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Parenti: seduta 20
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Pagina 549
       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                          INDICE
                                                        Pag.
Seguito dell'audizione del Presidente del Consiglio dei
ministri, onorevole Silvio Berlusconi:
  Parenti Tiziana, Presidente ........... 551, 554, 555, 557
                                559, 560, 562, 575, 577, 578
  Arlacchi Giuseppe .................................... 572
  Bargone Antonio ................................. 555, 577
  Berlusconi Silvio, Presidente del Consiglio dei
ministri  .......................... 557, 558, 559, 561, 562
                                          563, 572, 577, 578
  Bertoni Raffaele ................. 558, 559, 560, 575, 577
  Bonsanti Alessandra ................... 554, 555, 573, 578
  Caccavale Michele ............................... 553, 554
  Campus Gianvittorio .................................. 552
  Del Prete Antonio ............................... 555, 556
  Di Bella Saverio ..................................... 556
  Grasso Tano .......................................... 557
  Grimaldi Tullio ...................................... 556
  Imposimato Ferdinando ........................... 559, 563
  Manconi Luigi ................................... 551, 554
  Meduri Renato ......................... 556, 560, 561, 562
  Ramponi Luigi ........................................ 571
  Rossi Luigi ................................ 560, 577, 578
  Scivoletto Concetto .................................. 554
  Tripodi Girolamo ..................................... 555
ALLEGATO ............................................... 579
Pagina 550
Pagina 551
   La seduta comincia alle 10,05.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Seguito dell'audizione del Presidente del Consiglio dei
ministri, onorevole Silvio Berlusconi.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito
dell'audizione del Presidente del Consiglio dei ministri,
onorevole Silvio Berlusconi.
   Ricordo che le precedenti sedute dedicate all'audizione
del Presidente del Consiglio hanno avuto luogo il 21 e il 28
ottobre.
   Comunico che il senatore Francesca Scopelliti e il
deputato Giacomo Garra hanno fatto pervenire domande scritte
che saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico
della seduta odierna.
   Poiché vi sono ancora dei parlamentari iscritti a parlare
e in questa seduta dobbiamo concludere l'audizione, e penso
che ci interessino le risposte del Presidente del Consiglio,
invito i colleghi ad attenersi ad un tempo limitato nelle
domande. D'altra parte, non è possibile imporre al Presidente
del Consiglio di tralasciare altri impegni, mentre invece noi
possiamo essere più concisi nel formulare i quesiti. Ribadisco
quindi l'invito di attenervi ad un tempo limitato, colleghi,
perché diversamente sarebbero sacrificate le risposte, che
invece sono ciò che ovviamente ci interessa di più.
  LUIGI MANCONI. Devo ammettere (e il Presidente del
Consiglio può immaginare quanto mi costi tale ammissione) che
nella sua comunicazione lei ha espresso anche analisi corrette
e intenzioni lodevoli. Ma dal momento che lei è il capo
dell'esecutivo, il problema che immediatamente si pone è
quello della coerenza, direi della consequenzialità, tra
intenzioni ed atti di Governo e tra progetti e loro
realizzazione. E credo che si ponga anche un problema di
coerenza tra parole e parole e tra intenzioni e intenzioni,
soprattutto quando le intenzioni diventano dichiarazioni
pubbliche.
   E, allora, lei sa che è tenuto a rispondere anche delle
parole e degli atti, e persino delle intenzioni quando
diventano pubbliche dichiarazioni e pubblici atti: come, ad
esempio (sollevo un caso esemplare e significativo) le parole,
le intenzioni e gli atti del sottosegretario Marianna Li Calzi
che - per dirla nel suo linguaggio - rema contro le lodevoli
intenzioni da lei espresse. Dunque, chiedere coerenza e
consequenzialità non è superfluo.
   Un esempio ancora, che cito per sollecitare la sua
attenzione in merito: qual è la logica delle iniziative - di
cui si è avuta notizia attraverso i mass media- contro
il dottor Mario Vaudano, che dirige l'ufficio per le rogatorie
internazionali al Ministero di grazia e giustizia?
   Seconda questione. Nella sua comunicazione lei ha parlato
di indagini sul circuito bancario, sulle attività delle
finanziarie, sul riciclaggio, sul proliferare degli istituti
di credito. Abbiamo molto apprezzato queste parole, ma credo
che non siano sufficienti. Nella passata legislatura, nel
gennaio scorso, la Commissione antimafia ha approvato la
relazione del senatore Carlo Smuraglia sulla mafia al nord,
ovvero nelle aree "non tradizionali". Vi si parlava
dell'insediamento della criminalità
Pagina 552
nelle economie avanzate, non nel sottosviluppo, ma nello
sviluppo maturo; quindi non solo a Corleone, ma anche nel
sistema finanziario, per intenderci, di Milano. Dunque, la
mafia come grande impresa, dotata di una forte autonomia
finanziaria e di una notevole capacità di penetrazione nei
mercati internazionali.
   E allora, quali sono le strategie, quali i mezzi e quali
gli strumenti per affrontare questo livello
alto-finanziario?
   Manifesto, poi, rammarico. Credo che, finora, in queste
sedute non si sia parlato a sufficienza della criminalità
organizzata come grande, formidabile macchina di consenso
sociale ed elettorale. Non ne ha parlato lei, non ne abbiamo
parlato, finora, nemmeno noi. Su questo posso solo richiamare
l'attenzione, chiedere nuove comunicazioni e nuove audizioni,
perché indubbiamente si tratta di un problema cruciale.
Infatti, come sappiamo, la mafia non è solo macchina militare,
non è solo macchina finanziaria, ma è anche grande "partito"
capace di attrarre consensi sociali ed elettorali.
   Un'altra considerazione ancora. Voglio ritornare sulle sue
dichiarazioni rese in Russia. Non credo che si tratti, come è
sembrato che lei volesse far intendere, di una questione di
patriottismo o disfattismo. Credo che si tratti di altro, cioè
del ruolo terribilmente negativo (direi di più, terribilmente
regressivo), che ha avuto nella storia italiana, nella storia
della cultura italiana, nella storia del senso comune
italiano, quello che qualcuno ha chiamato il partito della
minimizzazione. Questo è il punto, questa è stata la ragione
che ha spinto molti commissari a interrogarla su un argomento
che lei ritiene irritante. Dunque, il partito della
minimizzazione: qualcosa che ha pesantemente deteriorato la
mentalità corrente sui fenomeni di criminalità.
   E, allora, le chiedo: si rende conto che le sue
dichiarazioni sulla fiction televisiva e su La
piovra ricalcano, direi parola per parola, quelle di Giulio
Andreotti, allora sottosegretario per il turismo e lo
spettacolo, contro il cinema neorealista: cioè contro De Sica,
Rossellini, Zavattini? Lei ha parlato di operatori turistici
da non allarmare; Andreotti parlava della necessità (cito
testualmente) di "lavare i panni sporchi in famiglia", per non
offendere con immagini crude (e anche allora erano immagini
crude che riguardavano la mafia) "la patria di Don Bosco"..
   Un'ultima considerazione. Sei anni fa, veniva ucciso Mauro
Rostagno, giornalista e sociologo, responsabile della comunità
Saman per il recupero dei tossicodipendenti, nel trapanese.
Dagli schermi di una emittente televisiva locale conduceva la
sua battaglia contro la mafia: contro la mafia degli appalti e
delle relazioni affari-politica, contro la mafia del mercato
internazionale della droga e delle sue articolazioni locali.
Per questo motivo, Rostagno, torinese e trentino di
formazione, aveva scelto la Sicilia e proprio lì, nel cuore
della Sicilia, venne ucciso.
   Ho ricordato questo episodio perché temo (temiamo, posso
dire) che l'inchiesta si concluda con l'archiviazione, dal
momento che questa è la richiesta del pubblico ministero. Non
chiedo certo al Governo di intervenire sulla magistratura: ci
mancherebbe altro. Chiedo al Governo di inviare,  con fermezza
e con continuità, messaggi inequivocabili contro la mafia,
ovvero segnali di sostegno e di solidarietà verso chi si batte
contro la criminalità organizzata da posizioni particolarmente
esposte, particolarmente deboli. Come erano quelle da cui si
batteva il mio amico Mauro Rostagno.
  GIANVITTORIO CAMPUS. Vorrei fare una brevissima
premessa, in quanto nonostante quello che ripetutamente
sentiamo affermare anche in quest'aula, io concordo con lei,
signor Presidente, sul fatto che la lotta alla mafia non si fa
né con l'esaltazione né con la pubblicità, ma con il contatto
continuo e il controllo del territorio; non si fa né con le
riprese televisive, né (senza togliere nulla a questa
assemblea) con le interviste in quest'aula. Più fatti e meno
parole: sembra la pubblicità del Kinder Ferrero, ma in tutti i
settori questa rimane sempre la maniera più efficace di
cercare di ottenere qualcosa.
Pagina 553
   Le rivolgo una brevissima domanda, come senatore sardo,
con riferimento all'Asinara. Giustamente lei ha ribadito in
questa sede (e più voci da parte del Governo si sono levate in
tal senso) la necessità di mantenere l'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario e di prorogarne il termine.
Tuttavia questo, che è sacrosanto per quanto riguarda le
esigenze sociali di uno Stato nei confronti della criminalità
organizzata, non deve ricadere su un'unica regione, in
particolare su una regione svantaggiata come la Sardegna. So
che all'Asinara attualmente vi sono 150 detenuti, più o meno
sottoposti al carcere duro, come si dice. Su questo, ripeto,
concordo. Esiste però anche un accordo Stato-regione per cui
l'Asinara doveva tornare ai sardi, e comunque ad un uso
sociale, come parco.
   Chiedo allora a lei, e a tutti quelli che giustamente
sollecitano la proroga ed il mantenimento dell'articolo
41-bis, di individuare anche altre soluzioni. Non voglio
assolutamente che l'articolo 41-bis sia abolito; il mio
non è un modo nascosto di andare incontro ai mafiosi,
tutt'altro. Noi siamo qui per rafforzare con l'azione del
Governo la lotta alla mafia. Tuttavia, se il Presidente mi
consente una metafora, chiedo quanto segue: io sono sardo,
lasciate decidere a noi in Sardegna dove mettere la spazzatura
perché non la vogliamo in salotto. Abbiamo tante altre zone in
Sardegna, abbiamo anche Bad'e Carrus, dove esiste un braccio
di massima sicurezza e dove ancora adesso si trovano detenuti
sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis. Abbiamo
somme che vengono investite nelle carceri, abbiamo anche degli
investimenti in atto all'Asinara.
   Ebbene, le chiedo come Governo di creare altre strutture
carcerarie in Sardegna. Purtroppo in Sardegna non mancano aree
che non possono essere sfruttate né dal punto di vista
turistico né dal punto di vista della pastorizia o
dell'agricoltura. Costruiamo delle carceri in quelle zone,
spendendo anche di meno (perché lei sa che mantenere il
carcere dell'Asinara costa moltissimo) e rendiamo ai sardi
l'Asinara.
   Questa è una domanda, ripeto, nell'interesse della mia
terra. Non vogliamo che la lotta alla mafia venga attenuata,
ma nel contempo non vogliamo essere solo noi la regione
sacrificata per questo fine.
  MICHELE CACCAVALE. Confesso che anch'io ho la tentazione
di ottenere risposte senza fare domande e di essere prolisso
nella premessa come qualche collega che mi ha preceduto;
cercherò invece di attenermi all'invito rivoltoci dal
presidente Parenti.
   Innanzitutto desidero ringraziarla, Presidente, per la sua
relazione che ho apprezzato molto nel merito e nei contenuti.
Credo che il punto fondamentale dell'atteggiamento che lo
Stato deve assumere nei confronti della malavita organizzata
sia proprio nella sua relazione, a pagina 10, dove lei
afferma: "Occorre insomma creare le condizioni per un recupero
del rapporto fiduciario tra cittadino ed istituzioni e per
l'acquisizione di una nuova coscienza della legalità". Mi
compiaccio per quanto ha detto circa lo Stato che deve
caratterizzarsi per la sua azione istituzionale contro la
malavita organizzata ed il risanamento delle aree depresse.
   Ho due considerazioni da svolgere concernenti l'usura e il
riciclaggio.
   Le banche, secondo il mio parere, soprattutto laddove
svolgono la loro azione ed operano in condizioni di monopolio,
debbono rinunciare un poco al reddito d'impresa per svolgere
una maggiore azione sociale. A volte l'usura è più forte
laddove la valutazione del cliente da parte della banca è più
economica che morale. Tra cliente bancabile e cliente non
bancabile la banca deve svolgere anche questa azione sociale.
Diversamente il cliente si sente penalizzato e si rivolge alle
finanziarie ed agli strozzini.
   Si parla di riciclaggio operato dalle case da gioco.
Sfatiamo il fatto che la casa da gioco svolge azione di
riciclaggio e che quindi l'apertura di nuove case da gioco
deve essere osteggiata soltanto per questo
(Commenti).
Pagina 554
  PRESIDENTE. Colleghi, vi prego!
  MICHELE CACCAVALE. Intanto c'è da dire che il
riciclaggio del denaro sporco non avviene nella struttura
della casa da gioco, semmai può avvenire attraverso...
(Commenti).
  ALESSANDRA BONSANTI. Il Presidente ha detto che c'è.
  PRESIDENTE. Colleghi, vi prego! Si tratta di una
valutazione personale.
  MICHELE CACCAVALE. Mi rifaccio a quanto ha affermato in
questa sede il governatore della Banca d'Italia, Fazio, il
quale ha detto che l'applicazione agli sportelli bancari di
misure antiriciclaggio (articolo 143) ha dato risultati
soddisfacenti.
  LUIGI MANCONI. Nelle case da gioco.
  MICHELE CACCAVALE. Abbiamo chiesto che venisse applicato
l'articolo 143 nei confronti delle casse delle case da gioco.
Se questa misura ha dato risultati soddisfacenti allorché è
stata applicata agli sportelli bancari, non vedo perché non
debba dare analoghi risultati se applicata alle case da gioco.
Comunque, ammesso e non concesso che le case da gioco
esercitino questa azione di riciclaggio, allora si chiudano le
quattro case che esercitano il gioco in Italia, addirittura in
deroga agli articoli 718 e seguenti del codice penale.
  CONCETTO SCIVOLETTO. Signor Presidente del Consiglio,
negli ultimi mesi da parte di rappresentanti del Governo e
della maggioranza si sono registrati comportamenti e
dichiarazioni che tendevano a capovolgere i punti di forza
della strategia antimafia svolta negli ultimi anni:
collaboratori di giustizia, articolo 41-bis, eccetera.
Le precisazioni contenute nelle sue comunicazioni vanno in una
direzione diversa, come era facilmente immaginabile
specialmente dopo le polemiche di Mosca.
   Prima domanda. In caso di ulteriori, eventuali ma non
improbabili dichiarazioni difformi di ministri, sottosegretari
o rappresentanti della maggioranza, cosa intende fare sul
terreno politico? Se non si tratta di un doppio gioco, non
ritiene di assumere l'impegno davanti a questa Commissione di
chiedere le dimissioni, di ritirare la fiducia a quei ministri
e sottosegretari, o dissociarsi apertamente e immediatamente
da comportamenti inaccettabili di rappresentanti della
maggioranza, considerato che l'azione incessante e coordinata
di cui lei parla nelle sue comunicazioni deve essere
assicurata a partire da chi governa il paese? Non si può
pretendere dagli altri quello che non siamo in grado di
garantire.
   Seconda domanda. Rapporto mafia-politica: esiste ancora,
secondo lei, questo problema? Come si configura oggi questo
rapporto? Quali elementi di continuità con il passato e quali
elementi di novità emergono a suo parere? Quali forze
politiche sono più permeate o più permeabili e quali livelli
istituzionali più compromessi: comuni, province, regioni,
Parlamento, Governo?
   Terza domanda. Legge sull'usura: sulla definizione del
tasso usuraio e sul fondo di solidarietà, il testo licenziato
dalla Camera - a mio avviso e ad avviso di commercianti,
artigiani, imprenditori - è assolutamente inadeguato, persino
negativo e controproducente. Qual è la sua opinione? Cosa
intende fare concretamente il Governo al Senato per migliorare
il testo approvato dalla maggioranza alla Camera dei deputati?
In che direzione e con quali tempi?
   Ultima domanda. In un passaggio lei ha sottolineato (mi
pare lo abbia ribadito anche il collega Ayala) l'attenzione al
risanamento del tessuto sociale e ad una politica di sviluppo
economico delle aree depresse. Si pone, quindi, il problema
del rapporto tra aree depresse del Mezzogiorno e capacità di
reclutamento di nuove forze da parte delle organizzazioni
mafiose e criminali. Quindi, vi è la necessità di un forte
intervento per lo sviluppo del sud. Non le sembra che ciò sia
in stridente contrasto con la legge finanziaria 1995, che non
solo non affronta questo problema ma che penalizza fortemente
e quasi rimuove la questione delle aree depresse del
Mezzogiorno?
Pagina 555
  ANTONIO DEL PRETE. Signor presidente, ho già avuto modo di
significarle per iscritto il mio disagio per la maniera in cui
si tenta di condurre i lavori di questa Commissione,
sentendosi quasi investiti da diritto divino.
   Iniziando il mio intervento non sapevo se citare Cicerone
quousque tandem abutere... od un pezzo teatrale di
Carmelo Bene che si intitolava "Sono apparso alla Madonna".
Cosa intendo dire? Voglio dire che siamo venuti per ascoltare
il Presidente del Consiglio e siamo stati costretti ad
ascoltare per ore interventi che denunciano una ipertrofia
politica dell'io della sinistra che si sente autorizzata a
bacchettare tutti.
  ANTONIO BARGONE. Fai la domanda!
  ANTONIO DEL PRETE. Ho diritto di svolgere un commento.
Nessuno vi ha interrotto.
  PRESIDENTE. Onorevole Del Prete, la prego, continui il
suo intervento (Commenti)!
  ANTONIO DEL PRETE. Ecco l'arroganza (Proteste dei
deputati Bargone e Bonsanti)!
  PRESIDENTE. Onorevole Del Prete, stia tranquillo!
  ANTONIO DEL PRETE. Sono indignato, presidente.
  PRESIDENTE. Anche l'indignazione si può contenere.
  ANTONIO DEL PRETE. Ciò denunzia una mancanza di
progettualità politica che non sia la monomaniacale volontà
della Delenda Chartago, fino all'assunzione del falso,
presidente! Non ricordo che nessun magistrato o personaggio
politico che sia stato udito da questa Commissione abbia mai
parlato di una guardia abbassata contro la mafia. Non l'ha
detto nessuno. Ciò nonostante, più volte è stato denunciato ed
è stato dato per vero questo assunto. Il che risponde a
falso!
  ALESSANDRA BONSANTI. Nessuno l'ha detto!
  ANTONIO DEL PRETE. Lo avete detto voi (Proteste dei
deputati Bonsanti e Bargone)!
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego!
  ANTONIO DEL PRETE. Questa è la dimostrazione plateale e
palmare di un'atmosfera che si vuole creare apposta per
occupare uno spazio politico che ritengo oltraggioso per la
Commissione antimafia, che deve avere la serenità di lavorare,
deve poter ascoltare le persone invitate, soprattutto quando
chi viene a parlarci è il Presidente del Consiglio.
   Credo che la maggioranza debba...
  GIROLAMO TRIPODI. Sua maestà!
  ANTONIO DEL PRETE. Non essere provocatorio!
  PRESIDENTE. Senatore Tripodi, la prego di non
interrompere! Onorevole Del Prete, la prego di non
interloquire con i commenti.
  ANTONIO DEL PRETE. Me l'aspettavo. Sono tranquillissimo.
La verità fa male e si arrabbieranno ancora di più se mi fanno
parlare. Ho diritto di parlare come gli altri
(Commenti)!
  ALESSANDRA BONSANTI. Non siamo in questa Commissione per
sentire un comizio politico da un fascista!
  PRESIDENTE. Onorevole Del Prete, continui il suo
intervento con calma e serenità!
  ANTONIO DEL PRETE. Sono serenissimo. Io credo che la
maggioranza debba condividere questa che è una battaglia di
dignità, perché se rigore deve essere e non parole vane, se si
osa dire al Presidente del Consiglio: lei che ha avuto la
mafia in
Pagina 556
casa... Le hanno detto anche questo, Presidente! Mi sento
oltraggiato per lei. Hanno detto che un suo sottosegretario,
l'onorevole Gasparri, ha avuto solidarietà con la mafia perché
pare sia stato sorpreso da un fotografo. Il senatore Di Bella
dovrà avere il buonsenso del galantuomo e dire soprattutto chi
l'ha informato e perché.
  SAVERIO DI BELLA. Per amore della giustizia...
(Commenti).
  PRESIDENTE. Non si interloquisca. Basta per cortesia.
  RENATO MEDURI. Collega Di Bella, sii serio! Mi dispiace
perché tu sei sempre stato una persona seria. Hai perso la tua
serietà!
  ANTONIO DEL PRETE. Se rigore deve essere, presidente, io
mi sento "disturbato" nella mia dignità di componente di
questa Commissione per quanto la stampa (Il Tempo) ha
riportato: hanno strumentalizzato anche l'antimafia! Ciò reca
la firma non di Gasparri ma di Pantaleone, il quale parlando
di Palermo dice: "...le richieste di contribuzione ai
Cavalieri perfino dalla Rete di Orlando". Pantaleone dice:
"Occhetto mi ha detto di cambiare atteggiamento nei confronti
dell'imprenditoria siciliana di Catania". Si riferisce ai
quattro Cavalieri dell'Apocalisse!
   Allora rigore o parole vane? Attività antimafia o gote
piene solo di vento? Presidente, le chiedo un impegno serio,
come lei ha testimoniato di voler dare, ossia di fare pulizia
della malavita che viene da fuori, della malavita che fiorisce
all'interno, nell'humus ferace del contrabbando, del
mercato degli stupefacenti, dell'usura.
   Signor Presidente, lei ha usato una frase felice; ha detto
che bisogna battersi perché queste sono le cose che fiaccano
la volontà degli uomini liberi.
   Nel terminare il mio intervento vorrei rivolgerle una sola
domanda, anche se mi rendo conto che solleverò un altro
vespaio di polemiche. Presenterò un'interrogazione scritta,
come è corretto che sia, per sapere se risponde al vero oppure
no il fatto che il barone Cordopatri sia stato noto pokerista
ed abituale frequentatore di casinò. Se così fosse, lei,
signor presidente - e l'intera Commissione antimafia - sarebbe
quanto meno in grave imbarazzo.
  TULLIO GRIMALDI. Presidente, a differenza di altri
colleghi non le rivolgerò alcuna domanda su quanto lei ha
dichiarato a Mosca. Posso anche capire che da parte sua vi sia
stata un'esigenza di ridimensionare quell'immagine negativa
che grava sul nostro paese. D'altra parte io sono forse uno
dei pochi, in Italia, che non ha visto La piovra, che si
è rifiutato di vedere quell'ignobile sceneggiato televisivo.
Quindi su questo forse ci possiamo trovare d'accordo.
   Lei ha dichiarato il suo impegno, l'impegno del suo
Governo nel contrastare il fenomeno della mafia, e di questo
le diamo atto. Ha rassicurato questa Commissione affermando
che la legislazione sui cosiddetti collaboratori sarebbe stata
mantenuta, che sarebbe stato prorogato - come è avvenuto -
l'articolo 41-bis sulla differenziazione di segregazione
per i mafiosi; ha fatto un'elencazione - peraltro già fatta
dai responsabili della polizia - in tema di efficienza e di
maggiore impegno delle forze. Il che diciamo ha un po'
tranquillizzato gli animi.
   Il giorno successivo a quello in cui lei veniva qui per
fare la sua dichiarazione, il gesuita padre Sorge, direttore
del centro Arrupe di Palermo, esprimeva, in una tavola
rotonda, un severo giudizio, dichiarando che questo Governo
per la sua disomogeneità politica e culturale è assolutamente
incapace di fronteggiare la mafia. Ma su questo vorrei fare
una considerazione che parte dalla relazione di minoranza
presentata proprio ieri alla Camera sulla manovra economica
del Governo, sulla legge finanziaria.
   Citerò soltanto alcuni dati, anche perché gli altri sono
riportati nel resoconto stenografico e pertanto lei potrà
prenderne visione. Il governatore della Banca d'Italia nella
sua audizione presso la V Commissione sul bilancio di
previsione
Pagina 557
dello Stato per il 1995 ha dichiarato che il Mezzogiorno
accusa un ristagno della domanda interna e della produzione
con conseguente ulteriore calo dell'occupazione. In
particolare, su 1 milione e 200 mila posti di lavoro perduti
dall'estate del 1992 ad oggi, 600 mila si sono persi nel
centro-nord ed altrettanti nel sud. Nel Mezzogiorno d'Italia
vi è la più alta percentuale di disoccupazione giovanile e
femminile d'Europa, con dati sempre più allarmanti in termini
di disoccupazione complessiva che si attesta su una
percentuale del 20 per cento. La politica delle
privatizzazioni ha ulteriormente penalizzato il Mezzogiorno,
la cui bilancia commerciale è fortemente passiva, nel senso
che le importazioni superano largamente le esportazioni.
Mentre sino alla metà degli anni settanta gli investimenti
erano pari al 30-35 per cento del prodotto interno lordo, nel
1993 sono discesi al 18 per cento. La stessa agricoltura
risulta penalizzata dai disincentivi; vi sono stati tagli alla
previdenza e all'assistenza; infine cito la cancellazione
degli sgravi fiscali, la mancanza di finanziamento per i fondi
strutturali CEE e via dicendo. Potrei continuare ancora, ma
tutti i dati sono contenuti nella relazione di minoranza
presentata dal mio gruppo.
   Qui si ripercorre un modulo ormai già sperimentato, quello
della lotta alla mafia fatta solamente con gli apparati dello
Stato, con l'inasprimento delle pene e con una serie di norme.
Queste misure hanno dato un certo risultato, ma da sole non
sono in grado di bloccare tale fenomeno.
   Non vede lei una contraddizione tra quanto ella ha
proclamato, ossia di voler contrastare la mafia con ogni
mezzo, e la politica complessiva che il suo Governo si accinge
a fare proprio con questa manovra finanziaria?
  TANO GRASSO. Signor Presidente, mi permetta di
rivolgerle una prima domanda che la riguarda come
imprenditore. Su un quotidiano siciliano, la Gazzetta del
Sud, del 31 gennaio 1994 ho letto questa ricostruzione
della vicenda Standa: "Gli attentati a fini estorsivi,
verificatisi a Catania e dintorni, cessarono quando si iniziò
a pagare il pizzo a Santapaola". L'articolo citato così
continua: "L'input di pagare gli uomini di Cosa nostra
evidentemente non partì a livello locale ma dietro
autorizzazione dei massimi vertici della società. Ecco perché
i giudici hanno convocato in veste di testimone Silvio
Berlusconi, in quanto certamente al corrente di quanto sarebbe
avvenuto, ma sicuramente non direttamente interessato alla
trattativa". L'articolo continua: "Certo è - evidenziano i
giudici catanesi - che da parte delle vittime e dei loro
rappresentanti vi fu la chiusura più totale alla
collaborazione con le forze dell'ordine che indagavano sugli
episodi".
   Successivamente, lei è stato ascoltato dai magistrati
catanesi nella veste di testimone. Può dirci se le sue aziende
hanno ricevuto richieste estorsive e come, di conseguenza, ci
si è comportati? All'interno delle sue aziende, ha avuto
segnali circa tentativi di infiltrazione della criminalità?
Lei si è fatto promotore di iniziative presso altri
imprenditori per organizzare risposte comuni nei confronti
della criminalità mafiosa?
   Seconda questione. Nella sua relazione ha sostenuto la
necessità di incoraggiare le vittime di estorsione e di usura
ad avere fiducia nella risposta dello Stato. Come si può
conciliare questo auspicio con i ritardi nell'applicazione
della legge antiracket? Vi sono imprenditori che hanno subito
attentati per aver collaborato con le forze dell'ordine e che
da quasi tre anni aspettano l'esito delle proprie istanze.
Quando un imprenditore non riceve immediatamente il ristoro
del danno, rischia di essere tagliato fuori dal mercato: i
tempi dell'impresa sono molto più veloci dei tempi della
burocrazia. Perché non si assume l'impegno di verificare
personalmente lo stato delle varie istanze e di dare nell'arco
di qualche settimana una risposta alle vittime che sono in
attesa?
   Come si può conciliare la necessità di spingere le vittime
di usura a sporgere denuncia con le oscillazioni cui abbiamo
assistito alla Camera fra maggioranza e Governo, che hanno
portato di fatto a cancellare
Pagina 558
il fondo di sostegno per le vittime di usura? Anch'io le
pongo la domanda che le ha fatto il senatore Scivoletto: si
impegnerà il Governo, in sede di discussione del disegno di
legge sull'usura al Senato, a reintrodurre l'istituzione del
fondo di solidarietà alle vittime?
   Infine, è notizia di oggi sui giornali l'ennesimo caso di
esposizione di un sacerdote siciliano. Ormai, le forme di
intimidazione che riguardano esponenti del clero isolano
costituiscono un fenomeno che si va diffondendo sempre più.
Questa mattina arriva il Santo Padre in Sicilia e le chiedo
come pensa di intervenire, quale provvedimento ritenga
necessario assumere, al fine di mantenere, anzi di allargare,
l'area di esposizione in prima linea del clero siciliano.
  RAFFAELE BERTONI. Credo, signor presidente, che
l'incontro della Commissione antimafia con il Presidente del
Consiglio abbia due scopi: quello di sapere quali siano i
provvedimenti e più in generale l'atteggiamento che il Governo
da lui presieduto intende prendere per combattere le mafie nel
modo più efficiente possibile e quello di saggiare
l'affidabilità e la credibilità del Presidente e del Governo
circa l'adempimento effettivo degli impegni che assume. Con
lei questo secondo aspetto mi sembra prevalente sul primo.
   Venerdì scorso lei ha ingiuriato gratuitamente Corrado
Stajano, suscitando la reazione di molti di noi e facendomi
sospettare che non sempre quello che lei dice corrisponde a
verità. Non dubito, però, che anche lei si sia pentito di
quella frase infelice che pronunziò e sono convinto - se già
non l'ha fatto - che leggerà i bellissimi libri di Stajano,
che molto ci hanno insegnato e potranno insegnare a lei
qualcosa di utile anche sulla mafia.
   Comunque, a causa di quell'episodio - perciò l'ho citato,
non per fare un omaggio a Stajano, che non ne ha bisogno - il
mio intervento sarà "difficoltato", come lei dice con un
simpatico neologismo che certamente passerà nei vocabolari,
perché, pur non essendo diffidente per carattere, tuttavia
sono costretto a porre domande dirette soltanto a capire e a
cercare di far capire alla Commissione se lei ci ha detto
quello che veramente pensa. Non c'è prevenzione - mi creda,
signor Presidente - nelle mie parole, ma solo il desiderio di
adempiere il mio dovere anche a costo di far forza sul mio
carattere (pure lei certe volte fa forza sul suo; mi scusi
questo rilievo). Mi consenta, dunque, signor Presidente, di
porre le seguenti domande.
   Prima domanda. Nella prima seduta cui lei ha partecipato,
disse che il Governo avrebbe adottato - lo disse
specificamente rispondendo ad una mia domanda - un
decreto-legge per prolungare l'efficacia del 41-bis.
Invece, non l'ha fatto, mentre la Commissione giustizia del
Senato ha licenziato una proposta in questo senso sulla base
di tre disegni di legge tutti di senatori dell'opposizione. Si
è trattato di un modo per dare a vedere che si subiva ma che
non si voleva prendere direttamente un'iniziativa tanto
doverosa?
   Seconda domanda. In un'intervista del 24 settembre 1991 al
Corriere della Sera, a Vergani, disse: "Certo che Milano
è malata ma non credo che il vero problema sia la pressione
mafiosa". E quando Vergani le chiese: "Ma dove sta il ventre
molle di Milano, quello vulnerabile all'assalto mafioso?", lei
rispose: "Sono troppi anni che non lavoro più nell'edilizia e
che non faccio centro su Milano. Sono fuori. Il fiato della
mafia non l'avverto. Lo dico perché vivere in una dimensione
di assoluto privilegio" - come lei giustamente diceva a
proposito della sua - "non mi mette in grado di toccare con
mano la realtà vera di Milano, di sapere se il negoziante è
attanagliato dalla mafia". La pensa sempre così sulla mafia a
Milano?
   Terza domanda. In un'intervista del 1977 a Mario Pirani -
che non è l'ultimo arrivato tra i giornalisti - lei attaccò
con forza i giudici che già allora...
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Sono lusingato da questa esegesi di tutte le mie
interviste!
  RAFFAELE BERTONI. Sono un suo studioso, sono uno
studioso di quello che
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dice, per capire poi quello che c'è dietro... non quello che
c'è dietro, ma quello che dice veramente. In quell'intervista
a Mario Pirani lei attaccò con forza i giudici che già allora
cercavano di applicare la legge anche nei confronti di uomini
del potere e, senza mezzi termini, li definì "giudici
comunisti", per dire che erano per partito preso contro il
Governo. Lei pensa tuttora che i giudici che stanno indagando
e giudicando - e giudicando! - su corruzione e mafia, sui
rapporti tra affari e mafia, siano comunisti, cioè che
agiscano solo per mettere in difficoltà il Governo? Per fare
degli esempi, pensa questo di Caselli e di Borrelli e degli
altri che magari stanno indagando sugli uomini delle sue
imprese?
   Quarta domanda. L'inchiesta sulla massoneria deviata
iniziata da Cordova a Palmi è passata alla procura di Roma nel
giugno del 1994 e da allora procede a stento. Il ministro di
grazia e giustizia, nel frattempo, ha messo in moto
un'inchiesta sul pool di mani pulite, che lei ha
approvato pubblicamente. Non le sembra che sarebbe stato più
opportuno che lei invitasse il ministro a fare tutto ciò che
rientra nelle sue competenze per permettere all'inchiesta
sulla massoneria di decollare, cioè che si adoperasse per
fornire alla procura le strutture materiali e personali
indispensabili per il rapido ed efficace svolgimento di
indagini tanto complesse?
   Quinta domanda. Lei sa che cos'è la camorra? Non è
retorica la domanda, perché lo sanno in pochi. Le inchieste in
corso hanno dimostrato che le imprese che si aggiudicavano
appalti pubblici li davano in subappalto, a scatola chiusa, a
esponenti della camorra (a scatola chiusa significa che, come
li avevano, così li davano, senza cambiare niente). I
risultati già noti delle inchieste in corso, lasciano
prevedere l'incriminazione per collusioni con la camorra di un
gran numero di imprenditori che lavorano in Campania (e non
solo in Campania). Lei pensa che sia la diffusione di questo
fenomeno o le inchieste giudiziarie che lo riguardano a
compromettere la ripresa e lo sviluppo dell'economia? Qualche
sua recente dichiarazione induce a credere che lei la pensi
nel secondo senso. Se non è così, lo smentisca pubblicamente e
soprattutto faccia in modo che il Governo prenda i
provvedimenti necessari per permettere nel paese e soprattutto
nel Mezzogiorno lo sviluppo di un'economia sana, liberata
dalle collusioni mafiose.
   Sesta domanda. Per rimanere in tema, in occasione dei
lavori per il G7 a Napoli, dagli uffici CESIS che lei
personalmente dirige fu rilasciato un nullaosta di sicurezza
al camorrista Antonino Apreda e con la sua impresa fu quindi
concluso un appalto. Come è potuto accadere un fatto del
genere? I responsabili sono stati individuati e puniti?
   Ultima domanda. Prima di essere ucciso, Falcone disse: "Si
muore generalmente perché si è soli o si muore spesso perché
non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi
del necessario sostegno". E dopo l'attentato all'Addaura aveva
detto: "Sto assistendo all'identico meccanismo che portò
all'eliminazione del generale Dalla Chiesa. Il copione è
quello, basta avere occhi per vedere". In effetti, Falcone,
prima di essere ucciso, fu delegittimato e criticato
ingiustamente da molti, anche dall'interno della
magistratura.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. E dalla sinistra. Questa appropriazione della
figura di Falcone mi sembra fuori luogo.
  RAFFAELE BERTONI. Io le dico le cose. Ho detto "anche
all'interno della magistratura". E del suo Governo, però,
perché Fumagalli Carulli...
  PRESIDENTE. Ci sono gli atti del Consiglio superiore su
questo.
  RAFFAELE BERTONI. Ho detto della magistratura per non
dire quello che avrei dovuto dire, perché Fumagalli Carulli
fece quel po' di ben di Dio contro Falcone.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. La Fumagalli non era
magistrato.
  RAFFAELE BERTONI. Faceva quel po' di ben di Dio
scrivendo articoli uno dopo
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l'altro contro Falcone, collega Imposimato!
  PRESIDENTE. Senatore Bertoni, prosegua.
  RAFFAELE BERTONI. Che c'entra che non era magistrato! Ho
detto "della magistratura" perché voglio colpevolizzare la
magistratura.
   Attualmente a Milano, oltre ai processi in corso per il
malaffare politico, sta per cominciare il giudizio per
l'autoparco, che ha grandi implicazioni mafiose; nello stesso
tempo Di Pietro riceve segnali allarmanti dall'interno delle
carceri; in Sicilia ed in Calabria molti uffici giudiziari
sono impegnati in gravissimi processi di mafia; Caselli
conduce le inchieste sul fronte allargato dei rapporti
mafia-affari-politica; qui il ministro dell'interno ed i
vertici della polizia hanno parlato della possibilità di
attentati eccellenti, eppure mai come in questo momento è in
atto un vero e proprio processo di delegittimazione dei
magistrati, che per di più proviene dall'interno delle
istituzioni. I giudici più impegnati a riaffermare di fronte a
tutti la forza ordinaria della legge sono soli, senza il
sostegno che dovrebbero avere, come Falcone. Non teme, non la
preoccupa l'eventualità che possa accadere qualcosa di
terribile, che si possa ripetere il copione di altre volte?
Sono sicuro che lei mi risponderà che lo teme e sono anche
sicuro che su questo è sincero; ma lei ha il dovere di fare
qualcosa di più, di fare tutto il possibile per dissipare il
clima di delegittimazione che il Governo sta addensando
attorno ai giudici. Fermi i ministri della giustizia e della
difesa e li convinca a tornare ad occuparsi di problemi
diversi da quello di fare la guerra ai giudici! Occorre
rilanciare l'efficienza dell'amministrazione della giustizia
piuttosto che colpirla al cuore, occorre che le nostre forze
armate siano sostenute ed incoraggiate come meritano per
ritrovare una nuova e piena identità, per essere gli alfieri e
il simbolo della cultura di pace cui si ispirano i sentimenti
diffusi della nostra gente.
  PRESIDENTE. Gli interventi dell'onorevole Rossi e del
senatore Meduri dovrebbero essere esauriti entro le 11, in
modo da avere ampio spazio per la replica del Presidente del
Consiglio.
  LUIGI ROSSI. Presidente, mi atterrò assolutamente alle
sue istruzioni.
  PRESIDENTE. La ringrazio.
  LUIGI ROSSI. Chiedo all'onorevole Presidente del
Consiglio dei ministri come mai continui il contenzioso in
atto fra l'esecutivo e la magistratura, che suscita
particolare preoccupazione nell'opinione pubblica, e non solo
superficiale. Posso assicurarle, avendo compiuto per il mio
partito un viaggio al centro-sud, che esiste un notevole
disagio per il pericolo non certo marginale di un riciclaggio
di personaggi comunque colpevoli di omertà politico-mafiose,
se non addirittura in odore di mafia. Fra l'altro, ho raccolto
vivaci critiche sulle dichiarazioni di alcuni esponenti del
Governo ed anche di protagonisti nell'ambito della maggioranza
circa l'ipotesi di chiusura del pool Mani pulite e
l'eventuale promulgazione di un'amnistia.
   Non crede, onorevole Presidente del Consiglio, che sarebbe
opportuno da parte sua, magari in una delle sue
Conversazioni al caminetto del lunedì con Zanetti,
eliminare queste preoccupazioni che indubbiamente assillano
l'opinione pubblica più di quanto lei non creda e che, a
parere di molti, indeboliscono le lotte contro la mafia, la
camorra e tutte le cosche della criminalità organizzata?
  RENATO MEDURI. Voglio pregiudizialmente dare atto a
questo Governo del fatto che dimostra di non essere secondo a
nessuno nella lotta per la difesa della libertà dei cittadini;
naturalmente tale difesa presuppone una lotta ad ogni forma di
criminalità, perché la criminalità rappresenta il primo
attentato alla libertà di ciascuno di noi.
   Sono state molteplici le occasioni in cui l'attuale
Governo ha dimostrato questo impegno. Onorevole Presidente,
vorrei dare atto al sottosegretario di Stato
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Gasparri di avere in più occasioni pubbliche espresso il
proprio convincimento che si debba arrivare ad un sempre
maggiore inasprimento del carcere duro nei confronti dei
mafiosi. Sono state molteplici le occasioni in cui Gasparri ha
detto queste cose; quando parla un sottosegretario ritengo lo
faccia - finché non è smentito - a nome di tutto il Governo.
Ritengo sia stato molto ingeneroso, da parte del collega Di
Bella, che ho sempre conosciuto come persona molto seria e
molto impegnata in politica e nella società civile, e non
degno della sua persona (ribadisco la mia stima personale nei
suoi confronti), speculare su un episodio, sempre che
l'episodio vi sia stato; infatti, il collega Di Bella ha
parlato di fotografie ma non le ha mai prodotte. Egli avrebbe
visto Gasparri, nella calca tipica che si crea dopo ogni
comizio, dare la mano a qualcuno senza aver chiesto prima il
certificato antimafia rilasciato dalla prefettura. Ritengo che
neanche il collega Di Bella, quando tiene un comizio, chiede a
chi va a stringergli la mano il certificato antimafia, con la
carta d'identità e con la firma autenticata del prefetto. Mi
voglio augurare che non si faccia questo tipo di speculazione,
che avvilisce il nostro lavoro, la nostra funzione, il motivo
per cui siamo qui; non sono qui, come senatore di alleanza
nazionale, a difendere a tutti i costi il Governo, anche
quando sbaglia, né è qui il senatore Di Bella, espressione di
altra forza politica, a criticare anche quando si agisce bene,
altrimenti la nostra funzione è avvilita.
   Comunque, per chiudere questo episodio, ringrazio il
Presidente Berlusconi per aver scelto Maurizio Gasparri come
sottosegretario per l'interno, perché la mia tessera di
partito è datata 1958 e ho l'orgoglio di essere stato uno dei
maestri di vita di Gasparri, che è nato nel 1956; e so che
persona integra sia, moralmente e politicamente e quindi la
ringrazio per averlo nominato sottosegretario e, soprattutto,
sottosegretario per l'interno.
   Onorevole Berlusconi, le voglio chiedere, in qualità di
senatore calabrese, di una zona martoriata dal fenomeno della
criminalità associata, dalla 'ndrangheta, che cosa noi insieme
intendiamo fare nei confronti di questa regione, che soffre di
alcuni guai. Il primo, sul quale matura la mala pianta della
criminalità, è la grande disoccupazione; lei sa che a Reggio
Calabria si supera addirittura il 35 per cento sulla
popolazione attiva e comunque il 30 per cento è il dato
ufficiale relativo all'intera regione. Quindi, secondo me
l'impegno prioritario del Governo è quello di mettere in moto
meccanismi che creino fonti di lavoro per la gioventù
calabrese. Durante la campagna elettorale lei si è assunto
l'impegno di creare il famoso milione di posti di lavoro in
più: la prego di esercitare la sua intelligenza e l'impegno
del suo Governo soprattutto in direzione di questo aspetto
della politica antimafia, perché ritengo che sia un atto di
prevenzione importante, che deve precedere una repressione
dura che comunque lo Stato deve esercitare nei confronti della
criminalità organizzata.
   Si è parlato dell'usura, una delle piaghe maggiori del
nostro paese: onorevole Presidente, cosa intende fare il suo
Governo - è questa la seconda domanda - in ordine al
cambiamento della politica bancaria nel sud, che vede un
accesso difficilissimo, soprattutto per i piccoli operatori,
ad un credito che costa il doppio rispetto al nord e che crea
le condizioni...
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Non il doppio.
  RENATO MEDURI. Non il doppio, ma comunque molto di più.
Inoltre vengono richieste maggiori garanzie che spesso non è
possibile dare.
   In sostanza le banche rastrellano il risparmio che
successivamente è investito in altre aree geografiche
d'Italia. Secondo me, una rivisitazione della politica
bancaria nel meridione potrebbe arginare in qualche modo il
fenomeno dell'usura, che è una delle piaghe più terribili.
   Onorevole Presidente del Consiglio, lei sa che al sud i
tempi della giustizia civile, soprattutto, oltreché della
penale, sono lunghissimi e lentissimi. Ciò rappresenta un
rischio assai grave per quelle popolazioni,
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in quanto la giustizia civile spesso deve essere
richiesta a magistrati (del popolo, lo dico tra parentesi) che
l'amministrano in altro modo. La presidente Parenti, che a
Reggio Calabria ha incontrato i rappresentanti dei quadri
giudiziari, è a conoscenza della esigenza di ripianamento
dell'organico non solo dei magistrati ma anche dei dipendenti
amministrativi, in quanto spesso i giudici non possono
avvalersi dell'opera di un dattilografo! Poiché non faccio
discorsi teorici ma bado alla sostanza, chiedo che cosa si può
fare affinché in questa regione abbandonata si dia un segno
della presenza dello Stato capace di amministrare la giustizia
soprattutto nei casi in cui ci si rivolge al boss perché lo
Stato è assente.
   Infine, sappiamo quanto sia stato facile - l'ho sostenuto
anche durante l'audizione del generale Federici - l'accesso
alle opere pubbliche e ai fondi pubblici da parte di imprese
discusse e discutibili. Ciò è stato possibile grazie ai molti
politici che in passato hanno facilitato questa operazione ed
anche e soprattutto alla burocrazia corrotta o corruttibile, o
magari oggettivamente condizionata forse dalla paura. Certo è
che esistono sacche di consistente ricchezza a livello di
politici e di burocrati (anche di grado medio non solo di
grado elevato). Ritengo che il Governo, unitamente alle
strutture capaci e preposte a farlo, debba avviare un'opera di
ricerca e di bonifica, in quanto a volte non è sufficiente
sciogliere un consiglio comunale per mafia e inviare il
commissario straordinario, dal momento che lì continuano a
lavorare gli stessi segretari comunali o i medesimi capi
dell'ufficio tecnico, i quali a volte sono persone per bene,
ma tante volte non lo sono.
   Lei reputa utile e necessaria un'indagine per verificare
la possibilità di un avvicendamento non solo della grande
burocrazia regionale, ma anche di quella media e alta a
livello comunale e provinciale, soprattutto nelle aree a
rischio come la Calabria, la Sicilia, la Campania e la
Puglia?
  PRESIDENTE. Con quello del senatore Meduri sono
terminati gli interventi dei commissari.
   Poiché l'onorevole Berlusconi ha chiesto una brevissima
sospensione avendo un urgente impegno telefonico, sospendo
brevemente la seduta. I nostri lavori riprenderanno con la
replica del Presidente del Consiglio.
  La seduta, sospesa alle 11,5, è ripresa alle
11,15.
  PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio risponderà ora
alle domande poste dai membri della Commissione. Invito i
colleghi a non interloquire, perché il dialogo non gioverebbe
alle risposte.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Nei precedenti incontri erano emerse alcune
esigenze, ad esempio quella relativa al completamento degli
uffici giudiziari di Palermo, dove presto inizierà il processo
per l'omicidio del giudice Falcone. E' stato anche chiesto al
Governo di costituirsi parte civile in questo processo.
   Quanto al primo problema, posso comunicare che oggi
pomeriggio, nella riunione del Consiglio dei ministri,
presenterò un provvedimento legislativo urgente. Mi piacerebbe
che fosse un decreto-legge e chiedo scusa ai senatori e ai
deputati, che da sempre invitano il Governo a non utilizzare
questo strumento, ma credo che questo sia proprio un caso in
cui sussistano le ragioni di necessità e d'urgenza. Credo che
potremo dare il via immediatamente ai lavori e agli ordinativi
che mancano.
   Quanto alla costituzione di parte civile, sono intervenuto
presso l'Avvocatura dello Stato. L'avvocato generale dello
Stato mi ha comunicato che, a seguito della mia richiesta, ci
siamo costituiti parte civile, nell'interesse della Presidenza
del Consiglio dei ministri - perché il Governo nel suo
complesso è portatore degli interessi della collettività
nazionale - nonché nell'interesse del ministro di grazia e
giustizia, del ministro dell'interno e di quello dei lavori
pubblici. Dunque, c'è stata una immediata
Pagina 563
risposta ad una richiesta assolutamente fondata.
   Ho anche sentito qualche considerazione polemica, e ciò mi
è spiaciuto, su una presunta delegittimazione del dottor Di
Maggio, con il quale invece collaboro molto bene ed al quale
avevo chiesto personalmente di coordinare l'organizzazione a
Napoli della conferenza sulla criminalità internazionale. Il
dottor Di Maggio aveva richiesto di tornare ad un incarico che
aveva ricoperto in precedenza, come esperto dei problemi della
criminalità e del traffico di stupefacenti presso la nostra
rappresentanza all'ONU in Vienna.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Ha detto il contrario.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Se devo riferire circa fatti a mia conoscenza,
come mi appaiono, devo dire che ho con il dottor Di Maggio una
collaborazione molto positiva; ho svolto con lui incontri per
preparare quella conferenza, che presiederò personalmente. Mi
sembra che il dottor Di Maggio sia impegnato e che la sua
esperienza sia messa a frutto in modo efficace e positivo.
   Come avevo già annunciato nella precedente seduta, ho
radunato in capitoli le risposte alle varie domande. I temi
sui quali intratterrò la vostra attenzione sono i seguenti:
usura, processo penale, stanziamenti a favore della giustizia,
potenziamento e coordinamento delle forze di polizia,
riciclaggio, collaboratori della giustizia, mafia e trame
politiche, antiproibizionismo e problematiche sociali. Mi
atterrò quindi alla lettura di un appunto nel quale sono
contenute le risposte e preannuncio che fornirò una risposta
scritta anche alle domande che mi sono state poste quest'oggi,
per farlo a freddo, senza vis polemica di ritorno.
Voglio soltanto dire all'onorevole Grasso che è inimmaginabile
che una società quotata in borsa possa addivenire ad accordi
con un'organizzazione criminale. E' al di fuori di ogni
possibilità reale. La Standa è stata fatta oggetto di vari
attentati (30 bombe) che ne hanno diminuito fortemente la
capacità di fare reddito, perché la gente reagisce in un certo
modo. In Sicilia è stata fatta oggetto di attentati e di
incendi, ma non è mai stata condotta alcuna trattativa con
nessuno. Sono andato a testimoniare e posso dire - l'ho già
dichiarato - che la versione resa dai giornali è lontana dalla
realtà: la Standa ed i suoi dirigenti hanno collaborato con la
giustizia; la Standa si è costituita parte civile ed alcuni
dirigenti hanno permesso l'arresto e l'individuazione di
presunti responsabili. Questi dirigenti sono ancora sotto
tutela da parte delle forze dell'ordine, perché si teme che vi
possano essere azioni nei loro confronti.
   Rispondendo in tema di usura, ricordo che l'onorevole
Bertucci ha sottolineato la drammatica escalation di
questo fenomeno, l'insufficienza delle misure di generico
inasprimento delle pene, l'opportunità dell'istituzione di
fondi antiusura anche presso le regioni.
   Nella relazione ho illustrato sinteticamente la gravità
oggettiva del fenomeno ed il suo diretto collegamento con le
attività della criminalità organizzata, che di tale forma di
reato si avvale sempre più ampiamente per fiaccare la
resistenza degli imprenditori, per rilevarne le aziende e per
riciclare i capitali illecitamente acquisiti.
   Per prevenire l'espandersi del fenomeno e reprimere
efficacemente l'attività delittuosa è necessario anzitutto
affinare sul punto le tecniche investigative e di accertamento
giudiziale. Da qui nasce la scelta del disegno di legge
governativo, all'esame del Parlamento, di rivedere la
normativa vigente e di consentire, tra l'altro, il ricorso a
strumenti di indagine particolarmente sofisticati (come le
intercettazioni telefoniche e ambientali e le cosiddette
operazioni sotto copertura, condotte cioè da infiltrati che
simulino l'attività di mediazione usuraria per identificare i
vari momenti del circuito criminale) e l'unificazione delle
fattispecie criminose per una più agevole individuazione dei
presupposti del reato.
   Le soluzioni privilegiate dal disegno di legge, pur
essendo fondamentali sotto l'aspetto
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investigativo e processuale, rischiano peraltro di non
essere sufficienti sotto l'aspetto della prevenzione sociale:
tanto più che le multiformi tipologie del fenomeno non
agevolano la ricerca di strumenti di contrasto realmente
efficaci.
   E' mia ferma convinzione che sotto questi aspetti si debba
comunque, e in primo luogo, ottenere dagli istituti di credito
una sempre maggiore collaborazione sia per ciò che concerne la
trasparenza delle procedure per la valutazione delle richieste
di affidamento sia per ciò che concerne il rafforzamento delle
procedure interne per il controllo del personale (al fine di
affrancarlo dai sospetti di collusione con ambienti usurari).
Con gli istituti di credito va poi individuato un sistema che,
assicurando anonimato e riservatezza, garantisca
effettivamente la segnalazione di tutte le operazioni di
sospetto collegamento con fenomeni di usura: segnalazione che
dovrà avere a presupposto, fra gli indici di anomalia delle
operazioni stesse, anche e in specie l'utilizzo dei conti in
forme tecniche non correlate o non direttamente giustificabili
con l'attività svolta dal cliente. E' infatti sempre la
difformità tra l'entità del patrimonio delle persone, i
movimenti dei conti correnti e le attività che tali persone
svolgono alla luce del sole la spia vera che può portare
all'individuazione di fatti criminali.
   A livello amministrativo e legislativo dovranno poi
prevedersi risposte differenziate a seconda della tipologia
dei casi di usura e del loro collegamento o meno con
l'attività della criminalità organizzata. A tale riguardo è
prioritaria la necessità di creare strumenti in grado di
assicurare agli investigatori la cooperazione della vittima
del reato.
   Com'è noto, le lungaggini dell'iter giudiziario, la
mancanza di certezze riguardo al suo esito, la consapevolezza
della tendenziale irrecuperabilità delle somme versate e il
timore di ritorsioni rappresentano deterrenti molto forti.
Credo che, in proposito, le recenti previsioni sul possibile
immediato sequestro degli interi patrimoni degli usurai
rappresentino un primo importante passo nella giusta
direzione. Si può infatti pensare a forme di destinazione di
tali beni a favore delle vittime dell'usura, oltre che
all'autonoma creazione di fondi per contributi in conto
interessi destinati ad agevolare i mutui alle persone offese:
fondi il cui funzionamento dovrà essere regolamentato proprio
tenendo conto delle peculiarità del fenomeno e che potranno
anche tenere conto della esperienza maturata con riferimento
al cosiddetto fondo antiracket. A questo proposito mi assumo
le responsabilità che sono stato invitato ad assumermi:
provvederò certamente a mettere in atto un controllo della
situazione esistente circa le domande presentate e le risposte
che l'amministrazione pubblica è riuscita a dare.
   L'esperienza di tale fondo può rappresentare, per un
verso, un esempio da imitare (per ciò che attiene al nuovo
rapporto che ha cercato di instaurare fra cittadino e Stato)
e, dall'altro, all'inverso, un esempio da emendare
significativamente sotto l'aspetto del suo attuale atteggiarsi
burocratico e farraginoso. Ho dovuto prendere atto di una
situazione che è stata costruita in tantissimi anni, alla
quale non credo si possa ovviare con interventi di poco conto.
Credo che vi sia bisogno quasi di una rivoluzione totale, di
una completa ristrutturazione di tutto l'apparato dello Stato,
altrimenti non se ne esce. Si tratta di operazioni che non
possono essere iniziate in tempi brevissimi e con governi di
coalizione che non riescono ad avere certezze circa la loro
capacità di intervenire con il consenso di tutti gli alleati e
con un'opposizione che possa dare il suo concreto apporto su
questioni che non sono di parte ma che interessano l'intera
collettività nazionale. Questo è ciò di cui ha bisogno
l'Italia ed è il problema al quale stiamo cercando di dare
risposte; personalmente credo di esercitare tutta la pazienza
e tutte le capacità di mediazione possibili affinché questa
situazione cambi.
   Occorre però sottolineare fin d'ora la necessità di
svincolare l'accesso al fondo dall'esito del processo penale,
prevedendo eventualmente un collegamento fra i due momenti ai
limitati fini di garantire la cooperazione processuale della
persona
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offesa. L'erogazione delle somme deve invece essere
tempestiva poiché, in caso diverso, non sarebbe ovviamente in
grado di consentire il superamento delle temporanee difficoltà
economiche e finanziarie del soggetto costretto a ricorrere al
prestito. In proposito il Governo ha già allo studio una nuova
e specifica disciplina che tiene conto dei rilievi formulati
con riferimento alla precedente versione elaborata sul tema e,
assieme, della giusta attesa di tanti per la rapida
approvazione di un'equa legislazione a favore delle vittime
del reato.
   La situazione che abbiamo trovato per quanto riguarda i
problemi del sud, fra i quali in primo luogo vi è quello della
mafia, dimostra che lo Stato è inadempiente nei confronti di
moltissime iniziative imprenditoriali, che versano in una
situazione drammatica. Sono numerosissimi gli esempi di lavori
condotti con il ricorso al credito bancario, in attesa dei
finanziamenti promessi dallo Stato grazie alla legge n. 64. La
situazione che abbiamo trovato è la seguente: 18 mila pratiche
nemmeno aperte, 6 mila pratiche per opere già realizzate
completamente, alle quali non è stata data ancora risposta, ed
altre 7 mila pratiche che si trovano a meno di metà
dell'istruttoria. Ritengo sia necessario intervenire
attraverso un alto commissario e proprio in questi giorni sto
cercando di convincere le altre forze di maggioranza a mettere
in atto questa misura, che in un certo senso va contro le
ordinarie competenze dei singoli ministeri. La situazione è
drammatica e quindi, se si vogliono risolvere i problemi del
sud, che sono quelli dell'Italia, bisogna tenere presente che
per primo c'è quello della disoccupazione, che influisce sulla
possibilità di sottrarre i giovani al circuito mafioso. Se si
vuole intervenire in questa direzione si deve garantire
fiducia agli imprenditori, dare supporti alle imprese già
esistenti e studiare una serie di misure che richiederebbero
un tempo che - confesso - il Presidente del Consiglio non è in
grado di assicurare, essendo occupato in una serie di attività
che non sono operative e che perciò non possono portare a
cambiamenti veri. Questa è la mia angoscia.
   A questo proposito sono stato ancora una volta frainteso
(lo so, mi lamento sempre, ed è una cosa disdicevole, ma non
riesco a venirne fuori) quando ho detto che se in un'azienda
si lavora per un certo periodo di tempo si produce, per
esempio, dieci, e che in questa situazione si lavora lo
stesso, o anche più tempo (non ho mai lavorato tanto in vita
mia), e si produce uno, o anche meno di uno. Provo quindi un
sentimento di angoscia perché vedo che vi sono enormi esigenze
da parte del paese alle quali si potrebbe far fronte con
cambiamenti radicali; credo che la gente, a seguito di quello
che è successo, abbia voluto rinnovare in gran parte la classe
dirigente perché vuole andare in direzione di un cambiamento.
Questi mutamenti radicali, che sono importanti soprattutto
nella fase progettuale (non parliamo poi di quella
realizzativa) vengono ritardati o addirittura impediti da
tutto un sistema generale che è contrario all'efficienza.
Scusate lo sfogo, ma - credetemi - è proprio un'angoscia che
mi possiede.
   Quanto ai temi del processo penale, l'onorevole Violante
ha sottolineato la necessità di istituire al più presto i
tribunali distrettuali e di prevedere nuove forme di
teletrasmissione dei dibattimenti. Ha inoltre invocato chiare
prese di posizione del Governo sul tema della proroga
dell'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975.
   Il senatore Mancino ha sollecitato il generalizzato
ricorso alla stenotipia nella verbalizzazione degli
interrogatori, specie dei collaboratori della giustizia,
osservando che, in tal modo, si agevola il lavoro dei giudici
nella valutazione delle dichiarazioni auto ed
eteroaccusatorie.
   Su alcuni dei temi affrontati dall'onorevole Violante ho
già espresso nella relazione gli intendimenti del Governo ed i
recenti sviluppi parlamentari credo abbiano dissipato
qualsiasi ombra circa l'effettiva volontà di attuare quanto da
me dichiarato nel corso della mia audizione del 21 ottobre
scorso anche a proposito della proroga dell'articolo
41-bis. Mi sembra che non si faccia un corretto utilizzo
del tempo delle Camere quando si chiede un altro intervento da
parte del Governo
Pagina 566
attraverso un decreto, quando il Parlamento ha già deliberato,
in una delle sue componenti, la proroga di tale articolo per
un determinato periodo di tempo. Personalmente ritengo che si
debba risparmiare il tempo di tutti, anche perché questo
articolo è stato approvato con l'adesione totale delle forze
di maggioranza che sostengono il Governo.
   La previsione dell'articolo 41-bis della legge n.
354 del 1975 va dunque mantenuta ben oltre la scadenza che per
essa è ora fissata dall'articolo 29 del decreto-legge n. 306
del 1992. Mi appare sufficiente, in proposito, che il Governo
esprima il pieno sostegno alle proposte di legge presentate in
tal senso sia in Senato sia alla Camera dei deputati.
   Come sta accadendo, le proposte vanno esaminate al più
presto e con assoluta priorità così da dissipare equivoci e
fraintendimenti e da eliminare diffidenze. Ogni cura sarà poi
posta nell'emanazione di decreti che siano inattaccabili, dal
punto di vista della motivazione, sia sotto l'aspetto della
pericolosità del detenuto (e degli elementi dai quali è
desunta) sia sotto l'aspetto delle ragioni poste a base delle
varie limitazioni al trattamento penitenziario ordinario: così
da evitare il pericolo di dichiarazioni di inefficacia dei
decreti medesimi da parte dei giudici di sorveglianza. Questo
è il fenomeno più grave al quale occorre ovviare.
   Nella relazione ho anche ricordato la necessità di
mantenere l'utilizzazione degli istituti dell'Asinara e di
Pianosa per finalità di detenzione. Provvederanno di concerto
i ministri competenti a valutare poi la fattibilità di
proposte, del tipo di quella qui avanzata dall'onorevole
Violante, o stamattina dal senatore Campus, di coniugare la
destinazione per finalità di detenzione con quella
naturalistica (l'onorevole Violante aveva parlato di metà e
metà). Tutta l'edilizia penitenziaria è da sottoporre a nuova
progettualità; molte opere sono in corso, ma non si capisce
perché i lavori procedano con tanta lentezza; molte sono quasi
finite ma mancano gli ultimi stanziamenti affinché possano
essere messe in funzione; altre devono essere prodotte con una
tecnica più moderna. Si pone anche il problema del costo della
detenzione per lo Stato, costo che in molti altri paesi è
stato affrontato anche con l'intervento dell'iniziativa
privata; è questo un grande tema, su cui ho appena iniziato a
mettere la testa e rispetto al quale ho dato indirizzi
affinché ci siano risposte e si possa procedere in modo
innovativo.
   Sempre nella relazione ho ricordato che le previsioni in
tema di isolamento carcerario hanno ragion d'essere solo se
l'isolamento è effettivo e se non deve assistersi invece a
casi di continui e lunghi trasferimenti dei detenuti per
ragioni di giustizia. Da qui la necessità di prendere in esame
rapidamente sia l'ipotesi della celebrazione dei dibattimenti
a distanza mediante teleconferenze sia l'ipotesi della
obbligata celebrazione delle udienze di indagine e
dell'udienza preliminare nell'istituto penitenziario di
assegnazione. Sul punto il Governo si riserva di presentare al
più presto appositi disegni di legge che avranno anche
l'effetto, non secondario, di sollevare le forze di polizia
dalle pericolose incombenze delle traduzioni e di ampliare, di
conseguenza ed all'inverso, il numero di coloro che possono
essere destinati ai naturali compiti di ordine e di sicurezza
pubblica.
   Anche questo è un problema generale delle forze
dell'ordine: una grande quantità di addetti sono destinati a
pratiche amministrative; se si pensa che nella stessa città
infinite schiere di impiegati, di funzionari e dirigenti sono
in cassa integrazione, si sentono estranei al processo
lavorativo, soffrono di questa posizione e vengono pagati
dallo Stato per l'80 per cento della loro retribuzione,
ritengo che questi potrebbero essere utilizzati in queste
altre direzioni; e credo che lo farebbero anche con favore in
attesa di un'eventuale altra destinazione nel privato. Vedete
che rivoluzioni si debbono fare, addirittura nel modo di
pensare e di affrontare certi gravi problemi! Credo si debba
andare in tale direzione. Per quanto riguarda le forze
dell'ordine, sono moltissime le persone che potrebbero essere
nuovamente destinate al compito specifico,
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quello di stare in trincea a lottare contro la
delinquenza.
   Maggiori perplessità desta la proposta dell'onorevole
Violante in tema di istituzione dei tribunali distrettuali.
Alle ragioni pro e contro tale istituzione ho già fatto breve
richiamo nella relazione. Qui posso solo ricordare che nel
corso della XI legislatura fu presentato sul punto un apposito
disegno di legge. Nella relazione che lo accompagnava si
sostenne che il provvedimento rappresentava il completamento
necessario all'istituzione delle direzioni distrettuali
antimafia e si proponeva sia di razionalizzare le energie
esistenti (concentrando mezzi e risorse presso le città sedi
di corte d'appello) sia di valorizzare specifiche esperienze
professionali tutelando poi la sicurezza di magistrati,
detenuti e collaboratori di giustizia. Il precedente Consiglio
superiore della magistratura si espresse in senso contrario
all'istituzione del nuovo ufficio. Il consiglio ritenne che
l'intervento si iscriveva in una logica di tipo emergenziale,
estranea ad una visione organica dell'ordinamento giudiziario;
che l'accentramento delle competenze presso determinati organi
poteva comportare l'effetto negativo di dar vita ad una sorta
di doppia magistratura, di cui la prima affidataria dei
processi di maggiore importanza e rilievo sociale, la seconda
destinataria degli affari correnti (con tutte le conseguenze
sul morale dei magistrati); che l'accentramento della
competenza territoriale rispondeva non già ad esigenze
presenti sull'intero territorio nazionale bensì a situazioni
particolari di taluni distretti; che le esigenze di
concentrazione, specializzazione, sicurezza ed efficienza
potevano trovare una diversa situazione, più rispettosa del
principio del giudice naturale e più compatibile con le
necessità di razionale organizzazione della giurisdizione sul
territorio. Al riguardo veniva fatto presente che la normativa
istitutiva della Direzione nazionale antimafia e delle
direzioni distrettuali antimafia aveva in sé molteplici
potenzialità espansive, che potevano aversi presenti prima di
accedere a settoriali modifiche ordinamentali.
   Sia gli argomenti a sostegno sia quelli contrari
all'istituzione del nuovo ufficio sono certamente fondati su
ragioni obiettivamente valide. Mi sembra però opportuno che la
problematica dei tribunali distrettuali sia inserita nel
contesto più ampio delle modifiche ordinamentali al fine di
evitare rischi di iniziative isolate e disancorate dalle linee
di fondo che dovranno essere delineate dalle commissioni che
presso il Ministero di grazia e giustizia sono state istituite
per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie e
dell'ordinamento giudiziario.
   Riferisco per completezza i dati risultanti dall'attività
di monitoraggio della direzione generale degli affari penali
del Ministero di grazia e giustizia con riguardo alle pendenze
dei procedimenti penali per delitti di criminalità organizzata
di stampo mafioso. Nel 1993 presso gli uffici giudicanti
pendevano complessivamente 659 procedimenti per delitti di
criminalità organizzata, di cui 495 (pari al 75,4 per cento)
negli uffici sede di capoluogo di distretto e 164 (pari al
24,6 per cento) nei restanti uffici giudicanti.
   Mi pare quindi che ogni decisione definitiva debba restare
comunque sospesa in attesa del parere del Consiglio superiore
della magistratura.
   La proposta dell'onorevole Mancino in materia di modalità
di documentazione degli interrogatori è di estremo interesse
ed è già stata presa in considerazione - a livello generale -
nel testo approvato dal Comitato ristretto della Commissione
giustizia della Camera sulla nuova disciplina delle misure
cautelari e della esplicazione del diritto di difesa. Si
tratta peraltro di valutare la concreta attuale fattibilità
della proposta e di quelle - pressoché analoghe - che
sollecitano l'adozione anche nel corso delle indagini della
videoregistrazione degli atti. Sul punto il Ministero di
grazia e giustizia ha da tempo avviato uno studio
sensibilizzando anche le autorità giudiziarie in ordine
all'adozione di adeguati e moderni strumenti tecnici. Anche
con riferimento al tema della documentazione degli atti mi
pare comunque necessaria una rivisitazione complessiva della
Pagina 568
vigente normativa al fine di evitare interventi di emergenza,
non coordinati rispetto al sistema e non in linea con
l'avanzamento di tutte le moderne tecniche. Credo che, se
dobbiamo fare un passo avanti, valga la pena di farlo
ricorrendo alle tecniche più aggiornate. A questo proposito
sto seguendo con interesse ciò che sta avvenendo in paesi più
progrediti anche rispetto agli Stati Uniti; in Giappone, per
esempio, si sta pensando ad una registrazione globale con
sistemi di archiviazione che richiedono pochissimo spazio.
Ritengo che il passo da compiere debba essere sostanziale
ricorrendo a tutto ciò che di più moderno è a disposizione.
   L'onorevole Bargone ed il senatore Mancino hanno
efficacemente ricordato che l'insufficienza degli stanziamenti
a disposizione della giustizia rende ancora più complesso e
drammatico il contrasto della criminalità organizzata.
   Ricordo in proposito che lo stato di previsione della
spesa del Ministero di grazia e giustizia per il 1995, dopo le
modifiche apportate dalla nota di variazione n.
1072-bis, reca una complessiva previsione di 7.487,3
miliardi, di cui 7.120,4 per la parte corrente e 368,9 in
conto capitale. L'importo complessivo calcolato in 7.487,3
miliardi rappresenta l'1,12 per cento della spesa finale dello
Stato. Disaggregando la spesa totale, i 7.120,4 miliardi di
parte corrente rappresentano l'1,17 per cento della
complessiva spesa corrente dello Stato (pari a 608.317
miliardi) mentre i 368,9 miliardi della spesa in conto
capitale incidono per lo 0,42 per cento sulla complessiva
spesa in conto capitale dello Stato (pari a 86.974
miliardi).
   Rispetto allo stato di previsione iniziale dell'anno 1994
(6.809,4 miliardi), gli stanziamenti per il 1995 (7.487,3
miliardi) fanno registrare un aumento di 677,9 miliardi circa
(+9,9 per cento) di cui 650,9 miliardi di parte corrente e 27
miliardi in conto capitale.
   Rispetto al bilancio assestato 1994 (7.016,4 miliardi) le
spese considerate nel bilancio di previsione fanno registrare
un aumento di 470,9 miliardi (+6,7 per cento).
   Lo stato di previsione del Ministero di grazia e giustizia
non corrisponde esattamente alla sezione "giustizia" nella
classificazione funzionale delle spese dello Stato. Infatti la
tabella non comprende le previsioni di spesa per l'edilizia
giudiziaria e penitenziaria, alla quale provvedono
rispettivamente gli enti locali, attraverso la Cassa depositi
e prestiti, ed il Ministero dei lavori pubblici, con
specifiche appostazioni di bilancio.
   I dati relativi a tali previsioni di competenza sono i
seguenti: 360 miliardi nel capitolo 5942 dello stato di
previsione della spesa del Ministero del tesoro e 100 miliardi
sul capitolo 8404 dello stato di previsione della spesa del
Ministero dei lavori pubblici.
   La spesa complessiva per la funzione giustizia,
relativamente all'anno 1995, si attesta perciò su 8.197,3
miliardi, prendendo in considerazione sia la previsione di
spesa della tabella 5 (7.487,3 miliardi) sia gli
accantonamenti dei fondi speciali di parte corrente (150
miliardi) e di conto capitale (100 miliardi) sia gli altri
stanziamenti che, pur attenendo funzionalmente alla giustizia,
sono allocati negli stati di previsione del Ministero del
tesoro (360 miliardi) e del Ministero dei lavori pubblici (100
miliardi).
   E' evidente che si tratta di somme non sufficienti a far
fronte alle effettive necessità, specie di adeguamento delle
strutture, sia mobiliari sia immobiliari, e che scontano
l'ulteriore limite dato dalla circostanza che la capacità
operativa del Ministero di grazia e giustizia è, in realtà,
sottoposta ad un triplice ordine di condizionamenti, derivante
sia dalle progettazioni finanziarie operate dal tesoro (che
determina l'entità delle risorse assegnate), sia
dall'esistenza di una pluralità di soggetti estranei al
ministero (comuni e Ministero dei lavori pubblici) ai quali
appartengono le competenze maggiori in materia di edilizia
giudiziaria e penitenziaria, sia, infine, dalle scelte del
potere legislativo e della funzione pubblica (per quanto
concerne il personale amministrativo).
   Nel contesto dianzi descritto, non poche preoccupazioni
desta la situazione
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dell'edilizia penitenziaria, penalizzata dalle continue
rimodulazioni delle autorizzazioni di spesa operate dalle
leggi finanziarie degli ultimi anni nonché dai lunghi e
defatiganti tempi di realizzazione delle opere, causa non
ultima del costante lievitare dei costi. Si tratta peraltro
del massimo sforzo che il Governo nel suo complesso è stato in
grado di fare, tenendo conto dei complessivi dati di bilancio.
Ci siamo intrattenuti in lunghe discussioni a questo riguardo,
ma poi si è confermato che la coperta è quella che è, che era
necessario introdurre i 48 mila miliardi e che i conti erano
quelli indicati. Abbiamo cercato di operare l'aumento di 600
miliardi, ma si è ritenuto collegialmente che di più non fosse
possibile fare. Il Parlamento, naturalmente, ha il potere
sovrano di operare spostamenti, ma pur sempre nell'ambito di
una manovra che è quella che è. Credo sia necessario agire per
fasi successive. Prima di tutto è necessario mettere a posto i
conti dello Stato, quindi occuparsi del risanamento, dopo di
che bisogna scegliere un tema e trattarlo fino in fondo,
seguendo, in sostanza, un ragionamento di questo genere: per
due anni ci occupiamo di realizzare un moderno sistema per
quanto riguarda la giustizia, in seguito per un anno ci
interesseremo della ricerca, poi per un altro anno della
scuola, e così via. Sono tutti risultati, però, che si possono
realizzare solo nel medio e lungo periodo, perché andando
avanti come si è fatto finora si mettono soltanto pecette,
senza in realtà risolvere nulla.
   Particolarmente rilevante sotto il profilo istituzionale
ed assai delicata è la questione posta dal senatore Mancino a
proposito dell'esigenza di rafforzare il coordinamento
dell'attività delle varie forze di polizia.
   Dopo la legge di riforma del 1981 l'esperienza del
coordinamento conobbe momenti di crisi dovuti soprattutto alla
naturale diffidenza verso i nuovi moduli operativi ed alla
difficoltà di assimilare la diversità culturale di cui essi,
in qualche modo, erano espressione.
   Nel triennio 1990-1992 la straordinaria virulenza
dell'aggressione delle organizzazioni criminali ha però fatto
sì che, accanto all'esigenza di dare nuovo slancio alla
risposta punitiva dello Stato con norme penali e processuali
di grande rigore e fermezza, si proponesse con nuova forza
anche il problema del rafforzamento degli strumenti di
coordinamento delle attività delle forze di polizia.
   Le leggi istitutive della DIA e della Direzione nazionale
antimafia, che si collocano a cavallo tra la fine del 1991 ed
i primi mesi del 1992, testimoniano dello sforzo di
fronteggiare l'offensiva criminale con strumenti più agili e
di maggiore efficacia, soprattutto sul piano del
coordinamento.
   L'ampio consenso che accompagnò il varo di quelle due
leggi incoraggiò il Governo a proseguire lungo il cammino
della riforma strutturale dell'amministrazione della pubblica
sicurezza e ad affrontare il problema del coordinamento
dell'attività dei vari corpi in maniera più radicale ed
incisiva, ridisegnando, in pratica, l'organizzazione di
vertice ed i livelli funzionali del Ministero dell'interno nel
settore della sicurezza e dell'ordine pubblico.
   Nell'agosto 1992 il governo Amato, su proposta dell'allora
ministro dell'interno Mancino, approvò e presentò alle Camere
un disegno di legge (atto Senato n. 600) con il titolo
significativo di: "Nuove disposizioni in materia di direzione
unitaria delle forze di polizia e sull'amministrazione della
pubblica sicurezza".
   Nel nuovo progetto normativo campeggiava la figura del
segretario generale dell'amministrazione della pubblica
sicurezza, quale autorità nazionale funzionalmente
sovraordinata alle altre autorità, centrali e periferiche, di
pubblica sicurezza ed agli organi dell'amministrazione. A tale
nuova autorità, coerentemente con l'altissima responsabilità e
con il prestigio dell'incarico, veniva assegnato un livello di
funzione A, corrispondente a quello massimo previsto
dall'ordinamento vigente per la dirigenza dello Stato.
   Il tratto più significativo del provvedimento era
rappresentato dalla separazione dell'attività di direzione
unitaria dell'amministrazione della pubblica sicurezza,
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affidata al segretario generale come primo referente del
ministro, da quella di comando della Polizia di Stato, quale
componente della stessa amministrazione.
   L'iniziativa promossa dal governo non riscosse, come è
noto, consensi in Parlamento e non approdò ad esiti di
rilievo. Peraltro, tra le stesse forze di polizia, i cui
responsabili furono chiamati ad esprimere il loro parere nel
corso di più audizioni al Senato, si profilarono posizioni
parimenti critiche, anche se per profili contrastanti.
   A prescindere dall'infruttuosa vicenda dell'atto Senato n.
600 e dalla legittima diversità di opinioni sulla sua
impostazione di fondo, va comunque posto in rilievo che i
risultati, talora efficacissimi, delle forze dell'ordine,
soprattutto nella lotta alla criminalità organizzata,
testimoniano dei progressi notevoli che si sono registrati sul
terreno del coordinamento in questi ultimi due anni.
   Si tratta di prendere atto di un miglioramento qualitativo
che nasce nei fatti, dall'azione quotidiana e dal supporto che
a questa azione viene fornito da tutte quelle forme di
raccordo operativo variamente apprestate dalla legislazione
anticrimine più recente: dai servizi provinciali interforze,
istituiti nel 1991, alla stessa DIA, organismo interforze per
definizione e per eccellenza, nonché da altre specifiche
direttive di coordinamento finalizzato alla migliore
distribuzione dei compiti tra i vari corpi ed allo sviluppo di
un'azione investigativa coordinata anche prima dell'intervento
del magistrato inquirente. Si ricordano, a questo proposito, i
gruppi di lavoro interforze nel campo dell'intelligence
anticrimine e della ricerca dei latitanti, le misure per il
controllo del territorio, i nuclei investigativi misti per
particolari esigenze.
   Quanto alle altre prospettazioni in tema di coordinamento
delle forze di polizia (alle quali ha fatto richiamo il
senatore Brutti), devo solo ribadire quanto sostenuto nella
relazione e già ampiamente ricordato dal ministro dell'interno
e dal capo della polizia. Si tratta di nuove linee di
indirizzo che mirano ad affiancare le esperienze di
informazione e conoscenza, acquisite dagli organi decentrati
sul territorio, a quelle degli organi centralizzati e
specialistici, coinvolgendo questi ultimi solo in operazioni
mirate e restituendo agli organi territoriali la loro
insostituibile funzione di garanti del territorio e di fonti
primarie delle informazioni d'ambiente.
   Vi è poi la questione dell'impiego delle forze armate, in
concorso con le forze di polizia, nella strategia di contrasto
alla criminalità mafiosa nelle zone cosiddette a rischio.
   Il riconoscimento della qualifica di agente di pubblica
sicurezza al militare impegnato a fianco dell'operatore di
polizia contribuisce, del resto, in maniera determinante alla
costruzione di un modello di cooperazione che si è rivelato
valido ed efficace.
   L'innovazione normativa in questo senso favorisce e
valorizza decisamente l'utilizzazione dei militari nello
specifico concorso operativo.
   Attualmente il personale militare impegnato in Sicilia, in
Calabria, nel territorio del comune di Napoli e sulla fascia
confinaria nord-orientale ammonta a circa 7 mila unità.
   L'esito delle operazioni in corso è certo positivo anche
in relazione al notevole recupero - per altre attività
istituzionali - di personale delle forze di polizia, che
l'impiego di militari in attività di controllo del territorio
ha consentito.
   Ritengo perciò che l'esperienza sin qui svolta debba
essere proseguita ed in tal senso proporrò di prorogare
l'impiego delle forze armate oltre il termine del 31 dicembre
e secondo le modalità sin qui efficacemente sperimentate.
   Negli ultimi anni, attese le particolari esigenze di
contrasto alla criminalità organizzata, manifestatesi nelle
regioni meridionali, l'amministrazione dell'interno ha
provveduto, con immissioni di personale, a seguito dei
pubblici concorsi, a potenziare gli uffici periferici, con
riferimento prioritario ai presidi in Campania, Puglia,
Calabria e Sicilia.
   A tale proposito si pongono il grande problema
dell'insufficienza numerica e quello della revisione
organizzativa delle
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forze di polizia e delle forze dell'ordine. Ho potuto
sperimentare personalmente, in occasione di mie uscite
pubbliche, come tutte le forze di polizia partecipassero ad
operazioni di prevenzione, in alcuni casi anche attraverso
mezzi navali. Questo tipo di organizzazione ha radici profonde
nella nostra storia, nella nostra tradizione. Peraltro, sul
territorio si verificano spesso sovrapposizioni che non sono
sempre funzionali all'ottenimento del miglior risultato.
   Credo sia molto difficile operare per risolvere questi
problemi, comunque ritengo lo si possa fare solo attraverso un
progetto che necessita di lunghissimi approfondimenti e sul
quale è indispensabile il parere degli interessati. Credo
pertanto si debba lavorare in profondità per poter disporre di
una moderna organizzazione di contrasto al crimine. Per il
momento conviene proseguire il lavoro degli ultimi due anni,
che pure ha consentito di ottenere buoni risultati, anche se
organizzando in una nuova struttura tutte le forze disponibili
si potrebbero forse ottenere risultati migliori.
   Veniamo al problema del riciclaggio. L'onorevole Arlacchi
ha ricordato che la mafia non si combatte solo nel Mezzogiorno
d'Italia, ma anche nelle zone più sviluppate, in quanto la
penetrazione in tali regioni rappresenta la faccia più
silenziosa e meno visibile della criminalità organizzata. Egli
ha quindi sottolineato la necessità di interventi diretti ad
impedire sia l'infiltrazione di capitali illeciti nelle zone
più sviluppate del paese sia il dirottamento strumentale di
tali capitali verso quegli Stati che già si attrezzano a
meglio riceverli.
   Sono ben consapevole sia della necessità di colpire le
accumulazioni illecite mafiose e il loro reimpiego
nell'economia legale, sia dell'indispensabilità di ottenere
sul punto un'effettiva ed ampia cooperazione internazionale.
Sono poi ben consapevole del fatto, che a tale riguardo,
l'elaborazione di un sistema di effettivo controllo e di
intervento richieda competenze specifiche e un'attitudine
investigativa diversa da quella di tipo tradizionale, oltre
che capace di adeguarsi al rapidissimo mutare delle strategie
che i gruppi criminali di volta in volta adottano per
agevolare la più remunerativa e sfuggente circolazione del
capitale illecito.
   E' noto che il riciclaggio finanziario svolge un ruolo di
moltiplicatore del volume dell'attività afferente a soggetti
criminali e che sempre più netta è poi la differenziazione,
nell'ambito delle associazioni mafiose, tra attività
delinquenziali primarie (fonte della liquidità necessaria per
l'attività criminale) e attività di riciclaggio: attività che
nella gran parte dei casi è infatti affidata a intermediari
finanziari - consapevoli o meno - e che di per sé allontana la
liquidità illecita dal luogo in cui essa è stata prodotta
rendendone così ancor più ardua la individuazione.
   Da qui alcune delle più consistenti difficoltà nel colpire
il fenomeno e nell'impedire il verificarsi di progressive
"invasioni" nazionali e internazionali nell'economia legale
(anche mediante la rilevazione di imprese, l'espandersi dei
prestiti usurari, il progressivo utilizzo delle case da
giuoco).
   Ho perciò ricordato, nella relazione, che la materia non
va solo riordinata, ma completamente rivisitata, tenendo conto
tra l'altro delle oggettive difficoltà connesse agli
accertamenti patrimoniali, dall'attuale assenza di un sistema
centralizzato di dati utili all'effettuazione dei più
approfonditi controlli, della contestuale assenza di
previsioni normative idonee a colpire concretamente le
fittizie interposizioni personali e la creazione di società di
comodo. In questo campo bisogna lavorare per emanare norme che
siano veramente in linea con quanto si sta sviluppando
attualmente.
   Né va dimenticato che in molti casi la scoperta
dell'operazione di riciclaggio è resa ancor più complessa dal
fatto che la criminalità organizzata di tipo mafioso modifica
tempestivamente le tecniche del reimpiego dei capitali ed
esercita spesso una pressione crescente anche su imprenditori
"puliti" per costringerli a fungere da insospettabili schermi
per operazioni di riciclaggio. Con l'introduzione del decreto-
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legge n. 143 del 1991 il nostro ordinamento si è posto in una
giusta prospettiva di intervento, definendo come oggetto
primario di indagine le operazioni sospette (anziché le
persone), colmando le lacune di disciplina dei settori di
intermediazione parabancaria e finanziaria, rivoluzionando il
ruolo degli operatori bancari e finanziari.
   Le recentissime modifiche apportate con la legge n. 328
del 1993 alla disposizione penale sul riciclaggio e la
previsione che tale reato si concreta ora anche quando il
reato presupposto è un qualsiasi delitto non colposo (e non
solo quando è un delitto di rapina, estorsione, sequestro o
traffico di droga) possono certamente incidere anche sul
funzionamento del sistema della segnalazione delle operazioni
da parte dei responsabili degli istituti di credito,
agevolandone il compito e non imponendo loro un impossibile
accertamento sulla provenienza del denaro che forma oggetto
dell'operazione stessa.
   Si tratta allora di partire dalle disposizioni del citato
decreto-legge n. 143 per inventare nuovi strumenti di
contrasto e per individuare i punti critici che non hanno
finora consentito l'efficace funzionamento del sistema. Fra
quei punti vanno certamente inseriti la scarsa riservatezza in
tema di denuncia delle operazioni, la vaghezza dei parametri
di identificazione delle operazioni sospette, la già ricordata
assenza di una banca dei dati centralizzata. La necessità di
questa era stata invece sostenuta fin dal 1989 da numerosi
esperti e anche dall'allora comandante generale della Guardia
di finanza, generale Ramponi, non solo per evitare la
dispersione delle informazioni, ma anche per porre in essere
un sistema di controllo praticamente opposto all'attuale. Un
sistema che partisse, cioè, non dalle singole operazioni per
arrivare al dato generale, ma che partisse (o potesse partire)
dalle grandi movimentazioni monetarie per arrivare alle
singole operazioni illecite e alla scoperta dei responsabili,
individuando così obiettivi o materiali di indagine e fornendo
periodicamente panoramiche analitiche delle metodologie, delle
forme e delle tendenze adottate dal crimine organizzato per
riciclare proventi illeciti.
   Non v'è dubbio che un tale sistema di controllo può essere
adottato, al pari di altri che abbiano la stessa valenza
pragmatica, solo programmando una seria armonizzazione
internazionale e sensibilizzando al massimo ogni Stato sul
rischio mafia e sul fatto che la regolamentazione
antiriciclaggio può divenire fattore discriminante nelle
scelte dei soggetti criminali che tendono a indirizzarsi verso
quei contesti internazionali in cui le legislazioni sono più
permissive. Ho già ricordato a questo proposito la necessità
di nuovi accordi bilaterali e multilaterali che migliorino le
forme di collaborazione internazionale, sia sul piano
giudiziale sia su quello informativo e operativo. Sono questi,
fra gli altri, gli obiettivi della prossima conferenza
mondiale e di altre attività di cooperazione già costituite in
materia. Dico subito che di questo voglio fare un mio
personale cavallo di battaglia: per questo presiederò la
conferenza mondiale. Anche affrontando il problema del
Mezzogiorno, infatti, mi sono confermato nel convincimento che
finché incombe questo pericolo di aggressione sugli
imprenditori da parte della criminalità organizzata non si
possono far prediche sui doveri agli imprenditori, anche del
nord, o sul desiderio di attirare investitori esteri in queste
aree. Si possono concedere agevolazioni, si può intervenire
sulle infrastrutture, ma se non esiste questa salvaguardia,
questa certezza, non si può andare molto lontano.
   Per quanto riguarda i collaboratori della giustizia...
  GIUSEPPE ARLACCHI. Mi scusi, signor Presidente, e i
paradisi fiscali?
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Le darò poi una risposta più precisa sui paradisi
fiscali.
   Per quanto riguarda i collaboratori della giustizia, nella
sua audizione il ministro dell'interno ha ricordato che sono
in fase di avanzata elaborazione i nuovi regolamenti in
materia di protezione dei collaboratori della giustizia e che
essi attuano,
Pagina 573
nel modo più razionale e coerente, le previsioni dettate sul
tema dal decreto legge n. 8 del 1991. Le nuove previsioni non
intendono dunque modificare l'impianto legislativo né, come ho
già detto nella relazione del 21 ottobre scorso, possono
essere lette "come arretramenti o ripensamenti rispetto alle
scelte di politica criminale" già adottate sul punto.
   La Commissione (e qui rispondo anche al rilievo del
senatore Brutti) ha già richiesto ai ministri direttamente
interessati gli schemi di regolamento e sarà mia cura
sensibilizzare al riguardo i titolari dei dicasteri
dell'interno e di grazia e giustizia. Qui intendo solo
ribadire che l'importanza dei collaboratori della giustizia
nella disaggregazione delle associazioni criminali è sotto gli
occhi di tutti - quindi anche e prioritariamente del Governo -
e che il ricorso ad essi ha prodotto fin qui risultati quanto
mai apprezzabili. Si tratta perciò e soltanto di approntare
ogni mezzo per assicurare che la credibilità dei collaboratori
non possa essere compromessa né da approcci non professionali
né da trame orchestrate: magari da quegli stessi capiclan
interessati a creare attorno ai loro accusatori un pesante
clima di sospetto e diffidenza.
   Ritengo perciò che debbano essere sostenuti gli sforzi di
chi da tempo (e ricordo in proposito anche le conclusioni cui
pervenne la precedente Commissione antimafia fin dal febbraio
1993) sostiene sia la necessità di attuare una netta
separazione tra chi investiga sui fatti dichiarati dal pentito
e chi gestisce il pentito stesso, sia la necessità di
impegnare lo Stato nella protezione e nel reinserimento
sociale del collaboratore della giustizia solo quando la
condotta dissociativa da questi manifestata è inequivoca e
davvero rilevante ai fini del processo. Anche in tema di
collaboratori della giustizia l'atteggiamento del Governo è
perciò sorretto dalla piena consapevolezza della complessità
della problematica e degli effetti che possono discendere dal
ricorso a frasi, condotte od atteggiamenti suscettibili di
interpretazioni differenziate e perciò idonei a creare stati
di confusa incertezza ed apprensione in chi ha fatto precise
scelte collaborative e di rottura del vincolo criminale (come
d'altronde ha recentemente ed efficacemente ricordato il
Procuratore nazionale antimafia).
   Passando alla questione dei possibili collegamenti della
mafia con la politica, il tema sottolineato in specie dagli
onorevoli Imposimato, Ayala e Bonsanti merita ogni più attuale
riflessione, ma impone di evitare incaute generalizzazioni.
Sul punto conservano oggi pieno valore le chiare conclusioni
della relazione della Commissione antimafia, approvata il 6
aprile 1993; conclusioni che è opportuno ricordare e che si
collocano nel più generale contesto dei rapporti tra mafia e
politica. Di tale relazione voglio ricordare un passo, sul cui
contenuto concordo pienamente: "Il terreno fondamentale sul
quale si costituiscono e si rafforzano i rapporti di Cosa
nostra con esponenti dei pubblici poteri e delle professioni
private è rappresentato dalle logge massoniche. Il vincolo
della solidarietà massonica serve a stabilire rapporti
organici e continuativi. L'ingresso nelle logge di esponenti
di Cosa nostra, anche di alto livello, non è un fatto
episodico ed occasionale, ma corrisponde ad una scelta
strategica. Il giuramento di fedeltà a Cosa nostra resta
l'impegno centrale al quale gli uomini d'onore sono
prioritariamente tenuti. Ma le affiliazioni massoniche offrono
all'organizzazione mafiosa uno strumento formidabile per
estendere il proprio potere, per ottenere favori e privilegi
in ogni campo: sia per la conclusione di grandi affari sia per
l' aggiustamento dei processi, come hanno rilevato numerosi
collaboratori di giustizia. Tanto più che gli uomini d'onore
nascondono l'identità dei fratelli massonici, ma questi ultimi
possono anche non conoscere la qualità di mafioso del nuovo
entrato".
   Si tratta di un quadro ampiamente delineato anche da
numerosi collaboratori della giustizia e dal quale, nella
sostanza, emerge linearmente la tendenza di Cosa nostra ad
avvalersi delle associazioni massoniche come di uno dei canali
privilegiati per infittire le relazioni tra i suoi
appartenenti e coloro i quali, in quanto titolari di pubblici
poteri, possano conseguentemente
Pagina 574
agevolare la mafia nel raggiungimento dei propri obiettivi.
Se così è, mi appare superfluo ribadire la grande attenzione
del Governo sulla materia. Al di là delle emergenze
processuali e investigative, deve esistere infatti sul punto
una specifica attenzione politica che si collega nel suo
complesso proprio e più genericamente allo stesso tema dei
rapporti tra mafia e pubblica amministrazione: per evitare il
ripetersi di antichi pericoli o di antichi scambi volti ad
orientare il flusso della spesa pubblica o a favorire nuove
opportunità di guadagno e gestioni del malaffare.
   Passando al tema dell'antiproibizionismo, sollevato anche
in una interpellanza dalla senatrice Scopelliti, osservo che
il traffico di stupefacenti rappresenta da sempre una delle
più lucrose attività della criminalità organizzata. A volte,
produce irreparabili guasti sociali e il progressivo
diffondersi di forme di inquietante microcriminalità. Il tema
della cura del tossicodipendente e della sua riabilitazione
sociale rappresenta perciò tema di assoluto e prioritario
interesse dell'autorità di Governo. Come suggerito dalla
senatrice Scopelliti, le disposizioni che regolano la materia
vanno perciò riviste, anche qui in una ottica nazionale ed
internazionale, che tenga fra l'altro conto delle risultanze
del referendum abrogativo dell'aprile 1993 (che ha escluso la
illiceità penale del consumo personale degli stupefacenti). La
proposta della senatrice Scopelliti va guardata con
l'interesse e la serietà che essa merita pur se non può
nascondersi - come la stessa senatrice rileva - la necessità
di approfondire la materia senza preconcetta ostilità e con la
serenità richiesta proprio dalla gravità e diffusione del
fenomeno.
   Per quanto attiene alle problematiche sociali, il senatore
Di Bella, il senatore Mancino e l'onorevole Ayala hanno posto
l'accento sulla necessità di "mobilitare tutte le forze
sociali per una seria iniziativa antimafia" al fine di porre
le premesse per un rifiuto completo della logica del controllo
del territorio da parte delle organizzazioni criminali. Hanno
ricordato che tale mobilitazione deve iniziare fin
dall'interno delle scuole e deve poi passare per un'aspra
lotta agli altissimi livelli di disoccupazione: poiché sono
questi a creare un terreno assai favorevole alla penetrazione
mafiosa.
   Concordo pienamente con le analisi dei senatori Di Bella e
Mancino e dell'onorevole Ayala e va accolto il loro invito a
moltiplicare gli sforzi per impedire l'espansione del fenomeno
mafia incidendo anche e principalmente sulle sue cause sociali
e su quelle distorsioni istituzionali delle quali un limitato
numero di menti criminali ha saputo approfittare per creare
ciò che viene spesso definito come l'antistato o l'esercito
mafioso.
   Ricordo che a questo proposito Giovanni Falcone ha
scritto: "(...) ritengo che sia proprio la mancanza di senso
dello Stato, di Stato come valore interiorizzato, a generare
quelle distorsioni presenti nell'animo siciliano: il dualismo
fra società e Stato, il ripiegamento sulla famiglia, sul
gruppo, sul clan; la ricerca di un alibi che permetta a
ciascuno di vivere e lavorare in perfetta anomia, senza alcun
riferimento a regole di vita collettiva. Che cosa se non il
miscuglio di anomia e violenza primitiva è all'origine della
mafia? Quella mafia che essenzialmente, a pensarci bene, non è
altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di
Stato".
   Occorre perciò capovolgere questa convinzione di
inefficienza dello Stato e di sfiducia in esso. Tante
adesioni, tante collusioni e connivenze con il fenomeno
mafioso, ma anche molte delle stesse condotte criminali di
tipo armato e terroristico (funzionali all'attività eversiva
della criminalità organizzata), sono in realtà conseguenza di
un atteggiamento mentale che va scardinato, con i fatti e con
un atteggiamento istituzionale nuovo e caratterizzato da nuove
sensibilità.
   In quest'ottica mi pare perciò da accogliere il
suggerimento dell'onorevole Imposimato di ricorrere anche al
mezzo televisivo per sensibilizzare qualunque cittadino, per
far comprendere che il problema mafia è davvero problema di
ciascuno e di tutti, per ribadire infine che non sarà
impunemente consentita la delegittimazione
Pagina 575
(subdola, insidiosa, raffinata o rozza che sia) di coloro che
servono lo Stato per combattere la criminalità organizzata e
che a tal fine mettono a repentaglio la loro vita e quella dei
loro cari.
   Mi rendo conto che si dicono e si sono dette tante parole
a questo riguardo; mi rendo conto, poi, dell'inadeguatezza di
chi occupa posizioni di responsabilità per rispondere a questa
situazione con i fatti. Abbiamo un ordinamento che è quello
che è; abbiamo la precarietà dei governi che conosciamo: credo
davvero che ci vorrebbe un atto di contrizione da parte di
tutti e che bisognerebbe progettare un modo diverso di
guardare al nostro futuro rispetto a quello che è stato il
nostro passato. Se non vi potrà essere un'azione condotta nel
tempo sempre nella stessa direzione, con approfondimenti
importanti, non si potrà risolvere questo problema. Si tratta
di un problema sul quale non possono essere il Presidente del
Consiglio o un Governo di passaggio a portare una soluzione...
(Commenti del deputato Grimaldi e del senatore
Imposimato).
  RAFFAELE BERTONI. Ma lei non crede che il suo sia un
Governo di passaggio!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Sì, ma quello che vi crea preoccupazione è che
cercate che si ceda da tutte le parti... Io sono un ottimista
ed un testone!
  RAFFAELE BERTONI. Mussolini non era di passaggio, eppure
non ha distrutto la mafia!
  PRESIDENTE. Senatore Bertoni...!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. C'è un aspetto sul quale posso darvi una
certezza: non esiste alcun partito della minimizzazione (così
come è stato definito) nell'ambito delle forze di maggioranza.
Quando parlo di questo problema, riscontro grande senso di
responsabilità in tutti. Per quanto mi riguarda, vi posso
garantire che l'attenzione su di esso è primaria perché penso
che, se non si risolverà tale questione, non giungerà mai a
soluzione il problema del Mezzogiorno, che è un problema
dell'Italia.
   Se il presidente me lo consente, vorrei proporre una sorta
di ripasso degli argomenti affrontati nel corso delle ultime
sedute. In sostanza, se la pazienza dei presenti me lo
consentirà, vorrei ribadire sinteticamente i punti salienti
del disegno e della strategia di contrasto e di lotta alla
criminalità, lotta alla quale siamo tutti chiamati.
   Inizio con il ricordare le principali caratteristiche di
un'efficace attività di contrasto. Le scelte di politica
criminale - lo ribadisco - devono partire dalla consapevolezza
di avere di fronte non semplici gruppi delinquenziali, ma
organizzazioni politico-criminali che pretendono di esercitare
sul territorio una sovranità alternativa a quella dello Stato.
Devo dire che non ero consapevole di questo dato e che
soltanto l'avere contattato molti imprenditori sottoposti a
tutta una serie di pressioni mi ha reso evidente che questa è
veramente la volontà che presiede all'attività
dell'organizzazione criminale, che cerca in definitiva di
sostituirsi allo Stato. Ciò comporta che l'impegno del Governo
deve svilupparsi anche prima e fuori della semplice
repressione del reato, ricercando il risanamento del tessuto
sociale ed una politica di sviluppo economico delle aree
depresse. Sul piano più specifico di contrasto criminale,
occorre utilizzare al meglio le strutture esistenti,
sconsigliandosi, per il momento, la creazione di nuovi
organismi antimafia.
   Il potenziamento ed il coordinamento delle strutture di
prevenzione e di investigazione assume particolare rilievo con
riguardo al problema del coordinamento tra le forze di
polizia, che già è stato affrontato con la predisposizione di
nuove modalità di indagine, anche in conseguenza della
creazione di nuovi organismi di polizia centralistici e
specializzati (DIA, SCO, ROS, SCICO). In tal senso, la linea
di intervento del ministro dell'interno, pienamente
sottoscritta dal Presidente del Consiglio, consente di
coniugare esperienze di informazione e conoscenza acquisite
dagli
Pagina 576
organi decentrati operanti sul territorio con le attività
degli organi centrali e specialistici, con l'ulteriore
beneficio di impegnare questi ultimi soltanto in
investigazioni mirate, potenziando al contempo le
insostituibili funzioni di garanzia e di controllo del
territorio. Si tratta indubbiamente di un punto centrale che
merita attenzione.
   Quanto al passaggio dalla prevenzione sul territorio alle
forme di sostegno sociale e di fiducia nello Stato, occorre
creare le condizioni per il recupero del rapporto fiduciario
tra cittadino ed istituzioni, sia creando una nuova coscienza
della legalità, sia assicurando protezione a chi concretamente
fornisce notizie contro la criminalità. In questo contesto,
merita attenzione l'esperienza del cosiddetto fondo antiracket
e l'ipotesi di estensione dello strumento ad altri settori
quale, per esempio, quello dell'usura. Va invece rivista la
segnalazione di operazioni bancarie di sospetto riciclaggio,
in quanto non si è in grado, nell'attuale stato normativo, di
garantire l'anonimato dell'autore della segnalazione. Questi
che ho ricordato sono i punti fondamentali della strategia.
   Quanto agli strumenti investigativo-processuali, un punto
fondamentale è rappresentato dalla protezione da assicurarsi a
coloro i quali, recedendo dal vincolo associativo, abbiano
optato per la collaborazione processuale: protezione,
tuttavia, che va assicurata solo dopo un attento vaglio
critico del collaboratore, anche per impedire inquinamenti o
gestioni interessate. Speculare a ciò è il mantenimento del
regime carcerario speciale per gli appartenenti irriducibili
alle organizzazioni criminali: ne consegue la conferma della
previsione dell'articolo 41-bis della legge n. 354 del
1975. Proprio per assicurare l'isolamento di tali detenuti,
oggi certo ed assoluto solo nelle isole di Pianosa e
dell'Asinara, occorre studiare la possibilità, sia a livello
normativo sia a livello concreto, di far svolgere talune
udienze presso il luogo di detenzione ovvero di sostituire la
traduzione dei detenuti con idonei collegamenti a distanza.
   Per quanto riguarda lo strumento processuale, i fatti di
criminalità organizzata presentano tali e tante peculiarità da
non poter essere assimilati ai fatti criminosi ordinari e,
pertanto, abbisognano di una disciplina propria, di un
cosiddetto doppio regime processuale. Occorre quindi valutare
anche la possibilità della costituzione del cosiddetto
tribunale distrettuale antimafia, che dovrà costituire oggetto
di esame dopo che il Consiglio superiore della magistratura
sarà addivenuto alle sue conclusioni.
   Sotto il profilo degli strumenti processuali e
dell'aggressione di patrimoni, occorre una elaborazione di
nuove e compiute linee di intervento, anche nell'ambito della
cooperazione internazionale, volte all'aggressione dei
patrimoni mafiosi. In tal senso, appare positiva la nuova
possibilità di sequestrare durante il processo, e di
confiscare in caso di condanna, interi patrimoni quando questi
risultino sproporzionati al reddito dichiarato ed all'attività
svolta dall'imputato. Anche su questo fronte, è tuttavia
indispensabile una nuova sensibilità delle associazioni degli
industriali, dei commercianti e dei sindacati dei
lavoratori.
   L'ultimo punto al quale intendo fare riferimento riguarda
l'ambito sovranazionale del crimine organizzato. La crescente
unificazione ed interdipendenza delle economie crea anche i
presupposti per un diffuso scambio tra le organizzazioni
criminali, che nella dimensione internazionale vedono, tra
l'altro, un mezzo più sicuro e proficuo di reimpiego dei
proventi illeciti. Ciò comporta la possibilità di un
innalzamento del rischio mafia, con uno smisurato aumento del
potere armato ed economico delle organizzazioni criminali.
Ecco perché sono da sottolineare gli sforzi del ministro
dell'interno tesi a sviluppare forme di collaborazione
bilaterali e plurilaterali (in questo senso egli riceve il
continuo incentivo da parte del Presidente del Consiglio) e
del ministro di grazia e giustizia, tesi ad agevolare,
attraverso modifiche normative del codice di procedura penale,
i rapporti tra le autorità giudiziarie. Sotto questo profilo
mi auguro che preziosi
Pagina 577
contributi possano emergere dalla conferenza mondiale di
Napoli.
   Ho ritenuto di dover riassumere i punti fondamentali della
strategia anticrimine che il Governo intende seguire, dal
momento che molti dei commissari oggi presenti non lo erano
quando ho svolto la relazione.
  LUIGI ROSSI. Cosa può dirci a proposito delle voci
sull'amnistia e sulla chiusura del pool...?
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Le rispondo subito...
  RAFFAELE BERTONI. Alla conferenza di Napoli, che assume
un'importanza notevolissima perché Napoli è la città della
camorra, potrà essere invitata, in quanto tale, la Commissione
antimafia?
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Le spiego, senatore. Abbiamo registrato
un'adesione superiore alle aspettative. Intanto, le rispondo
subito di sì per quanto riguarda l'interesse che i singoli
membri della Commissione possono manifestare. Mi sembra sia
auspicabile...
  RAFFAELE BERTONI. Non lo dico per me, che alla
conferenza parteciperei lo stesso perché sono invitato da
Bassolino. E' possibile che la Commissione antimafia, la
massima espressione della lotta alla camorra e alla mafia in
Italia, non possa dire la sua ai rappresentati di 180 paesi
che si riuniscono a Napoli? Siamo solo cinquanta!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Lei comprende che se tutti i paesi avessero
avanzato questa stessa richiesta, avremmo cinquanta membri per
centoquaranta paesi e chissà quanti saremmo! Vedrò oggi
pomeriggio a che punto siamo con l'organizzazione e poi
riferirò al presidente all'inizio della settimana prossima.
  PRESIDENTE. All'organizzazione presiedono il dottor Di
Maggio e la dottoressa Ferraro (Commenti del senatore
Bertoni).
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Rispondo alla domanda dell'onorevole Rossi...
  ANTONIO BARGONE. Presidente, non è chiaro se saremo
invitati alla conferenza!
  PRESIDENTE. All'organizzazione della conferenza sono
preposti, ripeto, il dottor Di Maggio e la dottoressa Ferraro,
non il Presidente del Consiglio. Mi informerò presso gli
organizzatori.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Non continuiamo a discutere su questo punto! Se è
possibile, se vi sono posti disponibili, benissimo!
(Commenti del senatore Bertoni).
  RAFFAELE BERTONI. Ritengo che sarebbe particolarmente
significativo un invito rivolto alla Commissione antimafia in
quanto tale. Poi è evidente che parteciperà solo chi vorrà
farlo.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Tutte le risposte delle quali ho dato lettura
riguardano le domande che mi erano state rivolte nelle due
precedenti occasioni. Alle domande di oggi, come ho già
precisato all'inizio della seduta, fornirò una risposta
scritta, che credo rappresenti un metodo più conveniente anche
perché mi consentirà di lasciare nel cassetto la mia vis
polemica che in certi casi emergerebbe.
   Quanto alla domanda dell'onorevole Rossi concernente il
pool Mani pulite, riprendendo anche il riferimento alla
rubrica Conversazioni al caminetto, debbo dire che ho
fornito una risposta proprio nella trasmissione di questa
settimana. Ho ricordato come fosse stato un intervento del
procuratore Borrelli a parlare di amnistia e che io non ne
avessi mai parlato...
Pagina 578
  LUIGI ROSSI. Ho sentito, ed è per questo che mi sono
permesso di chiedere a lei, giacché ho avuto il piacere di
vederla presente a questa riunione, se le questioni affrontate
in quella rubrica radiofonica avessero la possibilità di
essere ulteriormente illustrate da lei in questa sede.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Però, vede, c'è abbastanza poco da illustrare.
Cosa ho detto al riguardo in quella occasione? Ho detto che,
per quanto riguarda il fenomeno della corruzione, occorre
apprestare una legge (credo che esistano anche iniziative
parlamentari al riguardo) che intensifichi le pene e che possa
portare, di qui in avanti, un freno ad un'attività che spero
sia stata grande nel passato. Ritengo che oggi vi sia stato un
notevole ricambio della classe dirigente e che si sia avuta
una grande lezione; credo che ancora si debbano effettuare
molte scoperte a tale riguardo e che un'attività generale di
insegnamento sia stata recepita da tutti coloro che si
interessano della cosa pubblica; sono del parere che vi sia da
aspettarsi anche una diversa risposta da parte degli
imprenditori.
   Questo, per quanto riguarda il futuro. Per il passato, ho
continuato a sottolineare l'esigenza che le indagini
continuino in tutte le direzioni e che si svolgano i processi.
In ordine all'amnistia ho detto che io non ne avevo mai
evocata la possibilità; se in futuro le situazioni
cambieranno, se i processi si faranno, se le pene definitive
saranno comminate, in quel caso si potrà anche pensare a degli
interventi, che mi sembra però debbano oggi essere lasciati
fuori dall'attualità. Ne parleremo, ne parleranno altri, se la
situazione sarà mutata radicalmente.
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, scusate, noi parliamo di
antimafia e non delle amnistie, che non c'entrano nulla!
  ALESSANDRA BONSANTI. Presidente, abbiamo ancora tempo per
brevi repliche.
  PRESIDENTE. Veramente questo non è vero. Le consento di
porre la domanda, però non ci sono repliche; dopo la risposta,
è previsto che non vi siano repliche (Proteste del deputato
Bonsanti). Il Presidente del Consiglio ha esaurito il suo
tempo: è mezzogiorno e mezza e deve andare! Mi dispiace ma
abbiamo esaurito il tempo previsto per l'audizione del
Presidente del Consiglio dei ministri.
   La seduta termina alle 12,25.
Pagina 579
                         ALLEGATO
Pagina 580
Pagina 581
   Domanda scritta fatta pervenire dal senatore Francesca
Scopelliti:
  Non si può parlare di lotta alla mafia senza porre la
questione delle sue fonti di guadagno fra le quali la
principale è il commercio delle droghe illegali.
   Nella sua relazione, il Presidente del Consiglio ha posto
l'accento sull'impegno di tutti per evitare che l'attività
criminale produca risorse importanti. Non solo. Il traffico di
droga esalta il ruolo della mafia e dei soggetti criminali
come fornitori di beni di largo  consumo; rende necessaria -
anzi obbligatoria - un'organizzazione perfetta con conseguente
proliferare di adepti; provoca l'aumento della
microcriminalità, causa di costi sociali altissimi: dalla non
sicurezza dei cittadini all'affollamento delle  carceri.
   Per questo, quando si pone la questione "antimafia" la
risposta dei radicali -  riformatori è
"antiproibizionismo".
   La questione della legalizzazione non è posta in termini
ideologici, ma assolutamente pratici: regolamentare per legge
ogni fase del fenomeno, dalla produzione al consumo, è la via
necessaria per scoraggiare il consumo di sostanze il  cui uso
e abuso è in costante crescita proprio in virtù del regime di
liberalizzazione  criminale che deriva dal proibizionismo.
Questo è dunque l'obiettivo:  stroncare la liberalizzazione
criminale del mercato della droga e di conseguenza  impedire
l'accumulazione di quei capitali illegali che - una volta
prodotti - nessuna  legge antiriciclaggio - ha potuto, può e
mai potrà bloccare se non in misura  microscopica e
irrilevante.
   Quando una strategia è in crisi le strade che,
pragmaticamente, ci si aprono  davanti sono due: o correggere
questa strategia o mutarla. E' questo atto di  responsabilità
che chiediamo: di aprire dunque una discussione - interna al
Paese e internazionale - sulle strategie di lotta alla droga e
a una criminalità  organizzata di cui il traffico di droga è
la parte finanziariamente e strutturalmente  più importante e
perversamente dinamica.
   Dato che conosciamo la sensibilità del Presidente del
Consiglio su questo problema, e l'impegno che  ha assunto con
i riformatori al momento dell'accordo di maggioranza, ci  si
attende atti concreti - la cui urgenza è sotto gli occhi di
tutti - da parte del  Governo.
   Domanda scritta fatta pervenire dal deputto Giacomo
Garra:
  E' doveroso per la Commissione antimafia soffermarsi per
qualche istante sulla attuale situazione dell'Assemblea
regionale siciliana, l'Assemblea in larga misura formata da
inquisiti. Volendo impiegare adoperare toni polemici sarebbe
di dire che alcuni partiti della prima Repubblica avevano
collegamenti con la mafia.
   E' più probabile invece che fosse la cupola mafiosa a
scegliere tra i candidati inclusi nelle liste dei vari partiti
e per le diverse province i "personaggi" (lo dico tra
virgolette) da appoggiare in ogni singola circoscrizione e
nell'ambito delle circoscrizioni quali candidati da appoggiare
località per località.
   La prima domanda: il Governo è a conoscenza che l'ARS,
nella seduta d'aula del 18 ottobre 1994, ha respinto la
proposta di legge-voto, diretta a rendere possibile un
anticipato scioglimento di detta
Pagina 582
Assemblea, accadimento mai registrato in 48 anni di vita
repubblicana?
   A respingere la proposta di legge-voto sono stati 55
deputati, mentre per l'accoglimento hanno votato (e forse non
tutti) i deputati della destra e della sinistra.
   Ritiene indifferibile una rigenerazione della classe
politica che dal dopoguerra ha avuto nella regione siciliana
tutte le leve del potere, rigenerazione che costituisce una
precondizione per un efficace contrasto alla mafia.
   Ricorda che avanti alla Commissione affari costituzionali
sono all'esame alcune proposte di legge costituzionali volte
ad apportare allo statuto siciliano alcune essenziali
modifiche, anche al fine di rendere possibile che gli elettori
siciliani votino presto per il rinnovo dell'ARS.
   Durante tutti i lavori della Commissione affari
costituzionali della Camera, iniziati sull'argomento il 28
settembre e proseguiti il 25 ottobre, il Governo purtroppo è
stato assente.
   La seconda domanda: ciò è da attribuirsi a scarsa
attenzione del Governo sull'argomento o a mancato
coordinamento tra la Presidenza della Commissione e palazzo
Chigi?
Pagina 583

 


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