CAPITOLO LIX DI QUELLO CHE AVVENNE A DON CHISCIOTTE ANDANDO A BARCELLONA. La mattina era fresca e dava indizio che tale sarebbe anche il giorno in cui don Chisciotte partì dall'osteria, informandosi prima quale fosse il più diritto cammino per condursi a Barcellona senza toccar Saragozza: sì grande era la sua brama di far restare mentitore quel novello istorico, il quale dicevasi che tanto lo vituperava. Ora è da sapere che per più di sei giorni non incontrò ventura degna di essere ricordata; dopo i quali, andando fuori di strada, lo sorprese la notte tra folte quercie e sughereti: ma già nel determinare queste cose non osserva come nelle altre Cide Hamete l'usata puntualità. Smontarono padrone e servitore, e sdraiati sui tronchi degli alberi, Sancio, che aveva bene merendato in quel giorno, si abbandonò subito al sonno. Don Chisciotte cui tenevano desto più assai le sue fantasie che la fame, non poteva chiudere gli occhi, ed andava invece e tornava col pensiero per infiniti e diversi luoghi. Ora sembravagli di essere nella grotta di Montèsino; ora di veder saltare e montare sopra la sua asina la trasformata Dulcinea; ora che gli stessero cantando agli orecchi le parole del savio Merlino, che dichiarava le condizioni ed i patti da eseguirsi per lo disincanto di lei. Disperavasi in considerare la lentezza e poca carità di Sancio suo scudiere, mentre, per quanto sapeva, egli erasi date sole cinque frustate, numero disuguale e minimo a fronte delle infinite che rimanevano. Derivò da tutto questo sì eccessiva tristezza e tant'ira, che tenne tra sé questo ragionamento: Se il nodo gordiano fu tagliato dal grande Alessandro col dire: Tanto è tagliare come sciogliere; ed egli non lasciò per questo di essere dominatore dell'Asia intera; né più, né meno potrebbe avvenire adesso riguardo al disincanto di Dulcinea, se io dessi le frustate a Sancio, io medesimo a suo dispetto. Se la condizione del rimedio consiste nel doversi ricevere da Sancio, le tremila e tante frustate, che importa che se le dia da per sé o che le riceva da un altro, quando la sostanza del fatto è ch'egli le riceva, vengano di dove si voglia?»
Avanzava il giorno, e se i morti avevano dato occasione di spavento, vennero i vivi ad accrescerlo; perché don Chisciotte e Sancio si trovarono contornati da quaranta banditi che all'improvviso li assalirono, e dissero in catalano che non si movessero un passo solo sino a tanto che non arrivasse il loro capo. Trovavasi allora don Chisciotte col cavallo senza briglia e colla lancia appoggiata ad un albero, in somma senza alcuna difesa ond'è che giudicò savio partito d'incrocicchiare le mani e di abbassare la testa, riserbandosi a tempi e congiunture migliori. I banditi andarono subito a svegliare il leardo, spogliandolo di tutto ciò che portava nelle bisacce e nel valigiotto; e fu buona ventura di Sancio che tenea a cintola gli scudi del duca, ed anche quelli che aveva recati dal suo paese. Non l'avrebbe con tutto questo passata netta, e sarebbe stato frugato tra pelle e carne, se per migliore sua fortuna non fosse sopraggiunto il capo dei banditi, uomo di oltre trent'anni, robusto, di guardatura grave e di color bruno. Avanzavasi sopra poderoso cavallo, con fino giacco indosso e con ai lati quattro pistoletti, che in quel paese si chiamano pedregnali. Vide che gli scudieri (che così sogliono chiamare i loro compagni) si affacendavano a spogliare Sancio Pancia, e tosto comandò che desistessero. Fu ubbidito, e il valigiotto restò illeso. Gittò poi gli occhi ad un albero vicino, e vi osservò con meraviglia appoggiata una lancia e vide uno scudo in terra; indi guatò don Chisciotte tutto pensieroso, e ch'era la più mesta e malinconiosa figura che potesse mai formare la stessa malinconia. Gli si accostò e disse: Non istate di tanta malavoglia, galantuomo, che non siete già caduto nelle mani di qualche crudele Osiride, ma in quelle di Rocco Ghinart, il quale seconda più gl'impulsi della compassione che quei del rigore. Non procede la tristezza mia, disse don Chisciotte, dall'essere caduto in tuo potere, valoroso Rocco, la cui celebrità non conosce limiti, ma n'è cagione l'essermi per soverchia trascuratezza lasciato cogliere da' tuoi soldati senza lancia, quando io era obbligato, conformemente alle leggi della cavalleria errante che professo, a vivere continuamente in attenta veglia per essere a tutte le ore la sentinella di me medesimo: perché voglio che tu sappia, o gran Rocco, che se trovato mi avessero sul mio cavallo con la lancia e con lo scudo imbracciato, non ti sarebbe riuscito sì agevole di fare che mi arrendessi; e basti il dirti ch'io sono don Chisciotte della Mancia, quegli che tutto l'orbe ha riempiuto di sue segnalate prodezze.» Rocco Ghinart conobbe subito che l'infermità di don Chisciotte sapeva più di pazzia che di altro. Quantunque avesse udito più volte mentovare il suo nome, contuttociò non mai tenne per vere le sue bravure, né si persuase mai che in corpo d'uomo allignasse cotal umore; di maniera che si compiacque all'estremo di essersi avvenuto in lui per conoscere da vicino ciò che di lontano erasi divulgato. Gli disse dunque: Valoroso cavaliere, non vi sdegnate, né ascrivete a nemica sorte la presente condizione vostra, perché potrebbe darsi che la vostra tôrta fortuna in questi inciampi si raddrizzasse, mentre il Cielo per i strani e non più visti rigiri, non dagli uomini immaginati, suole sollevare i caduti e arricchire i miseri.» Di già accingevasi don Chisciotte a rendergli grazie, quando intesero alle spalle rumore come di molti cavalli; ma era un solo, sul quale veniva a briglia sciolta un giovine di bell'aspetto d'intorno ai vent'anni, vestito di damasco verde, con passamani d'oro, con calzoni e saltambarco, con cappello rimboccato alla vallona, con un paio di stivali incerati e con i sproni, pugnale e spada indorata. Io veniva, egli disse, in traccia di te, valoroso Rocco, per trovare nel tuo aiuto, se non rimedio, almeno conforto alla mia sventura; e per non tenerti dubbioso, scorgendo che non mi hai conosciuta, ti dirò ch'io sono Claudia Geronima, figlia di Simone Forte, tuo singolare amico, e nemico particolare di Clauehel Torreglia, altro nemico tuo, e della fazione a te contraria: ti è già noto che questo Torreglia ha un figliuolo, il cui nome è don Vincenzo Torreglia, o almanco così si chiamava due ore fa: ora ti dirò alle corte la mia disgrazia, e tu ascoltami. Egli mi vide, mi parlò di amore, io lo ascoltai, mi accesi di lui senza saputa de' miei genitori, ché già non vi è donna sì ritirata e circospetta cui manchino occasioni di mettere in esecuzione i suoi precipitosi voleri. Vincenzo promise di essere mio sposo, io di esser sua, né si passò innanzi. Seppi ieri che scordatosi di quella fede che mi aveva giurata, si ammogliava con altra donzella, e che la nuova sposa doveva questa mattina ricevere l'anello. Tutti i miei sensi si sono sconvolti, la sofferenza mi abbandonò, ed essendo mio padre lontano da casa, vestii questo mentito abito, diedi degli sproni a questo cavallo, raggiunsi don Vincenzo mezza lega di qua lontano, e senza perdermi in fare lamenti o in udire discolpe, gli sparai contro questo archibuso e queste due pistole ancora, sicché mi avviso di avergli piantato in corpo più di due palle aprendogli così più di una porta per dove potesse uscire il mio onore rinvolto nel suo sangue. L'ho lasciato in balia de' suoi servi, che non ardirono fare le sue difese, ed ora vengo a te perché mi faccia scortare in Francia; dove ho parenti che avranno cura di me, e perché tu difenda ad un tempo stesso mio padre per sottrarlo alle crudeli vendette degli amici di don Vincenzo.» Restò Rocco meravigliato della gagliardia, del coraggio, del successo della bella Claudia, e le disse: Seguimi tosto, e andiamo a riconoscere se il tuo nimico sia morto, e di poi faremo ciò che sarà necessario. Don Chisciotte, che aveva attentamente ascoltate le parole di Claudia e la risposta di Rocco Ghinart, disse: Non occorre che alcuno si prenda pensiero di accingersi alla difesa di questa signora, mentre tolgo io questa protezione a mio carico: dienmi il mio cavallo e le mie armi, e qua mi aspettino, ché andrò io stesso in traccia di questo cavaliere, e o morto o vivo farò che adempia la parole che diede a tanta bellezza. Nessuno ne dubiti, disse Sancio, perché il mio padrone ci ha buona mano in materia di far parentadi, e non sono molti giorni che egli obbligò un altro a maritarsi che non voleva mantenere la parola data ad una ragazza: e se non fosse stato che i perfidi incantatori, i quali lo perseguitano, gli cambiarono la vera figura in quella di uno staffiere, adesso non si discorrerebbe più della integrità della giovane.» Rocco, che attendeva più all'avvenimento della bella Claudia che alle dicerie del padrone e del servo, senza dare loro retta prescrisse ai suoi scudieri di restituire a Sancio tutto quello che tolto gli avevano dal leardo, e comandò loro egualmente che dovessero ritirarsi nel luogo dove avevano alloggiato la notte precedente, e senz'altro dire partì frettolosamente con Claudia a cercare del ferito o morto don Vincenzo. Giunsero al sito da essa indicato, ma non vi trovarono che sangue sparso di fresco sopra il terreno. Distendendo la vista per ogni banda, scoprirono in lontananza alcune persone, e sospettarono, com'era in fatto, ch'ivi avesse essere don Vincenzo o vivo o morto, trasportato dai servi per medicarlo o per dargli sepoltura. Si affrettarono a raggiungerli: il che loro riuscì ben facile, perché gli altri procedevano con lentezza. Stava l'infelice tra le braccia de' suoi domestici, i quali egli pregava con istanca e fiacca voce a lasciarlo ivi morire, che non poteva passar oltre per lo spasimo delle ferite. Si slanciarono da cavallo Claudia e Rocco, e si appressarono a lui. I domestici spaventaronsi della presenza di Rocco, e Claudia turbossi tutta in vedere quella di don Vincenzo. Intenerita e sdegnosa ad un tempo, gli si avvicinò, gli prese le mani e gli disse: Se tu mi avessi date queste mani conformemente ai nostri patti, non saresti adesso a sì terribile frangente.» Il ferito cavaliere aprì gli occhi socchiusi, riconobbe Claudia, e rispose: Conosco bene, donna ingannata, che tu sei quella che mi ha ucciso, dando pena indegna e non dovuta a quella fede a cui non ho mancato, non avendoti giammai recato offesa. Come? non è dunque vero, disse Claudia, che tu andavi in questo giorno a farti sposo alla ricca Eleonora, figlia di Balbastro? No certo, rispose don Vincenzo, ma l'avversa mia sorte ti portò queste false nuove, perché nell'eccesso di tua gelosia tu avessi a privarmi della vita, della vita che tengo ancora per venturosa, se termina nelle tue mani e fra le tue braccia. E credimi, o Claudia, e in pegno di mia fede porgimi le tue mani e accettami se vuoi per tuo sposo, che non ho ora altri mezzi per dimostrarti la mia costanza.» Gli strinse Claudia la mano e se le serrò allora il cuore in maniera che svenuta cadde sul petto esangue di Vincenzo; il quale fu sul punto stesso assalito da mortale parossismo. Stava Rocco confuso e non sapeva a che partito appigliarsi. I domestici spruzzavano d'acqua il volto di Claudia; essa si riebbe dal perdimento dei sensi, ma non fu così di Vincenzo, che passò dal parossismo alla morte. Vedendo Claudia ch'era troncato il filo della vita del suo amato sposo, ruppe l'aria coi suoi gemiti, ferì i cieli colle sue stride, si strappò e sparse al vento i capelli, si graffiò il viso e lasciò libero campo al dolore e alla disperazione. Ah! me crudele e sconsiderata, diceva, con quanta facilità mi lasciai trasportare a sì reo divisamento! ah, arrabbiata forza di gelosia, a che sciagurato fine strascini chi ti dà ricetto in suo cuore! ah sposo mio, quando stavi per essere la mia gioia, fatalmente passasti dal talamo al sepolcro!» Tali e tanto dolenti erano le querele di Claudia che strapparono lagrime dagli occhi di Rocco, non accostumato a mandarne fuori in alcuna occasione. Piagnevano i domestici, Claudia ad ogni tratto ricadeva, e tutta quella campagna era divenuta l'asilo della tristezza e l'albergo della sventura. Finalmente Rocco ordinò ai servi di Vincenzo che portassero l'estinto al paese del suo genitore, ch'era poco discosto, e che ivi gli dessero sepoltura. Disse Claudia a Rocco che volata sarebbe a rinserrarsi in un monastero dov'era badessa una sua zia, e dove aveva bisogno di terminare gl'infelici suoi giorni, procurando di rendersi non indegna di uno sposo migliore ed eterno. Lodò Rocco questo proposito, si offerse di accompagnarla dove volesse e di difenderla dal genitore di Vincenzo, dai parenti e da chiunque fosse per recarle offesa; ma Claudia non lo volle a suo compagno, e ringraziandolo il meno che potè, in mezzo ad un mare di pianto si licenziò e partì. I servi di Vincenzo trasportarono via il cadavere, Rocco ritornò ai suoi fidi, e così ebbe fine l'innamoramento di Claudia Geromina: né molto è da stupirne, essendo state le rigorose e invincibili forze della gelosia quelle che condussero la trama di questa compassionevole istoria.
Sopraggiunsero in questo alcuni di quegli scudieri ch'erano collocati come sentinelle ai vari posti delle strade a spiare la gente che per esse passava, e dare avviso al loro capo di quanto occorrere potesse; ed uno di costoro disse: Signore, non lungi di qua e per la strada che va a Barcellona, si avanza una gran truppa.» Cui Rocco rispose: Hai tu visto bene se sia di gente che ci venga a cercare, o di quella che cerchiamo noi? È di quella che noi cerchiamo, ripigliò lo scudiere. Ebbene, uscite tutti, replicò Rocco, e menatemi qua subito costoro e senzaché pur uno vi scappi.»
Rise Rocco del consiglio di don Chisciotte, cui (cambiando discorso) die' conto del tragico avvenimento di Claudia Geronima, di che ne ebbe gran dolore Sancio, al quale erano andate a sangue la bellezza, il brio e la disinvoltura della giovane. Tornarono due cavalieri a cavallo, due pellegrini a piedi e un cocchio con varie donne, le quali erano seguite da sei servitori, parte a piedi e parte a cavallo, con altri due vetturini che menavano i cavalieri. Tutti stavano attorniati dagli scudieri, conservando e vincitori e vinti gran silenzio, e in attenzione di ciò che il gran Rocco Ghinart fosse per dire. Dimandò egli ai cavalieri chi fossero, ov'erano diretti, e che denari seco recassero. Rispose uno di loro: Signore, noi siamo due capitani d'infanteria spagnuola, abbiamo in Napoli le nostre compagnie, e ci rechiamo ad imbarcarci su quattro galee, che dicono starsene in Barcellona pronte alla vela con ordine di passare in Sicilia; siamo possessori di dugento o trecento scudi, coi quali andiamo, secondoché ci pare, ricchi e contenti, perché le ristrettezze inseparabili d'ordinario dai soldati non permettono loro di possedere tesori.» Fece Rocco ai pellegrini la dimanda medesima, ed essi risposero che andavano ad imbarcarsi per passare a Roma, e fra tutti e due contar potevano fino a sessanta reali. Volle anche sapere chi fosse nel cocchio e dove venisse e del denaro che si recava; ed uno tra quelli ch'erano a cavallo disse: La mia signora donna Ghioncar di Chignones, consorte del reggente della vicaria di Napoli, con una figliuoletta, una donzella ed una matrona son quelle che trovansi nel cocchio: e noi siamo sei servitori che le accompagniamo, e seicento scudi sono il totale dei nostri danari. Dimodoché, soggiunse Rocco, noi abbiamo a nostra disposizione novecento scudi e sessanta reali: sessanta sono i soldati miei, facciasi il conto di ciò che ne tocca per testa, giacché io per me sono cattivo aritmetico.» Ciò udendosi dagli assassini, alzarono la voce, dicendo: Viva mille anni Rocco Ghinart a dispetto dei malvagi che tentano la sua perdizione.» Se ne mostrano invece afflitti i capitani, si rattristò la signora reggente, e non meno rimasero mortificati i pellegrini, vedendosi confiscato ogni loro piccolo avere. Li tenne Rocco per buona pezza a tal modo sospesi: ma non gli piacque che passasse innanzi tanta tristezza dipinta su tutti quei visi, e voltosi ai capitani, disse: Le signorie vostre, signori capitani si compiacciano di prestarmi sessanta scudi per atto di cortesia; ed ottanta la signora reggente, ad oggetto di rendere soddisfatta questa squadra che mi accompagna: perché l'abate mangia di quello che canta; e poi potranno proseguire liberamente il loro viaggio senza imbarazzo di sorta, mercé il salvacondotto che io loro darò, per cui incontrando taluna delle squadre che io tengo sparse per questi contorni, non ne abbiano danno; ché non è mia intenzione di far torto ai soldati, né a donna alcuna, soprattutto a quelle di condizione distinta.» Infiniti e vivamente espressi furono i concetti dai capitani impiegati a fine di rendere grazie a Rocco per la sua cortesia e liberalità: che tale chiamarono l'aver loro lasciati i danari. La signora donna Ghioncar di Chignones voleva gittarsi dal cocchio per baciare le mani e i piedi al gran Rocco; ma non vi acconsentì egli a verun patto, ed anzi le chiese perdono del dispiacere che le aveva fatto, scusandosi con dire che a ciò lo sforzava il suo sciagurato mestiere. Ordinò la signora reggente ad un suo servidore che gli desse incontanente gli ottanta scudi di sua parte; e già avevano i capitani sborsati i sessanta. Andavano i pellegrini a rassegnare tutto il loro miserabile avere, ma Rocco disse loro che se ne stessero fermi, e voltosi ad un compagno, soggiunse: Di questi scudi ne toccano due a ciascuno, e ne avanzano venti: dieci si diano a questi pellegrini, e dieci a questo buon scudiere, affinché possa dir bene di quest'avventura.» Cavato poi di saccoccia quanto occorreva per iscrivere, Rocco diede loro in pergamena un salvocondotto per i capi delle sue squadre. Licenziatosi da tutta questa gente la lasciò andare libera e attonita della nobiltà del suo operare, della sua bella disposizione e della sua strana liberalità, riputandolo più un Alessandro Magno che un ladrone. Disse uno degli scudieri in sua lingua guascona o catalana: Questo nostro capitano sarebbe meglio frate che bandito: ma se da ora in avanti vuol fare l'uomo liberale, lo faccia col suo, e non già col nostro.»
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