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CAPITOLO V

LE DISTORSIONI DELLA PERCEZIONE SPAZIO-TEMPORALE. PHILIP K. DICK E LE NUOVE REALTA' VIRTUALI.

The "Inner Space"

Il distacco dalle convenzioni tipiche della SF fino allora predominante, cioè oggettiva e "realistica", risale a due autori che scrivevano già nei primi anni ‘60: l'inglese James G. Ballard e l'americano Philip K. Dick. Ballard ha creato (nel 1962) la definizione di "spazio interno" contrapposto allo "spazio esterno" della SF classica; le sue opere sono dunque incentrate sulla esperienza psicologica, sulle modificazioni dell'inconscio individuale e collettivo di fronte alle trasformazioni sociali e tecnologiche.

Anzi mostrano una vera ossessione per gli effetti della società contemporanea sulla mente umana, e le vicende sono spesso inserite entro la cornice del romanzo di catastrofe: "La zona del disastro" (Disaster Area, 1967), "Il giorno senza fine" (The Day of Forever,1967), "Deserto d'acqua" (The Drowned World,1962), Foresta di cristallo (The Crystal World, 1966)," Terminal "(Terminal Beach, 1964).

I suoi protagonisti sono attirati dal disastro ed arrivano a scoprire l'esistenza di significati e di modelli nel paesaggio mutato; si sviluppano così nuove forme di coscienza evocate dalle mutate condizioni esterne: il tempo e lo spazio che si spostano come in un'allucinazione. A volte il confine con la malattia, mentale vera e propria è molto labile, e si arriva alla produzione, in forma psicotica e talora schizofrenica, di veri "doppi" in alcuni racconti.

In seguito queste "realtà psichiche" si confronteranno, nelle opere di Ballard, con il "media landscape", il paesaggio mediatico della società, coi risultati di La mostra delle atrocità (The Atrocity Exhibition,1969) e di Crash (1973), in cui protagonisti reali ed eroi dei mass media, come Marilyn Monroe e John F. Kennedy, fluttuano fra universi reali e fittizi. Il rapporto tra uomo e macchina può diventare con Ballard molto aggressivo, e lo rivelano le recenti polemiche sul film Crash che David Cronemberg ha tratto dall'omonimo romanzo: si tratta infatti di una sinergia tra uomo e macchina, con una sessualità che trae stimoli da lamiere decomposte, arrugginite, aggrovigliate, da corpi umani feriti e protesizzati.

L'evoluzione diventa mutazione con l'innesto dell'organico nell'inorganico, del metallo nel corpo. L'uomo e la pelle artificiale , meccanica, che ricopre il pianeta, si trovano in impalpabile sintonia.

Anche in Philip K. DicK, uno dei temi centrali è l'interazione uomo-macchina, ma non vi è traccia dell'aggressività e della ricerca di orrorifico che troviamo in Ballard. Comunque il discorso su Dick è eccezionalmente complesso, anche perché egli ha lasciato una impronta nettissima sugli sviluppi della SF attuale.

Philip K. Dick

A lungo misconosciuto, Philip Kindred Dick, nato a Chicago nel 1928 e prematuramente scomparso nel 1982, gode attualmente di un interesse sempre crescente da parte della critica letteraria, e le sue opere vengono conosciute e apprezzate da un pubblico sempre più vasto. Questo anche grazie alle trasposizioni filmiche delle sue opere, tra cui spicca Blade Runner.

Gli interventi critici su di lui sono ormai numerosi, spaziando "P. K. Dick's Opus" di Darko Suvin(1) ai saggi di Carlo Pagetti raccolti nel libro "Il sogno dei simulacri".(2) Anche sui quotidiani non sono ormai infrequenti articoli dedicati a Dick. Ne citiamo uno di Antonio Gnoli, scritto per il decennale della sua scomparsa commentando il romanzo "Ubik".(3)      

Egli scrive: "I grandi motivi dickiani, la morte (che non è morte vera ma semi-vita, processo degenerativo-rigenerativo), il simulacro inteso come copia perfetta di un originale destituito di senso, gli oggetti che hanno perduto la loro funzione e la loro relazione con il tempo e lo spazio (in Dick spesso le cose sono pure esperienze mentali).

Ubik rimanda anche a ubiquità: ossia alla perdita di un'identità salda sostituita con lo sdoppiamento del soggetto. Ma Ubik è soprattutto la porta romanzesca attraverso cui si entra in una nuova nozione di tempo. Un tempo che degenera e deflagra fino a coinvolgere oggetti e uomini. Dick respinge così l'idea di un tempo lineare scandito da un passato, un presente, un futuro. Ma se non c'è futuro non c'è progetto e senza passato non esiste memoria che lo difenda. Ecco perché in Memoria Totale,(...) da cui è stato ricavato il film "Atto di forza", i ricordi sono esperienze artificiali innestate nella testa del protagonista.

Tra l'altro il racconto che è del 1966 è il primo esempio concreto dell'applicazione che Dick fa della nozione di realtà virtuale.

Occorre dire che la falsificazione del reale, la confusione tra il piano della realtà e quello dell'immaginazione, ha sempre affascinato Dick. Qualunque realtà ancorché convincente conserva ai suoi occhi un'inquietante illusorietà. La quale è alla base dell'idea stessa di simulacro, ossia dell'impossibilità di distinguere tra il reale e l'immaginario. E' evidente che una tale impossibilità significa il puro dissolvimento dell'originale. Viviamo, sembra suggerire Dick, in un mondo di copie".(4) 

Questo commento fa capire quale visione allucinata avesse Dick del mondo reale, di un universo destinato per lui al disordine entropico; e il suo pensiero, pieno di accenti filosofici e letterari, si dipana con grande coerenza e profondità di ispirazione fin dal 1952, attraverso circa 30 romanzi e più di cento racconti. La Feltrinelli sta attualmente preparando la pubblicazione italiana di tutta la raccolta del pensiero teorico di Dick "The Shifting Reality of PKD, Selected Literaty and Philosophical Writings", a cura di Lawrence Sutin.

Nei romanzi egli raggiunge talora dei livelli di allucinazione per taluno insopportabili, e anche incomprensibili (occorre possedere una stabilità mentale molto alta per reggere la sua disgregazione del tempo e le sue distorsioni percettive); ma ci sono molti racconti i quali presentano gli stessi temi propriamente dickiani in modo molto più semplice, e soprattutto non traumatico. Vi è una maggiore attenzione alla "trovata" che risolve la storia, la trama è più stabile e definita, i personaggi non raggiungono l'alienazione mentale che caratterizza i romanzi. Tutti i racconti di PH. K. Dick sono attualmente in corso di pubblicazione, raccolti in ben quattro volumi.(5)  

I "viaggi nello spazio" in Dick

Esaminando adesso più da vicino l'opera di questo autore, si deve notare che Dick è rimasto sempre fedele ai temi classici della SF, ma li ha impiegati in maniera personalissima, portandoli a degli estremi prima di lui impensabili. Vediamo ad esempio il tema dei viaggi nello spazio, della fuga verso altri mondi, che per molti costituisce il tema centrale, il "mito centrale" della SF. Alcuni racconti e romanzi di Dick fino al 1962-64 hanno come ambientazione colonie umane su altri pianeti, ed egli a tratti sembra affermare lo "spirito pionieristico" tipico di tanta fantascienza.

Ma più fortemente egli esamina l'impulso di evasione della realtà e lo critica. Ha scritto Jonathan Benison: "Sono i riferimenti a fenomeni sociali contemporanei, in particolare, agli aspetti peggiori e più pericolosi del presente, che infine si sovrappongono all'immagine iniziale di una possibile "nuova frontiera". (...) La "nuova frontiera" è in realtà proiezione dell'esistente, e quindi la scoperta della nuova situazione comporta anche il riconoscimento in se stessi dell'incapacità di sottrarsi ad esso (all'espansionismo, agli intrighi politici, all'influenza dominante degli interessi acquisiti nella realtà attuale e all'effetto iperrealistico prodotto dai mass media ecc. nella società guidata dall'imperialismo tecnologico).(6)   

Il "bisogno dell'illusione" dei personaggi è connaturato all'esistenza delle comunità coloniali, che arrivano ad utilizzare i "famnexdo," i finti vicini di casa che i colonizzatori di Marte si portano dietro in I Simulacri ("The Simulacra", 1964), per simulare la vita, i rumori e il movimento dell'attività umana.

Anche Carlo Pagetti osserva come Dick rinnovi e modifichi ai propri fini gli schemi convenzionali della SF, In "Noi marziani".

Così, la raffigurazione del pianeta Marte, con i canali della fantascienza classica, costellato di colonie dell'ONU che conducono vita stentata e percorso degli ultimi rappresentanti dell'agonizzante civiltà indigena, echeggia le più famose Martian Chronicles di Ray Bradbury: e tuttavia, se si osserva bene, con il suo linguaggio secco ed essenziale fino alla banalità, il rifiuto di qualsiasi lirismo e decorativismo descrittivo, Dick è agli antipodi di Bradbury. (...)

A uno sguardo più attento, infatti, il pianeta di Noi marziani si rivela una replica della società americana in gestazione, con il suo generoso pionierismo, ma anche con i fenomeni di formazione di una società capitalistica dominata dalla legge inesorabile del profitto e della speculazione".(7)    

La critica sociale

Un altro tema: la distopia, che nei primi anni '50 diventò una vera e propria critica sociale, con le opere di Sheckley e di Pohl, per esempio. Oltre The Space Merchants (I Mercanti dello spazio) di Pohl e Kornbluth, del 1953, sono da ricordare Player Piano (Distruggete le macchine) di Kurt Vonnegut, anch'esso del 1953. E in quel medesimo anno fu pubblicato anche Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Il dato di critica sociale che prima notavamo in Noi marziani sembra avvicinare Dick agli esponenti della "Social SF", soprattutto nella produzione degli anni '50.

Eppure Dick supera ben presto il discorso didascalico e satirico per inseguire un suo mondo privato, e porta alle estreme conseguenze l'indagine dei rapporti fra individuo e società, proiettandoli nei molteplici livelli del reale. La realtà diventa una "costruzione" fragile, pronta a dissolversi, rivelando la sua natura illusoria.

Osserva Vittorio Curtoni: "Scrittori come Sheckley o Pohl, o tanti altri, nei loro racconti avevano l'abitudine di scegliere un bersaglio molto preciso e di attaccarlo ferocemente, in genere con l'arma dell'ironia. (...) Dick tende invece a non puntare l'attenzione su un singolo particolare, ma a criticare la struttura sociale nel suo insieme: i riti e i miti collettivi che infondono falsa sicurezza, la mentalità gregaria e gretta della middle class americana, il concetto di una società irrigidita in formule stereotipate sono il suo bersaglio primario".(8)   

Pensiamo al tipo di società descritta da Dick nel suo "Ubik", del 1968: totalmente "monetizzata", in cui anche gli oggetti più semplici funzionano soltanto con un afflusso continuo di denaro (la caffettiera che si mette in moto con una moneta da dieci centesimi, il frigorifero che rifiuta di aprirsi se non vi si inserisce del denaro, la porta "parlante" e il robot delle pulizie che imprigionano il protagonista ormai a corto di soldi).

Fino a che punto si tratta di una satira feroce delle mercificazione crescente in una società capitalistica, considerando poi la funzione "mediatica" degli oggetti che trascinano i protagonisti verso una realtà regressiva? E che cosa è veramente Ubik, il prodotto commerciale pervasivo e multiforme, che funge da panacea universale? I significati simbolici che Dick vi attribuisce vanno ben oltre la mera critica sociale.

Certamente questo autore aveva idee politiche, e per tutti gli anni '60 fu collegato alla controcultura californiana. Si è battuto contro la guerra dal Vietnam, e a favore dei diritti civili, come lui stesso ricorda in una narrazione autobiografica,molto toccante(9). In queste sue note egli dice anche: " Ho paura dell'autorità, ma nello stesso tempo sono pieno di risentimento, per l'autorità e per la mia paura ... così mi ribello. Scrivere fantascienza è un modo per ribellarsi. (...) La fantascienza è una forma d'arte ribelle e ha bisogno di scrittori e lettori con cattive inclinazioni, come per esempio quella di chiedere sempre Perché? o Come mai?, o Chi l'ha detto? Questo atteggiamento è sublimato in alcuni temi tipici delle mie storie, come: L'Universo è qualcosa di reale? oppure : Siamo davvero uomini, o solo macchine?"

Sui media

La ribellione di Dick si avvia quindi ad assumere aspetti metafisici, eppure egli conserva sempre la sua profonda avversione ai tipi di stato autoritari, o di polizia. In Episodio temporale(10), come lui stesso ha scritto, ha voluto mostrare quale stato di polizia avrebbero potuto diventare gli USA senza il movimento dei diritti civili; in I Simulacri(11) esprime l'anelito alla libertà individuale e alla verità oggettiva in un mondo dominato da una dittatura o da una falsa facciata democratica.

Si potrebbe definire "politico" anche il tema della guerra, molto ripetuto in Dick; tanto che Vittorio Curtoni ha intitolato la sua già citata Introduzione ai racconti di Dick "La guerra privata di Philip K. Dick: ". E dice: "Molti i racconti imperniati sul tema della guerra, altra ossessione ripetuta all'infinito e strettamente intrecciata con il desiderio /repulsione di una rigida stabilità sociale. (...) In storie come I Difensori delle Terra, La mente dell'astronave, Impostore, e negli splendidi Un certo tipo di vita e Pianeta alieno, la guerra è descritta nei termini di una costante culturale ineliminabile, perché innata nella specie umana".

Tra questi è il racconto Un certo tipo di vita (Some Kinds of Life,1953) ad offrire la visione più radicale: una guerra infinita che si combatte spostandosi da mondo a mondo, per una cupidigia insopprimibile di impadronirsi dei beni preziosi di ogni pianeta.

In Dick vi è anche una forte attenzione concentrata sui "media"; ed è stato da molti ritenuto un omaggio a Orwell la figura di Yancy, in un racconto del 1955(12). Ha scritto Antonio Caronia che in questo racconto abbiamo il primo "eroe televisivo" di Dick, un commentatore che è la quintessenza delle virtù e delle mediocrità dell'uomo comune che si è conquistato grande popolarità fra i coloni di Callisto.

"Naturalmente è un personaggio sintetico, creato da una agguerrita squadra di sceneggiatori, e le sue massime devono convincere i coloni, senza che questi quasi se ne accorgano, dell'inevitabilità di una guerra con i propri vicini. (...) "Davanti ai suoi occhi aveva l'esempio del primo stato totalitario realmente riuscito: innocuo e banale". In una frase semplice e agghiacciante Dick ha già individuato nel sistema dei media l'incarnazione di quella "banalità del male" che altri, negli stessi anni, individuano con l'essenza del totalitarismo moderno."(13)    

I sistemi dei media (giornali,TV) vengono esaminati anche nei romanzi successivi. Ad esempio in Redenzione immorale (The Man Who Japed, 1956) una potente televisione di stato, la Telemedia, è uno strumento di controllo sociale che bombarda il pubblico con trasmissioni idiote: la vera letteratura; come avveniva in Fahrenheit 451 di Bradbury, è messa al bando e sopravvive solo nelle zone contaminate.

Il romanzo I Simulacri (The Simulacra, 1964), continua Antonio Caronia nel suo saggio, "rappresenta un universo mediale compiuto e agghiacciante. (...) I media sono infatti l'elemento che tiene insieme questa società uscita "ancora una volta" dall'era nucleare. (...) In questa società dei media, la star politico-televisiva è infatti garante del principio di realtà (...) ex attrice stipendiata dalle grandi compagnie per interpretare la parte della moglie dei presidenti che altro non sono che perfezionatissimi androidi manipolati dalla burocrazia statale e dal potere economico: la garante della realtà è la più falsa di tutti."

Il mondo dei media (il "media landascape", dice Ballard), è quindi una creazione di realtà rassicuranti, che diventano uno strumento principe, da parte di un potere tecnocratico o dittatoriale, di manipolazione, attraverso la strutturazione di personalità e di comportamenti, i quali per Dick sono distruttivi verso un atteggiamento "autentico" nei confronti della vita.

Anche nel romanzo che ha dato origine a Blade Runner, nell'originale "Do Androids Dream of Electric Sheep?"(1968) l'unico personaggio sicuramente umano, Isidore, si accorge dell'artificiosità del sistema dei media e si chiede: "Ma come faceva Buster a registrare le sue trasmissioni per la televisione e anche per la radio? (...) E come faceva Amanda Werner a trovare il tempo di essere ospite delle sue trasmissione ogni giorno? (...) Non si ripetevano mai. (...) Le loro battute, sempre spiritose e sempre nuove, Quando trovavano il tempo di inventarle?"(14)

In effetti questi due popolarissimi personaggi televisivi non sono che androidi. Dick descrive dunque una realtà sociale artificiale e che viene vissuta comunemente come oggettiva e incontroversibile, grazie a una potente mistificazione.

E molti personaggi in Dick si costruiscono, in alternativa, una ipotesi di realtà personale, anche se schizofrenica o rinchiusa nell'autismo.

Il rapporto tra l'umano e il meccanico

Anche il rapporto con gli oggetti in Dick è problematico. Nel vecchio racconto "Colonia" (Colony", 1953), gli oggetti di una astronave vengono invasi da una entità protoplasmatica e prendono vita autonoma, cercando di uccidere gli umani: un microscopio cerca di strangolare, un asciugamano preme sul naso e sulla bocca, una cintura diventa una sferza, i braccioli della poltrona immobilizzano il corpo, il cruscotto si trasforma in plastica liquefatta.(15)  

Dieci anni dopo Richard Matheson riprenderà questo tema in modo quasi identico, con "La casa della follia" (Mad House", 1963). Anche qui oggetti quotidiani, al servizio dell'uomo, si ribellano e diventano creature vive, mostruose (la scrivania colpisce violentemente il protagonista, un vetro si rompe ferendolo, la tenda gli si avvolge addosso, il rasoio lo sfregia e lo uccide).(16)  

Nel romanzo Ubik, uno dei più vertiginosi di Dick, gli oggetti "mutano" segnalando e provocando alterazioni temporali. "Il tuo pacchetto di sigarette è vecchio, noi tutti siamo vecchi.(17)"   

Così le sigarette vecchie e ammuffite, l'elenco telefonico vecchio, la panna inacidita, le monete ormai fuori circolazione, il cibo putrefatto. Ed anche gli elettrodomestici regrediscono a forme precedenti. Stranamente, il televisore non regredisce a pezzi informi di plastica e metallo, ma diventa una radio. "La forma apparecchio TV era soltanto una maschera imposta in successione a tante altre maschere, come la proiezione delle immagini in una sequenza di film."(18)   

Anche un altro libro di Dick, La città sostituita(19) , gli oggetti regrediscono, stavolta in modo benefico: impregnati come sono delle emozioni e dei vecchi ricordi d'infanzia, hanno il potere di riportare in vita una città artefattamente mutata.

Questo rapporto alterato con gli oggetti è in realtà l'insidia della vita inorganica, della Macchina, che nell'opera di Dick serve per comprendere la propria natura e la propria esistenza.

A quanto pare per Dick il manufatto per eccellenza ha la forma di un televisore. Nel racconto intitolato "La macchina", del 1956, un oggetto robotico assassino dalle incredibili capacità, costruito per distribuire falsi indizi di colpevolezza a carico di un uomo (un capello, l'impronta di un tacco, una goccia di sangue, tracce di tabacco, frammenti di stoffa), in grado quindi di alterare e falsificare la realtà, nel momento in cui viene scoperto assume la sua forma-base, di emergenza: un innocuo televisore portatile.

Questa macchina è talmente sofisticata da assumere caratteristiche quasi umane. "La macchina si ritrasse. I suoi contorni ondeggiarono, tornarono a definirsi, a fatica. Per qualche secondo, la macchina sembrò lottare con se stessa; poi, quasi per riluttanza, riapparve il televisore portatile. Dall'interno della macchina si udì un fischio acuto, come un lamento di dolore. Gli stimoli contraddittori che riceveva le impedivano di prendere una decisione.

La macchina stava sviluppando una neurosi; l'ambivalenza dei responsi la stava distruggendo. (...) Ma Beam non riusciva a provare pietà per lei. Era un meccanismo che cercava di assumere una posizione di difesa e di attacco nello stesso tempo: il suo era un collasso di circuiti elettronici, non di un cervello umano. Ed era stato contro un cervello umano che aveva sparato.(20)

Gli androidi

Il tema della macchina raggiunge la sua espressione massima con i famosi androidi di Dick che l'hanno reso tanto celebre, e che sono entrati nel linguaggio comune col nome di "replicanti", come li battezzò il regista Ridley Scott nel film "Blade Runner".

Dick porta al minimo la discriminazione tra umano e artificiale, come già avveniva in alcuni racconti di Asimov sui "robot organici" o androidi. Ciò che distingue Dick da Asimov è che il suo androide (ad esempio nel racconto "Impostore") non inganna volutamente gli uomini: crede assolutamente e senza dubbio di essere un uomo. "Non avrebbe la coscienza di non essere il vero Spence Olham. Diventerebbe Spence Olham tanto nel corpo quanto nella mente. Gli è stato fornito un sistema di memoria artificiale di falsi ricordi." (21)    

Gli androidi quindi sono partecipi della stessa degradazione metafisica umana, ed arrivano ad essere, per gli uomini, lo specchi della propria deformazione e del proprio fallimento.

In una intervista Philip K. Dick ha osservato: "Ci sono persone attorno a noi che sono biologicamente umane ma che sono androidi in senso metaforico. I computer stanno diventando sempre più creature sensibili e cogitative, mentre nello stesso tempo gli esseri umani si stanno disumanizzando."(22)

La vera differenza tra uomini e androidi, secondo Dick, è nella capacità di provare emozioni e sentimenti; e a questo proposito bisogna rimarcare la differenza fra gli androidi di Dick e i replicanti del film. Romanzo e film sono costruzioni culturali molto diverse, che solo in alcuni casi coincidono. Leggiamo in Carlo Pagetti: "I replicanti di Ridley Scott sono, sostanzialmente, angeli caduti, creature allucinate degne di pietà e di commiserazione, perché umanamente presi dal desiderio di prolungare il loro periodo di vita . (...) Ma non v'è dubbio che gli androidi di Dick siano esseri spietati che hanno penetrato il mondo dell'uomo per sradicarne qualsiasi sentimento e passione, per cancellare quella "empathy" (partecipazione emotiva alla vita degli altri) che essi non possono provare."(23)  

Del resto Dick, in una relazione intitolata "Man, Android and Machine", del 1966, aveva descritto gli androidi come "entità crudeli che sorridono mentre si accingono a stringere la mano, ma la loro stretta è la morsa della morte, e il loro sorriso ha la freddezza della tomba". Essi sono quindi una specie di morti-viventi; e tale repulsione per queste entità meccaniche richiama inevitabilmente una pagina di Ray Bradbury, da Cronache Marziane: "Diventati adulti senza ricordi, gli automi attendevano. (...) Ben oliati, con ossa tubolari intagliate nel bronzo e immerse nella gelatina, gli automi attendevano. In bare per i non morti e non vivi, in casse di tavole, i metronomi attendevano d'essere posti in moto.

C'era un odore acuto di lubrificanti e di metalli torniti. C'era il silenzio dei cimiteri. Sessuati ma senza sessualità, gli automi. Battezzati, ma senza nome, e con in prestito dall'umanità ogni cosa, meno l'umanità, gli automi fissavano i coperchi sigillati (...), in una morte che non era nemmeno morte, perché non c'era mai stata una vita. (...) Sorsero: ombre che simulavano altre ombre..." (24)       

Confrontiamo adesso tale pagina con un brano di Noi Marziani, ove Dick descrive un cyborg: "Gli organi, che ormai se n'erano andati, erano stati rimpiazzati da pezzi artificiali. Rene, cuore, polmoni.. ogni cosa era fatta di plastica e di acciaio inossidabile, e il tutto funzionava all'unisono, ma senza vita autentica."(25)  

Sarebbe troppo lungo, ed evitiamo di farlo qui, citare lo straordinario influsso che Dick ha avuto sulla tematica del cyborg come miscela di uomo e macchina, da Il terminale uomo di Michael Crichton, del 1974, agli uomini con innesti elettronici o animali, comuni in William Gibson e in tutto il genere cyberpunk.

Senza parlare poi del cinema: da "Terminator" e "Terminator 2" (di James Cameron), 1985 e1991, a "Robocop" (di Paul Verhoeven, 1988), a Cyborg (di Albert Pyun, 1988) e tanti altri.

La "meta-fantascienza" di Dick

Carlo Pagetti, il maggiore studioso italiano di Dick, ha cercato di capire come mai, più di qualunque altro autore, Dick abbia anticipato, 30 e più anni fa, quasi tutti i maggiori incubi contemporanei. Ed osserva: "Fin dagli anni 50' il presunto" contenuto scientifico" della SF viene smantellato dalla vigorosa affermazione della qualità relativa e soggettiva di ogni modello conoscitivo.

In questa direzione si era mosso già Ray Bradbury, soprattutto nelle Martian Chronicles, ma facendo ampio ricorso al recupero umanistico di valori letterari, umiliati dall'arroganza tecnologica. In Dick neppure il passato ha resistito (...) all'incubo dei tempi nuovi, al sistema elusivo e illusorio dei segnali e dei codici elettronici, che immobilizzano gli eroi dickiani in un eterno presente, divorando e assimilando ogni frammento della memoria storica." E, più avanti: "L'apocalisse di Dick è già iniziata, scorre nelle vene inquinate degli abitanti di una assurda utopia, in cui l'America si rispecchia come in un universo paranoico e rovesciato. In questo senso (...) Dick è l'ultimo rappresentante di una linea di narratori americani, che va da Poe all'ultimo Twain, da Bierce a Lovecraft, il cui linguaggio dissolve le coordinate della conoscenza scientifica nel gotico mare tenebrarum di poesca memoria. In quel mare, appunto, il sogno tecnologico americano diventa la creazione misteriosa della mente di un simulacro, di un androide, che forse si crede un uomo e che continua a lanciare i suoi disperati messaggi, alla ricerca di un principio di salvezza e di redenzione che ne convalidi l'esistenza dolorosa."(26)   

Philip K. Dick è forse colui che più merita di essere considerato l'erede di Wells, poiché prosegue in maniera adeguata alla nostra epoca la lezione di quel capostipite; soprattutto quando indaga la dissociazione spaziale e ancora di più temporale, a livello sia biologico che psichico, che il modello di sviluppo tecnologico e consumistico (dominante e ormai irreversibile, per Dick) provoca negli esseri umani.

"Più il processo scientifico apre nuove prospettive all'uomo (immortalità, viaggio nel tempo e nello spazio, controllo sopra la propria psiche), più l'uomo si ritrova in balia di forze incontrollabili e colossali che plasmano la sua vita, gli danno una visione illusoria della realtà, falsificano i suoi ricordi. La scienza modifica la società e quindi anche la realtà dell'uomo. Dick è tra i pochi scrittori di "science fiction" che pensano al futuro in termini di mutamento "totale".(27)   

Può sembrare esagerato attribuire tanti e tali significati a un autore che si muove all'interno di una letteratura "bassa" e "popolare" quale la SF.   Eppure Dick, senza mai rinnegare questo genere letterario, e servendosi sempre dei suoi motivi classici, vi ha introdotto le sue svariatissime conoscenze di trattati filosofici, opere letterarie, dissertazioni psichiatriche, e tomi e tomi teologici dalle tante religioni del mondo. Egli è arrivato a fare quello che nessuno altro autore di SF ha mai tentato: rendere la propria opera un vero trattato teorico sul valore e sulle possibilità della fantascienza, usando sempre la formula narrativa.

Ancora Pagetti :"Come Fowles (...) passando attraverso la forma tradizionale del romanzo vittoriano giunge, con una interpretazione critica di quella forma, al metaromanzo, così Dick sta attualmente scrivendo fantascienza sulla fantascienza, sta conducendo cioè un'indagine critica dei valori e dei significati della fantascienza attraverso gli strumenti narrativi che la fantascienza mette a disposizione e nello stesso tempo distorcendoli, modificandoli, nella sua ricerca che lo spinge sempre più verso una metafantascienza." (28)  

Gli universi alternativi

Prendiamo uno dei motivi centrali di Dick, su cui egli ha scritto continuamente, nei saggi e nei discorsi: gli "universi paralleli".

Nella SF sono innumerevoli le narrazioni su tale tema, trattato però quasi sempre in modo superficiale, come generatore di intrecci a carattere avventuroso. Ma Dick è ossessionato dalla possibilità dei "multiversi", piuttosto che di un "universo", e ritiene lo scrittore di SF in grado di sottrarci al controllo normalizzante che esercitano su di noi gli oggetti che ci circondano, l'ambiente, le abitudini quotidiane, e di ipotizzare mondi immaginari, dislocati concettualmente grazie a uno sforzo mentale dell'autore.

Ed ha scritto: "Se esistesse una pluralità di universi disposti lungo una sorta di asse laterale, cioè ad angolo retto rispetto allo scorrere del tempo lineare? (...) Noi del mestiere, naturalmente, conosciamo questa idea come "tema dell'universo alternativo" (...) Il mio romanzo La svastica sul sole utilizzava questo tema. In esso c'è un mondo alternativo in cui il Giappone, la Germania e l'Italia avevano vinto la seconda guerra mondiale." (29)  

Pagetti, nella sua introduzione a questo romanzo, lo individua come il più adatto a un'indagine che consideri il "testo" dell'opera, in quanto vi compare il carattere "metafantascientifico" di Dick, la riflessione ch'egli compie all'interno dell'universo delle convenzioni fantascientifiche, intorno a quell'universo e alle sue coordinate conoscitive. Dick, manipolando il flusso della storia, intende interrogare il valore della realtà storica e del concetto di "storicità".

Il libro è basato sul rapporto tra tre testi: testo "zero", cioè il presente che i lettori e l'autore condividono, la vittoria degli Alleati; il testo "primario", la variante storica descritta nel libro di Dick, cioè la vittoria dell'Asse; e il testo "secondario", l'alternativa storica narrata nel romanzo che i personaggi del testo primario hanno tutti letto, di un certo Abendsen (vittoria degli alleati, ma con numerose variazioni rispetto al nostro "presente").

Nessuna di queste alternative storiche porge un rimedio all'alienazione e alla devastazione morale, e Dick fa dire a uno dei suoi personaggi: "Qualsiasi cosa accada, è male al di là di ogni possibilità di paragone. Perché lottare, allora? Perché scegliere? Se tutte le alternative sono eguali... "(30)   

Alla fine del libro si scopre che "la Germania e il Giappone hanno perso la guerra." Ma - osserva sempre Pagetti - "chi" ha vinto la guerra? "Applicando lo stesso processo conoscitivo descritto nel romanzo, la "rivelazione" andrebbe rovesciata? Potrebbe allora il lettore americano degli anni '60 scoprire invece che Germania e Giappone hanno vinto la guerra? Vale a dire che l'America degli anni'60 (nel testo zero) è un Paese alieno e alienato, dove si scontrano istanze estetizzanti, spinte verso un nichilistico disimpegno personale (il dominio giapponese), e momenti di violenza e crudeltà intrecciati alle forme più estreme di efficientismo tecnologico (il dominio nazista). (...) Certamente, anche per Dick, come per gran parte dell'arte contemporanea, la storia è un labirinto pieno di trappole e illusioni."(31)  

Philip Dick ha detto, a proposito dei "mondi alternativi": "Potrebbe darsi che a variare non siano solo le nostre impressioni soggettive del mondo; potrebbe esserci una sovrapposizione di un certo numero di mondi cosìcché oggettivamente, e non solo soggettivamente, i nostri mondi sono diversi. Le nostre percezioni sarebbero diverse in conseguenza di questo fatto".(32)   

Ed ha descritto in forma narrativa queste possibilità in vari racconti, come "Il pendolare" (The Commuter, 1953) ove un passato instabile muta e fa sorgere una città, che all'inizio è solo "nella mente" di un viaggiatore; come "Il mondo che lei voleva" ("The World She Wanted" ,1953), in cui viene detto: "Esistono molti mondi. Mondi di ogni tipo. Milioni e milioni. Tanti mondi quante sono le persone."(33)  

Il maggior merito della SF, per Dick, è questo: "permette a uno scrittore di trasferire a un ambiente esterno quello che di solito è un problema interno: egli lo proietta in forme di società, di pianeta. (...) Quale prezioso strumento è, per noi, poter afferrare che non tutti vediamo l'universo nello stesso modo, o, in un certo senso, che non tutti vediamo lo stesso universo".(34

Le immaginazioni di Dick apparentemente così assurde, hanno però punti di contatto con quello che affermano le odierne scienze del cervello. G. Edelman, il più grande tra i neuro-scienziati di oggi, ha scritto nel suo libro "La materia della mente" che il nostro cervello non è solo uno strumento per elaborare le informazioni in entrata dal mondo circostante. Il cervello umano è in contatto con se stesso per la maggior parte del tempo, dialogando con altre aree di esso; ogni momento seleziona i dati, li rafforza, li cancella. Si costruisce il suo mondo.

La dissociazione spaziale e temporale che abbiamo detto essere il tema centrale dell'opera di Dick, l'affievolimento del rapporto tra realtà soggettiva e realtà oggettiva, provoca talora la creazione di realtà alternative, elaborate per sopperire alla mancanza di riferimenti stabili.

La " realtà virtuale "

In questo momento, da parte dell'informazione e presso il grande pubblico, Dick è osannato, ed è oggetto di meraviglia, per le sue intuizioni, risalenti a trenta, quaranta anni fa (un lasso di tempo enorme) sulla "realtà virtuale" e sugli "innesti di memorie".

Leggiamo in "La svastica sul sole" le considerazioni di un personaggio: "Forse non ricordo veramente F. D. Roosvelt. Un'immagine sintetica distillata dopo aver ascoltato molta gente che ne parlava. Un mito sottilmente innestato nel tessuto cerebrale..."(35)

In effetti sono stati soprattutto alcuni film a rendere familiari all'opinione pubblica le teorie di Dick: " Blade Runner" naturalmente, in cui sull'androide Rachael erano stati effettuati falsi "innesti di memoria" della propria infanzia; "Johnny Mnemonic" (Regia di Robert Longo, 1996), in cui lo sceneggiatore e autore del racconto originale, William Gibson, parla di "corrieri cerebrali", di dati "caricati" in un chip cerebrale, di ricordi personali cancellati e da recuperare (e Gibson ha sempre dichiarato di essersi ispirato a Dick.).

Un film tutto basato sugli innesti di memorie e sulla "totale" confusione tra diverse realtà è poi "Atto di forza" (Total Recall, di Paul Verhoeven, 1990) tratto dal racconto "Ricordi in vendita" ("We Can Remember It For You Wholesale", 1966) di Philip K. Dick.

Il protagonista del racconto chiede ad una ditta specializzata, la Rikord S.p. A., di impiantargli il falso ricordo di un viaggio su Marte: una pratica abituale di gita "virtuale" per chi non può permettersi un viaggio vero. Ma emergono ricordi veri che gli sono stati cancellati, finché non si riesce più a distinguere la verità dall'illusione. "Ho due schemi di memoria ben chiari nella testa; uno è reale l'altro no, ma io non so quale è vero. Perché non mi aiuti? Mica hanno pasticciato anche con te." (36) 

Giuseppe Panella, in un saggio su Dick osserva: "La conclusione dovrebbe essere quella, angosciosa, che un ricordo vale l'altro, dato si tratta di falsi reperti archeologici della memoria; eppure, essi risultano tutti veri, dato che si trovano annidati nel fondo oscuro della coscienza, in attesa che la droga (in questo caso la narkidina) li scovi e li mostri al suo possessore. (...) La schizo-frenia, il disadattamento, l'inquietudine, il non-conformismo nascono dall'aver voluto sondare la propria mente fino in fondo, nel voler essere consapevoli delle cause di ciò che accade.."(37)

Gli "innesti di memoria" sembrerebbero assurdità. Eppure, nei laboratori, si stanno progettando chip con 10 milioni di megabyte di memoria, capaci di contenere la quantità di informazioni che un cervello umano introduce nel corso della vita.

Impiantando il chip dietro l'occhio, sul nervo ottico, si avrebbe una sorta di "scatola nera" del cervello, da poter trasferire su uno schermo, su un altro computer o nel cervello di un'altra persona. Addirittura si ipotizza che, unendo le informazioni genetiche di una persona con quelle del suo cervello, si potrà ricreare questa persona nella sua totalità. Altri neuro scienziati sono scettici; tuttavia le ricerche continuano.

Per quanto riguarda invece la "realtà virtuale" ormai i livelli di perfezione raggiunti sono tali, da poter simulare praticamente ogni immagine. Attraverso il computer, è oggi possibile generare una immagine, oppure digitalizzare foto o sequenze, e modificarli senza che rimanga traccia della manipolazione. Nel libro Sol Levante di Michael Crichton, le fotografie e le riprese non vengono più accettate come dati di prova in tribunale. Immagini modificate o create dal nulla sono di utilizzo corrente nel cinema e nella pubblicità: pensiamo alle impossibili strette di mano del protagonista con i Presidenti del passato, in "Forrest Gump", o ai dinosauri virtuali di "Jurassic Park", o agli attori defunti "ricreati" in modo virtuale sugli schermi.

Non si è più in grado di distinguere in alcun modo l'illusione dalla realtà. La vera e propria "realtà artificiale", che coinvolge non solo gli occhi ma l'intera persona, si ottiene, come tutti sanno, con i Data-Glove (guanti attraversati da "nervi" in fibra ottica) e uno speciale casco. Si può immaginare di "toccare" oggetti, si interviene sulle immagini con i movimenti della testa, si aprono porte, si guidano veicoli.

C'è chi si interroga sull'uso che può essere fatto di immagini manipolate (in politica, per esempio) e sulle potenzialità di confusione percettiva per il nostro cervello, che mescolerebbe senza saperlo il vero e il falso, alterando le memorie individuali e collettive, rendendo incerta e "falsa" la storia. Si teme inoltre l'utilizzo della realtà virtuale totale (tra poco tempo sarà a livello di massa) come una vera e propria droga, che può portare nei "mondi artificiali" più incredibili.

Le distorsioni della percezione

Per Philip K. Dick le esperienze di ognuno non sono comunicabili. Ecco un brano tratto dal romanzo Ubik. "Runciter disse: "So di essere vivo; so di stare seduto in questa sala di consultazione del Moratorium." "Il tuo corpo nella bara"- disse Joe. "Qui al Cimitero del Semplice Pastore. Lo hai guardato?"(38)  

Questo dialogo surreale tra due soggetti, ognuno dei quali rivendica di essere l'unico vivo, richiama un dialogo quasi simile da Cronache Marziane di Ray Bradbury, tra il terrestre Tomàs e un marziano. "Tomàs si dette a palpare il proprio corpo e, sentendone il calore, si tranquillizzò un poco. "Sono reale, tangibile", si disse. Il marziano si toccò il naso e le labbra. - Sono fatto di carne - disse a mezza voce - sono vivo. Tomàs guardò l'altro essere: - E se io sono reale - disse - vuol dire che tu devi essere morto. - No, tu! -"(39)       

Le "realtà personali" dei personaggi di Dick, è stato detto, non solo non sono comunicabili, ma si sfaldano continuamente. Già in uno dei suoi primi romanzi troviamo una simile scena, mentre il protagonista sta ordinando della birra a un chiosco. "La moneta da 50 cents cadde attraverso il banco, sprofondò e alla fine scomparve... Il chiosco delle bibite si disintegrò. Molecole. Riusciva a vedere le molecole che l'avevano costituito, incolori e informi. (...) Vide il chiosco svanire nel nulla insieme all'uomo dietro il banco, al registratore di cassa... "(40)    

Non c'è dunque da meravigliarsi se i personaggi di Dick vivono per gran parte del tempo "stati alterati di coscienza", causati da una droga o da una degradazione del loro equilibrio psicofisico, che sfocia nell'autismo (il consapevole rifiuto di tutto l'organismo a prendere contatto con l'esterno) o nella schizofrenia (il panico che scaturisce dalle relazioni umane disturbate, il crollo della capacità di comunicazione, l'alterazione della percezione del tempo).

A questo proposito Dick ha affermato: "Che dire allora del mondo di uno schizofrenico? Forse è reale tanto quanto il nostro. Forse non possiamo affermare che noi siamo in contatto con la realtà e lui no. Dovremo piuttosto dire: la sua realtà è talmente differente dalla nostra da non potercela spiegare, così come noi non possiamo spiegargli la nostra. La questione sta quindi nel fatto che se i mondi soggettivi sono sperimentati in modi così differenti, si verifica un blocco nella comunicazione... ed è questo il vero problema. (41)  

Le narrazioni di Dick - afferma Bruno Vaccari" ricalcano spesso, nei contenuti e nella forma, un'unica esperienza schizofrenica di dimensioni cosmiche. "come se la realtà che noi conosciamo non fosse altro che il prodotto di una mente schizofrenica. Basta pensare alle allucinazioni religiose di Rick Deckard e degli altri personaggi di Do Androids Dream of Elettric Sheep?, oppure a certi effetti del progresso che effettivamente assomigliano ad allucinazioni paranoidi. Per esempio, gli oggetti che si ribellano o discutono con Joe Chip in Ubik, o la valigietta-psicanalista (...) o il taxi parlante; al di là della dimensione grottesca nascondono un significato terribile; sono cioè casi di identificazione proiettiva a testimonianza dell'azzeramento delle barriere dell'Io. Vale a dire che, mentre l'individuo come identità psico-fisica perde di consistenza, egli si vede circondato da oggetti vitalizzati e antropomorfi. Anche i simulacri rientrano in questa prospettiva."(42

Uno dei romanzi di Dick maggiormente incentrati sulla dissociazione tra realtà interiore e realtà (irrealtà), esteriore, è Noi Marziani, ove l'autore teorizza tramite un suo personaggio: "Ora capisco cos'è la psicosi: L'estrema alienazione della percezione dagli oggetti del mondo esterno, specialmente agli oggetti che contano: la gente che ha calore umano. (...) E' una completa scissione dei due mondi: quello interiore e quello esterno". Un bambino, il piccolo Manfred, qui è il vero protagonista, e vive il "blocco nella comunicazione" di cui Dick tratta.

Egli è un bambino autistico, tagliato fuori da qualunque comunicazione con il mondo esterno e tormentato dal terrore per la vita, che gli procura visioni da incubo, visioni di morte. "Dentro la pelle del signor Kott c'erano ossa morte, lucide e umide. Il signor Kott era un sacco d'ossa: sporche, eppure umido-lucide. La testa era un teschio che prendeva le verdure e le mordeva; dentro di lui le verdure diventavano delle cose marce ." Le sue visioni raggiungono vertici di orrore puro. "

Egli vide un buco grande come un mondo; la terra scomparve e divenne nera, vuota, il nulla. Gli uomini saltarono a uno a uno dentro il buco, finché non ne rimasero più. Adesso era solo, con il silenzioso buco-mondo." Ripete ossessivamente la parola "putrio", putritudine, che significa decadenza, deterioramento, distruzione e, infine, morte. Osservandolo, un personaggio del libro esclama: "E la gente (...) parla della malattia mentale come di una fuga dalla realtà! Rabbrividì. Non era affatto una fuga, era una restrizione, una contrazione della vita fino a diventare, in ultimo, una tomba umida e ammuffita, un luogo dove nulla accadeva: un luogo di morte totale".

Il senso del tempo viene annullato per gli astronauti, protagonisti di alcune narrazioni di Dick, rimasti intrappolati "in un occhiello di tempo", un circolo chiuso senza fine; ma più spesso la realtà regredisce, come in Ubik, si auto-degrada, almeno per come i protagonisti sperimentano soggettivamente.

Osserva Bruno Vaccari : "L'universo dickiano tende puntualmente a sfasciarsi.Regredisce temporalmente nella semi-vita di Ubik; regredisce non più nel mondo della semi-vita ma in quello usuale, cosicché i morti tornano in vita, i vivi ringiovaniscono, e i giovani tornano nel ventre materno in Redivivi S.p.A. (notiamo come questa regressione sia "collettiva" rispetto ad altre individuali descritte, ad esempio, da James G. Ballard e Alejo Carpentier). Esso si scompone in altrettanti universi, più o meno terrificanti, più o meno paradossali e comunque proiezioni delle "strutture cognitive" dei protagonisti, in L'occhio nel cielo. Diventa polvere, Kipple, in Il cacciatore di androidi."(43)  

Contrastare l'entropia

Nelle prime opere di Dick, il mondo è "out of joint", scardinato; via via diventa sempre più "upside down", sottosopra, con un rovesciamento completo di esperienze e di percezioni. Ubik in particolare, è stato paragonato ad Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol per le situazioni paradossali, i momenti di grottesco straniamento percettivo, le improvvise crepe di senso, il rovesciamento delle esperienze, i baratri di irrazionalità. Per capire le risposte che Dick cerca di dare a questa distorsione percettiva, dobbiamo leggere le sue riflessioni.

"Se dovessi tentare un'analisi della rabbia che mi tengo dentro, e che si esprime in tante forme sublimate, probabilmente giungerei alla conclusione che la mia indignazione nasce dal vedere quello che è privo di senso. Il disordine, la forza dell'entropia: secondo me, non c'è nessuna redenzione per quello che non può essere compreso. La mia opera, considerata complessivamente, è un tentativo di ripensare alla mia vita, a tutto quello che ho fatto e ho visto, e di dargli un senso. (...) Io mi arrabbio moltissimo. La morte mi fa arrabbiare. La sofferenza degli uomini e degli animali mi fa arrabbiare. Ogni volta che uno dei miei gatti muore, maledico Iddio, con tutte le mie forze."(44) 

Come cerca allora Dick di contrastare l'entropia, la regressione, la proliferazione e la contaminazione con gli oggetti meccanici e, in definitiva, la morte? I tentativi nelle sue opere sono vari, e vanno dalla razionalizzazione dell'esperienza a una panacea universale come Ubik, o a forze di rigenerazione, del tipo messianico, risalenti alle conoscenze filosofiche e religiose di Dick. In Ubik _nota Carlo Pagetti _ "la richiesta di un principio ordinatore, di una divinità, è diventata l'attività principale di tutti i personaggi, alla ricerca di messaggi e di oracoli, da Runciter che ha bisogno dei consigli della moglie " half-lifer", a Joe Chip - che scopre una realtà dominata prima dalla personalità di Runciter (le cui scritte sui muri ricordano ironicamente le manifestazioni del Dio biblico)..(..) Ubik, la pozione magica dell'etica capitalistica-simile all'intruglio di un ciarlatano, al preparato prodigioso di una scienza suprema, all'acqua santa distribuita ai miracolati- è il segno della mercificazione del divino, che annulla funzioni e identità, ricacciando ogni personaggio nella terra desolata dei morti viventi.."(45

In Cacciatore di Androidi esiste una scatola dell'empatia, un tipo di realtà virtuale (per ritornare a un tema già trattato in precedenza) con cui i personaggi entrano in comunione fisica e mentale con una sorta di Messia, Wilbur Mercer (da "mercy", misericordia).

In effetti Dick, più che invocare delle divinità, invoca il senso di comunanza, di pietà tra gli esseri umani, che spinge i protagonisti di varie opere (Ubik, La penultima verità ecc.) a rimanere uniti come un gruppo. Anche in Cacciatore di Androidi, ciò che distingue realmente gli esseri umani dai replicanti sintetici è la capacità e il bisogno di empatia, di comunicazione con gli altri esseri. Non rimane altro agli uomini, poiché Dick non crede più in un bucolico ritorno alla natura; l'umanità è stata ormai condannata alla "eternità" di un inferno tecnologico. Osserva a questo proposito Carlo Pagetti : "Non soggiace in alcun modo all'ideologia pastoralistica che è una delle facce più accattivanti della SF, con le sue mitologie rurali e l'esaltazione della cultura umanistica pre-industriale (si pensi a Fahrenheit 451 di Bradbury). Piuttosto, anticipando la svolta in chiave religiosa dell'ultimo periodo, Dick sottolinea fortemente il significato della solidarietà che lega tra loro gli esseri umani, anche (e soprattutto) i più umili, come unica risposta alla violenza del potere, della crudeltà e alla irrazionalità dei processi tecnologici".

Sono gli stessi processi tecnologici che ormai ci fanno sembrare per la più parte del tempo, chiusi all'interno delle nostre case, come monadi leibniziane. L'uomo - massa è fatto in effetti di solitudine (con la comunicazione tramite computer la tendenza si accelera), fruitore solitario a domicilio dell'informazione o dei beni prodotti da altre solitudini.

Per Dick anche gli oggetti, se impregnati dei ricordi e delle emozioni umane, acquistano qualità vitali: come in La città sostituita, dove aiutano il protagonista a far rivivere il vecchio villaggio, o come la fede nuziale, unico oggetto che rimane intatto in Ubik, perché collegata con la realtà mentale di Joe Chip, o come il vaso di ceramica in cui si conclude Episodio temporale. Gli oggetti inanimati possono assorbire e accumulare valori, farsi messaggio e portare una nuova comunicazione tra gli esseri umani.

E' soprattutto l'arte creatrice ad acquisire queste qualità; il risveglio dall'incubo della storia avviene attraverso dei prodigiosi gioielli, e attraverso soprattutto l'invenzione fantastica e liberatoria dello scrittore Abendsen, che propone una sua alternativa alla storia. In un gioco di rimandi letterari; meglio meta-narrativi, questi prefigura Dick come autore stesso del libro il cui protagonista è un altro testo di fantascienza. Il critico Rose ha proposto questa interpretazione delle posizioni di Dick: "Come possiamo conoscere qualcosa del tempo se non attraverso le stesse favole da noi create?"(46) 

Via via, nel corso della sua produzione, Dick ha sempre esaltato, nonostante l'apparente nichilismo, la funzione terapeutica e le proprietà conoscitive che ci vengono dai libri.

Anche nell'opera conclusiva, La Trilogia Di Valis, l'unico momento di solida verità appare nella solidità della grande parola scritta, nei grandi libri. In Valis un personaggio, Angel, dichiara, dopo essersi immerso ne La Divina Commedia di Dante: "Dai libri escono voci di esseri umani che mi costringono all'assenso".

Il valore della scrittura

Come avviene per l'oracolo cinese I'Ching nella Svastica sul sole, solo in un libro si può trovare la parola che resiste all'usura del tempo, depositata nella Bibbia, nelle opere buddiste e negli scritti di Platone, nei capolavori di Dante, di Shakespeare o di Goethe. E' questo il solo argine possibile contro i simulacri, e che possa restituire l'idea dell'autenticità.

Dick attribuisce un grande valore alla SF, in quanto "macchina creatrice di mondi", capace di immaginare realtà forse più vere di quelle fittizie che ci circondano. Per lui lo scrittore di fantascienza ha delle affinità con lo scienziato, il quale ha la funzione di effettuare scoperte, di ricercare la vera struttura sottostante le cose. Alla ricerca del Libro Assoluto, in cui si prefigurano e si ridescrivono tutti i destini dell'umanità, Dick immagina che la verità sulla vera natura del mondo non si trovi in pesanti tomi filosofici o nei testi sacri, ma in una piccola, umile, opera di fantascienza.

Se le tematiche di Dick possono richiamare le opere di Kafka, di Musil, di Svevo, di Borges (e sono stati fatti accostamenti con Endgame di Beckett e il No Man's Land di Pinter), anche il suo affinamento degli strumenti stilistici offre un prezioso contributo alla fantascienza più evoluta.

In essa la distanza tra immaginario e reale è stata abolita, dal momento che noi siamo immersi in un universo iperreale, e non vale più la vecchia dialettica tra utopia e antiutopia, tra i paradisi della "nuova frontiera" spaziale e la denuncia dei "nuovi inferni".

Scrive Antonio Caronia: "La scrittura della nuova fantascienza, piuttosto, è impegnata in operazioni di destrutturazione del reale, di esplorazione dei nuovi codici comunicativi, in un universo che la crisi e la scomposizione del linguaggio tiene costantemente aperto. Tanto la vecchia fantascienza si teneva ancorata ai moduli stilistici e alle convenzioni di intreccio dei "sottogeneri" (fantascienza spaziale, viaggi nel tempo, horror, heroic fantasy, e così via) anche come strumento di immediata riconoscibilità per il lettore, come elemento, in ultima analisi, di stabilizzazione del reale, quanto la nuova fantascienza gioca, con quelle convenzioni stilistiche e narrative, fino a stravolgerle, a farne degli elementi autentici di critica e di conoscenza".( 47) 

Lo stesso Dick parla così dei suoi romanzi: "..Tantissimi personaggi in cerca di un intreccio. Bè, l'intreccio non c'è. Ci sono solo loro e quello che si fanno a vicenda, quello che costruiscono per sorreggersi tutti quanti a livello individuale e collettivo..."(48)     

Alcuni suoi romanzi hanno un protagonista unico, ma con una moltiplicazione di "stati di coscienza". Più spesso, invece, (come in La svastica sul sole o Noi Marziani), è presente una molteplicità di personaggi e di punti di vista. La realtà non è "oggettiva", la stessa scena è vista da più occhi, in modo frammentato; e anche lo stile, diversificato, accompagna e rappresenta i diversi livelli semantici della narrazione.

È' quasi sempre assente, quindi, il personaggio centrale, il centro psicologico unico che rappresenti una costante narrativa e valutativa; ciò per affermare l'impossibilità di distinguere tra le identità molteplici, di valutare quale è la realtà e quale l'illusione, quale la verità e quale la finzione.

Nelle prime opere Dick si ispira ai moduli narrativi di Van Vogt: vorticosi colpi di scena, situazioni aggrovigliate, capovolgimenti molteplici; più tardi la sua tecnica narrativa sarà fondata su un processo sempre più spinto di frammentazione delle immagini della realtà, sulla scomposizione temporale e su effetti allucinati e inseriti a scatola cinese, che rovesciano situazioni, spalancano baratri improvvisi.

Si è parlato, riferendosi all'organizzazione strutturale della narrazione in Dick, di un gusto del "labirinto", con tracce di senso disseminate qui e là, con percorso contraddittorio e spesso fuorviante. La cosiddetta "iperrealtà" di Dick consiste nell'assenza di distinzione tra reale e irreale, nel processo di illusione che il suo stile di narrativa, instabile e talora caotico, ci porge. Al labirinto delle esperienze si accompagna un labirinto linguistico che può diventare, abbiamo visto, confusione o totale assenza di comunicazione.

Uno dei contributi più importanti che Dick ha dato è la rappresentazione di un paesaggio desolato, con immagini di distruzioni e rovina, con una città che è un enorme organismo mutante e la polvere radioattiva che ne penetra i corpi e le coscienze, il caos primordiale (kipple) che prolifera; attraverso la mediazione del film di Ridley Scott esso è passato nell'immaginario collettivo e nelle immagini urbane del cyberpunk, a rappresentare le città del futuro. Dick dunque, insieme del resto agli altri rappresentanti della SF come Disch, Lafferty, Vonnegut ecc., effettua un interessante riciclaggio dei vari stili e convenzioni di tanti generi della letteratura popolare: dell'horror, del mito faustiano tipo Frankenstein, della "detective story", di quella western, e di tutti i filoni della fantascienza, come detto in precedenza. Ma non mancano numerosi riferimenti alla cultura "alta": Beckett, si è detto, il Flauto Magico di Mozart, la Waste Land di Eliot e tanti altri.

"Mentre Vonnegut contribuiva a dar vita ,- scrive Pagetti - con estrema abilità e qualche tocco di autobiografismo esibizionistico, al romanzo post-moderno, Dick preferiva scavare all'interno dei meccanismi specialistici della Science-fiction, divenuta romanzo che parla di sé , rivisita i propri materiali, li riaggrega non con un' opera di rimozione, ma, appunto, per accumulo, esattamente come avviene nella San Francisco di Dick e di Ridley Scott.

Del resto, gli androidi di Dick non leggono, sulle colonie dove erano stati mandati, romanzi di viaggi spaziali? La fantascienza è la letteratura di quei "nuovi mutanti" di cui già parlava Leslie Fiedler negli anni '60. (...) L'emergenza di una nuova forma mutante di cultura-simile, in qualche modo, a quella prodotta tra la fine dell'800 e l'inizio del ‘900 dai scientific romances di Wells- è il significativo contributo di Dick al dibattito contemporaneo. L'obiettivo di fondo rimane quello di sondare e rappresentare la percezione della realtà da parte dell'uomo moderno, perduto nel labirinto dei segnali elettronici e dei simulacri tecnologici"(49)  


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NOTE AL CAPITOLO V

1) Darko Suvin, "P.K. Dick's Opus: Artifice as Refuge and World View  (Introductory Reflections)2, "Science Ficton Studies", 2,1, March 1975,                pp. 8-22.    

2) Gianfranco Viviani e Carlo Pagetti (a cura di), Il sogno dei simulacri, Ed. Nord, Milano, 1989.          

3) Ph. K. Dick, Ubik (Ubik,1969),Trad. di Gianni Montanari, Fanucci Editore, Roma,1969.      

4) Antonio Gnoli, "L'agente segreto del caos", in "Repubblica", 9 Giugno 1992.

5) Phlip K. Dick, Le presenze invisibili (racconti), (The Collected Stories of Philip Dick,1987, trad. di Vittorio Curtoni, A. Mondadori, Milano, 1994. 

6) Jonathan Benison, "Il mito-spazio e la fuga nello spazio simbolico nei romanzi di Ph. K. Dick", in Il sogno dei Simulacri, cit. p. 16.) 

7) Carlo Pagetti, "Introduzione a Noi marziani, 1973, in Il sogno dei Simulacri, cit. ,pp. 119-120.)    

8) Vittorio Curtoni, Introduzione a Le presenze invisibili,cit.    

9) Ph. K. Dick , " Introduzione a Non saremo noi (The Golden Man , 1980 ), Trad. di Delio Zinoni , "Urania" Mondadori, 12-6-1981     

10) Philip Dick , Episodio Temporale (Flow my tears , the Policeman Said , 1971) tr. di Delio Zinoni , "Urania " , Mondadori, Milano, 12/6/81.     

11) Ph. K. Dick. I Simulacri (The Simulacra, 1964), Tr. di Roberta Rambelli, Ed. Nord. Milano, 1980.    

12) Ph. K. Dick, "Yancy" (The World of Yancy", 1955, in " Non Saremo noi" (racconti), Urania, Mondadori, Milano, 12-7-1981.    

13) Antonio Caronia, "Inchiostro acquoso e storie confuse. Corpo e media in Dick", in Il sogno dei Simulacri, cit. , p. 99   

14) Ph. K. Dick, Cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968), Trad. di Carlo Pagetti, Ed. Nord, Milano, 1986, p. 71.  

15) Ph. K. Dick, "Colonia" (Colony), 1953, in Le presenze invisibili, 1° vol., cit. pp. 234-50.    

16) Richard Matheson, "La casa della follia" ("Mad House", 1963 in Regola per sopravvivere (Pattern of Survival, 1963), trad. di C. Fruttero e F. Lucentini, A. Mondadori, Milano, 1977.  

17) Philip K. Dick. Ubik, cit. p. 90. 

18) Idem, p. 153.  

19) Philip K. Dick, La città sostituita (A Glass of Darkness , 1955), trad. di L. Piccolo Cattozzo , " Urania" Mondadori, Milano.22/4/62.

20) Ph. K. Dick. "La macchina" ("The Unreconstructed M", 1956), in: Non saremo noi, cit., p. 51  

21) Ph. K. Dick, "Impostore" ("Impostor", 1953), in Le presenze invisibili, i° vol., cit. 193.   

22) Ph. K. Dick , "Intervista", su Vertex, Febbraio 1974.  

23) Carlo Pagetti, "Introduzione a Cacciatore di androidi", 1986, in Il sogno dei simulacri, cit.  

24) Ray Bradbury, Cronache Marziane, (Martian Chronicles, 1950). Trad. di Giorgio Monicelli, A. Mondadori, Milano, 1990, pp. 171. 

25) Ph. K. Dick. Noi Marziani (Martian Time-Slip, 1964) Trad. di Carlo Pagetti, Ed. Nord, Milano, 1983. 

26) Carlo Pagetti, "Introduzione" a Il sogno dei Simulacri, cit.,pp.5   

27) Carlo Pagetti "Introduzione a Noi Marziani" cit., p. 118.    

28) Idem, p. 125   

29) Philp K. Dick, Se questo mondo vi sembra spietato, dovreste vedere cosa sono gli altri ("The Metz Speech", by The Estate of Philip Dick 1977), Edizione e/o Roma, 1996, p. 18 e p. 23.  

30) Philip K. Dick, La svastica sul sole (The Man in the High Castle, 1962), trad. di Roberta Rambelli, Ed. Nord, Milano 1977, p. 230. 

31) Carlo Pagetti, Introduzione a "La svastica sul sole" (1977), in "Il sogno dei simulacri", cit., p.134 e p. 139.   

32) Philip K. Dick , "Se questo mondo vi sembra spietato... " cit., p. 26.  

33) Philip K. Dick., "Il mondo che lei voleva", in Le presenze invisibili,                cit., p. 141.

34) Philip K. Dick, "Note", in AA.VV., Ultima tappa (Final Stage,1974) A. Mondadori, Milano, 1977.   

35) Philip Dick , La svastica sul sole , op. cit. pag. 206    

36) K. Dick, "Ricordi in vendita", in I Difensori della Terra: Racconti: (The Book of Philip K. Dick) Fanucci, Roma, 1989, p. 223  ) 

37) Giuseppe Panella, "Dreams Within Dreams", in Il sogno dei simulacri, cit., p. 54. -        

38) Philip K. Dick, Ubik, cit., p. 214.)   

39) Ray Bradbury, Cronache Marrziane, cit., p. 118  )

40) Ph. K. Dick. L'uomo dei giochi a premio, (Time Out of Joint, 1959), Mondadori Milano. P. 41    

41) Ph. K. Dick "How to Build a Universe That Does'n Fall Aport Two Days Later ",  n " Introduzione a Ph. Dick , J. Hope J Shall Arrive Soon " New York , 1987 

42) Bruno Vaccari , "Philip Dick : l'allucinazione come mezzo conoscitivo " , in Il sogno dei simulacri , cit. 

43) Idem )   

44) Ph. K. Dick , "Introduzione" a Non saremo noi , cit.  

45) Carlo Pagetti , " Quando i morti si risvegliano: il mondo alla rovescia di Ph. Dick " (1983 ) , in Il sogno dei simulacri , cit. 

46) M. Rose, " Alien Encounters: Anatomy of Science Fiction ", Cambridge (MA), Harvard University Press , 1981.  

47) Antonio Caronia , "presentazione" a Nei labirinti della fantascienza , Feltrinelli , Milano , 1979.   

48) Ph. K. Dick, " The Android and the Human " in B. Gillespie , Philip Dick , Electric Sheperd , Melbourn , 1975.) 

49) Carlo Pagetti , " Introduzione " a Cacciatori di Androidi , cit. p.213.  




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