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DANAE
Questa che sto per narrarvi è la più straordinaria avventura
amorosa del barone don Giovanni Zuse o, per meglio intenderci, di Zeus.
Lei era una dama dell'alta società: la contessa Daniela Decastri,
chiamata per chiccheria Dany e poi dai favolieri Danae.
Durò poco la faccenda, ma avevano perso la testa tutt'e due. Forse
fu quella l'unica donna di cui Zeus non si invaghì per il semplice
gusto di fare un'altra conquista e potersene poi vantare. Non ragionava
più e la povera donna Agata Giunone dovette ingozzare l'amara pillola
in silenzio.
Della storia di questo amore un solo attimo di una sola sera é
giunto fino a noi, perché immortale.
Danae poggiava dolcemente su un braccio di Zeus, gli occhi socchiusi,
le labbra appena appena aperte in attesa di un bacio. Penetrava nella
stanza un raggio pallidissimo, forse il bagliore delle stelle, e
giungeva fino alla fanciulla trasfigurandola.
Zeus sta per accostare le sue labbra a quelle di Danae, ma si arresta
come allucinato. Dove, si chiede, ha contemplato quella visione? In
quale misteriosa regione della sua memoria essa viveva? Da quale mondo
ultraterreno veniva quell'immagine così perfetta? quel corpo
alabastrino, quei capelli misteriosamente scintillanti di un oro, che
solo i pittori, i più grandi, scoprirono in mondi a loro unicamente
visibili?
Zeus tentò di vincere l'allucinazione. Conosceva tanti altri di
questi momenti, in cui ci sembra che improvviso precipiti un sipario che
prima ci nascondeva una vita già da noi vissuta. Perché turbare la
divina estasi della realtà con un rovello di sogno?
Sogno? si, ecco, egli aveva posseduto un giorno quell'immagine negli
strani paesi che ci schiude la fantasia nel sogno. Se ne era riempito
gli occhi e l'aveva conservata intatta in un angolo nascosto del cuore.
Ora ricordava: era stato un sogno fatto da ragazzo, il sogno più bello
della sua vita. Da fitte cortine trapelava un tenue chiarore,
diffondendo intorno un brivido di mistero. Una fanciulla, ricoperta di
pochi leggeri veli, gli stava accanto. Egli la carezzava dolcemente, con
timidezza quasi, e contemplava estasiato il suo pallore, il suo
dolcissimo profilo, i suoi capelli d'oro. Poi un crollo improvviso, una
fuga e cumuli di rovine...
- Sai? - disse, come svegliandosi, Zeus a Danae - io ti ho conosciuta
tanti, tanti anni fa.
Danae gli appoggiò la testa sulla spalla, sorridendo.
- Davvero. In un sogno. Mi chiesi allora chi potessi essere tu e
cercai di vederti nelle altre. Ma nessuna eri tu. Ora ti ho vista, ti ho
riconosciuta. Come avevo potuto per tanto tempo non accorgermi di averti
trovato?
Si chinò ad accarezzarla, sfiorandola appena con le dita. La baciò
cento, mille volte.
Una strana ubriachezza invase Danae. Essa si sentiva dissolvere in
quel raggio di luce; era come un frantumarsi del proprio corpo... ed
ogni singolo relitto navigava su un'onda di piacere.
Improvvisamente Zeus avvertì di essere incorporeo e gli parve di
esser divenuto quella polvere d'oro che inondava di luce la fanciulla.
E la realtà si fuse col sogno, si avvelenò di sogno. Si avvelenò,
perché non più realtà, ma nemmeno del tutto sogno.
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