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Parenti: seduta 19
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Pagina 519
       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                          INDICE
                                                        Pag.
Audizione della dottoressa Antonella Giuliana Magnavita,
magistrato presso il tribunale di sorveglianza di
Catanzaro:
  Parenti Tiziana, Presidente................  521, 522, 523
                                                         524
                                          525, 526, 527, 529
  Magnavita Antonella Giuliana, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro............  521, 522
                                                    523, 524
                                     525, 526, 527, 528, 529
  Peruzzotti Luigi ....................................  529
  Ramponi Luigi ........................................ 528
  Rossi Luigi ...............................  526, 527, 528
Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di
Napoli, dottor Salvatore Iovino:
  Parenti Tiziana, Presidente &&P  529, 531,
                                                     533,534
                                           535, 537, 539,540
  Iovino Salvatore, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli ......................  529, 531, 533
                           534, 535, 536, 537, 538, 539, 540
  Peruzzotti Luigi ...............................  539, 540
  Scopelliti Francesca ............  535, 537, 538, 539, 540
Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di
Milano, dottor Antonio Maci:
  Parenti Tiziana, Presidente ....................  540, 544
                                               545, 546, 547
  Maci Antonio, Presidente del tribunale di sorveglianza
di Milano ........................................  540, 544
                                               545, 546, 547
  Scopelliti Francesca ....................... 545, 546, 547
Pagina 520
Pagina 521
   La seduta comincia alle 16,15.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione della dottoressa Antonella Giuliana Magnavita,
magistrato presso il tribunale di sorveglianza di
Catanzaro.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della
dottoressa Antonella Giuliana Magnavita, magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. La dottoressa
Magnavita è stata convocata per essere ascoltata sui problemi
incontrati dal tribunale di sorveglianza di Catanzaro
sull'attuazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento
penitenziario, sulle problematiche che eventualmente si sono
aperte, quindi in definitiva sull'attuale situazione
dell'applicazione dell'articolo 41-bis. Do subito la
parola alla dottoressa Magnavita.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Partirò dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 1993 che, pur
dichiarando infondata la questione di incostituzionalità che
era stata proposta con più ordinanze dal tribunale di
sorveglianza di Ancona, ha però dato delle direttive, ha fatto
delle affermazioni di principio molto utili - almeno a parere
del mio tribunale - per la risoluzione o comunque per la
lettura dei decreti ministeriali che all'epoca erano stati
emanati.
   Ho portato il testo di taluni provvedimenti (la cui
lettura forse potrà essere utile), alcuni dei quali peraltro
sono stati impugnati (è stato proposto ricorso per Cassazione)
da parte della procura generale di Catanzaro. Proprio in
questi giorni abbiamo avuto notizia che in data 27 ottobre
scorso la suprema Corte ha rigettato il reclamo della procura.
Naturalmente non abbiamo ancora la motivazione, essendo troppo
presto, ma possiamo presumere legittimamente che la Corte
abbia comunque condiviso, per lo meno in parte, le nostre
considerazioni.
   Con la pronuncia di cui parlavo prima da parte della Corte
costituzionale si è detto in particolare (si tratta di quella
che noi abbiamo ritenuto traccia fondamentale) che la tutela
costituzionale dei diritti fondamentali dell'uomo, ed in
particolare la garanzia dell'inviolabilità della libertà
personale, sancita dall'articolo 13 della Costituzione, opera
anche nei confronti di chi è stato sottoposto a legittime
restrizioni della libertà personale durante la fase esecutiva
della pena e che la sanzione detentiva non può comportare una
totale ed assoluta privazione della libertà della persona.
   La Corte costituzionale ha poi asserito che "l'adozione di
eventuali provvedimenti suscettibili di introdurre ulteriori
restrizioni di tale ambito, o che comunque comportino una
sostanziale modificazione del grado di privazione della
libertà personale, può avvenire soltanto con le garanzie
(riserva di legge, riserva di giurisdizione) espressamente
previste dall'articolo 13, secondo comma, della
Costituzione.
   "Il potere di coazione personale di cui lo Stato è
titolare al fine della difesa dei cittadini e dell'ordinamento
giuridico, che durante l'espiazione della pena comporta
l'assoggettamento alle regole previste dall'ordinamento
penitenziario, trova pertanto limite nei diritti inviolabili
Pagina 522
dell'uomo, tra cui quello della libertà personale, la cui
limitazione o soppressione può avvenire esclusivamente nei
casi e nei modi previsti dalla Costituzione e dalla legge".
   "Spetta, in sostanza, di regola all'amministrazione, e
dunque al ministro di grazia e giustizia, anche se sotto
vigilanza del magistrato di sorveglianza, o con possibilità di
reclamo al tribunale di sorveglianza, l'applicazione delle
modalità di trattamento, la determinazione di regole e di
istituti secondo le previsioni dell'ordinamento penitenziario,
che si riferiscono al regime di detenzione in senso stretto,
salva sempre la facoltà di stabilire un regime differenziato
in relazione a specifiche esigenze di rieducazione del
ristretto, ad esigenze di ordine e di sicurezza interna
dell'istituto carcerario". Preciso che questo di cui ho dato
lettura non è il testo integrale della sentenza, bensì il
tenore della nostra decisione.
   La Corte costituzionale, avendo ritenuto che il fatidico
articolo 41-bis, secondo comma, pur essendo certamente
di non felice formulazione, non consente comunque l'adozione
di provvedimenti suscettibili di incidere sul grado di libertà
personale del detenuto, quindi non viola l'articolo 13 della
Costituzione, non ne ha dichiarato l'illegittimità. Ha però
definito a chiare lettere alcuni principi: posto che il
secondo comma dell'articolo 41-bis non consente
l'adozione di provvedimenti suscettibili di incidere sul grado
di libertà personale del detenuto, deve ritenersi implicito,
anche in assenza di una previsione espressa nella norma, ma
sulla base dei principi generali dell'ordinamento, che i
provvedimenti ministeriali debbano comunque recare una
puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono
rivolti, in modo da consentire poi all'interessato una
effettiva tutela giurisdizionale, che non possano disporre
trattamenti contrari al senso di umanità ed infine che debbano
dar conto dei motivi di una eventuale deroga del trattamento
rispetto alle finalità rieducative della pena.
   Seguendo pertanto questa utile traccia che ci è stata
fornita dalla Corte costituzionale, il tribunale di
sorveglianza di Catanzaro, pur considerando naturalmente
indiscutibili le motivazioni di ordine pubblico e di emergenza
che viviamo ormai da qualche anno a questa parte (o forse
anche da più tempo), ritiene che indubbiamente il
provvedimento ministeriale, proprio perché fonte di
eccezionale imposizione, di limitazione della libertà, per i
generali principi sopraddetti, debba essere necessariamente
fondato su particolareggiate argomentazioni, che, dopo una
valutazione di circostanze rilevanti in ambito nazionale,
debbano poi riferirsi nello specifico al singolo detenuto
destinatario dell'intervento amministrativo, e non solo
cumulativamente ad un numero notevole di ristretti.
   Vorrei precisare che i vari decreti che nel tempo sono
stati emanati dal ministro hanno avuto diverse fasi, seppure a
volte differenziate da pochi particolari. In una prima fase
l'emissione è stata molto abbondante, riguardava moltissimi
detenuti; non saprei indicare la cifra, ma erano certamente
oltre il migliaio. Forse era stato fatto un lavoro affrettato,
tant'è che il tribunale di sorveglianza di Catanzaro
purtroppo, a volte, ha dovuto rilevare l'emissione di questi
decreti anche in casi non consentiti, cioè in casi di detenuti
imputati o condannati per reati che non erano compresi
nell'articolo 41-bis.
   Successivamente il campo d'azione dei decreti è stato
ristretto ad un minor numero di detenuti...
  PRESIDENTE. E' stato ristretto perché è stata
maggiormente applicata la normativa, è stata fatta una cosa
più meditata?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sì, credo che
abbiano preso atto delle varie pronunce dei vari tribunali e
quindi abbiano limitato l'emanazione dei decreti ai casi più
eclatanti.
   Questa che io definirei la seconda fase, la seconda
tornata di decreti, presentava come caratteristica - messa
appunto in rilievo dal tribunale di Catanzaro - quella di
avere una motivazione in ciclostile,
Pagina 523
uguale per tutti e riguardante un numero indeterminato o
comunque sempre notevole di imputati o di condannati, in
genere dei maxi processi; era lo stesso decreto applicato a
decine e decine di imputati.
   Abbiamo quindi ritenuto che un qualche elemento in più di
motivazione specifica dovesse esserci. Preso atto
evidentemente delle prime decisioni in questo senso, i decreti
ministeriali della seconda fase effettivamente contenevano
qualcosa in più, cioè dei richiami, seppure generici, a note
provenienti da varie autorità di polizia, a vari livelli. Però
abbiamo ritenuto anche questo non sufficiente; perché non può
essere ritenuto sufficiente il semplice richiamo a
segnalazioni e comunicazioni di una o più autorità giudiziarie
o di polizia, non meglio precisate nel loro contenuto e nella
loro portata, ma nonostante la loro astrattezza, elevate a
parte integrante della discussa motivazione. Inammissibile,
invero, risulta una motivazione per relationem, ove nel
contempo non venga reso disponibile pure l'atto cui si faccia
riferimento, nel caso specifico, atto interno
all'amministrazione e non altrimenti reso pubblico o noto a
questo giudice. Tanto meno la semplice valutazione del titolo
di detenzione, se costituisce il presupposto primo per
l'adozione del regime stesso, può però nello stesso tempo
esserne nella sostanza unico fondamento per presunzione, con
metodo inammissibile nel vigente sistema legislativo.
   Alla base delle consentite facoltative restrizioni del
trattamento carcerario, espressione del potere discrezionale
della pubblica amministrazione, deve sempre sussistere un
contemperamento tra potestà punitiva, tutela della sicurezza
pubblica e diritti soggettivi inviolabili oltre certi limiti,
contemperamento del quale deve essere reso esatto conto.
   In realtà, all'epoca ritenevamo che l'esame da parte del
giudice della fondatezza dell'adottato regime risultasse
impedito e pregiudicato dai sottolineati difetti del
deliberato ministeriale; ritenevamo quindi illegittimo il
decreto per violazione di legge, in quanto viziato per carenza
di motivazione, e ne disponevamo pertanto la disapplicazione.
Peraltro, in alcuni casi specifici avevamo anche istruito
ulteriormente la pratica, richiedendo le note che venivano
richiamate nel decreto, ma anche queste note apparivano, a
nostro avviso, insufficienti e generiche per motivare
adeguatamente l'imposizione di questi ulteriori limiti al
trattamento carcerario.
  PRESIDENTE. Quindi erano stati accolti i reclami?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Per lo meno per due
dei casi che ho citato, abbiamo avuto in questi giorni notizia
che, con pronuncia del 27 ottobre scorso, la suprema Corte ha
rigettato il ricorso della procura generale. Aspettiamo la
motivazione. Comunque, sensibili a quelle che sono le
indubitabili esigenze di tutela e di sicurezza, abbiamo voluto
approfondire ulteriormente l'istruzione dei reclami che ci
sono stati presentati. Infatti, nel giugno 1994 (penso sia una
delle ultime o forse l'ultima decisione in materia, si tratta
del caso di Francesco Santapaola) con una motivazione che è
entrata nel dettaglio, nel merito delle accuse, degli elementi
di prova, acquisendo l'ordinanza di custodia cautelare abbiamo
rigettato il reclamo. Con ciò intendo dire che il tribunale
non ha impostato il suo operato nel senso di accogliere in
tutti i casi il reclamo: a volte siamo riusciti ad acquisire
elementi sufficienti, seppure sopperendo a quelle che
indubbiamente sono delle carenze, e certo si noterà che le
decisioni hanno composizioni anche diverse. Quindi abbiamo
assunto varie possibilità.
  PRESIDENTE. E' nella competenza dei giudici di
sorveglianza chiedere...
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Io ho sostenuto
questo. Ovviamente vi sono altri tribunali che hanno sostenuto
il contrario, in particolare quello di Perugia; anche essi
hanno provveduto ad un'istruzione molto approfondita.
Pagina 524
   Al di fuori dei reclami presentati al tribunale di
sorveglianza (attualmente non me ne risultano altri pendenti),
le decisioni di cui ho parlato finora si riferiscono a decreti
la cui efficacia terminava grosso modo a fine luglio scorso.
Mi risulta però, per averlo accertato al di fuori dei reclami
presentati a noi, che più recentemente sono stati emessi altri
decreti, a firma del ministro Biondi, questa volta - devo dire
- rispetto a quella che era precedentemente la formulazione di
massa adeguatamente motivati. Ho qui la copia che riguarda Di
Maggio Procopio, motivata nello specifico su elementi di fatto
e di prova, su indizi. Anche le note della polizia o di altre
autorità che accertavano la pericolosità dei detenuti sono
richiamate in maniera specifica. Direi, quindi, che è stato
compiuto un grosso passo avanti; evidentemente avranno tenuto
conto dell'esito di queste procedure.
   Poi si dovrà eventualmente verificare nel merito se le
varie limitazioni possano essere ritenute lesive o meno di
diritti fondamentali.
  PRESIDENTE. Quanti decreti nuovi sono stati emanati per
quanto riguarda Catanzaro?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Per quanto mi
risulta, nessuno. Quanto ho esposto l'ho acquisito al di
fuori. Non ho avuto il tempo di fare una ricerca più
approfondita. L'istituto di Catanzaro ha senz'altro una
sezione di detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo
41-bis, però non so se, dopo la scadenza, alcuni decreti
siano stati rinnovati nei confronti di detenuti. E' una
ricerca che farò senz'altro con più calma, perché non ho avuto
il tempo materiale.
  PRESIDENTE. Vorremmo sapere se siano intervenuti ancora
decreti, quanti di quelli scaduti siano stati rinnovati,
quanti riguardino detenuti che si trovano a Catanzaro
istituzionalmente o in attesa di processo.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Probabilmente sono
molto diminuiti, perché molti dei detenuti che all'epoca
proposero reclamo erano da noi solamente per motivi di
giustizia; hanno proposto il reclamo, nel momento della
notifica, dove si trovavano, quindi a Catanzaro, poi sono
stati trasferiti nei rispettivi istituti di assegnazione. E'
pertanto probabile che per questo motivo siano notevolmente
diminuiti.
  PRESIDENTE. A Catanzaro è prevista proprio una sezione
apposita?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Vi è una parte
dell'istituto, aperta abbastanza recentemente, in cui si
trovano celle che ospitano questi detenuti sottoposti al
regime di cui all'articolo 41-bis; però, ripeto, non so
quanti ve ne siano attualmente.
   Diciamo che noi, come organo giurisdizionale, ci siamo
attenuti al principio della motivazione, che ci sembra
irrinunciabile: nel limitare ulteriormente la libertà della
persona, una motivazione ci deve essere, e deve essere
personalizzata, cioè deve rendere conto dei motivi per cui si
fa eccezione ad uno scopo educativo e comunque ad un livello
minimo di trattamento. Essendo noi organo di controllo
giurisdizionale, sia pure in un ambito di discrezionalità
dell'amministrazione penitenziaria, non possiamo fare a meno
di tener conto di alcune esigenze irrinunciabili.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda invece gli altri aspetti
limitativi che sono compresi nei decreti?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Ripeto che, a parte
il problema iniziale, noi non siamo andati nello specifico. Vi
era un unico punto che la Corte costituzionale ha ritenuto
lesivo di principi costituzionali, quello del visto sulla
corrispondenza: esiste una riserva di giurisdizione per il
magistrato di sorveglianza, il quale deve disporre il visto;
Pagina 525
in origine questi decreti delegavano il visto sulla
corrispondenza direttamente al direttore o al suo delegato, ma
preso atto della decisione della Corte costituzionale, che in
merito è stata esplicita, tale disposizione è stata subito
revocata.
   Ho esaminato rapidamente queste ultime limitazioni.
Nell'esprimere un parere al riguardo parlo a titolo personale,
perché il tribunale non ha avuto modo di pronunciarsi su
questi punti in quanto, avendo ritenuto pregiudiziale la
carenza di motivazioni, non è entrato nello specifico delle
varie limitazioni. In linea di massima, ritengo che le
limitazioni determinate di recente risultino abbastanza
adeguate, ma ripeto che si tratta di un'impressione
personale.
  PRESIDENTE. Quanti reclami sono stati avanzati sia per
la revoca che per la modifica dei provvedimenti adottati?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Credo che, per
quanto riguarda la modifica dei provvedimenti, non sia stato
presentato alcun reclamo, almeno stando a quello che mi
risulta. Vi è stato un reclamo rigettato, ma la vicenda risale
comunque all'epoca in cui la materia era, diciamo così, poco
matura. Inoltre, si sono verificate situazioni per le quali è
stato riscontrato un equivoco, nel senso cioè che le misure
sono state inflitte a soggetti imputati per reati non
riconducibili alla specifica normativa. Per il resto, dopo che
è stato presentato il primo reclamo che ha avuto un certo
esito, tutti si sono ispirati ad un criterio di critica
totale, alla radice, di tutto il decreto. In definitiva, non
credo vi siano state lagnanze specifiche, almeno per quanto
riguarda il nostro tribunale.
  PRESIDENTE. Può dirci quanti decreti sono stati emanati
e quanti di essi sono stati rigettati?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Mi riservo di
informarvi su questo punto. Ripeto: non ho avuto il tempo
materiale per poter approfondire determinati aspetti. Ho con
me alcune fotocopie dalle quali risultano le motivazioni di
decisioni adottate, che credo possano risultare utili per
voi.
  PRESIDENTE. Sì, certo, si tratta comunque di documenti
interessanti.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Non so se questa
sia la sede per formulare qualche considerazione a livello di
proposte.
  PRESIDENTE. Sì, certo.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Anche in questo
caso, parlo a titolo personale, basandomi sulle impressioni
che ho ricavato nel corso della mia esperienza. Come dicevo
prima, l'ultima tipologia di decreti appare senz'altro più
motivata ed apprezzabile e, quindi, molto più adeguata
rispetto a quella precedente. Non sarebbe comunque inopportuno
un intervento legislativo che specificasse meglio i limiti da
tenere presenti, magari con riferimento ai limiti massimi
oltre i quali non si deve andare. Ciò non tanto per vincolare
la discrezionalità della pubblica amministrazione quanto,
piuttosto... Noi continueremmo ad essere un organo di
controllo giurisdizionale, ma non sarebbe inopportuno - ripeto
- fissare limiti, così come sono previsti nell'ordinamento
penitenziario con riguardo a ciascuna voce relativa al
trattamento riservato al detenuto. E', questa, una proposta
che lancio in questa sede, anche se mi rendo conto che è molto
vaga, per attirare la vostra attenzione sull'opportunità di
determinare limiti massimi o minimi, tanto per rendere più
chiara la normativa.
   Debbo dire che ho molta fiducia e spero molto nella
pronuncia della Corte di cassazione in merito ai ricorsi
proposti dalla procura generale di Catanzaro. Spero che la
pronuncia della Corte possa essere illuminante e che possa
costituire un grande aiuto anche al fine di strutturare
eventuali nuovi interventi legislativi.
Pagina 526
Credo che, nelle more, i decreti siano tutti decaduti, per
cui la pronuncia della Cassazione è intervenuta dopo che i
termini di proroga erano spirati ed il fatto che non abbia
dichiarato il non luogo a procedere mi induce a ritenere che
la motivazione adottata possa risultare utile.
  PRESIDENTE. I detenuti sottoposti a regime speciale
erano del luogo?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Non credo che i
locali fossero molti. Per lo più, si trattava di detenuti di
passaggio ristretti in altri istituti penitenziari.
  PRESIDENTE. Quanti erano quelli che lei ha definito
"detenuti di passaggio"?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sinceramente, non
sono preparata a rispondere sugli aspetti numerici.
  PRESIDENTE. Sarebbe molto interessante acquisire questo
dato, con riguardo alla provenienza ed alla destinazione
successiva dei detenuti. Il direttore del Dipartimento
amministrazione penitenziaria ci ha riferito che spesso i
detenuti sottoposti al particolare regime dell'articolo
41-bis chiedono di essere trasferiti in istituti di pena
più vicini al luogo di residenza dei propri familiari. Si
tratterebbe di sapere se sia concretizzabile una tale
possibilità oppure se gli spostamenti possano avvenire
soltanto in funzione dei luoghi dello svolgimento dei
processi.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Mi sembra
difficile, comunque non dipende da noi; noi non abbiamo
competenze per quanto riguarda il trasferimento dei detenuti.
Ripeto: ricordo che molti dei reclami sono stati proposti da
detenuti assegnati ad altri istituti, i quali si trovavano da
noi di passaggio o per lo svolgimento di colloqui. Non sono in
grado di fornire dati numerici precisi, che tuttavia mi
riservo di comunicare alla Commissione.
  PRESIDENTE. Si sono verificati problemi nel corso dei
processi, magari a seguito della non applicazione
dell'articolo 41-bis in carcere o anche fuori?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. No, non mi
consta.
  PRESIDENTE. Cosa può dirci con riguardo alla possibilità
di colloqui con esterni o con altri detenuti?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Non mi risulta,
assolutamente, almeno stando a ciò che riguarda la nostra
competenza.
  LUIGI ROSSI. Desidero chiedere al magistrato se sia al
corrente che l'applicazione dell'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario sta suscitando notevoli
discussioni. Per quanto mi riguarda, considero tale
disposizione necessaria per combattere la criminalità
organizzata. Sono rimasto perplesso, nel leggere alcune
riviste giuridiche, quando ho appreso che alcuni magistrati
hanno espresso perplessità ed hanno richiamato l'articolo 13
della Costituzione, nel quale è sancito il principio della
inviolabilità della libertà personale. Anche sulla base dei
miei studi, che ormai risalgono a molto tempo fa (si trattava,
in particolare, della scuola positiva e, all'epoca, il mio
maestro era Rocco), ritengo che effettivamente esistano
individui di particolare pericolosità, rispetto ai quali la
società deve difendersi. Ne consegue che il garantismo
eccessivo espresso anche dai nostri codici deve essere
revisionato. Chiedo a lei, come magistrato - e, quindi, come
esperta della situazione (dal momento che lei viene da
Catanzaro, dove mi pare che funzioni la 'ndrangheta) - se
ritenga che l'articolo 41-bis possa essere, anche agli
effetti di quelli che sono i principi fondamentali del diritto
e della scuola positiva (della quale sono un assertore), uno
strumento idoneo ad incidere sulla diminuzione
Pagina 527
della criminalità oppure se pensi, come mi pare di
aver intuito dal suo intervento, che tale disposizione sia in
contrasto con l'articolo 13 della Costituzione.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Forse mi sono
spiegata male. Sono convinta che il fenomeno debba essere
arginato e che i soggetti che possono costituire un pericolo
per la società debbano essere isolati nei loro contatti con
l'esterno o con altri detenuti. Ripeto: forse mi sono spiegata
male. Noi, come tribunale, ci siamo pregiudizialmente
concentrati su un discorso prettamente giuridico: come organo
di controllo giurisdizionale, abbiamo ritenuto che un
provvedimento della pubblica amministrazione che limita
ulteriormente una situazione che, per sua stessa definizione,
è già di per sé limitante della libertà del detenuto, dovesse
essere motivata in maniera tale da diventare indiscutibile.
Sulla bontà dello scopo che si prefigge l'articolo
41-bis dell'ordinamento penitenziario non ho alcuno
dubbio. Si tratta di un aspetto che non mettiamo in
discussione. E' probabile che non sia riuscita a chiarire
questa posizione perché ho letto solo parzialmente il testo
del nostro provvedimento. Il fatto che l'articolo 41-bis
possa avere una sua validità ai fini della lotta alla
criminalità e dell'isolamento di certi soggetti non lo abbiamo
mai messo in dubbio. Superato il problema prettamente
giuridico, rappresentato dalla necessità di motivare un
provvedimento che limita diritti costituzionalmente
garantiti...
  PRESIDENTE. Chiedete, insomma, di poter svolgere il
vostro lavoro e di poter essere posti nelle condizioni di
attendere al vostro compito istituzionale.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sì.
  LUIGI ROSSI. In sostanza, lei è favorevole al
mantenimento dell'articolo 41-bis oppure no?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sono favorevole,
nei limiti garantiti dalla Costituzione sotto il profilo sia
formale che sostanziale.
  LUIGI ROSSI. Non ritiene che la nostra Costituzione,
considerato che rappresenta una risposta allo stato di
costrizione del periodo fascista, sia troppo garantista e che
questo carattere contribuisca all'incremento della
criminalità?
  PRESIDENTE. Non mi pare che la Costituzione sia in
discussione!
  LUIGI ROSSI. Scusi, ma fra l'articolo 41-bis e
l'articolo 13 della Costituzione c'è un collegamento!
  PRESIDENTE. La dottoressa Magnavita non può esprimere un
parere personale sulla Costituzione.
  LUIGI ROSSI. Ma io non ho chiesto questo! Io ho
semplicemente domandato se, come magistrato, ritiene che...
  PRESIDENTE. Il magistrato è obbligato a rispettare le
leggi della Repubblica e, prima di tutto, la Costituzione.
  LUIGI ROSSI. Ho chiesto solo se non ritenga che i nostri
codici penale e di procedura penale siano troppo
garantisti.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Mi sta chiedendo
un'opinione personale?
  LUIGI ROSSI. Sì.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Forse, non è questa
l'occasione...
  PRESIDENTE. Non mi pare il caso.
  LUIGI ROSSI. Se nella Commissione antimafia noi non
poniamo i problemi che avvertiamo in merito al rapporto tra il
legislativo e la magistratura, è chiaro e logico che la nostra
funzione non viene... Io
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ho posto una domanda e ho chiesto semplicemente se oggi non
vi sia un eccessivo garantismo. Questo ho chiesto!
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Il problema
meriterebbe un approfondimento diverso, da svolgersi,
probabilmente, non in questa sede. Non me la sento, ora, di
esprimere un'opinione personale. Io mi limito ad applicare i
principi di legge.
  LUIGI ROSSI. Ne prendo atto.
  LUIGI RAMPONI. Vorrei sapere, dottoressa Magnavita, se i
ricorsi ai quali ha fatto riferimento riguardino le modalità
del regime al quale i detenuti erano stati sottoposti oppure
l'applicabilità della norma. In sostanza, vorrei sapere se
venga eccepita l'esclusione dall'applicazione della normativa,
non essendo i reati commessi riconducibili alle norme che
tutti conosciamo, oppure se si entri nel merito
dell'applicabilità, cioè del rigore della disposizione (per
esempio, sostenendo che una sola occasione di incontro al mese
con i propri familiari non è sufficiente).
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Per entrambi i
motivi.
  LUIGI RAMPONI. Si riscontra anche un sostanziale
equilibrio, sotto il profilo percentuale, tra le due
ipotesi?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Va considerato che
molti dei reclami presentati sono predisposti dallo stesso
detenuto, per cui risultano non bene impostati sotto il
profilo tecnico. Nella maggior parte dei casi, chi propone il
reclamo sostiene di non essere pericoloso ed eccepisce
l'eccessivo carattere limitativo della restrizione.
  LUIGI RAMPONI. Se è vero che non si creano problemi per
la prima forma di reclamo, cioè quella che sostiene la non
pericolosità, vorrei sapere in che modo vi regoliate con
riguardo alla seconda. Di fronte al ricorso di un soggetto che
è indiscutibilmente sottoponibile alla normativa e che
eccepisca l'insufficienza di un solo incontro mensile con i
propri familiari (chiedendone, per esempio, almeno quattro),
in che modo vi regolate, in che modo esprimete un giudizio?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Questo è il lato
difficile del nostro compito, anche perché qualcuno sostiene
che, forse, il magistrato di sorveglianza è il giudice più
potente di tutti quelli previsti dal nostro ordinamento, dal
momento che ha il potere di incidere sull'esecuzione, quindi
su una pena che dovrebbe essere definitiva ma che spesso in
concreto non lo è. Vi è tutto il discorso sulla nostra
discrezionalità. Come dicevo prima, non abbiamo affrontato il
problema nello specifico, perché ci siamo fermati, per così
dire, a monte, ma presumo che effettueremmo una valutazione
caso per caso. Con riferimento, per esempio, alle due ore
d'aria giornaliere e non di più, a motivi di salute e così
via, procederemmo ad una valutazione nello specifico.
   In generale, ritengo che ulteriori limitazioni possano
essere considerate valide e giustificate proprio in virtù
dell'esigenza di limitare al massimo le occasioni di contatto
con l'esterno.
   Ho dato una risposta generica perché è molto
difficile...
  LUIGI RAMPONI. E' effettivamente difficile: se, per
esempio, si fa riferimento ad esigenze di salute, è evidente
che non ha alcun senso il fatto che una persona possa
respirare per due ore e un'altra per una sola ora a seconda
della pericolosità; lo stesso vale per gli incontri con le
famiglie. Quindi, mi rendo conto della difficoltà della
situazione.
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. In concreto il
discorso
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è molto difficile, come lo è in generale nella materia
del trattamento; tra l'altro, il magistrato di sorveglianza
decide sui reclami relativi ai provvedimenti del direttore e
dell'amministrazione penitenziaria in genere. Anche in questo
campo il discorso è molto delicato, per cui deve intervenire
l'equilibrio del collegio o del magistrato e comunque si deve
procedere ad una valutazione caso per caso, personalizzata.
   In linea di massima, non metto in discussione la bontà
degli scopi di questa normativa.
  PRESIDENTE. L'applicazione concreta è sempre difficile.
Visto dall'esterno, sembra tutto facile, ma quando ci si trova
ad applicare la normativa nascono tutti i problemi.
  LUIGI PERUZZOTTI. Le leggo uno stralcio di un rapporto
dei carabinieri, datato 7 ottobre 1994, relativo ad un
sequestro di armi effettuato in provincia di Catania, in cui
figura il seguente elenco: 10 mitragliette, un mitra, 3 MAB,
18 fucili da caccia, un fucile Winchester, 2 moschetti,
17 pistole, ingente quantitativo di munizioni, 6
ricetrasmittenti sintonizzabili sulle frequenze delle forze di
polizia, 3 bombe a mano, 1,2 chilogrammi di esplosivo, 39
detonatori, 6 cannocchiali di precisione. Contro gente che usa
le armi e le munizioni che ho elencato come noi usiamo il
fazzoletto per soffiarci il naso, non crede che l'articolo
41-bis sia forse un po' troppo poco?
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. L'articolo
41-bis è una norma larga, che va specificata;
probabilmente in un caso del genere non scatterebbe...
  LUIGI PERUZZOTTI. Però queste armi e munizioni vengono
chiaramente usate per commettere reati. Quindi, a reato
concluso, quando uno di questi signori andrà...
  ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il
tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Comunque, al di là
dell'articolo 41-bis, esiste nel nostro ordinamento
penitenziario la possibilità di prevedere un trattamento
particolare per i detenuti pericolosi. E' quindi possibile
graduare il trattamento.
  PRESIDENTE. La dottoressa Magnavita, che ringraziamo,
potrà comunque inviarci in un momento successivo la
documentazione relativa a ulteriori aspetti.
Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di
Napoli, dottor Salvatore Iovino.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli, dottor
Salvatore Iovino. Tale audizione riguarda l'articolo
41-bis ed i problemi derivanti dalla sua applicazione
dall'entrata in vigore ad oggi.
   Do la parola al dottor Iovino per la relazione
illustrativa.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Non ho portato con me alcuna
documentazione, ma farò pervenire alla Commissione tutti i
dati che saranno ritenuti utili.
   Vorrei cominciare sottolineando che tutto quello che
riguarda Napoli è sempre particolare: ovunque le carceri sono
affollate, ma a Napoli vi è un affollamento peggiore che
altrove; se la situazione nelle carceri di altre città è
brutta, a Napoli è pessima. Abbiamo oltre 6 mila detenuti,
4.500 dei quali - più di due terzi - sono in attesa di
giudizio; sono stati istituiti due nuovi tribunali, quelli di
Nola e di Torre Annunziata, che non hanno carceri; in
conclusione, vi è un numero di detenuti doppio rispetto ai
posti disponibili.
   Tutto ciò evidentemente crea numerosi problemi in
riferimento sia agli operatori sia ai detenuti. Per quanto
riguarda gli operatori, si assiste ad un rifugio nell'azione
custodiale (non si può parlare di trattamento poiché ci si
deve preoccupare dell'attività primaria che è, appunto, la
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custodia). In molti di essi, in particolar modo fra i giovani,
vi è un'adesione al malumore popolare che considera la riforma
penitenziaria una manifestazione di lassismo nei confronti
della criminalità. In definitiva, all'interno del carcere si
determina un blocco detenuti-amministrazione.
   Per quanto riguarda i detenuti, il primo inconveniente è
rappresentato dal fatto che questa situazione danneggia i più
deboli: non essendovi la possibilità di curare l'aspetto
relativo al trattamento, i detenuti per reati bagattellari non
possono usufruire delle misure alternative delle quali,
invece, riesce a godere un detenuto per reati più gravi il
quale, essendo condannato a una pena più lunga, ha il tempo di
aspettare che vengano istruite le pratiche. Ciò crea
promiscuità e, quel che è più grave, genera solidarietà nel
carcere tra tutti i detenuti: con De Lorenzo è solidale anche
il ladro di polli. Nel carcere si appianano quindi tutte le
differenze di carattere sociale ed economico e, tranne che per
i responsabili di violenza sessuale - che sono decisamente mal
visti -, per quanto riguarda gli esecutori di altri reati in
carcere sono tutti uguali. Questo favorisce anche
l'aggregazione e l'emergere del carisma dei boss della
malavita.
   A Napoli abbiamo vissuto purtroppo l'esperienza negativa
della nuova camorra organizzata di Cutolo che si sviluppò
proprio in carcere. Pandico, che poi è diventato il braccio
destro di Cutolo, lo ha conosciuto in carcere e tutta la sua
attività camorristica si è svolta esclusivamente in stato di
detenzione. Il carcere, quindi, anziché frenare la
delinquenza, finisce per diventare un centro di arruolamento;
in un carcere come quello di Poggioreale, per esempio, dove da
vent'anni vi sono problemi di sovraffollamento, questo diventa
inevitabile: quando si è in venti o in trenta in una cella,
non si discute dell'ultimo libro di Eco, ma probabilmente di
come organizzare una rapina.
   In questo contesto, anche le limitazioni previste
dall'articolo 41-bis, comma 2, che dovrebbero
contrastare proprio l'affermazione della personalità dei
delinquenti all'interno del carcere e la loro possibilità di
comunicare con l'esterno, finiscono con il diventare
velleitarie e qualche volta addirittura inutilmente rigorose.
In alcuni casi, infatti, si potrebbe addirittura creare una
solidarietà tra i mafiosi colpiti da questa norma, che perciò
non riuscirebbe a raggiungere lo scopo che si prefigge.
   Ritengo che questa disposizione dovrebbe essere mantenuta
e anzi diventare definitiva, però, secondo la mia esperienza,
è necessario collegarla con l'articolo 14-bis, che
prevede una sorveglianza particolare all'interno del carcere,
perché solo così si riuscirà ad avere una graduazione delle
norme a seconda della pericolosità del soggetto. Se si mette
in una cella il detenuto che ha commesso una rapina o che
commette abitualmente estorsioni con il giovane che ha
commesso il reato di cui all'articolo 80 del codice della
strada o con i detenuti per reati bagattellari (mi riferisco a
quelli condannati ai famosi quattro mesi di reclusione per le
musicassette false, ai contrabbandieri di sigarette, a quelli
che vendono le borse con la griffe falsificata, a quelli
che caricano il gas GPL delle bombole nelle macchine,
eccetera; a tutte quelle persone che si arrangiano commettendo
reati di poco conto, che poi consentono, purtroppo, a
moltissime famiglie di vivere); se li mettiamo insieme con il
delinquente più affermato - non necessariamente con il
mafioso, ma con il rapinatore, con l'estorsore -, costoro
finiscono per fare un salto di qualità, il che a volte diventa
inevitabile.
   Noi siamo da una parte della barricata e forse notiamo
alcune cose che ad altri sfuggono. Probabilmente, se un
napoletano viene trovato a Milano o a Cuneo o nelle piccole
città di provincia del nord a commettere un furto, sconta una
pena che a Napoli non prende più neppure per una rapina. Pochi
giorni fa è capitato il caso di un ragazzo che ha rubato una
Cinquecento, che ha avuto una condanna a un anno e otto
mesi di reclusione. Se questo ragazzo lo mettiamo in una cella
dove ci sono i rapinatori, che prendono due anni e mezzo di
reclusione, probabilmente la prossima volta non commetterà più
un furto, ma andrà a fare direttamente una
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rapina; non so se rendo l'idea. Quindi, secondo me, teniamo
in piedi l'articolo 41-bis, perché mi sembra sia
essenziale, però cerchiamo di collegarlo con l'articolo
14-bis che ci consente, attraverso la sorveglianza
particolare, di introdurre una graduazione nel carcere.
   Ovviamente, tutto questo resta collegato al problema dei
posti in carcere, che pare non ci siano. Ho l'impressione -
devo dire la verità - che questo forse non sia il momento per
sollevare la questione (anche se so che pendono davanti al
Parlamento alcune proposte di legge per allargare le misure
alternative), ma certamente 6 mila detenuti il carcere a
Napoli non li può mantenere; bisogna vedere se vi sia la
possibilità di prenderne una parte e di trasferirli sul
territorio, attraverso le misure alternative. A questo punto,
ovviamente, incorreremmo nelle ire di pubblica sicurezza e
carabinieri, perché togliere centinaia di persone dal carcere
significa portarle tra la popolazione e addossarne il
controllo ai carabinieri. Ma questo è un problema politico,
che ovviamente non posso risolvere né posso pretendere di
farlo; è un problema che deve risolvere il Parlamento, che
secondo me deve decidere se in Italia ci debbano essere 50,
60, 70 o 100 mila detenuti o se si debba tornare ai 30 mila di
una volta. Questa è una scelta politica, che non compete a me
o ad altri magistrati; però, credo che sia essenziale. Tenere
60 mila persone in una struttura che ne può ospitare solo 30
mila, evidentemente è una cosa che si può reggere per mesi,
non può resistere per anni!
   Passo all'articolo 41-bis, comma 2, che interessa la
Commissione. A Napoli, abbiamo pochissimi detenuti sottoposti
al 41-bis, poco più di trenta: 32 o 33. Uno soltanto di
questi ha assegnazione a Napoli, come sede.
  PRESIDENTE. Gli altri sono tutti di passaggio?
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Gli altri sono tutti di passaggio.
Questi detenuti sono sempre di passaggio. Mi domando: ha un
senso tenere al 41-bis- come si suol dire - un soggetto
che per 10 mesi viaggia o sta a Napoli e per 2 mesi sta
all'Asinara o a Pianosa, dove dovrebbe essere oggetto di
determinate limitazioni? E' possibile che l'articolo
41-bis svolga la sua efficacia anche allorché il
soggetto si trova fuori dal carcere di assegnazione? Finora
sicuramente questo non è avvenuto: normalmente, i detenuti
assegnati all'articolo 41-bis, cioè colpiti dal relativo
decreto, venivano a Napoli in traduzioni collettive, magari
erano alloggiati in celle collettive, venivano tenuti nelle
camere di sicurezza dei tribunali unitamente a tanti altri. E'
evidente che, arrivati a questo punto, per questi soggetti -
che avevano la possibilità di parlare con decine di persone,
magari compagni e amici di quartiere o di gang-
limitare la possibilità di avere colloqui con la famiglia non
aveva senso e non ha senso, secondo me. Ho visto, però, che
ultimamente, da pochissimi giorni, è arrivata una circolare
del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che ha
preso in esame proprio questo problema e ha dato disposizioni
ai direttori delle carceri di informare la scorta che il
soggetto è sottoposto alle restrizioni dell'articolo
41-bis e quindi di effettuare traduzioni non collettive,
ma singole. Tutto questo è possibile? Sarà possibile? E quante
scorte ci vorranno per fare queste traduzioni? Anche nello
stesso tribunale quando teniamo udienza la mattina magari
abbiamo 40 o 50 detenuti; se ci fanno ricorso 10 di queste
persone, ci vorranno 10 scorte speciali, ma non abbiamo le
camere di sicurezza speciali per poterle tenere, non ci sono
le celle singole per poter ospitare queste persone. Allora, il
problema ritorna sempre, secondo me, al carcere perché, se il
carcere metterà fuori i detenuti per reati bagattellari,
allora potrà tenere con più cura e meglio quelli che meritano
di restare in galera; mi sembra che il discorso alla fin fine
potrebbe essere questo.
   Ci sono stati rivolti molti reclami avverso il
41-bis. Abbiamo applicato il principio dettato dalla
sentenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto la nostra
competenza in materia. Abbiamo avuto
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circa 100 reclami; ne abbiamo accolti parzialmente 15, gli
altri li abbiamo rigettati o dichiarati inammissibili.
   Perché abbiamo accolto questi 15 reclami? I primi perché
il Ministero si riservava il visto sulla corrispondenza.
Quello alla libertà della corrispondenza è un diritto
costituzionalmente protetto; c'è bisogno di un provvedimento
del giudice, tra l'altro motivato, per poterlo limitare. Lo ha
ripetuto la Corte costituzionale nella sentenza con la quale
respinse le eccezioni di illegittimità costituzionale
dell'articolo 41-bis, rilevando che nella disposizione
sicuramente non c'era il principio per cui l'amministrazione
penitenziaria poteva controllare la corrispondenza. Allora,
abbiamo accolto, limitatamente a questo problema del visto di
corrispondenza, alcuni reclami, dicendo che il visto sulla
corrispondenza spetta a noi e, in effetti, abbiamo poi accolto
tutte le richieste di sottoposizione al visto della
corrispondenza dei reclamanti (i provvedimenti emessi sono più
o meno uguali a quelli reclamati; non ne abbiamo rigettato
nessuno).
   Abbiamo poi dichiarato inapplicabili le limitazioni in
ordine ad altre due questioni. La prima è quella dei colloqui.
Il decreto stabilisce che le persone sottoposte a questo
regime particolare non possono avere più di un colloquio al
mese. Succedeva che si sommassero due limitazioni: quella di
un colloquio al mese e quella di non più di due persone per
colloquio. E' accaduto che un camorrista di Napoli, avendo 4 o
5 figli, per avere un colloquio con la moglie e i figli
dovesse aspettare tre mesi. Abbiamo fatto presente che per lo
meno il secondo limite non dovrebbe sussistere: quanto meno
che abbia la possibilità di parlare con moglie e figli una
volta al mese. Devo dire che l'amministrazione sul punto si è
dimostrata sensibile e nei successivi decreti che ha emanato
ha tenuto conto di questo nostro rilievo.
   L'ultima questione che abbiamo sollevato riguarda la
biancheria. C'è la possibilità di inviare in carcere ai
detenuti un solo pacco al mese che contenga biancheria, però
con il limite di 5 chilogrammi. Ora, dato che
l'amministrazione non riesce a fornire la biancheria (vestiti
e altre cose del genere), specialmente nei cambi di stagione
un pacco di 5 chili di biancheria finisce per essere del tutto
insufficiente. Per la verità, abbiamo quasi rivolto un
suggerimento all'amministrazione: dategli almeno la
possibilità di cambiarsi i vestiti. Anche perché non riteniamo
che cambiarsi una maglietta o un paio di calzini qualche volta
in più possa influire sulla sicurezza degli istituti.
   Questo sostanzialmente è il nostro approccio all'articolo
41-bis. Però, se la presidente me lo consente, dovrei
porre un problema alla Commissione; un problema che non è
stato sollevato, ma che potrebbe scoppiare quanto prima. Si
tratta del problema delle misure alternative ai pentiti e ai
parenti dei pentiti che vengono protetti. Cos'è successo? I
pentiti collaboratori della giustizia sicuramente danno una
mano, sono utilissimi ai fini dell'accertamento dei reati. A
queste persone è anche giusto dare un guiderdone, un compenso;
però, non possiamo darlo noi, con le misure alternative.
   Mi spiego: la misura alternativa viene concessa in
considerazione del trattamento di un soggetto; vediamo un
soggetto che ha commesso un reato, facciamo (o dovremmo
riuscire a fare) un'osservazione della sua personalità e, con
la collaborazione degli educatori del carcere e con il
servizio sociale, si può pensare di reimmetterlo nella società
attraverso una misura alternativa. Quando ci dicono che
possiamo immettere nella società i collaboratori di giustizia
- e coloro che sono destinatari di un programma di protezione
possono andare addirittura senza osservare alcun limite, in
quanto a pena ed altro, per l'affidamento in prova al servizio
sociale, eccetera - cosa succede? Succede che, se arriva la
domanda di un signore che non è in carcere, ma in una
struttura protetta, non lo conosciamo né abbiamo la
possibilità di conoscerlo; possiamo forse vederlo se ci viene
portato all'udienza. Non più di questo. Il centro di servizio
sociale non può svolgere alcuna indagine. Non sappiamo dove
andrà questo signore
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né che cosa farà dopo né se manterrà ancora il cognome e il
nome che ha.
   Dunque, questa forma alternativa di espiazione della pena,
che non è il carcere, che avviene nel territorio e sotto il
controllo del centro servizio sociale, del magistrato di
sorveglianza, dei carabinieri, eccetera, non può essere
attuata. Se si vuol dare un premio e soprattutto proteggere
queste persone, bisogna seguire altre strade anziché
utilizzare i criteri suddetti.
   A volte, ci siamo già trovati in difficoltà di fronte a
persone che non conoscevamo perché, in quanto protette,
stavano in una caserma dei carabinieri. In questi casi, nei
confronti di costoro non potevamo fare assolutamente niente.
Oltretutto, si tratta di provvedimenti giurisdizionali, per
cui, anche se è probabile che il procuratore generale non ce
li impugnerà, certo è che dobbiamo credere ciecamente a quanto
ci riferiscono i pubblici ministeri o le forze dell'ordine che
hanno in assistenza queste persone. E i provvedimenti che
dobbiamo assumere in base a quanto ci viene detto, non sapremo
mai come controllarli.
   A mio avviso, quindi, se si intende dare un premio, si
deve prevedere un altro metodo, per esempio la grazia, il
condono, eccetera, perché la strada delle misure alternative a
me non sembra percorribile.
   Ciò che più è grave è che, nonostante l'accusa di lassismo
che ci viene rivolta, in questo caso ci pioverà addosso
l'accusa contraria, cioè di essere lassisti nei confronti dei
delinquenti e restrittivi nei confronti dei collaboratori
della giustizia. Già stiamo male così, non abbiamo bisogno di
tirarci addosso un'altra accusa!
  PRESIDENTE. Come vi regolate in questi casi?
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Ultimamente, per esempio, una
richiesta l'abbiamo rigettata. Lo abbiamo fatto perché verso
le 13,30 o le 14, quando ormai l'udienza era chiusa, si è
presentato, accompagnato dalle forze di polizia, un signore
con un certificato medico dal quale risultava che aveva avuto
un pregresso di ulcera duodenale. In circostanze simili,
seguiamo la nostra giurisprudenza e, non avendo mai previsto
la detenzione domiciliare per nessuno che soffrisse di ulcera
duodenale, ovviamente non l'abbiamo fatto neanche in questo
caso. Devo anche dire, in verità, che un sostituto procuratore
della direzione distrettuale antimafia mi ha fatto subito
presente che a favore di questo signore non avevamo previsto
nulla. Va aggiunto, inoltre, che il signore in questione non
era neanche un collaboratore, ma il familiare di un
collaboratore da proteggere.
   Come magistrati di sorveglianza, per il collaboratore
potremmo dire che disponiamo di un elemento di valutazione,
cioè la sua rottura con la criminalità organizzata, la quale
potrebbe essere intesa come una volontà di reinserimento
sociale. Ma per il parente protetto non possiamo fare neanche
questo discorso. Mi rendo conto che la procura della
Repubblica abbia interesse a proteggere i parenti dei
collaboratori, altrimenti essi non collaborano più, però
pensare che si possano prevedere misure alternative, non solo
per i collaboratori, ma anche per i loro parenti, a me sembra
veramente impossibile, anche perché questi ultimi non li
conosciamo né abbiamo la possibilità di controllarli prima o
dopo. Chiedo scusa se sono andato fuori strada.
  PRESIDENTE. No, perché dobbiamo affrontare anche questo
problema. Non avevamo mai affrontato la questione dal punto di
vista dell'esecuzione della pena, nonostante i problemi
comincino ad essere molti.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Sì, cominciano ad essere molti. Per
usare una sorta di eufemismo, posso dire che finora siamo
stati fortunati. Siamo stati sottratti a tutta questa
problematica a seguito di un orientamento della Cassazione,
che per la verità il tribunale di sorveglianza di Napoli non
condivide, in base al quale è competente il foro di Roma per
coloro che sono sottoposti al programma di protezione. Vi
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è l'obbligo di elezione del domicilio, ma è una clausola che
si usa nei contratti: evidentemente, nella parte contrattuale,
il foro che si è voluto scegliere è quello di Roma. Per la
parte penale, però, a mio avviso, il foro è quello stabilito
dalle regole del codice di procedura penale, in quanto in
quest'ultimo non vi è mai...
  PRESIDENTE. Non vi è mai una competenza territoriale
esclusiva.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Sì, una competenza territoriale
esclusiva e addirittura elettiva.
   La Cassazione ritiene che sia di competenza del foro di
Roma perché la norma era stata interpretata estensivamente.
Quindi, il problema si sta rovesciando, in buona parte, sul
tribunale di sorveglianza di Roma, il che è meglio, per certi
aspetti, perché se vi è un solo tribunale, non vi sono
contrasti di giurisprudenza.
  PRESIDENTE. Invece, per i familiari protetti sono
competenti tutti...
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Sono competenti tutti perché non
hanno firmato il contratto... Non vi è l'obbligo di elezione
del domicilio, per cui possiamo esserne interessati tutti.
  PRESIDENTE. Ritorniamo all'articolo 41-bis e alla
situazione di Poggioreale, dove un detenuto è sottoposto al
regime del 41-bis, mentre gli altri 30 sono invece di
passaggio.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. No, uno è a Secondigliano. Gli
altri sono tutti di passaggio.
  PRESIDENTE. Quanti sono stati in questi due anni?
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Secondo me, sono stati un
centinaio, non di più. Non ho il dato preciso, ma credo siano
stati un centinaio, sempre i soliti. Ho l'elenco di coloro che
hanno proposto reclamo: in effetti, più o meno sono tutti
camorristi arrestati nelle ultime tornate, circa un centinaio
di persone. I provvedimenti nei loro confronti, notificati nel
carcere in cui si trovavano (all'Asinara, a Spoleto, qualcuno
a Cuneo, eccetera) li dichiaravamo poi inammissibili perché
proposti fuori tempo.
  PRESIDENTE. Quindi, in questa situazione, le garanzie di
effettiva applicazione dell'articolo 41-bis non ci
sono.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Assolutamente no. A mio parere,
l'articolo 41-bis vale se applicato, nei confronti di
chi ne è colpito, 24 ore al giorno per tutto l'anno. Invece,
ho l'impressione che negli otto, nove o dieci mesi all'anno in
cui i soggetti sottoposti al suo regime girano per l'Italia,
questi non siano sottoposti al regime dell'articolo
41-bis. Tra l'altro, di questo mi dà conferma l'ultima
circolare - di pochi giorni fa - dell'amministrazione
penitenziaria, la quale, evidentemente, a ciò non aveva fatto
caso.
  PRESIDENTE. Ne avevamo parlato anche qui di questi
problemi. Ma, per quanto riguarda la situazione del detenuto,
la scorta...
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Normalmente, alle scorte viene dato
un foglietto di accompagnamento con la fotografia, eccetera,
ma adesso non vi è riportato neppure il reato. Si indica se
quest'ultimo sia definitivo o meno. Se vi è la cartella
biografica del carcere, gliela danno in busta chiusa da
consegnare. Quindi, le scorte hanno un foglietto lungo...
  PRESIDENTE. Con la descrizione... che non deve
comunicare...
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Ma è di adesso. Si tratta di una
circolare del ministero, che mi è pervenuta il 21
ottobre...
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  PRESIDENTE. Però non credo che sia sempre stato così...
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Non era stato sempre così. Tant'è
vero che feci presente quest'inconveniente già nel giugno o
nel luglio scorso nel corso di un'audizione presso la
Commissione giustizia della Camera.
   Nella circolare, pervenutami il 21 ottobre, è detto: "Il
regime speciale, applicato ai sensi dell'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario, prevede una serie di
limitazioni che, per l'eventuale e completa attuazione,
implicano, necessariamente, che i soggetti detenuti ad esso
sottoposti non possano avere alcun tipo di contatti con i
detenuti a regime ordinario.
   "Questa condizione primaria deve, ovviamente, essere
rispettata in qualsiasi momento della vita detentiva, compresa
la traduzione in udienza e quella da istituto a istituto, in
modo tale che i detenuti sottoposti a regime speciale non
vengano ad usufruire, nel corso della traduzione, durante la
permanenza nelle aule di giustizia, di contatti di qualsiasi
genere con altri, in deroga alle limitazioni previste dal
trattamento penitenziale individuale".
   La circolare va benissimo, perché interpreta ciò che
bisognerebbe fare. Mi chiedo se sia possibile farlo. Mi chiedo
se abbiano gli uomini e locali per poterlo fare. Per esempio,
quando arriva da noi qualche collaboratore di giustizia, se
non vogliamo metterlo nella cella assieme ai detenuti normali,
usiamo una stanza dei nostri uffici. Ma se un certo giorno
dovessero arrivare cinque persone sottoposte all'articolo
41-bis, quante scorte dovrebbero essere utilizzate?
Forse, dovremmo sfollare noi dai locali per tenerle separate
le une dalle altre.
  PRESIDENTE. Durante il periodo di detenzione...
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Durante il periodo di detenzione,
considerato che uno può fare lo scopino, l'altro può portare
la spesa, eccetera, credo che contatti ve ne siano.
   L'articolo 41-bis rischia di essere inutilmente
restrittivo. Se arrivano i camorristi e vengono appoggiati a
Poggioreale, credo che da questo carcere essi facciano uscire
tutte le notizie che vogliono. Essi hanno la possibilità di
farlo. Pertanto, la limitazione del colloquio con la moglie è
inutilmente punitiva.
   Ripeto, a me l'articolo 41-bis va benissimo e sarei
del parere di lasciarlo definitivamente, magari calibrandolo
meglio con l'articolo 14-bis. Potrebbe essere lasciato
definitivamente nella nostra legge penitenziaria, perché non
devono essere certo usati riguardi nei confronti del
camorrista, però l'articolo 41-bis dovrebbe essere
applicato seriamente.
  PRESIDENTE. Quindi, come si potrebbe fare, considerato
che si parla di collegamenti a distanza, eccetera?
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Secondo me, soprattutto in grossi
centri come Napoli, bisognerebbe creare padiglioni o reparti
dove sia possibile applicare l'articolo 41-bis.
Bisognerebbe poi individuare un sistema di collegamento fra la
magistratura e il carcere ai fini delle udienze: bisognerebbe
evitare i trasferimenti in collettività che frustrino
l'applicazione dell'articolo 41-bis. Per esempio, che
senso ha non far parlare con la moglie un soggetto che tutte
le mattine incontra decine di persone per andare in
carcere?
  PRESIDENTE. Certo, viene vanificata la norma.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Mi permetto una battuta: secondo
me, Poggioreale andrebbe proprio chiuso come carcere. Infatti,
la situazione carceraria, che non è mai magnifica, a Napoli è
il peggio del peggio, a Napoli rispecchia un degrado anche
sociale.
   A proposito dei 6 mila detenuti di Poggioreale, mi
piacerebbe sapere quanti siano napoletani. Non ho documenti
alla mano per provare quanto dico, ma ho
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l'impressione che, essendo Napoli una città dove la
microcriminalità è molto diffusa, il carcere di Poggioreale
sia uno dei pochi che ospiti criminali piccoli o grandi della
stessa zona. Non vi è una deviazione su altre città.
   Napoli è una città decantata da tutti, meta di turisti e
via dicendo, però non possiamo chiudere gli occhi davanti al
suo degrado sociale, il quale peggiora con la situazione della
giustizia - ahimè - e del carcere. Credo sia tutto
concatenato: la situazione di Poggioreale è terribile,
rispecchia il degrado sociale e provoca un difficile iter
della giustizia. Allora, i 4.500 detenuti in attesa di
giudizio, alcuni in attesa addirittura del primo giudizio,
quanto tempo aspettano per essere processati e giudicati?
Penso vi sia un turn over; o Poggioreale diventa
esplosivo oppure questo turn over avviene a ritmi
abbastanza rapidi.
   E' molto interessante la sua denuncia di questo grande
cesto con mele più marce ed altre meno marce, dove le prime
contaminano le seconde; proprio per questo dico che forse
sarebbe necessario interrompere questo filo cancellando
Poggioreale, che anche come struttura è fatiscente (la
conosco, l'ho visitata e devo dire che non rispetta le
garanzie di igiene e di vivibilità o un minimo dei diritti
dell'uomo).
   In questo quadro, l'articolo 41-bis complica
ulteriormente la situazione, perché è chiaro che manca la
struttura per poterlo applicare. Non solo (anche qui parlo
senza documenti alla mano), ma essendo Napoli - e questo per
le cronache che abbiamo più volte sentito e letto - una città
che, ahimè, vive sulle forme clientelari, nel carcere le
pressioni dei boss mafiosi, di quelli che contano, diventano
più incisive. Esiste il rischio che i boss mafiosi non solo
comunichino con l'esterno, ma anche che contaminino chi invece
è preposto all'ordine. Quindi, presidente Iovino, non sono una
sostenitrice dell'articolo 41-bis; credo che
un'applicazione molto più rigida dell'articolo 14-bis
potrebbe andare incontro alle esigenze di sicurezza che hanno
fatto nascere tale articolo. Però, dopo aver sentito lei,
confermo il mio no a Napoli, intendendola in questo modo come
una zona a rischio.
   In conclusione, vorrei fare un inciso: lei ha citato
Pandico portandolo come un esempio della contaminazione
esistente all'interno delle carceri, definendolo un cutoliano.
Ho seguito dall'inizio alla fine il processo Tortora, dove
Pandico era diventato il protagonista per eccellenza; non
credo che avesse grande affidabilità come cutoliano e che
fosse veramente quel segretario di Cutolo che voleva far
credere. Ciò anche alla luce dei suoi interventi in altri
processi: e non parlo del processo di appello Tortora, dove le
parole di Pandico non sono state ritenute credibili (anche
perché lo stesso Cutolo lo ha smentito). Ritengo quindi che vi
sia un'autoconvinzione del camorrista che vuole a tutti i
costi portarsi ad un livello di potere criminoso maggiore di
quello che ha. Era solo un inciso per una mia conoscenza, però
sono d'accordo con lei quando afferma che Poggioreale è una
fucina di delinquenza, in cui il piccolo delinquente diventa
grande. Forse sono stata confusa, ma spero che lei abbia
recepito il mio messaggio.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Le posso dire di aver partecipato a
riunioni nelle quali si parlava della destinazione da dare
all'area di Poggioreale in prossimità dell'apertura di
Secondigliano. Secondo le previsioni, infatti, quest'ultimo
avrebbe dovuto sostituire il primo, quando in Italia i
detenuti erano circa 27 mila; a Napoli vi era qualcuno che già
si prendeva cura del problema. In effetti, è andato tutto
storto, perché a Poggioreale sono rimasti ancora circa 3 mila
detenuti e a Secondigliano ve ne sono circa 1.300. Questa è la
situazione. Non vedo, inoltre, alcuna iniziativa adottata per
Nola e per Torre Annunziata, che dovrebbero rappresentare dei
polmoni di sfogo per la città di Napoli, e non vedo come il
problema di Poggioreale potrà essere risolto. Lo chiudiamo?
Sono perfettamente d'accordo con lei, ma come? Dove le
mettiamo queste persone? Dove
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andranno? Non credo che potranno essere messe in mezzo alla
strada! Il problema resta questo.
  PRESIDENTE. Anzi, esiste il rischio che aumenti.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Vorrei ricordare che un sostituto o
un GIP parte da Torre Annunziata o da Nola per recarsi a
Napoli per fare un interrogatorio e poi torna indietro. Il
rischio è di trascorrere mezza giornata o più nel traffico per
andare a sentire una persona fermata che si trova a
Poggioreale, magari per la convalida di un arresto, per una
cosa da noi giudicata una stupidaggine; questo è uno dei
problemi.
   Chiudiamo Poggioreale? Sono d'accordo, anche se le dico
che i napoletani non sono favorevoli; vorrebbero chiudere
invece Secondigliano. Poggioreale è il carcere di Napoli, è il
carcere dove si vive, si gesticola, si parla come nei vicoli.
In una cella vi sono dieci persone: uno cucina, fa bene il
ragù, un altro fa le polpette, si parla dei figli, si fa una
partita a carte, si leggono i giornaletti, si cerca di captare
di notte una televisione privata. A Secondigliano vi sono
stanzette a due posti, si vive molto più civilmente, ma per
certe persone; chi va a Secondigliano vuole stare isolato,
vuole leggere un libro, vuole starsene tranquillo e non stare
in mezzo alla gente, non sentire l'odore degli altri. Chi non
legge i libri, non legge i giornali, non fa niente e vuole
chiacchierare preferisce Poggioreale.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Devono scontare una pena; non è
mica un albergo, che si può scegliere! Se le persone preposte
all'ordine pubblico fanno una denuncia di questo tipo, non
stanno a sentire i napoletani che vogliono andare a
Poggioreale, altrimenti viene inteso come albergo dove fanno
le polpette e il ragù buono!
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Concordo con lei sulla chiusura di
Poggioreale, ma volevo illustrarle la realtà sociale nella
quale viviamo. Non può neanche immaginare le segnalazioni e le
richieste della gente che si trova a Secondigliano e che vuole
essere trasferita! Tutti preferiscono Poggioreale a
Secondigliano: è un dato di fatto. Stigmatizziamolo,
parliamone come vogliamo, però è un dato di fatto che bisogna
tener presente e valutare.
   Certo, il giorno in cui a Napoli dovesse esserci un altro
carcere come Secondigliano, ordinato, sistemato e più sicuro
di Poggioreale, quest'ultimo si potrebbe chiudere; la
situazione può essere migliorata dal punto di vista
ambientale, ma non da quello delle persone. C'è bisogno di un
carcere per 3 mila persone, vanno costruiti altri due
Secondigliano, e forse oggi come oggi non sarebbero neppure
sufficienti. C'è anche un altro fatto: Nola e Torre
Annunziata, su cui torno sempre, dovrebbero dare impulso ad
una certa attività sul territorio che ineluttabilmente porterà
ad un aumento dei detenuti, che non hanno altro posto che
Poggioreale; infatti, per quello che le dicevo prima, in
quest'ultimo - che potrebbe ospitare 1.200 persone - stanno
3.500 persone e potremmo mettercene anche 4 mila. Ciò è
possibile per il modo in cui vivono, mentre non è possibile a
Secondigliano, dove oltre un certo limite non si può andare.
Poggioreale è un pozzo senza fine. Noi diciamo che devono
starvi 1.200 persone, ma ce ne mettiamo 3 mila, e ci stanno
bene. E' un paradosso, ma la situazione è questa.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Mi preoccupa molto questa sua
quasi accettazione della situazione. Mi viene voglia di dire:
disinneschiamo la mina di Poggioreale, perché prima o poi
scoppierà e, nel momento in cui ciò avverrà, non vi sarà più
soluzione. Allora sì che tutti i detenuti staranno per strada,
senza alcun controllo!
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Lei ha molto più potere di me,
perché io non posso fare altro che segnalare certe cose. Sono
il presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli da dieci
anni; quando iniziai a fare questo lavoro, mi imbattei
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nei famosi regolamenti di istituto. Ogni istituto carcerario
deve avere un proprio regolamento: vi sono un regolamento
generale ed uno particolare. Il mio predecessore aveva cercato
in tutti i modi di farne uno, senza riuscirci, perché non
andava mai bene all'amministrazione: come faceva qualcosa,
l'amministrazione gliela correggeva. Arrivato a Napoli, ho
aspettato di rendermi conto della situazione, ho studiato il
problema e ho scritto poche righe al ministero per comunicare
che il regolamento per Poggioreale non l'avrei fatto. Infatti,
o scrivevo il libro dei sogni, oppure scrivevo un regolamento
sapendo benissimo di non poterlo applicare. In questa
situazione, mi sono rifiutato di scrivere l'uno e l'altro.
   Ho ripetuto più volte quest'affermazione, ma non ha
interessato nessuno; Poggioreale, che è probabilmente il
carcere più grande d'Italia come capienza, non ha un
regolamento interno, per questi motivi. Non è che io non mi
ribelli, ma non posso fare la rivoluzione, posso soltanto
segnalare la situazione. Non è la prima volta che vengo in
questa Commissione e mi sono recato varie volte presso le
Commissioni giustizia della Camera e del Senato, dove ho fatto
presente la situazione; inoltre, scriviamo lettere ai ministri
ed al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. E' un
problema politico, non è un problema dei magistrati di
sorveglianza. Penso che il Parlamento si debba far carico
della questione: come viene stabilito il numero dei posti
letto ottimali in Italia, deve essere stabilito il numero dei
detenuti. E' il primo dato dal quale partire.
   Poggioreale non mi sta bene, ma dicendo questo non ho
risolto il problema; e lei non me ne può fare una colpa, quasi
che io l'accetti. Io mostro la fotografia della situazione.
Purtroppo è così, e onestamente non vedo come si possa venirne
fuori. Chiunque sa cosa sia un tribunale e sa che insieme al
tribunale debbono marciare altre cose, tra cui il carcere. Si
sono dimenticati del carcere? Ancora adesso non ne parla
nessuno! Come è possibile?
  FRANCESCA SCOPELLITI. Ciò risponde alla politica
clientelare di Napoli; i napoletani vogliono Poggioreale.
Presidente, credo che lei in questo caso possa fare una cosa,
proprio per le competenze a lei attribuite nell'applicazione
dell'articolo 41-bis, vale a dire affermare che
Poggioreale non è in grado di ospitare dei detenuti in base a
tale articolo.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. A Poggioreale ve n'è soltanto uno,
gli altri stanno a Secondigliano.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Quello di Poggioreale dev'essere
il boss dei boss!
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. La situazione è quella che è.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Possiamo sapere il nome di questa
persona?
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. A Poggioreale c'è soltanto Ranieri
Antonio, proveniente da Pianosa, che conosco bene perché è uno
dei boss dei quartieri. Staccatosi dai Mariano, ha creato una
sua banda che ha commesso parecchi omicidi, tra cui quello di
un agente di pubblica sicurezza. E' uno degli scissionisti di
palazzo Ammendola.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Presidente Iovino, le sollecito la
risposta sui tempi processuali.
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. A Napoli i tempi processuali non
esistono. Quali tempi processuali vuole conoscere? Il Foro è
quasi sempre in sciopero, si sono avuti quasi tre mesi di
sciopero.
   Se si scorressero i dati nazionali relativi al numero dei
detenuti, ci si accorgerebbe che a Napoli vi è un numero
maggiore di detenuti in attesa di primo giudizio rispetto alla
media nazionale. Il numero generale dei detenuti è aumentato
da 26 mila unità a 55 mila circa - questi dati li ho appresi
dagli organi di stampa,
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ma sicuramente voi li conoscerete meglio di me -, di cui due
terzi sono giudicabili e un terzo definitivi; all'epoca in cui
i detenuti ammontavano a 26 mila unità circa, il rapporto tra
reclusi definitivi e quelli in attesa di giudizio era pari al
50 per cento sull'intero territorio nazionale.
   Questi dati riflettono anche la realtà della Campania, sia
pur con una lieve maggiorazione, dell'ordine del 5 per cento.
L'aumento dei detenuti - cioè il raddoppio - registratosi
negli ultimi anni è dovuto in buona parte alle carcerazioni
cautelari: in altri termini, non si è verificato un aumento
proporzionale tanto dei detenuti definitivi quanto di quelli
in attesa di primo giudizio, ma si sono incrementati
enormemente i secondi, mentre il numero dei definitivi è
rimasto pressoché stazionario.
  PRESIDENTE. E' stato l'effetto "nuovo codice".
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. A Napoli il nuovo codice non
funziona. E' il classico caso del cane che si morde la coda:
per funzionare il nuovo codice avrebbe bisogno
dell'applicazione dei riti alternativi ma, non riuscendo ad
emettere sentenze, i riti alternativi a Napoli non allignano.
Se una persona sa che dopo qualche mese il giudice celebrerà
il processo ed emetterà una condanna ad un anno di carcere,
chiederà il patteggiamento che comporta solo sei mesi di
reclusione; ma se quella stessa persona sa che il giudice
celebrerà il processo dopo tre anni e nel frattempo
probabilmente sarà intervenuta anche un'amnistia - vi è sempre
la speranza di un'amnistia o di un condono -, è naturale che
il patteggiamento non verrà chiesto. Più gli uffici sono
intasati, meno vengono risolti i problemi.
  PRESIDENTE. Prima vi era il giudice istruttore, ora vi è
solo il pubblico ministero e la situazione è scompensata.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Presidente Iovino, se continuo ad
ascoltarla finirò per chiederle di chiudere la procura di
Napoli oltreché Poggioreale!
  PRESIDENTE. Negli ultimi due anni i reati si sono
rivelati ancor più numerosi anche per via di Tangentopoli?
  SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Napoli. Dal punto di vista carcerario ha
influito poco. Per Tangentopoli a Napoli vi sono soltanto due
o tre detenuti oltre De Lorenzo.
  LUIGI PERUZZOTTI. Presidente Iovino, il quadro della
situazione da lei delineato è desolante. In particolare, sono
stato colpito dall'assenza totale di iniziative nonostante
questa realtà sia stata ripetutamente sottoposta
all'attenzione di varie Commissioni parlamentari.
   Intendo essere propositivo e chiedo la collaborazione
della presidente Parenti, la quale ha vissuto questa realtà da
magistrato prima e da presidente della Commissione antimafia
poi, affinché venga "data la sveglia" a queste persone! E'
inutile fare i sopralluoghi! Chiedo quindi che la nostra
Commissione si faccia portavoce presso il Presidente del
Consiglio dei ministri, il ministro di grazia e giustizia, gli
organi preposti all'amministrazione penitenziaria, i
Presidenti delle Camere ed i presidenti delle Commissioni
giustizia dei due rami del Parlamento affinché vengano assunte
iniziative concrete ed idonee a risolvere il problema.
  PRESIDENTE. E' un problema di finanziamenti.
  LUIGI PERUZZOTTI. Ripeto, il quadro emerso è desolante.
D'accordo, la situazione è sotto gli occhi di tutti e tutti ne
parlano, ma nessuno ha avuto il coraggio di denunciare queste
cose e smuovere l'indifferenza anche della classe politica. Se
vogliamo essere diversi da chi c'era prima, dobbiamo cambiare
effettivamente questo stato di cose!
   Lei ci ha parlato del carcere di Poggioreale, ma
l'istituto dell'Ucciardone a Palermo e quello di Marassi a
Genova sono nelle stesse condizioni. Io vivo a Varese ed
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il carcere della mia città, piccolo e certamente non
paragonabile a quello napoletano, è uno degli istituti
carcerari più orrendi d'Italia: mi riferisco al carcere dei
Mioni. Dunque, la situazione è comune a tutte le carceri
d'Italia.
   Presidente Parenti, con la collaborazione dei presidenti
dei tribunali di sorveglianza e dei direttori delle carceri -
che, se vogliamo, possiamo incontrare - vediamo di fare
qualcosa di concreto!
  PRESIDENTE. Ripeto, è una questione di finanziamenti.
  LUIGI PERUZZOTTI. Sono convinto che i finanziamenti si
trovano, l'importante è avere la volontà di fare qualcosa.
  PRESIDENTE. La prego di trasmettere alla Commissione una
relazione sull'applicabilità dell'articolo 41-bis e
sulle prospettive future.
   Ringrazio nuovamente il dottor Iovino.
Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di
Milano, dottor Antonio Maci.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, dottor
Antonio Maci.
   Nel ringraziare il dottor Maci della sua presenza, lo
preghiamo di illustrarci lo stato di attuazione dell'articolo
41-bis nella realtà penitenziaria italiana con
particolare riguardo ai problemi incontrati dal tribunale di
sorveglianza di Milano, e gli chiediamo quali, a suo avviso,
sono le prospettive normative dell'articolo stesso.
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Sono stato assegnato alla
sorveglianza da circa quattro anni e sul problema
dell'applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento
penitenziario ho preparato una relazione che consegnerò alla
presidente dopo averla illustrata, come peraltro ho già fatto
innanzi alla Commissione giustizia della Camera a proposito
del sovraffollamento carcerario.
   Sulla valenza politica della norma e sulla sua efficacia
nella lotta alla criminalità organizzata non ho veste per
interloquire. Del resto, la mia opinione non sarebbe più
attendibile di quella di un comune cittadino che legga i
giornali e guardi la televisione. Sono però in grado di fare
alcune considerazioni sul piano strettamente giuridico,
ancorché l'articolo 41-bis abbia trovato scarsa
applicazione nel tribunale di sorveglianza di Milano. Infatti,
nell'area di competenza di tale tribunale i sottoposti
attualmente al regime differenziato sono appena 18, di cui 14
a San Vittore (Milano) e 4 a Voghera, su un totale nazionale
di circa 500 sottoposti a tale regime, secondo quanto
dichiarato pochi giorni fa dal direttore Capriotti.
   Sono pendenti 12 reclami avverso altrettanti decreti
ministeriali. Recentemente ne abbiamo rigettato uno, ma la
Corte di cassazione ci ha annullato il provvedimento; siamo
ora in sede di rinvio. Mi risulta che diversi tribunali
omologhi del paese abbiano dichiarato l'illegittimità dei
provvedimenti attuativi dell'articolo 41-bis. Quelli
esaminati dal tribunale di Milano sono stati in parte respinti
e in parte dichiarati non più ammissibili a seguito della
rilevante rotazione dei detenuti nelle carceri; una volta
spostati altrove, il problema non si pone più per Milano.
   L'iter processuale di questi provvedimenti mi ha
confermato quanti e quali difficoltà la normativa di cui
all'articolo 41-bis crea nei nostri uffici giudiziari.
La Corte costituzionale - non dico cose che non vi siano note,
ma evito di fare omissis per essere più chiaro - con la
sentenza n. 349 definì questa norma di non felice formulazione
perché la stessa identifica i detenuti destinatari del
provvedimento per titoli di reato, in contrasto con il
principio dell'individualizzazione della pena: verso
determinate persone, e soltanto verso queste, si appunta
l'attenzione. Dunque, la formulazione dell'articolo fu
definita non felice, perché non in coerenza con
l'individualizzazione del trattamento penitenziario.
   La Corte costituzionale affermò comunque che l'articolo
41-bis è costituzionalmente
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legittimo, perché delimita esattamente e
correttamente i limiti del potere attribuito al ministro, nel
senso che riferisce quel potere alla sola sospensione di
regole d'istituti che già nell'ordinamento penitenziario
appartengono all'amministrazione penitenziaria. La Corte
aggiunse che tale sospensione è legittima purché non incida
sulla quantità e qualità della pena; entro questi limiti, la
norma è costituzionalmente legittima, perché non si rinviene
in essa l'attribuzione al ministro di competenza che superi
quelle prerogative che già spettano all'autorità penitenziaria
e quindi non incide su diritti costituzionalmente protetti.
Pertanto, in quanto se ne faccia buona applicazione, va bene
così.
   La Corte costituzionale disse che il controllo
giurisdizionale va fatto non relativamente all'articolo
41-bis, ritenuto legittimo, ma ai singoli decreti
ministeriali. Ecco perché disse: "Spetta al giudice ordinario
accertare puntualmente se i provvedimenti ministeriali sono
ben motivati, quanto alle ragioni della deroga al trattamento
rispetto alla finalità rieducativa della pena".
   Entrando nel merito delle difficoltà che incontrano i
nostri uffici, desidero rilevare che una delle prime sorse in
molti tribunali, il nostro compreso, per il fatto che si
dubitò dell'esistenza di un difetto di tutela giurisdizionale
rispetto ai decreti ministeriali. Dicemmo, allora, che la
norma di cui all'articolo 41-bis, nel silenzio della
stessa, non sembrava impugnabile: quale controllo
giurisdizionale avremmo potuto fare sui decreti ministeriali
se la norma è priva di una possibilità in tal senso?
   Personalmente dubitammo e mandammo gli atti alla Corte
costituzionale, la quale ha chiarito - ormai è giurisprudenza
consolidata e solo a seguito di uno scambio di idee con il
tribunale di Palermo furono sollevate ancora difficoltà - che
avverso i decreti ministeriali in questione è possibile
l'impugnativa dinanzi al tribunale di sorveglianza in analogia
a ciò che accade per l'articolo 14-bis dell'ordinamento
penitenziario, che riguarda i provvedimenti disciplinari
particolari emanati in seno all'istituto carcerario. Secondo
la Corte si trattava di regimi largamente coincidenti e che
quindi era possibile estendere il sindacato giurisdizionale a
questi provvedimenti applicando le norme relative all'articolo
14-bis o all'articolo 14-ter per ciò che riguarda
l'impugnativa dinanzi al tribunale di sorveglianza avverso
provvedimenti del consiglio di disciplina all'interno delle
carceri. Dunque, il problema è ormai largamente superato; la
sentenza è la n. 410 e risale al 1993.
   Quale tipo di sindacato può essere effettuato da parte del
tribunale di sorveglianza? Un sindacato che ovviamente è
limitato alla legittimità del provvedimento. La Corte insegnò
- è ormai un principio pacifico in diritto - che il tribunale
di sorveglianza è chiamato a verificare la sussistenza delle
condizioni previste nel decreto ministeriale, cioè la
congruità della motivazione, per stabilire che non si tratti
di motivazione inesistente o di affermazioni non provate.
Pertanto, il tribunale può sindacare, sia pure nei limiti
della legittimità, queste considerazioni poste a fondamento
del decreto emanato dal ministro stesso.
   I decreti ministeriali, in base all'articolo 41-bis,
comma 2, devono motivare la sussistenza di gravi necessità di
ripristinare l'ordine e la sicurezza pubblica ovvero di
situazioni tali da determinare ripercussioni all'interno delle
carceri. Inoltre, si accenna anche alla necessità che tutti
coloro i quali risultino rivestire cariche direttive
all'interno di associazioni criminali, o che abbiano fatto
parte di gruppi di fuoco, siano impediti dal porre in essere
attività direzionali o criminose attraverso i colloqui con i
famigliari ovvero ogni altra possibile via.
   Ogni decreto reca queste considerazioni generali,
sottolinea le emergenze storiche di notevole allarme nel
paese, fa riferimento alla situazione di necessità che le
persone aventi una alta carica criminogena vengano sottoposte
ad un regime particolare. Il tribunale di sorveglianza deve
verificare la congruità del provvedimento, con riferimento
alla situazione personale dei soggetti, perché è vero che si
prospetta una situazione di notevole allarme, e non
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solo nelle quattro note regioni del paese, ma il sindacato
del tribunale deve essere penetrante, per verificare se
rientri in questa situazione il soggetto al quale il decreto è
stato applicato, in virtù di quelle considerazioni
generali.
   Orbene, nel nostro provvedimento a cui ho fatto cenno
affermammo che il decreto era ben motivato e rigettammo il
reclamo. La Corte di cassazione ha annullato il nostro
provvedimento - ne parlo di sfuggita perché siamo sub
iudice e, come ho detto, siamo in sede di rinvio; tra breve
il problema dovrebbe essere risolto - ed ha stabilito dei
punti di diritto ai quali non possiamo che inchinarci,
affermando che "il decreto ministeriale in esame è totalmente
carente di motivazione, in punto individualizzazione delle
ragioni riferibili al ricorrente, poiché trae ragione per
affermarne la pericolosità da un generico rinvio, a
comunicazione di notizie raccolte da una serie di autorità,
inibendo all'interessato l'instaurazione di un corretto
contraddittorio". La Corte di cassazione disse anche che non
bastava che questo decreto recasse, per relazione, le notizie
raccolte; il giudice aveva il potere-dovere di acquisire tali
informazioni, che costituivano parte integrante del
provvedimento, e così si poteva anche sopperire alle lacune
del decreto ministeriale.
   Tuttavia la Corte di cassazione, in questo contesto, ha
affermato un altro principio, del quale sottolineo, tra
virgolette, la gravità. Tale principio, infatti, rende assai
arduo il sindacato del tribunale, che si trova in gravi
difficoltà quando si tratta di chiedere le informative.
Notiamo una certe resistenza nell'ottenere tempestivamente
notizie, perché spesso sono raccolte per via confidenziale da
collaboratori o da pentiti. Le procure non ignorano la gravità
dei casi e la fonte da cui proviene la richiesta, ma ci dicono
quello che possono dire. La mia, comunque, è un'impressione,
perché non posso provare che una certa procura non mi abbia
trasmesso determinate informazioni. Il fatto stesso che le
notizie vengano mandate come riservate è comprensibile; però
noi dobbiamo dar conto alla difesa, che deve leggerle, sapere
di che si tratti e chi le abbia fornite, per poter instaurare
un serio contraddittorio.
   Dunque, la prima difficoltà è quella di avere
tempestivamente notizie che, in genere, sono trasmesse in via
riservata, quasi che noi potessimo mantenerle tali; invece,
dobbiamo inserirle nel fascicolo e ciò può creare problemi,
anche di sicurezza, per la fonte da cui provengono queste
notizie, che possono essere anche preziose.
   La Corte di cassazione ha inoltre affermato, nella
sentenza di annullamento, che per stabilire la pericolosità
dell'individuo, il tribunale, l'organo giudiziario, non può
limitarsi a far proprie le informative, senza verificarne la
fonte, o comunque a ripetere ciò che fu accertato in sede di
cognizione allorquando - leggendo la sentenza -
quell'individuo manifestò certamente una pericolosità tale da
ricevere condanne pesanti. Per sottoporre ad un regime
particolare quest'individuo la Corte di cassazione ha
sostenuto che il medesimo debba continuare ad essere
pericoloso; non si può applicare il regime di cui all'articolo
41-bis a persona già pericolosa, ma che attualmente non
lo è.
   Questa, mi sia consentito, è una specie di probatio
diabolica, perché - leggo testualmente questo pensiero -
"questo ragionamento ineccepibile si scontra inesorabilmente
con la realtà penitenziaria, essendo universalmente noto che
proprio i detenuti del calibro di quelli raggiunti da un
provvedimento ministeriale del genere mantengono in carcere
una condotta formalmente ineccepibile, mai incorrendo in
comportamenti suscettibili di sanzioni disciplinari ed anzi
partecipando e sollecitando a significative iniziative
finalizzate alla rieducazione dei detenuti". Proprio in virtù
di questo comportamento in carcere può accadere, e difatti è
accaduto - e la Cassazione lo ha confermato, stabilendone la
compatibilità - che a persone di questo livello, già
condannate a pena severa e ritenute non solo pericolose ma
addirittura autori di efferati reati, si conceda il famoso
sconto della pena: 45 giorni per ogni semestre di condotta
ineccepibile.
   Alla Cassazione, per stabilire la pericolosità di una
persona, non bastano le notizie
Pagina 543
ed il comportamento ante acta, ma si vuole che il
giudice motivi sulla attualità della pericolosità: questo è un
problema che peraltro in altro provvedimento abbiamo superato.
Parlo di questo ventaglio di proposizioni non per mascherare
il mio pensiero, ma per darvi una fonte di informazione
possibilmente completa; difatti in un altro provvedimento, che
non è stato impugnato dalla Cassazione, abbiamo ritenuto di
ragionare nei seguenti termini. Premesso dunque che la
Cassazione chiede al giudice di chiarire le ragioni per cui
ritiene attualmente pericoloso qualsiasi soggetto, dicemmo che
una certa persona, in quanto condannata per associazione a
delinquere di stampo mafioso, omicidio e sequestro di persona,
in quanto appartenente ad associazione mafiosa - di lui si è
occupata la nota sentenza ordinanza dell' 8 novembre 1985
emessa dal tribunale di Palermo - non poteva non essere
attualmente pericoloso. E spiegammo perché: "La sentenza
ordinanza del tribunale di Palermo rappresenta ancora oggi lo
strumento idoneo per conoscere e comprendere la struttura e le
modalità operative della mafia, perché solo attraverso la
conoscenza dei comportamenti degli appartenenti a Cosa nostra
si riesce a percepire che l'alto grado di pericolosità degli
affiliati non deriva dalla pericolosità del singolo soggetto,
ma dalla sua appartenenza alla struttura mafiosa, con un
vincolo associativo che può recidersi solo con la morte o con
l'estromissione dall'organizzazione". In tale ordinanza
venivano evidenziate le regole del codice di uomo d'onore: una
volta ottenuto, lo status di uomo d'onore non viene
scalfito da altre vicende, come l'arresto o la detenzione.
Diceva la sentenza, che noi abbiamo fatto nostra: "Neanche
l'arresto spezza i vincoli con Cosa nostra, ma anzi attiva
quell'indiscussa solidarietà fra gli stessi uomini d'onore";
infatti gli uomini d'onore durante la detenzione sono aiutati
dalla famiglia ed è quindi possibile, attraverso i colloqui ed
il resto, che avvengano contatti, che si mantengano i rapporti
con i gruppi di fuoco e addirittura che si ordinino crimini.
Aggiungemmo che si trattava di "elementi confermati dalle
rivelazioni di tutti i collaboratori, i quali hanno riferito
che nessuno si è mai dissociato da Cosa nostra".
   Vi è poi un elemento importante che fa ritenere non dico
fondata ma almeno possibile una riflessione sull'equazione
"associato alla mafia fino alla morte, quindi pericoloso": la
Cassazione recentemente ha accettato che, una volta verificata
l'adesione all'organizzazione mafiosa, non è necessario
accertare in senso probatorio se vi siano comportamenti
concreti addebitabili al detenuto, in quanto tali fatti
potrebbero non esserci, pur restando il detenuto pienamente
inserito nell'organizzazione. L'appartenenza all'associazione
mafiosa di per sé è già un crimine, indipendentemente
dall'azione di favoreggiamento: è questo il contenuto di una
recente sentenza della Cassazione, che ha capovolto il
principio precedente. E' stato infatti dimostrato che
l'organizzazione mafiosa continua a perseguire il proprio
programma associativo anche attraverso la condizione
carceraria degli affiliati. Per quanto riguarda i rapporti
intrattenuti fra i detenuti ed il mondo esterno hanno parlato
chiaro - creduti o meno - Francesco Marino Mannoia, Giuseppe
Marchese e Gaspare Mutolo; non si deve poi dimenticare che
Cosa nostra si avvale dei vincoli di parentela, che consentono
di mantenere i contatti con l'esterno e di far circolare
messaggi ed ordini.
   Pertanto, vi è chi per l'attualità della pericolosità
esige delle prove quanto meno ragionevoli e chi afferma,
tout court, la pericolosità dei mafiosi in quanto tali.
Comunque, una volta acquisita la prova dello stato di
pericolosità, si deve verificare che la sospensione delle
regole del trattamento rientri nell'economia del decreto. Non
si deve trattare di sospensione pura e semplice, ma
direttamente funzionale alle finalità dell'articolo
41-bis: con questa sospensione si vuole impedire al
detenuto di mantenere contatti con la delinquenza organizzata,
perché diversamente si tratterebbe di un'afflizione che non
rientra nell'economia della pena.
Pagina 544
   Occorre quindi che il giudice verifichi - e questo lo
facciamo - che queste sospensioni siano finalizzate ad evitare
i contatti e che non comportino restrizioni della libertà
personale di spessore tale da sopprimere quel residuo di
libertà che, come la Corte costituzionale ha affermato, ogni
detenuto legittimamente conserva. Certamente loro non ignorano
che in ogni decreto sono previste sospensioni telefoniche, dei
colloqui, della ricezione all'esterno, della attività
artigianali e della permanenza all'aria aperta: per la verità
alcune di esse sono veramente inutili perché, per esempio per
la comunicazione telefonica, è già prevista la registrazione
con il controllo auditivo da parte del personale, mentre per
la corrispondenza epistolare e telegrafica si tratterebbe di
una sospensione illegittima ed inammissibile, essendovi una
riserva di legge costituzionale (l'articolo 18 del decreto
presidenziale stabilisce che è il giudice ad apporre il visto
di sorveglianza). Il tribunale di Firenze, pur convenendo
sulla legittimità del programma ministeriale, lo ha in parte
annullato a causa di queste restrizioni, che esulano dai
poteri della pubblica amministrazione.
   Anche per quanto riguarda i colloqui, invece di quattro se
ne fa uno: questo è opinabile, è stato detto, mentre per
quanto riguarda le restrizioni all'acquisto di viveri
alimentari si tratta di una vera e propria afflizione:
ritorniamo al concetto della vendetta istituzionale.
  PRESIDENTE. Forse perché prima venivano ordinati dei
veri e propri banchetti in carcere...
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. In quella misura, certo... ma
addirittura la permanenza all'aria aperta... Dei 14 detenuti
di San Vittore sottoposti a queste misura, 12 si trovano
presso il centro clinico: sono così "sfasciati" nella salute
che si pone il problema della compatibilità con il regime
carcerario; c'è addirittura un recluso di 88 anni, ricoverato
al centro clinico, il cui curriculum è
impressionante.
  PRESIDENTE. Avvengono molti contatti?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Contatti all'interno ci sono,
perché vi sono 14 letti nel centro clinico; checché ne pensi
il direttore, è pacifico che fra di loro vi siano contatti; ma
all'esterno assolutamente no. Personalmente ritengo opinabile
che si limiti la partecipazione alle attività culturali e
ricreative.
   In parecchi reclami che ho avuto modo di esaminare ho
rilevato un linguaggio improntato ad una sorta di aggressività
verbale; sembra quasi che vi sia sottaciuto un sentimento di
odio e di violenza per questo regime e non mancano scritti
disperati, denotanti sconforto e abbattimento per una vita di
reclusione lontana da affetti e rapporti familiari. A San
Vittore questi detenuti sono solo 14, ma immagino cosa possa
accadere in un carcere dove sono più numerosi: il compito di
educatori, assistenti sociali, cappellani e psicologi diventa
ancora più difficile, e lo diventa anche il nostro lavoro.
   Bisogna convenire che lo stesso risultato dell'isolamento
interno ed esterno si può ottenere anche per altra via,
attraverso la sicura professionalità del personale
penitenziario, adeguate strutture edilizie (capisco che
costruire un carcere non è come costruire un condominio) e
funzionali apparecchiature meccaniche ed elettroniche; esiste
poi una circolare del Ministero di grazia e giustizia del 18
maggio 1992 che ha previsto vari circuiti carcerari legati
alla diversa pericolosità dei detenuti. Sono convinto che un
regime di circuiti diversi sia molto utile per evitare che il
carcere diventi scuola di delinquenza; tale circolare (che è
riservata, però la Commissione potrà sicuramente ottenerne
copia) stabilisce diversi livelli di pericolosità.
   Secondo me l'articolo 41-bis della legge
sull'ordinamento penitenziario può trovare ragioni o limiti
soltanto in una situazione di emergenza ed anzi - con tutto il
rispetto per il vostro lavoro, che in ugual misura credo
abbiate nei confronti del nostro di magistrati di sorveglianza
Pagina 545
- contraddice chiaramente lo spirito della riforma
dell'ordinamento penitenziario introdotta con la legge
Gozzini. Tale legge è in vigore e, se vi fossero adeguate
risorse personali e materiali, potremmo anche applicarla con
la dovuta ragionevolezza; invece è chiaro che, almeno per
questi soggetti, il problema educativo non è proprio preso in
considerazione, forse perché la famosa sentenza ordinanza del
tribunale di Palermo macchiò gli appartenenti alla mafia come
persone che costituiscono uno zoccolo duro irrecuperabile.
Personalmente ritengo che ogni persona sia recuperabile;
naturalmente occorre essere consapevoli che vi è una
gradualità di pericolosità e che quindi occorrono risposte
differenziate.
  PRESIDENTE. Ci sono sezioni speciali a San Vittore?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Presidente, come dicevo, si tratta
di 14 detenuti, di cui 12 si trovano al centro clinico essendo
malati irreversibili. Credo che il dottor Pagano possa dire
qualcosa più di me, anche se, naturalmente, mi sono informato
presso di lui, che mi ha anche comunicato i nomi di queste
persone. I loro curriculum sono spaventosi. Il dottor
Pagano mi ha anche detto - non confidenzialmente, lo
ripeterebbe anche qui - che vi sono 14 letti: pertanto, anche
se l'isolamento esterno è assoluto, non può assicurare che non
conversino tra loro.
  PRESIDENTE. O che la posta segua vie diverse...
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. No, non credo; di questo mi farò
carico.
  PRESIDENTE. Talvolta attraverso altri detenuti fanno
passare...
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Deve considerare che chi vive in
cattività escogita le cose più...
  FRANCESCA SCOPELLITI. Questi 12 del centro clinico sono
tutti sotto il regime del 41-bis?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Sì.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Quindi il controllo che c'è su uno
è su tutti e 12...
  PRESIDENTE. Nel centro clinico ci saranno anche
altri...
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Sono isolati però. Il direttore mi
ha assicurato che non c'è possibilità di comunicare con
l'esterno. Per quanto riguarda i colloqui, invece di quattro
ne possiamo dare uno, ma è la stessa cosa! Si può anche andare
fino in fondo e non dargliene nessuno, ma queste limitazioni
sui colloqui...
  PRESIDENTE. Questo aspetto è molto contestato dalle
procure perché si osserva che con un solo colloquio si riesce
più difficilmente a far sì che certi comandi, certe
indicazioni vengano dati, piuttosto che con quattro.
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Ho detto all'inizio che non so dire
nulla sulla efficacia di tale isolamento nella lotta alla
criminalità, ma pare che i risultati siano stati positivi
(almeno leggendo sulla stampa).
  PRESIDENTE. Con quali criteri viene scelto il carcere di
San Vittore piuttosto che quello di Pianosa?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Dipende dal dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria, diretto dal dottor
Capriotti. I trasferimenti di queste persone sono sottratti ad
ogni sindacato della magistratura. Ce li vediamo arrivare a
San Vittore o ad Opera, ma non sappiamo il perché. Questo è un
potere dell'amministrazione penitenziaria, del ministero.
  PRESIDENTE. Transitano con una certa velocità?
Pagina 546
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza
di Milano. Se devono rispondere a Palermo, se ne vanno a
Palermo. Per esempio, un certo Carollo Antonino viaggia da San
Vittore a San Gimignano, da San Gimignano a San Vittore.
Ritengo che l'audizione per via televisiva sarebbe utile. I
viaggi sono pericolosi perché per strada può succedere
qualsiasi cosa; comportano dispersione ed incattiviscono gli
avvocati perché magari un giorno devono essere qui e fra tre a
San Gimignano per un altro reato. Sugli spostamenti non
abbiamo alcun potere, anche se è meglio così perché
l'interferenza sarebbe disastrosa. Il ministero ritiene di
gestire direttamente queste persone e di destinarle nelle
carceri giudicate più adeguate. Al di là del controllo sul
trattamento, non possiamo decidere sulle strutture.
  PRESIDENTE. Sono sempre stati 14 o anche di più?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Non mi risulta. Come dicevo, ne
abbiamo discussi 20 nel 1993; abbiamo sempre avuto numeri
molto scarsi. A Milano, per la verità, l'applicazione è
scarsa.
  PRESIDENTE. Quanti provvedimenti erano stati
riformati?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Ne abbiamo avuti di inammissibili o
respinti. Uno è stato annullato dalla Cassazione per
"insufficienza di motivazione". Infatti abbiamo chiesto ed
ottenuto le notizie evidenziate nei decreti, perché in sede di
rinvio si possa dire quali sono gli elementi, sulla cui
base... Ne dovremo discutere a giorni; ce l'ha annullato
proprio in punto...
  PRESIDENTE. Per difetto di motivazione originario del
decreto?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Sì, del decreto. Per la verità da
un po' di tempo a questa parte il DAP non solo ha ridotto
moltissimo, ma sta anche motivando assai più puntualmente. Lei
ricorderà l'occasione dell'applicazione dell'articolo
41-bis: il carcere dell' Asinara e migliaia... ci fu
indubbiamente qualche errore. Poi la questione è stata
vagliata maggiormente e per la stessa persona è stato fatto un
altro decreto motivato più ampiamente. Senza dubbio vi è da
parte del ministero una tendenza alla riduzione e ad una
motivazione più puntuale.
  PRESIDENTE. Come si potrebbe rendere questa norma più
inserita nell'ordinamento penitenziario?
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. A mio avviso questa norma deve
avere una vita transitoria.
  PRESIDENTE. Molti sostengono che bisogna introdurla come
norma generale.
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Allora bisogna avere il coraggio di
modificare la legge Gozzini.
   Il giudice è schiavo della legge: se una situazione di
emergenza diventa una situazione di normalità, eliminiamo la
legge Gozzini; non è mica il Vangelo!
   Certo il fenomeno che voi, che tutti combattiamo esiste e
ha colpito anche zone dove prima era impensabile. Vivo a
Milano da vent'anni, ma il mio paese è Campi Salentina, in
provincia di Lecce, dove ora si ammazzano fra loro: è una
tragedia che il fenomeno sia arrivato fin lì. Mi auguro
tuttavia che sia una situazione di emergenza. Mi pare che la
proroga sia di altri tre anni...
  FRANCESCA SCOPELLITI. Fino al dicembre del 1999.
  PRESIDENTE. Ancora cinque anni.
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Da quanto ho letto - domani la
Commissione ascolterà il collega di Ancona, quello di Firenze
ed in futuro altri - sembra che il tribunale
Pagina 547
di Milano sia il più "feroce", nel senso che abbiamo
respinto...
  PRESIDENTE. Li avete respinti tutti.
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Ma con molta responsabilità e
motivando. So che i numerosi annullamenti espongono anche....
ma abbiamo scelto questo mestiere e accettiamo fino in fondo
il nostro destino. Però attribuendo poteri discrezionali
enormi si divide molto la magistratura di sorveglianza, perché
può accadere che a Milano si faccia una cosa e ad Ancona se ne
faccia un'altra. Questo determina anche problemi di
spostamento perché i detenuti fanno di tutto per andare ad
Ancona o a Milano (cito solo due esempi).
   Capisco la valenza politica della questione, per cui
sopprimere oggi l'articolo 41-bis darebbe la sensazione
che non si voglia più combattere la mafia. Sul piano politico
posso esprimere come cittadino un'opinione: la lotta alla
mafia in Italia si identifica con l'articolo 41-bis. Ma
questo è pericolosissimo; capisco che decidendo di sopprimerlo
sareste tacciati di non voler più combattere la mafia, ma come
magistrato di sorveglianza che esprime un giudizio
tecnico-giuridico devo dire che l'articolo 41-bis è al
limite della costituzionalità. La Corte costituzionale lo
salva (lascio alla presidenza una copia della relativa
sentenza).
  PRESIDENTE. C'è il problema dell'effettiva applicazione
che per adesso sembra un po'...
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Se come vedo il ministero sta
riducendo drasticamente queste misure - pur rimanendo
l'immagine dell'articolo 41-bis con cui si identifica la
lotta alla mafia - e affinando la motivazione, entro questi
limiti l'istituto è accettabile, perché si sta spegnendo e
polarizzando verso quelle persone che hanno una certa origine.
Allora non si può più fare il discorso secondo cui si fa di
ogni erba un fascio...
  PRESIDENTE. L'applicazione è più selettiva.
  ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di
sorveglianza di Milano. Se si fa una selezione più
rigorosa, allora l'applicazione è positiva; il giudice di
sorveglianza, per garantista che sia, vede "su un piatto
d'argento" che la persona in questione può creare problemi.
   Quindi, come magistrato di sorveglianza devo dire che a
mio avviso la norma merita applicazione solo in casi di
emergenza. In via subordinata, capisco la ragione di ordine
politico che ne impone il mantenimento e noto che dal
ministero si dà un messaggio di contenimento con provvedimenti
ben motivati, in modo da "inchiodare" anche il giudice di
sorveglianza su alcuni determinati casi.
  PRESIDENTE. La ringrazio.
    La seduta termina alle 19.

 


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