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CAPITOLO IV

DALL'OTTIMISMO ALLE INQUIETUDINI: BRADBURY E LEM.

La fede nella scienza

Da un articolo del 27/12/1996: "Fu mezzo secolo fa di questi tempi che nell'America vincitrice della guerra, tra l'invenzione del transistor, la costruzione del primo computer scacchista, la diffusione della penicillina e centinaia di piccole, deliziose invenzioni (...), la fede nella tecnologia e nel futuro di progresso che essa schiude, raggiunse la massa critica che portò al fantastico boom di tecno prosperità diffusa negli anni Cinquanta e Sessanta.

Nel nuovo mondo che le scienze applicate promettevano "le macchine lavoreranno per noi, e noi uomini saremo liberi di pensare", annunciava uno slogan della IBM. E noi ci credevamo. (...) Uno dei libri più discussi di questo 1996 è un saggio scritto da un geofisico professore a Princeton, Edward Tenner, con il titolo di Why things bite back, perché le cose, le macchine, si rivoltano contro di noi e ci mordono. Nella prefazione (...) il professor Tenner cita addirittura una frase di Paul Valery, di un poeta, scritta nel 1944: "La nostra vita è diventata un esperimento scientifico che non sappiamo, e non possiamo sapere, dove ci condurrà". Ma Valery lo sa benissimo, e così Tenner: a niente di buono."(1)  

A riprova del fatto che la fantascienza, che nasce come fenomeno di massa appunto, precisamente cinquanta anni fa, partecipa totalmente di queste mutazioni del settore collettivo, anticipandone anzi il più delle volte umori e tendenze, vediamo come nel corso del tempo si è evoluto e problematizzato l'atteggiamento di essa nei riguardi della scienza e, soprattutto, della tecnologia.

Secondo l'opinione di molti profani, la science fiction coincide con i viaggi spaziali e l'esplorazione dell'universo. Certamente ciò non è vero, ed esiste una larga fetta di S.F. in cui questo aspetto è assente; eppure il sogno del volo spaziale è stato l'anima della ingenua fantascienza che dal 1926 in poi si diffondeva tramite i giornaletti e le riviste. Si tratta del cosiddetto "sense of wonder", il fanciullesco stupore di fronte alle meraviglie del cosmo e alla scienza che ci permetteva di esplorarlo, fornendoci le chiavi di questo scrigno.

Tale aspetto favolistico è tratteggiato in un racconto di John Varley, "Lo spacciatore". "Era una storia meravigliosa. C'erano castelli incantati in vetta a montagne di vetro, caverne sottomarine, flotte di astronavi e cavalieri splendenti in groppa a cavalli che volavano attraverso la galassia. C'erano alieni malvagi, e c'erano alieni buoni. C'erano pozioni drogate. E c'erano mostri squamosi che si avventavano dall'iperspazio per divorare i pianeti. E in quel turbine giganteggiavano il Principe e la Principessa."(2)  

In questo senso alcune opere di S.F. possono costituire una lettura affascinante per i ragazzi; e concepiti per i giovani sono alcuni fortunatissimi "juveniles" di Robert Heinlein, Starman Jones del 1953 e Cittadino della Galassia del 1957. Essi sono tipici romanzi di formazione, su modello delle fiabe classiche, in cui un giovane eroe supera una serie di prove e di avventure per realizzare la propria esistenza, sul quadro di una grande civiltà galattica, tra schiavi, mendicanti, agenti segreti, astrogatori e Liberi Mercanti in viaggio tra le stelle.

Eppure anche la stretta aderenza alla realtà scientifica, caratteristica della cosiddetta fantascienza "dura", offre già da sola spunto per incredibili "meraviglie". I più avidi lettori di S.F. sono sempre stati gli scienziati, come già scoprì negli anni '40 John Campbell, direttore della rivista "Astounding". Infatti, le maggiori vendite della sua rivista erano concentrate nella cittadina di Huntsville, base dell'esercito ove risiedevano gli scienziati americani e quelli tedeschi ivi rifugiatisi. Il primo esempio di S.F. "tecnologica", dopo il periodo avventuroso e fumettistico alla "Flash Gordon" è forse A Martian Odyssey di S.G. Weinbaun del 1934, ove la preoccupazione per l'attendibilità scientifica è unita a una storia avvincente e ben costruita.

Su questa linea hanno proseguito un gran numero di scrittori-scienziati, tra cui spiccano Isaac Asimov per la genialità di invenzioni e la mostruosa abilità divulgativa, e Larry Niven, che unisce precisione scientifica a una sbrigliata fantasia. La science fiction ha aperto in tal modo sempre nuove frontiere all'immaginazione.

Come ha scritto Jack Williamson: "La fantascienza tende a seguire i confini della nostra conoscenza, e quindi muta di continuo. Quando io ho cominciato a scrivere, si potevano ancora immaginare civiltà perdute sul nostro pianeta. L'energia atomica e il volo nello spazio erano fantasie. Sembrava ancora possibile che Venere o Marte fossero abitati. Queste, e molte altre cose, sono cambiate, ma le nuove frontiere si aprono più in fretta di quanto non si chiudano le vecchie. (...) Segni di vita intelligente nelle radiazioni infrarosse, gusci intorno al sole per intrappolarne e sfruttarne l'energia..."(3)

Lo stesso Williamson è un esempio di come la science fiction abbia preceduto e dato impulso alle stesse teorie scientifiche. Scrive Fabio Pagani in un articolo: " Fin dagli anni Trenta e Quaranta Campbell, Hamilton, Williamson s'ingegnavano a immaginare vortici di energia nello spazio, distorsioni spazio-temporali verso cui le astronavi erano attirate senza scampo.

Williamson, riprendendo in mano (nel 1967) l'epopea della Legione dello Spazio, aveva addirittura intravisto l'esistenza di buchi neri sulla scorta dei primi dati scientifici allora appena disponibili: "Il ventre nero della creatura era il cuore dell'anomalia, la regione dove tutti gli strumenti si guastavano. Le zampe purpuree che si allungavano da essa erano le zone catalogate delle forze gravitazionali anomale. Le linee luminose della rete erano linee di forza magnetica che si stendevano ormai molto al di là del piccolo cerchio luminoso che indicava la posizione di Spazio-No."

Oggi gli astrofisici usano lo stesso linguaggio degli scrittori di fantascienza, offrendo fantastiche estrapolazioni..."(4).   

Il senso del grandioso

Lo scrittore che più ha saputo coniugare le sue profonde conoscenze scientifiche con l'abilità di narratore, creatore di immagini e di intrecci, è stato forse l'inglese Arthur C. Clarke, laureato in fisica, matematica e astronomia applicata, scienziato universalmente stimato ed eccellente divulgatore.

Clarke, nel solco tracciato da Campbell e allo stesso modo di Isaac Asimov, vede nella scienza, intesa come "conoscenza", il motore dell'esistenza umana e delle sue possibilità di miglioramento, ed ha l'entusiasmo di un illuminista del ‘700. Riesce inoltre a comunicarci il senso del meraviglioso con descrizioni magicamente vivide dell'universo, affascinanti proprio perché tecnicamente correttissime, e a proiettarci in un futuro prossimo e possibile.

Ha scritto di lui il collega Niven che Clarke è stato l'unico a farci "sentire" Giove, nel bellissimo racconto Incontro con Medusa (A Meeting With Medusa, 1971), con le fantastiche immagini di Giove e delle creature fluttuanti e multicolori, simili a meduse terrestri, che lo popolano. Egli ha avuto anche le capacità culturali e letterarie, nel racconto Maelstrom 2, del 1962, di paragonare la caduta di un astronauta nel gorgo cosmico di un buco nero alla vicenda del maelstrom che risucchia il protagonista in un celebre racconto di Poe.

Esempi di questa magnificienza descrittiva di Clarke si possono trarre dal celeberrimo romanzo 2001 Odissea nello spazio, che ha costituito anche la sceneggiatura dell'omonimo film di Kubrick.

Ecco come descrive Giove: "Giove colmava ormai l'intero firmamento; era così enorme che né la mente né lo sguardo riuscivano più a afferrarlo e sia l'una che l'altro avevano rinunciato al tentativo. Se non fosse stato per la straordinaria varietà di colori, i rossi e i rosa, i gialli e i salmone e persino gli scarlatti, dell'atmosfera sotto di loro, Bowman avrebbe potuto credere di sorvolare una cappa di nubi sulla Terra. (..) Fiochi fiumi di luce scorrevano da un orizzonte all'altro, come scie luminose di navi su qualche mare tropicale"(5)

Ed ecco come appare il panorama dall'astronave: "Si estendeva la Via Lattea, con le sue nubi di stelle tanto strettamente stipate da stordire la mente. Vi erano le ardenti nebbie del Sagittario, quei brulicanti sciami di soli che in eterno sottraevano agli sguardi umani il cuore della Galassia. V'era la sinistra ombra nera detta "Sacco di carbone",quel foro nello spazio in cui nessuna stella splendeva "(6).

Eppure Clarke, per la fondatezza delle sue previsioni nel campo tecnologico, può essere paragonato  al grande Jules Verne. Ad esempio, è stato il primo a prevedere, e a progettare, l'uso dei satelliti artificiali per le comunicazioni, e per questo ha vinto il premio messo in palio dall'associazione Marconi per la scienza e la tecnologia delle comunicazioni. Un altro omaggio a Clarke è recentemente venuto dal Consiglio d'Europa, che ha istituito nell'ambito dell'Agenzia spaziale europea un sofisticato sistema di avvistamento di asteroidi e altri corpi celesti in rotta di collisione con la Terra, battezzandolo Space Guard.

Fu nel libro Incontro con Rama, del 1973, che lo scrittore immaginò la creazione di una agenzia internazionale, la Space Guard appunto, con lo scopo di proteggere la Terra da eventuali collisioni.

Con Clarke dunque si razionalizza e si combatte con pratici metodi scientifici l'atavica paura del cosmo che ci crolla addosso, già sviluppata nei terrificanti racconti "Eiros e Charmion" di Edgar Allan Poe e "La stella" di Herbert G. Wells. Generalmente dà un senso di calore e di ottimismo leggere le storie di Clarke, ambientate spesso in una comunità di scienziati, uomini con le proprie debolezze umane, certo, ma razionali e saggi, il meglio che la razza umana possa produrre, un vero "gruppo-guida" per il resto del genere umano.

E così visitiamo in Ombre sulla luna (Earthlight, 1957) un insediamento stabile sulla Luna, in un ambiente a clima terrestre sotto cupole pressurizzate, con le abitudini, i costumi e le difficoltà degli scienziati che ivi abitano. Forse la recente scoperta di un lago ghiacciato sulla Luna, se confermata, permetterà presto la realizzazione di un simile colonia essenziale per i futuri viaggi spaziali.

Ancora più azzardata la colonia stabilita su Marte nel romanzo Le sabbie di Marte (The sands of Mars, 1951); anche qui una vita condotta sotto le cupole, pioneristica ma tutto sommato dignitosa e semplice , nonostante le beghe burocratiche, le ambizioni e le lotte di potere. Attualmente la NASA sta progettando di poter trasformare il pianeta Marte proprio secondo i suggerimenti di questo vecchio libro, "terraforming" l'ambiente marziano attraverso un effetto serra indotto e l'introduzione di alghe verdi-azzurre per creare una atmosfera respirabile.

La conquista del cosmo

Come Clarke, molti altri autori hanno immaginato gli sviluppi della vita umana nello spazio, tra difficoltà e prospettive esaltanti, con susseguenti problemi economici e anche politici tra la madrepatria Terra e i coloni sparsi su altri mondi.

Si verificheranno sicuramente situazioni difficili per l'organismo umano, che dovrà adattarsi all'assenza di gravità o ai diversi ambienti planetari; forse si svilupperanno esseri umani con organi modificati o con un diverso metabolismo , cioè mutazioni e tipi umani diversificati per la vita oltre la Terra. Sicuramente interverranno fenomeni negativi quali il disadattamento, la solitudine, la nostalgia, e occorrerà porvi rimedio.

Gli scrittori di science fiction hanno affrontato tali problemi; ed altri ancora maggiori quando hanno inteso trattare dell'esplorazione dei mondi oltre il nostro sistema solare, attraverso l'abisso dello spazio interstellare.

Basta pensare che la stella a noi più vicina, Alpha Centauri, dista più di quattro anni-luce, e con le velocità conosciute attualmente occorrerebbero più di cento anni di viaggio.

Sono state immaginati diversi tipi di astronavi, ognuna con un particolare sistema propulsivo e una propria velocità. La prima è la nave generazionale, come in Universo di Robert Heinlein del 1955, un vero e proprio mondo che ospita una colonia di pionieri per generazioni;un'altra è l'astronave che, potendo raggiungere solo una piccola frazione della velocità della luce, ha passeggeri "ibernati", in animazione sospesa.

Nel racconto Alpha del Centauro (Far Centaurus, 1944) di Alfred Van Vogt, gli astronauti passano 500 anni in animazione sospesa; quando giungono ad Alpha Centauri trovano ad attenderli coloni terrestri, essendo state inventate dopo la loro partenza astronavi più veloci della luce.

Il terzo tipo di astronavi può raggiungere dal 50 al 95 per cento della velocità della luce; ma qui la fisica einsteiniana ha previsto la cosiddetta contrazione di Fitzgerald. A bordo delle navi il tempo si contrae, e il viaggio fino ad Alpha Centauri può durare per loro sei settimane, mentre al ritorno sulla Terra scoprono che sono passati nove anni.

Un romanzo basato tutto su queste incongruenze temporali è Le due facce del tempo di Robert Silverberg, del 1959. Qui si immagina che si formi un abisso di diversità e di avversione tra i terrestri, legati al proprio pianeta d'origine, e gli uomini dello spazio, che trascorrono la propria vita viaggiando tra stella e stella.

Questi ultimi trovano ad ogni ritorno una Terra terribilmente invecchiata, per loro incomprensibile ed estranea. Poul Anderson, americano di origini scandinave, ha descritto nel bellissimo Tau Zero il viaggio di una astronave che, per un guasto, si avvicina sempre più alla velocità della luce.

All'inizio il cosmo è familiare, e splendido nelle descrizioni: "Le stelle popolavano quella notte, senza lampeggiare, e il loro fulgore aveva una freddezza invernale (...). Il blu acciaio di Vega, l'oro di Capella, l'ambra di Betelgeuse (..) La notte era una giungla di soli. La via Lattea cingeva il firmamento con una cintura di ghiaccio e argento; le Nubi di Magellano non erano vaghi luccichii ma bagliori incandescenti.. (...) Si aveva l'impressione che la propria anima annegasse in quelle profondità"(7)

Allorché si verifica il guasto accade l'incredibile. "In quel momento all'esterno trascorrevano anni mentre all'interno scattavano minuti. Il cielo non era più nero; era di un porpora luccicante, che si faceva più profondo e più brillante man mano che i mesi interni trascorrevano: perché l'interazione dei campi di forza e del corpuscolo interstellare - alla fine, il magnetismo interstellare - stava liberando particelle quantiche.

Le stelle più avanti si stavano unendo in due globi, di un azzurro fammeggianti avanti, di un profondo cremisi dietro"(8 ).( )Infine,  abbiamo astronavi che hanno una durata di viaggio istantanea, non più condizionata dalla velocità della luce, usando curvature o "distorsioni" spazio-temporali, attraverso "balzi" interstellari diretti da sistemi di astrogazione, o riemergendo attraverso "buchi neri" in altri punti dell'universo. In tali condizioni, è possibile colonizzare innumerevoli mondi fino a costituire civiltà galattiche, addirittura imperi. Ci riferiamo alle incredibili vertigini comunicate dall'Impero Galattico di Isaac Asimov nel ciclo della "Fondazione", del 1953, che si estende su 25 milioni di pianeti abitati, con una popolazione di 5 milioni di miliardi di persone. Si tratta forse dei romanzi più celebri di tutta la fantascienza, che costituiscono un grandioso affresco storico, ispirato alla caduta dell'Impero Romano.

E ancora l'altrettanto famoso ciclo di Dune, di Frank Herbert, del 1965, ove viene ricreato un intero mondo, sviluppando gli elementi sociali, politici, religiosi, ecologici del desertico pianeta Arrakis, detto per la sua aridità Dune. Questa perfetta "creazione" di un mondo può essere definita come una immane opera di ingegneria narrativa. E ve ne sono altri esempi: il ciclo "hainita" di Ursula K. Le Guin, o l'universo immaginato dal giovane autore David Brin nel suo Le maree di Kithrup (1983), con enormi imperi coloniali e multiciviltà galattiche. In quest'ultima opera, come anche nella serie di opere di Larry Niven sullo "known space" (spazio conosciuto) e nell'altro grande romanzo che descrive un Impero Galattico (La strada delle stelle di Niven e Pournelle) sono presenti civiltà aliene.

Il primo contatto

Eccoci quindi ad un altro dei temi centrali della science fiction, l'incontro con altri esseri viventi fuori dalla Terra, magari altre civiltà. L'atteggiamento comune, nell'ambito della fantascienza, è accettare ogni forma di vita, nella molteplicità delle sue manifestazioni, ed esaltarla in massimo grado rispetto alla materia inerte, nel suo sviluppo nelle condizioni più ostili. La S. F. si è sempre interrogata sul ruolo e la posizione dell'umanità nell'universo.

La Terra è l'unico pianeta sul quale si è evoluta una forma di vita intelligente, oppure il cosmo è popolato da altre razze, addirittura da altre civiltà infinitamente più progredite? E, se l'umanità è solo una delle innumerevoli razze intelligenti, sarà mai possibile un "contatto" con loro? Dovremo in tal caso metterci a confronto con altre creature chissà forse quanto diverse e incomprensibili, inventando un modo per comunicare, conoscere e affrontare l'"altro".

Che possibilità abbiamo di comunicare con loro, dal momento che differenze culturali minime scatenano qui sulla Terra incomprensioni e scontri feroci tra i diversi popoli?

Esistono diversissimi modi di trattare un tale argomento, e tutti sono stati adoperati dagli scrittori di fantascienza. Il primo è considerarlo alla stregua di speculazione scientifica sull'evoluzione della vita nei vari mondi. Isaac Asimov, grande professore di biochimica oltre che scrittore di Science Fiction, si è più volte chiesto se altrove la vita sia, come la nostra, basata sul carbonio.

E, nel libro di divulgazione Solo un trilione, del 1957, ha contemplato la possibilità di una evoluzione basata sul silicio o su altre basi chimiche completamente diverse dalla nostra, cioè non nucleo - proteiche. Vi potrebbero essere organismi che non vivono, come noi facciamo, in un sistema ciclico acqua/ idrogeno/ ossigeno. Sulla Terra le piante, grazie all'energia del sole, scindono l'acqua in idrogeno e ossigeno, immagazzinando il primo sotto forma di composti (amidi).

Potrebbero esistere piante che respirano acido fluoridrico e lo scindono in idrogeno e fluoro, oppure che vivono con lo zolfo (respirando anidride solforosa, immagazzinando ossigeno ed espellendo lo zolfo). Scenari sconvolgenti, anche se poco probabili.

In definitiva la nostra biochimica, basata su lunghe catene di carbonio, è la più efficiente: le tracce di idrocarburi trovate nelle comete e (forse) sul pianeta Marte ci fanno pensare che i nostri "vicini" (per modo di dire) non siano poi così irrimediabilmente diversi. Certo il loro aspetto è inimmaginabile se pensiamo alle immense varietà di forme che un solo mondo, la nostra Terra, ci offre.

Riguardo alla recentissima scoperta, da parte dei ricercatori della Nasa, di tracce fossili di idrocarburi policiclici aromatici su una roccia marziana, basta dire che già nel 1957 Asimov riteneva probabile la vita su questo pianeta: "C'è vita su Marte? Nonostante tutti i contrasti, nonostante la povertà del pianeta, la risposta sembra essere: probabilmente si"(9)

Nell'agosto 1996 ancora la Nasa annunciava la scoperta, attraverso i dati trasmessi dalla sonda Galileo, di preziosa acqua allo stato liquido che emergerebbe dal mantello ghiacciato di Europa, uno dei satelliti di Giove. E, dove c'è acqua, con molta probabilità esiste la vita. Diventano quindi improvvisamente profetiche le pagine che Artur C. Clarke ha dedicato alla vita su Europa, nel libro 2010, Odissea 2, del 1982. Egli scrisse: "Era un mondo oceanico, le cui acque nascoste venivano protette dal vuoto dello spazio mediante una crosta ghiacciata (...) I fluidi bollenti respingevano il gelo mortale che si diffondeva dall'alto, e formavano un'isola di tepore sul fondale marino.

Conseguenza altrettanto importante, facevano affluire dall'interno di Europa tutte le sostanze chimiche della vita. (..) Tra esse strisciavano bizzarre lumache e strani vermi; alcune di quelle creature si alimentavano con le piante, altre ricavavano il cibo direttamente dalle acque sature di minerali."(10).   

Un gran numero di scrittori si sono ingegnati ad inventare, a costruire modelli simulati di sistemi ecologici alieni: ne ricordiamo due, nei racconti  Missione Arcadia (Student Body, 1953) di Floyd L. Wallace e Grandpa, 1955 di H. Schmitz; entrambi dal volume Nove vite - La biologia nella fantascienza, del 1985.

Alfred E. Van Vogt ha immaginato in un suo celebre romanzo (The voyage of "The Space Beagle",1951) che una nave spaziale, chiamata "Space Beagle" a ricordo della nave di Darwin, vaghi nell'universo in cerca di esseri intelligenti alieni: e vi sono figure potenti di extraterrestri: Coeurl, Ixtl, i Riim, Anabis.Ixtl è talmente somigliante al mostruoso protagonista del film "Alien", di Ridley Scott, che Van Vogt intentò una causa per plagio contro i realizzatori del film.

Le razze intelligenti aliene inventate poi da Larry Niven sono veramente inaudite e stravaganti: gli Kzinti tozzi, gli esili Jinxiani, i tecnici Tnuctip e soprattutto i cosidetti Burattinai, centauri a tre gambe, con due colli e due teste infilati sulle mani.

Dal punto di vista conoscitivo le narrazioni più interessanti sono quelle che coinvolgono vere e proprie culture aliene meticolosamente descritte. Queste opere, come efficacissime "simulazioni" mentali, ci danno la capacità di immaginare, prevedere un contatto che in futuro si potrà anche verificare.

E comunque ci offrono una possibilità preziosa: riuscire a vederci dal di fuori, attraverso altri occhi. I Minerviani, gli alieni immaginati da James P. Hogan in Chi c'era prima di noi (1978) provengono da un pianeta su cui, in conseguenza di un particolare effetto - serra, gli organismi risultano velenosi: così, su di esso non si sono sviluppati i carnivori. Non vi è stata la spietata "lotta per la vita" che si è condotta sulla Terra, e gli alieni sono esseri molto sociali che non conoscono la competitività esasperata. Allorché questi esseri arrivarono alle giungle selvagge della Terra primitiva e conobbero mostri spietati quali i dinosauri, l'effetto fu sconvolgente. Chiamarono la terra il Pianeta dell'Incubo; e anche gli aspetti feroci della storia umana fanno loro orrore.

Un eccellente quadro di contatto pacifico con una specie intelligente aliena è dato da La strada delle stelle di Niven e Pournelle.

Qui gli umani e gli alieni si studiano con curiosità, paragonando la rispettiva fisiologia corporea, e scambiando i dati della propria cultura. "L'alieno si muoveva davanti a lui, con un'andatura graziosa come quella di un delfino. La sua pelliccia era un miscuglio di strisce brune e bianche: quattro chiazze più bianche spiccavano sull'inguine e sulle ascelle. Whitbread lo trovava bello. (..) Gli alieni seguirono con le dita l'andamento delle ossa del suo scheletro: costole, spina dorsale, la forma della testa, il bacino, le ossa dei piedi." E ancora: "Alle lezioni partecipavano tutti. Gli umani facevano a gara per insegnare più parole agli alieni. Indicavano gli oggetti e ne pronunciavano il nome: I Moties avevano una memoria prodigiosa ... la scala totale delle loro voci era stupefacente".(11)  

Anche questo libro, come Dune, è un'opera di ingegneria inventiva. I due autori hanno descritto in seguito il loro metodo di costruzione del romanzo. "Dovemmo inventare i pianeti. In base alla fisionomia dei Motie, dovemmo inventare la tecnologia, la storia e le usanze degli alieni. Larry Niven dovette imparare i fondamenti della storia millenaria della cultura interstellare creata da Jerry Pournelle. (...) Molti scrittori di fantascienza seguono regole fisse nell'inventare i mondi. Noi abbiamo formule e tabelle per determinare le orbite senza errori, per scegliere le stelle adeguate, per definire le temperatura e il clima, per creare ecologie plausibili. (...).

La storia, la biologia, l'evoluzione, la sociologia e la cultura dei Motie, derivarono dalla forma di quell'alieno." (12)  

Un suggerimento: la raffinata tecnica utilizzata dagli autori di S.F. per ipotizzare e visualizzare altri mondi potrebbe essere utilizzata nelle scuole attraverso appositi programmi di computer. Con molta probabilità risulterebbe un metodo coinvolgente ed efficace  per l'apprendimento.

L'irruzione del fantastico.

Finora abbiamo parlato di contatti pacifici, come nel film "E.T.", di scambi tra culture; ma il più delle volte gli alieni sono stati raffigurati come mostri, dal romanzo di H.G. Wells La guerra dei mondi, del 1898, fino al recentissimo film Independence Day, che in alcuni tratti si riallaccia a questo libro. Sono storie di invasioni, di attacchi vampireschi, di possessioni quasi diaboliche; per capirne il significato dobbiamo riferirci all'influenza della "ghost story", del romanzo gotico, dell' "Horror". Basti dire che le orripilanti fattezze del protagonista di Alien si sono ispirate ad un'illustrazione del sommamente orrorifico Necronomicon di H.P. Lovecraft.

Il libro Il terrore della sesta luna di R. Heinlein richiama le possessioni diaboliche: infatti gli alieni sono disgustosi parassiti, simili a molluschi, che si attaccano alla schiena di un umano e ne controllano la mente. "Qualcuno di voi ha ancora sembianze umane, ma in realtà è un automa, un fantoccio mosso unicamente dalla   volontà del nemico più mortale che gli uomini abbiano mai avuto".(13)

Questo libro è del 1951; nel 1953 Philip. K. Dick scriveva il racconto L'impiccato, in cui gli abitanti di una cittadina, pur conservando un aspetto umano, hanno la mente "morta, controllata"(14)

Ancora due anni dopo Jack Finney varierà lo stesso tema con il romanzo Gli invasati, che l'anno dopo diventerà film con la regia di Don Siegel: il celebre L'invasione degli ultracorpi (The invasion of the body snatchers, 1956). "E poi tutti risero piano, scoprendo i denti, gli occhi beffardi e freddi, e seppi che non erano né Wilma né lo zio Ira né la zia Aleda, e neanche il padre di Becky. Seppi che non erano creature umane..."(15

Un altro film famoso, Il villaggio dei dannati, del 1960, verrà tratto dal romanzo dell'inglese John Wyndham del 1957, I figli dell'invasione dove la minaccia è ancora più subdola, e avviene tramite i bambini, i propri figli.

L'autore "fantastico" che ha ispirato le opere di qualità più elevata della science fiction, è stato sicuramente Edgar Allan Poe.

Nonostante la sua esaltazione del bizzarro e gli influssi gotici su alcuni suoi racconti, Poe per primo adopera un preciso e freddo linguaggio scientifico, che serve a far risaltare al massimo l'orrore finale. E questo orrore non viene dall'esterno, bensì dall'interno del protagonista, dalla sua mente, dalle sue allucinazioni. Si tratta quindi di una esplorazione dei recessi più profondi dell'animo, dei suoi terrori, delle sue fantasie, attraverso fenomeni soggettivi, psichici. Non c'è nulla di metafisico e di religioso; è in questo senso laico che Poe si inserisce a pieno titolo come anticipatore della fantascienza moderna, nella sua sete di conoscenza, nella sua "esperienza del limite" cosiddetta.

I temi dello specchio, del "doppio", molto presenti in Poe, trovano il loro culmine nel 1886 con The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, di Rober Louis Stevenson, divenuto assolutamente proverbiale nell'esplicitare il perenne dualismo dell'animo umano tra bene e male.

La metamorfosi che una pozione, inventata negli alambicchi di un laboratorio, provoca nello stimatissimo medico Jekyll, trasformandolo nel ripugnante e satanico Hyde (separazione assoluta tra il principio del bene e quello del male) anticipa quella che sarà la terrificante Metamorfosi di Franz Kafka, scritta nel 1912. Di essa abbiamo già parlato e lo faremo ancora in seguito, poiché è del tutto fondamentale nello svolgersi della S.F. L'autore di fantascienza che più prosegue in questo viaggio all'interno dell'animo umano è Ray Bradbury, nelle opere che vanno dagli anni '40 in poi.

Ray Bradbury

Ray Bradbury accenna molte volte al debito che sente nei confronti di Poe, i cui racconti gli venivano narrati da bambino,; inoltre egli è stato il primo autore di science fiction ad essere assunto senza problemi nella "grande" letteratura, per il suo stile raffinato e originale, per il suo modo di raccontare estremamente evocativo. Bradbury, diversamente dalla maggior parte degli autori di fantascienza, ha adoperato immagini e modelli di essa per inserirli nella secolare tradizione americana del fantastico, inclusi Hawthorne e Poe. Nel suo celebre Fahrenheit 451, del 1953, i libri che vengono più perseguitati e gettati al rogo sono quelli di Edgar Allan Poe, Ambrose Bierce, H.P. Lovecraft, ritenuti pericolosi per il loro evocare le zone dell'inconscio.

Così, nel racconto Gli esuli, del 1951, gli spiriti di questi grandi maestri della letteratura fantastica, cantori del magico, dell'irreale, dell'incubo, nascosti su Marte, si spengono a mano a mano che viene distrutto l'ultimo ricordo delle proprie opere. "I libri su questi orridi argomenti furono distrutti un secolo fa. Per legge. Fu proibito a tutti di possedere quei volumi macabri. I libri che vedete qui sono le ultime copie, conservate per fini storici nei sotterranei blindati..." E Bierce, Blackwood, Poe gridano disperati: "Quei giovani astronauti con le loro tute antisettiche, i loro caschi tondi, la loro nuova religione!

Attorno ai loro colli, bisturi appesi a catene d'oro (...) che in realtà non sono altro che forni germicidi per scacciare la superstizione.."(16)

In Cronache Marziane un lettore appassionato di Poe fa costruire su Marte una perfetta riproduzione della Casa Usher per vendicarsi di ciò che è stato fatto ai libri di Poe sulla Terra; e la casa diviene una trappola mortale che uccide nei modi più orripilanti, seguendo alla lettera i racconti di Poe, i suoi persecutori.(17

Certamente fanno pensare a Poe i racconti di suspence tipici di Bradbury, e la sua tendenza per il macabro e il nero in raccolte come Dark Carnival e Paese d'Ottobre. Egli è essenzialmente un narratore dell'inconscio, che trae la sua ispirazione migliore dall'atmosfera dell'infanzia, e ambienta le sue storie in tranquille cittadine americane simili a quella in cui lui è nato.

Bradbury è stato un maestro nel trasfigurare gli incubi che occupano l'animo infantile. Passa in un attimo da descrizioni dolcissime di ricordi, suoni e profumi dell'infanzia a una atmosfera da incubo, all'horror .

Molto riusciti ad esempio sono i racconti In trappola e I miracoli di Jamie, magistrali per la descrizione dei processi mentali tipici dei ragazzi e degli adolescenti. "Ci precipitammo lungo sentieri che avevamo tracciato in molte estati nel corso degli anni. L'erba vi cresceva a stento; conoscevamo ogni sasso, ogni tana di serpente, ogni albero, ogni liana, ogni cespuglio. Dopo scuola avevamo  costruito capanne sugli alberi, alte sopra il ruscello scintillante. ."(18)

Il lato oscuro dell'infanzia era un'esperienza personale di Bradbury, che parla delle sue paure di bestie minacciose e di spettri. In un articolo del 1950 ha lasciato scritto: "Non occorre essere adulti per capire quanto si sia soli nel mondo". Nel racconto Delitto senza castigo un uomo adulto progetta di uccidere per vendicare le offese subite da bambino. " I tormenti che si infliggono i ragazzi, incredibilmente malvagi.. (..) Mi ricordai di una primavera in cui andavo a scuola con un vestito alla zuava di tweed nuovo di zecca e Ralph mi scaraventò per terra facendomi rotolare nella neve e nel fango. E Ralph che rideva e io che tornavo a casa, pieno di vergogna, coperto di sudiciume, spaventato all'idea delle botte, per cambiarmi d'abito."(19

Spesso il macabro è associato alle sensazioni cupe dell'ottobre, ai terrori della festa di Halloween con il corteo di streghe e di esseri infernali, nonché all'ambiente apparentemente gioioso e luccicante delle giostre e dei circhi, che in lui prelude a orrori indicibili in Il popolo dell'autunno, del 1962.

Bradbury è ben cosciente del fatto che l'animo infantile non è soltanto solare, che a volte i bambini possono essere dei piccoli mostri. Antonio Faeti, studioso della letteratura per l'infanzia, fa notare in suo libro come anche Orwell parli dei bambini in modo spietato e sognante insieme: "La verità è che i bambini non sono affatto poetici, sono solo piccole belve feroci, con la differenza che le belve non hanno nemmeno un quarto del loro egoismo. Un bambino non sa che farsene di prati e boschetti. (...) Uccidere è tutto ciò in cui si incarna la poesia dei bambini.

Eppure c'è sempre in essi quell'intensità peculiare, la capacità di desiderare follemente cose che da grandi non si sognano più, e la sensazione che il tempo davanti a voi non abbia fine, e che  qualunque cosa facciate potreste continuare a farla per sempre. "(20)

Leggiamo ancora in un altro libro di Antonio Faeti molte pagine dedicate a Roald Dahl, che ha in comune con Bradbury il gusto dell'orrore e insieme le rievocazioni dolcissime delle atmosfere dell'infanzia.

Ed ancora: "Il gusto dell'orrore trova probabilmente dentro di noi una zona ancora inesplorata, fatta di ricordi ancestrali, di riconoscimenti che hanno dello stregonesco, di reminiscenze che affiorano improvvise negli incubi e sogni notturni per dissolversi alle prime luci del giorno ". E viene enunciata la "legge generale del grottesco, che (..) si attua ogni volta che il comune concetto di questo mondo e di al di là si dissolve in un imprevisto o in un assurdo. (..) Siamo anche qui nel dominio del non-esistente, del possibile, della esperienza pensata; di fronte ad una delle tante risposte che postulano la domanda: che accadrebbe se". Questa definizione fa rientrare tali opere pienamente nell'ambito della science fiction. Inoltre Faeti parla del gusto giovanile attuale per lo "splatter" e il saguinolento, delle nuove collane "horror" per ragazzi che sorgono a vista d'occhio. Egli pensa che la letteratura per ragazzi non può evitare di offrire anche l'"horror", perché deve confrontarsi con gli infiniti sentieri orrorifici in cui vengono condotti ogni giorno i ragazzi, anche dal telegiornale. Anzi deve far forma, plasmare, costruire identità narrative in un ambito che, altrimenti, verrebbe abbandonato alla glaciale visività da "morgue".(21)   

Volendo tornare a Bradbury, non si può tralasciare uno dei suoi racconti più famosi, Il piccolo assassino, del 1952, da cui fu ricavato, nel 1974, il film "Baby Killer" (di L. Cohen). Vi si parla di un bambino che possiede l'intelligenza e la malvagità di un adulto, e che a pochi mesi di età, strisciando di notte per la casa, uccide entrambi i genitori.

Il tema del bambino come essere "diverso", incomprensibile, "mutante", è tipico della S.F. Leggiamo in un racconto di Henry Kuttner:"Il bambino va alle radici delle cose ..(...) Egli è un piccolo animale egoista che non sa visualizzarsi nella posizione di un altro, certamente non in quella di un adulto. Unità autonoma, quasi perfetta, i cui desideri sono esauditi dagli altri, il bambino è molto simile a una creatura unicellulare del sangue umano, il cui nutrimento e i cui prodotti di rifiuto gli arrivano e vengono asportati dall'esterno. Dal punto di vista logico, il bambino è un essere orribilmente perfetto. Un neonato probabilmente lo è ancor più, ma tanto alieno per un adulto che si possono applicare soltanto modelli superficiali di paragone. I processi del pensiero di un infante sono totalmente inimmaginabili ..." (22

Alfred Bester nel racconto Stella lucente, stella splendente racconta di un bambino che con il gioco di esprimere desideri fa sparire intorno a sé tutti quelli che gli causano fastidio; in Figli della terra di Sharon Webb e in Noi tre di Dean R. Koontz una generazione mutante entra in conflitto con la precedente. Nel primo racconto, i bambini vengono perseguitati dai "normali" ("Il mondo dichiarò guerra ai suoi figli..."); nel secondo, i tre fratelli mutanti uccidono con la più totale freddezza i loro genitori. "Jonathan, Jessica e io facemmo rotolare nostro padre lungo la sala da pranzo (..) Ci fu qualche difficoltà (..) perché era piuttosto rigido. (..) Gli rifilammo dei calci fin che si piegò nel mezzo.." (23  )

Racconti simili hanno fatto molto discutere, e del resto anche il già citato I figli dell'invasione (con la trasposizione filmica Il villaggio dei dannati) è stato sempre considerato esprimere l'inquietudine del mondo adulto nei confronti dell'infanzia e dell'adolescenza allorché essa si situa come "gruppo", con propri linguaggi e comportamenti, con una forza dirompente e "aliena".

L'ambivalenza verso i propri figli e la corrispondenza tra dare e ricevere violenza è l'argomento dell'agghiacciante Nato d'uomo e di donna, di Richard Matheson. Assolutamente in soggettiva, la storia è vissuta da un essere mostruoso e deforme, tenuto legato e nascosto dai suoi familiari, che si esprime con un linguaggio primordiale e ci fa alternare l'orrore con la compassione. Matheson, la cui opera spazia tra gli anni '50 e i '70, è tra i più validi e originali rielaboratori della Horror Story. Ha tratto molto da Bradbury, e molte sue storie richiamano Kafka e Poe; tuttavia le sue evocazioni inquietanti e angosciose sono assolutamente calate nella realtà del nostro tempo. Lo stile è secco e incisivo, e l'autore lavora su "montaggi" in flashback alternati tra passato e presente. Egli  ha una capacità di creare "suspence" eccezionale; infatti ha lavorato per il cinema, e sono sue un gran numero di sceneggiature.

Ricordiamo House of Usher, con il regista Corman, un buon numero di episodi della leggendaria serie televisiva degli anni '50 Twilight Zone (Ai confini della realtà), nonché il celeberrimo Duel, con l'allora giovane Steven Spielberg, dove una misteriosa autocisterna perseguita un automobilista in viaggio sulle strade assolate di campagna . Un "fantastico" quotidiano e assolutamente inquietante.

C'è comunque un altro racconto di Bradbury, famosissimo, Il Veldt, in cui due fratellini uccidono i genitori tramite una terrificante casa meccanica; ma qui l'autore esprime soprattutto l'orrore e il disgusto per l'instaurarsi di una civiltà meccanica, con la direzione e il comando affidati a morti servomeccanismi. La famiglia del racconto è schiava di una casa con servizi automatici, che culla i loro sogni, allaccia le scarpe, li lava e li veste. Le troppe comodità fanno si che i genitori deleghino tutto a lei, anche la cura dei figli, i quali sentono ormai sensazioni affettive solo nei riguardi della casa e delle immagini telepatiche che si proiettano sulle pareti.

La casa, minacciata nell'esistenza, spinge i bambini a uccidere. "Al posto di Babbo Natale adesso vedono un aguzzino. I bambini preferiscono Babbo Natale. Tu hai lasciato che questa casa si sostituisse a te e a tua moglie nell'affetto dei tuoi bambini. Questa stanza è diventata per loro padre e madre, nella loro vita è più importante dei loro genitori reali. E adesso arrivi e gliela vuoi portar via. Non mi stupisce che qui l'atmosfera sia carica d'odio"(24)

Tale rappresentazione dei macchinari e dei servomeccanismi ci fa sentire tutto il disgusto e l'odio di Bradbury verso l'invadenza delle macchine nella vita di oggi." E a grandi passi fece il giro di tutta la casa, disinnestando gli orologi parlanti, i forni, i fornelli e i radiatori automatici, i lustrascarpe, gli allacciastringhe, gli strigliatori e i massaggiatori e ogni altra macchina che gli capitava tra le mani. La casa sembrava piena di cadaveri. Un cimitero meccanico"(25)  

La stessa tematica (che ritroveremo pienamente in Philip K. Dick) è uno degli aspetti delle celebri Cronache Marziane, ad esempio nel brano degli allucinanti autonomi, che vedremo in seguito.

Bradbury e Lem: paralleli tra i due scrittori.

Le medesime definizioni "mortuarie" sulle entità meccaniche ce le fornisce anche un altro grande autore di S.F., il polacco Stanislaw Lem, nel romanzo L'Invincibile, del 1964. Egli scrive: "Era cominciata un'evoluzione non-biologica, inanimata. Un'evoluzione di apparati meccanici (..) Quei congegni non rappresentano il minimo potere di ragionamento, sono soltanto stupendamente adattati alle condizioni di questo pianeta ... per distruggere tutto ciò che ragiona, come pure tutto ciò che vive.

Loro invece non sono vivi." Inoltre chiama la nube di frammenti metallici che si forma in situazioni di pericolo "necrosfera", fatta di cristalli "morti".(26

Ray Bradbury, statunitense e legato visceralmente alla cultura provinciale del Mid-West, e Stanislaw Lem, polacco, insigne scienziato e accademico di Cibernetica e Astronautica, di spaventosa cultura enciclopedica, hanno dunque molto in comune nonostante sembrino lontanissimi.

Le massime somiglianze le troviamo tra Cronache Marziane di Bradbury e l'altrettanto celebre Solaris di Stanislaw Lem.

Il primo, che è stato definito una raccolta di racconti "popolar-onirici" sul pianeta Marte, e che potrà costituire in futuro il sistema mitico dei coloni ivi stabilitisi, è dotato di un fascino straordinario e di immagini inconfondibili, a metà tra science fiction, fantasy e fiaba. Su Marte vengono proiettati, come se fosse un enorme e distorto specchio, le speranze e le emozioni dei terrestri.

E' affascinante come la tipica civiltà contadina del Mid-West si trasferisca su Marte; i coloni sono semplici uomini e donne, contadini, neri perseguitati dal razzismo e in cerca di una nuova patria, giovani fidanzate che sognano le immensità. "Ognuno aveva avuto le sue buone ragioni per venire su Marte. Cattive mogli da abbandonare, lavori ingrati, città inospiti; ed essi venivano su Marte per trovare qualcosa, o lasciare qualcosa, o ottenere qualcosa..." (27)  

Anche i fiabeschi marziani dagli occhi dorati vivono in una domestica quotidianità provinciale: il marito affettuoso che con uno sguardo cupo esce per un linciaggio, la moglie che si lamenta per il pavimento appena lucidato e la confusione provocata nella sua casa. Avviene l'incredibile: su Marte gli astronauti trovano una perfetta riproduzione del loro paesino dell'Ohio. "Ai margini del prato, un'alta casa rossiccia di stile vittoriano, placida nel sole, tutta decorata di fronzoli e ghirigori rococò, le finestre variegate di vetri ..(..) Sulla veranda, gerani pelosi e un vecchio divano ad   altalena..."(28.) Ritrovano i loro vecchi, il profumo della loro infanzia, come Ulisse tra le Sirene; ma la splendida illusione creata telepaticamente dai Marziani si dissolve nell'assassinio e nella morte. Come sempre in Bradbury, la dolce tranquillità domestica sfocia nel puro orrore. L'autore comunque non prova pietà per i terrestri, anche perché i marziani saranno sterminati dal morbillo.

Ce li presenta come invasori, come Cortez e le sue orde nel Nuovo Mondo; gente che vuole solo ricostituire lì il suo solito angolo, tra amici che si ubriacano intorno al fuoco e spaccio di salsicciotti caldi. Per questo misero scopo sono capaci di distruggere tutto il bello e l'antico: Bradbury li chiama "locuste". " E fuori dai razzi correvano uomini con martelli nelle mani, per battere quel nuovo mondo sì da foggiarlo in maniera familiare all'occhio, si da mondarlo di ogni estraneità, le bocche irte di chiodi, che davano loro un aspetto da carnivori dai denti d'acciaio...". E ancora: "Ci sarebbe stato tempo poi, per quel genere di cose; tempo di gettare i barattoli vuoti di latte condensato nei nobili canali di Marte; (..) tempo per le bucce di banana e le carte unte delle merende all'aperto.."(29)   

Il grido di denuncia contro la volgarità e il disprezzo per la bellezza e per la natura adesso sembra scontato; ma dobbiamo ricordare che Bradbury scriveva nel 1950.

A che serve dunque - sembra dire l'autore - viaggiare nello spazio? Anche perché sicuramente ci perseguiterà la nostalgia per lo splendido astro verde smeraldo che brilla nello spazio, la Terra.

Il problema della comunicabilità o meno tra le diverse forme di vita (i terrestri in realtà non hanno interesse a nulla che sia loro estraneo, i marziani non fanno altro che mostrare loro ciò che essi desiderano) è il fondamento anche di Solaris. Lo scienziato e scrittore Lem non si è accontentato certo di scrivere fantascienza come divulgazione scientifica in veste letteraria, bensì ha sondato tutte le possibilità insite nella S.F., usando tutti i generi: opere filosofiche, racconti grotteschi, disutopie, narrativa fantastica. Egli nel 1974 attaccò violentemente i critici strutturalisti, tra cui Tzvetan Todorov, accusandoli di minacciare la creatività letteraria, che dev'essere senza confini né limiti stabiliti; ed un'opera al confine con il fantastico e con il poliziesco è ad esempio il romanzo L'indagine. Il suo libro Solaris (del 1961) ha ottenuto grande fama grazie all'omonima trasposizione cinematografica che il regista Tarkovskij ne ha tratto. Solaris è un pianeta e allo stesso tempo uno straordinario essere pensante, un oceano colloidale che reagisce a certi stimoli, ma le cui manifestazioni e i cui fini risultano incomprensibili.

Per studiarlo nasce una scienza, la "solaristica"; ma esiste ben poco che sia tanto sconsolante e angoscioso quanto scorrere le innumerevoli "scuole di pensiero" che propongono teorie su teorie riguardo all'essenza dell'Oceano e alla possibilità di comunicazione con esso: una vera Biblioteca di Babele, "un'inutile zavorra, un pantano senza fondo di dati"(30).  

Anche Solaris, come il Marte di Bradbury, si comporta come un grande specchio che rimanda, ingigantiti, i tormenti e i segreti degli uomini. L'Oceano vivente, intercettando e "sondando " i cervelli, estrae dai loro processi psichici i ricordi più profondi, i sensi di colpa più segreti, e li materializza in una formazione di neutrini.

Compaiono così i "fantasmi personali" di Solaris, esseri indistruttibili che costituiscono il tormento o il conforto dei loro "inventori", gli astronauti in orbita. Una duplicazione di corpi che ricorda vividamente la vicenda de L'invasione degli ultracorpi, già citata, la cui idea originaria appartiene a Philip K. Dick. E anche le creazioni di Solaris si potrebbero definire "simulacri", con il termine usato da Dick.

Il dialogo che si svolge in Cronache marziane tra un uomo terrestre e il "fantasma" del figlio materializzatosi su Marte, verrà ripreso quasi identico in Solaris tra lo scienziato Chris e il "simulacro" della fidanzata morta, Harey.

"Il vecchio rimase sulla porta col vento che gli pioveva freddo sulle mani. - Tom - Chiamò a bassa voce-Tom, se sei tu, se per qualche miracolo sei tu, Tom, lascerò la porta senza catenaccio. (...) Il ragazzo si comportava come se tutto fosse normale. Cominciò a lavarsi la faccia con l'acqua del canale. Il vecchio gli si avvicinò. - Tom, come hai fatto a venire qui? Sei dunque vivo?. - Perché? Non dovrei esserlo? -

Il ragazzo levò su di lui due grandi occhi interrogativi. "(Cronache marziane, pp. 182-183).

"Rassicurato, guardai bene Harey. (..) Continuavo a ripetermi ch'era un sogno, ma provavo una stretta al cuore. (..) - Da dove arrivi? - chiesi. Sollevò la mia mano e, con un gesto che mi era familiare, si mise a sbatterla; mi prendeva proprio sotto i polpastrelli e li premeva. - Non so - mi disse. - E' male? Anche la voce era la stessa, bassa, con un accento un po' assente. (..) - Chi .. Qualcuno ti ha vista ? - Non lo so. Sono arrivata, semplicemente. E' importante, Chris? " (Solaris, pp. 58-60).

Anche l'immagine dello specchio, abbiamo detto, è identica nei due testi.

Da Solaris: " Non abbiamo nessuna voglia di conquistare il cosmo, noi vogliamo soltanto allargare fino ai suoi ultimi confini le frontiere della Terra. (..) Ci crediamo cavalieri dell'Ordine del Santo Contatto. Questa è una bugia. Noi cerchiamo solo l'uomo. Non abbiamo bisogno di altri mondi, abbiamo bisogno di specchi. Non sappiamo che farcene di altri mondi . Uno ci basta, quello in cui sguazziamo. (..) Siamo arrivati qua così come siamo realmente, e quando l'altra faccia, cioè la parte che manteniamo segreta, si mostra com'è veramente .. (..)

Il contatto con un'altra civiltà. L'abbiamo, questo contatto! Ingrandita come se fosse sotto il microscopio ... la nostra mostruosa bruttezza, la nostra buffoneria e vergogna!" (31

Cronache Marziane termina addirittura con l'immagine dei coloni terrestri riflessa sullo specchio dell'acqua. " Erano là, i marziani, nell'acqua del canale che ne rimandava l'immagine. Erano Tim, Mike, Robert, la mamma, il babbo. E i marziani rimasero là, a guardarli dal basso, per molto tempo, in silenzio, a guardali dall'acqua che s'increspava lieve."(32

Si tratta dunque di un vero ritorno a casa, ed è sempre la nostra Terra che portiamo dentro di noi, anche sui mondi più lontani. Così come -ha osservato Giuseppe Lippi nella prefazione a Cronache marziane, - la sequenza conclusiva del film Solaris ci mostrava il protagonista, nel bel mezzo dell'Oceano di plasma di Solaris, inginocchiato davanti alla sua capanna russa.

Stanislaw Lem fa dire ad uno dei protagonisti del suo romanzo L'invincibile che: "non tutto l'universo ci è destinato, e il nostro posto non è dappertutto". Non è una gratuita ricerca di irrazionalità che spinge Lem all'immaginario più sconvolgente, e ciò sarebbe inspiegabile per uno scienziato del suo livello: tutt'altro, è sete di conoscenza e consapevolezza della vera natura della scienza. "Qualsiasi esperimento di pensiero è lecito - ha affermato Lem - purché sia conforme alla logica e non sia in contraddizione con se stesso".

La coincidenza con le opere di Philip K. Dick appare a questo punto evidente, come vedremo meglio in seguito esaminando la poetica di questo autore; ed infatti Lem ha affermato di trovare in Dick " la sintesi migliore delle qualità che S.F: americana può offrire".

Con il libro Ritorno dall'universo Lem pare addirittura mettere una pietra tombale sull'opportunità e sulla possibilità di viaggi tra le stelle, quando dice: "Costoro erano inviati dell'umanità che, per loro tramite, poneva delle domande a cui avrebbero dovuto portare delle risposte. (...) Da quando era stata posta la domanda fino all'arrivo della risposta sarebbero però trascorsi milioni di anni. (..) Durante il loro viaggio di ritorno neanche quel mondo sarebbe rimasto immobile, ma avrebbe progredito di uno, due, tre milioni di anni. Le domande e le risposte si sarebbero quindi incrociate eternamente (..) rendendo fittizio qualsiasi scambio di esperienze, di valori, di pensieri. Tutto sarebbe stato inutile. Sarebbero dunque stati intermediari e portatori di messaggi morti... (..) Una chimera, una follia ... " (33)  

Sono proprio le profonde conoscenze scientifiche di Lem a dargli la consapevolezza che l'uomo trova dei limiti nella sua stessa natura e nella natura dell'universo, che - come fa dire anche a Snaut, in Solaris - il nostro posto non è "dappertutto". Noi non siamo al centro dell'universo, e nessuna provvidenza vigila su di noi in modo particolare.

Dopo Solaris, non sono più state numerose come prima le opere di S. F. sull'esplorazione del cosmo, e comunque sono state meno entusiastiche, più consapevoli e meditate.

La lezione di Lem è stata efficace, se pensiamo che perfino Arthur C. Clarke, il cantore della scienza e dell'esplorazione dello spazio, ha inserito nel suo romanzo del 1973, Incontro con Rama, un finale tanto spiazzante e problematico. Infatti il mondo artificiale battezzato Rama, pur mostrandosi completamente agli umani che lo esplorano, non rivela né il suo significato né i suoi fini; esso ignora poi con suprema indifferenza la Terra e tutto il sistema solare, dirigendosi verso chissà quale meta.

Nel corso degli ultimi 20 anni i viaggi spaziali effettivamente sono passati in second'ordine, accolti quasi con insofferenza dall'opinione pubblica, pronta a denunciare supposti sprechi e una inutilità di fondo. La Nasa è in crisi, i programmi sono ridotti al minimo, tanti tecnici e scienziati hanno subito il licenziamento.

Siamo stati - e siamo tuttora - presi dagli enormi problemi economici, sociali e di impatto demografico e scientifico sull'ambiente che coinvolgono il nostro pianeta. E nessun aspetto di queste tematiche è stato escluso dalla science fiction.


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NOTE AL CAPITOLO IV

1) Vittorio Zucconi, "Vade retro Progresso", in "La Repubblica" 27 Dicembre 1996.

2) John Varley, Lo spacciatore (The Pusher, 1981), in I Premi Hugo 1976-1983, Ed. Nord, Milano, 1991.

3) Jack Williamson, "L'arte della narrativa breve", in "Aliens" n° 4, Febbraio 1980.

4) Fabio Pagani, "I buchi neri", in "Robot" n° 15, Giugno 1977, Armenia, Milano.

5) Arthur C. Clarke, 2001 Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1969, trad. di Bruno Oddera, Longanesi, Milano, 1972, pp. 120-121.

6) Idem , p. 191

7) Poul Anderson, Tau Zero, 1970, trad. di Gianfranco Viviani, Ed. Nord, Milano, 15.

8) Idem, p. 129.

9) Isaac Asimov, Solo un trilione (Only a trillion, 1957), trad. Di Filippo Accinni,Bompiani, Milano, 1966, p.. 146.

10) Arthur C. Clarke, 2010 Odissea 2 (2010: Odyssey two, 1982), trad. di Bruno Oddera, Rizzoli, Milano, 1983, pp. 178-179.

11) L. Niven-J. Pournelle, La strada delle stelle (The Mote in God's Eyes, 1974), trad. di Giusi Riverso, Ed. Nord, Milano, 1987, p. 106.

12) L. Niven-J. Pournelle, "Come costruire un universo", Prefazione a Nell'occhio del gigante (The Gripping Hand, 1993), Ed. Nord, Milano, 1994.

13) Robert Heinlein, Il terrore dalla sesta luna (the Puppet Masters, 1951), trad. di Maria Gallone, Mondadori, Milano, 1952, p. 41.

14) Philip. K. Dick. L'impiccato (The Hanging Stranger, 1953), trad. di Vittorio Curtoni, in: Philip K. Dick, Le presenze invisibili vol. I, Mondadori,Milano,1994.

15) Jack Finney, Gli invasati (The body snatchers, 1955), trad. di Stanis La Bruna, Mondadori, Milano, 1956, p. 111

16) Ray Bradbury, Gli esuli, in Il gioco dei pianeti (The illustrated Man, 1951), Rizzoli, Milano, 1965, pp. 87 e 91.

17) Ray Bradbury Cronache Marziane (The Martian Chronicles, 1950) trad. di Giorgio Monicelli, Mondadori, Milano, 1965, pp. 163 e 179.

18) Ray Bradbury, In trappola (On Timeless Spring, 1946) e I miracoli di Jamie (the Miracles of Jamie), in Molto dopo mezzanotte (Long After Midnight), Mondadori, Milano, 1977.

19) Ray Bbradbury, Delitto senza castigo (The Utterly Perfect Murder, 1951), in Molto dopo mezzanotte, cit.

20) George Orwell, Una boccata d'aria, Mondadori, Milano, 1980, p. 106.

21) Antonio Faeti, I diamanti in cantina, Bompiani, Milano, 1995.

22) Henry Kuttner, Tutti gli smoali erano borogovi (Mimsy were the borogoves, 1943), cit.

23) Dean R, Koontz, Noi tre (We Three, 1974), trad. di Abramo Luraschi, in "Robot", n° 16-17, 1977, Armenia, Milano.

24) Ray Bradbury, Il veldt (The Veldt), trad. di Carlo Fruttero, in Le meraviglie del possibile, cit., p. 269.

25) Idem, p. 271.

26) Stanislaw Lem, L'invincibile (Niezwyciezony, 1964), trad. di Renato Prinzhofer, Mondadori, Milano, 1983.

27) Ray Bradbury, Cronache marziane, cit., p. 96.

28) Idem, p. 51.

29) Idem, pp. 103 e 69.

30) Stanislaw Lem, Solaris, trad. di Eva Bolzoni, Ed. Nord, Milano, p. 23.

31) Idem, pp. 79-80.

32) Ray Bradbury, Cronache marziane, cit. , p. 253.

33) Stanislaw Lem, Ritorno dall'universo,(Powròt z gwalazd, 1961) trad. di PierFrancesco Poli, 1989, Mondadori, Milano, p. 145.




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