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Parenti: seduta 16
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Pagina 455
       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                          INDICE
                                                        Pag.
Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di
Firenze, dottor Alessandro Margara:
  Parenti Tiziana, Presidente &&P  457, 462, 463
                                               465, 466, 470
  Bertoni Raffaele .....................  466, 467, 468, 469
  Caselli Flavio ....................................... 468
  Margara Alessandro, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze .....................  457, 462, 463
                                465, 466, 467, 468, 469, 470
  Peruzzotti Luigi ..................................... 464
  Scozzari Giuseppe .................................... 468
  Simeone Alberto ...........................  468, 469, 470
  Tripodi Girolamo ..................................... 462
Pagina 456
Pagina 457
   La seduta comincia alle 18,15.
     (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di
Firenze, dottor Alessandro Margara.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, dottor
Alessandro Margara, il capostipite degli esperti nei problemi
del settore carcerario in merito all'applicazione
dell'articolo 41-bis. Chiedo perciò al nostro ospite di
illustrarci l'esperienza del tribunale di sorveglianza da lui
presieduto con riferimento alla normativa in questione ed alle
problematiche ad essa attinenti.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Se mi è consentito, signor
presidente, vorrei leggere le due schede che ho predisposto e
che intendo consegnare alla Commissione, ferma restando la mia
disponibilità per qualsiasi chiarimento. Complessivamente si
tratta di cinque pagine che riguardano rispettivamente
un'analisi critica dell'articolo 41-bis, comma 2, e
considerazioni sulla concreta applicazione di tale articolo
nei vari periodi della stessa, successivamente all'emanazione
del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306.
   E' pacifica l'esigenza che gli appartenenti alla
criminalità organizzata siano sottoposti ad un regime
detentivo di particolare sorveglianza, che impedisca agli
stessi la possibilità di organizzare aggregazioni interne e
collegamenti esterni.
   Si deve però ricordare la giurisprudenza costituzionale
sulla norma in questione, rappresentata dalle due sentenze
della Corte costituzionale n. 349 e n. 410 del 1993, che hanno
escluso la incostituzionalità della norma, ma con importanti
chiarimenti sul suo significato e la sua portata.
   Sintetizzo la mia valutazione dell'articolo 41-bis,
comma 2, affermando che tale norma rappresenta un mezzo
inadeguato per raggiungere lo scopo indicato in premessa, cioè
un regime di particolare sorveglianza e sicurezza nei
confronti degli appartenenti alla criminalità organizzata in
carcere; quello scopo può essere più efficacemente perseguito
in altro modo.
   Ritengo che l'adozione della norma eccezionale in
questione nel decreto-legge n. 306 del 1992, convertito nella
legge 7 agosto 1992, n. 356, avesse le seguenti ragioni.
Occorreva uno strumento normativo, che aveva il suo precedente
nell'abrogato articolo 90 della legge sull'ordinamento
penitenziario, che avesse queste caratteristiche: consentire
ad un organo politico o amministrativo di definire una
disciplina detentiva speciale per gli appartenenti alla
criminalità organizzata; consentire allo stesso organo
l'individuazione di tali soggetti in modo agevole e rapido;
escludere ogni forma di controllo giurisdizionale su tali
decisioni e scelte. La linea difensiva dell'Avvocatura dello
Stato nelle procedure costituzionali sorte in merito a tale
forma conferma questa valutazione, affermando che non c'è
possibilità di controllo giurisdizionale.
   La seconda ragione è che il sistema normativo della
massima sicurezza o sorveglianza particolare, previsto dagli
articoli 14-bis e seguenti della legge
Pagina 458
sull'ordinamento penitenziario, non aveva affatto queste
caratteristiche e, tra l'altro, prevedeva anche uno specifico
controllo giurisdizionale. Si tratta comunque di una norma
scarsamente efficace, tanto che raramente si fa ricorso alla
stessa.
   L'ultima ragione è che la risposta concreta
dell'organizzazione penitenziaria nei confronti dei soggetti
in parola era debole: gli stessi, quantomeno in certe realtà,
fruivano di spazi di manovra sicuramente pericolosi.
   Ebbene, le due sentenze costituzionali citate chiariscono
che l'articolo 41-bis, comma 2, non può affatto
funzionare così come era stato pensato. Cercherò di
individuare i punti essenziali della giurisprudenza
costituzionale in questione.
   Innanzitutto l'articolo 41-bis, che la sentenza n.
349 del 1993 definisce "certamente di non felice
formulazione", deve essere interpretato "in modo aderente al
dettato costituzionale", e quindi attribuisce al ministro di
grazia e giustizia la sospensione delle sole regole ed
istituti che si riferiscono al regime di detenzione in senso
stretto e non può toccare alcuno dei diritti che pure
sopravvivono in capo al soggetto detenuto (un esempio è il
controllo sulla corrispondenza). Inoltre, il provvedimento del
ministro doveva fornire adeguata motivazione delle ragioni
delle restrizioni apportate al regime ordinario. Inoltre, "i
provvedimenti ministeriali debbono comunque recare una
puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono
rivolti" e ciò deve avvenire "in modo da consentire (...)
all'interessato un'effettiva tutela giurisdizionale" che la
sentenza n. 410 del 1993 ha individuato nell'articolo
14-ter, quello appunto previsto per la sorveglianza
particolare decisa dal tribunale di sorveglianza.
   Mi sembra chiaro che la norma sopravvive in modo assai
diverso da come era stata pensata: invece di un mezzo agile e
inappellabile, si ha uno strumento di gestione complessa e
sottoposto a specifico controllo giurisdizionale.
   Se l'esigenza dell'articolo 41-bis è stata avvertita
come conseguenza dell'inefficacia del sistema normativo di
massima sicurezza o sorveglianza particolare, di cui agli
articoli 14-bis e seguenti, mi parrebbe assai più
logico, anziché pensare ad una normativa eccezionale e di "non
felice formulazione", che ha bisogno di tante precisazioni e
limitazioni per essere mantenuta, ripensare una normativa
ordinaria della massima sicurezza, più agile ed efficace di
quella attualmente prevista.
   Ricordo soltanto che nell'iniziale disegno di legge
presentato da Gozzini ed altri nel 1983, da cui si arrivò alla
cosiddetta legge Gozzini del 1986, il sistema normativo di
massima sicurezza era stato pensato in modo assai diverso,
incentrato in sostanza non su un controllo immediato sui
provvedimenti di assegnazione alla massima sicurezza, ma su un
controllo successivo circa la permanenza nella stessa.
Potrebbero porsi problemi sulla costituzionalità di un tale
sistema, anche in ragione della giurisprudenza costituzionale
ora maturata, problemi però verosimilmente non insolubili. Si
tratterebbe di ragionarci sopra.
   Si noti che il seguire la strada della revisione della
normativa ordinaria in materia di massima sicurezza
presenterebbe il vantaggio, rispetto alla normativa
eccezionale in questione, di poter prevedere con legge le
disposizioni specifiche alla massima sicurezza: la violazione
della riserva di legge in certe materie, se regolate con il
provvedimento ministeriale, sarebbe superata, mentre oggi non
lo è. Infine, si potrebbe avere un sistema di massima
sicurezza trasparente e controllabile, come è inevitabile che
sia secondo la giurisprudenza costituzionale, anziché il
sistema clandestino e incontrollabile che si è sempre
avuto.
   La terza ragione dell'introduzione dell'articolo
41-bis, secondo quanto ho detto all'inizio, era la
debolezza della risposta organizzativa penitenziaria nei
confronti dei soggetti che ci interessano. Non credo che sia
una via molto efficace quella di dare maggiore forza alla
legge, quando la sua applicazione è debole. La risposta
organizzativa penitenziaria può non essere debole: in effetti
quella iniziale, subito dopo il decreto-legge 8 giugno 1992,
Pagina 459
n. 306, è stata a mio avviso anche troppo forte; vi furono
sicuramente eccessi nel primo periodo a Pianosa, non so se
altrove. Non credo, comunque, che sia impossibile una risposta
forte, legale e giusta, che affronti però con realismo gli
aspetti pratici delle situazioni, anziché seguire la via di
fuga delle risposte simboliche, la scelta ad esempio di
istituti-simbolo.
   In questa visione realistica delle cose - è con la realtà
che si devono fare i conti - potrei ricordare due punti: nulla
vieta di prevedere, nell'ambito di un nuovo regime normativo
della massima sicurezza, un regime specifico e differenziato
interno alla stessa, per particolari situazioni e per
determinati soggetti. Si deve essere consapevoli che qualunque
sistema ha comunque il suo punto debole nei continui
spostamenti dei soggetti, sia per ragioni di giustizia sia per
altre ragioni (particolarmente d'ordine sanitario): sui costi
di vario genere di questi spostamenti e sui rischi relativi
alla sicurezza che presentano, bisogna ammettere che incidono
fortemente le localizzazioni degli istituti.
   La seconda parte dell'appunto concerne considerazioni
sulla concreta applicazione dell'articolo 41-bis, comma
2. Distinguo tre periodi di applicazione: il primo interessa
il primo anno, dalla metà del 1992 alla metà del 1993; il
secondo interessa il secondo anno, dalla metà del 1993 alla
metà del 1994; il terzo infine è il periodo attuale.
   La distinzione fra i vari periodi è utile, anche se
costringe a qualche schematizzazione. Il primo periodo ha
caratteristiche peculiari, che ritengo di poter individuare
nel modo seguente.
   Parlo dall'angolo visuale di chi ha gestito e gestisce
l'ordinamento penitenziario: i decreti-legge del 1992 e del
1993 hanno comportato una forte contrazione della nostra
possibilità di agire. Anche l'articolo 41-bis, come
altre norme di decretazione d'urgenza degli anni 1991 e 1992,
è stato utilizzato per fare terra bruciata intorno non alla
criminalità organizzata, ma alla riforma penitenziaria nei
confronti dei condannati a pene medie e alte, anche di chi era
ormai detenuto da molti anni e che aveva da tempo iniziato
corretti percorsi penitenziari. Si trattò indubbiamente di
un'applicazione non propria di una norma - anche l'articolo
41-bis venne applicato in questa fase di richiamo alla
severità nell'ambito degli istituti di pena - che però si
prestava, per la sua "non felice formulazione", come ha detto
la Corte costituzionale, a possibili deviazioni. L'articolo
41-bis, comma 2, fu così applicato a molti di quei
detenuti che rientravano nella larga previsione di tale
articolo e per i quali si realizzava una riduzione secca degli
spazi penitenziari. Molti di questi soggetti piombavano
all'improvviso da una disciplina che già prevedeva proiezioni
esterne ad un'altra di massima sicurezza. E in generale non
era emerso alcun collegamento fra queste persone e la
criminalità organizzata.
   L'individuazione dei soggetti era fatta in base a schede
distribuite alle singole direzioni di istituto che, operando
sulle stesse, davano indicazioni sommarie, che
l'amministrazione penitenziaria centrale valutava per decidere
sulla applicazione dell'articolo 41-bis, comma 2.
   Tale norma venne applicata con un provvedimento a
motivazione unica, nella quale era identica anche la parte
riferita ai singoli casi, che si riduceva a rilevare che, in
base alle notizie acquisite e riferite anche dai singoli
organi periferici dell'amministrazione penitenziaria, si
doveva concludere che ciascuno dei soggetti interessati
evidenziava una pericolosità concreta e tale da potersi
ipotizzare un collegamento attuale con organizzazioni
criminali e la capacità di impartire direttive alle stesse o
quanto meno di mantenere legami pregiudizievoli per l'ordine
pubblico e la sicurezza degli istituti penitenziari.
   Posso rinviare ad alcuni di tali provvedimenti (che
allego), dalle cui motivazioni emergono le situazioni sopra
indicate.
    E' utile introdurre il secondo periodo di applicazione
dell'articolo 41-bis con la citazione di una relazione
fatta dal dottor Calabria, magistrato addetto all'ufficio del
DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria). Si legge
nella sua relazione: "Dall'entrata in vigore della legge e
fino
Pagina 460
ad oggi (28 aprile 1994), il numero massimo dei detenuti
contemporaneamente sottoposti a tale regime ha raggiunto, tra
la fine del 1992 e il primo semestre del 1993, le 1.232 unità.
Con la collaborazione delle autorità giudiziarie inquirenti e
delle forze di polizia, e tenuto conto della giurisprudenza
della Corte costituzionale, nonché di numerosi tribunali di
sorveglianza, tale numero si è ridotto a sole 460 unità".
Credo che il numero sia rimasto stazionario da un po' di
tempo.
   Di qui le osservazioni che seguono. Si dice, da fonte non
sospetta (il DAP), quello che non è emerso nelle comunicazioni
che da varie fonti sono venute alla stampa. C'è stato un primo
periodo di applicazione non propria della norma. Se da 1.232
unità si è scesi a 460, effettivamente l'applicazione iniziale
non è stata propria. Si è arrivati ad un più adeguato sistema
di applicazione, tenendo conto di vari elementi fra i quali
anche la giurisprudenza costituzionale e quella dei tribunale
di sorveglianza, che hanno svolto la funzione di controllo
giurisdizionale che dovevano svolgere, portando
l'amministrazione su un terreno più proprio di applicazione
normativa.
   Non sono state decisioni stravaganti anche se mi rendo
conto che si possa immaginare che ciò sia avvenuto; sono state
decisioni che dovevamo prendere in una materia che ci era
attribuita.
   I provvedimenti ministeriali di questo secondo periodo
sono stati caratterizzati da motivazioni specifiche per i
singoli soggetti, anche se costruiti per relationem a
schede informative dei vari organi centrali di polizia. Nel
provvedimento, in cui si parla di tante cose, c'è la menzione
di una serie di note di polizia e il relativo rinvio, con
schede distinte, in cui si parla di ciascun soggetto. Questo è
stato indubbiamente un passo avanti. I provvedimenti avevano
una motivazione in senso proprio, anziché esserne del tutto
privi, come nella prima fase. Va comunque rilevato che le note
informative in questione erano abbastanza povere, sovente
riferivano dati che erano superati da successivi sviluppi
giudiziari e comunque non raccoglievano notizie che potevano
essere reperite agevolmente se si fossero seguite le vicende
giudiziarie in corso o già concluse. Si trattava, in sostanza,
di informative di carattere burocratico, non certo indice
della esistenza di un sistema informativo aggiornato e
completo sulla criminalità organizzata. Si è dovuto ricorrere
così ad altri elementi, desumibili dalla documentazione
raccolta aliunde (in particolare da quella esistente nei
fascicoli penitenziari, ai quali erano anche allegati i
provvedimenti di custodia cautelare), con ciò in sostanza
forzando i confini della nostra funzione, che avrebbe dovuto
limitarsi alla valutazione della adeguatezza della motivazione
dei provvedimenti reclamati e che invece si allargava alla
integrazione di motivazioni povere e insufficienti.
   Siamo alla fase attuale. Si possono fare due osservazioni.
In tale fase cominciano ad apparire, accanto a provvedimenti
motivati con lo stesso sistema di quelli della seconda fase,
per relationem alle note di polizia, anche alcuni
provvedimenti con una vera e propria motivazione specifica e
dettagliata sul singolo interessato. Ciò non può essere visto
che con favore da chi esercita una funzione di controllo, in
quanto non fa che agevolare la funzione stessa e finalmente fa
sì che noi la esercitiamo come dobbiamo. A seguito del ricorso
della procura generale di Firenze la Corte di cassazione, nel
luglio scorso, ha deciso che non dobbiamo integrare,
ricercando altri elementi, il provvedimento che noi
controlliamo. Dobbiamo verificare se quel provvedimento è
motivato adeguatamente e per questo non dobbiamo svolgere
ricerche altrove.
   Emerge poi un grave problema. Nei casi in cui il reclamo è
stato respinto e dal tribunale di sorveglianza è stata
confermata l'applicazione dell'articolo 41-bis, comma 2,
escluse alcune limitazioni contenute nel provvedimento
ministeriale, si assiste alla proroga dell'applicazione della
norma con tutte le limitazioni precedenti, comprese quelle
dichiarate inefficaci. Ciò frustra in effetti il controllo del
tribunale di sorveglianza. Sul punto tornerò
successivamente.
Pagina 461
   Dal complesso dell'attività svolta in questo campo si
possono ricavare alcuni problemi emergenti. Si è detto che è
necessaria una motivazione specifica e individualizzata in
questi provvedimenti: ma su che cosa? Che cosa legittima
l'applicazione dell'articolo 41-bis, comma 2?
   Anche questo è un problema che abbiamo dovuto risolvere
per conto nostro. Dalle esigenze di ordine e sicurezza
pubblica indicate dalla norma si è ritenuto che la stessa
dovesse essenzialmente riferirsi ai capi e ai quadri intermedi
delle organizzazioni criminali, che avevano quella capacità di
mantenere le aggregazioni interne ed i collegamenti esterni
per neutralizzare la quale la norma è stata scritta. E' un
problema che si è aperto nelle decisioni del tribunale di
sorveglianza cui appartengo e che ha portato ad escludere la
conferma dell'applicazione a chi si riteneva avesse solo un
ruolo puramente esecutivo.
   L'amministrazione penitenziaria ha avvertito la difficoltà
di eseguire i provvedimenti dei tribunali di sorveglianza che,
pur rigettando il reclamo in ordine all'applicazione della
norma, dichiaravano l'inefficacia di alcune limitazioni
previste dal decreto ministeriale (in sostanza, vari punti
venivano ritoccati in quanto dichiarati inefficaci così come
contenuti nel decreto ministeriale).
   Da ciò emergono vari punti problematici. Il primo punto è
se questa materia possa essere affrontata dai tribunali di
sorveglianza. Ho citato le norme secondo le quali questo
accertamento può essere effettuato dai tribunali di
sorveglianza. Su questo la procura generale di Firenze ha
fatto impugnazione davanti alla Corte di cassazione, la quale
non ha ancora deciso.
   Ciò comporta inevitabilmente diversità di pronunce,
diversità di trattamenti (c'è chi presenta reclamo, chi non lo
presenta, i tribunali che decidono sono diversi e decidono
diversamente). In pratica si assiste a situazioni nelle quali
in uno stesso istituto un soggetto si vede escluse alcune
limitazioni a differenza di altri. Si tratta di un problema
che deve essere affrontato e che dimostra come la norma
funzioni con fatica.
   Infine, si sta assistendo alla reiterazione dei
provvedimenti con rinnovazione delle stesse limitazioni già
previste. Il provvedimento del tribunale di sorveglianza,
provvedimento giurisdizionale, che deve essere eseguito, che
fine fa? Ciò non realizza l'inadempimento dell'atto dovuto di
esecuzione del provvedimento giurisdizionale?
   La fatica con la quale si sta arrivando a motivazioni
specifiche e individualizzate dei provvedimenti applicativi
della norma in questione fa ritenere che manchi tuttora una
raccolta sistematica di tutte le possibili notizie, comprese
quelle ricavabili dal carcere (riferimenti esterni ed interni,
versamenti di denaro fatti o ricevuti, colloqui avuti), che
confermino o meno l'attualità dei collegamenti dei singoli
soggetti con la criminalità organizzata e il ruolo svolto
dagli stessi all'interno di questa. Se tale banca dati esiste,
non ne è stato consentito l'accesso. Se non esiste, è
impossibile istituirla? Si tenga conto che l'esigenza della
conoscenza effettiva di permanenti collegamenti criminali dei
detenuti consentirebbe di lavorare in modo più adeguato in una
serie di materie più vasta di quella contenuta nel solo
articolo 41-bis, comma 2. Basti pensare alla casistica
di tutto l'articolo 4-bis, nelle varie proposizioni del
comma 1, che prevede accertamenti informativi assolutamente
burocratici e insufficienti, mentre noi avremmo bisogno di
saperne di più. Con l'articolo 4-bis, anche se è stato
presentato con l'esigenza di fornire più informazioni alla
magistratura di sorveglianza, si è avuta una riduzione delle
conoscenze. Infatti, dalle stazioni dell'Arma dei carabinieri
prima avevamo risposte concrete e significative, mentre ora le
questure rispondono con le schede del CED, dalle quali
ricaviamo poco, così come ricaviamo poco dal comitato
provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, il quale
fornisce risposte generiche, come è inevitabile che avvenga
dal momento che non si tratta di un organo informativo.
Pagina 462
   All'inizio si è detto che il decreto-legge 8 giugno 1992,
n. 306, fece terra bruciata non solo intorno alla criminalità
organizzata, ma in genere intorno alla legge sull'ordinamento
penitenziario nella zona delle pene medio-alte. Nel mentre non
può che essere confermata qui l'esigenza di ribadire ed anzi
rendere più efficace la lotta contro le aggregazioni criminali
oggi operanti, non si dovrebbe aggiustare il tiro nei
confronti degli altri, consentendo, pur se con speciali
cautele, di tornare a parlare di applicazione della legge
penitenziaria per coloro che non hanno mai appartenuto o che
incontestabilmente non appartengono più alle aggregazioni
criminali?
   Anche a questo riguardo una sede informativa effettiva ed
aggiornata sulle aggregazioni criminali potrebbe consentire di
verificare che molti dei soggetti per cui è oggi precluso
l'accesso ad ogni beneficio non hanno legami criminali attuali
e significativi. Su questo punto unisco l'estratto di una
relazione, svolta dal Consiglio superiore della magistratura
nel corso di un seminario, in cui si ribadisce un ripensamento
della strategia nei confronti della criminalità organizzata e
della risposta differenziata nei confronti della restante
parte dei detenuti con cui si può svolgere un discorso diverso
da quello che invece si deve svolgere con la criminalità
organizzata.
  GIROLAMO TRIPODI. Il dottor Margara nella sua relazione
ha detto che il numero massimo dei detenuti contemporaneamente
sottoposti al regime dell'articolo 41-bis, tra la fine
del 1992 e il primo semestre del 1993, era di 1.232 unità,
successivamente stabilizzatosi intorno alle 460 unità. Perché
è avvenuto tutto ciò? Lei ha avanzato molte riserve e
perplessità sulle norme applicative dell'articolo
41-bis, nonostante abbia detto che lo ritiene un utile
strumento nella lotta contro la criminalità organizzata.
Vorremmo sapere il suo pensiero in ordine ad una proroga
dell'articolo 41-bis e ad alcune eventuali sue
modifiche.
   Poiché il numero dei soggetti ai quali si applicano le
misure in questione si è ridotto ad un terzo di quelli
inizialmente previsti, devono essere intervenuti provvedimenti
di revoca (a meno che, ma non credo, le misure stesse non si
siano esaurite per scadenza dei termini). Vorrei un
chiarimento in proposito: se il soggetto è pericoloso e
continua ad essere tale, chi suggerisce, chi propone la
revoca? Il ministro, il comitato provinciale per l'ordine e la
sicurezza pubblica, la questura? Vorrei un chiarimento perché
si tratta di un aspetto assai importante. Abbiamo chiesto la
sua cortese collaborazione proprio perché riteniamo che su
questi temi vi sia molto da dire, anche perché negli ultimi
anni l'articolo 41-bis per molti aspetti è stato
svuotato.
  PRESIDENTE. In verità si tratta solo di due anni e
mezzo.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Il passaggio da 1.200 a 460 casi è
descritto dal magistrato che opera presso il dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria ed è stato l'oggetto della
revisione dei provvedimenti che credo venne operata dal
ministro Conso. A quell'epoca i provvedimenti dei tribunali di
sorveglianza erano stati pochissimi: adottammo i primi nel
mese di marzo per dichiarare l'inefficacia di alcune
applicazioni nei confronti di tre persone che non avevano
nulla a che vedere con la criminalità organizzata (essendo
state piuttosto "sconquassate" dal percorso seguito in carcere
e avendo anche problemi di ordine psichico). Questi soggetti
erano stati individuati (era questo il modo attraverso il
quale inizialmente si operava) attraverso schede inviate dalle
singole direzioni, che prevedevano alcuni spazi che
riguardavano un giudizio di pericolosità molto generico.
Ricordo che a Porto Azzurro vennero recluse in una sezione
speciale - in ottemperanza all'articolo 41-bis-
ventitré persone che non avevano connotati differenziali
effettivi rispetto alle altre trecento che erano
nell'istituto, essendo state individuate con questo sistema
decisamente rozzo e con provvedimenti non motivati. Verso il
maggio-giugno
Pagina 463
del 1993 le misure sono state riviste e siamo arrivati
al numero di 460, concentrato sui soggetti che si ritiene
abbiano effettivi collegamenti con la criminalità organizzata
o ne facciano effettivamente parte. Si è trattato, quindi, di
un passaggio inevitabile per una gestione corretta della
norma.
   Lei, senatore Tripodi, mi ha chiesto se la norma sia
utile; le rispondo che è necessaria una normativa riguardante
la massima sicurezza per gli appartenenti alla criminalità
organizzata, ma l'articolo 41-bis non è la migliore; ve
ne potrebbe essere una migliore, a mio avviso, prevedendo una
normativa che ricostruisca ragionevolmente un sistema di
massima sicurezza. E' questo che occorre, lo abbiamo sempre
detto. Il primo progetto Gozzini (che nasceva da un precedente
progetto dei magistrati di sorveglianza fatto in un seminario
organizzato dal CSM e del quale bisognerebbe oggi verificare
la costituzionalità) prevedeva l'assegnazione agli istituti di
massima sicurezza con provvedimento dell'amministrazione
penitenziaria, che esplicitamente nella normativa non era
soggetto a controllo. Inoltre, si stabiliva che la permanenza
dopo un certo periodo (e si può discutere quanto si vuole
circa la durata del periodo) dovesse essere sottoposta a
controllo, nel senso che dopo un certo periodo di tempo
l'interessato aveva il diritto di portare la sua situazione
dinnanzi al tribunale di sorveglianza, il quale poteva
valutare se quell'assegnazione fosse o meno corretta.
   Un sistema ordinario di massima sicurezza consente di
specificare i motivi per i quali si applicano determinate
norme. Attualmente è tutto molto generico. Cosa statuisce
l'articolo 41-bis? Per quale motivo si può oppure non si
può applicare ai mafiosi di infimo rango? La norma non dà
risposte concrete in questo senso. Invece un sistema di
massima sicurezza, ridisegnato, ripensato ragionevolmente,
potrebbe rispondere in maniera più efficace, oltre a fornire
uno strumento di applicazione corretto. Non possiamo
continuare ad applicare norme per le quali viene lasciato a
noi il compito non di dare, bensì di inventare risposte, come
in qualche modo siamo stati costretti a fare.
  PRESIDENTE. Quale sarebbe allora la sua proposta?
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. La mia proposta è quella di
riscrivere gli articoli 14-bis e seguenti, relativi alla
sorveglianza particolare, che non funzionano. Quegli articoli
- per dirla con parole ormai "consumate" - sono garantisti, e
lo sono anche troppo, anche perché prevedono che il
provvedimento di applicazione sia complesso, richiedendo il
concorso di molti operatori (coinvolge anche gli esperti
dell'osservazione e trattamento). Ciò comporta che il
provvedimento non sia semplice, dal momento che è predisposto
in sede un po' periferica, cioè dalle singole direzioni:
questo è un altro limite notevole perché su questi soggetti la
scelta dovrebbe essere operata da parte degli organi centrali
dell'amministrazione. Ora la decisione è dell'amministrazione
centrale, tuttavia vi è tutta una preparazione precedente.
L'imponente controllo giurisdizionale, di legittimità e di
merito, non ha mai funzionato perché di solito i provvedimenti
assunti dall'amministrazione non erano ineccepibili, i
tribunali di sorveglianza ne annullavano parecchi e in
pratica, lentamente, l'articolo 14-bis non è stato più
applicato: ogni tanto per combinazione - rarae aves-
viene applicato un po' come capita, nel senso che non si sa
bene per quale motivo sia stato applicato. Occorre quindi
riscriverlo per delineare un sistema di massima sicurezza che
funzioni.
   Occorre tener presente che il sistema di massima sicurezza
esiste dal 1977 e che si è combattuto per renderlo
trasparente, cioè per capire chi dovesse esservi destinato. La
legge Gozzini del 1986 ha previsto norme che funzionano male;
perciò il sistema continua ad essere quello di prima, cioè
quello riservato all'amministrazione, che faceva ciò che
riteneva fosse meglio, anche se non le ingiustizie. E' grave,
tuttavia, destinare qualcuno in regime di
Pagina 464
massima sicurezza se poi non vi è alcun controllo sulla sua
permanenza; negli anni ottanta si è accertato che talune
persone erano state recluse dal 1977 nelle strutture di
massima sicurezza e non si sapeva perché dal momento che non
avevano assolutamente il requisito della significativa
pericolosità.
   Bisognerebbe - ripeto - riscrivere la norma, partendo da
questi dati, stabilendo cioè i casi nei quali applicare il
regime di massima sicurezza. L'articolo 41-bis ci dà un
suggerimento, ma nelle previsioni di cui all'articolo
14-bis (cioè i casi per i quali si doveva essere
sottoposti a sorveglianza particolare), il particolare rilievo
da dare al reato di criminalità organizzata non era previsto e
va invece introdotto. E' necessario recuperare l'articolo
41-bis, ma per farlo funzionare effettivamente.
   Bisogna inoltre stabilire per legge quali debbano essere
le materie - ed in questo modo non vi sarebbe l'attacco alle
singole limitazioni che introduce il ministro, come accade già
ora, per la verità, ma si possono rivedere anche quelle norme
- ,previste se non erro nell'articolo 14-quater, per le
quali si può derogare. Modifichiamo allora quella parte,
stabilendo più rigorosamente quali debbano essere queste
materie. I colloqui sono importanti, come lo è la
corrispondenza: parliamo di queste materie, stabiliamo per
legge un quadro di riferimento in modo che l'amministrazione
non sia costretta ad inventare risposte. Stabiliamo infine per
legge anche il reclamo, cioè il modo del controllo, già
previsto dall'articolo 14-ter. Dovremmo modificare anche
quella norma, tornando al primo progetto Gozzini che prevedeva
il controllo non sull'avvio (che potrebbe essere libero da
parte dell'amministrazione), ma sulla permanenza, vale a dire
dopo un periodo ragionevolmente breve di permanenza, in modo
che l'amministrazione sia libera di mandare un soggetto, senza
intralci attinenti al controllo, ad una struttura di massima
sicurezza. Dopo che questo sia avvenuto - ripeto, senza
intralci - il controllo può realizzarsi attraverso un ricorso
dell'interessato al tribunale di sorveglianza, investito del
controllo sulla ragionevolezza o meno dell'assegnazione alla
struttura di massima sicurezza.
   Si può, in sostanza, riscrivere una ragionevole disciplina
della massima sicurezza che serva a tutti, che faccia uscire -
ripeto - la massima sicurezza dalla clandestinità (la
definiamo così) in cui è stata in tutti questi anni e che
serva più efficacemente dell'articolo 41-bis, il quale
ormai, con tutti questi controlli, è un'arma spuntata. Non so
se ci si rende conto che si può rinnovare quanto si vuole, ma
si tratta di una disciplina che non funziona. Certo,
determinate persone restano dove sono: anche dopo un'eventuale
modifica, i personaggi con cui abbiamo avuto a che fare a
Pianosa difficilmente si potranno rimandare nel circuito
ordinario: queste persone restano lì.
   L'altro problema sarà quello di disciplinare (o meno), ma
comunque pensare ragionevolmente alle strutture di massima
sicurezza: gli istituti di questo tipo (Pianosa, Asinara, ma
ce ne sono anche sulla terra ferma) hanno costi notevoli.
Certo, hanno una valenza simbolica - lo dico un po'
polemicamente - ma non è con i simboli che si danno risposte a
gente che ragiona poco simbolicamente e molto concretamente.
In conclusione, penso si possa riscrivere una normativa sulla
massima sicurezza, che sia operativa, efficace, e molto più
valida di una norma eccezionale. Mi riferisco cioè ad una
norma generale, molto più valida di una norma eccezionale, che
risponda e risponderà per sempre (anche se tutte le norme sono
soggette a modifica) al problema della massima sicurezza.
  LUIGI PERUZZOTTI. Vorrei avanzare una proposta un po'
provocatoria, che però non esula dai compiti della nostra
Commissione. Perché non ci facciamo carico, presidente, di
riscrivere la normativa, così come ci è stato suggerito e
spiegato dal presidente del tribunale di sorveglianza di
Firenze? Questo non esula dai compiti della nostra
Commissione, anzi sarebbe forse la prima volta che proponiamo
agli altri colleghi parlamentari di fare qualcosa di veramente
serio e concreto per
Pagina 465
risolvere questo problema. Sarebbe anche un segnale preciso
nei confronti di chi dovrebbe affrontare i problemi di
giustizia in modo più radicale e concreto.
  PRESIDENTE. Certo. Il dottor Margara ha detto che le
strutture di massima sicurezza sono costose e non
sufficienti.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Questo è un altro tasto delicato.
Noi insistiamo, come sapete, sulle limitazioni che attengono
ai momenti di contatto delle persone con gli strumenti di
comunicazione (il telefono, la lettera, il colloquio), però le
vie d'uscita e di collegamento sono infinite e lo sono tanto
più se consideriamo che la permanenza in quella determinata
sede è precaria, interrotta. Questa gente subisce processi da
tutte le parti e generalmente a lunga distanza, con traduzioni
complesse che spesso vengono effettuate con mezzi eccezionali.
La loro permanenza sulle isole comporta un sacrificio notevole
ed un'organizzazione complessa: a Pianosa ci sono un presidio
dei carabinieri ed uno della polizia, nonché personale
penitenziario che riguarda la sola diramazione Agrippa, oltre
a quello che concerne tutto il resto dell'istituto, che ha
dimensione completamente diversa, dal momento che, prima che
intervenisse questo tipo di organizzazione completamente
diversa, era un carcere libero, in cui la gente andava a
lavorare dalla mattina alla sera.
   Non so quanto sia utile, dicevo, concentrare tutto in
alcuni istituti, specialmente per quanto riguarda quelli
situati nelle isole. Sarebbe forse preferibile un
decentramento in molte piccole strutture, in cui il numero dei
detenuti speciali fosse ridotto e gli spostamenti limitati.
Capisco che ciò comporterebbe la necessità di chiedersi se
tali piccole strutture possano essere realizzate in Sicilia,
in Calabria ed in Campania. Si potrebbe però trattare di
sezioni di istituti. A Livorno, per esempio, c'è una sezione
di massima sicurezza che non rientra tra quelle riservate ai
detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo
41-bis, ma che è da sempre una struttura di massima
sicurezza, in cui sono stati reclusi i "pezzi da novanta" del
passato, che sono tuttora personaggi di grande spessore, siano
o meno sottoposti al regime dell'articolo 41-bis
(alcuni, infatti, sottostanno a tale regime, perché anche a
Sollicciano c'è stato qualcuno di questi detenuti).
   Certamente, sorgeranno dei problemi, ma bisogna valutare
realisticamente - insisto - in che modo sia possibile
affrontare e contenere i rischi determinati dai continui
spostamenti di questi soggetti. Certo, se si intendono evitare
gli spostamenti, come si dice da parte di qualcuno, e
risolvere così il problema... si è parlato, in proposito,
anche di processo a distanza: potrebbe essere una forma di
risposta al problema esistente. Però finché questi personaggi
devono spostarsi, i collegamenti creano problemi, anche perché
determinano contatti con molte persone e, negli istituti di
passaggio, non vi è l'attenzione cui sono invece sottoposti
nelle sezioni di massima sicurezza. Insomma, si moltiplicano i
punti deboli in cui la comunicazione può riprendere fiato.
Anche nei processi, per esempio, questi soggetti si trovano
accanto ai loro correi.
   E' necessario, insomma, riflettere su tutti questi
problemi e cercare una soluzione. Sotto questo profilo, una
rete distribuita sul territorio sarebbe forse più efficace
delle grosse concentrazioni in alcuni carceri.
  PRESIDENTE. Ce ne sono pochi di istituti penitenziari
che hanno queste strutture?
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Sono cinque, se non sbaglio:
l'Asinara, Pianosa, Ancona, Cuneo...
  PRESIDENTE. Mi scusi, volevo sapere se vi siano altri
istituti penitenziari in cui esistono sezioni di massima
sicurezza.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Attualmente vi sono istituti che
hanno accolto soggetti sottoposti al regime dell'articolo
Pagina 466
41-bis ed hanno organizzato per loro una forma di
separazione, ma non si tratta di vere e proprie sezioni ad
hoc. L'istituto di Sollicciano, ad esempio, ha ospitato
spesso casi un po' complessi. Per esempio, Totuccio Contorno è
stato ospitato in tale carcere, in una sezione che, per la
verità, era stata creata per un solo soggetto, ossia il
terrorista nero Delle Chiaie. Sono, insomma, situazioni sulle
quali si deve riflettere.
  PRESIDENTE. Quindi, quella sezione era prevista per una
sola persona?
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Sì, perché si poneva il problema
dell'isolamento assoluto e Contorno era sorvegliato 24 ore su
24. La sezione, comunque, veniva utilizzata per una sola
persona, ma avrebbe potuto ospitarne anche dieci o dodici.
  PRESIDENTE. Quindi, gli altri istituti penitenziari non
offrono alcuna garanzia durante gli spostamenti e nei periodi
di permanenza per i processi.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Vi è la massima sorveglianza, le
direzioni ed il personale sono allertati, ma quelli con cui
abbiamo a che fare sono personaggi capaci e spesso i percorsi
che seguono sono noti, per cui non credo sia impossibile per
loro creare dei punti di contatto. Inoltre, ci sono i
processi, che rappresentano una sede in cui il rapporto è
inevitabile.
  PRESIDENTE. Quando, in queste sezioni speciali o
comunque particolarmente sorvegliate, viene disposto
l'isolamento, come viene inteso? Ho saputo, infatti, di casi
abbastanza singolari di isolamento in otto. E' possibile una
cosa del genere?
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Per quanto riguarda Pianosa, posso
dire che...
  PRESIDENTE. Non mi riferisco tanto a Pianosa, quanto ai
carceri in cui i detenuti si soffermano durante i processi.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. E' possibile che questo accada,
anche se indubbiamente è un'anomalia: anche in questo caso
però, bisogna fare i conti con le anomalie necessarie, perché
se un carcere è pieno e lo è anche la sezione di isolamento,
non si può fare molto. Magari si provvede a mettere insieme un
detenuto per mafia con qualche extracomunitario, che si
suppone non abbia rapporti...
  PRESIDENTE. No, nel caso cui ho fatto riferimento si
trattava di otto soggetti tutti capimafia.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Beh, questo è un po'
improbabile.
  PRESIDENTE. E' successo, mi hanno riferito che è
accaduto.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. E' possibile, fa parte di quegli
incerti che, purtroppo, accadono nei trasferimenti, ma
ovviamente si tratta di una cosa mal fatta.
  PRESIDENTE. Penso che nella riscrittura della normativa,
sarebbe forse più adeguato, in prospettiva, rendere questa
norma generale.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Ho sentito parlare dell'ipotesi di
convertire in norma permanente l'articolo 41-bis, ma non
so se il progetto sia effettivamente in questi termini, oppure
se si tratti di una proroga.
  PRESIDENTE. Per adesso, si parla della proroga.
  RAFFAELE BERTONI. Presso la Commissione giustizia è
stata approvata la proroga per cinque anni, fino al 1999.
Pagina 467
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Quindi, si tratta di una proroga
della norma eccezionale.
  RAFFAELE BERTONI. Non è una norma eccezionale: la mafia
è eccezionale.
   ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Si, l'ho definita eccezionale in
quanto norma a termine e nata con un provvedimento
d'urgenza.
   Per quanto riguarda la mafia, non vi è dubbio che sia
eccezionale, però si tratta di un'eccezionalità non dico
"ordinaria", ma certamente di lunga durata: probabilmente,
quindi, una normativa ordinaria risponderebbe più
efficacemente ad una situazione di questo tipo.
  RAFFAELE BERTONI. Esiste, però, lo stesso ostacolo cui
lei faceva riferimento, proprio perché la Corte costituzionale
ha ritenuto necessario un controllo giurisdizionale sul
provvedimento amministrativo. Non è possibile prevedere un
intervento dell'autorità giudiziaria solo per controllare la
permanenza della pericolosità; è necessario prevederlo, come
adesso è dettato dalle sentenze della Corte costituzionale che
lei ha ricordato, sul provvedimento emanato dal Ministero.
D'altra parte, il Ministero dispone di tutte le regole scritte
nella sentenza della Corte costituzionale per motivare questi
provvedimenti, con le limitazioni che la Corte consente e con
l'esclusione di quelle che non ammette, cosicché si trova in
condizione di sindacare e controllare questi provvedimenti,
confermandoli, nella maggior parte dei casi.
   Per quanto riguarda gli istituti di pena come Pianosa e
l'Asinara, mi permetto di rilevare che, se sono così sgraditi
ai nostri nemici, evidentemente devono essere graditi a noi.
Se, insomma, i mafiosi protestano tanto contro l'Asinara e
Pianosa, evidentemente noi non possiamo mettere in discussione
questi istituti, anche perché, come lo stesso dottor Margara
ha ricordato, negli altri istituti è ben difficile assicurare
le restrizioni volute dalla legge e consentite dalla
Costituzione. Con la detenzione in tali istituti, quindi, i
provvedimenti finiscono per rimanere lettera morta. Io sono un
garantista, ma non nei confronti della mafia.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Le sue obiezioni sono molto serie,
senatore Bertoni, ma quello del controllo è solo uno dei
problemi, poiché gli altri sono rappresentati dalla previsione
delle ragioni per cui... Sotto questo profilo, è utile avere
un indirizzo per chi emette i provvedimenti applicativi della
normativa di massima sicurezza, nonché un'indicazione
normativa sulle materie su cui si può intervenire, che può
rendere più forte la posizione dell'amministrazione, perché in
alcune situazioni potrebbe essere autorizzata a fare ciò che,
da sola, non le sarebbe possibile.
   Per quanto riguarda il controllo, l'obiezione è molto
seria, non c'è dubbio: il controllo deve avvenire
sull'assegnazione. Personalmente ho qualche dubbio, perché
anche quella sulla permanenza è una forma di controllo.
Potremmo costruirlo come vogliamo, con una specie di
provvedimento urgente, valido per un certo periodo - che
potrebbe non essere breve - e che consenta all'amministrazione
di avere mano libera, il che a mio avviso è utile in alcune
situazioni, perché il controllo su tutto può risultare
pesante. Se al termine del periodo di urgenza si realizza un
controllo, può essere salvato il principio del controllo sulla
situazione. Si tratta di costruire un'articolazione di questo
genere.
   Quello degli istituti come Pianosa e l'Asinara è un punto
delicato; è vero che i detenuti non li gradiscono...
  RAFFAELE BERTONI. Non dobbiamo cedere, su questo punto.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Non li gradiscono anche per
l'esistenza di alcuni aspetti che non sempre ci fanno onore,
come rappresentanti dello Stato.
Pagina 468
  RAFFAELE BERTONI. Ho visto recentemente l'istituto di
Pianosa: è un bel carcere, se ci fosse a Napoli un bel carcere
come quello...
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Beh, ad esempio rende estremamente
difficile il rapporto legittimo con i familiari e con i
difensori.
  GIUSEPPE SCOZZARI. I soggetti che vi vengono destinati
non stanno facendo il servizio militare!
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Intendo dire che i colloqui sono
concessi, ma non se ne può usufruire perché vi sono difficoltà
di collegamento.
  FLAVIO CASELLI. Sono stato a Pianosa due o tre mesi fa
durante una missione della Commissione giustizia della Camera
e posso dire che, a mio avviso, si tratta di strutture
altamente meritorie, per vari motivi. Innanzitutto sono bei
carceri, che hanno un ottimo clima - non dimentichiamolo - pur
essendo ovviamente caratterizzati da forti precauzioni.
   La qualità del personale è ottima, come ho constatato di
persona. Rimane il problema del colloquio con i familiari:
tuttavia, avendo ascoltato alcuni detenuti, abbiamo
riscontrato non tanto un problema di collegamento, o di
difficoltà finanziarie delle famiglie per raggiungere il
posto, ma un rifiuto da parte loro di un determinato tipo di
colloquio.
   Lei, dottor Margara, conosce meglio di me la mentalità di
questi particolari criminali: effettivamente, sono loro stessi
che rifiutano certe condizioni e per questo si lamentano delle
difficoltà nei rapporti con le famiglie. Tuttavia, come si
osservava, è vero anche che non stanno facendo il servizio
militare: alcune possibilità vengono loro assicurate, anche se
i controlli sono rigidi. Personalmente, però, ritengo che un
carcere di questo genere soddisfi pienamente quelle che sono
le esigenze: d'altro canto, si tratta di pochi istituti, che a
mio avviso sono idonei allo scopo. Questa è la mia
opinione.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Vi sono, però, molti prezzi, cioè
quelli cui ho accennato, che riguardano il personale,
l'aspetto organizzativo...
  FLAVIO CASELLI. Ma quali prezzi paga la società per
questi signori?
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Comunque, il problema della
localizzazione va affrontato ma è organizzativo e successivo a
quello normativo: ho l'impressione che se si affrontasse
quest'ultimo nei termini cui accennavo, con una revisione
della disciplina normativa sulla massima sicurezza, si darebbe
una risposta più efficace e che si sottrarrebbe anche alle
discussioni. Potrebbe essere, cioè, una risposta con la stessa
efficacia ma che si sottrae al conflitto fra persone di ottima
volontà da una parte e dall'altra, che tuttavia non sono
d'accordo su questo punto e mostrano, a mio avviso, una crepa
nell'atteggiamento verso la mafia che una risposta normativa
complessiva ed ordinaria potrebbe superare. Alla discussione
fra 41-bis sì, 41-bis no, la risposta è una
normativa che sostituisca il 41-bis ed abbia
un'efficacia maggiore e più incontrovertibile, perché meno
discutibile.
  ALBERTO SIMEONE. Mi riaggancio immediatamente, caro
presidente... Mi posso arrogare il diritto di aggettivarla con
il caro, perché ho avuto occasione più di una volta di
svolgere discussioni davanti al tribunale che ella presiede,
davvero con grossa umanità e capacità: la mia non è
un'adulazione, ma una constatazione, perché l'ho potuto
verificare in più di un'occasione. Voglio dunque collegarmi
immediatamente alla sua ultima affermazione circa una
rivisitazione dell'articolo 41-bis per renderlo molto
più efficace di quanto sia oggi: in che senso, quindi, va
rivisitato secondo il suo punto di vista?
Pagina 469
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. E' una domanda, o sta già dando
una risposta?
  ALBERTO SIMEONE. Io non do una risposta: premetto che
non sono contrario all'articolo 41-bis, perché ritengo
che esso abbia mostrato di poter produrre qualche risultato,
quanto meno deterrente. Cosa pensa lei di un'ulteriore
estensione dell'articolo 41-bis anche a detenuti per
reati non così gravi come quelli previsti dall'articolo
416-bis?
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Quando accenno all'esigenza di
riscrivere la disciplina sulla massima sicurezza,
un'implicazione è anche quella cui lei fa riferimento. In
pratica, una normativa che ricorda all'incirca più l'articolo
41-bis che l'attuale articolo 14-bis può essere
estesa ad altri soggetti che non sono quelli per i quali
l'articolo 41-bis è stato scritto. Il problema esiste ed
è quello che da sempre caratterizza la questione della massima
sicurezza, che in realtà non è mai scomparsa ed è sempre
esistita. Il circuito è sostanzialmente rimasto: una volta
conclusa la vigenza dell'articolo 90 (dal 1983 non è stato più
applicato), il quale faceva sì che vi fossero carceri definiti
differenziati, si è passati ai cosiddetti carceri ex
differenziati, che stavano negli stessi luoghi di prima, anche
se era cambiato il regime.
  RAFFAELE BERTONI. Era clandestino; dopo il 41-bis
no.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Tuttavia, con un regime ordinario
generale si portano all'evidenza ed al controllo effettivo,
anche giurisdizionale, le situazioni che da sempre sono
rimaste, invece, clandestine e che vi sono ancora. Quella di
Livorno, per esempio, è una sezione di massima sicurezza, alla
quale si viene mandati con un provvedimento del DAP e dalla
quale si esce non con un normale trasferimento ma con un
provvedimento dello stesso DAP, che decide che una certa
persona non deve più stare in quella sezione. E' vero, quindi:
ad un certo momento, abbiamo un regime più esteso.
Personalmente ipotizzo che si possano avere anche, nell'ambito
della massima sicurezza, delle differenziazioni di regime:
questo è sicuramente possibile; vi possono essere istituti più
o meno rigidi, a seconda che ve ne sia più o meno bisogno in
relazione alle persone interessate.
   Tuttavia, ad un certo momento, si arriva alla
chiarificazione della massima sicurezza, che diventa un fatto
chiaro e controllato. La Corte costituzionale, d'altronde, ha
stabilito che si debba trattare di un fatto chiaro e
controllato con riferimento all'articolo 41-bis, e
dovremmo ispirarci al medesimo principio in generale, e non
soltanto per quanto riguarda questo specifico articolo.
  ALBERTO SIMEONE. Presidente Margara, le chiedo ancora:
non crede che una differenziazione penitenziaria dei detenuti
(a parte quelli a cui è applicato l'articolo 41-bis),
ossia una netta separazione fra i detenuti in base ai reati
commessi, possa portare ad un miglioramento da un punto di
vista sociale, sotto l'aspetto del crimine? Anche alla luce
degli ultimi avvenimenti e della commistione fra detenuti
normali e politici, lei non pensa che una differenziazione
carceraria, tenendo in un certo settore determinati detenuti
che abbiano compiuto certi reati ed in altri settori detenuti
che abbiano compiuto diversi reati, possa migliorare anche il
sistema carcerario? Teniamo presente che - almeno per la mia
esperienza, che è ormai notevole - la commistione produce
altri reati e strane alleanze, anche fra la delinquenza comune
e politica. La sua esperienza come presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze le fa intravedere possibili soluzioni
al problema di un'indifferenziata detenzione?
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. E' noto che vi siano i problemi
cui accenna l'onorevole Simeone, fra l'altro per gli
avvenimenti emersi recentemente anche se
Pagina 470
riferiti ad una data precedente. Le carceri di massima
sicurezza degli anni settanta-ottanta erano effettivamente
luoghi di aggregazione "diplomatica" di spezzoni criminali di
vario genere e matrice; ora, per la verità, mi sembra che
l'operazione sia più selettiva. A Pianosa, per esempio, vi
sono camorristi, anche di grosso rilievo, oltre ai mafiosi che
sono la maggior parte: ormai, però, i politici sono
praticamente fuori dal circuito, ad eccezione degli
irriducibili e delle ultime leve, che tuttavia si trovano in
zone molto diverse.
   Il collegamento fra organizzazioni criminali diverse,
comunque, può esservi: probabilmente, quindi, bisognerebbe
affrontare il problema. Se si tratta di una guerra, bisogna
farla con i generali che stiano attenti a come si muovono le
truppe ed occorre porsi effettivamente questi problemi. E'
accettabile che i camorristi stiano insieme con i mafiosi?
Serve o no? Il carcere di Pianosa, per esempio, ha due grandi
padiglioni, ognuno dei quali diviso in tre sezioni, ciascuna
delle quali divisa in tre settori: consente, quindi, una serie
di separazioni interne, che possono essere notevoli. In
quell'istituto, quindi, se si vuole affrontare quello che è
effettivamente un problema, lo si potrebbe risolvere.
  ALBERTO SIMEONE. Presidente, l'ordinamento penitenziario
così come è oggi strutturato soddisfa ampiamente le esigenze
della politica criminale, oppure no? Personalmente non
parlerei di rivisitazione legata soltanto all'articolo
41-bis; mi sembrerebbe piuttosto opportuna una
rivisitazione generale dell'intero ordinamento penitenziario,
anche considerata la situazione attuale.
  PRESIDENTE. Onorevole Simeone, non possiamo allargare
eccessivamente il discorso.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. L'ultimo punto della relazione che
abbiamo consegnato alla Commissione è dedicato proprio a tale
problema: vi è, infatti, anche un nostro notevole interesse al
riguardo. Noi vorremmo che la rivisitazione fosse complessiva,
perché sono arrivati decreti con la tecnica normativa - anche
sommaria - che li contraddistingue: essi hanno creato una
notevole confusione, per cui in pratica bisognerà
probabilmente rivedere tutto, se esiste la volontà di farlo,
per non creare ulteriori ingiustizie. A questo punto, infatti,
vi è qualcosa fuori dal circuito della criminalità organizzata
che suona come un'ingiustizia, proprio per l'effetto tuttora
perdurante di quei decreti in certe situazioni.
  ALBERTO SIMEONE. Se il presidente della Commissione mi
consente un'ultima chiosa, ho l'impressione che a volte ci
troviamo di fronte al timore che certe proposte o certe
affermazioni possano ledere le cosiddette convenzioni sociali:
siamo spesso, insomma, schiavi delle convenzioni sociali e
quindi evitiamo di affrontare i problemi e di portarli a
soluzione.
  ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze. Speriamo di non avere questo tipo
di remore!
  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente del tribunale di
sorveglianza di Firenze, dottor Alessandro Margara, il cui
contributo è stato per noi molto utile.
   La seduta termina alle 19,25.

 


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