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Violante: seduta 13
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                         Pag. 441
AUDIZIONE DEL DOTTOR GIOVANNI TINEBRA,
      PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI CALTANISSETTA
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Audizione del dottor Giovanni Tinebra,
procuratore della Repubblica di Caltanissetta:
Violante Luciano, Presidente ....... 443, 444, 445, 448, 449
                 450, 451, 452, 456, 457, 463, 464, 465, 466
Bargone Antonio ........................................ 458
Biondi Alfredo .......................... 445, 448, 456, 457
Borghezio Mario ........................................ 465
Boso Enzo ......................................... 448, 451
Butini Ivo ............................................. 461
Buttitta Antonino ...................................... 462
Calvi Maurizio ......................................... 465
D'Amelio Saverio ....................................... 463
Folena Pietro ..................................... 455, 456
Frasca Salvatore .................................. 463, 464
Galasso Alfredo ................................... 460, 464
Giordano Francesco Paolo, Sostituto
procuratore della procura distrettuale antimafia
di Caltanissetta .................................. 449, 450
                         Pag. 442
Imposimato Ferdinando ........................ 452, 454, 463
Matteoli Altero .............................. 448, 454, 464
Petralia Carmelo, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di
Caltanissetta ..................................... 451, 453
Polino Francesco, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di
Caltanissetta ..................................... 450, 451
Ricciuti Romeo ......................................... 454
Riggio Vito ............................................ 459
Scalia Massimo ......................................... 464
Scotti Vincenzo ........................................ 458
Sorice Vincenzo ........................................ 452
Taradash Marco .................................... 447, 453
Tinebra Giovanni, Procuratore della
Repubblica di Caltanissetta .................. 443, 444, 445
                                     447, 448, 449, 452, 466
Tripodi Girolamo ....................................... 459
Zuffa Grazia ........................................... 462
                         Pag. 443
La seduta comincia alle 15,30.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta
precedente).
Audizione del dottor Giovanni Tinebra, procuratore della
Repubblica di Caltanissetta.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
dottor Giovanni Tinebra, procuratore della Repubblica di
Caltanissetta.
   Oltre al procuratore sono presenti alcuni sostituti che
fanno parte della procura distrettuale.
   Do subito la parola al procuratore che ha ben presenti le
esigenze della Commissione: oltre alle informazioni di
carattere generale, gradiremmo avere notizie sull'operazione
portata a termine di recente.
   La seduta è pubblica ma, se i magistrati presenti
ritengono che per taluni aspetti delle loro dichiarazioni sia
necessaria la seduta segreta, possono farne richiesta.
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Desidero preliminarmente porgere le mie
scuse alla Commissione per il ritardo con cui sono arrivato,
ma abbiamo dovuto condurre in porto un'operazione di una certa
importanza. Per la stessa ragione ho chiesto al presidente di
rinviare ad oggi l'audizione prevista per venerdì scorso.
   Non so se la Commissione desideri avere un quadro
dell'attuale situazione delle strutture della procura oppure
se preferisca passare direttamente alla esposizione dei
recenti fatti.
  PRESIDENTE. Abbiamo già avuto una nota esauriente sulla
situazione generale, per cui potremmo passare direttamente ai
fatti.
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. L'argomento per il quale siamo stati
convocati è strettamente connesso all'operazione che di
recente abbiamo portato a termine, operazione che mette in
luce in modo particolare la direzione distrettuale antimafia
di Caltanissetta. Siamo abituati ad un certo tipo di
operazioni (l'avvio fu dato da Giovanni Falcone) però, per un
certo periodo, è sembrato che Cosa nostra, dal punto di vista
della presenza nel territorio (che permea con la sua influenza
nefasta diversi strati del vivere sociale) fosse non dico una
prerogativa di certe zone ma prevalentemente radicata in
alcune zone della Sicilia. In altre, come il centro e quindi
le province di Caltanissetta ed Enna, si avvertiva qualcosa,
ma a livello processuale non si riusciva a fare molto perché
mancava l'ausilio, ormai indispensabile, dei pentiti, che
hanno dato un nuovo corso alla nostra ricerca affannosa della
verità e rappresentano un'insostituibile fonte di indicazione
di temi di indagine. Ci siamo avvalsi e ci avvaliamo dei
pentiti per focalizzare i temi d'indagine, per cercare di
capire quale sia la chiave di lettura di certi fatti
apparentemente slegati ed infine per tradurre tutto ciò in
realtà processuali, ove e quando riusciamo a trovare il
riscontro.
   Fino a ieri, le province di Caltanissetta ed Enna non
sembravano destare molto
                         Pag. 444
interesse dal punto di vista della presenza del fenomeno
mafioso. Ad un certo punto, però, è "venuto fuori" un pentito
che ci ha fornito un esauriente spaccato dell'organizzazione
di Cosa nostra prevalentemente a Caltanissetta ed Enna e delle
sue ramificazioni in tutta la Sicilia, fuori di essa e fuori
dall'Italia. Abbiamo considerato questo personaggio un pentito
"doc" perché proviene da una famiglia mafiosa per tradizione;
inoltre, è stato sempre vicino ai capi, essendo anche lui un
capo e, si è pentito per motivazioni ideologiche (lo dico con
un sorriso, perché parlare di ideologie in certi casi fa un
po' sorridere). Intendo dire che si tratta di un pentito che
non riconosce più, nella consorteria criminale della quale si
trova a far parte, la Cosa nostra di un tempo, quella fatta in
un certo modo, che seguiva certe regole e salvaguardava vita,
salute e patrimonio dei suoi adepti contro gli attacchi
esterni; quella che aveva nell'illegalità tutta una serie di
regole, scritte e non, che venivano pedissequamente
rispettate. Lui non si riconosce nell'attuale Cosa nostra, non
si riconosce più nella sequela di omicidi, a volte anche
inutili, dai quali si vede contornato; inoltre, è gravemente
scioccato dall'uccisione di un suo amico intimo; si sente
pesantemente minacciato nella sua libertà e cerca scuse per
non far parte di un commando di killer; fortunatamente per
noi, è stato arrestato per altri fatti e durante la sua
detenzione, dopo avere visto in televisione la tragedia della
strage di Capaci ed aver ascoltato l'implorazione della vedova
Schifano, ha deciso di "saltare il fosso" e di confessare.
  PRESIDENTE. Di recente?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Sì. Questa è la più recente acquisizione in
tema di pentiti di mafia: disponiamo ora di una persona che ci
parla di Cosa nostra fino all'aprile di quest'anno e perciò va
tenuta grandemente non in considerazione ma sotto osservazione
perché, a differenza della maggior parte dei pentiti che ci
siamo trovati a compulsare, a sentire o a leggere - pentiti
che ci parlano di Cosa nostra con riferimento a fatti di anni
addietro o da un punto di osservazione che si trova
all'interno di un carcere - è stato attivo in ogni senso come
capo di Cosa nostra fino all'aprile di quest'anno.
  PRESIDENTE. Sta parlando del secondo?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. No, del primo. Il secondo lo abbiamo trovato
per strada - nel vero senso della parola - nel corso di
un'altra azione (quando ci si muove, si trovano le cose). La
storia probabilmente può interessarvi ma non vorrei andare
fuori tema: si stavano cercando delle armi, che si sapeva dove
fossero, che dovevano servire alla famiglia criminale di un
paesino dell'ennese per effettuare una vendetta. Si è, quindi,
trovato l'arsenale e si sono trovati anche alcuni personaggi
uno dei quali, quasi subito, è crollato e si è pentito.
Attualmente sta collaborando; non è della stessa portata del
primo però ci sta dando una grossissima mano nella
ricostruzione della struttura di Cosa nostra dell'ennese.
   Queste sono le basi sulle quali abbiamo iniziato
l'indagine sui fatti di Cosa nostra nel territorio della
direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.
   Leonardo Messina è stato ricchissimo di particolari. Spero
di non doverlo fare spesso, ma dovrò trattenermi nel dare le
risposte alle vostre domande perché i fatti che ci ha
raccontato sono ancora oggetto di indagini da sviluppare, per
cui non potrò essere molto preciso. Comunque, spero di potervi
offrire un quadro d'insieme sufficientemente ben delineato.
   Egli ci ha spiegato come si muove Cosa nostra e che cosa è
diventata oggi; ci ha parlato delle novità strutturali
rispetto alla realtà di ieri. Parte delle cose che ci ha detto
si conoscono già perché sono apparse sulla stampa (le solite
"indiscrezioni" che tanto ci tormentano e che molte volte
"bruciano" determinati
                         Pag. 445
esiti delle indagini). Cosa nostra oggi è governata dai
corleonesi, chiamati così non perché facciano parte della
famiglia di Corleone, ma perché da essa proviene la ventata di
egemonizzazione di Cosa nostra. Essi hanno sovvertito le
regole tradizionali che riguardano soprattutto la competenza
per territorio. Ogni insediamento di Cosa nostra coincide con
la cellula-base che è la famiglia e può comprendere uno o più
paesi; all'interno della famiglia vi è il capofamiglia, il
rappresentante alla commissione provinciale, un vicecapo, un
consigliere e dei capidecina, vale a dire i capi delle varie
squadre di soldati (gli uomini d'onore). Più famiglie fanno
parte di un mandamento, che non coincide con la provincia
amministrativa ma è, di solito, un raggruppamento di comuni;
più mandamenti nell'alveo della stessa provincia compongono la
commissione provinciale; ogni commissione provinciale ha un
rappresentante alla commissione regionale, quella che
volgarmente viene chiamata "cupola" (se ad un mafioso parlate
di "cupola", si arrabbia perché per loro esiste la
"commissione regionale").
  PRESIDENTE. O interprovinciale.
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. No, regionale. La commissione regionale è
l'organo di coordinamento al vertice in Sicilia e serve per
coordinare le attività delle famiglie nelle varie province,
per prendere accordi per i principali affari condotti da più
famiglie di più province o di più mandamenti, per assumere le
decisioni più importanti.
   Leonardo Messina ci ha anche detto - non abbiamo motivo di
non credergli anche perché abbiamo avuto talune piccole
risultanze in positivo sui fatti dei quali sto per parlarvi -
che vi è una commissione nazionale; questa non è di Cosa
nostra ma è una sorta di stanza di compensazione nella quale i
rappresentanti delle consorterie criminali operanti nel nostro
povero paese si incontrano per discutere affari in comune. Il
riscontro che abbiamo trovato a proposito dell'esistenza della
commissione nazionale consiste nel fatto che vi sono dei
legami piuttosto concreti e forti tra 'ndrangheta calabrese e
Cosa nostra siciliana. Si dice addirittura che possono esservi
uomini d'onore siciliani affiliati alla 'ndrangheta: in altre
parole, la stessa persona può avere due cariche diverse nelle
due consorterie.
  PRESIDENTE. Una "doppia tessera"?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Praticamente, una doppia tessera.
  ALFREDO BIONDI. Possono scambiarsi il ruolo anche dal
punto di vista operativo?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Certamente, e fanno "affari". Ciò significa
commerciare in droga, estorcere denaro, uccidere persone,
condizionare appalti.
  ALFREDO BIONDI. Possono servirsi degli uomini anche per
le operazioni?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Per esempio, Leonardo Messina ci ha detto -
questo è un elemento che vi posso anticipare e che ha trovato
un minimo di riscontro - che i killer preferibilmente
usati all'interno della provincia di Caltanissetta provengono
o da un paesino dell'interno oppure dal siracusano. Loro fanno
molti affari con la 'ndrangheta calabrese.
  PRESIDENTE. Quelli di Caltanissetta?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Sì, quelli di Caltanissetta.
   Tornando al discorso dell'organizzazione, vi è anche una
cosiddetta commissione mondiale, che dovrebbe rappresentare
una stanza di compensazione tra le varie internazionali o
multinazionali del
                         Pag. 446
crimine. Totò Riina ne farebbe parte a pieno titolo ed anche
il famoso Piddo Madonia dovrebbe farne parte con pieno
diritto. Queste sono, però, notizie che vi do senza assumere
alcun tipo di paternità in merito alla loro sicurezza: per
quanto riguarda la commissione nazionale abbiamo trovato
qualche riscontro, ma per il resto dobbiamo per ora
accontentarci di quanto ci viene riferito e prenderlo come
tema di indagine, niente di più.
   Tornando a Leonardo Messina, questi ci ha illustrato
l'attività di Cosa nostra nella provincia di Caltanissetta,
che fondamentalmente si articola in tre filoni principali.
   Il primo è ovviamente quello delle estorsioni: è uno sport
comunemente praticato da Cosa nostra, anzi, si comincia da lì
per poi salire di grado nell'organizzazione.
   Il secondo filone, un po' più specializzato e sofisticato,
riguarda il mondo degli appalti. A questo proposito, Leonardo
Messina afferma che, per un verso o per l'altro, non vi è
ditta che non paghi qualcosa a Cosa nostra. Anche in questo
caso, però, devo mettervi sull'avviso in merito
all'attendibilità di tali affermazioni: noi abbiamo soltanto
la prova che qualcosa c'è, ma non sappiamo ancora se abbia una
configurazione così totalizzante, ossia quali proporzioni
abbia nel sociale. Sicuramente il mondo degli appalti reca
vantaggi monetari a Cosa nostra. Messina ci ha parlato,
innanzitutto, di due livelli diversi. Il primo è quello dei
grandi appalti a livello regionale; secondo le sue
indicazioni, l'ambasciatore di Cosa nostra in quel mondo
sarebbe proprio il Siino, a carico del quale è in corso un
processo a Palermo, nel quale credo che Leonardo Messina debba
essere chiamato a testimoniare. Per quanto concerne, invece,
il mondo di Caltanissetta, che è poi quello che riguarda più
da vicino la mia procura, afferma che era lui l'uomo di
fiducia di Cosa nostra che doveva pilotare gli appalti. Che
significa pilotare gli appalti? Messina ci ha riferito che
esistono delle imprese (i cui titolari non devono essere
necessariamente uomini d'onore, possono essere anche
fiancheggiatori) inserite nell'organigramma di Cosa nostra dal
momento che hanno una determinata utilità. Esse ricevono
appalti mercé l'interessamento di Cosa nostra e, secondo un
piano che Cosa nostra predispone, in compenso forniscono
servizi: offrono posti di lavoro o il mantenimento alle
famiglie degli uomini d'onore quando sono detenuti, oppure
somme di denaro e via di seguito. Vi sono, invece, altre ditte
le quali non sono organicamente inserite nell'ambito di Cosa
nostra, ma usufruiscono del suo aiuto per ottenere vantaggi:
nel caso in questione, vi è una contrattazione del tipo "ti
faccio avere l'appalto e tu mi dai la tangente". Esistono,
infine, altre imprese le quali non fanno parte
dell'organigramma di Cosa nostra, non sono con questa in
rapporti d'affari, ma debbono pagare per non subire
danneggiamenti degli impianti o addirittura omicidi. Inoltre,
Leonardo Messina ha affermato che vi sono ditte che non hanno
bisogno di Cosa nostra per ottenere finanziamenti o appalti,
ma pagano lo stesso perché, nel momento in cui vanno in un
paese della Sicilia - qualunque esso sia - e aprono un
cantiere, esse debbono mettersi d'accordo con i rappresentanti
locali di Cosa nostra, altrimenti non possono lavorare. E'
questo il mondo degli appalti quale ce lo ha delineato
Leonardo Messina. Devo dire che è un mondo abbastanza
sconcertante di cui, per certi versi, si intuiva, si
sospettava la presenza ed in merito al quale le indagini sono
ancora in corso, per cui non posso essere più preciso; posso
soltanto ripetere che il fenomeno, così come ci è stato
descritto, sicuramente esiste ed è ben radicato, ma non siamo
assolutamente in grado di dire, allo stato, quali siano le sue
proporzioni.
   Vorrei fare una pausa nella mia esposizione per comunicare
alla Commissione che mi sono fatto accompagnare dai tre
colleghi Carmelo Petralia, Francesco Paolo Giordano e
Francesco Polino che fanno parte della direzione distrettuale
antimafia. Questa è composta anche da altri tre magistrati ed
io amo chiamarla "la legione straniera", perché, come
                         Pag. 447
sapete, soltanto un magistrato, allo stato, fa parte
dell'organico della procura, gli altri sono tutti colleghi
che, dietro loro richiesta, sono venuti a darci il contributo
della loro professionalità; debbo dirvi francamente che, senza
di loro, non avremmo potuto fare assolutamente nulla. Si
tratta di un gruppo validissimo ed estremamente affiatato,
lavoriamo d'amore e d'accordo, con totale interscambio di
notizie, parità di ruoli ed unanimità di intenti.
   Stavo dicendo al presidente che abbiamo predisposto una
piccola relazione che vorrei consegnare alla Commissione,
nella quale abbiamo cercato di essere più chiari possibile,
compatibilmente con le nostre esigenze di riservatezza.
   Passando a parlare del rapporto tra mafia e politica...
  MARCO TARADASH. Mi scusi, ha parlato di estorsioni e
appalti: la droga non c'è?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. La droga, ormai, si dà per scontata, è
fisiologica, non è neanche il caso di parlarne. Vi è stato un
grande salto di qualità nell'ambito di Cosa nostra, grazie
proprio all'avvento dei corleonesi (di questo non vi ho
parlato - forse è il caso che mi ci soffermi un attimo - ma
purtroppo le cose da dire sono tante). Prima la droga non era
ammessa, ma tollerata, nel senso che le famiglie ufficialmente
non la trattavano, però gli uomini d'onore potevano
tranquillamente commerciare in droga come, dove e quando
volevano. Ormai, anche questa mistificante parvenza di
perbenismo è stata abbandonata: trafficano abbondantemente in
droga in tutto il mondo e pare (almeno stando a quanto dice
Messina, ed abbiamo anche dei riscontri) che proprio la
famiglia di San Cataldo fosse una delle più intraprendenti,
essendo stata tra le prime in Sicilia ad imbastire un traffico
su scala internazionale.
   Mi accorgo che forse ho lasciato incompleto il discorso
relativo all'organigramma di Cosa nostra. La struttura
tradizionale è quella che ho delineato, ma qualcosa è accaduto
in questi anni con l'avvento dei corleonesi. Questi hanno
tentato, riuscendovi, di imporre il loro predominio in quella
che era una specie di unione federativa, nel senso che nelle
varie commissioni i rappresentanti delle famiglie e dei
mandamenti, eletti dalla base, contribuivano alla formazione
delle decisioni. Con l'avvento dei corleonesi tutto ciò è
stato spazzato via, perché la volontà di Totò Riina o la si
accetta con le buone, oppure con le cattive. Tra l'altro
Riina, proprio per inserirsi nel tessuto delle famiglie, già
da molto tempo usa affiliare alla sua famiglia appartenenti a
famiglie diverse, con il vincolo del segreto, in modo da poter
essere sempre al corrente di ciò che accade dovunque, senza
che gli altri siano consapevoli di tale sua conoscenza. Non
solo, ma ha introdotto anche la figura del cosiddetto
"ambasciatore", ossia una specie di suo rappresentante
plenipotenziario con l'incarico ufficiale di recarsi a
trattare direttamente gli affari, le missioni, le uccisioni da
effettuare, senza prima avere, come era invece prescritto
dalle regole della mafia, l'assenso del capo della famiglia
locale. Non si può, cioè, commettere un omicidio a
Caltanissetta se il capofamiglia di quella città non ne è
preventivamente informato e non dà il suo consenso: gli
ambasciatori di cui ho parlato, invece, sono assolutamente
sciolti da questo vincolo di informazione e di attesa di un
permesso. Tutto ciò ha portato ad un certo sgretolamento della
coesione, perché all'interno di Cosa nostra vi sono due anime,
quella tradizionale e questa - chiamiamola così - moderna.
Tale processo di sgretolamento è stato accentuato (e proprio
in questo speriamo per portare avanti il nostro lavoro, lo
dico molto chiaramente) da due fattori, diversi ma
convergenti. Il primo è rappresentato dal fatto che proprio il
commercio della droga, che è l'affare più importante di ogni
tempo, per essere portato avanti ha bisogno di manovalanza
che, a causa del notevole numero di persone necessario, si
                         Pag. 448
è costretti a cercare anche al di fuori delle famiglie. Ciò
ha portato alcune conseguenze. La maggiore forza delle
famiglie di Cosa nostra era rappresentata dal fatto che la
famiglia di sangue coincideva con la famiglia mafiosa, quindi
il legame mafioso è anche un fortissimo legame di sangue, che
non si può tradire. Invece, con l'introduzione nelle famiglie
mafiose anche di elementi esterni alla famiglia di sangue, il
vincolo è diventato molto più debole. Accanto a questo fattore
di disgregazione vi è il fenomeno delle cosiddette "stidde".
Queste sono aggregazioni criminali di base, quasi spontanee,
catalizzate dagli uomini d'onore messi da parte o usciti dalle
famiglie, quelli che non si riconoscono più in Cosa nostra o
che questa allontana per qualche torto. Questi costituiscono
le stidde, raccolgono attorno a sé giovani criminali, li fanno
crescere e maturare e gestiscono anche loro attività
criminali. I rapporti tra le stidde e Cosa nostra sono quasi
sempre conflittuali; possono anche collaborare per la gestione
di affari in comune, ma di solito si trovano in conflitto. La
situazione di Gela è proprio un esempio tipico della guerra
tra le stidde e le famiglie di Cosa nostra. Tra l'altro le
stidde, da un po' di tempo a questa parte, comprendendo di non
avere scampo, da sole, contro un monolite come Cosa nostra,
hanno cominciato a confederarsi, in modo da contrapporre forza
a forza. E' questo, quindi, il quadro di fondo, nel quale i
pentiti rappresentano per noi un supporto eccezionale; noi
andiamo avanti con le nostre azioni tentando, chiaramente, di
far luce e di trovare altra gente che, messa alle strette, con
le prospettive che ho indicato, si possa pentire aiutandoci
nel nostro lavoro. Ovviamente, lo ripeto, noi lavoriamo
soltanto su quanto riusciamo a riscontrare, anche perché la
gestione di un pentito porta con sé sempre grosse sacche di
pericolo che si possano incolpare degli innocenti, innescare
vendette e così via. Il tema è stato talmente sviscerato che
non credo sia il caso di parlarne ancora a persone esperte
come voi.
   Riallacciandomi al discorso che stavo facendo, torno ai
rapporti tra mafia e politica. Ho letto sui giornali che
questa Commissione ha ascoltato Buscetta e credo che egli vi
abbia detto una grande verità: non c'è terzo livello, nel
senso che non esistono uno o più politici al di sopra della
mafia; è quest'ultima che manovra alcuni politici. Comprendere
questo aspetto ci dà anche l'idea della potenza di tale
organizzazione. La mafia decide: questo picciotto è un uomo
d'onore, è laureato, ha cultura, si presenta bene, ne facciamo
un politico, i voti li abbiamo e possiamo portarlo
nell'amministrazione locale, in quella regionale o in
Parlamento.
  PRESIDENTE. Anche in Parlamento?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Anche in Parlamento.
  ENZO BOSO. Perché è rimasto così allibito, signor
presidente?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Non credo che il presidente sia allibito.
  ALTERO MATTEOLI. Mi scusi, ma possono inserirsi anche
nella magistratura?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Il magistrato è un uomo, non credo sia un
marziano. Ovviamente, lo stesso discorso va fatto per tutte le
sfere delle istituzioni, fermo restando che per entrare in
magistratura vi è un esame che, in certo qual modo, dovrebbe
...
  ALFREDO BIONDI. Dovrebbero essere picciotti troppo
bravi, per entrare in magistratura.
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Il problema,
                         Pag. 449
onorevole Biondi, è che purtroppo molti picciotti sono troppo
bravi, spesso più bravi di noi.
   La seconda ipotesi è quella di un uomo politico non
mafioso che chiede aiuto a Cosa nostra per la sua campagna
elettorale. Qui è molto difficile operare il discrimine tra
ciò che è lecito (è il caso di colui che chiede voti e basta)
e ciò che è illecito (colui che in campagna elettorale chiede
i voti dietro compenso).
  PRESIDENTE. Sono due cose diverse.
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Sono due cose completamente diverse.
   La terza ipotesi, infine, è quella dell'uomo politico il
quale, pur non facendo parte di Cosa nostra, è talmente vicino
ad essa che ne riceve un aiuto concreto (il guardaspalle,
l'autista, la garanzia di tranquillità nel corso della
campagna elettorale e via dicendo). In sostanza si crea un
rapporto di dare-avere: "Ti do i voti in cambio dell'appoggio
che fornirai quando servirà".
  PRESIDENTE. Avete avuto verifiche per così dire della
restituzione di favori dal politico al mafioso?
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Allo stato, no. Debbo dire, che per quanto
riguarda questa parte, siamo fermi, anche per motivi di
carattere tecnico che non posso esternare in questa sede
perché il segreto me lo vieta. Questo è l'organigramma che ci
è stato disegnato e ci è stato offerto anche con una certa
dovizia di particolari.
  PRESIDENTE. I magistrati che accompagnano il dottor
Tinebra hanno qualcosa da precisare o da aggiungere in
relazione alle specifiche indagini?
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Credo che
la relazione del procuratore Tinebra sia stata abbastanza
esauriente nella sua sinteticità. C'è da precisare, semmai, un
aspetto emerso attraverso una serie di indagini collegate, mi
riferisco al discorso degli appalti. Vi sono due settori nei
quali interviene l'organizzazione denominata Cosa nostra, sia
pure con modalità e finalità diverse. In un primo settore di
appalti di un certo rilievo, l'organizzazione di Cosa nostra
finisce addirittura per incidere profondamente anche nel
sistema dell'aggiudicazione, oltre che in quello delle
imposizioni delle forniture, dei subappalti e così via.
   In un secondo settore, viceversa, l'organizzazione di Cosa
nostra interviene nella fase esecutiva, laddove sono già
avvenute le gare e vi è stata l'aggiudicazione. Questa
organizzazione - dato ormai acquisito attraverso la
collaborazione di vari pentiti - esercita una sorta di
sovranità territoriale, ma questi due settori non solo non
confliggono tra loro ma interagiscono e sono integrativi l'uno
dell'altro. E' questo il dato più recente che abbiamo
acquisito, ma sul quale non posso essere più specifico dal
momento che vi sono indagini in corso.
  PRESIDENTE. Può chiarire meglio quest'ultimo aspetto
delle due connessioni, dottor Giordano?
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. I due
grandi settori, sostanzialmente, sono le facce di una stessa
medaglia.
  PRESIDENTE. Ma quali sarebbero i due grandi settori?
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Come ho
già detto, in un primo settore Cosa nostra interviene in
maniera totalizzante anche nella fase della scelta e
addirittura dell'aggiudicazione (su questo abbiamo dei
riscontri).
  PRESIDENTE. Anche quando si tratta di lavori nazionali?
                         Pag. 450
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. E' questo
l'aspetto importante sul quale non posso essere più preciso.
  PRESIDENTE. Ho capito.
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. C'è poi un
secondo settore in cui Cosa nostra interviene nel momento
dell'esecuzione dei lavori. Questo è il settore che lei ha
definito "nazionale".
  PRESIDENTE. Nella fase dell'esecuzione, quindi,
l'intervento di Cosa nostra può riguardare anche lavori
nazionali, purché si facciano in Sicilia.
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Esatto,
purché si facciano in Sicilia.
  PRESIDENTE. In Sicilia o in provincia di Caltanissetta?
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Abbiamo
delle acquisizioni per quanto riguarda in particolare la
provincia di Caltanissetta; si può presumere che questo
riguardi tutta la Sicilia.
  PRESIDENTE. L'altro aspetto riguarda invece soltanto i
lavori non nazionali?
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Regionali
o provinciali.
  PRESIDENTE. Regionali o provinciali di una certa
importanza, chiaramente?
  FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della
procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Certamente
di una certa importanza, non lavori di poco conto.
  FRANCESCO POLINO, Sostituto procuratore della procura
distrettuale antimafia di Caltanissetta. Vorrei
approfondire il problema relativo a Gela. Il procuratore
Tinebra ha già detto che Cosa nostra ha due anime: quella
tradizionale, per intenderci, e quella degli "stiddari" e
"stiddaruoli", come vengono chiamati gli appartenenti alle
cosche emergenti. Naturalmente anche a Gela si manifesta
questo fenomeno: da un lato la mafia tradizionale con Piddu
Madonia, dall'altro gli "stiddari", le cosche emergenti, gli
Iannì Cavallo. Ci sono stati periodi di contrasto acceso tra i
due gruppi; a tale proposito, ricordo la cosiddetta guerra di
mafia degli anni 1988-1989-1990, che ha provocato oltre 100
morti e il cui apice è stata la famosa strage del 27 novembre
1990. A quel punto, i due gruppi hanno capito che era meglio
arrivare ad un armistizio, ad una sorta di pax.
  PRESIDENTE. C'è stato infatti un crollo degli omicidi.
  FRANCESCO POLINO, Sostituto procuratore della procura
distrattuale antimafia di Caltanissetta. In effetti nel
1991 e nel 1992 vi sono stati soltanto quattro, cinque
omicidi. Abbiamo la prova di questo armistizio nel fenomeno
delle estorsioni che a Gela è totalizzante (credo che ne sia
soggetto l'80, 90 per cento dei commercianti). Nel maggio di
questo anno, nella contrada Scavone (il cosiddetto Bronx di
Gela) durante una perquisizione sono state trovate armi e
stupefacenti e, ancor più interessante, un libro mastro dove
un contabile delle cosche annotava in maniera certosina le
entrate e le uscite. Da questo libro risulta che esattori
appartenenti ad entrambe le cosche, con cadenza mensile, si
recavano presso l'esercizio commerciale e ritiravano il
cosiddetto pizzo. In questo libro mastro ci sono i nomi di
almeno 40 commercianti, poi identificati, di cui 20 hanno
collaborato affermando chiaramente
                         Pag. 451
che esponenti di entrambi i gruppi criminosi andavano a
compiere le estorsioni. Gli altri 20 commercianti che non
hanno collaborato sono stati denunciati per favoreggiamento.
Questa è la prova che nell'ultimo anno e mezzo è in atto una
sorta di armistizio.
  ENZO BOSO. L'estorsione è rappresentata da una quota
fissa?
  FRANCESCO POLINO, Sostituto procuratore della procura
distrettuale antimafia di Caltanissetta. Sì. Nel libro
mastro, infatti, vi sono pagine riferite ad ogni mese sempre
con una quota fissa. Ci sono poi le cosiddette entrate una
tantum, per esempio in occasione delle festività di Natale,
Pasqua o ferragosto. Nella pagina riferita alle uscite sono
poi annotati gli onorari per avvocati, il mantenimento di
detenuti e naturalmente il compenso per i singoli affiliati
che compiono determinate attività criminose.
   Negli ultimi mesi le cosche hanno indubbiamente sentito
sul collo "il fiato" della giustizia: nel mese scorso ci sono
stati 50 arresti per associazione mafiosa ed estorsione ed è
probabile - almeno noi lo interpretiamo così - che l'ultimo
omicidio del commerciante Giordano, abbia avuto un impatto
notevole. Con tale gesto, infatti, ignoti hanno voluto
intimidire tutti coloro che avevano collaborato ed anche quei
20 commercianti che non avevano voluto collaborare e che a
questo punto difficilmente collaboreranno.
  CARMELO PETRALIA, Sostituto procuratore della procura
distrettuale antimafia di Caltanissetta. Ritengo di non
dover aggiungere nulla di nuovo; credo soltanto di dover
sottolineare ancora una volta - mi riallaccio a quanto
affermato dal procuratore Tinebra - l'importanza del fenomeno
del pentitismo. Difficilmente, infatti, si sarebbe potuti
giungere a questa operazione (che, è inutile nasconderlo, ci
dà una soddisfazione notevole dal punto di vista professionale
e come cittadini) se non vi fosse stata la presenza di un
personaggio come Leonardo Messina, i cui tratti vi sono stati
già delineati dal procuratore Tinebra. Si è poi aggiunta la
presenza di un altro individuo - un accenno in questo senso è
stato fatto poc'anzi - il cui ruolo, nell'ambito processuale,
è stato di non scarsa importanza dal momento che per molti
versi ha contribuito a fornire un riscontro, che abbiamo
valorizzato con il criterio della doppia chiamata in correità,
ad alcune delle affermazioni accusatorie del Messina, quindi è
stato estremamente proficuo. Per altro verso, le dichiarazioni
di questo nuovo collaboratore sono tuttora in fase di sviluppo
ed elaborazione, nonché di acquisizione perché non ne è ancora
terminata la verbalizzazione.
   E' già in atto, dunque, e si protrarrà nelle prossime
settimane l'attività di ricerca dei riscontri sulle
dichiarazioni di questo giovane uomo d'onore della famiglia di
Enna a seguito delle quali riteniamo di poter continuare sulla
strada oggi intrapresa.
   Il succo di questo discorso è che tutta la normativa più
recente, anche quella ispirata da Giovanni Falcone, è
indirizzata nel senso di incentivare il fenomeno del
pentitismo e sta dando vistosamente i suoi frutti. Si tratta,
dunque, di una normativa che merita non soltanto di rimanere
tale ma, nei limiti del possibile (e mi rivolgo a dei
parlamentari) di essere approfondita e ampliata affinché - se
si verificheranno fenomeni di proselitismo, come ci auguriamo,
anche tra le persone oggetto di questi provvedimenti
restrittivi - possa esservi qualcuno che decida di "saltare il
fosso". Se ciò dovesse verificarsi - ripeto - sarà merito
anche di questa normativa.
  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi che
desiderano porre le domande, vorrei informare la Commissione
sulla prossima riunione. Poiché giovedì si terranno votazioni
importanti, sia alla Camera sia al Senato, proporrei di
rinviare l'audizione del pentito Spatola.
   Vorrei inoltre ricordare che venerdì prossimo saranno
ospiti del seminario che
                         Pag. 452
si terrà al Senato i capi della polizia spagnola, francese,
tedesca e italiana.
   Poiché la settimana prossima, come sapete, non vi saranno
sedute alla Camera, riterrei opportuno, se i colleghi sono
d'accordo, non convocare la Commissione, ma tenere una seduta
dell'ufficio di Presidenza, allargato ai capigruppo, giovedì
mattina alle 10.
  VINCENZO SORICE. Voglio limitarmi a richiamare soltanto
un aspetto della relazione, trattato in modo abbastanza ampio,
riguardante il rapporto tra politica e mafia.
   Si tratta di un argomento che interessa particolarmente i
giornalisti e l'opinione pubblica; credo che anche i
cosiddetti pentiti, per i quali questa legislazione
"premiale", che ci riporta indietro ai tempi delle brigate
rosse, costituisce un incentivo, sanno che su questa ricerca
si registra una certa morbosità da parte del pubblico.
   Signor procuratore, lei ha fatto tre dichiarazioni che mi
hanno lasciato alquanto perplesso: ha affermato che il
rapporto tra politica e mafia può essere di tre tipi; nel
primo caso il picciotto si laurea, diventa politico, si
presenta alle elezioni e può addirittura diventare magistrato.
  PRESIDENTE. Può anche non laurearsi!
  VINCENZO SORICE. Il secondo caso riguarda l'appoggio
richiesto; il candidato si presenta alle elezioni, chiedendo
alla "cupola" o alla mafia di essere appoggiato.
   Il terzo caso si riferisce all'appoggio di fatto; il
candidato, inconsciamente, durante la sua campagna elettorale
viene scelto - ha detto lei - dalla "cupola" o dalla mafia e
viene sostenuto.
   Lei ha citato soltanto tre ipotesi, ma in questo periodo
si sta sviluppando un'ipotesi di reato prevista dalla legge
elettorale del 1957.
   Nel momento in cui cominciano a "fioccare", soprattutto
nella zona dove la mafia è più presente, avvisi di garanzia
per il voto di scambio, devo immaginare che voi abbiate
precisi riscontri (se in merito a ciò esiste il segreto
istruttorio non vado oltre nella mia domanda), altrimenti
rischiereste di sollevare un enorme polverone.
   Non so se può rispondere, ma ritengo che nel momento in
cui vengono comunicati gli avvisi di garanzia per l'ipotesi di
reato di voto di scambio vi siano possibilità di verifica.
   Su un secondo punto, cui faceva riferimento anche il
presidente, vorrei un chiarimento; mi riferisco ai motivi per
i quali si darebbe un certo appoggio ad un politico a livello
nazionale (lo stesso sostegno ad un candidato locale - il
sindaco, l'amministratore - garantisce un ritorno immediato).
A livello nazionale si possono effettuare riscontri in modo da
avere una visione completa del problema?
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Le leggi sono appoggiate da più
parlamentari, non soltanto da quelli che ne sono
avvantaggiati!
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. La maggior parte delle domande che mi sono
state rivolte non possono trovare, in questo momento, una
risposta per ovvi motivi di segretezza; tuttavia vorrei
chiarire un punto che riguarda la scelta di metodo operata
dalla nostra procura.
   Siamo molto attenti a non sollevare inutili polveroni, ci
muoviamo sempre sul sicuro, mai sulle sabbie mobili;
ovviamente la nostra attività deve tenere conto di determinate
garanzie che non ci permettono di andare oltre con le
indagini, se prima non azioniamo dei meccanismi di difesa
costituzionale.
   Leonardo Messina è stato quanto mai preciso: Cosa nostra
ha una sola ideologia, la sua, e non si appoggia a questo o a
quel partito. La scelta politica è effettuata, di volta in
volta, alla luce delle esigenze di Cosa nostra. Non credo di
poter dire altro.
                         Pag. 453
  CARMELO PETRALIA, Sostituto procuratore della procura
distrettuale antimafia di Caltanissetta. Non intervengo per
polemizzare, ma soltanto per portare il discorso sul binario
di una maggiore aderenza alla realtà storica.
   Mi è parso di avvertire nella domanda dell'onorevole
Sorice una sorta di perplessità circa l'attendibilità delle
dichiarazioni dei collaboranti, allorché parlano di rapporti
tra organizzazioni criminose e mondo politico, posto che si
tratterebbe dell'argomento che più "tira" e, dunque, li
renderebbe maggiormente appetibili ed interessanti agli
inquirenti e all'opinione pubblica.
   Vorrei soltanto far notare un dato di comune conoscenza,
ossia che quasi tutti i collaboranti, da quelli storici
tradizionali agli ultimi di cui ci stiamo occupando (anche in
base alla mia precedente esperienza presso la procura
distrettuale) sono stati sempre estremamente cauti e restii ad
affrontare il problema dei rapporti tra la loro organizzazione
criminosa di appartenenza ed il mondo politico. Potremmo quasi
dire che volutamente, formalmente, ufficialmente, quando si
arrivava alla questione dei rapporti tra mafia e politica - a
volte l'abbiamo dovuto perfino verbalizzare - si fermavano per
ragioni di calcolo o di altra natura. Molto spesso
ufficializzavano questa loro posizione con la frase: "Questo è
un tasto che non voglio toccare"; "Questo è un argomento nel
quale non mi voglio infilare"; "So che vado su un terreno
minato e preferisco fermarmi e ve lo dico ufficialmente".
Alcuni hanno fatto queste dichiarazioni, anche se in tempi più
recenti vi è stato qualche cenno di apertura in tal senso.
   Ciò mi consente di ritenere che il filtro attraverso il
quale facciamo passare le dichiarazioni che stiamo acquisendo
sia quello della massima trasparenza ed attendibilità. Non si
può assolutamente credere che possa esservi un'iniziativa non
controllata del pentito nel riferire un argomento sul quale
non abbia delle vere e proprie conoscenze.
   Vi è stata, e continua ad esservi, una notevole attenzione
da parte dei pentiti nei confronti di questo argomento;
riteniamo pertanto che le dichiarazioni dei collaboranti
contengano una buona percentuale di affidabilità.
  MARCO TARADASH. A proposito della ripartizione dei
rapporti tra mafia e politica credo utile avere presente
questo schema, che tuttavia è abbastanza astratto.
   Mi interesserebbe invece capire il meccanismo degli
appalti che è una delle fonti principali dei profitti mafiosi
in quella zona; gli appalti che si aggiudica Cosa nostra, in
modo totalizzante o parziale, sono ottenuti seguendo procedure
legali, anche se con forme di intimidazione rispetto ad altri
concorrenti, oppure no? E se sono ottenuti in modo illecito, è
la legge sugli appalti che favorisce questo modo di
inserimento? E' possibile allora, modificando la legge,
ridurre la capacità di infiltrazione mafiosa all'interno del
sistema degli appalti? Questo è il punto importante.
   L'altra questione riguarda il traffico della droga; è
giusto che i magistrati diano per scontato il fatto che esso
costituisca il più grande affare di tutti i secoli, ma non è
altrettanto giusto che arrivi alle stesse conclusioni una
Commissione politica di un Parlamento che ha votato quella
legge, la quale ha consegnato al mercato criminale il traffico
della droga. Dobbiamo invece domandarci se la legislazione non
debba essere modificata, poiché non possiamo accettare, senza
discuterne, che il traffico di stupefacenti sia l'affare degli
affari di tutti i secoli.
   Nella ristrutturazione che è intervenuta all'interno di
Cosa nostra, siete in grado di dire in che modo abbia inciso
il traffico della droga? La necessità di nazionalizzare ed
internazionalizzare le relazioni con organizzazioni criminali
italiane e di altri paesi ha portato effettivamente a questa
ristrutturazione per cui oggi abbiamo una commissione
nazionale, anche se non in termini di fantapolitica?
                         Pag. 454
E' evidente che un centro di decisione nazionale, per
stabilire chi opera a Verona e chi a Milano (che è il reale
centro della compravendita), dovrà pur esserci rispetto ai
boss siciliani; lo stesso avviene per gli affari che si
svolgono in Europa orientale o in Colombia. Quindi, sarebbe
utile capire in che modo Cosa nostra abbia affinato le sue
tecniche ed i suoi meccanismi; anche il fenomeno della
crescita della violenza è comune sia al Bronx (dove è diffuso
il crack), sia alle organizzazioni criminali, perché
esiste un calcolo profitti e costi che alimenta la violenza e
crea enormi sofferenze generalizzate.
  ROMEO RICCIUTI. Vorrei che la questione del rapporto tra
mafia e magistratura venisse approfondita, visto che ieri il
pentito Buscetta ha toccato più volte l'argomento, sfiorandolo
appena. Egli ha affermato per altro, senza essere
contraddetto, che tutti i processi di mafia, svoltisi in
passato, sono stati "aggiustati". Ciò vuol dire che esisteva
tale rapporto, mentre qui non emerge niente di concreto e
positivo; d'altronde vi sono magistrati che operano in prima
linea e che stanno ottenendo risultati eccellenti e da loro
potremmo avere maggiori informazioni.
   Ho notato che vi è una notevole presenza di magistrati
siciliani in quelle procure: hanno forse una particolare
sensibilità? A questo si deve il successo che si sta ottenendo
in questi ultimi tempi? Si tratta di avere un'intelligenza
particolare per capire fenomeni del genere e questa potrebbe
essere un'intuizione formidabile che ci fa seguire un filone
che fino ad oggi era stato trascurato, ma che sta dando
risultati lodevoli.
   Sono davvero felice che oggi magistrati di questo calibro
abbiano portato in Commissione, oltre alla loro tradizionale
competenza, un clamoroso successo che ci fa stare più
tranquilli, anche se non ci fa certamente abbassare la
guardia.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Vorrei ringraziare i colleghi per
l'esauriente ed interessante esposizione dei fatti; in
particolare per quanto riguarda il rapporto mafia e politica,
vorrei sapere se i mafiosi, oltre agli appalti, alle
concessioni ed altri tipi di vantaggi, si possono prefiggere
altre controprestazioni, nel senso, per esempio, di favori
giudiziari oppure di leggi favorevoli (qualche pentito ha
parlato del sostegno alla legge n. 64 del 1986); ricordo, in
proposito, di aver letto il verbale della deposizione di un
pentito e dell'interesse che la mafia avrebbe avuto nei
riguardi dell'approvazione di tale legge.
   In secondo luogo chiedo, se è possibile e sempre senza
violare il segreto istruttorio, di sapere se l'iniziativa del
voto di scambio, che ritengo un fatto di eccezionale gravità,
anche perché molto spesso è un voto di ricatto, parta dai
politici o dai mafiosi e se, in questo scambio, vi siano
intermediari o meno. Vorrei sapere anche se, a vostro avviso,
il reato del voto di scambio, così come attualmente formulato
da una legge del 1957, con una previsione di tre anni di
reclusione, sia rispondente alla gravità del fenomeno.
   Vorrei poi fare un'ultima considerazione, abbastanza
rilevante dopo quello che il dottor Tinebra ha detto in
riferimento alla questione dell'ideologia, per cui alcuni
pentiti collaborerebbero per una loro crisi ideologica.
Ritengo che questo fatto sia eccezionalmente importante. Già
Falcone aveva reso questa dichiarazione nel corso di un
convegno: in sostanza, il punto di forza della mafia non è
costituito soltanto dall'apparato militare ma anche
dall'ideologia, cioé dal consenso popolare che essa riesce a
riscuotere.
   Vorrei sapere, inoltre, dal dottor Tinebra se in questo
senso occorra assumere iniziative dirette a favorire la
dissociazione, cioè a provocare tale crisi ideologica, che
purtroppo ancora oggi manca, nel senso che molti mafiosi sono
convinti della positività delle azioni, delle iniziative,
delle ideologie mafiose.
  ALTERO MATTEOLI. Anch'io vorrei ringraziare il dottor
Tinebra e i procuratori che sono intevenuti, perché in pochi
                         Pag. 455
minuti hanno delineato un quadro che ci ha consentito, quanto
meno mi ha consentito, di capire bene il problema.
   Vorrei rivolgere loro tre domande. Innanzitutto, dalle
audizioni che abbiano effettuato fino a questo momento è
emersa la ferocia di un personaggio come Riina, il che
potrebbe far pensare ad una mafia più rozza, più sanguinaria:
anche la mafia attuale pratica l'esercizio dell'inserimento
nelle istituzioni di uomini d'onore laureati, come il dottor
Tinebra ha detto? Sembrerebbe più difficile per una mafia di
questo tipo poter ottenere questi risultati.
   La seconda domanda riguarda i rapporti tra mafia, politica
e massoneria, argomento che è emerso in questi ultimi tempi.
Ho scorso, avendola avuto soltanto qualche minuto fa, la
relazione del dottor Tinebra e ho constatato che, a
conclusione di essa, vi è un capitolo dal quale parrebbe di
capire che solo attraverso il caso Sindona si sia maturato il
convincimento di tale intreccio. E' così oppure vi sono altri
casi, i quali possono farci capire che tale intreccio esista?
   In larga parte del territorio della Sicilia, sicuramente
nelle zone in cui operano i nostri interlocutori, mancano le
industrie e il terziario non ha decollato, quindi la ricchezza
viene distribuita attraverso i lavori pubblici dalla
burocrazia o deriva dai contributi pubblici; dunque vi è la
necessità da parte della mafia di intercettare tale ricchezza
per realizzare guadagni. Ora, tale ricchezza al 95 per cento
può provenire da tre livelli: dalla CEE, dal Parlamento
attraverso le leggi, o dal Palazzo dei Normanni. Pertanto, i
mafiosi debbono disporre di un'informazione precisa per
poterla intercettare. Questi canali di informazione sono
sempre gli stessi, cioé i politici o i funzionari di un certo
livello, oppure le fonti di informazione della mafia sono
variegate?
   Il dottor Tinebra ha parlato - ci ha fatto piacere - di un
pool formato da uomini capaci nella sua procura e
quindi, da questo punto di vista, lo Stato ha soddisfatto le
necessità del territorio: dal punto di vista delle strutture
può dire altrettanto?
  PIETRO FOLENA. Vorrei avere un chiarimento sul peso,
nell'ambito di Cosa nostra regionale, di Piddu Madonia. Nelle
indiscrezioni apparse sui giornali si parlava di Madonia quasi
come del "numero due", mentre qualcun altro lo ha considerato
come il figlioccio di Totò Riina.
   Mi pare abbastanza nuovo e interessante il quadro
delineato della mafia nell'ennese. Se ne era parlato anche in
altre circostanze, perché quella di Enna era una delle
province già rappresentate nella commissione regionale di Cosa
nostra, stando a quello che affermano pure i pentiti di altra
generazione. Anche in questo caso vorrei, tenuto sempre conto
del riserbo che impongono le indagini, ottenere un quadro più
organico sull'organizzazione, il ruolo, il peso e l'influenza
della mafia in provincia di Enna.
   La terza questione riguarda il delitto Lima. Queste
audizioni e la sessione della Commissione dedicata al tema
riguardante l'intreccio tra mafia e politica si sono tenute
all'indomani dell'ordinanza dei giudici palermitani sul
delitto Lima e quindi delle rivelazioni di alcuni pentiti in
merito al delitto stesso. I membri della Commissione hanno
letto, pur con alcuni omissis, una parte consistente di
tali rivelazioni, anche quelle del pentito Messina, anche se
si tratta soltanto di alcune pagine in rapporto a tale
delitto.
   Vorrei conoscere in modo più preciso, in rapporto alla
provincia di Caltanissetta, se il ruolo che l'onorevole Lima
esercitava nell'ambito dei rapporti con Cosa nostra fosse
quello di garante del potere politico, anche perché permetteva
di entrare nel potere politico nazionale; in sostanza, se
avesse delle ricadute dirette, che voi avete potuto
riscontrare, anche in provincia di Caltanissetta. Vorrei
insomma conoscere i collegamenti con tale provincia.
   Sempre in relazione al rapporto tra mafia e politica,
vorrei sapere se il pentito Messina o altri pentiti abbiano
                         Pag. 456
indicato un ambito di partiti o di correnti di partiti entro
i quali sceglievano o nei quali avevano i loro candidati. Il
pentito Calderone e anche il pentito Buscetta hanno affermato
che la mafia non vota per i partiti estremi. L'unico lavoro
che faceva, famiglia per famiglia, la mafia palermitana era
quello di dire che non si doveva votare per i comunisti.
  ALFREDO BIONDI. Come partito estremo, con tutto il
rispetto, te lo raccomando!
  PRESIDENTE. Era un dato tralatizio!
  PIETRO FOLENA. Sono convinzioni dei pentiti, i quali non
sono molto informati sul carattere assolutamente
revisionistico e socialdemocratico dell'azione che il partito
comunista ha esercitato per molti decenni!
   Visto che abbiamo, da Messina e da altri pentiti, un
quadro recentissimo (fino all'aprile di quest'anno, come
diceva il procuratore Tinebra), siamo di fronte a novità
rispetto a questa scelta o a questo orientamento generale per
alcuni partiti. Se non ricordo male, nelle rivelazioni del
pentito Messina si fa riferimento anche alla possibilità di un
voto "a dispetto", dato a candidati del partito socialista e
del partito radicale - per l'appunto - a dispetto. Vorrei
dunque un chiarimento anche su questo aspetto, per capire se
la mafia organizzi il proprio consenso elettorale anche in
questa forma.
   Rispetto alla tripartizione esposta dal procuratore
Tinebra e in base alle informazioni in suo possesso, vorrei
sapere in quale delle tre categorie collocherebbe l'onorevole
Lima, Vito Ciancimino, l'onorevole Filippo Butera, per non
parlare di persone che sono oggetto di indagini, che hanno
ricevuto recentemente avvisi di garanzia o questa notte o
questa mattina.
   Infine, leggo su una nota di un'agenzia di stampa che
Beniamino Maira - da non confondere con l'onorevole Raimondo
Maira - è stato arrestato questa notte o questa mattina: se
non ricordo male, egli era il presidente della banca di San
Cataldo, che era stata disciolta dalla Banca d'Italia a metà
degli anni ottanta perché si sospetttava che fosse utilizzata
dalla mafia per il riciclaggio di denaro sporco. Anzi, in
quell'epoca si parlò della possibilità che la mafia catanese
(Nitto Santapaola e via dicendo) riciclasse parte del proprio
denaro nella banca di San Cataldo. Vorrei sapere, sempre
rispettando il segreto istruttorio, se Beniamino Maira sia
massone. Leggo nelle agenzie di stampa che egli avrebbe
ospitato Sindona: per quel che riguarda la presenza di Sindona
in provincia di Caltanissetta, eravamo rimasti al notaio
Cordaro. Vorrei sapere se, da questo punto di vista, ci
possano essere indicati scenari nuovi.
   Infine, mi soffermo sull'inchiesta Siino-appalti, in
relazione alla quale si celebra il processo a Palermo. Vorrei
un giudizio da parte della procura di Caltanissetta
sull'attendibilità del pentito Li Pera, visto che si è
discusso molto su tale questione. Non lo chiedo solo e tanto
in riferimento a quel lato dell'inchiesta che sappiamo essere
presso la procura di Caltanissetta, bensì rispetto allo
scenario sugli appalti che è stato disegnato e che ha trovato,
da quello che capisco, una parte di riscontro anche dal punto
di vista delle rivelazioni che avete raccolto dal pentito
Messina.
   Per quanto riguarda il sistema di relazioni, quest'ultima
inchiesta disegna un quadro di relazioni
mafia-impresa-affari-politica molto articolato e complesso.
Forse è la prima volta che abbiamo, per quanto riguarda un
solo aspetto, un quadro così vasto. Vorrei sapere se in questo
sistema di relazioni siano previsti degli agganci alla
regione, soprattutto per quanto riguarda il ruolo e la
funzione dei progettisti nel mercato degli appalti. Sappiamo
quanto sia importante, per accedere a certi finanziamenti
della regione, poter contare su un progettista che, chiavi in
mano, offra al sistema degli enti locali, unità sanitarie
comprese, dei progetti già finanziati. Vorrei sapere se vi
siano dei riscontri anche su questo versante.
                         Pag. 457
  ALFREDO BIONDI. Anch'io non in modo rituale sottolineo
con grande piacere quanto abbiamo ascoltato in quest'aula e
che ha accompagnato la relazione, perché tutto ciò costituisce
una prova di impegno e di qualità nello stesso, il che non
sempre avviene.
   Vorrei formulare una domanda alquanto generale, anche se
non generica. Nelle occasioni in cui vivo certi processi, noto
una differenza notevole di livello culturale da parte delle
persone che sono incriminate o che possono essere state
condannate, rispetto all'entità degli affari che sono in grado
di controllare, ai legami anche di carattere bancario e
internazionale che sono richiesti non solo per la gestione di
affari, ma anche per il riciclaggio di denaro. Osservo anche
la tecnicità e molte volte la necessità di studio degli
appalti anche nella fase in cui si interviene solo in
esecuzione, negli appalti più consistenti, o addirittura nella
gestione di essi (anche gli appalti regionali possono avere
una certa dimensione).
   La curiosità che ho è la seguente: come fanno queste
persone, il cui livello culturale abbiamo spesso constatato,
ad avere la capacità di raccordare una serie di elementi? Vi
sono "consigliori" professionali nel mondo dell'avvocatura e
dei settori più tecnici, come il commercialistico o il
bancario? Vi è infatti l'inesplorato continente dei modi in
cui il denaro finisce nelle banche, al quale i magistrati
dell'accusa si dovrebbero forse dedicare di più, con una
curiosità analoga alla mia.
   Passando ad un aspetto più specifico, riguardo al quale
Buscetta ha fornito una risposta ieri, vorrei sapere se,
quando si "compra" un politico, facendo balenare o addirittura
assicurando il successo elettorale, la scelta venga compiuta
dalla famiglia, dalla commissione provinciale,
interprovinciale o regionale, oppure venga effettuata dal
singolo mafioso, magari di un certo livello, utilizzando la
propria iniziativa privata, i propri collegamenti, la propria
sensibilità per capire se il politico contattato sia più o
meno "friabile". Se la scelta avviene in questo secondo modo,
per iniziativa privata del singolo e non delle famiglie, come
ha sostenuto Buscetta, il singolo deve avvertire le famiglie
di aver comprato il sindaco, il deputato regionale, o un altro
soggetto politico che si sia dimostrato disponibile, affinché
le famiglie, o le commissioni, sappiano che c'è un "santo in
paradiso" che può essere utilizzato?
   Per quanto riguarda il segreto istruttorio, ricordato da
Buscetta e dietro al quale vi siete giustamente trincerati (il
che mi fa molto piacere, poiché non ho personalmente il dono
della riservatezza, anche se vi è chi ne ha meno di me qui
dentro), mi sono sempre chiesto se, voi ed anche i vostri
colleghi, vi facciate carico del seguente problema: come
riescano molte volte i giornali - l'ho constatato recentemente
proprio in Sicilia - ad avere in anteprima gli elementi che
non ci vengono riferiti per dovere di riservatezza. Quegli
stessi elementi arrivano infatti ai giornali con una rapidità
che, senza offesa, lascia immaginare l'esistenza di una talpa
che fuoriesce dal buco nel terreno e riferisce al giornalista
amico. Vi siete mai posto tale problema? E' un fenomeno molto
grave, che riguarda non soltanto la reputazione personale ma
anche l'efficacia delle indagini, che state ora salvaguardando
anche di fronte ad una Commissione parlamentare.
   Infine, dato che un collega ha fatto il nome di un
deputato regionale che assisto legalmente in un processo
ancora da celebrare, voglio precisare che se per caso venisse
fornita una risposta al riguardo, mi alzerei e mi allontanerei
dalla Commissione poiché non vi è bisogno di svolgere processi
in questa sede: li faccio già in casa ed il farli in trasferta
mi darebbe fastidio, anche per la media inglese!
  PRESIDENTE. Siccome stiamo svolgendo una seduta
pubblica, anche le informazioni su quel processo che i
magistrati forniranno sono a disposizione del pubblico...
  ALBREDO BIONDI. Ma preferisco non conoscerle, perché,
altrimenti, sarei indotto
                         Pag. 458
ad interloquire. Preferirei allora allontanarmi dalla
Commissione: l'astensione è sempre una bella cosa, la
ricusazione no.
  ANTONIO BARGONE. Sono personalmente interessato ad un
approfondimento relativo al rapporto fra la commissione
interprovinciale e la commissione nazionale: al riguardo,
infatti, abbiamo una novità indicata da Buscetta. In
proposito, vorrei conoscere soprattutto il ruolo della
politica nella commissione nazionale e sapere se le decisioni
assunte dalla commissione interprovinciale valgano comunque
anche per politici di livello nazionale disposti a concedere
favori a Cosa nostra. Vorrei inoltre sapere, con riferimento
al cuore della questione posta da Buscetta, se l'aggiustamento
dei processi e l'impunità, che sono l'impegno maggiore assunto
da Cosa nostra nei confronti degli affiliati, trovino uno
sbocco e producano risultati attraverso la commissione
nazionale, attraverso il rapporto con politici nazionali.
Emerge questo elemento dalle vostre indagini?
   Un'altra questione riguarda il rapporto fra Cosa
nostra-mondo della finanza e le modalità di riciclaggio del
denaro sporco. In proposito, i pentiti che abbiamo ascoltato
finora non sono stati molto utili poiché facevano riferimento
ad una fase precedente; i pentiti più recenti, invece, hanno
indicato modi e percorsi in relazione ai rapporti che vengono
instaurati per realizzare il riciclaggio di denaro sporco
proveniente dalle attività illecite?
  Passando al tema degli appalti, il procuratore Tinebra lo
ha indicato come un filone non attinente ai rapporti
mafia-politica. Vorrei quindi capire se le interferenze e le
influenze nell'aggiudicazione degli appalti avvengano soltanto
attraverso imprese organiche con Cosa nostra, oppure, per
esempio, anche attraverso un favore che il candidato
"costruito in batteria", oppure quello contiguo a Cosa nostra,
può concedere per orientare l'appalto. Vorrei in particolare
sapere se questo possa accadere attraverso terminali a livello
nazionale, come ci è stato indicato dal pentito Buscetta.
  VINCENZO SCOTTI. Dato che le relazioni - in particolare
quelle scritte - del procuratore della Repubblica e dei
sostituti procuratori sono state estremamente puntuali e
precise, indicando un'indagine molto accurata ed attenta,
vorrei porre ad essi tre specifiche domande. La prima si
richiama alla ricerca sul fatturato del crimine recentemente
svolta dall'ISTAT. Vorrei infatti sapere se siate in grado di
effettuare una stima sulla dimensione economica delle attività
di Cosa nostra, con particolare riferimento ad estorsioni ed
appalti nell'area considerata nell'ambito delle indagini in
corso. Per esempio, per quanto riguarda Gela, avete parlato
delle indicazioni contenute in un libro mastro. La mia domanda
fa riferimento anche al numero degli affiliati a Cosa nostra
nell'area considerata. Emergono elementi utili per costruire
delle stime, al di là delle indagini giudiziarie? Ritengo
infatti che tali elementi possano servire per un
approfondimento relativo a Cosa nostra, non a Palermo ma nelle
zone cosiddette povere e depresse della Sicilia interna.
   La seconda domanda riguarda non il rapporto mafia-politica
cui avete fatto riferimento, ma il controllo del territorio.
Dai pentiti sono stati forniti elementi in ordine alle
modalità con le quali Cosa nostra controlla le amministrazioni
locali, la pubblica amministrazione, il comportamento delle
forze dell'ordine e di altre istituzioni dello Stato? Vi sono,
in sostanza, informazioni sulle modalità di controllo del
territorio?
   La terza ed ultima domanda riguarda la legislazione sui
pentiti. Nella passata legislatura, siamo giunti a definire
provvedimenti che tenevano conto delle valutazioni dei
magistrati; il dottor Tinebra ha ricordato infatti il giudice
Falcone. Vorrei in proposito sapere se, sulla base del lavoro
che state compiendo e dei vostri contatti, riteniate efficaci
quei provvedimenti oppure vi siano ulteriori elementi-chiave
che possono essere introdotti.
                         Pag. 459
Ricordo che qualche problema rimase irrisolto nel corso della
discussione che si svolse in proposito, rinviandone la
soluzione dopo la verifica del concreto funzionamento dei
meccanismi predisposti: dato che ci troviamo in un momento
favorevole da questo punto di vista e che ci poniamo
l'obiettivo preciso di sgretolare l'organizzazione mafiosa,
fornendovi gli strumenti per poterlo fare, vorrei sapere se vi
siano suggerimenti da parte vostra al riguardo. Ritengo
infatti che eventuali aggiustamenti, da introdurre subito,
potrebbero essere estremamente utili.
  GIROLAMO TRIPODI. Desidero porre alcune domande ai
magistrati presenti. La prima riguarda i rapporti fra Cosa
nostra siciliana e 'ndrangheta calabrese, cui ha accennato il
procuratore Tinebra. Al riguardo, vorrei sapere in particolare
quale tipo di reclutamento venga effettuato per i killer
utilizzati nei delitti più gravi e per l'uccisione dei
mafiosi, nell'ambito della guerra fra le cosche mafiose e la
Stella.
   Passando ad un'altra questione, il dottor Tinebra ha
affermato che gli affari illeciti vengono realizzati
soprattutto nel settore degli appalti, dove la mafia si serve
dell'estorsione, attraverso le minacce dirette ad ottenere
tangenti, oppure della "guardiania" o di altri analoghi
rapporti. In altre province in cui è presente la mafia,
invece, uno dei veicoli fondamentali per il controllo dei
flussi finanziari è quello del subappalto. A parte il rapporto
di appalto, nell'ambito del quale gli enti appaltanti si sono
potuti servire di diverse forme di contratto, avete potuto
compiere verifiche specifiche con riferimento al subappalto?
Le cosche mafiose si muovono nel mondo del subappalto, fra
l'altro, agendo in alcuni specifici settori, come la
movimentazione di terra e la fornitura di inerti, nell'ambito
dei quali riscontriamo la presenza di una sorta di
imprenditoria mafiosa.
   L'altra domanda è relativa al voto di scambio, questione
che vorremmo capire meglio perché si colloca proprio nel campo
del rapporto tra mafia e politica. Vorremmo sapere come
avvenga questo intreccio e, infine, se abbiate individuato
anche un altro aspetto, ormai caratteristico sul territorio
dove è maggiormente presente l'organizzazione criminale di
tipo mafioso. Mi riferisco al rapporto tra mafia, affari e
politica, nel senso che di questo intreccio fanno parte i
mafiosi, che ottengono una parte degli utili illeciti, ed i
politici che, oltre al voto - di cui abbiamo parlato -
riescono ad ottenere ciò che potremmo definire il frutto della
corruzione.
   Vorrei sapere, infine, se voi abbiate avuto notizie di
fatti relativi al controllo del voto, altro aspetto questo che
è molto importante. Spesso, cioè, la mafia non fa votare
soltanto i propri affiliati o le famiglie ma, dove vi riesce,
impone anche di votare a favore di un certo partito o
candidato sia al comune, sia alla provincia, alla regione od
al parlamento nazionale. Se possibile, vorremmo avere qualche
informazione su questo tema.
  VITO RIGGIO. Mi associo volentieri ai ringraziamenti già
espressi soprattutto per la chiarezza e la lucidità
dell'esposizione, il che mi consente di approfittare della
vostra presenza per fare una domanda direttamente connessa
all'inizio di questa inchiesta: nell'ordinanza è scritto che
gli omicidi Lima, Falcone e Borsellino avvengono nel contesto
di una strategia eversiva di contrasto netto da parte di Cosa
nostra nei confronti delle istituzioni. Come viene spiegato da
Riina (se viene spiegato) - visto che voi avete avuto la
possibilità di parlare con chi è stato inserito
nell'organizzazione - il fatto che il contrasto abbia assunto
questa ferocia, mentre era prevedibile che la reazione sarebbe
stata quella di un disturbo complessivo, in particolare nei
confronti di una mafia come quella che descrivete, che tende a
governare il territorio e, quindi, gli appalti? Dal vertice di
Cosa nostra è stata data qualche giustificazione in giro, in
periferia? E questa giustificazione come presenta il rapporto
con la politica nazionale? In altre parole, è accaduto
                         Pag. 460
quello che è accaduto perché hanno tradito i vecchi
referenti, perché erano state date assicurazioni che non sono
state mantenute?
   Mi interesserebbe sapere, soprattutto da parte di un
pentito che sembra essere inserito ad un livello autorevole e,
quindi, in qualche modo a contatto con le decisioni (visto che
questo inserimento forse si è protratto fino alle ultime
elezioni dell'aprile 1992, o comunque in prossimità di questa
data) se l'astio manifestato nei confronti dei provvedimenti
legislativi e governativi assunti nell'ultimo periodo -
grosso modo nell'ultimo triennio - abbiano dato vita a
scelte di politiche alternative. Mi chiedo cioè se, come
diceva l'onorevole Folena, quello che nel 1987 si manifestò
come voto "a dispetto" abbia avuto qualche seguito. Vorrei
avere, se possibile, una risposta da parte vostra su questo
aspetto che è molto rilevante ai fini della nostra indagine.
   Voglio porre poi una domanda molto precisa sugli appalti.
Lei, dottor Tinebra, ha fatto un'affermazione assai
interessante quando ha detto che esiste un doppio livello. E'
chiaro che per i grandi appalti, mancando le iscrizioni, non
si può partecipare: quindi, si cerca di intervenire - o si
interviene - in qualche modo, attraverso un qualche anello di
congiungimento. Per i piccoli appalti (che poi probabilmente
tanto piccoli non sono, perché riguardano i comuni, le USL e
così via), da indagini sociologiche e politiche, pur senza
riscontri, era emersa l'esistenza di una catena che va dalla
richiesta del finanziamento fino alla combine. Questo ha
fatto crescere l'imprenditoria mafiosa - perché a forza di
partecipare agli appalti evidentemente si acquisiscono le
iscrizioni - ed in che misura? Lei ci ha detto di non essere
in grado di fare una stima sull'ampiezza del fenomeno. Ma
vorrei sapere, alla luce di queste prime dichiarazioni, quale
sia la dimensione del fenomeno, perché ciò è importante ai
fini dell'azione di contrasto.
   Vorrei infine capire un po' meglio la questione del voto
di scambio. Quella è una provincia, che io conosco, che vive
tutta sul voto di scambio, nel senso che il livello delle
raccomandazioni e delle sinergie è tale che non si può dire
che è da una certa parte che si colloca chi non pratica il
voto di scambio. Come si distingue, in che modo?
  Voi avete parlato di corresponsione di denaro, che è
qualcosa di strano rispetto a quanto ci diceva fino a ieri
Buscetta in ordine alla vecchia mafia. Vorrei sapere, cioè, in
che modo si riesca a distinguere tra l'utilizzazione di
servizi messi a disposizione e, invece, lo scambio che,
purtroppo, per le condizioni socio-economiche della provincia
(che voi stessi nella relazione descrivete) è diffuso. Questo
diventa importante per capire - se potete fornirmelo - un
elemento: voi dite che la mafia vota, ovviamente senza basi
ideologiche, ma scegliendo le persone che hanno potere e che
possono dare garanzie, in un arco ampio, sia pure limitato ai
partiti di governo. Vorrei sapere se su ciò abbia potuto
interferire - ed in che misura - il cambiamento di meccanismo
elettorale che si è verificato nelle ultime elezioni, ossia il
fatto di dover ormai votare soltanto per una persona e quindi
di non poter distribuire il proprio pacchetto elettorale
attraverso il meccanismo del voto multiplo.
  ALFREDO GALASSO. Vorrei affrontare tre questioni ed
ascoltare l'opinione dei magistrati presenti: la prima
riguarda i collaboratori della giustizia, i pentiti, nel senso
che credo si debba discutere un doppio aspetto di questo che è
ormai diventato un fenomeno, un dato. Il primo concerne la
valutazione delle rivelazioni dei pentiti in quanto elemento
di prova. Data la complessità dello scenario ed il fatto che
costoro non parlano di un singolo episodio, ma raccontano una
storia, dipingono uno scenario in maniera molto viva e - a
quello che sento con piacere - anche aggiornata, vi è il
problema di tradurre tutto questo in una serie di riscontri e,
quindi, di controllare l'attendibilità dei singoli episodi.
Ciò anche perché sarebbe grave se si determinasse
nell'opinione pubblica (parlo di
                         Pag. 461
un'apparenza, non di una realtà; sia ben chiaro che non
voglio assolutamente inserire alcun elemento di dubbio o di
polemica) la convinzione che la valutazione delle rivelazioni
dei pentiti, in quanto elementi di prova, possa, come dire,
obbedire a criteri diversi a seconda dei fatti e, soprattutto,
dei personaggi. Cioè a dire che si procede molto rapidamente e
sbrigativamente, quando si tratta di arrestare qualche
mafioso, o qualche delinquente comune, inserito in questa
terribile trama e poi, quando si parla di imprenditori, di
politici, anche di magistrati si usa ...
   Vi è quindi un problema di valutazione rigorosa degli
elementi: si tratta di un aspetto, tutto giudiziario, che
sento però il dovere di segnalare qui come un possibile
problema, che non riguarda ovviamente solo la procura di
Caltanissetta, ma di questo stiamo parlando.
   Un altro aspetto che più ci interessa come Commissione
parlamentare è il fenomeno in sé, la straordinaria novità di
questo dato, il fatto cioè che, all'interno di questa
struttura criminale così compatta, centenaria, si stia
determinando una vera e propria frana. A questo proposito,
credo che ieri Buscetta abbia fatto un'affermazione verissima,
cioè che gli ultimi pentiti mostrano come si sia aperta una
vera e propria falla nella struttura di Cosa nostra. Mi pongo
allora - e vi pongo - questo interrogativo: data la dimensione
che il fenomeno sta assumendo e la sua diffusione, anche in
relazione al quadro che ci avete offerto con questa relazione
(che ho letto sommariamente e che studierò attentamente), mi
domando se Cosa nostra esista più, ossia se esista ancora Cosa
nostra come l'abbiamo conosciuta all'epoca del maxiprocesso o
se, in realtà, non si sia determinata un'evoluzione tanto
profonda da produrre anche categorie di interpretazione e di
lettura - politiche prima ancora che giudiziarie - diverse da
quelle che abbiamo conosciuto. Mi pongo questo interrogativo
per approntare rimedi utili. Infatti, se continuiamo a
combattere la mafia come se essa sia sinonimo esclusivo di
Cosa nostra, piuttosto che un sistema ramificato, adottiamo
sistemi sbagliati. Da parte vostra, che state affrontando
questo aspetto, vorrei avere un'opinione in proposito.
   Un'altra domanda che intendevo porre è già stata avanzata;
mi limito quindi a ripeterla: sta emergendo - lo sentivamo
ancora ieri da Buscetta - un quadro, ancora incerto ma
significativo, di rapporti tra mafia e massoneria. Vorrei
capire cosa significhi oggi tutto questo alla luce di quanto
state constatando.
   Vi chiedo inoltre - anche se questa richiesta è marginale,
o piuttosto eccentrica, rispetto alla discussione di oggi ed
all'inchiesta che stiamo conducendo - se, ovviamente senza
recare il minimo pregiudizio alle indagini, possiate dirci
qualcosa sulle stragi di Capaci e di Palermo. Voi siete stati
gravati di un peso straordinario, perché questi sono i
processi del secolo. Vorrei sapere se siate attrezzati a
sostenerlo dal punto di vista della struttura - sia dei
giudici, sia del personale ausiliario - e, in particolare, se
vi siano novità rispetto alla questione, che emerse con molta
evidenza qualche tempo fa e di cui poi non abbiamo più sentito
parlare, riguardante i famosi appunti ed il famoso diario di
Giovanni Falcone.
  IVO BUTINI. Vorrei soffermarmi su quanto risulta a
pagina 9 della relazione che ci ha consegnato il procuratore
Tinebra. A proposito del rapporto tra la mafia e i candidati,
tra la mafia e i politici, vengono fatte delle osservazioni
che a me sembrano delle affermazioni. Innanzitutto si sostiene
che l'obiettivo della mafia sarebbe il profitto. Quest'ultimo
naturalmente ha una sua composizione, ma non è questo il
momento di fare un'analisi del genere. C'è la consuetudine di
differenziare l'appoggio elettorale sui candidati di aree
diverse, anche allo scopo di compensare i risultati, visto che
ci sono degli sconfitti e dei vincitori. Senza questa
accortezza si potrebbe avere un'influenza negativa
sull'assetto dei rapporti, che è l'obiettivo che attraverso
questo voto si tende a conseguire.
                         Pag. 462
   In merito a quanto ho appena evidenziato mi sono posto
alcune questioni sulle quali intendo richiamare l'attenzione
del procuratore Tinebra e degli altri magistrati qui presenti.
In base alla vostra esperienza, è il potere locale a prevalere
negli orientamenti personali e di aree e quindi nella
composizione delle maggioranze a livello locale? Esistono casi
in cui si potrebbero immaginare opinioni di capi che
prevalgono su altre? Vi possono essere altri elementi, magari
dipendenti dalla composizione delle parti, che compongono il
profitto: l'obiettivo di questa operazione? Si dà il caso di
candidati che, pur appoggiati da Cosa nostra, non riescano a
farsi eleggere: è evidente che ciò deve dipendere da qualcosa.
  In attesa di vostri chiarimenti su questo specifico
aspetto, vorrei porre tre quesiti precisi.
   Il primo è il seguente: vi sono interventi elettorali
esterni capaci di deviare il voto oppure di impedirne la
realizzazione secondo lo schema prefissato?
   Passo al secondo quesito. Il voto deciso da Cosa nostra ha
efficacia per alcuni degli appoggiati e non per altri? In caso
affermativo, perché? Inoltre, ci sono elementi che si
aggiungono o si tolgono a questa scelta e a questa presenza
elettorale?
   Passo al terzo ed ultimo quesito. Si potrebbe immaginare
una lotta tra gruppi mafiosi che nella dispersione dei
candidati delle aree si sopraffanno gli uni con gli altri?
  GRAZIA ZUFFA. Vorrei sapere se sia possibile
approfondire la descrizione fatta dal procuratore Tinebra a
proposito delle tre modalità del rapporto tra mafia e
politica.
   Quella descrittaci del procuratore di Caltanissetta è una
tipologia. E' possibile tracciarne un profilo di evoluzione
dinamica, al fine di conoscere, per esempio, quale sia oggi la
modalità prevalente, o se esista una modalità emergente? Pongo
tale quesito perché non mi pare di ricordare che il pentito
Calderone, nel corso della sua audizione, abbia parlato della
prima modalità. Questi, infatti, ha parlato di un rapporto in
cui la mafia aveva bisogno dei politici e questi ultimi della
mafia per l'assoluta incapacità di controllo sociale che aveva
allora la mafia stessa. Tutti sappiamo che la descrizione di
Calderone attiene a fatti accaduti molti anni addietro.
  ANTONINO BUTTITTA. Ho ascoltato considerazioni molto
interessanti e trovo commendevole il fatto che siano state
esposte con lucida sintesi, che mi permetterei di raccomandare
ad alcuni colleghi (non mi riferisco a Pietro Folena perché è
amico mio!).
   Il quadro che emerge da quanto è stato detto risulta assai
vicino all'ambiente che si intende rappresentare, nel senso
che per le conoscenze che alcuni di noi hanno perché sono nati
e vivono in Sicilia, e per le conoscenze da parte di altri
colleghi circa notizie riguardanti la realtà siciliana, credo
di poter affermare che le cose che sono state dette non
possano non essere omogenee alla realtà che è stata stasera
qui rappresentata.
   C'è un elemento assolutamente nuovo rispetto a quanto
sappiamo, che i colleghi si sono lasciati sfuggire ma che io
trovo assai interessante. Mi riferisco alla notizia
concernente una ipotizzata esistenza di una commissione
nazionale. Ma perché giudico questa notizia estremamente
interessante? La giudico tale non solo per la sua novità, che
pure ci può aiutare (attesa l'attendibilità del collaboratore
di giustizia che abbiamo dinanzi) a capire meglio la malavita
- e non solo quella siciliana - e i rapporti tra Cosa nostra
ed altre organizzazioni criminali, non solo del nostro paese,
ma anche perché essa ci può aiutare - mi riallaccio al
problema sollevato dal collega Galasso - a capire meglio
l'identità e la psicologia di questi cosiddetti pentiti.
   Nessuno di coloro che abbiamo ascoltato - e si trattava di
importanti esponenti di Cosa nostra - ci ha segnalato, fino a
questo momento, se non erro, l'esistenza di una commissione
nazionale o addirittura di una mondiale. Questo ci
                         Pag. 463
pone il problema di cercare di capire meglio il messaggio che
vogliono offrirci questi cosiddetti pentiti, cioè di capire
meglio la loro identità, in ordine ad una loro possibile
reticenza o ad una loro possibile inattendibilità rispetto a
certi avvenimenti. In sostanza, ci troviamo dinanzi ad un
elemento che risulta interessante non soltanto per una
migliore conoscenza del fenomeno in esame ma anche ai fini di
un approfondimento della identità del ruolo del pentito in
quanto tale.
   In ogni caso, l'ipotizzata esistenza di una commissione
nazionale costituisce un percorso che a mio avviso deve essere
seguito.
  SAVERIO D'AMELIO. Dalla relazione del procuratore di
Caltanissetta, dottor Tinebra, emerge che non vi è un terzo
livello e che la cupola, intesa come vertice di Cosa nostra, è
formata non da politici ma soltanto da mafiosi.
   Pare quindi di capire che non sia il politico a decidere
ma Cosa nostra, la quale sceglie il politico, lo ingaggia, lo
rende schiavo o comunque funzionale agli obiettivi della
mafia.
   Quanto è emerso è vero in termini assoluti oppure esistono
delle eccezioni, cioè dei politici che hanno comandato o
comandano sulla mafia?
   A pagina 2 della relazione si dice testualmente: "Cosa
nostra è una organizzazione tendenzialmente totalizzante e
avvolgente ogni sostanza, dunque ogni attività economica e
istituzionale, perché tende sostanzialmente a governare il
territorio". Questa affermazione riflette, nella sostanza,
quanto ha detto Buscetta e cioè che la mafia controllerebbe
bene il territorio.
   Colgo tuttavia una discrasia tra questa affermazione della
mafia totalizzante, capace di condizionare - per governare -
le attività economiche e istituzionali, e l'affermazione che
Buscetta ha fatto ieri, secondo cui tanti processi sarebbero
stati "aggiustati".
   Mi chiedo allora, signor procuratore, come mai non vengano
fuori i nomi di eventuali magistrati "aggiustatori". Ci
troviamo dinanzi ad una forma di pudore dei cosiddetti pentiti
o - peggio ancora - ad una "epurazione" delle confidenze dei
pentiti?
  SALVATORE FRASCA. Mi scuso per essere arrivato in
ritardo, ma ho dovuto presenziare all'apertura di un convegno
organizzato dal mio gruppo parlamentare.
   Vorrei innanzitutto premettere che la nostra indagine deve
essere completa e non può tralasciare alcun elemento. A mio
avviso stiamo approfondendo correttamente il rapporto
mafia-politica ma stiamo trascurando il rapporto
mafia-istituzioni, ed è una lacuna che dobbiamo
necessariamente colmare. Poiché il rapporto mafia-istituzioni
esiste e la magistratura è un'istituzione del paese, vorrei
sapere se i magistrati qui presenti, nel corso del loro
pregevole lavoro, abbiano riscontrato casi di inquinamento
della magistratura. Si tratta di cose di cui dobbiamo parlare;
so, signor presidente, che in qualità di ex magistrato molto
probabilmente vorrebbe stendere un velo pietoso...
  PRESIDENTE. Spero che scherzi.
  SALVATORE FRASCA. Sto scherzando, ci mancherebbe altro!
La conosco come uomo di spirito e diversamente non avrei fatto
questa battuta. Dicevo che occorre discutere dei casi di
inquinamento della magistratura perché in questo nostro paese
avvengono cose strane. Se si fa il nome di un politico, poiché
viviamo in pieno maccartismo, il giorno dopo il mostro viene
sbattuto in prima pagina; se però si fa il nome di un
magistrato, la stampa non ne parla e tutti tacciamo. E'
proprio questo lo scudo che deve cadere!
   In occasione dell'audizione del procuratore distrettuale
di Palermo abbiamo ascoltato dichiarazioni...
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Non è vero, sono stati fatti dei
nomi. Cerchiamo di evitare le provocazioni!
                         Pag. 464
  SALVATORE FRASCA. Rispetto il collega Imposimato, ma
desidero essere rispettato anch'io perché, diversamente,
risponderò con dure parole ad ogni provocazione, anche perché
nella lotta contro la mafia non mi sento certo inferiore a
lui. Finiamola pertanto con queste primogeniture e con queste
particolari sensibilità, che non hanno ragione di essere! Ho
il diritto di porre le domande che ritengo di dover porre...
  PRESIDENTE. Le stiamo attendendo.
  SALVATORE FRASCA... a me stesso ed al Parlamento
italiano di cui sono espressione! Che non vi sia ombra di
casta che si lasci far prevalere!
  ALTERO MATTEOLI. Non ci tenere con l'animo sospeso!
  SALVATORE FRASCA. La domanda è già posta. Ho detto che
vi sono stati casi di inquinamento nella magistratura e,
quando sono stato interrotto, stavo appunto affermando che, in
occasione dell'audizione del procuratore distrettuale di
Palermo, è stato dichiarato che il disegno della mafia, in
vista del maxiprocesso, era di attenuare la sentenza in
secondo grado ed arrivare all'azzeramento del processo in sede
di Cassazione, quindi si è gridato a bella posta al
crucifige del presidente Carnevale (che io non conosco e
che non voglio difendere). Tuttavia non è stato evidenziato
come avrebbe meritato questo disegno della mafia che è stato
attuato in sede di corte d'appello di Palermo. Su questo
occorre iniziare a squarciare i veli della pietà e
dell'omertà.
  ALFREDO GALASSO. Io non ho capito.
  SALVATORE FRASCA. Devo spiegarmi di nuovo?
  PRESIDENTE. No, abbiamo tutti capito. Se ce n'è bisogno
chiarirò io questo aspetto.
  ALTERO MATTEOLI. Inoltre il presidente potrà
interpretare il pensiero del senatore Frasca.
  SALVATORE FRASCA. Non c'è dubbio. Il presidente ha
capito bene perché è intelligente. Bisogna stabilire princìpi
egualitari anche nella formulazione delle domande: ho
ascoltato alcuni interventi molto lunghi e noiosi, il che non
deve più accadere; dobbiamo stabilire una metodologia
dell'audizione che sia valida per tutti.
   Seconda domanda. Sono stati riscontrati collegamenti tra
la mafia siciliana e quella calabrese? E, nel caso in cui
siano stati riscontrati collegamenti di questa natura, sono
emersi indizi che possano portarci a conoscere qualcosa di più
in ordine all'assassinio Ligato?
  MASSIMO SCALIA. Mi permetto di complimentarmi con la
procura della Repubblica di Caltanissetta per l'operazione
della quale ho avuto notizia questa mattina dalla radio.
Vorrei anzitutto rivolgere al procuratore Tinebra una
richiesta che forse è già stata formulata, e cioè qual è la
sua valutazione sull'attendibilità della confessione del
pentito Li Pera e, in connessione con questo, sull'utilità e
sull'efficacia del secondo rapporto ROS (spero che il
presidente mi possa confermare che la Commissione ne è già in
possesso o sta per acquisirlo, trattandosi di uno dei
documenti che abbiamo richiesto).
   La seconda domanda che rivolgo al dottor Giordano concerne
gli appalti. A me interessano, per completezza rispetto a
quanto richiesto dal collega Riggio, i grossi appalti: anche a
questo proposito il Li Pera descrive - almeno secondo le
notizie di stampa - un meccanismo di suddivisione degli
appalti che prevede una sorta di tavolo, non necessariamente
materiale né obbligatoriamente configurante un'affluenza di
personaggi intorno ad esso, in cui politici, pubblici
amministratori, mafiosi ed imprese registrano e coordinano
l'assegnazione degli appalti di decine e centinaia di
miliardi. Poiché la lettura veloce della relazione non mi fa
                         Pag. 465
intravedere tale livello, vorrei capire se questa versione
riguardi maggiormente esperienze fatte dalla procura sulla
base delle richieste avanzate o se essa non abbia una visione
che tende a confermare questo tipo di meccanismo. Vorrei
inoltre conoscere la valutazione dei nostri ospiti sul livello
di consapevolezza che vi è nella parte sana (ammesso che ve ne
sia rimasta) della pubblica amministrazione delle varie
province siciliane sul fatto che questi appalti necessitano
sempre di delibere comunali o regionali; ritengo quindi che
qualcuno si dovrà pur porre qualche domanda senza dover
aspettare le confessioni di Li Pera.
   La terza domanda è una valutazione in termini molto
generali, perché mi rendo conto di come attenga a quello che
giustamente è stato definito l'immane compito di indagare
sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Buscetta ieri ha
fatto un'affermazione molto preoccupante, al di là di alcuni
aspetti contraddittori relativi al fatto che la mafia sarebbe
autonoma nelle sue decisioni ma che vi sarebbe qualcuno dietro
Totò Riina, prospettando una sorta non di accordo ma di presa
d'atto. Faccio un esempio riferendomi ai casi Falcone e
Borsellino: la mafia intuisce qual è l'interlocutore politico,
va da lui e dice "noi faremo questo", con una sorta di presa
d'atto che non configura una commissione od un mandato, ma si
muove nella logica del "tu ora sai e, se non mi dici niente,
probabilmente mi coprirai rispetto a quello che intendo fare".
Ciò configura un meccanismo complicato ed estremamente
preoccupante, rispetto al quale, senza intervenire in
questioni coperte da segreto istruttorio, credo che la procura
di Caltanissetta abbia cominciato a farsi un'idea; pertanto,
se il procuratore Tinebra potrà fornirci la sua valutazione,
essa sarà per noi un elemento utile.
  MAURIZIO CALVI. Dall'audizione dei due pentiti Calderone
e Buscetta abbiamo tratto il giudizio complessivamente
unitario di una mafia che, in questa fase storica, rantola.
Vorrei capire se questo giudizio è anche il vostro e vorrei
sapere quali sono le difficoltà all'interno di Cosa nostra, da
dove nascono, quali sono le nuove spinte e le nuove strategie
e qual è la previsione, proveniente anche dai due pentiti, in
ordine ad un ulteriore colpo di coda di Cosa nostra sul
sistema politico istituzionale italiano, come proiezione di
grandi obiettivi di carattere politico e di grande esaltazione
dal punto di vista degli obiettivi stessi.
   Sarebbe altresì utile, ovviamente con la riservatezza che
questa delicata indagine comporta, avere utili elementi di
aggiornamento sugli omicidi Falcone e Borsellino. Abbiamo
ascoltato le procure di Palermo, Catania ed ora Caltanissetta:
mi chiedo se non sia possibile ottenere una comune riflessione
di queste tre aree giuridiche, in modo da trarne un quadro più
generale. Da parte nostra ci siamo già formati un'idea, ma in
questa fase sarebbe utile, per la Commissione antimafia e per
il Parlamento, conoscere le vostre riflessioni attraverso una
relazione congiunta.
  MARIO BORGHEZIO. Nelle varie audizioni finora svolte
abbiamo ricavato pochissime notizie concrete circa la
penetrazione della mafia negli ambienti bancari e finanziari,
mentre ritengo che anche in relazione alle indagini sui
recenti omicidi questo aspetto non risulti secondario. Vorrei
sapere se la procura distretturale è in grado di dirci
qualcosa circa le scelte verso le quali vanno le operazioni
finanziarie di Cosa nostra, tracciando almeno uno scenario di
carattere generale.
   Vorrei altresì sapere se risultino elementi in ordine a
connivenze o compromissioni di istituti bancari, specialmente
quelli di piccole dimensioni come le casse di risparmio o le
banche popolari, e quale sia il loro tasso di affidabilità
anche in relazione ad eventuali indicazioni di nominativi di
amministratori di nomina politica influenzati dalle cosche
mafiose.
  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Tinebra,
vorrei sapere se è
                         Pag. 466
 possibile avere copia dei provvedimenti restrittivi eseguiti
questa notte i quali, essendo stati comunicati agli
interessati, dovrebbero essere pubblici. Vorrei inoltre
informare i nostri ospiti che possono riservarsi di rispondere
per iscritto alle domande che, considerato il loro tenore,
comportino consultazioni di vistosi dossier. Vorrei
infine manifestare il timore che quando si parla di
commissione nazionale o mondiale, l'ascoltatore non
sufficientemente esperto corra il rischio di confondere una
procedura con un organismo, per cui potrebbero sorgere
elementi di confusione. Da ultimo desidererei sapere se a
Caltanissetta vi è un solo GIP il quale non so proprio come
potrebbe interrogare ducento persone.
   Per quanto riguarda poi la questione Falcone-Borsellino,
vorrei sapere se sono recentemente emerse informazioni in
particolare in ordine ad un rapporto inviato dalla procura di
Firenze concernente il traffico di armi. Naturalmente sarebbe
utile alla Commissione sapere se siamo ancora nella fase
preliminare delle indagini o se è stato raggiunto qualche
obiettivo. Personalmente ritengo che la situazione sia diversa
per i due casi.
  GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di
Caltanissetta. Signor presidente, vorrei pregarla di
proseguire i nostri lavori in seduta segreta, in quanto ho il
timore di rivelare qualche dettaglio nella foga del mio
intervento.
  PRESIDENTE. Sta bene. Da questo momento i nostri lavori
continuano in seduta segreta. Dispongo la disattivazione del
circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
  PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta
pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo.
   Vorrei chiarire per chi ci ascolta la differenza tra
commissione provinciale e regionale, da una parte, e
commissione nazionale e mondiale, dall'altro, perché non
vorrei che domani uscisse sui giornali che vi è una
commissione mondiale, il che sarebbe un po' ridicolo. La
commissione provinciale e la commissione regionale sono
organismi attinenti alla struttura di Cosa nostra, come ha
spiegato testé il procuratore dottor Tinebra, mentre la
commissione nazionale e la commissione mondiale sono procedure
d'intesa tra soggetti che si muovono sul territorio nazionale
ed internazionale per concludere determinati affari.
   Da questo momento i nostri lavori continuano in seduta
segreta. Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo
interno.
  (La Commissione procede in seduta segreta fino al
termine, alle 19,5).

 


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