta uno dei risultati maggiori raggiunti negli
ultimi tempi. Questo soggetto appartiene ad una famiglia
mafiosa che dovrebbe essere capeggiata da Mariano Troia, nella
zona di Capaci. Dalle indagini svolte nell'ultimo anno sia
dalla polizia di Stato sia dall'Arma dei carabinieri, è emerso
che tale personaggio è tra i più vicini a Salvatore Riina,
direttamente impegnato nell'esecuzione delle sue direttive
criminali. Ritengo perciò che le azioni investigative su tale
soggetto siano state di valenza eccezionale.
  LUIGI FEDERICI,   Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri . Risponderò su quattro argomenti di mia stretta
competenza: il primo riguarda la gravitazione dell'Arma dei
carabinieri sul territorio; il secondo la collaborazione dei
servizi; il terzo l'episodio del mancato attentato di via dei
Sabini; il quarto l'impiego ed il reimpiego di ufficiali
preposti all'attività investigativa.
   Quanto al primo argomento, la costituzione di nuovi
presidi riguarda soprattutto le aree periferiche dei grandi
centri urbani. Ne fa fede l'istituzione di 36 nuove stazioni e
di 20 nuovi comandi di compagnia, nonché l'intendimento di
passare almeno il 50 per cento delle stazioni dalla prima alla
seconda fascia. In particolare, per quanto riguarda la
compagnia di Palermo-Brancaccio, la decisione è stata assunta
dopo forti richieste delle autorità amministrative locali,
d'intesa con la polizia di Stato; il provvedimento, rimasto
fermo per indisponibilità di infrastrutture, è in condizione
di diventare operativo entro l'anno.
   In merito all'esistenza di stazioni di carabinieri,
l'ansiosa ricerca è di renderle operative 24 ore su 24. Le
recenti conquiste sociali e l'introduzione del lavoro
straordinario, nonché la riduzione delle ore lavorative a sei
giornaliere hanno di fatto quadruplicato le esigenze. Ecco il
motivo per cui l'operatività delle stazioni è stata
condizionata. Se volessimo trasformarle tutte in stazioni di
terza fascia, avremmo bisogno di un incremento organico di
oltre 10 mila uomini. Stiamo perciò cercando di risparmiare il
possibile, per rinforzare le stazioni. Il primo obiettivo è
quello di eliminare quelle di prima fascia e di limitare la
presenza sul territorio a quelle di seconda e terza fascia.
Oggi, su circa 5 mila stazioni, il 57 per cento è di prima
fascia, il 19 per cento è di seconda e solo il 24 per cento di
terza.
   Per quanto riguarda la collaborazione con il SISMI e il
SISDE, preciso che le più recenti operazioni contro la
criminalità organizzata e contro il traffico di armi e droga
sono state conseguite proprio grazie a tale collaborazione. In
particolare, la cattura di Pulvirenti è stata realizzata
grazie all'impiego oculato di personale e di mezzi, nonché di
apparecchiature sofisticate fornite dal SISMI. Aggiungo che le
ultime requisizioni di armi e di droga sono state ottenute
grazie alla continua ed efficace attività del SISDE. Si tratta
quindi di una cooperazione e di una collaborazione abituale
che sta dando i suoi frutti.
   Per quanto riguarda il mancato attentato di via dei
Sabini, devo dire che il fatto è ancora all'attenzione
dell'autorità giudiziaria, quindi tutelato da segreto
istruttorio. Tuttavia, quando si parla di collaborante, si
intende una fonte, non un pentito; si tratta in pratica di un
individuo che avrebbe assistito ad un colloquio avvenuto in un
locale pubblico vicino Roma. Questa fonte in questo momento è
al vaglio dell'autorità giudiziaria.
                          Pag.2063
  PRESIDENTE.  E' una fonte accidentale?
  LUIGI FEDERICI,   Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri.  Si tratta di una fonte accidentale e questo ci
fa ancora meglio sperare, come ella può ben capire.
   Per quanto riguarda infine l'impiego e il reimpiego degli
ufficiali preposti alle attività investigative, devo dire che
quotidianamente ricevo stimoli dall'autorità giudiziaria
affinché determinati ufficiali dei carabinieri mantengano il
loro incarico di investigatori. Mi riferisco in particolare
alla richiesta poc'anzi avanzata sul reimpiego del maggiore
Tommasoni. Devo però sottolineare che questi ufficiali e
sottufficiali sono non solo investigatori ma anche dei
comandanti e quindi hanno bisogno di completare il loro iter
formativo che è multiforme e che richiede periodi di impiego
in altre attività operative dell'Arma. Proprio per il fatto
che esistono dei vincoli imposti dalla legge circa i periodi
di comando per l'avanzamento, è indubbio che non è sempre
facile conciliare le diverse esigenze. Allora dobbiamo cercare
di contemperare le esigenze della DIA, quelle del ROS e quelle
dell'attività investigativa territoriale per soddisfare le
singole esigenze dell'Arma dei carabinieri territoriale, della
formazione del personale e degli organi come la DIA ed il ROS.
  PRESIDENTE.  Credo che alla Commissione interessi
cogliere un aspetto della sua relazione. Il potenziamento
della presenza dell'Arma sul territorio segue criteri di
differenziazione tra aree metropolitane e non?
  LUIGI FEDERICI,   Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri . Direi di sì. Come ho detto, il fatto che
costituiamo già quest'anno trentasei nuove stazioni in piccoli
centri, testimonia la volontà dell'Arma dei carabinieri di
essere presente soprattutto nella periferia, senza però
rinunciare ad una presenza nei centri urbani, secondo una
filosofia già concordata in passato con la polizia di Stato.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Signor
presidente, desidero ringraziarla per l'eccellente opportunità
che ha voluto offrirci di parlare dei temi del nostro lavoro
ed anche del reticolo delle attività di prevenzione. Sono
convinto che il materiale prodotto e consultato dai componenti
la Commissione potrà far superare ogni incertezza in merito
all'esigenza di tutelare la comunità nazionale da insidie come
quelle recentemente manifestatesi.
   Il problema Cosa nostra si lega ad una vera e propria
internazionalizzazione del crimine. Quello che ha detto prima
l'onorevole Galasso in ordine alle aree del riciclaggio ed ai
potentati economici retrostanti, è un dato di fatto. E' vero
che esiste una milizia che si chiama Cosa nostra, che poi è
un'azienda che produce ricchezza attraverso i vari traffici di
droga, di armi, di valuta, i diversi investimenti che
effettua, ma alla base di tutto ci sono centri di grande
convergenza, poli in cui si concentrano queste ricchezze, che
rappresentano certamente strutture a livello sovranazionale
con poteri sempre più vasti.
   Il centro delle attività di Cosa nostra è Palermo, però
sicuramente vi è una tendenza alla irradiazione periferica del
fenomeno per effetto anche del mutamento delle rotte della
droga. Pertanto, invece di aversi, come una volta, una
concentrazione tutta orientata verso la Sicilia ed alcune aree
meridionali con irradiazione in altre parti d'Italia, ora si
registra un alleggerimento della presenza di criminali mafiosi
in Sicilia ed una loro proiezione verso altre aree
geografiche. Nella mia relazione ho allegato un documento
concernente la penetrazione ad est della mafia. Ecco allora
che si colgono i primi sintomi di una vera e propria
comunicazione tra mafia italiana, mafia russa, mafia turca,
eccetera, e ciò dimostra che la situazione è mutata.
   E' vero che Cosa nostra è forte, però indubbiamente gli
assetti tendono a determinare
                          Pag.2064
anche centri periferici di potere: più si
allontanano e si irradiano in altri paesi, più è immaginabile
individuare un distacco dalla casa madre, con il rischio di
contaminazioni sempre più vaste di altre aree e di
alleggerimento delle aree originali.
   Il nostro ruolo rispetto alla lotta al crimine organizzato
mafioso, ai traffici di droga ed al riciclaggio è non solo
esemplare per tutti ma anche in grado di mettere in difficoltà
i governi; e noi ci accorgiamo, nel confronto con gli altri,
di rappresentare un esempio che è difficile emulare e che
infastidisce e qualche volta mette in difficoltà gli
interlocutori. Con la caduta del muro di Berlino e il venir
meno della monoliticità degli assetti individuabili in due
grandi raggruppamenti di Stati, si è determinata una
frammentazione a livello non soltanto di Stati, che si sono
sfaldati ed allontanati l'uno dall'altro, ma anche di
strutture al loro interno, che si sono frammentate nella
ricerca di nuovi assetti.
   Non era immaginabile che tutto questo si producesse senza
che si trasferisse nel sociale dai settori istituzionali a
quelli antistituzionali. E quindi è evidente che oggi porre
tout cout  il problema se l'attentato stabilizzi o
destabilizzi significa non tener conto che gli attentati hanno
il preciso effetto di bloccare, di intimidire, di portare
messaggi perentori. Infatti, se è vero che un episodio isolato
può determinare una qualche destabilizzazione, è anche vero
che una serie di episodi, che diffondono l'insicurezza di cui
parlava poc'anzi il senatore Cappuzzo, producono l'effetto di
far crescere l'allarme sociale e la sfiducia nelle istituzioni
e nelle loro capacità di tenuta. Il che certamente non produce
effetti stabilizzanti.
   La nostra società è rimasta ancora legata alla tradizione
anche se inserita nel mondo post-industriale e post-moderno e
non coglie i prezzi che purtroppo si pagano. Noi viviamo le
nostre bombe ed i nostri danni, ma bombe e danni vi sono anche
in altri paesi. Ciò non per giustificare le nostre bombe che
certamente sono peggiori di quelle degli altri paesi in quanto
tendono a condizionare uno Stato nel momento in cui vuol fare
pulizia. Qui viene lo stesso tipo di risposta al perché tale
pulizia non sia fatta prima: perché la monoliticità precedente
bloccava. Non è che bloccasse perché vi era un  input
politico al capo della polizia o ai comandanti dell'Arma dei
carabinieri o della Guardia di finanza di non fare qualcosa:
nessuno si permetterebbe mai di dare  input  del genere ed
il senatore Cappuzzo, che è stato comandante dell'Arma, sa
bene che nessuno ha dato  input  del genere. Però di fatto
vi era un assetto sociale così radicato che il controllo del
territorio non era delle forze dell'ordine, quindi dello
Stato, bensì della controparte mafiosa e paramafiosa.
   Devo dire che questa sensazione l'ho avvertita piuttosto
lungamente ed intensamente per un primo periodo. Il controllo
del territorio deve essere innanzitutto informativo. Non è
tanto importante il presidio fisico, quanto quello informativo
e quindi è chiaro che il boss  dominus  da un punto di
vista informativo poteva stare tranquillo perché l'ambiente
non consentiva di passare informazioni. Anche noi eravamo meno
attrezzati di adesso, meno organizzati, meno abili. Gli
arresti di ieri sono avvenuti per effetto di un'azione di
intelligence  nel senso che ci si è arrivati con mezzi
tecnici, senza confidenti, senza pentiti, senza spendita di
pubblico denaro: un'operazione normale. Certamente una volta
questo tipo di operazione non era facilmente proponibile, non
eravamo ancora abituati ed educati a ciò. Diciamo anche che il
Parlamento ci ha dato una mano consentendoci di operare in una
maniera non del tutto convenzionale. Quando queste cose non si
potevano fare, la nostra azione era più gracile o ci
affidavamo all'eventuale intraprendenza dei servizi di
informazione che avevano delle remore a penetrare, per tanti
comprensibili motivi.
   Adesso cosa sta accadendo? Quello che è accaduto durante i
tempi del terrorismo: nella prima fase non collaborava
nessuno; quando hanno cominciato a
                          Pag.2065
collaborare i pochi pentiti erano esposti a rischi
gravissimi; ora collaborano in tanti. Quando nessuno parlava
era difficile poter conseguire dei risultati; da quando hanno
cominciato a parlare i risultati si moltiplicano: il vantaggio
del pentitismo è innegabile.
   Noi abbiamo una serie di elementi per cui via via
riusciremo a ricostruire, soprattutto per la magistratura che
è impegnatissima, molti fatti della storia italiana. Si
ricostruiranno molte vicende, si riuscirà a chiarire tante
cose e spero che tutto sia in positivo per noi. Certamente non
possono escludersi in passato infiltrazioni anche negli
apparati; non voglio assolutamente rivolgere accuse ad alcuno
e rifiuto la provocazione dell'onorevole Boso che voleva
riportarmi a parlare di un caso ampiamente trattato. Non
rimetto in discussione gli elementi che sono al vaglio della
magistratura: ho già chiarito la mia posizione strettamente
istituzionale che confermo e non revoco, ma senza andare
oltre. Certo oggi è particolarmente importante la
collaborazione dei servizi d'informazione, collaborazione di
cui non ci lamentiamo. Dobbiamo però tener conto che la realtà
ed il quadro storico in cui i servizi operavano ed operano,
quello della legge n. 821 del 1977, è mutato, per cui si deve
apprezzare il massimo impegno dei servizi, ma anche tener
conto che tutta la società tende a cambiare e che le stesse
insidie tendono ad evolversi verso scenari più ampi.
   Abbiamo avuto modo di apprezzare atti di qualificata
collaborazione del SISDE e del SISMI, ai quali va rivolto un
doveroso plauso. Devo però dire (possiamo fornire alla
Commissione un quadro delle operazioni ispirate da atti di
collaborazione, il che può dare una migliore intelligenza e
comprensione della portata della collaborazione stessa) che
oggi è a livello internazionale che bisogna sviluppare
un'azione più solida, cercando di capire cosa accade e
valutando le interazioni che attengono ad ambienti particolari
della nostra società. Questo vale anche per Napoli, per ciò
che si diceva. Naturalmente, il problema prospettato dal
senatore Florino è alquanto esasperato, in quanto da un caso
isolato vorrebbe addirittura arrivare ad una ipotesi di
criminalizzazione di interi apparati. Penso che questo non sia
giusto; ho il dovere istituzionale, anche in questo caso, di
rifiutare quel tipo di valutazione.
   La Falange armata costituisce sicuramente un argomento e
un motivo di riflessione. Ho detto qualcosa nel preambolo; a
tale riguardo ho preparato, immaginando che potesse esserci
una richiesta del genere, alcuni documenti. Lo schema è stato
preparato dal personale degli uffici (il dottor Fasano cura
questa materia in maniera diretta).
   Dallo schema riepilogativo delle comunicazioni effettuate
dalla Falange armata, risulta che ci troviamo di fronte ai
seguenti dati: 509 comunicazioni, 20 missive e 498 telefonate
- un dato quindi rilevantissimo - 340 comunicazioni minatorie,
92 rivendicazioni, 36 proclami, 50 di altro tipo, così
ripartite: 251 all'ANSA, 98 alle redazioni dei quotidiani, 28
alle carceri, 30 all'agenzia ADN Kronos, 35 alla polizia di
Stato, 14 ai carabinieri, 4 all'agenzia Reuter, 58 ad altri.
  PRESIDENTE.  Signor prefetto, esiste una sigla effettiva
e seria di identificazione oppure no? Taluni hanno fatto
riferimento ad un codice; vorrei sapere se si tratti di un
codice serio oppure no.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Io penso di
no.
  PRESIDENTE.  Parlo di un codice numerico.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . No.
  PRESIDENTE.  Chiunque allora può telefonare a nome della
Falange armata!
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Penso che
Falange armata sia una sigla
                          Pag.2066
costruita in laboratorio, con intenti di inserimento e di
manovra in ambienti di pubblico interesse.
   Il ministro dell'interno nel corso di una intervista a
la Repubblica  aveva detto che si tratta di una
istituzione fantomatica: una centrale di  intelligence
che pratica orari di ufficio e simula una struttura
burocratica; la sua attività sembra sottrarsi ai normali
canoni logici.
  ALFREDO GALASSO.  Mi scusi, quando è iniziata la sua
attività?
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Da un paio
d'anni.
  PRESIDENTE.  Da più tempo.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Dal 1990,
dall'omicidio Mormile...
  PRESIDENTE.  E' l'assassinio dell'educatore ad Opera.
Praticamente è l'unico rivendicato! Ad Opera viene assassinato
un'educatore penitenziario; la cosa importante è che nella
rivendicazione si dimostra di conoscere conversazioni
riservate avvenute all'interno dell'amministrazione
penitenziaria.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Siamo
all'aprile del 1990. Ci troviamo quindi di fronte a 3 anni di
attività feconda, in cui si registrano 180 accenti privi di
inflessione, 85 in tedesco, 6 in spagnolo, 31 in altra lingua
straniera, 91 con altra inflessione e 104 la cui inflessione
non viene indicata. Abbiamo l'intero elenco delle
comunicazioni, in cui vengono indicate tutte le personalità
minacciate o citate dalla Falange armata. I magistrati
indicati sono: Dino Amato, Borrelli, Bossi, Caponnetto,
Catenacci, Colombo, Cordova, Di Pietro, Guastapane, Macrì,
Mancuso, Mele, Neri, Pomarici, Sapio, Vigna.
   Vi sono poi uomini di Governo e parlamentari; sono
indicati Presidenti della Repubblica, il Presidente del
Consiglio Amato, il Presidente del Senato Spadolini, ministri
dell'interno, della giustizia, della difesa, delle finanze,
senatori e deputati. Per i parlamentari sono indicati:
Agnelli, Gualtieri, Imposimato, Andreotti, Bossi, La Malfa,
Ayala, Occhetto, D'Alema, Violante, Forlani, De Mita, Segni,
Cristofori, Pomicino, Casini, Craxi, De Lise, De Michelis,
Formica, Manzo, Manco, D'Acquisto, Orlando, Scozzari, Vizzini,
Arnone, Pagani, Pecchioli e Veltroni.
   Vi sono poi anche le coincidenze in cui vengono fatte
queste comunicazioni. Sono poi indicati giornalisti,
ambasciatori, prefetti e via dicendo. C'è poi la sequenza
delle telefonate per le singole personalità, dove certamente
un ruolo di spicco lo riveste il prefetto Nicolò Amato,
proprio perché il settore carcerario era particolarmente preso
di mira. Vi è altresì l'elenco di numerosissime altre persone,
con rivendicazioni anche di attentati.
   Penso che la lettura di questo documento possa confermare
il ruolo antistituzionale di questa fantomatica organizzazione
che tende soprattutto a teorizzare la debolezza dello Stato e
la sua incapacità di affrontare le situazioni. Essa dunque si
inserisce in una logica frenante ed intimidatoria, perseguita
peraltro da altri gruppi.
   Spero che con l'ausilio dei servizi di sicurezza si possa
arrivare a comprendere cosa c'è realmente dietro e si possano
quindi identificare questi personaggi.
   Naturalmente esistono poi altri problemi. L'ipotesi dei
pentiti remoti, abbandonati a Paliano sarà verificata. A noi
non risultano problemi pendenti...
  PRESIDENTE.  Possiamo farle arrivare questa nota che è
giunta a noi?
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Certamente,
non vi sono problemi.
   Spesso noi ci troviamo di fronte a sollecitazioni di
pentiti che tuttavia si ripropongono senza che questi fossero
mai stati trascurati. Se ci fosse stata qualche omissione, si
sarebbe intervenuti senz'altro.
   A titolo di collaborazione, posso dire che innanzi tutto
abbiamo dato un effettivo
                          Pag.2067
 carattere interforze a questo servizio, che è imminente la
gestione dell'apposito fondo da parte di una commissione
interforze, composta da rappresentanti delle tre istituzioni
che collegialmente amministreranno il fondo. Quest'ultimo è
diventato piuttosto impegnativo, e francamente né il prefetto
Rossi né io ce la sentiamo di continuare a seguirlo da soli;
ci sarà dunque una gestione collegiale.
   Si avverte altresì la necessità di una regolamentazione di
questa materia per cui è già stata inoltrata al ministro
dell'interno una proposta per costituire una commissione e
dettare delle regole comuni per evitare squilibri. Non vi è
niente di anomalo, perché tutto si sta svolgendo in maniera
pienamente ortodossa: ciò servirà soltanto a dare all'attività
di assistenza ai pentiti un indirizzo paritario, evitando
forme di concorrenzialità ingiustificata.
  PRESIDENTE.  Mi scusi, signor prefetto, vorrei un
chiarimento sul problema di designare un gruppo  ad hoc
che si occupi della sicurezza diverso da quello che svolge
investigazioni.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Stavo proprio
per arrivare a questo punto. Si tratta di un problema che
stiamo esaminando anche con le altre istituzioni e che presto
porteremo all'attenzione del consiglio generale per la lotta
alla criminalità organizzata per valutarne i pro e i contro
tenendo conto di queste istanze.
   Però ciò si ricollega anche al problema delle scorte.
Secondo l'ordinamento amministrativo dello Stato, vi è un
rinvio  tout court  alle organizzazioni periferiche. Non è
pensabile che siano gli organi centrali a farsi carico di
valutazioni che spettano soltanto alle autorità di pubblica
sicurezza e che trovano nel tavolo dei comitati provinciali
dell'ordine pubblico la sede naturale. Naturalmente, tutto
questo ci porta a considerare il problema in un contesto che
non deve alterare o squilibrare il sistema amministrativo.
   Vi è poi il tema relativo al mantenimento di scorte per
soggetti politici inquisiti. La scorta a Gelli, quella all'ex
parlamentare Maria Fida Moro sono problemi che sono stati più
volte presi in esame; in questi giorni li stiamo affrontando
per definirli al fine di avere su queste scelte anche il
parere di ratifica del comitato nazionale dell'ordine e della
sicurezza pubblica.
   Vi è poi il problema della scorta ai politici inquisiti.
Secondo logica, lasciati gli incarichi, perdute le posizioni
di Governo, verrebbe meno l'esigenza di protezione e dovrebbe
essere dismesso tale servizio. Senonché sono state avvertite
preoccupazioni maggiori per questi politici inquisiti rispetto
al tempo in cui inquisiti non erano, registrandosi per essi
una forte esposizione. Una delle preoccupazioni che nella mia
posizione devo nutrire non è quella di accattivarmi le
personalità inquisite e conseguentemente in difficoltà, quanto
quella di evitare che gravi episodi possano ulteriormente
turbare la società, magari perché manovrati al solo fine di
destabilizzare.
   Nella stessa ottica si pone il caso Gelli, che è uno dei
primi casi che lo stesso ministro dell'interno in carica - e
gli fa tanto onore - mi propose come caso da rivedere. Avevo e
continuo a nutrire preoccupazioni, perché un Gelli che venisse
soppresso farebbe pensare ad un Gelli che non lo si vuol far
parlare. La mia speranza è invece che Gelli parli e racconti
tutto quello che sa e che non ha detto. La tutela non gli
viene accordata come  status symbol , cioè per fargli un
favore (esiste anche un precedente: è sufficiente cercare
negli archivi della P2 per vedere come il rapporto sulla P2,
che ne rivelava l'autenticità degli elenchi e metteva in luce
le qualità sinistre degli apparati deviati, recava proprio la
mia firma), ma in funzione di un interesse pubblico alla sua
protezione e anche alla verifica delle sue frequentazioni.
D'altra parte, anche questo è un dato di fatto. Spiace doverlo
pubblicamente dire, ma alla provocazione si risponde con
un'affermazione.
                          Pag.2068
   Attesa la pretesa pericolosità del soggetto è giusto
evitare che venga soppresso, ed è anche giusto che nella
verifica, a sua protezione, delle persone che egli frequenta
si possa anche acquisire qualche dato sulle stesse (credo che
ne siano state registrate circa 2 mila da quando abbiamo
iniziato questo servizio di cosiddetta protezione).
   Infine vi è il problema relativo alla protezione della
figlia dell'onorevole Moro. Si tratta di una persona che si
sente fortemente minacciata, e che si è rivolta a tutti i
corpi di polizia per essere protetta. C'è da considerare il
dramma della famiglia così duramente colpita. Finora è
prevalsa la ragione umanitaria su effettive valutazioni di
rischio. Al prossimo comitato dell'ordine pubblico sarà
portato anche questo problema che verrà affidato ad una
decisione politica. Perché, in definitiva - voglio chiarire
questo aspetto - tali decisioni sono anche politiche.
  PRESIDENTE.  E' giusto, sono politiche.
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Se esiste, in
qualche caso, un preponderante interesse politico, è possibile
prevedere delle deroghe.
  PRESIDENTE.  Certo!
  VINCENZO PARISI,   Capo della polizia . Non esistono
mai ragioni assolute.
   Vi è poi il problema della valutazione, in riferimento
alla quale l'onorevole Matteoli ha chiesto se vi fosse o meno
un'adesione alla scelta dei nuovi vicedirettori dei servizi.
Una valutazione del genere non compete a noi, in quanto è di
natura politica. Si tratta di due persone la cui onorabilità
non è in discussione; sono due persone perbene e ampiamente
rassicuranti dal punto di vista professionale.
   Sono stati altresì posti altri problemi. Il senatore Boso
sopravvaluta le mie funzioni e non si rende conto che io sono
uno scrivano destinato ad esercitare funzioni che attengono
alla sicurezza. Non sono un  leader  politico, meno che
mai un monarca o un capo di Stato assoluto, per cui non ho
alcuna incidenza nella formazione delle leggi (naziskin,
extracomunitari, segretariati generali e via dicendo). Ho
invece titolo per occuparmi marginalmente, per
fiancheggiamento al ministro, delle carriere del personale di
polizia, un argomento che forma oggetto di attenzione, si può
dire quasi giornaliera. Su di esso abbiamo avuto tantissimi
incontri; da ultimo mi sono recato anche a trovare il generale
Federici a viale Romania per cercare di portare avanti tale
discorso. Venerdì o sabato della scorsa settimana ho parlato
con il ministro Cassese; stiamo lavorando per la sua
soluzione.
  PRESIDENTE.  Vi siamo davvero grati per il quadro che ci
avete offerto e vi auguriamo buon lavoro.
La seduta termina alle 13,30.

 


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