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La Costituzione e le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994
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appendice 1

Capitolo 3

La Costituzione vivente

3.1. L'attuazione della Costituzione
3.2. 1947-1960: il centrismo
3.3. 1960-1976: il centrosinistra
3.4. 1976-1979: l'unità nazionale
3.5. 1979-1991: il pentapartito
3.6. 1991-1994: la trasformazione

3.1. L'attuazione della Costituzione

Dopo che il testo definitivo venne approvato a larghissima maggioranza dall'Assemblea Costituente, il primo gennaio 1948 la Costituzione Repubblicana entrò in vigore.

Le basi del nuovo Stato erano poste e a suo fondamento furono collocati i valori della democrazia, della libertà, della giustizia e della solidarietà, frutto delle diverse idealità che avevano contribuito ad arricchire la Costituzione stessa.

La tragedia della guerra e la lotta di Resistenza antifascista avevano in gran parte unito i diversi partiti di massa emergenti che erano riusciti a tradurre in precise e solenni disposizioni normative le loro aspirazioni e le loro attese per una società migliore.

Il compromesso costituzionale che ne risultò, proprio per la sua natura di intesa e di incontro tra dottrine anche molto diverse, si prestò, nei decenni successivi, sia pure nell'ambito di una cornice ben circoscritta, a svariate e divergenti interpretazioni che, inevitabilmente, consentirono alle forze politiche che si susseguirono alla guida dello Stato una certa discrezionalità di azione nei provvedimenti concreti di attuazione dei principi costituzionali.

Si tenga inoltre presente che solo una parte delle disposizioni della Costituzione è rappresentata da norme immediatamente precettive, cioè giuridicamente immediatamente operative, come, per esempio, il diritto di associarsi liberamente in partiti previsto dall'art. 49, il diritto di libertà personale disciplinato dall'art. 13, il diritto di sciopero enunciato dall'art. 40, il diritto di libertà religiosa sancito dall'art. 8.

In altri casi le disposizioni della Costituzione sono invece rappresentate da norme programmatiche, cioè contenenti enunciazioni di principio, indicazioni per l'avvenire, raccomandazioni al Parlamento e al Governo per l'elaborazione di nuove leggi che avrebbero dovuto riformare e innovare sul piano istituzionale, sociale ed economico lo Stato italiano. Si pensi, per esempio, al diritto di referendum abrogativo stabilito dall'art. 75, le cui modalità di attuazione dovevano essere determinate per legge, o all'art. 42, il quale enuncia che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, o all'art. 41 che, pur riconoscendo la libertà di iniziativa economica privata, proclama che essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, o ancora, l'art. 31 che, allo scopo di agevolare e favorire la formazione della famiglia e l'adempimento dei suoi compiti, attribuisce alla Repubblica il compito di intervenire con misure economiche ed altre provvidenze.

In tutti questi casi, e in molti altri ancora, l'attuazione della Costituzione è, più che mai, dipesa dai concreti orientamenti assunti dalle maggioranze politiche susseguitesi nella direzione del Paese. Esse hanno così esattamente definito l'effettivo ruolo che è venuto ad assumere lo Stato nei confronti della società italiana.

La Costituzione repubblicana non è rappresentata, staticamente, solo da un documento scritto e approvato alcuni decenni fa, ma da un documento che vive nel tempo e nella storia legato alle scelte politiche concrete, cioè al modo in cui i suoi principi, dinamicamente, sono o non sono stati attuati e rispettati.

Un'analisi delle principali vicende politico-istituzionali dal dopoguerra ad oggi è fondamentale per capire, accanto alla Costituzione scritta, quale sia stato il destino della Costituzione vivente nella realtà italiana [tali vicende potranno essere meglio seguite osservando lo schema in Appendice III relativo ai risultati elettorali della Camera, ai Presidenti della Repubblica, ai Presidenti del Consiglio, alla composizione dei Governi e alla loro durata da 1948 al 1994].

Indice del capitolo corrente

3.2. 1947-1960: il centrismo

Negli ultimi mesi di guerra e nel periodo immediatamente successivo alla Liberazione, i Governi che si succedettero furono condotti con la partecipazione unitaria e con la collaborazione di tutti i partiti antifascisti, e, in particolare, dei tre grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista.

Ma gli sviluppi della situazione politica internazionale ben presto ebbero un effetto dirompente anche sulle condizioni politiche italiane.

La fine del secondo conflitto mondiale sancì anche la fine dell'egemonia delle potenze europee nel mondo; Stati Uniti e Unione Sovietica, fino a quel momento alleati contro il nazifascismo, in quanto principali vincitori della guerra, emersero come i nuovi protagonisti dei futuri scenari politici internazionali.

Già prima della fine del conflitto, nella conferenza di Yalta, Stalin, Roosvelt e Churchill definirono la politica da seguire dopo la resa della Germania, dividendosi, nel mondo, le aree di rispettivo controllo e alleanza, che sarebbero state condizionate dai relativi sistemi politico economici.

L'equilibrio internazionale che ne risultò e che caratterizzò la storia mondiale per oltre quarant'anni, era basato sulla contrapposizione bipolare di USA e URSS, ormai superpotenze, e delle rispettive aree di influenza. Da una parte i sistemi politici occidentali basati su un'economia di mercato, dall'altra i sistemi politici comunisti a economia pianificata dallo Stato.

L'originaria alleanza contro il nazifascismo ben presto si ruppe e il deterioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica sfociò in un'epoca di contrapposizione frontale e di gravissime tensioni, nella ricerca della superiorità militare con una folle corsa agli armamenti, in un equilibrio del terrore che rischiò di trascinare il mondo in un ultimo tremendo conflitto. Fu la guerra fredda.

La partecipazione delle truppe alleate anglo-americane al processo di liberazione dell'Italia dal nazifascismo determinò la collocazione del Paese nella sfera occidentale di influenza statunitense, sanzionata successivamente, nel 1949, con l'adesione al Patto Atlantico.

Nel corso del 1947, ancor prima delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, con i lavori dell'Assemblea Costituente ancora in corso, il capo del Governo Alcide De Gasperi, democristiano, accondiscendendo alle sempre più insistenti pressioni politiche statunitensi, provocò, con un pretesto, una crisi di Governo che sfociò nella costituzione di un nuovo Ministero dal quale vennero esclusi i socialisti e i comunisti, responsabili di mantenere legami politici con l'Unione Sovietica, appartenente al blocco politico militare contrapposto.

Le elezioni politiche del 18 aprile, le prime dell'Italia democratica, si tennero in un clima di feroce ostilità, con da una parte la Democrazia Cristiana e dall'altra il Fronte Popolare che riuniva socialisti e comunisti.

La prima impostò, come spesso fece anche in seguito, la campagna elettorale nei termini di un'alternativa secca tra libertà e dittatura comunista, nonostante il PCI e il PSI avessero dato un evidente e fondamentale contributo alla lotta di Liberazione e alla stesura della Costituzione, dimostrando di accettare il metodo democratico nella lotta politica. La DC ebbe inoltre il massiccio appoggio delle gerarchie ecclesiastiche che ricorsero pure alla minaccia della scomunica nei confronti degli appartenenti ai partiti di matrice marxista. Il suo simbolo era un eloquente scudo con al centro una croce.

Il Fronte Popolare, che aveva come simbolo il ritratto di Garibaldi, fece leva invece sulle difficoltà economiche provocate dalle scelte apparentemente liberiste del Governo in carica e sulla politica di restaurazione che esso seguiva; in nome dell'anticomunismo dilagante, in realtà tali orientamenti governativi costituivano un aiuto insperato per le vecchie classi dirigenti reazionarie.

La vittoria andò alla Democrazia Cristiana che ottenne quasi la maggioranza assoluta dei voti dando inizio al periodo del centrismo, caratterizzato da Governi guidati da leader democristiani con la partecipazione di tre piccoli partiti laici intermedi, il Partito Repubblicano, il Partito Socialdemocratico e il Partito Liberale.

L'opposizione era rappresentata a sinistra dalle consistenti forze dei socialisti e dei comunisti con il 31% dei voti, a destra dal Movimento Sociale Italiano, nuovo partito che più o meno direttamente si ispirava all'esperienza e all'ideologia fascista, e dai monarchici.

L'unità delle diverse forze politiche che aveva consentito la Resistenza e l'elaborazione della Costituzione era stata spazzata via dalla guerra fredda e non si sarebbe più ricostituita per molto tempo.

Si instaurò un clima politico di repressione nei confronti delle forze più innovatrici del Paese che a volte sfociò anche in episodi di violenze poliziesche e morti tra i lavoratori che manifestavano per i loro diritti.

Sul piano istituzionale le forze politiche di maggioranza tentarono di rafforzare ulteriormente il loro potere con l'approvazione, nel 1953, di una legge elettorale di tipo maggioritario, ribattezzata dai suoi oppositori come "legge truffa"; ma il risultato ottenuto nelle elezioni dai partiti dell'opposizione ne impedì l'attivazione concreta.

La preoccupazione principale della classe al Governo era quella di favorire lo sviluppo dell'economia del libero mercato, contrastando in ogni modo, oltre che i partiti della sinistra, anche le altre organizzazioni dei lavoratori.

La guerra fredda travolse anche il loro sindacato unitario determinando la creazione di due nuove organizzazioni in concorrenza con la CGIL ad opera delle correnti politiche filogovernative: la CISL e la UIL.

Furono anni di grave, anche se non completa, non attuazione o ritardo nell'attuazione della Costituzione, durante i quali si mantenne, per certi versi, una sostanziale e preoccupante continuità con il precedente Stato fascista.

Le leggi emanate dal regime dittatoriale e non espressamente abrogate, rimasero in vigore anche se in palese contrasto con le norme costituzionali. La stessa Corte Costituzionale venne istituita solo nel 1956 e il suo lavoro di massiccia "bonifica" dell'ordinamento giuridico si protrasse per parecchi anni.

Gli apparati burocratici dello Stato, ed in particolare quelli che attenevano alla sfera della sicurezza nazionale (diplomazia, forze armate, polizia), nonostante la sia pur limitata epurazione di funzionari legati al fascismo, non subirono radicali trasformazioni. Anzi.

Sulla base dei documenti che emersero dalle inchieste giudiziarie e parlamentari sulle stragi e il terrorismo, si deduce che risalirono agli inizi degli anni cinquanta gli accordi segreti tra la CIA, il servizio segreto statunitense, e il SIFAR, l'allora servizio segreto militare italiano, i quali prevedevano misure di carattere interno per fronteggiare situazioni politiche non gradite.

In particolare risaliva a questo periodo la costituzione dell'organizzazione segreta denominata Stay-behind, più nota con il nome di Gladio, in collaborazione e sotto la direzione dei servizi segreti statunitensi, che negli anni fornirono armi e denaro. Essa aveva lo scopo di contrastare un'eventuale invasione sovietica e preparare azioni ben precise qualora un partito della sinistra si fosse avvicinato all'area di governo.

Altri materiali acquisiti da queste inchieste testimoniano che Gladio e i servizi segreti a quello scopo svolsero spionaggio politico, sindacale e sociale, utilizzando anche persone legate al passato regime fascista e inoltre indicano il coinvolgimento di queste istituzioni nelle pagine più fosche ed eversive della storia del Paese.

Né la CIA, né i servizi segreti italiani avevano personalità giuridica per firmare accordi di carattere internazionale fra due Paesi sovrani; soltanto i Governi e i Parlamenti dei rispettivi Paesi avrebbero potuto farlo. Tanto meno potevano sottoscrivere accordi tendenti a rendere inoffensive le forze politiche e sindacali di sinistra e a impedire la loro conquista del potere per via democratica, in dispregio dei più elementari diritti politici solennemente dichiarati nella Costituzione appena approvata.

In Italia, il Comitato parlamentare per i servizi di informazione, che ha proprio il compito istituzionale di controllare i servizi segreti, non ne fu mai messo a conoscenza, così come una parte dei numerosi Presidenti del Consiglio e Ministri della difesa che si succedettero in quei decenni alla guida del Governo, fino a quando l'On. democristiano Giulio Andreotti, allora anche Presidente del Consiglio, non ne svelò ufficialmente l'esistenza nell'ottobre del 1990.

La guerra fredda era spietata e senza esclusione di colpi. L'equilibrio tra le due superpotenze uscito dalla seconda guerra mondiale non consentiva rilevanti mutamenti all'interno degli Stati alleati. Mentre i sovietici spesso imposero direttamente e brutalmente la loro egemonia, gli statunitensi condizionarono il gioco democratico di molti Paesi in modo indiretto e clandestino, ma non per questo meno cruento ed efficace, proprio perché incompatibile con la legalità democratica.

Non va dimenticato che l'Italia non solo rivestiva una posizione geografica rilevante da un punto di vista strategico-militare, ma vedeva nascere anche un forte schieramento di sinistra e, negli anni successivi al dopoguerra, il più grande Partito Comunista dell'occidente.

Il PCI, pur nella sua originalità politica, che poteva essere strumentalmente ignorata, nel 1956 solidarizzava con l'invasione sovietica dell'Ungheria e, solo dopo il 1968, con la condanna dell'invasione della Cecoslovacchia, aveva dato vita a un graduale, ma definitivo processo di allontanamento da Mosca.

In questo contesto, gli interventi dei servizi segreti statunitensi in Italia furono particolarmente evidenti, determinando quella "sovranità limitata" che le inchieste giudiziarie e parlamentari, probabilmente solo in modo parziale, portarono alla luce.

Nonostante il clima politico, nella seconda metà degli anni cinquanta furono istituiti alcuni importanti organi previsti dalla Costituzione. Come già ricordato, nel 1956 la Corte Costituzionale; nel 1958 il Consiglio Superiore della Magistratura, organo fondamentale per garantire l'autonomia e l'indipendenza dei giudici.

Tra le non attuazioni della Costituzione, invece, particolarmente eclatante fu la mancata attivazione dell'ordinamento regionale che, in base alla Costituzione, avrebbe dovuto essere reso operativo entro cinque anni dalla sua entrata in vigore.

Per quanto riguarda la politica economica e sociale, l'intervento dello Stato fu favorito dagli aiuti americani del Piano Marshall di cui l'Italia poté fruire grazie alla scelta di campo occidentale.

Nel 1950 venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno, per un primo organico intervento a favore delle zone più povere del Paese.

Nel 1953 venne creato l'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) allo scopo di effettuare e coordinare le ricerche petrolifere e metanifere italiane, ma anche di dare un'efficace politica energetica all'Italia.

Infine, prese avvio il lento processo di integrazione europea con l'adesione dell'Italia nel 1951 alla Comunità Economica del Carbone e dell'Acciaio (CECA) e nel 1957 all'Euratom e alla Comunità Economica Europea.

Indice del capitolo corrente

3.3. 1960-1976: il centrosinistra

All'inizio degli anni sessanta cominciò una fase di distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica e di grandi speranze ideali per tutto il mondo, caratterizzata dall'attenuazione del clima di contrapposizione frontale tra i due blocchi.

Nel 1961 Krusciov e Kennedy si incontrarono negli Stati Uniti e avviarono i primi accordi relativi alla sospensione degli esperimenti atomici, nella prospettiva di una pacifica coesistenza che riconoscesse la diversità dei rispettivi sistemi politico-economici.

In quegli anni mutò anche l'atteggiamento della Chiesa cattolica che, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, assecondando il processo di distensione e di apertura, abbandonò le sue posizioni più smaccatamente filo-occidentali.

Ancora una volta, questa situazione politica internazionale ebbe effetti anche rispetto alla politica interna italiana, favorendo un atteggiamento più aperto verso l'innovazione e le riforme.

La Democrazia Cristiana venne così indotta ad abbandonare l'alleanza con la destra, che dal 1957 appoggiava i suoi Governi dall'esterno, e a iniziare un processo di riforme, sentito ormai da molti come indilazionabile, attraverso un'operazione di apertura a sinistra nei confronti del Partito Socialista.

Quest'ultimo dapprima appoggiò il Governo dall'esterno, poi vi partecipò direttamente e, accanto al Partito Socialdemocratico e al Partito Repubblicano, vi rimase quasi ininterrottamente fino al 1976, dando luogo al cosiddetto centrosinistra.

Questa operazione politica significò da una parte, per i socialisti, la possibilità di uscire da una condizione di sudditanza e dipendenza nei confronti del Partito Comunista e da un'opposizione che non pareva dare nessun risultato concreto; dall'altra, per i democristiani, rappresentò la possibilità concreta di dividere la sinistra e isolare all'opposizione il Partito Comunista.

Si cominciò a consolidare quell'atteggiamento della DC, e delle forze politiche che le gravitarono attorno per alcuni decenni anche se non ne condividevano appieno la politica, volto ad evitare a tutti i costi che il PCI, numericamente secondo partito del Paese, potesse conquistare o anche solo compartecipare formalmente al Governo.

L'Italia fu caratterizzata, rispetto a tutti gli altri Paesi europei e democratici, da una conventio ad excludendum che di fatto impedì per oltre quarant'anni una netta e reale alternanza alla guida del Governo.

Per molto tempo i partiti dell'area governativa teorizzarono che, anche in caso di vittoria elettorale dei comunisti, per ragioni internazionali che legavano l'Italia al blocco occidentale, non si sarebbe mai potuto accettare un loro ingresso al Governo.

È un fatto che, prima di ogni competizione elettorale, c'era l'ansia e il dubbio su quello che sarebbe potuto accadere se il PCI avesse ottenuto la maggioranza dei voti, sebbene a partire dagli anni sessanta fu sempre più forte l'autonomia e il distacco dal blocco orientale di questo partito.

Quando dei partiti, stando al Governo, pretestuosamente, non ammettono neanche in linea di principio di andare all'opposizione, teorizzando una sorta di "democrazia bloccata", rompono di fatto il patto costituzionale e le regole del gioco fondamentali della democrazia stessa.

Dal 1947 al 1993 la DC rappresentò l'asse portante di tutti i Governi e di tutte le maggioranze parlamentari e il PCI, se si esclude la parentesi dell'unità nazionale dal 1976 al 1979 in cui comunque solo dall'esterno appoggiò il Governo, fu sempre collocato all'opposizione.

Furono almeno due gli effetti deteriori di questa situazione. Da un lato, nella certezza che nessuno avrebbe potuto sostituirle, le forze di Governo non di rado utilizzarono il potere a proprio esclusivo vantaggio, favorendo fenomeni di corruzione e lottizzazione politica. Dall'altro si alimentò una forma di compensazione di questa esclusione del PCI dal Governo basata sul coinvolgimento di questo partito nei processi decisionali in cambio di alcune concessioni, il tutto anche in modo poco trasparente per l'opinione pubblica. Si definì in tal modo un sistema di potere poi denominato di "democrazia consociativa". Non era un caso che la stragrande maggioranza delle leggi in Parlamento venisse approvata con la quasi unanimità dei voti.

All'inizio degli anni sessanta, gli anni del "miracolo economico", si aprì comunque una stagione nuova, ricca di importanti innovazioni e attuazioni costituzionali.

Nel 1962, in attuazione dell'art. 43 della Costituzione, venne nazionalizzata la produzione e la distribuzione dell'energia elettrica con la creazione dell'ENEL che doveva mettere a disposizione del Paese energia elettrica in quantità adeguata e a un costo minimo.

Nello stesso anno venne approvata la legge di riforma della scuola media che, sulla base del dettato dell'art. 34 della Costituzione, elevava l'obbligo scolastico all'età di 14 anni.

In quel periodo venne insediata anche la Commissione nazionale per la programmazione economica, nella convinzione che, per compiere un'incisiva azione riformatrice, l'intervento dello Stato nell'economia e nella società non avrebbe dovuto compiersi in modo episodico, ma in un quadro programmatico ponderato e preciso, come indicato anche nell'art. 41 della Costituzione.

Nel 1963, stroncato da una breve malattia, morì il "Papa buono", Giovanni XXIII. Nello stesso anno a Dallas, nel Texas, uccisero sparando da una finestra il Presidente degli Stati Uniti J. F. Kennedy; quell'omicidio, e le oscure forze che lo diressero, rimangono uno dei misteri di questo secolo.

In Italia continuò l'esperienza del centrosinistra, ma la spinta riformatrice iniziale fu ben presto destinata a raffreddarsi.

Nel luglio del 1964 accadde un episodio sconcertante per un Paese che la Costituzione definisce democratico. Tale episodio rimase ufficialmente segreto per molti anni.

Il Presidente della Repubblica Antonio Segni, nell'ambito delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo, ricevette al Quirinale alcuni rappresentanti delle Forze Armate, tra i quali il generale Giovanni De Lorenzo, capo dei servizi segreti (SIFAR) e in seguito eletto deputato nelle liste dell'MSI, ideatore del "Piano Solo".

Si trattava di un progetto di colpo di Stato che avrebbe dovuto essere attuato dall'Arma dei Carabinieri e da gruppi di civili, ex parà, repubblichini fascisti e estremisti di destra, addestrati in Sardegna nella base di Gladio di Capo Marrargiu. Il Piano sarebbe scattato se i socialisti, per entrare a far parte del nuovo Governo, avessero spostato troppo a sinistra la politica italiana.

Il Piano stesso prevedeva l'assunzione del potere da parte dei militari con l'occupazione delle sedi dei partiti e dei giornali della sinistra, della RAI e delle prefetture e l'arresto di uomini politici comunisti e socialisti e alcuni sindacalisti, indicati in una lista di molte centinaia di persone che non fu mai più ritrovata; essi avrebbero dovuto essere deportati nella stessa base di Gladio in Sardegna.

Il golpe non venne mai attuato, ma la sua minaccia fu efficace non solo nei confronti di quei socialisti che in un primo tempo volevano condizionare la loro partecipazione al Governo all'accettazione di incisive riforme, ma anche nei confronti di quelli che, senza le riforme, con l'On. Pietro Nenni in testa, volevano continuare la collaborazione con la DC nel futuro Governo, che sarebbe poi stato guidato dall'On. democristiano Aldo Moro; essi infatti paventavano i rischi che correva la democrazia italiana.

Negli anni successivi il Presidente della Repubblica Segni fu costretto a lasciare la sua carica a causa di un ictus cerebrale che lo aveva inabilitato, sembra, dopo un acceso incontro con Moro e il socialdemocratico futuro Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat; nel corso di tale incontro quest'ultimo aveva minacciato di deferirlo al giudizio della Corte Costituzionale per alto tradimento e attentato alla Costituzione per il "Piano Solo".

In quegli anni, in effetti, i Governi che si succedettero non realizzarono importanti riforme e fallì in pieno la politica di programmazione economica che aveva suscitato tante attese e speranze.

Nel 1965 accadde un altro inquietante episodio della storia occulta italiana. Presso l'Hotel romano Parco dei Principi si tenne un convegno, finanziato dal SIFAR, nel corso del quale venne teorizzata la "strategia della tensione" come elemento fondamentale della "guerra non ortodossa" da condurre contro l'avanzata delle sinistre. Vi parteciparono uomini dei servizi segreti, ufficiali e personaggi politici e giornalisti di destra e estrema destra, ma non solo.

Si avvicinavano intanto gli anni della rivolta studentesca e il 1968. Fu da un'università degli Stati Uniti, a Berkeley in California, che iniziò la contestazione giovanile, destinata presto a diffondersi in tutto il mondo.

La protesta investì i valori di una società individualista e conformista, negando la presunta neutralità della scienza e delle istituzioni sociali; si rifiutò la repressione e l'autoritarismo delle vecchie generazioni in nome di un mondo più libero.

In diversi fenomeni si manifestò la dimensione più politica della rivolta. In particolare: nell'impegno contro la guerra e l'imperialismo americano nel Vietnam e nel formarsi di un movimento pacifista internazionale; nel sorgere del movimento femminista che mise in discussione valori millenari; nella contestazione al totalitarismo sovietico con l'esperienza della primavera di Praga di Alexander Dubcek e la definizione di un "socialismo dal volto umano" appoggiato ed esaltato anche dai comunisti italiani che solidarizzarono con la ribellione del popolo cecoslovacco soffocata dai carri armati russi; infine, nel maggio francese e nel sogno di un'unione ideale con il movimento operaio di quel mezzo milione di studenti che sfilarono per le strade di Parigi.

In Italia, gli ideali di quella primavera del 1968, anche per l'incapacità del centrosinistra di svolgere un'opera effettivamente riformatrice, diedero luogo a una serie di lotte sociali che videro insieme studenti e mondo del lavoro e che sfociarono nel cosiddetto "autunno caldo" del 1969.

Furono anni di grandi conquiste sindacali e politiche.

Nel 1970 venne approvata la legge che conteneva lo Statuto dei lavoratori, con il quale tanti diritti costituzionali prima negati fecero ingresso finalmente nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro.

Nello stesso anno venne reso operativo un importante strumento di democrazia diretta con la legge di disciplina del referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione.

Sempre nel 1970, colmando un'inadempienza costituzionale che durava da vent'anni, vennero finalmente approvate le norme di legge necessarie per l'istituzione dell'ordinamento regionale e il corpo elettorale italiano fu chiamato ad eleggere, per ogni Regione, il rispettivo Consiglio regionale.

Per le forze politiche più reazionarie e più retrive, che rifiutavano il cambiamento e un ulteriore allargamento a sinistra della maggioranza verso i comunisti, furono gli anni della "grande paura". Gli anni in cui cominciava drammaticamente a dispiegarsi la "strategia della tensione", come risposta alle conquiste sociali e ai mutamenti in corso.

L'esplosione di una bomba ad alto potenziale nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano nel dicembre del 1969, con i suoi 16 morti e 88 feriti, fu il primo atto di una serie di stragi che insanguinarono l'Italia per anni.

Non è possibile non ricordare, tra le altre, le più gravi di queste stragi. A Peteano, in provincia di Gorizia, nel 1972 un'auto imbottita di tritolo uccise tre Carabinieri. A piazza della loggia a Brescia nel 1974, nel corso di una manifestazione antifascista, esplose una bomba provocando 8 morti e 94 feriti. Sul treno Italicus, all'interno di una galleria tra Bologna e Firenze, nel 1974 una bomba ad alto potenziale esplose provocando 12 morti e 105 feriti. Alla stazione ferroviaria di Bologna nell'agosto del 1980 l'esplosione di un ordigno potentissimo collocato nella sala di attesa di seconda classe provocò la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200. Sul rapido 904, nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, alla vigilia del Natale del 1984, esplose una bomba provocando 15 morti e 139 feriti.

Le indagini della magistratura per trovare i colpevoli furono caratterizzate da due elementi ricorrenti: i frequenti, incredibili e pesanti depistaggi operati dai servizi segreti sulle indagini stesse e il coinvolgimento, nei rari casi di individuazione dei responsabili materiali, di gruppi dell'estrema destra nel compimento degli attentati. Ma a che fine?

Un certo Vincenzo Vinciguerra, processato e condannato per la strage di Peteano, ammettendo la sua responsabilità, chiamò direttamente in causa appartenenti ai massimi livelli dello Stato parlando di "una struttura clandestina il cui scopo è quello di destabilizzare l'ordine pubblico per normalizzare il Paese sempre più in procinto di spostarsi a sinistra... una struttura clandestina costituita fin dai primi anni del dopoguerra". E fu proprio da quelle indagini che si iniziò a scoprire l'esistenza di Gladio.

Altre indagini giudiziarie e parlamentari evidenziarono a sufficienza il coinvolgimento di Gladio e del SID (i nuovi servizi segreti italiani che dal 1965 avevano sostituito il SIFAR) nella strategia della tensione e misero in luce come il SID stesso venisse strumentalizzato per condizionare quelle istituzioni democratiche previste dalla Costituzione che avrebbe dovuto difendere, prima utilizzando e poi coprendo manovalanza fascista.

I primi anni settanta furono anni di forte crescita elettorale del PCI (nelle elezioni per la Camera dei deputati del 1976 raggiunse il 34,4% dei voti) e dell'importante vittoria delle sinistre e del mondo laico nel referendum col quale si sarebbe voluto abrogare il divorzio; occorreva dunque fermare questa avanzata e questa spinta innovativa.

Le bombe, con la "strategia della tensione", avevano lo scopo di ricollocare l'elettorato, che timidamente si stava portando verso sinistra e verso il cambiamento, nella direzione dei partiti più moderati e di centro che parevano dare maggiori garanzie e più affidabilità. Insomma, come fu autorevolmente affermato anche nell'inchiesta parlamentare sulle stragi, destabilizzare per stabilizzare; la tensione sociale doveva essere lo strumento per un rafforzamento autoritario del governo del Paese.

A questo punto è opportuno accennare brevemente ad altri due eventi che, in questo quadro, assumono più chiarezza.

Il primo è il "Piano Tora Tora", un altro tentativo rimasto segreto di colpo di Stato ad opera di battaglioni militari guidati dal fascista Junio Valerio Borghese che, nel dicembre del 1970, occuparono per diverse ore il Ministero degli interni fino a un misterioso contrordine che fece rientrare tutti nelle caserme.

Il tutto, secondo alcuni giudici, sotto gli occhi del SID e dell'Ambasciata americana. Un episodio incredibile!

Uno dei golpisti interrogati, certo Gaetano Lunetta, dichiarò: "Il golpe Borghese c'è stato davvero: con i camerati di La Spezia e della Liguria siamo stati padroni assoluti del Viminale... Ed è anche sbagliato definirlo golpe 'tentato' e poi rientrato. Il risultato politico che voleva ottenere chi aveva organizzato l'assalto è stato raggiunto: congelamento della politica di Aldo Moro, allontanamento del PCI dall'area di governo, garanzie di una totale fedeltà filoatlantica e filoamericana: la verità è che il golpe c'è stato ed è riuscito". Si tratta di una strategia del tutto analoga a quella utilizzata con il "Piano Solo".

Il secondo evento è rappresentato dall'ascesa di Licio Gelli. Con un passato di fascista e repubblichino, già a partire dagli anni sessanta fondò una loggia massonica segreta finanziata dalla CIA, denominata P2, che ben presto divenne un centro di potere occulto che si intrecciò con la storia politico-istituzionale dell'Italia e dei suoi servizi segreti, da cui Gelli stesso, fin dall'inizio, reclutò centinaia di adepti.

Ma per ora basti ricordare che dalle indagini giudiziarie la P2 risultò coinvolta, con una parte di rilievo, nella promozione e nell'arresto del golpe "Borghese" e che fu chiamata spesso in causa anche nelle indagini relative alle stragi di quegli anni.

Inoltre, nel 1975 Licio Gelli elaborò un "Piano di Rinascita Democratica" nel quale era contenuto l'obiettivo di una svolta autoritaria, ma non traumatica né violenta, con una forte diminuzione del ruolo e delle posizioni del PCI. Gli strumenti più importanti individuati per realizzarlo erano: il controllo dei mass media, la normalizzazione dei sindacati confederali, la dipendenza del pubblico ministero dal potere esecutivo e la riduzione del ruolo svolto dalla Magistratura, il rafforzamento del potere esecutivo con l'elezione diretta del Capo dello Stato.

Sul piano legislativo occorre ancora ricordare che in questo periodo si giunse all'approvazione di due rilevantissimi provvedimenti grazie al contributo delle sinistre: la riforma fiscale del 1973 che, dando attuazione all'art. 53 della Costituzione, definiva un nuovo sistema impositivo di carattere effettivamente progressivo, e la riforma del diritto di famiglia del 1975 che concretizzava in precise norme giuridiche il principio di uguaglianza tra uomo e donna nella famiglia, secondo la previsione dell'art. 29 della Costituzione, abrogando le relative anacronistiche norme del codice civile del 1942.

Indice del capitolo corrente

3.4. 1976-1979: l'unità nazionale

In Italia, già a partire dall'inizio degli anni settanta, quasi contemporaneamente al fenomeno dello stragismo di estrema destra, si manifestò il terrorismo di estrema sinistra, strutturato in una serie di gruppuscoli clandestini, ma principalmente nell'organizzazione denominata Brigate Rosse.

Secondo una visione estremizzata del marxismo più ortodosso e della lotta di classe, i suoi fondatori, ponendosi in una posizione molto critica verso i partiti storici della sinistra e in particolare verso il PCI, si batterono contro lo "Stato borghese", strumento del dominio capitalistico e simulacro di democrazia. Esso non poteva essere legalmente riformato, ma solo combattuto attraverso la lotta armata che avrebbe dovuto accelerare e acutizzare il conflitto di classe preparando le condizioni per la rivoluzione proletaria.

Mentre lo stragismo di estrema destra con i suoi attentati colpiva in modo indiscriminato, attraverso bombe fatte esplodere in luoghi pubblici, il terrorismo di estrema sinistra era molto più selettivo. Colpendo singoli individui, mirava a colpire "il cuore dello Stato". Ne rimanevano vittime magistrati, uomini politici, industriali, giornalisti, membri delle forze dell'ordine, attraverso azioni di guerriglia che si concludevano con il rapimento, ma più spesso con l'immediata uccisione di quelli che venivano definiti "servi dello Stato".

Dal 1974 furono decine e decine le vittime di questo terrorismo i cui ultimi colpi di coda giunsero fino verso la fine degli anni ottanta, quando ormai le BR erano isolate e depotenziate.

Verso la metà degli anni settanta l'Italia fu segnata, oltre che dai durissimi colpi dello stragismo e del terrorismo, da un momento particolarmente difficile per la sua economia a causa della grave crisi energetica e dell'elevata inflazione.

È in questo quadro che maturò l'idea del segretario del PCI Enrico Berlinguer del "compromesso storico", cioè di un incontro tra i comunisti e le masse cattoliche democratiche rappresentate dalla DC, in una prospettiva di governo unitario del Paese. Il momento era tragico e difficile e molte erano le forze oscure e palesi che si battevano contro l'avanzata delle sinistre.

L'interlocutore più sensibile nella DC verso questo progetto politico apparve l'On. Moro, dal 1976 Presidente della stessa DC, che più di ogni altro si pose il problema di una fase nuova nella vita politica italiana. Egli riconobbe la necessità della partecipazione del PCI almeno alla maggioranza parlamentare e, superata la crisi, eventualmente anche a un Governo alternativo, ponendo fine alla conventio ad excludendum che aveva caratterizzato tutti i Governi della Repubblica dal 1947.

Moro era consapevole dei danni di quella che lui stesso definì una "democrazia incompiuta" e, dall'altra parte, degli intenti sinceramente democratici del PCI di Berlinguer.

Così come negli anni sessanta era stato portato il PSI al Governo, ora era necessario allargare le basi democratiche dello Stato coinvolgendo anche il PCI, nell'intento di giungere, superata l'emergenza del drammatico momento, al sostanziale mutamento democratico delle forze di governo.

Nacque così l'idea dei Governi di unità nazionale che dal 1976 al 1979 caratterizzarono la vita politica italiana. Alla loro guida venne posto l'0n. Andreotti. La composizione ministeriale di questi Governi era esclusivamente democristiana, ma essi furono sorretti da una maggioranza parlamentare che includeva tutti i partiti dell'arco costituzionale, PCI compreso, con la sola esclusione dell'MSI.

Per molti versi sembrava ricostituita quella unità tra tutti i partiti antifascisti che aveva caratterizzato la guerra di Liberazione e la fase costituente della Repubblica, al fine di contrapporsi più efficacemente allo stragismo e al terrorismo e difendere la Costituzione stessa e le istituzioni democratiche conquistate a duro prezzo da quei partiti.

Ma nel marzo 1978, proprio nel giorno in cui l'0n. Moro si apprestava a recarsi in Parlamento per votare la fiducia al secondo Governo di unità nazionale, un commando delle Brigate Rosse annientava la sua scorta e lo rapiva.

Dopo circa due mesi e una tormentata prigionia, il presidente della DC venne assassinato e il suo corpo venne fatto ritrovare nel bagagliaio di un'automobile nel centro di Roma.

Molti dubbi rimangono riguardo agli atteggiamenti assunti e alle leggerezze dimostrate prima, durante e dopo quel tragico rapimento da parte di tutti gli organi preposti alla difesa dello Stato.

La commissione di indagine parlamentare sul terrorismo e sull'affare Moro in primo luogo evidenziò che, dopo l'ottimo lavoro del questore Santillo e del generale Dalla Chiesa che aveva determinato la decapitazione del gruppo dirigente delle BR per ben due volte, dal 1974 al 1978 ci fu un periodo di vera e propria stasi e di smobilitazione degli apparati repressivi dello Stato e che non si diede luogo alla eliminazione definitiva, pur avendone la possibilità, del terrorismo di estrema sinistra. Tanto che le BR riuscirono ad organizzare nel pieno centro di Roma il rapimento, l'uccisione di cinque uomini della scorta e la detenzione indisturbata per 55 giorni del leader della DC.

La stessa commissione di indagine evidenziò anche che il comitato di sicurezza che conduceva le indagini, nominato dall'allora Ministro dell'interno On. Francesco Cossiga, era costituito in gran parte, 8 componenti su 12 , da uomini della P2, la loggia massonica segreta di Licio Gelli, così come quasi tutta la catena di comando dei servizi segreti italiani dell'epoca.

A questo comitato di sicurezza partecipò anche un esperto della CIA che si impegnò per dimostrare che Moro non era indispensabile alla vita del Governo e della Nazione.

Per inciso, nel 1966, l'0n. Cossiga, futuro Presidente della Repubblica e all'epoca sottosegretario alla difesa, aveva partecipato, per sua ammissione, alla formazione di atti amministrativi concernenti Gladio.

Ma i punti oscuri della vicenda non si limitarono alla composizione del comitato di sicurezza. Tra gli altri, di particolare evidenza furono le segnalazioni sul covo in cui venne tenuto prigioniero Moro e di cui all'epoca non si fece nulla, e ancora la stampatrice dei messaggi delle BR che si scoprì provenire dall'ufficio dei servizi segreti che provvedeva all'addestramento dei "gladiatori".

Sono forti gli interrogativi sulla autonomia di azione delle BR in quegli anni e in particolare di quella più clamorosa. Moro era l'uomo politico che all'interno della DC più di altri sostenne l'abbandono delle posizioni maggiormente ostili all'ingresso dei comunisti nel Governo.

Uno dei suoi più stretti collaboratori, Corrado Guerzoni, a dieci anni di distanza da quei tragici fatti, in un'intervista a un quotidiano affermò: "Sappiamo perché è stato ucciso Moro: per la posizione nei confronti del PCI... Moro avrebbe garantito che anche per i comunisti sarebbe stato rispettato fino in fondo il gioco democratico, cioè che se i comunisti avessero vinto le elezioni, nulla sarebbe stato fatto per impedire, a loro danno, il rispetto formale e sostanziale del dettato costituzionale ...i nemici di Moro sapevano che egli non si sarebbe prestato a letture di comodo della Costituzione".

È pur vero che nell'ottica rivoluzionaria delle BR il compromesso storico di Berlinguer rappresentava una scelta politica da contrastare; nel 1979 le BR giunsero perfino ad uccidere il sindacalista comunista Guido Rossa. Ma è anche vero che tale scelta era probabilmente condivisa da alcuni settori del potere politico che, in dispregio dei più elementari diritti politici sanciti dalla Costituzione democratica, continuavano a nutrire un'ostinata e feroce ostilità rispetto alla prospettiva di un futuro ingresso dei comunisti al Governo.

Lo stesso Alberto Franceschini, uno dei capi storici delle BR, in un'intervista di qualche anno fa si disse certo, sia pure non suffragando con nessuna prova le sue affermazioni, che le BR: "erano state strumentalizzate dall'esterno per impedire che il PCI di Berlinguer andasse al potere".

Ancora una volta in Italia si può ipotizzare un ennesimo intervento tendente a destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare quello politico. Un altro freno al mutamento possibile.

Non c'è dubbio che il clima che si instaurò negli "anni di piombo" rafforzò le forze conservatrici. Rafforzamento documentato dal progressivo calo elettorale del PCI e dal fallimento della strategia del compromesso storico con il quale si sarebbe voluto finalmente superare la "democrazia bloccata" italiana.

Nonostante tutto, la solidarietà tra le diverse forze politiche espressa dai Governi di unità nazionale permise di superare i momenti più tragici dell'emergenza politica ed economica ed inoltre consentì, sul piano istituzionale, l'approvazione di due importanti provvedimenti legislativi di attuazione della Costituzione: nel 1977, la legge di parità tra uomo e donna sul lavoro, in attuazione dell'art. 37; nel 1978, la legge di riforma sanitaria che, nell'ambito di un progetto ambizioso e organico di prevenzione, cura delle patologie e riabilitazione, attraverso le Unità Sanitarie Locali, dava nuova concretezza al diritto alla salute previsto dall'art. 32 .

Come già precedentemente ricordato, negli anni sessanta e settanta svolse un ruolo fondamentale anche la Corte Costituzionale, eliminando dall'ordinamento giuridico molte disposizioni emanate nel corso del regime fascista, ora in palese contrasto con i principi della Costituzione repubblicana.

Frutto di quegli anni fu anche l'elezione a Presidente della Repubblica di Sandro Pertini, un appassionato partigiano socialista, già membro dell'Assemblea Costituente, che più volte denunciò le interferenze dei servizi segreti stranieri nelle vicende italiane degli anni settanta e che più di ogni altro simboleggiò l'unità democratica del popolo italiano a difesa della sua Costituzione nella tragedia dello stragismo e del terrorismo.

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3.5. 1979-1991: il pentapartito

A partire dai primi mesi del 1979, superata la fase più acuta della crisi politica ed economica, il Partito Comunista valutò inopportuno continuare ad appoggiare dall'esterno il Governo e passò all'opposizione con l'idea di costituire un largo schieramento, in primo luogo alleandosi con il Partito Socialista, nettamente alternativo alla Democrazia Cristiana.

Bettino Craxi divenne allora segretario del PSI proprio grazie all'appoggio della corrente di sinistra del Partito che condivideva il progetto comunista. Era nei suoi intenti primari rompere l'asse DC-PCI che vedeva il PSI in posizione subalterna; ma in breve tempo egli cambiò completamente la sua linea politica divenendo sempre più polemico nei confronti del PCI.

Nel frattempo si costituivano alcuni Governi a guida democristiana e con la partecipazione, oltre che della DC, dei partiti laici minori, escluso il PSI.

Fu proprio all'epoca dell'ultimo di questi Governi, nel 1981, che la magistratura riuscì a mettere le mani per la prima volta sui famosi elenchi degli iscritti alla loggia segreta P2 di Gelli e sul suo "Piano di Rinascita Democratica".

Ne risultò un quadro sconcertante: centinaia e centinaia di nomi, fra cui alti ufficiali dei carabinieri e di tutte le forze armate, questori, prefetti, imprenditori, presidenti di banca, ministri in carica e ex ministri, un segretario di un partito di Governo, deputati, magistrati, sindaci, primari ospedalieri, avvocati, notai e naturalmente quasi tutti gli alti gradi dei servizi segreti.

Molti di costoro avevano giurato fedeltà alla Costituzione italiana, ma poi si erano iscritti a una loggia massonica segreta, finanziata dalla CIA e centro di potere occulto coinvolto nelle più oscure pagine della storia politico-istituzionale italiana.

La P2 era stata definita nella relazione della commissione parlamentare di indagine presieduta dall'On. democristiana Tina Anselmi, "un'associazione politica il cui fine peraltro non è quello di pervenire al governo del sistema, bensì quello di esercitarne il controllo".

Il Parlamento italiano, con una legge del 1982, sciolse la P2 e ne autorizzò la confisca dei beni e, in attuazione dell'art. 18 della Costituzione, secondo comma, da allora fece esplicito divieto, sanzionandolo penalmente, di costituire associazioni segrete che svolgessero un'attività diretta ad interferire sull'esercizio di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale.

Il Presidente del Consiglio in carica, l'0n. Arnaldo Forlani, colpevole di non avere tempestivamente reso pubblici quegli elenchi, fu costretto a dimettersi.

È in quel periodo che il segretario socialista Craxi, sempre più forte all'interno del suo partito, inaugurò una nuova politica.

Da una parte egli incominciò a prendere le distanze sia dal partito Comunista, in flessione elettorale, sia da un'ipotesi di Governo alternativo alla DC, con una polemica molto forte ed accesa verso il PCI, ancora accusato, in fondo, di essere troppo vicino all'Unione Sovietica. Invece fu proprio di quegli anni l'ennesima prova di distacco del PCI dall'URSS testimoniato dal giudizio di Berlinguer circa l'esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre e da una radicale valutazione negativa della società comunista a modello sovietico. A questo proposito i giornali definirono la posizione del Partito Comunista come l'ultimo "strappo" dall'Unione Sovietica.

Dall'altra parte, in nome della governabilità del Paese, Craxi iniziò una nuova stagione di collaborazione con la DC, verso la quale, almeno a parole, apparve comunque piuttosto critico.

Nacquero così i vari Governi di pentapartito (DC, PSI, PSDI, PLI, PRI) che caratterizzarono la vita politica italiana fino al 1991. Essi si presentavano simili a quelli dell'epoca del centrosinistra, ma con due caratteristiche in più: la presenza dei liberali e, per alcuni anni, la Presidenza del Consiglio, per la prima volta dal 1948, affidata a leader non democristiani, a sottolineare il ruolo meno subalterno dei partner di Governo alla DC.

Come all'epoca del centrosinistra, si ritrovava ancora un PCI isolato all'opposizione, nonostante la sua forte consistenza numerica. Il progetto di Moro di una democrazia compiuta e dell'alternanza, dopo l'esperienza dell'unità nazionale, era completamente dissolto. Al PCI non rimase che perseguire gli interessi di cui era portatore dall'opposizione e nella pratica del consociativismo che continuava a compensare questa ostinata esclusione dal Governo.

L'asse politico governativo negli anni ottanta rimase, comunque, principalmente basato sulla nuova collaborazione tra DC e PSI e, come si scoprirà solo agli inizi degli anni novanta, su una spartizione del potere che si basava sulla corruzione generalizzata e sistematica di quei due partiti e dei loro alleati di Governo.

Ma gli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta devono essere ricordati anche come gli anni dei più gravi omicidi di cosa nostra. Ufficiali delle forze dell'ordine, magistrati, giornalisti, uomini politici, imprenditori e tante altre persone impegnate a contrastare i progetti mafiosi, caddero a decine sotto il piombo di questa organizzazione criminale.

La mafia, affermatasi originariamente in Sicilia, ma diffusasi in seguito non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo, ancora oggi significa soprattutto appalti pubblici truccati, condizionamento della Cassa per il Mezzogiorno, poi divenuta Agenzia per il Mezzogiorno, speculazione edilizia, traffico di stupefacenti ed armi, racket delle estorsioni in cambio di protezione... Un giro d'affari enorme e con vastissime possibilità di guadagno.

In alcune aree del territorio nazionale è fuori di dubbio che il controllo che la mafia esercita è superiore a quello dei poteri dello Stato. Il fenomeno si presenta quindi con veri e propri tratti eversivi nei confronti delle istituzioni pubbliche anche in considerazione delle collusioni, più volte accertate, tra mafia e potere politico.

Il potere mafioso spesso è in grado di inquinare le competizioni elettorali con il controllo dei voti, non solo a livello locale, ma anche nazionale. In cambio di voti offerti alla classe di governo, esso si garantisce protezione e aiuto da parte di pezzi dello Stato che a loro volta si servono di questa relazione per consolidare il proprio potere minacciato dalle forze della sinistra e dalla crescita della nuova società civile.

Le commissioni parlamentari di inchiesta e le indagini giudiziarie documentarono i legami tra mafia e poter politico siciliano e nazionale e il fatto che molti omicidi mirassero a salvaguardare il perpetuarsi di questi legami e di questo sistema di potere.

Emblematici furono gli esiti processuali di alcuni delitti "eccellenti" di quel periodo. Quelli, per esempio, relativi agli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, o del segretario regionale del PCI Pio La Torre o dell'ex Sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, ma in particolare del Presidente democristiano della regione siciliana Piersanti Mattarella. Con esso, nel gennaio del 1980, venne consumato il più grave delitto politico compiuto in Italia dopo l'assassinio di Moro.

Mattarella aveva iniziato una seria opera di rinnovamento e di pulizia sia all'interno degli uffici dell'amministrazione regionale, sia all'interno del Comune di Palermo. Nonostante le difficoltà incontrate, egli pubblicamente aveva dichiarato alla fine del 1979 che non intendeva tornare indietro e che, per continuare nel suo progetto, scorgeva la possibilità della partecipazione diretta dei comunisti al Governo della Regione.

Le analogie con l'affare Moro sono fin troppo evidenti, tant'è che nel corso delle indagini si intravide l'ombra, oltre che della mafia e del potere politico, della massoneria e della P2 di Licio Gelli, dei servizi segreti e anche di un non ben precisato super servizio segreto (Gladio?) e di gruppi neofascisti, in un tragico intreccio di interessi criminali e interessi politici.

Da un punto di vista istituzionale, gli anni ottanta sono caratterizzati da un atteggiamento sempre più critico da parte di quasi tutte le forze politiche rispetto alla Costituzione.

Se negli anni precedenti ne veniva spesso richiesta l'effettiva attuazione, attraverso l'approvazione di nuove leggi, da questo periodo in poi cominciò a diffondersi sempre più l'idea che molti problemi avrebbero potuto risolversi solo procedendo a una sua revisione, in particolare delle norme contenute nella seconda parte relativa all'Ordinamento della Repubblica.

Era ormai chiaro a tutti che il problema principale delle istituzioni italiane era rappresentato dalla mancanza di un reale alternarsi di due schieramenti politici contrapposti in competizione, secondo gli schemi tipici di ogni democrazia e dello stesso "metodo democratico", per il governo del Paese.

I Governi formatisi fino a quel momento, quasi tutti di coalizione, e quindi per loro natura molto instabili, bene o male avevano sempre avuto nella sola DC prima, e nella DC e nel PSI poi, il loro punto di forza. L'MSI da una parte, il PCI dall'altra, non avevano mai direttamente partecipato al Governo, secondo gli schemi di una "democrazia bloccata".

Era una situazione che non aveva eguali negli altri Paesi europei e democratici occidentali in cui la dialettica politica, di volta in volta, favorisce ora l'uno, ora l'altro schieramento politico, consentendo all'opposizione, dopo un po' di tempo, di divenire maggioranza e viceversa.

Nella narrazione di questi decenni è emerso chiaramente come forze occulte e poteri palesi in Italia si siano sempre opposti al cambiamento.

Moro, che a questo proposito parlava di "democrazia incompiuta", aveva ben chiari i limiti di una situazione che non poteva più durare a lungo.

La corruzione e la lottizzazione politica di chi sapeva che non avrebbe mai perso il suo potere, da una parte, i fenomeni di consociativismo con l'opposizione dall'altra, stavano lentamente erodendo le fondamenta della Costituzione e dello Stato democratico.

A tutto questo si aggiungano altre caratteristiche dei pubblici poteri italiani: la debolezza dello stesso potere esecutivo, lo strapotere dei partiti nelle istituzioni, la frantumazione della rappresentanza politica in un numero crescente di piccole formazioni, le lungaggini dei lavori parlamentari, l'inefficienza della pubblica amministrazione, l'estrema lentezza della attività giudiziaria.

Tutto ciò costituì la base di un lungo, quanto spesso inconcludente, dibattito sulle riforme istituzionali il quale, oltre che su ipotesi di modifica della Costituzione, approdò anche ad alcune proposte di carattere legislativo.

Il problema venne affrontato anche da un'apposita commissione parlamentare che, comunque, servì solo come luogo di dibattito e confronto senza pervenire ad alcun risultato concreto.

Le idee che emersero furono le più svariate.

Fra le altre, per il Parlamento si andava dalle proposte del PCI di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno che favorisse la formazione di coalizioni alternative e l'eliminazione di una delle due Camere a quella di quasi tutti gli altri partiti che ancora non si sbilanciavano esattamente sulla riforma elettorale e proponevano un sistema bicamerale differenziato.

Per il Governo, per il quale tutti condividevano la necessità di una maggiore stabilità, si andava dalle proposte che prevedevano premi di maggioranza all'ipotesi forte del PSI di elezione diretta del Capo dello Stato che doveva essere posto anche a capo dell'esecutivo.

Per le Regioni e gli enti locali, solo alcune forze politiche iniziavano a parlare di elezione diretta del Presidente della Giunta e del Sindaco.

Ma di queste ed altre proposte, in quel periodo, nessuna si concretizzò. Il necessario accordo tra un largo schieramento politico, come previsto dall'art. 138 della Costituzione nel caso di una sua modifica, non venne mai raggiunto a causa di una serie di veti incrociati tra i diversi partiti e le uniche realizzazioni concrete non furono di tipo costituzionale.

Nel 1988 venne approvata una modifica dei regolamenti parlamentari che limitava drasticamente il voto segreto di Deputati e Senatori, con l'intento apparente di aumentare la trasparenza delle scelte del Parlamento, ma con il risultato di aumentare il potere delle segreterie dei partiti che in questo modo potevano meglio controllare il rispetto della disciplina del partito stesso.

Nello stesso anno venne approvata anche la legge relativa all'Ordinamento della presidenza del Consiglio che, in attuazione dell'art. 95 della Costituzione, con quarant'anni di ritardo, disciplinava in modo organico poteri e responsabilità del Consiglio dei Ministri e del Presidente.

Altri provvedimenti legislativi di questo periodo di particolare rilievo istituzionale furono: sempre nel 1988, il nuovo codice di procedura penale che trasformava il processo penale del codice fascista del 1930 da inquisitorio misto a accusatorio, con maggiore trasparenza e garanzie per la difesa; nel 1990, in attuazione dell'art. 128 della Costituzione, la nuova legge con la quale venivano codificati i principi generali delle autonomie locali, ma senza alcun cenno ancora alla elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Giunta provinciale; sempre nel 1990 la prima legge organica relativa al procedimento amministrativo e al diritto di accesso dei cittadini ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 97 della Costituzione; ancora in quell'anno, dopo un dibattito protrattosi per oltre quarant'anni, la legge di disciplina degli scioperi nei servizi pubblici essenziali, in attuazione dell'art. 40 della Costituzione.

Sul piano dei rapporti internazionali è necessario ricordare in primo luogo nel 1984 la firma del nuovo Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica che tuttavia continuava, come già esposto, a contenere elementi non irrilevanti di confessionalismo; in secondo luogo, nel 1979 le prime elezioni del Parlamento europeo e nel 1986 la sottoscrizione dell'Atto Unico Europeo che disponeva la creazione del mercato unico, cioè l'abolizione delle frontiere tra i Paesi della Comunità Europea a partire dal primo gennaio 1993.

Gli anni ottanta furono, grazie alla favorevole congiuntura internazionale, anche anni di crescita e benessere economico. Il che favorì il consenso verso i Governi pentapartito di quell'epoca che non esitarono neppure a dilatare in modo sconsiderato la spesa pubblica e il debito dello Stato pur di mantenere e consolidare quel consenso.

In parte anche a causa della mancata tempestiva realizzazione di un organico progetto di riforma istituzionale, si stavano preparando le condizioni per i radicali sconvolgimenti degli anni successivi.

L'analisi di quel periodo non può che concludersi con la rilevazione della scoperta di Gladio nel 1990. Prima, nel mese di luglio, grazie alle indagini del giudice Casson relative alla strage di Peteano, poi, nel mese di ottobre, con le rivelazioni al Parlamento del Presidente del Consiglio Andreotti.

Il Parlamento stesso ben presto costituì una commissione parlamentare di indagine, presieduta dall'On. repubblicano Libero Gualtieri, la quale, dopo mesi di lavoro, riuscì a scoprire che Gladio era nata agli inizi degli anni cinquanta per la difesa del territorio nazionale da un'ipotetica invasione sovietica. Essa era stata creata sulla base di un accordo tra servizi segreti italiani e statunitensi e, sotto le dipendenze di questi ultimi, che negli anni fornirono armi e denaro, con il passare del tempo acquisì lo scopo primario di contrastare l'avanzata del Partito Comunista.

Per il modo in cui venne costituita e tenuta in vita, per i suoi fini e per il suo coinvolgimento negli episodi più foschi che conobbe la storia italiana di quei decenni, la commissione parlamentare si pronunciò per la "illegittimità costituzionale progressiva" di Gladio, intollerabile per un Paese sovrano e democratico.

Nelle conclusioni dei lavori della commissione stessa si leggeva: "Nei documenti interni del SISMI [l'attuale servizio segreto militare], Gladio è indicata come la 'nota organizzazione'. In realtà allo Stato italiano Gladio è sempre rimasta 'ignota'. Riteniamo di averla fatta uscire dall'anonimato. È tempo che di questo si prenda atto e si puniscano i responsabili del lungo inganno".

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3.6. 1991-1994: la trasformazione

Dalla primavera del 1991 il Partito Repubblicano uscì dalla compagine governativa e si succedettero un paio di Governi quadripartito (DC, PSI, PSDI, PLI), prima a guida democristiana e poi socialista. Fu in quel periodo che, con un ritmo incalzante, iniziò in Italia un radicale processo di trasformazione politico-istituzionale.

Nel giro di pochi anni si giunse, almeno apparentemente, allo smantellamento del sistema di potere che aveva dominato il Paese dal dopoguerra.

Le cause di questo cambiamento vanno ricercate, in primo luogo, in eventi di ordine internazionale, che si erano determinati anche prima del 1991, e, in secondo luogo, in eventi consequenziali interni.

Gli sviluppi della situazione politica internazionale, come già evidenziato, da sempre condizionavano la politica interna italiana e non diversamente sarebbe potuto accadere quando, nel 1989, uno dopo l'altro caddero i regimi comunisti dei Paesi dell'est europeo.

Tale processo culminò prima con la liquidazione, nel 1991, del Partito Comunista dell'URSS da parte del suo stesso segretario Mikail Gorbaciov, che già da tempo aveva iniziato una profonda riforma del sistema, poi con la dissoluzione della vecchia Unione Sovietica in luogo della quale nacquero molti Stati indipendenti neppure lontanamente paragonabili, quanto a potenza economica, politica e militare, all'URSS.

L'abbattimento del muro che divideva in due parti la città di Berlino e la riunificazione delle due Germanie simboleggiarono, forse più di ogni altro evento, la fine del cosiddetto socialismo reale e dei sistemi politici comunisti a economia pianificata dallo Stato e il superamento della divisione del mondo in due blocchi.

La contrapposizione bipolare espressa dalla guerra fredda tra USA e URSS, determinatasi dopo la seconda guerra mondiale, che aveva caratterizzato la storia del pianeta per oltre quarant'anni, venne meno per la dissoluzione di uno dei due contendenti.

Oggi la politica mondiale è dominata da una sola grande potenza, gli USA, affiancata dagli altri Paesi più industrializzati del mondo, tra cui anche l'Italia.

A questi paesi si contrappongono l'80% degli esseri umani che vivono nel terzo e nel quarto mondo, ma che, se non muoiono di fame o di malattie, sopravvivono con solo il 20% della produzione mondiale; il che basta per fare intravedere che al vecchio conflitto tra occidente capitalistico e Paesi dell'est comunista, se ne sta sostituendo un altro, non meno drammatico e dalle conseguenze imprevedibili, tra nord del mondo ricco ed opulento e sud povero e diseredato.

L'allora segretario del Partito Comunista italiano Achille Occhetto, già dal 1989, consapevole dei profondi mutamenti mondiali, iniziò un processo che portò alla creazione di un nuovo Partito, dai caratteri ancora più marcatamente riformisti, denominato Partito Democratico della Sinistra (PDS). Una parte dell'ex PCI, non volendo rinunciare alla matrice "comunista", provocò una scissione interna e costituì il Partito della Rifondazione Comunista.

Ma questo fu solo il primo di una serie di effetti a catena che i cambiamenti internazionali determinarono in Italia.

Uno di questi effetti fu senz'altro la progressiva affermazione elettorale, a partire dalla fine degli anni ottanta, di un altro nuovo Partito, la Lega Nord. Questo movimento, crollate le ideologie e abbandonata l'esigenza di ricompattarsi a tutti i costi attorno a un Partito in nome dell'anticomunismo, si batteva, molto pragmaticamente, contro la vecchia partitocrazia corrotta e consociativa e contro lo Stato centrale in nome di un progetto di tipo federalista.

Un altro probabile effetto dei mutamenti internazionali e del venire meno della paura e delle remore verso cambiamenti profondi della situazione politica nazionale, va ricercato nel ruolo sempre più attivo, rispetto al passato, che giocò in Italia in quegli anni la Magistratura rispetto al potere politico.

A parte le indagini, a cui si è già accennato, che portarono alla luce l'esistenza di Gladio, organizzazione segreta costituita per finalità anticomuniste che ora non aveva più senso di esistere, assunse, tra le tante altre, un ruolo deterrente micidiale sul vecchio sistema di potere l'inchiesta cosiddetta "Mani pulite", condotta da Magistrati milanesi sulla corruzione politica.

Le indagini, partendo da un modesto episodio di corruzione, nel giro di pochi mesi si espansero rapidamente in tutta Italia, coinvolgendo funzionari pubblici, uomini politici di prim'ordine, segretari di partito, Ministri, Deputati, Senatori, Assessori, imprenditori e organizzazioni criminali come mafia e camorra.

Si scoprì ben presto che la pratica degli imprenditori di pagare tangenti per ottenere appalti pubblici o altri favori era spesso la norma e il canale principale attraverso il quale DC e PSI e gli altri partiti di Governo si finanziavano illecitamente e si rafforzavano o attraverso il quale singoli individui avevano costruito le loro fortune personali.

Un'intera classe dirigente venne messa sotto inchiesta e, ancora una volta, nelle indagini rispuntò l'ombra di Licio Gelli. C'è da chiedersi che fine avrebbero fatto queste indagini se, come prevedeva il suo "Piano di Rinascita Democratica", il Pubblico Ministero, come per esempio, tra gli altri, il famoso PM milanese Antonio Di Pietro, che le doveva condurre, fosse in qualche modo dipeso dall'esecutivo, cioè proprio da quel potere politico che doveva essere indagato.

Comunque, iniziarono i processi e arrivarono anche le prime condanne.

Tra il 1992 e il 1993, travolti da scandali di dimensioni inimmaginabili, quasi scomparvero i vecchi partiti di governo: il PLI, il PSDI, il PRI.

Il PSI, particolarmente colpito dai reati commessi dai suoi leader, nonostante un certo cambiamento della sua classe dirigente e un mutamento del suo simbolo, subì una fortissima flessione elettorale.

Anche la DC entrò in in una grave crisi. Da una parte venne meno la sua funzione di baluardo anticomunista che le aveva sempre consentito di unificare interessi anche molto diversi; dall'altra anch'essa fu duramente colpita dalle inchieste giudiziarie sulla corruzione, ma anche sulla complicità tra suoi uomini politici e associazioni di stampo mafioso. Il Partito fu costretto ad iniziare un profondo rinnovamento che passò pure attraverso il ritorno al vecchio nome di Partito Popolare.

Fu in queste condizioni che ci si avvicinò alle elezioni politiche anticipate del marzo 1994 in cui si presentò uno schieramento nuovo denominato Polo delle libertà capeggiato da un nuovissimo partito nato dal nulla in quei mesi, Forza Italia, a cui, tra gli altri, si contrappose un altrettanto inedito schieramento denominato Progressista.

Prima di procedere all'analisi di quanto poi successivamente accaduto, è necessario soffermarsi sulle novità istituzionali di questo periodo.

Da un punto di vista dell'economia, i Governi di questi anni furono impegnati a combattere un tasso di disoccupazione sempre più elevato e un debito pubblico ormai di dimensioni ciclopiche.

Anche sull'onda delle teorie economiche neoliberiste dominanti, con un po' di ritardo pure in Italia prese l'avvio un processo di graduale privatizzazione delle principali imprese pubbliche, comprese quelle in attivo e con andamenti economici positivi.

In ossequio ai tradizionali principi liberisti, secondo i quali lo Stato doveva limitare al massimo la sua presenza sul mercato, luogo riservato esclusivamente all'iniziativa privata, il Governo italiano iniziò a liberarsi di un patrimonio inestimabile e di un importante strumento di intervento nell'economia.

Nel 1992 i Paesi aderenti alla Comunità Europea sottoscrissero il trattato di Maastricht che istituì l'Unione Europea, ponendo, tra l'altro, le basi per l'adozione di una moneta unica in Europa.

Da un punto di vista più strettamente politico-istituzionale, a fronte della incapacità già segnalata di attivare sostanziali riforme istituzionali della classe politica, alcuni esponenti di vari partiti decisero di rivolgersi direttamente ai cittadini italiani raccogliendo le firme per promuovere una serie di referendum abrogativi, tra i quali particolare rilievo assunsero quelli relativi alle leggi elettorali per il Parlamento e per i Comuni e le Province.

In particolare si richiedeva di superare il vigente sistema elettorale di tipo proporzionale introducendo un nuovo sistema elettorale maggioritario che doveva scoraggiare l'eccessiva frammentazione politica, instaurando un rapporto più diretto tra cittadini ed eletti a scapito della partitocrazia dominante, ma soprattutto doveva favorire la formazione di due schieramenti o coalizioni contrapposti che avrebbero finalmente aperto la strada a una democrazia dell'alternanza.

Per chi avesse avuto ancora qualche dubbio, la caduta dei regimi comunisti e la nascita del PDS determinarono il venir meno delle ultime pregiudiziali anticomuniste e la convinzione sempre più diffusa che solo una democrazia che avesse garantito il ricambio e l'alternanza al Governo tra maggioranza e opposizione poteva rappresentare la migliore difesa contro la corruzione politica.

Senza dubbio la "democrazia bloccata" degli anni precedenti aveva favorito la degenerazione del sistema dei partiti di Governo, con i fenomeni del clientelismo, delle lottizzazioni politiche e delle tangenti che ora venivano alla luce. Tali partiti operavano nella convinzione che la mancanza di un vero e proprio ricambio politico alla guida del Paese li avesse resi immuni da ogni responsabilità.

La presenza degli stessi uomini al potere per così lungo tempo aveva favorito anche fenomeni di tipo consociativo con le opposizioni che rendevano spesso poco trasparente e incomprensibile la politica italiana.

Il referendum abrogativo per il sistema elettorale relativo ai Comuni e alle Province non ebbe luogo perché il parlamento riuscì ad approvare nel 1993 una nuova legge che prevedeva sia l'elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Giunta provinciale che un sistema elettorale di tipo maggioritario il quale aveva lo scopo di garantire maggiore stabilità ai Governi locali.

Ebbe invece luogo il referendum abrogativo relativo alla legge elettorale del Senato che fu parzialmente abrogata con una grandissima maggioranza. A questo punto il Parlamento fu costretto ad intervenire approvando la nuova legge elettorale sia per la Camera che per il Senato, che introdusse in Italia un sistema di tipo maggioritario corretto, cioè con una quota di parlamentari da eleggere ancora in modo proporzionale.

Le elezioni politiche anticipate del marzo 1994, tenutesi sull'onda degli importanti eventi prima descritti, diedero risultati completamente nuovi rispetto ai tradizionali equilibri di potere italiani.

La nuova legge elettorale, effettivamente, favorì il formarsi di due coalizioni di partiti contrapposte che si batterono per la conquista del seggio nell'ambito della maggior parte di ogni collegio uninominale.

Da una parte si presentò lo schieramento dei Progressisti che riuniva Rifondazione Comunista, il Partito Democratico della sinistra, gli Indipendenti di sinistra, il Partito Socialista e altre formazioni minori o di recente costituzione: la Rete, i Verdi, Alleanza Democratica, i Cristiano Sociali.

Dopo molti anni la sinistra tornava ad unirsi su un programma riformista e di valorizzazione dello Stato sociale.

Dall'altra parte, in netta contrapposizione a questo schieramento, il partito di recente formazione denominato Forza Italia, creato e capeggiato dall'imprenditore Silvio Berlusconi, si rese promotore di un singolarissimo sistema di alleanze: al nord del Paese con la Lega Nord e al sud con l'ex Movimento Sociale, divenuto ora Alleanza Nazionale, che, contraddittoriamente, al nord si presentava antagonista alla stessa Lega; in alcuni casi la coalizione si estese anche ai candidati del Centro Cristiano Democratico, movimento nato da una corrente di destra dell'ex Democrazia Cristiana.

Tali alleanze, denominate Polo delle libertà al nord e Polo del buon Governo al sud, di cui Berlusconi divenne l'indiscusso leader trainante, si presentavano con un programma elettorale conservatore, di stampo decisamente liberista e con radicali ipotesi di riforma della Costituzione.

A questi due schieramenti contrapposti si aggiungevano, principalmente, uniti nel Patto per l'Italia, il Partito Popolare italiano e il Patto Segni. Quest'ultimo, ex democristiano, si era battuto più di ogni altro proprio per la bipolarizzazione della politica italiana, ma ora rischiava di soccombere schiacciato tra i due nuovi schieramenti.

I Progressisti ottennero circa il 34% dei voti; il Polo delle libertà circa il 43%; il Partito Popolare l'11% e il Patto Segni il 4,6%.

Ma l'attribuzione dei seggi, a causa dell'effetto maggioritario del nuovo sistema elettorale, nonostante la prevista quota proporzionale, accentuò ulteriormente questi inediti risultati elettorali.

Alla Camera dei Deputati ai Progressisti andarono il 33% dei seggi; al Polo delle libertà il 57%; al Partito Popolare il 5,2%; al Patto Segni il 2%.

Un vero e proprio terremoto politico senza precedenti nella storia della Repubblica italiana.

Il vincitore indiscusso della tornata elettorale risultò essere Berlusconi e ad esso il Presidente della Repubblica affidò l'incarico di formare il nuovo Governo al quale parteciparono principalmente i partiti della coalizione del Polo delle libertà che, grazie al sistema elettorale maggioritario, sia pure con solo il 43% dei voti, si apprestava a dirigere il Paese.

Per la prima volta dal 1946 il Parlamento e il Governo si trovavano dominati da partiti che non avevano collaborato alla stesura della Costituzione perché nati successivamente ad essa (Lega Nord e Forza Italia) o, addirittura, ad essa stessa ostili (Alleanza Nazionale, ex Movimento Sociale).

Fino alle elezioni politiche del marzo 1994 dominarono invece la scena politica quegli stessi partiti che avevano edificato la democrazia italiana (Democrazia Cristiana, Partito Comunista, poi divenuto Partito Democratico della sinistra e Rifondazione Comunista, Partito Socialista, Partito Socialdemocratico, Partito Repubblicano, Partito Liberale) e che erano riusciti a raggiungere ad ogni tornata elettorale almeno oltre il 70% dei suffragi e dei seggi in Parlamento. Ora la loro forza era ridimensionata, complessivamente, a meno del 50% dei voti, corrispondenti, con il nuovo sistema elettorale, per esempio alla Camera, a circa il 40% dei seggi.

L'epoca del bipartitismo imperfetto, basato sul potere della DC e dei suoi alleati e su un PCI sempre relegato all'opposizione, durata oltre quarant'anni, era definitivamente conclusa.

L'epoca di quella che, sia pure impropriamente, osservatori, giornalisti e uomini politici definiscono ora "Prima Repubblica" era giunta al termine.

La ricostruzione in questo capitolo degli eventi che caratterizzarono le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994 e della "Costituzione vivente" è stata attualmente resa possibile dal definitivo tramonto del bipolarismo mondiale Est-Ovest e dalla conclusione di un ciclo storico ormai ben definito anche per l'Italia, paese spesso drammaticamente condizionato proprio da quello stesso bipolarismo.

Servizi segreti deviati, poteri occulti e logge massoniche segrete, terrorismo e stragismo, mafia, clientelismo e corruzione politica e quant'altro ebbe a che fare con la gestione della cosa pubblica, rappresenterebbero fenomeni inspiegabili se non venissero correttamente inquadrati nella condizione storico politica italiana e internazionale dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.

In conclusione dell'esame delle vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994 è oggi possibile affermare con una certa sicurezza che poteri forti, più o meno sotterranei, e che una parte della società italiana non accettarono mai completamente le grandi idealità democratiche, liberali, socialiste e del cattolicesimo sociale che si posero a base del contenuto della Costituzione, nata dalla fine di una dittatura e di una guerra rovinosa, e che il gioco politico in quei decenni si svolse, almeno in parte, a carte truccate.

Attualmente non è ancora possibile descrivere e commentare gli eventi politico-istituzionali degli ultimi anni senza assumere il tono del cronista o del commentatore politico anziché quello dello studioso. Ma è evidente a chi scrive che l'attuale dibattito sulle riforme istituzionali e sulle importanti modifiche alla Costituzione che si profilano ormai prossime non possa prescindere da quelle conclusioni; così come non può prescindere dalle grandi idealità di democrazia, di libertà, di giustizia e di solidarietà espresse dalla stessa Carta Fondamentale e dalle promesse che esse generarono e che attendono ancora di essere pienamente realizzate.

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