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Violante: seduta 14
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                         Pag. 467
AUDIZIONE DEL DIRETTORE, GENERALE GIUSEPPE
TAVORMINA, E DEL VICEDIRETTORE VICARIO DELLA DIA,
                DOTTOR GIOVANNI DE GENNARO
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Sui lavori della Commissione:
Violante Luciano, Presidente ...................... 469, 471
                                472, 473, 498, 501, 502, 503
Bargone Antonio ........................................ 473
Borghezio Mario ................................... 501, 503
Cafarelli Francesco .................................... 503
Cappuzzo Umberto ....................................... 470
D'Amelio Saverio .................................. 469, 473
Florino Michele ................................... 502, 503
Frasca Salvatore ............................. 470, 471, 472
Matteoli Altero .................... 469, 471, 472, 473, 479
Scotti Vincenzo ........................................ 503
Tripodi Girolamo ....................................... 501
Audizione del direttore, generale Giuseppe
Tavormina, e del vicedirettore vicario della DIA,
dottor Giovanni De Gennaro:
Violante Luciano, Presidente ...................... 473, 475
                                          477, 478, 480, 485
                           488, 489, 491, 494, 495, 497, 498
Angelini Piero Mario .............................. 479, 485
                         Pag. 468
Borghezio Mario ................................... 482, 491
Brutti Massimo .......................... 480, 488, 489, 498
Cabras Paolo ...................................... 484, 493
Cappuzzo Umberto ....................................... 475
D'Amato Carlo ..................................... 483, 492
De Gennaro Giovanni, Vicedirettore vicario
della DIA .......................... 476, 477, 495, 497, 498
Folena Pietro .......................................... 482
Imposimato Ferdinando .................................. 479
Matteoli Altero ......................... 477, 493, 497, 501
Ricciuti Romeo ......................................... 490
Riggio Vito ............................................ 480
Scotti Vincenzo ........................................ 481
Tavormina Giuseppe, Direttore della DIA ................ 474
                                          475, 486, 488, 489
                                490, 491, 492, 493, 494, 495
Tripodi Girolamo .................................. 478, 479
ERRATA CORRIGE ......................................... 504
                         Pag. 469
La seduta comincia alle 15.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
              Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. L'onorevole Matteoli ha chiesto di parlare
sui lavori della Commissione.
  ALTERO MATTEOLI. In sede di ufficio di presidenza
allargato ai rappresentanti dei gruppi è stato esaminato il
programma di lavoro della Commissione. In quell'occasione ho
espresso la mia contrarietà sull'intenzione dell'ufficio di
presidenza ristretto di recarsi a Catanzaro o altrove a nome
della Commissione. Nonostante questo, ho appreso dalla
televisione e dai giornali che i membri dell'ufficio di
presidenza si sono recati a Catanzaro. Vorrei sollevare la
questione davanti al plenum della Commissione, perché
continuo a ritenere che non possiamo dare deleghe di questo
tipo all'ufficio di presidenza. Oltre a questo, desidero
sollevare un altro problema. Gli uffici della segreteria sono
a disposizione - diciamolo francamente - del presidente e
dell'ufficio di presidenza e non di tutta la Commissione, come
dovrebbe essere. Non faccio una richiesta ma una constatazione
se dico che gli uffici devono essere a disposizione di tutti i
componenti la Commissione.
   Inoltre, desidero sottolineare che abbiamo ricevuto una
nota alla quale - secondo quanto vi è scritto - dovrebbero
essere allegati alcuni documenti, mentre in realtà non vi è
allegato nulla. Non si tratta di questioni di secondaria
importanza, ma della visita a Catanzaro, disposta d'autorità
dall'ufficio di presidenza, senza tenere conto della
Commissione (perlomeno avremmo dovuto prendere visione
immediatamente della nota allegata).
   In un altro passaggio degli appunti, che si riferisce ai
rapporti mafia-massoneria, si parla della decisione
dell'assemblea regionale siciliana che - secondo quanto vi è
scritto - dovrebbe essere allegata in copia: in copia non è
allegato niente.
   Signor presidente, siamo all'inizio dei nostri lavori, che
saranno lunghissimi e faticosi per tutti: tra i membri della
Commissione non vi possono essere commissari di serie A e
commissari di serie B. I commissari sono cinquanta ed hanno
tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri nei confronti del
Parlamento e dei cittadini. Ovviamente, dobbiamo tenere conto
del ruolo istituzionale del presidente e dell'ufficio di
presidenza e non saremo certo io o il mio gruppo a
disattenderlo, ma soltanto in questa chiave senza alcunché di
diverso.
  SAVERIO D'AMELIO. Associandomi alle osservazioni del
collega Matteoli, rilevo che, a mio avviso, correttezza vuole
che i componenti la Commissione antimafia siano quantomeno
informati preventivamente di tutte le visite che l'ufficio di
presidenza dispone. Ciò non tanto per un'informazione fine a
sé stessa, quanto perché è nel diritto-dovere dei singoli
componenti conoscere l'andamento dei lavori della Commissione
e gli atti che essa compie o intende compiere al fine di una
partecipazione, non solo doverosa, al perseguimento
dell'obiettivo rappresentato
                         Pag. 470
dalla sconfitta della mafia. Soltanto questo è l'obiettivo
della Commissione, per cui tutto ciò che servirà a mobilitarne
i componenti credo non possa non essere accolto
favorevolmente; diversamente, ove si dovessero perpetrare e
perpetuare delle privative, non avrei più motivo di rimanere
in questa Commissione.
  UMBERTO CAPPUZZO. Signor presidente, vorrei esprimere un
apprezzamento per l'attività impegnativa della Commissione, al
quale devo però aggiungere il mio disappunto perché,
associandomi ai colleghi, trovo penalizzante per noi conoscere
dalla stampa determinate iniziative, in sé valide ma che
conferiscono, di fatto, all'ufficio di presidenza dei poteri
che questo non ha.
   Ammesso anche che si possa operare come si è fatto,
sarebbe auspicabile che, prima di effettuare una visita, si
presentasse ai membri della Commissione l'elenco degli
argomenti da trattare e sviluppare (sempre che si dia mandato
all'ufficio di presidenza in tal senso). Essere tagliati
fuori, come è avvenuto, e conoscere dalla stampa o dalla
televisione un'iniziativa dalla quale si è stati esclusi non è
certo motivo di soddisfazione per la Commissione, tenuto anche
conto che nella passata legislatura, nel corso della quale
lei, signor presidente, era membro della Commissione, si è
operato in maniera diversa, anche nel concordare le date. Ora,
siamo posti di fronte a fatti compiuti; abbiamo ricevuto oggi
il promemoria relativo al pentito che ascolteremo venerdì e al
quale dobbiamo dare risposta entro domani.
   Sembra inoltre che siamo membri di questa Commissione a
tempo pieno, mentre in realtà lo siamo anche del Parlamento e
di altre Commissioni, spesso con l'obbligo di presenza in aula
- come accade oggi - legato alla situazione parlamentare.
Auspico quindi che si realizzi un certo coordinamento nella
programmazione dei lavori e che i documenti ci vengano forniti
con un congruo anticipo. Inoltre, dovremmo avere informazione
delle attività dell'ufficio di presidenza, alle quali,
comunque, sarebbe preferibile potesse partecipare chi è di
volta in volta interessato. In ogni caso, bisognerebbe che ai
membri della Commissione fosse chiesto se desiderino porre
questioni particolari a coloro che vengono ascoltati, in modo
che ogni volta vi sia il coinvolgimento di tutta la
Commissione. D'altronde, la Commissione è tale nella sua
collegialità e non può delegare se non ai gruppi di lavoro che
lei, signor presidente, ha costituito e che devono, di volta
in volta, riferire agli altri colleghi.
   Queste sono le questioni che volevo sottoporre alla sua
attenzione, ribadendo peraltro l'importanza di un
coordinamento del lavoro di questa Commissione con le altre
attività che dobbiamo svolgere. E' questo un aspetto assai
delicato e di non facile soluzione ma credo che possa essere
affrontato attraverso l'opera degli uffici, che potrebbero
contattare i singoli membri della Commissione per avere
notizia della loro disponibilità. E' capitato molte volte che
alcuni di noi abbiano dovuto lasciare quest'aula mentre è in
corso la seduta, come dovremo fare tra mezz'ora, per obblighi
di presenza in Senato. I membri appartenenti a quella delle
due Camere più impegnata in questo momento, per forza di cose,
dovranno fare registrare un'assenza che non dipende da loro.
  SALVATORE FRASCA. Signor presidente, vorrei richiamare
la sua attenzione sulla necessità di evitare che i lavori di
questa Commissione si sovrappongano a quelli delle Commissioni
ordinarie e dell'Assemblea. Se così avviene, come mi pare stia
avvenendo, siamo costretti ad una scelta drammatica: optare
per l'uno o per l'altro impegno. Dal punto di vista della
deontologia professionale, ciò non è corretto, per cui vorrei
pregarla di fare in modo che le sedute della Commissione
antimafia non coincidano con quelle delle Commissioni
permanenti o delle Assemblee. Poiché non ci ha prescritto il
medico di fare parte di questa Commissione, ma lo abbiamo
scelto a seguito di una opzione politica e culturale, credo
                         Pag. 471
che possiamo impegnarci a lavorare in questa sede il martedì
o il venerdì, dando il meglio di noi stessi.
   Ricollegandomi a quanto ha detto il collega Matteoli,
vorrei dire che ho appreso leggendo i giornali che i membri
dell'ufficio di presidenza si sono recati presso la corte
d'appello di Catanzaro. Come lei sa, signor presidente, sono
calabrese e mi è dispiaciuto sapere che l'ufficio di
presidenza della Commissione della quale faccio parte si è
recato in Calabria senza che io ne abbia saputo nulla, non
fosse altro per darmi la possibilità di salutare il presidente
ed i colleghi nella mia regione che ha tanti difetti ma è
molto ospitale. Esprimo per questo il mio disappunto.
   Dal collega Olivo - anche a nome del quale parlo ed
esprimo disappunto - ho appreso che la Commissione avrebbe
deciso (decisione che io ignoro) che non possano far parte
delle delegazioni che si recano nelle singole regioni i
parlamentari locali.
  PRESIDENTE. Non è vero.
  SALVATORE FRASCA. Ne prendo atto. Altrimenti avrei
dovuto dire che dell'ufficio di presidenza fanno parte
colleghi che sono stati candidati o eletti in Calabria. Questa
mi sarebbe parsa una discriminazione. Ritengo che fatti di
questo genere non si debbano più verificare e che comunque
ciascun impegno della Commissione debba essere approvato
preventivamente, dal momento che tutti siamo su un piano di
parità; anche il nostro presidente, nei confronti del quale
riconfermiamo la nostra stima, non è altro che un primus
inter pares perché, se si dovesse creare una gerarchia di
valori, contravverremmo allo spirito istitutivo della
Commissione stessa.
   Per quanto riguarda il merito avrei delle riserve da
avanzare, perché penso che così come la magistratura non debba
travalicare i compiti che la Costituzione le assegna, noi
dobbiamo fare altrettanto. Esprimo la mia solidarietà nei
confronti della famiglia del sovrintendente di polizia Aversa,
di Lamezia Terme; sono dalla parte di coloro i quali chiedono
che i responsabili dei delitti vengano puniti, però penso di
poter affermare che se la Commissione interferisce
nell'operato della magistratura rischia di commettere errori,
non soltanto di natura formale ma anche sostanziale.
   Voglio altresì rilevare che in una relazione inviata a
questa Commissione dal procuratore di Palmi Cordova si fa
riferimento ad una audizione che si sarebbe svolta il 22
settembre scorso: dalle notizie in mio possesso non risulta
invece che il procuratore Cordova sia stato ascoltato dalla
Commissione antimafia.
  PRESIDENTE. La Commissione è stata infatti costituita il
30 settembre 1992.
  SALVATORE FRASCA. Allora vuol dire che vi è
un'inesattezza, una delle tante cui ci ha abituato il
procuratore Cordova nel corso di questi ultimi tempi.
  ALTERO MATTEOLI. Può essere stato un errore di
battitura!
  SALVATORE FRASCA. No, non è un errore di battitura.
  ALTERO MATTEOLI. Non possiamo accettare valutazioni di
merito su un errore che è palesemente dattilografico.
  SALVATORE FRASCA. Mi dispiace che qualcuno diventi
insofferente; tuttavia ciò non mi tange ed io continuo
indisturbato nel mio intervento.
  ALTERO MATTEOLI. Indisturbato lo dici tu, perché io ti
disturbo.
  SALVATORE FRASCA. Tu non hai il diritto di disturbarmi!
  ALTERO MATTEOLI. Ti disturbo eccome!
  SALVATORE FRASCA. Posso essere richiamato soltanto dal
presidente.
                         Pag. 472
  PRESIDENTE. Ma io non la richiamo.
  SALVATORE FRASCA. Stavo dicendo che poiché il
procuratore della Repubblica Cordova, nella missiva inviata in
data 3 ottobre 1992, fa riferimento ad una sua audizione del
22 settembre scorso, desideravo sapere se questa audizione vi
sia effettivamente stata; prendo atto che non vi è stata e che
non poteva esserlo perché la Commissione non era stata ancora
costituita. Ciò significa che vi è un'inesattezza, che non può
essere il prodotto di una battitura a macchina, ma che è
frutto quantomeno di un pessimo ricordo o di una memoria non
sempre funzionante del procuratore Cordova. Dico questo in
quanto le relazioni di quest'ultimo mi interessano perché
fanno riferimento ad alcune interrogazioni ed interpellanze da
me presentate, ed io ho il diritto di sapere come siano andate
realmente le cose.
  PRESIDENTE. Prima di dare la parola agli altri colleghi
vorrei fare alcune precisazioni per nostra maggiore chiarezza.
L'ufficio di presidenza, alla cui riunione hanno partecipato
tutti i presidenti di gruppo, ha deciso con il voto contrario
del collega Matteoli - devo dargli atto di questo - di recarsi
a Catanzaro: prendo ora atto di quanto mi si dice ed invito i
colleghi a riferirlo ai rispettivi capigruppo in modo che
questi ultimi, nelle riunioni dell'ufficio di presidenza
allargato, d'ora in poi si possano opporre a decisioni di
questo genere.
   Per quanto riguarda le questioni poste dal collega
Matteoli, vorrei precisare che il promemoria non è stato
redatto dagli uffici della Commissione ma da me personalmente;
pertanto gli uffici non sono al servizio di nessuno. Per
quanto mi riguarda ho il mio computer e posso lavorare
autonomamente; ho soltanto voluto agevolare il lavoro della
Commissione predisponendo il quadro delle questioni da
discutere.
  ALTERO MATTEOLI. Non mi riferivo a questo.
  PRESIDENTE. Voglio comunque far presente che è possibile
che si verifichino discrasie nel lavoro della Commissione; se
ciascuno di noi le segnala, ciò può essere di aiuto per il
nostro lavoro e non si può che esserne grati ai colleghi.
   Per quanto riguarda i documenti cui si è fatto
riferimento, non ho allegato la relazione sull'incontro di
Catanzaro in quanto i colleghi dell'ufficio di presidenza che
vi hanno preso parte non hanno ancora avuto la possibilità di
leggerla perché l'ho terminata solo questa mattina; mi è
sembrato pertanto scorretto presentare una relazione che non
sia stata approvata da chi ha partecipato a quella missione.
Tuttavia, non appena sarà possibile, sarà distribuita. Per
quanto riguarda il documento dell'assemblea regionale
siciliana assicuro che in serata ne verrà messa a disposizione
copia.
   In ordine all'audizione del 22 settembre, si tratta di un
incontro che il dottor Cordova ha avuto con il Consiglio
superiore della magistratura e non con questa Commissione,
come credo si capisca dal contesto della lettera.
  SALVATORE FRASCA. Mi scusi, signor presidente, ma la
missiva del procuratore Cordova è diretta al presidente della
Commissione antimafia presso il palazzo di San Macuto.
  PRESIDENTE. Se vuole può andare da Cordova o chiamarlo
per telefono. Ripeto ancora che quell'audizione si è svolta
davanti al Consiglio superiore della magistratura e non
riguarda questa Commissione, la quale è stata costituita il 30
settembre.
  SALVATORE FRASCA. Ne prendo atto.
  PRESIDENTE. E' molto giusta la preoccupazione espressa
dal senatore Frasca in ordine ai rapporti con l'autorità
giudiziaria. Come vedrete dalla relazione sulla missione a
Catanzaro (che potrà anche non essere approvata dalla
Commissione), si era posto il problema di
                         Pag. 473
capire per quale motivo il pubblico ministero non avesse
allegato alcuni documenti, perché da quell'omissione era
scaturita la nullità del procedimento: o è stata una
disattenzione oppure si è trattato di altro. E' emerso che si
è trattato di altro, come i colleghi sapranno. Tra l'altro un
aspetto utile di quell'incontro è stato che la procura della
Repubblica ha ritenuto di non impugnare il provvedimento della
corte d'assise che riteneva di non condividere, ma di
adempiere sostanzialmente ciò che essa chiedeva, in modo da
accelerare i tempi del processo; questo, qualunque sia l'esito
del processo, credo che giovi comunque alla chiarificazione
della situazione.
   Per quanto riguarda l'importante questione della
coincidenza del lavoro di questa Commissione con quello delle
Assemblee, abbiamo chiesto agli uffici del Senato e della
Camera a che ora si sarebbero svolte le votazioni odierne; ci
è stato risposto che si sarebbe votato dopo le 17, ma poi al
Senato l'orario è stato anticipato senza che ci venisse
comunicato. Tuttavia un problema di coordinamento esiste.
Cercheremo pertanto di tenere seduta il martedì pomeriggio e
il venerdì mattina, per evitare che insorgano i problemi che
sono stati giustamente posti.
   Faccio infine presente che la documentazione relativa
all'incontro con Leonardo Messina, richiesta dal senatore
Cappuzzo, ci è stata consegnata ieri verso le 14.
  ALTERO MATTEOLI. Il collega Cappuzzo ne ha preso
visione, ma noi non ne siamo ancora in possesso.
  ANTONIO BARGONE. E' in casella!
  PRESIDENTE. Sì, è stata inviata in casella. Si tratta
comunque di rilievi giusti, ai quali spesso si trova una
spiegazione.
  SAVERIO D'AMELIO. Ascoltando la relazione del
procuratore Tinebra di qualche settimana fa, ne ricavai
sostanzialmente un'impressione positiva; tuttavia, la sera
stessa di quell'audizione, sia la televisione di Stato sia
quelle private diedero notizia di ciò che il procuratore
Tinebra aveva detto quello stesso pomeriggio prima di essere
ascoltato dalla Commissione antimafia. Può darsi che vi sia
stato un disguido, comunque l'indomani tutta la stampa, locale
e nazionale, diede ampio risalto alla conferenza stampa che il
procuratore Tinebra avrebbe tenuto prima dell'audizione presso
questa Commissione. Per la dignità, il prestigio, il ruolo e
la capacità di impegno che questa Commissione deve avere, mi
chiedo se ciò sia corretto.
   Aggiungo che, facendo una breve comparazione tra ciò che
ricordavo o avevo appuntato mentre ascoltavo il procuratore
Tinebra e quanto egli ha affermato davanti ai giornalisti,
devo ritenere che egli è stato più loquace e ricco di
particolari con la stampa che non davanti alla Commissione.
Pongo questo problema alla presidenza ed a tutta la
Commissione, ritenendo che se continuiamo di questo passo,
cioè ad essere bypassati o anticipati da coloro i quali
vengono auditi, ci limiteremo soltanto a svolgere audizioni
formali, che a mio avviso rappresentano una perdita di tempo.
Audizione del direttore, generale Giuseppe Tavormina, e
del vicedirettore vicario della DIA, dottor Giovanni De
Gennaro.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
generale Giuseppe Tavormina, direttore e del dottor Giovanni
De Gennaro, vicedirettore vicario della DIA.
(Il generale Tavormina ed il dottor De Gennaro sono
accompagnati in aula).
  Ci scusiamo con i nostri ospiti per il ritardo, determinato
dalla discussione di alcuni problemi preliminari. Do subito la
parola al generale Tavormina, poi il dottor De Gennaro potrà
eventualmente aggiungere le proprie considerazioni e si darà
luogo al dibattito.
                         Pag. 474
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Ringrazio
il presidente Violante e la Commissione antimafia per
l'opportunità che ci hanno fornito di intervenire a questa
seduta. Penso che intendiate ascoltarci rispetto a fatti
specifici attinenti alla nostra struttura. E' anche presente
l'onorevole Scotti che, come ministro dell'interno, è stato
artefice di tale struttura, di cui mi ha posto a capo, e che
desidero ringraziare, ora per allora, nonostante non mi
manchino preoccupazioni, come egli potrà bene immaginare.
   La Direzione investigativa antimafia è sorta nel momento
in cui ci si è accorti che era necessario trovare uno
strumento più significativo nella lotta contro la criminalità
organizzata di stampo mafioso. Sono sempre convinto che il
Parlamento raccolga le istanze sociali, trasformandole in
norme e creando appositi organismi. Ho motivo di ritenere che
la genesi di tale organismo sia stata determinata quanto meno
da un certo tipo di insoddisfazione per come stavano andando
le cose con riferimento alla lotta contro la criminalità
organizzata.
   La DIA fu inizialmente impostata su due persone, il dottor
De Gennaro e me, nominate all'atto della sua costituzione.
Vennero poi stabiliti gli organici (era contemporaneamente in
corso il processo di conversione del decreto in legge) e si
diede quindi inizio alla lunghissima trafila di preparazione
dei quadri per rendere questo organismo efficiente nel più
breve tempo possibile. Una volta stabilito il numero di coloro
che avrebbero dovuto far parte della struttura fu indetto un
concorso per la scelta del personale, esaurito il quale
iniziammo a convocare le persone interessate. Nelle more di
tutto questo cercavamo di darci da fare sul piano operativo
poiché ci rendevamo conto che vi erano esigenze che
richiedevano il nostro impegno chiamandoci in causa
direttamente.
   Fin da allora iniziammo a lavorare avvalendoci soprattutto
della collaborazione degli organi di polizia ordinaria;
esaurito il concorso, soprattutto dopo le vicende estive,
abbiamo ricevuto una sollecitazione a portare avanti il
completamento dell'organico, per cui il 30 settembre la DIA ha
raggiunto la pienezza degli organici di cui era stata dotata
durante il periodo in cui è stato ministro l'onorevole Scotti.
   Allo stesso tempo si è verificata, come sapete, la
diversificazione della durata in carica dell'ufficio dell'alto
commissario, fatto che ci porrà, al 30 dicembre di quest'anno,
nella condizione di poter assorbire personale, mezzi e
strutture che fanno parte di quell'ufficio e, in parte, anche
compiti ad esso attribuiti dalla legge. Poiché la legge
prevede che a partire dal 1^ dicembre i distaccamenti che
nell'ambito dei servizi centrali delle forze di polizia si
occupano di criminalità organizzata debbano passare
nell'ambito della DIA, è stato recentemente raggiunto un
accordo concernente l'entità numerica del personale che dovrà
transitare. L'accordo prevede che ogni forza di polizia nei
servizi centrali e provinciali fornisca 80 unità, tra
ufficiali, sottufficiali ed elementi di base (quindi, tra
direttivi, quadri intermedi e base) all'organismo, a partire
dal 1
ho gennaio.
   Quando ci si occupa in tanti di attività analoghe insorge
qualche problema e non abbiamo la pretesa di costituire una
eccezione alla regola a tale riguardo; tra l'altro, devo dire
che la legge, sotto il profilo del supporto logistico, ha
demandato al dipartimento della pubblica sicurezza l'onere di
preoccuparsi di tutto ciò di cui abbiamo bisogno sul piano
delle dotazioni di mezzi. In un'ottica di tal genere, il
dipartimento di pubblica sicurezza ha fatto ciò che ha potuto,
atteso che l'organismo è sorto in un periodo in cui la legge
finanziaria era già stata approvata; l'onere che ne è derivato
al dipartimento, quindi, era aggiuntivo a quelli normalmente
sostenuti. Ciò è avvenuto perché indubbiamente si sono
verificati ritardi rispetto a talune scadenze che, a mio
giudizio, trovavano legittima giustificazione
nell'impossibilità di esaurire con immediatezza, o almeno con
la tempestività che ritenevamo assolutamente necessaria,
                         Pag. 475
determinate richieste. Devo dire a tale riguardo che, per
quanto attiene ai mezzi di cui era dotato l'ufficio dell'alto
commissario, senza aspettare la data del 31 dicembre siamo
stati in grado di disporre di talune di queste dotazioni che
sono state utilizzate per svolgere, certamente in maniera
migliore, il lavoro che stavamo già portando avanti.
   Oltre ad una direzione con sede a Roma che è articolata,
come la legge prevede, su tre reparti, disponiamo di centri
operativi esterni che a suo tempo, in sede di approvazione da
parte del consiglio generale, sono stati collocati a Roma,
Milano, Napoli, Reggio Calabria, Bari e Palermo. Taluni di
questi centri operativi hanno avuto successive articolazioni;
sono sorte altre sezioni dipendenti da questi centri come, per
esempio, quella di Catania, dipendente dal centro di Palermo.
Probabilmente tale sezione si svilupperà in proiezione e sarà
portata a livello di centro, naturalmente se gli organici ce
lo consentiranno, perché ritengo che la Sicilia necessiti oggi
di una presenza più incidente.
  PRESIDENTE. I colleghi del Senato si scusano, ma sono
costretti ad allontanarsi a causa di un concomitante impegno.
  UMBERTO CAPPUZZO. Infatti, ci dispiace anche perché è la
terza volta che si ripete questo fatto.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Per
quanto riguarda la Sicilia, come dicevo, abbiamo in programma
la costituzione in centro della sezione che stiamo
organizzando a Catania, proprio perché riteniamo che il
settore orientale presenti necessità di un certo rilievo,
pari, se non in qualche caso superiori, a quelle di talune
zone della Sicilia occidentale. Vorremmo far sentire la nostra
presenza anche in altri luoghi della regione. Mi riferisco ad
articolazioni minori nelle sedi di Trapani e Caltanissetta,
dove già esiste un nucleo che opera alle dirette dipendenze
della procura distrettuale del posto per le stragi di Capaci e
di via D'Amelio. Probabilmente, anzi quasi sicuramente, saremo
presenti anche ad Agrigento, che riteniamo ad alto
coefficiente di rischio e, per quanto concerne la Sicilia
orientale, a Siracusa.
   Nel contempo stiamo sviluppando presenze in zone del
centro-nord Italia nelle quali esistono riscontri della
presenza di appartenenti al crimine organizzato. Prevediamo
quindi di costituire un'articolazione del centro di Roma a
Firenze ed articolazioni del centro di Milano a Palermo,
Genova e Torino. Riteniamo con questo di avere esaurito il
nostro obiettivo, il programma di diffusione laddove esiste il
bisogno, tenuto conto che il totale di 1.500 unità (è questo,
grosso modo, il tetto che raggiungeremo dopo
l'assorbimento del personale dell'alto commissario e dei
servizi centrali e provinciali delle forze di polizia) non
consentirebbe, pur se la volessimo, l'eventuale presenza in
altre località.
   L'impostazione che abbiamo dato alla nostra presenza in
campo nazionale è stata determinata da criteri non
territoriali, ma funzionali. Riteniamo cioè di dover essere
presenti nelle zone in cui c'è bisogno della nostra presenza.
Nel momento in cui (fatto che naturalmente ci auguriamo) tale
presenza non dovesse più essere necessaria perché il fenomeno,
per l'azione condotta dalle forze di polizia (noi come polizia
specializzata ed altre forze di polizia ordinaria) dovesse
essere tornato a dimensioni di assoluta normalità, è chiaro ed
evidente che dovremo riproporci il problema di come utilizzare
il personale e la struttura che avevamo impiantato in quella
zona.
   Nell'ambito dell'articolazione in tre reparti della
direzione, il primo, quello delle investigazioni preventive,
si propone di impostare in maniera diversa l'attività di
polizia. Saprete certamente che la DIA è stata definita l'FBI
italiana: per quanto riguarda la conduzione di un certo tipo
di indagini si segue effettivamente il modello adottato negli
Stati Uniti da quella organizzazione. Il secondo reparto è
quello che mantiene rapporti diretti, dal
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 punto di vista funzionale, con la Procura nazionale
antimafia ed abbiamo atteso con una certa impazienza la
soluzione della questione della nomina del procuratore
nazionale antimafia e dei sostituti che a lui andranno ad
aggiungersi. Il terzo reparto cura, a fini preventivi, i
rapporti internazionali. Naturalmente, anche in questo campo
il rapporto internazionale è impostato tenendo sempre presente
il dato funzionale: laddove la nostra attività è necessaria
per la presenza di italiani all'estero che abbiano rapporti
con la malavita organizzata, in modo particolare dei paesi di
origine, stabiliamo contatti con gli organi di polizia
specializzati nel settore della criminalità del paese in
questione. Abbiamo già rapporti con l'FBI negli Stati Uniti
con la BKA in Germania, con il Canada per la presenza di
criminali di origine italiana soprattutto nelle città di
Toronto e Montreal e con gli inglesi, che a partire dal 1^
aprile hanno avvertito la necessità di creare un organismo
specializzato in tale settore con caratteristiche nazionali,
l'NCIS. Già intratteniamo relazioni in sede locale con gli
australiani con i quali si sta sviluppando un rapporto
iniziato qui in Italia.
   Devo dire, a questo proposito, che la recente visita del
presidente della BKA della Germania, signor Zachert, ci ha
offerto lo spunto per puntualizzare i termini di queste
relazioni tra i due organismi e stiamo elaborando assieme un
protocollo d'intesa nell'ambito dei settori in cui riteniamo
di dover operare congiuntamente. Probabilmente, tale
protocollo - se così può essere definito - sarà poi tenuto a
base per quanto riguarda gli altri rapporti con gli organismi
di polizia esteri, come noi interessati al fenomeno in
questione.
   In merito a tali rapporti, sottolineo che essi non
investono soltanto il settore dell'informazione e delle
notizie, cioè delle comunicazioni relative a pregiudicati, a
famiglie mafiose, a cosche eccetera. Infatti, sono previsti
scambi anche per quanto riguarda la disponibilità di mezzi e
di prodotti della scienza che possano favorire il lavoro di
investigazione, perché ci siamo accorti che presso altri Stati
vi sono organi di polizia che si interessano in maniera
specifica di aspetti che, a questo riguardo, possono essere
presi in considerazione da noi. Per esempio, abbiamo saputo
che la sede della FBI di Washington disponeva di un processo
d'informatizzazione che consentiva di trasformare l'immagine
di una persona invecchiandola fino ad avvicinarsi
verosimilmente alla realtà. Ebbene, tramite tale processo, in
questa sede della FBI americana, dopo avere utilizzato
l'immagine di un latitante italiano, del quale le foto in
nostro possesso risalivano a circa 20 anni fa e dopo aver
acquisito notizie relative alla sua famiglia di origine, è
stata creata una figura invecchiata del soggetto. Abbiamo
avuto la possibilità di mostrare quest'immagine a gente che lo
aveva visto da non molto tempo e mentre in una prima
circostanza ci fu detto che la rassomiglianza non era perfetta
e che dovevano essere apportate ulteriori modifiche, dopo che
a ciò si è provveduto ci è stata restituita una foto che,
visionata da una persona che conosce abbastanza bene quel
soggetto, è risultata molto vicina alla realtà. Sto parlando
della foto di Totò Riina, che di recente è stata pubblicata
sui giornali, di cui le sole immagini che possediamo lo
ritraggono in età giovanile.
   Poiché credo di avere abusato a sufficienza della vostra
attenzione, cedo la parola al dottor De Gennaro, vicedirettore
vicario della DIA. Resto a vostra disposizione per eventuali
quesiti ai quali spero di poter dare adeguata risposta.
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. Credo che il direttore della DIA abbia illustrato
ampiamente le articolazioni e l'impostazione dell'ufficio, per
cui, se mi è consentito, vorrei soffermarmi sui compiti che ci
sono stati attribuiti dal legislatore al fine di concretizzare
la nostra attività e le modalità operative.
   L'articolo 3 della legge istitutiva della DIA prevede che
questo organismo di
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 polizia giudiziaria svolga in particolare due funzioni:
investigazione preventiva, intesa come conoscenza del fenomeno
su cui si è poi chiamati ad operare, e compiti di polizia
giudiziaria. Questi ultimi sono delimitati in maniera fin
troppo ampia rispetto al dettato normativo riferito alla
competenza per materia della Procura nazionale antimafia e
delle procure distrettuali, che indica il campo d'azione
operativo inteso come azione di polizia giudiziaria della DIA
nel settore della criminalità organizzata di tipo mafioso.
   Ad avviso di chi, come me, da molti anni svolge attività
di investigazione, la scelta del legislatore è particolarmente
importante ed innovativa, perché, forse per la prima volta, ha
fissato in una norma di legge la necessità di individuare bene
il campo d'azione tramite un'indagine preventiva a proposito
della quale il legislatore si è preoccupato di specificare
cosa intendesse, cioè la conoscenza della struttura criminale,
del modus operandi, dei collegamenti nazionali ed
internazionali. L'attribuire poi ad un organismo investigativo
specializzato il compito di svolgere indagini di polizia
giudiziaria in quel settore è - ripeto - particolarmente
importante ed innovativo perché può consentire a chi in modo
unitario ha acquisito conoscenze specifiche del fenomeno, di
individuare gli obiettivi più pericolosi, quelli che si
ritiene di colpire con una conseguente azione di polizia
giudiziaria.
   E' per tale motivo che nella Direzione investigativa
antimafia vivono due momenti, prima quello della conoscenza,
dopo quello dell'azione investigativa. E' evidente che il
legislatore non si è soffermato ad indicare quale fosse - così
come ha fatto per le indagini preventive - il compito della
polizia giudiziaria, perché, ovviamente, in questo settore gli
agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria della DIA
operano, secondo il dettato costituzionale, alle dirette
dipendenze del magistrato, del pubblico ministero.
   La scelta accurata degli obiettivi da perseguire dipende,
chiaramente, dall'entità numerica, ovviamente relativa,
dell'organismo di cui stiamo parlando; è altresì evidente che
tale scelta è legata alle priorità in termini di sicurezza
nazionale e di rischio a cui è esposto il nostro vivere
civile.
   Devo dire che l'attività della DIA ha avuto inizio da
pochi mesi, come evidenzia anche il grafico che ho con me e
che si riferisce all'organico. Soltanto dal mese di luglio
disponiamo di un centinaio di persone per l'attività
operativa. L'entità del nostro lavoro può essere giudicata,
pertanto, solo riferendosi a questo breve periodo e non ai
mesi precedenti.
  PRESIDENTE. Dottor De Gennaro, visto che dispone di un
grafico, può illustrare alla Commissione le tappe di
costruzione dell'organico della DIA?
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. Da questo grafico, che si riferisce essenzialmente
all'impiego operativo, risulta quanto segue: ad aprile vi
erano 12 investigatori; a maggio 15; a giugno 43; a luglio
122, di cui 58 impiegati nell'attività di polizia giudiziaria;
ad agosto 206, di cui 119 impiegati nell'attività di polizia
giudiziaria (bisogna tener conto di tutte le necessità di
gestione dell'ufficio); a settembre 478, di cui 356 impiegati
in attività operative; a ottobre è stato completato
l'organico.
  ALTERO MATTEOLI. Attualmente, a quanto assomma
l'organico?
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. Attualmente vi sono 800 unità delle forze di polizia,
più circa 150 elementi di supporto dell'amministrazione civile
dell'interno, con compiti di segreteria ed i servizi.
   Come il dottor Tavormina ha spiegato prima, entro pochi
mesi l'organico raggiungerà le 1.500 unità, con un incremento
del 70 per cento delle forze di polizia e del 30 per cento del
personale di supporto.
   Dovendo destinare nel modo migliore tali risorse ad una
scelta prioritaria, abbiamo seguito le direttive del
Parlamento e del Consiglio generale cercando,
                         Pag. 478
 prevalentemente, di affrontare, anche alla luce dei tragici
eventi di quest'estate, il pericolo maggiore, cioè quello che
si è manifestato nelle sue espressioni più violente in Sicilia
ed in Calabria.
   Un problema che mi permetto di sottolineare alla vostra
attenzione è relativo alla necessità di una visione unitaria
delle attività investigative contro la criminalità organizzata
di tipo mafioso, cioè la necessità di disporre di un organismo
specializzato che possa serenamente affrontare tutti gli
aspetti della criminalità più violenta fissando obiettivi e
cercando di raggiungerli con una scelta dei tempi che consenta
di ottenere il massimo risultato nel contesto di una visione
unitaria. Dunque, non una forza di polizia, ma un organismo
investigativo in cui sia realizzata una unificazione delle
forze di polizia che abbia soltanto questo compito, cioè di
monitoraggio delle organizzazioni criminali e di
perseguimento, con azione di polizia giudiziaria, dei gruppi
più violenti che operano nell'ambito delle medesime. Se si
realizza una reductio ad unum e se non si dà luogo a
sovrapposizioni e contrapposizioni, credo che si costruisca lo
strumento migliore per raggiungere l'obiettivo finale.
L'importante è dar vita ad una quarta unità che non frantumi
ulteriormente l'azione investigativa o che, laddove tale
entità incide su determinati obiettivi prioritari, possa agire
avendo la cognizione di tutto ciò che accade nel campo della
criminalità organizzata e di tipo mafioso.
   Una sorta di reductio ad unum del punto di
riferimento dell'azione investigativa contro la criminalità
mafiosa può essere sicuramente un'arma vincente, anche perché
attualmente la criminalità di tipo mafioso ha avuto la massima
virulenza con le azioni perpetrate nell'estate. Da questo
punto di vista, vale il riferimento specifico alla Sicilia,
sulla quale maggiormente, come ha già detto il generale
Tavormina, in questo momento si concentra l'attenzione.
Peraltro, la relazione semestrale presentata al Parlamento
dall'onorevole Scotti quando era ministro dell'interno
indicava chiaramente come già prima di giugno fosse
l'organizzazione mafiosa di Cosa nostra a suscitare le
preoccupazioni maggiori.
   A me sembra che il livello di guardia non si sia ancora
abbassato, nonostante vi sia stata un'azione continua da parte
delle forze dell'ordine. Credo che il pericolo, riferendomi
alla mafia siciliana, sia ancora ad un livello molto alto ma
che la risposta sia tale - è soltanto una previsione di tipo
tecnico - da far ritenere che vi siano già delle difficoltà
nell'organizzazione di Cosa nostra. Se continuerà quest'azione
che non vorrei definire coordinata ma quanto meno congiunta,
avendo una visione unitaria dell'azione investigativa da
portare avanti, non dico che il pericolo che nasce da questa
organizzazione criminale scomparirà ma certo sarà ridotto ad
un livello accettabile, tale da non destare preoccupazione per
azioni di sfregio particolarmente violente. Direi che potrebbe
tornare ad un livello di criminalità ordinaria, tale da essere
tenuta facilmente sotto controllo.
  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor De Gennaro. Do la
parola all'onorevole Tripodi.
  GIROLAMO TRIPODI. La prima domanda che desidero
rivolgere al generale Tavormina ed al dottor De Gennaro si
ricollega a quanto avvenuto oggi a Reggio Calabria in
riferimento all'omicidio Ligato. Io, che sono appunto di
Reggio Calabria, seguo da molto tempo e con molta inquietudine
questa vicenda e sempre, insieme ai colleghi del mio gruppo,
ho denunciato che l'omicidio dell'onorevole Ligato è stato di
stampo politico-mafioso. Ero anche preoccupato che, sebbene
fossero trascorsi ormai più di tre anni - poiché l'omicidio
risale all'agosto 1989 - non vi fossero ancora notizie; anzi,
nelle ultime settimane, circolava addirittura la voce che si
stesse per arrivare ad un'archiviazione.
   Quanto avvenuto oggi è un fatto di enorme gravità. Noi
sapevamo degli intrecci tra mafia e politica (conosciamo da
molto tempo l'esistenza di questi rapporti)
                         Pag. 479
ma non sapevamo - o forse non volevamo credere - che vi fosse
una tale spietatezza all'interno di forze politiche e che
esponenti ad alto livello locale e regionale (forse anche
nazionale) potessero arrivare a concordare l'eliminazione di
un membro del loro stesso partito per impedire che questi
potesse mettere in discussione gli assetti esistenti sul piano
affaristico e politico.
  PIERO MARIO ANGELINI. Onorevole Tripodi, lei sta
emettendo una sentenza.
  GIROLAMO TRIPODI. Mi sono limitato a porre una domanda
sulla base di una certa vicenda.
   Poiché sappiamo che alla clamorosa conclusione
dell'indagine, almeno per questa prima parte, voi avete
contribuito in modo determinante, vorrei sapere se oggi
possiate darci qualche ulteriore informazione sulla questione,
anche tenendo conto del fatto che, almeno da quanto risulta
sulla base degli arresti che sono stati effettuati, i politici
coinvolti non appartengono tutti allo stesso partito bensì a
due differenti, anche se in misura diversa. Rivolgo questa
domanda poiché, nella situazione alla quale siamo di fronte, è
sicuramente importante avere la maggiore conoscenza possibile.
   La seconda domanda riguarda il piano operativo. Poiché ci
avete informato del fatto che anche in Calabria sono stati
istituiti reparti operativi della DIA, vorrei sapere se
l'organico sia ormai al completo con riferimento alle esigenze
non solo della città di Reggio ma anche della sua provincia,
nonché delle altre province della Calabria. Vorrei cioè sapere
se siate ormai in condizione di lavorare tranquillamente,
avendo a disposizione tutti i mezzi e gli uomini necessari.
  ALTERO MATTEOLI. Mi limiterò a rivolgere alcune domande
sulla DIA e sul modo in cui essa è organizzata, senza
aggiungere alcun commento.
   La prima di queste domande riguarda la scelta degli
uomini. Abbiamo appreso che oggi sono circa 800 più 150 di
supporto e che tra qualche mese saranno circa 1.500: questi
uomini vengono reclutati attraverso il volontariato oppure
vengono scelti dalla Direzione? Anche se il generale non l'ha
detto espressamente, mi è parso di capire che il numero di
1.500, al quale arriverete a gennaio, vi pare insufficiente;
vi chiedo dunque quale sia il numero che ritenete sufficiente.
   La seconda domanda si ricollega all'affermazione, fatta
dal dottor De Gennaro, della necessità di una visione
unitaria. Negli ultimi tempi, non so se a torto o a ragione -
io ritengo a ragione, ma la mia opinione non è rilevante - si
è sviluppata tra i vari organi di polizia una polemica sulla
possibilità di raggiungere o meno questa visione unitaria, sul
fatto che si siano compiuti oppure no passi avanti. Vi
domando, dunque, se riteniate che l'organizzazione della DIA
possa servire anche al fine di raggiungere questa visione
unitaria, il che costituirebbe già un notevole risultato.
   Terza domanda: possiamo dire che la criminalità
organizzata è ancora forte, così come ha sostenuto il dottor
De Gennaro, ma che oggi vi è da parte dello Stato una reazione
più incisiva di quella che vi è stata fino ai delitti Falcone
e Borsellino?
   Infine, vorrei domandare al generale Tavormina cosa si
intenda per articolazione della DIA a Firenze, Genova e
Torino. Probabilmente ho capito male, ma sembra che in alcuni
posti, come in Calabria, vi sia qualcosa di diverso che a
Firenze, Genova e Torino: riguardo a tale articolazione
possiamo parlare, per usare un'espressione assai
esemplificativa, di una specie di serie B? Vorrei comprendere
meglio questo aspetto.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Desidero ringraziare il generale
Tavormina ed il dottor De Gennaro per la preziosa
collaborazione e passare subito alle domande, che attengono
principalmente alla questione dei pentiti.
   Vorrei sapere se, a loro avviso, esista un pericolo reale
di falsi pentiti di cui Cosa nostra si possa servire per
tentare di
                         Pag. 480
delegittimare quelli che stanno collaborando lealmente, tra
virgolette, e quindi per mettere in discussione tutto il
lavoro svolto dalla stessa DIA e dai magistrati. In
particolare, chiedo se sia possibile sapere se si siano
verificati casi di questo tipo, come peraltro avvenne anche
nel corso delle indagini sulle Brigate rosse, quando un falso
pentito accusò fraudolentemente alcuni sindacalisti proprio
per diffamare la categoria dei pentiti.
   La seconda domanda riguarda, invece, ciò che sta accadendo
in Campania, con l'arresto di uomini politici, di esponenti
del Banco di Napoli e di amministratori a seguito della
confessione e della chiamata in correità da parte di Galasso.
Vorrei sapere se l'operazione in corso in Campania stia
portando risultati che possano essere considerati l'inizio di
una nuova fase per questa regione, poiché si ha l'impressione
che essa stia rimanendo fuori dalle grandi operazioni di
polizia che interessano soprattutto la Sicilia e la Calabria.
   In terzo luogo, vorrei sapere se quanto ha detto il
giudice Tinebra circa il disgregarsi delle ideologie mafiose,
che è stato uno dei punti di forza di Cosa nostra e della
stessa camorra, sia confermato da altre dissociazioni
all'interno delle associazioni mafiose.
  VITO RIGGIO. Anch'io penso che questo osservatorio
particolare vada utilizzato per porre qualche domanda relativa
al lavoro specifico che dovremo poi mettere a punto. La prima
domanda che desidero rivolgere agli esponenti della DIA è se,
sulla base dell'approccio conoscitivo e delle indagini
preventive che la DIA ha già iniziato a svolgere, nonché del
patrimonio investigativo precedente, si possa già dire
qualcosa di più in ordine ai rapporti - di cui si è molto
discusso - di predominio della mafia nei confronti della
politica o viceversa e sul livello di penetrazione. Quello che
chiedo, naturalmente, è un quadro più generale rispetto ai
fatti di dettaglio che ormai sono, se così si può dire, in
mano alla magistratura.
   Per quanto riguarda la seconda domanda mi richiamo alle
dichiarazioni del dottor De Gennaro, il quale ha detto che se
si mantiene il livello di pressione che si sta esercitando si
potrebbe riuscire a ridurre a limiti accettabili o meglio,
poiché non sono mai accettabili, meno drammatici degli
attuali... fisiologici, come suggerisce un collega...
  PRESIDENTE. A dimensione criminale.
  VITO RIGGIO. Il problema è veramente questo: depurare
dalle punte di tipo stragistico e dal terrore diffuso.
   Domando, dunque, se sia possibile avere già un'idea di
come questa strategia di contrasto stia modificando, o abbia
modificato, la risposta che Cosa nostra ha dato nella fase
precedente. Mi sembra infatti di capire che vi sono due
opinioni: una a favore della prosecuzione della linea di
contrasto duro nei confronti dello Stato, che potrebbe dar
luogo - come è stato denunciato anche in questa sede - ad
ulteriori e più gravi manifestazioni di tipo stragistico;
l'altra, più sottile, che propone una sorta di ritorno
all'antico metodo di Cosa nostra, che è quello di alzare
polveroni e diffondere sospetto, utilizzando in questo senso
anche i falsi pentiti di cui ha parlato l'onorevole Imposimato
poco fa. Abbiamo già qualche elemento che ci possa aiutare a
capire?
  MASSIMO BRUTTI. Desidero chiedere al generale Tavormina
ed al dottor De Gennaro di formulare una valutazione sullo
stato attuale, sulle difficoltà e sui problemi, se ve ne sono,
relativi all'applicazione della normativa in materia di
collaboratori con la giustizia. Quali sono i problemi aperti?
Quanto hanno giovato e quale è stata la prova dei fatti per le
norme del decreto-legge varato la scorsa estate? In
particolare, per quanto riguarda la gestione dei pentiti, si
sono posti problemi nel trapasso dall'Alto commissariato alla
DIA? Era previsto un passaggio di personale e di strutture: si
è verificato e si è verificato del tutto?
                         Pag. 481
   Vorrei poi conoscere non solo l'attuale numero degli
addetti alla DIA ma anche la loro provenienza, cioè il numero
di coloro che provengono dalle varie forze alle quali si è
attinto.
   Se ho ben capito, la distribuzione degli uffici e la
stessa articolazione della DIA sul territorio corrispondono a
criteri funzionali e quindi non sono cristallizzate ed è
possibile la mobilità. Quali criteri sono stati finora
adottati?
   Desidero, poi, porre una domanda specifica, che può darsi
non corrisponda affatto alla realtà ma che formulo per avere
un chiarimento: vi sono uffici DIA presso gli aeroporti e, in
caso di risposta affermativa, a cosa servono, a quale criterio
corrispondono?
   Infine, vorrei chiedere alcune valutazioni relative a due
ipotesi investigative. La prima riguarda la presenza mafiosa
negli apparati pubblici ed in particolare negli apparati della
regione a statuto speciale Sicilia. E' noto ed è scritto nei
libri di storia che vi è stata una fase di ritirata delle
famiglie mafiose dentro gli apparati della regione a statuto
speciale: l'episodio dell'assunzione del boss Di
Cristina alla Sochimisi sulla base della lettera di
raccomandazione di Aristide Gunnella è soltanto l'emblema di
un fenomeno assai più vasto. Oggi cosa possiamo dire di
questo?
   Inoltre, nell'ambito del vostro lavoro investigativo,
considerate il delitto Bonsignore e le vicende ad esso legate
come indicativi di una situazione che coinvolge gli apparati
pubblici della regione a statuto speciale?
   La seconda questione che intendo sollevare si riferisce
anch'essa alle ipotesi investigative; in particolare, mi ha
colpito il fatto che nelle audizioni di due collaboratori di
giustizia come Antonino Calderone e Tommaso Buscetta sia
riemerso un motivo che si poteva già individuare in altri
documenti e testimonianze e che riassumerei attraverso
l'espressione sintetica di "meccanismo unico". Le diverse
grandi organizzazioni criminali presenti nel paese, ed in
particolare nel Mezzogiorno, sono unite da una trama di
rapporti all'interno della quale chi conta di più sono i
gruppi dirigenti di Cosa nostra, tanto che le famiglie più
forti della camorra vengono identificate sia da Calderone sia
da Buscetta come una propaggine dell'organizzazione mafiosa
(Zaza e Nuvoletta fanno parte della commissione). Anche in
riferimento alla cosiddetta 'ndrangheta, manca una vera e
propria autonomia in quanto il cervello è Cosa nostra.
   Vorrei sapere quanto tali valutazioni corrispondano alla
realtà e quale sia il grado di compenetrazione. Presumo
infatti che vi sia comunque un sistema di autonomie ramificato
orizzontalmente sia per quanto riguarda la 'ndrangheta sia con
riferimento alle organizzazioni criminali della Campania.
L'idea della connessione presenta tuttavia alcuni elementi di
verosimiglianza e continuo a ritenere che all'interno di tale
connessione debba essere interpretato e indagato il delitto
Scopelliti, commesso nei pressi di Reggio Calabria, nella zona
di Villa San Giovanni, in cui sono presenti interessi e
personaggi di primo piano (di quelli che scottano) legati a
Cosa nostra.
  VINCENZO SCOTTI. Signor presidente, desidero rivolgere
ai nostri ospiti tre brevi domande. La prima riguarda il
sistema di monitoraggio: vorrei sapere, in particolare, a che
punto siano giunti i lavori di raccolta del materiale
esistente e quali ulteriori lavori siano stati condotti per
ottenere una conoscenza che sia aggiornabile in tempo reale e
quindi costituisca il punto di riferimento di ogni politica
investigativa nei confronti della criminalità.
   Vorrei sapere inoltre se a questo lavoro di monitoraggio
interno se ne colleghi uno esterno al nostro paese, ossia
condotto attraverso relazioni e raccordi con altre polizie per
disporre del quadro delle diramazioni internazionali del
fenomeno nonché dei collegamenti che si sono stabiliti e del
modo in cui vengono portati avanti.
   Ritengo che si tratti di un elemento importante per la
Commissione (mi rivolgo
                         Pag. 482
al presidente) perché significherebbe disporre di un punto di
riferimento, anche per il nostro lavoro, non episodico, in
virtù del quale condurre i necessari approfondimenti.
   Un'ulteriore questione riguarda le relazioni
internazionali e la sede di Milano che, anche per le
caratteristiche professionali della persona che vi è stata
preposta, presenta molte attinenze con il fenomeno della droga
e soprattutto del riciclaggio di denaro. Per quanto riguarda
l'aspetto particolare del riciclaggio di denaro, vorrei
chiedere ai nostri ospiti come si siano trovati nei rapporti
con le altre polizie e quali problemi siano emersi nello
sviluppo di tali relazioni.
   La terza questione riguarda il sistema degli appalti e
della spesa pubblica in generale. In particolare, vorrei
sapere se, nell'ambito delle indagini mirate, sia in atto da
parte della DIA anche su questo versante un'attività
significativa ed utile ai fini del nostro lavoro.
  MARIO BORGHEZIO. Vorrei sapere innanzitutto se la DIA
abbia predisposto un programma di indagini specifico sulla
penetrazione mafiosa nell'ambiente bancario e finanziario,
anche con riferimento ad un'eventuale partecipazione di Cosa
nostra alla compagine azionaria di società quotate.
   In ordine a tale aspetto, ritenete che si dovrebbero
introdurre norme legislative particolari? In sostanza, pensate
di potervi muovere efficacemente nell'ambito del quadro
normativo esistente o invece ritenete che sia il caso di
effettuare alcune correzioni sul piano normativo, con
particolare riguardo alla legislazione concernente le attività
bancarie?
   Ritenete inoltre di disporre di personale specializzato
adeguato ad un'attività di questo genere o pensate invece che
si debba prevedere una particolare specializzazione
(eventualmente anche mediante stage all'estero) per il
personale da adibire a questo tipo di controlli?
   Vorrei sapere inoltre se riteniate opportuno avviare o
abbiate già avviato indagini specifiche sull'attività di
usura. E' molto indicativo al riguardo un grido di allarme
lanciato a Genova dalle associazioni dei commercianti. Credo
comunque che tutte le grandi piazze in cui si svolge
l'attività del terziario, come Milano e Torino (se si vuole
parlare solo del nord ma certamente il problema riguarda, per
esempio, anche Roma) siano interessate dal problema.
   Tornando invece alle attività imprenditoriali di Cosa
nostra, vorrei sapere se, a vostro avviso, esse possano essere
efficacemente indagate e disturbate attraverso controlli
relativi agli adempimenti amministrativi, fiscali e
contributivi; vi chiedo, in altre parole, se non debba essere
posto in essere un controllo su chi dovrebbe controllare in
ordine a questo tipo di adempimenti.
  PIETRO FOLENA. La prima questione che intendo sollevare
si traduce in realtà in un chiarimento su quanto ha già
affermato il dottor De Gennaro in merito al rapporto fra la
DIA e le strutture operative della Polizia di Stato, dei
Carabinieri e della Guardia di finanza. Se ho ben compreso, la
DIA è in grado di conoscere tutte le attività poste in essere
dallo SCO, dal ROS e dal GICO; si tratta di un fatto che
spesso tra questi organismi non si verifica o accade solo in
una fase successiva, in quanto esiste un certo grado di
concorrenza.
   Vorrei in sostanza che venisse chiarito (forse è stato già
detto, ma un'ulteriore esplicitazione può essere utile) se
questa capacità di conoscenza in tempo reale comporti anche la
possibilità per la DIA di contribuire ad un indirizzo
operativo delle altre strutture, che si fondi su un'effettiva
unità di intenti ed un effettivo coordinamento. Mi riferisco,
per esempio, alla gestione dei pentiti e di alcune inchieste
sugli appalti.
   La seconda questione che intendo sollevare riguarda un
giudizio sulla fase che stiamo attraversando (qualche collega
ha già accennato a questo tema). Molti hanno interpretato gli
arresti effettuati negli ultimi mesi, lo sviluppo di alcune
inchieste giudiziarie nonché le dichiarazioni
                         Pag. 483
rese da alcuni collaboratori della giustizia alla nostra
Commissione (in sostanza la fase attuale), giungendo a
sostenere addirittura che la mafia è alle corde, sta
rantolando e che siamo quindi in una fase piuttosto avanzata.
   Personalmente esprimo un giudizio molto più prudente e
misurato, poiché ritengo che determinati titoli dei giornali
ed una certa schizofrenia, emersa nell'ambito di pochi mesi,
non contribuiscano ad una comprensione vera del fenomeno.
Vorrei comunque chiedere ai nostri ospiti se, attraverso le
conoscenze complessive dei pentiti (mi riferisco
essenzialmente alla mafia siciliana considerato che si parla
di 200 collaboratori della giustizia) e le inchieste in corso,
siano in grado di affermare che è in atto un processo di
disgregazione e di diserzione piuttosto ampia dalle file della
mafia, oppure se si possano già individuare alcuni elementi
che potrebbero configurare una nuova strategia, ossia un
abbandono da parte della mafia di alcuni dei settori più
compromessi ed esposti per mettere in campo nuove forze e
cercare di creare nuovi equilibri.
   Si tratta di un elemento di valutazione al quale occorre
prestare attenzione, soprattutto in riferimento ai fenomeni,
di cui molti ci hanno parlato in queste settimane, che si sono
sviluppati in alcune province siciliane con l'affermarsi delle
"stidde", anche se non esclusivamente in riferimento a questi
fenomeni.
   L'ultima questione su cui desidero soffermarmi è relativa
al rapporto tra mafia e massoneria: vorrei sapere se esistano
programmi di intervento e azioni investigative su questo
versante, tenendo conto anche della grande inchiesta sulla
massoneria avviata nelle ultime settimane dalla procura di
Palmi. Tutto ciò anche in considerazione del fatto che da vari
elementi, forniti anche da alcuni dei collaboratori di
giustizia dell'ultimissimo periodo come Leonardo Messina,
emergono ulteriori elementi di collegamento, per esempio in
riferimento alla stessa visita nella provincia di
Caltanissetta effettuata da Sindona nel 1979.
   Non intendo ora richiamare un argomento di cui abbiamo già
parlato in Commissione, ossia la questione della loggia di via
Diaz a Palermo, del ruolo di Mandalari e così via.
  CARLO D'AMATO. Desidero svolgere una considerazione di
carattere generale in riferimento all'esposizione del generale
Tavormina e del dottor De Gennaro in ordine ai compiti della
DIA ed alla preoccupazione che ho intuito relativamente al
fatto che la stessa DIA assuma, com'è nelle intenzioni del
legislatore, una direzionalità generale e complessiva del
monitoraggio e quindi anche delle indagini oggi affidate a
diversi corpi specializzati. In tale contesto, il ROS, lo SCO
e il GICO rappresentano indubbiamente punti di riferimento
abbastanza specifici in ordine alle attività mafiose.
   Nel momento in cui si fa riferimento al problema
dell'organico e al fatto che 1500 unità potrebbero non essere
sufficienti, mi tornano in mente le preoccupazioni espresse
dal Presidente del Consiglio, il quale ha affermato in questa
sede che uno dei grandi problemi da affrontare, di cui la
Commissione antimafia avrebbe dovuto farsi carico, è quello di
verificare il reale coordinamento tra le forze di polizia, e
in particolare tra le forze di polizia giudiziaria.
   Condivido quindi la preoccupazione circa il fatto che si
giunga a individuare al di là della DIA un ulteriore livello
considerando la stessa DIA non esaustiva rispetto ad un
compito più generale di monitoraggio nonché di indirizzo
nell'attività sistematica di lotta. Se tale compito venisse
effettivamente rispettato, 1500 unità potrebbero essere utili;
se il GICO, il ROS e lo SCO agissero nell'ambito di una
funzione di coordinamento e riferissero, come prevede la
legge, immediatamente e in maniera puntuale su ogni loro
attività, questo potrebbe essere un dato tale da indurre a
considerare adeguato l'organico cui si è fatto riferimento, in
quanto si seguirebbe una sorta di modularità nell'espletamento
dell'attività della DIA: si potrebbero utilizzare di volta in
                         Pag. 484
volta, in base alla presenza di informazioni, rapporti e
investigazioni in atto, unità già presenti sul territorio
presso altre strutture definendo quindi un unicum.
   Ritengo che l'attività della Commissione antimafia
dovrebbe spingere proprio in questa direzione, affinché
l'assetto prefigurato dal Parlamento possa rappresentare un
punto di arrivo, anche se temporaneo.
   La mia preoccupazione è indirizzata anche a sostegno di
quella che poteva sembrare una perplessità da parte dei
dirigenti della DIA. Ritengo quindi - lo ripeto - che la
nostra Commissione dovrà adoperarsi in questa direzione.
   La seconda domanda concerne il fenomeno del pentitismo,
problema sollevato da tutti gli intervenuti. Devo dire, per la
mia esperienza, anche se recente, di membro della Commissione
antimafia, che sono d'accordo con coloro i quali sostengono
che il contributo dei pentiti è positivo e rilevante.
Indubbiamente, con le dovute cautele, con i riscontri previsti
dalle leggi e in base ai criteri stabiliti dalla Corte di
cassazione, il pentitismo può essere un punto di riferimento
importante per la lotta alla mafia. Però, mi preoccupano
alcune dichiarazioni, che ho letto sulla stampa, di
personalità chiamate in causa (recentemente sono stati citati
anche magistrati). Non sono in grado di valutare l'intenzione
di criminalizzare qualcuno, perché l'onestà intellettuale
impone che non si emettano giudizi prima di conoscere i fatti.
Però, devo notare un dato: quando si tratta di politici
indicati dai pentiti, da parte della stampa non c'è la stessa
cautela nel verificare se il soggetto chiamato in causa sia
coinvolto in maniera reale. Quando invece i pentiti chiamano
in causa magistrati, da parte di qualcuno addirittura si mette
in discussione il ruolo stesso dei pentiti (un magistrato
anche autorevole ha rilasciato dichiarazioni in questo senso).
Poiché il fenomeno ha assunto tali dimensioni, la mancanza di
un punto di riferimento unico per la magistratura, che
gestisca in modo organico e anche con un criterio omogeneo i
pentiti, può determinare una utilizzazione impropria degli
stessi pentiti? Questa mancanza può provocare, da un lato,
l'attivazione dei pentiti da parte della mafia ad usum
delphini, cioè per creare sconcerto e delegittimare
l'azione della magistratura e, dall'altro, una mancanza di
professionalità, perché qualcuno ha sostenuto che quando i
pentiti erano gestiti da Falcone e Borsellino questi fatti non
si verificavano o comunque c'era maggiore cautela. Può darsi
che dica sciocchezze, ma chiedo se un'unità centrale della
superprocura possa costituire un punto di riferimento perché i
pentiti siano gestiti in maniera omogenea e si evitino
improvvisazione, mancanza di professionalità, voglia di far
carriera, scandalismo, che producono una serie di effetti
negativi.
  PAOLO CABRAS. Il dottor De Gennaro, nel sottolineare la
necessità di una visione unitaria nell'azione informativa e di
intelligence sulle attività della criminalità
organizzata, ha anche accennato alla necessità di evitare
sovrapposizioni, duplicazioni di indagini, insomma quella che
egli ha definito giustamente la frammentazione dell'azione
investigativa. Sono d'accordo su questa preoccupazione
espressa in maniera sobria ma incisiva.
   Quando abbiamo discusso in Parlamento la legge istitutiva
della DIA, si pose il problema dello scioglimento dei corpi
speciali della Polizia, dell'Arma dei carabinieri e della
Guardia di finanza (SCO, ROS e GICO), perché si pensava che la
creazione della cosiddetta FBI italiana avesse bisogno di una
eccezionale concentrazione di energie, mezzi e forze e
soprattutto necessitasse di una centrale operativa unitaria.
Ci si rispose, con qualche legittimità, che ROS, GICO e SCO
non erano nella loro azione investigativa destinati unicamente
all'azione di contrasto nei confronti della criminalità
organizzata, ma avevano un orizzonte più ampio, per cui
pensare ad uno scioglimento puro e semplice e ad una
confluenza nella DIA sarebbe stato un eccesso di zelo
unificatore. Così ci siamo
                         Pag. 485
limitati a indicare il contingente che in qualche modo già
svolgeva un'azione collegata agli scopi istituzionali della
DIA.
   L'esperienza, anche recente, ci dimostra che questi corpi
speciali conducono azioni e indagini pregevoli ma che queste
ultime si configurano come tipiche indagini parallele rispetto
ad alcune competenze svolte dalla DIA. Chiedo quindi se il
momento dello scambio delle informazioni, del coordinamento
per evitare quelle duplicazioni e frammentazioni di cui si
preoccupava il dottor De Gennaro, sia una realtà effettiva.
Esistono momenti, al di là di quelli previsti dalla legge
istitutiva (il consiglio nazionale), in cui sul terreno
operativo SCO, ROS e GICO informano, contattano, collaborano?
Per scendere sul concreto, si svolgono riunioni congiunte con
la DIA? Se così non fosse, i timori per la creazione di una
quarta polizia, già emersi nel dibattito parlamentare e
tutt'ora presenti, continuerebbero ad esistere e nessun organo
burocratico del Ministero dell'interno, nessun segretariato
generale riuscirà a supplire ad un eccesso di frammentazione.
   L'articolo 2 della legge istitutiva della DIA prevede in
maniera esplicita e per la prima volta in una legge
riguardante il contrasto alla criminalità organizzata un
intervento attivo dei servizi, sia del SISDE sia del SISMI.
Vorrei sapere se nella sia pur breve esperienza della DIA vi
sia stata un'attivazione di questa forma di collaborazione,
che rimuove - diciamo così - un'antica sonnolenza dei servizi
stessi nei confronti della criminalità organizzata.
   Per quanto riguarda il tema, già oggetto di altre domande,
delle attività economico-finanziarie della mafia, sempre più
si pone non solo alla Commissione antimafia ma credo a tutti
gli investigatori la necessità di trovare un terzo livello.
Non mi riferisco a quello di chi dirige la mafia, ai grandi
vecchi - sono convinto, come credo tutti o quasi, che non
esistano - ma all'universo inesplorato di consulenze di alta
qualità professionale in campo finanziario. La mafia che voi
giustamente inseguite, a Toronto, a New York o in Australia,
per fare sofisticate operazioni finanziarie non si può servire
del diploma del ragionier Pippo Calò; avrà bisogno di
consulenti, di società, di intermediazioni. Questo aspetto
dell'attività investigativa mi sembra carente. Fortunatamente,
conosciamo tante mappe, per così dire, delle cosche, dei
legami con la politica, con ambienti istituzionali,
amministrativi o professionali, ma sempre molto poco sappiamo
di chi veramente rende possibili sul piano operativo certe
transazioni di carattere finanziario o commerciale.
   Pongo in maniera esplicita un'ultima domanda riguardante
la deposizione del pentito Messina, che ha parlato di una Cosa
nostra nazionale e di una internazionale. Vorrei sapere se a
vostro avviso si tratti di procedure di consultazione per
creare momenti di scambio di informazioni, stanze di
compensazione degli interessi mafiosi o se invece si tratti -
come sembrerebbe dalle dichiarazioni di questo collaboratore
della giustizia - di un vero e proprio organismo, perché è la
prima volta che ne sentiamo parlare. Saremmo più portati a
pensare a procedure e prassi di consultazione; vorrei quindi
conoscere la vostra opinione.
  PIERO MARIO ANGELINI. Vorrei un chiarimento maggiore sui
rapporti con gli altri paesi. Ho capito che ci sono una serie
di rapporti basati su alcune vicende che hanno consentito di
stabilire certi contatti, ma vorrei sapere se al di là di
questi episodi vi sia la volontà di stabilire rapporti
permanenti con una serie di paesi che almeno in linea generale
rivestono grande importanza per capire i collegamenti
internazionali della mafia e della criminalità organizzata.
  PRESIDENTE. Innanzitutto, vorrei capire bene quale sia
la catena gerarchica attraverso la quale la DIA si lega al
dipartimento di pubblica sicurezza.
   Desidero inoltre sapere quali siano i problemi prioritari
che per il momento incontrate dal punto di vista strutturale e
organizzativo.
                         Pag. 486
   Vorrei sapere se il vostro personale - che proviene da
Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di finanza - provenga,
in particolare, dai settori specializzati delle forze
dell'ordine, cioè SCO, ROS e GICO; in tal caso, vorrei sapere
da quanto tempo operi in quei settori.
   Mi interesserebbe conoscere, altresì, come avvenga il
raccordo con gli altri ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria. L'articolo 13, comma 4, della legge n. 410 del
1991 stabilisce che tutti gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria devono fornire a voi ogni possibile cooperazione.
Inoltre, gli ufficiali ed agenti dei servizi centrali e
interprovinciali (cioè, SCO, ROS e GICO) "devono costantemente
informare il personale investigativo della DIA incaricato di
effettuare indagini collegate di tutti gli elementi
informativi e investigativi di cui siano venuti comunque in
possesso". A noi e credo al 90 per cento degli italiani
risulta che ciò non avviene. Poiché compito della Commissione
è anche far applicare le leggi dello Stato, dobbiamo capire
quale sia la natura delle riserve che ancora pesano: se si
tratta di stratificazioni del passato o di qualcosa d'altro
più difficilmente superabile.
   L'onorevole Scotti ha accennato ad una analisi in corso su
certe situazioni locali. Se fosse terminata, per la
Commissione sarebbe utile poterla acquisire.
   Infine, vorrei affrontare una questione già sollevata dal
collega Cabras, cioè lo scarto che si rileva tra la qualità
degli uomini che conosciamo e la cultura necessaria a gestire
questo complesso di beni e di relazioni internazionali. Si
dice che i beni sequestrati a Madonia ammontino a svariate
centinaia di miliardi: già amministrare questo tipo di
ricchezza richiede persone con notevoli capacità. Sappiamo che
il riciclaggio si svolge attraverso una serie di canali
nazionali e internazionali e che ci sono presenze, in borsa e
nel mondo finanziario, di cui la stessa Commissione antimafia
si è resa conto in passato. Ricordo che quando nella scorsa
legislatura ci recammo in missione a Milano fu indicato il
pericolo di queste presenze. Emerge dalle vostre indagini la
qualità di tali connessioni? Esistono indirizzi specifici di
lavoro in questa direzione?
   Condivido perfettamente quanto sosteneva il dottor De
Gennaro quando affermava che il problema di fondo è tagliare i
legami che fanno di Cosa nostra e comunque della mafia non una
mera organizzazione criminale, ma qualcosa di più, con valenze
di tipo politico, finanziario e via dicendo. Il primo passo
quindi è certamente quello di recidere questi canali al fine
di un ridimensionamento criminale, per poi passare ad una
seconda fase. A tal fine sarebbe utile sapere come si
sviluppino, come avvengano e quali siano queste connessioni.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Dal
momento che il dottor De Gennaro nella sua funzione di
vicedirettore vicario si interessa in particolare
dell'attività operativa, egli stesso risponderà per le notizie
riguardanti tale aspetto; ci auguriamo che la sua risposta
risulti esaustiva, anche perché le domande sono tante e in
qualche caso veramente difficili.
   Risponderò dunque per la parte che mi riguarda.
   Per quanto concerne l'omicidio Ligato, vorrei far presente
che le indagini sono condotte in sede istruttoria
dall'autorità giudiziaria; fermo restando che la nostra
attività è stata esclusivamente di sostegno rispetto a quella
dell'autorità giudiziaria medesima, questa mattina un
magistrato ha tenuto una conferenza stampa a Reggio Calabria,
per cui nulla avrei da dire in ordine alla questione in
aggiunta a quanto detto da quel magistrato. Senza mancare di
riguardo a nessuno, non sarei in grado di dire altro.
   Il centro operativo di Reggio Calabria è a tutti gli
effetti già funzionante a pieno organico. Le unità che ne
fanno parte sono 86: un dirigente, 12 direttivi (ufficiali o
funzionari), 50 ispettori o sottufficiali, 20 unità di
personale esecutivo e 3 tecnici. Direi dunque che il centro è
                         Pag. 487
nella pienezza delle sue funzioni. Non escludo - tali
valutazioni saranno sviluppate nell'arco del tempo - che la
Calabria possa richiedere e che riterremo necessaria la nostra
presenza in altre zone, per esempio in quella di Catanzaro.
   Rispetto al quesito posto dall'onorevole Matteoli sulla
scelta degli uomini, devo dire che il personale direttivo -
come avevo anticipato - è stato selezionato attraverso un
concorso nazionale. Dopo aver scelto il personale, è stata
formata una graduatoria di carattere riservato; i vincitori
sono stati quindi interpellati per sapere se gradissero
lavorare alla DIA, così come avevano dimostrato di volere con
la presentazione della domanda, e soprattutto raggiungere una
determinata sede. Nel caso di rifiuto, si è andati avanti
nella graduatoria. Tutto il personale è dunque volontario ed è
stato scelto attraverso una selezione concorsuale operata
secondo le normali regole riguardanti i concorsi per titoli.
   Per il personale intermedio e di base vi è stata
inizialmente una richiesta di carattere nominativo sulla base
di una conoscenza pregressa nei confronti di personale che
naturalmente manifestava la volontà di lavorare presso la DIA.
Successivamente sono state avanzate dai rispettivi comandi
proposte di assegnazione di aliquote nominative di personale,
su cui in qualche caso abbiamo espresso alcune riserve laddove
ci sembrava che non presentasse, almeno sulla base degli atti
matricolari, le caratteristiche idonee per militare con noi;
in tal caso abbiamo chiesto la sostituzione.
   Devo tuttavia dire, in proposito, che normalmente tutto il
personale è di buona qualità e vi sono anche eccezioni in
senso positivo, in quanto sono presenti personalità di spicco
rispetto all'attività di investigazione. Quando abbiamo
registrato carenze o ci siamo sbagliati sul conto del
personale da incorporare, anche dopo l'incorporamento ne
abbiamo chiesto l'avvicendamento e l'abbiamo ottenuto senza
eccessivi problemi da parte dei rispettivi comandi.
   Mi permetto di sottolineare al riguardo che, per quanto
concerne le forze di polizia, le unità a nostra disposizione
sono 800, mentre quelle complessivamente impegnate sono circa
250 mila.
   Il dottor De Gennaro mi ricorda che in linea di massima
questo personale, non vincitore di concorso, viene tenuto in
prova per un periodo di tre mesi al fine di verificare la
presenza di attitudini specifiche necessarie in questo genere
di lavoro, ma devo dire francamente che le cose vanno
piuttosto bene. Del resto anche per i vincitori di concorso
non è previsto un rapporto indissolubile: laddove dovessero
emergere perplessità in ordine alla capacità del soggetto di
svolgere questo lavoro - atteso che il concorso svolto era per
titoli e questi sono di servizio, di anzianità, e possono
riguardare anche attività specifiche già svolte - si
arriverebbe all'avvicendamento dell'interessato restituendolo
al suo reparto di appartenenza.
   Non ho detto che 1.500 unità sono insufficienti. Avevamo
fissato un tetto massimo ottimale di 2.500 nella pienezza
delle nostre funzioni, ma ritengo che anche 1.500, sulla base
delle nostre attuali presenze nel territorio, possono
assolvere bene al loro lavoro. Certamente, se ne avessimo
mille in più sarebbe non un onere, ma una dotazione aggiuntiva
molto bene accetta.
   Si tratta non di disporre in numero maggiore o minore di
personale in un breve periodo di tempo, ma di sedimentarne la
presenza. Organismi di questo genere con alti coefficienti di
specializzazione ai fini dell'impiego devono poter contare,
più che sul numero, sulla qualità dei soggetti che ne vengono
a far parte. Questa è l'impostazione che finora abbiamo
seguito.
   Il dottor De Gennaro potrà intervenire in ordine
all'osservazione circa la reductio ad unum, nonché
rispetto al quesito se la reazione della criminalità sia più
forte di quella dello Stato.
   Mi premeva invece sottolineare che a Firenze, Genova,
Torino, Padova e Catania non vi sono articolazioni, per così
                         Pag. 488
dire, di serie A e di serie B. Sono demoltiplicazioni di
centri: non avendo la possibilità di costituirne di molto
grossi, anche per l'entità del personale, nelle zone in cui
l'incidenza del fenomeno mafioso non è di così elevato
rischio, riteniamo di istituire reparti più modesti, più
piccoli, dipendenti naturalmente da quelli più grandi, in
maniera tale da avere un riferimento stabile e non essere di
volta in volta costretti a muoversi per verificare. Ciò è
stato fatto anche per Caltanissetta. Inizialmente, quando la
procura distrettuale di quella città ha cominciato ad
interessarsi alle stragi di Capaci e di via D'Amelio ed ha
sollecitato la nostra presenza, abbiamo istituito un piccolo
nucleo di 6 unità; successivamente ci siamo resi conto che non
erano sufficienti e quindi lo abbiamo rinforzato con altre 12.
Il nucleo sta lavorando in questo settore; non escludo che,
aggiungendo altre 10-15 unità, gli elementi aggiuntivi siano
in grado di sviluppare le attività operative relative ad altri
aspetti di interesse per quella zona sempre attinenti alla
criminalità organizzata.
   Laddove ne avvertiamo la necessità ai fini istituzionali
creiamo articolazioni demoltiplicate che siano in rapporto
costante, sistematico e di dipendenza con i centri da cui
dipendono.
   L'onorevole Imposimato giustamente affermava che esiste un
pericolo per quanto riguarda i falsi pentiti che possono
essere gestiti da Cosa nostra. Certo che questo rischio
esiste, onorevole! Lei ha svolto funzioni di magistrato a
tempo pieno e sa quanto sia presente questo rischio, anche
perché le motivazioni che sono alla base di un pentimento
difficilmente sono di carattere ideale, molte volte possono
riguardare risentimenti personali covati per anni e quindi
esplicitati in questa maniera.
   Abbiamo il dovere di accogliere le istanze avanzate; una
volta accolte, siamo tenuti ad affidarle alla valutazione
competente, serena e professionalmente valida di un
magistrato. Ci auguriamo che in quella sede siano compiute le
verifiche necessarie per evitare che sia data voce ai
risentimenti e ai livori accumulati nei confronti di
determinate persone e soprattutto che siano portate avanti
gestioni da parte delle organizzazioni da cui si proviene.
  PRESIDENTE. Finora si sono verificati casi di pentiti
strumentali?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. I pentiti
gestiti da noi finora non hanno dato adito a queste
perplessità. Per quanto riguarda invece altri tipi di gestione
devo dire che anch'io ho nutrito grosse perplessità pari a
quelle espresse dall'onorevole Imposimato, anche perché,
rispetto a taluni personaggi presentati o autoproclamatisi
come appartenenti a Cosa nostra, abbiamo appreso dai "nostri"
che tale loro appartenenza era piuttosto millantata.
  MASSIMO BRUTTI. Non è questa l'ipotesi del falso
pentito.
  PRESIDENTE. Questa non è tanto l'ipotesi del falso
pentito quanto del pentito, per così dire, che si presenta con
una qualità diversa.
  MASSIMO BRUTTI. L'ipotesi avanzata dall'onorevole
Imposimato è quella di un falso pentito infiltrato tra i
collaboratori della giustizia da Cosa nostra.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Con
riferimento ai pentiti da noi gestiti, non mi risulta che i
magistrati che li hanno ascoltati abbiano avanzato sospetti o
ipotesi di questo genere.
   In merito alle operazioni in Campania e al quesito posto
circa l'ipotesi di disgregazione della mafia avanzata dal
dottor Tinebra, rinvio al successivo intervento del dottor De
Gennaro. Mi riferisco a quanto richiesto dall'onorevole Riggio
sui rapporti tra mafia e politica per dichiarare che
francamente sull'argomento non so dare risposta. Premesso che
non sono ufficiale di polizia giudiziaria, e quindi non
partecipo neanche a livello di presenza all'escussione dei
testi (che, ripeto,
                         Pag. 489
per quanto riguarda i pentiti viene effettuata dai
magistrati), presumo che non si ricerchi la genesi di tali
rapporti e soprattutto non ci si orienti verso di essi. Sulla
base delle dichiarazioni rese, tali rapporti vengono valutati
dal magistrato il quale, nel determinare il suo convincimento
sulla scorta di una valutazione di tutto quello che è venuto
alla ribalta, arriva a conclusioni che lasciano anche
intravedere questo genere di rapporti. Sul piano personale
direi comunque cose banali, per cui ritengo che non sia il
caso di aggiungere nulla in proposito.
   Sulla strategia di contrasto, ed in particolare se essa
abbia modificato la risposta di Cosa nostra facendola passare
dallo stragismo ad altre soluzioni, non abbiamo né notizie né
ipotesi, anche se in più di una circostanza ci è stato detto
che attualmente il vertice di Cosa nostra sembra propendere
per una risposta incidente nei riguardi dell'attività svolta
dallo Stato contro la criminalità organizzata. Si può
ipotizzare che ciò debba consistere anche in fenomeni di
stragismo, o presunti tali, per la semplice ragione che se non
si riesce a colpire il soggetto individualmente e se si vuole
arrivare a tutti i costi a raggiungere l'obiettivo, si
trascura il contorno.
   Del resto, dichiaro con tutta franchezza che negli episodi
di Capaci e di via D'Amelio gli attentatori non si sono curati
della presenza di altri soggetti che non avevano niente a che
fare con i giudici Falcone e Borsellino o con le scorte che li
accompagnavano. In tali episodi delittuosi potevano
tranquillamente rimanere coinvolti innocenti presenti
occasionalmente in quei luoghi. Quando si perseguono ipotesi
di questo genere e si vogliono raggiungere certi scopi, non si
va tanto per il sottile; e se non ci sono andati in passato,
presumo che, se l'obiettivo vale, non si cureranno del
contorno neanche in avvenire. Esprimo solo un punto di vista,
ma mi sembra che esso sia basato quanto meno su presupposti
logici.
  PRESIDENTE. Scusi, generale, se la interrompo. Le è
sfuggito un termine improprio, "innocenti": intende dire
persone estranee.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA.
Certamente. Mi riferisco a persone estranee al contesto
specifico.
   Al senatore Brutti, che chiede chiarimenti sullo stato
attuale dei problemi relativi ai collaboratori della
giustizia, preciso che la gestione dei pentiti è passata dalla
competenza dell'alto commissario a quella del dipartimento di
pubblica sicurezza, che sta creando uno specifico nucleo
interforze per la gestione amministrativa dei pentiti, fermo
restando che la gestione di carattere giudiziario rimane
attribuita al magistrato.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda i pentiti la normativa è
completa?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA.
Francamente non glielo so dire. So che parecchio è stato fatto
e che anche di recente è stato affrontato il problema,
soprattutto perché si avverte la necessità di cautelare in
particolare le loro famiglie.
  MASSIMO BRUTTI. Abbiamo toccato questo aspetto specifico
con il ministro di grazia e giustizia ieri in Commissione al
Senato. Egli ci ha dichiarato che un problema ancora aperto è
quello della identità e delle attività di familiari dei
collaboratori della giustizia. E' così?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Penso di
sì.
   Per quanto riguarda poi i criteri di inserimento degli
uffici DIA nelle varie zone del paese, essi sono stati
discussi in sede di consiglio generale (era il ministro Scotti
che reggeva allora il dicastero) e sono state scelte le varie
zone in cui essere presenti. Naturalmente in quella sede erano
stati posti obiettivi di carattere strategico che riteniamo
tuttora validi; le articolazioni successive sono state invece
demoltiplicazioni basate su obiettivi
                         Pag. 490
di carattere tattico, insorti di volta in volta o già
conosciuti in precedenza.
   Preciso che attualmente non abbiamo presenze negli
aeroporti. Riteniamo che sarebbe utile avere non uffici ma
terminali almeno negli aeroporti di Roma e di Milano, che sono
quelli di maggior rilievo anche ai fini del movimento di
persone che potrebbero interessarci, per poter favorire lo
sviluppo di attività operative che dovessero coinvolgere
persone in arrivo o in partenza da tali aerostazioni. Niente
di consistente, comunque, semplicemente avvisatori della DIA,
cioè persone in grado di effettuare determinati controlli ed
accertamenti.
  ROMEO RICCIUTI. Forse sarebbe interessante tenere sotto
controllo gli aeroporti dove arrivano voli charter e non
quelli di linea, perché lì il controllo è pressoché
inesistente.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Mi
consenta di precisare che non esercitiamo un controllo
all'atto in cui i passeggeri arrivano o partono, perché ciò
tra l'altro esulerebbe dai nostri compiti e richiederebbe una
diversa presenza. Ritengo che un controllo del movimento dei
passeggeri sia necessario in tutti gli aeroporti italiani,
dove fanno scalo i voli di linea e dove lo fanno i voli
charter. Presumo che a Ciampino ci sia una presenza...
  ROMEO RICCIUTI. Mi riferisco in particolare a Lamezia
Terme.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Questo
francamente non glielo so dire.
   In ogni caso, laddove dovessimo avere un'esigenza di
carattere operativo che richiedesse la nostra presenza in un
determinato punto anche al di fuori degli aeroporti italiani,
è evidente che in tale circostanza saremmo sicuramente
presenti. La sua, onorevole Ricciuti, è comunque
un'indicazione di cui terremo conto.
   Sul quesito concernente gli inserimenti mafiosi in
apparati pubblici delle regioni a statuto speciale, mi sia
consentito osservare che non abbiamo elementi specifici. Se
nell'arco di indagini in corso dovessero emergere riscontri al
riguardo, faremmo il nostro dovere in direzione di
appartenenti alla criminalità organizzata: se emergeranno
connessioni di tal genere, ci potrà dispiacere ma certo non ci
fermeremo davanti a sbarramenti di questo tipo.
   Sulla questione attinente alle dichiarazioni di Calderone
e di Buscetta per quanto riguarda i rapporti tra Cosa nostra e
le organizzazioni, diciamo, minori della Calabria, della
Campania e della Puglia, posso affermare che siamo convinti
che tali rapporti ci siano, tant'è vero che una delle ipotesi
di lavoro - e di questo parlerà più specificamente il dottor
De Gennaro - in ordine all'omicidio Scopelliti prevede proprio
un raccordo della 'ndrangheta con Cosa nostra siciliana.
   All'onorevole Scotti, che ha domandato a che punto siamo
con i lavori di assemblaggio del preesistente presso la nostra
struttura, rispondo che stiamo andando avanti
progressivamente. Quanto al monitoraggio delle organizzazioni
criminali, come è noto, abbiamo dovuto superare qualche
incomprensione iniziale che aveva dato luogo a perplessità
soprattutto in relazione alle competenze; adesso la situazione
si è chiarita, almeno sotto certi aspetti, dal momento che la
competenza specifica su tale aspetto è stata attribuita alla
Criminalpol, nella persona della vicecapo della polizia e capo
della Criminalpol. A questa operazione di monitoraggio
partecipano, come sempre del resto, tutte le forze di polizia
ordinaria e partecipiamo anche noi, in maniera da offrire un
contributo valido ai fini sia del completamento del lavoro sia
dell'eventuale utilizzo del materiale raccolto.
   Sul monitoraggio effettuato con organismi esteri non sono
in grado di fornire notizie precise perché tale azione - lo
ripeto - viene sviluppata dalla Criminalpol.
                         Pag. 491
I collegamenti che invece manteniamo, per la parte di nostra
competenza, con organismi esteri sono abbastanza
soddisfacenti. E' noto che al riguardo abbiamo avuto una fase
estremamente travagliata e laboriosa, anche perché in questo
campo bisogna superare non tanto le incomprensioni che possono
sorgere in ambito nazionale quanto le eventuali resistenze
opposte in ambito internazionale. Dialogare in Italia tra
organismi è difficile ma dialogare con organismi esteri è
ancora più complesso; quindi bisogna proporsi in maniera,
diciamo, gradevole nei confronti di coloro che devono
collaborare con noi o con gli altri organi di polizia
italiani.
   Per quanto riguarda la questione appalti-spesa pubblica,
per quanto ne so la DIA non sta sviluppando attività in tale
direzione, anche perché non rientra nei suoi compiti, se non
nella misura in cui vi siano riscontri di attività svolte
dalla criminalità organizzata di stampo mafioso.
   L'onorevole Borghezio parlava di indagini nell'ambiente
bancario o finanziario. Anche in questo campo devo dire che
non stiamo compiendo indagini al riguardo perché la legge non
prevede che siano condotte se non in presenza di attività
svolte da appartenenti alla criminalità organizzata. Lo stesso
vale per l'attività di usura.
   Per quanto attiene ai controlli da effettuare
sull'attività imprenditoriale di Cosa nostra, preciso che ci
sono molti organi che esercitano questi controlli di carattere
amministrativo. Posso soltanto aggiungere che è nostro
intendimento effettuare collegamenti con organismi che operano
questo genere di controlli, in modo che inserendoci nelle loro
banche dati abbiamo la possibilità di acquisire notizie che
potrebbero essere utilizzate nella nostra attività
investigativa.
  PRESIDENTE. C'è possibilità di accesso diretto?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Credo di
sì. C'è almeno grande disponibilità da parte dei titolari di
questi organismi. Si tratta naturalmente di portare avanti un
rilevante lavoro organizzativo, che per motivi di carattere
contingente finora non è stato pari a quello che sarebbe
necessario.
  MARIO BORGHEZIO. C'è collaborazione da parte
dell'Associazione bancaria italiana?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. La
collaborazione c'è ed abbiamo tenuto talune riunioni proprio
con rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana. Rilevo
che la collaborazione vi è soprattutto con la Banca d'Italia e
con l'Ufficio italiano cambi. L'ambiente bancario, come
l'onorevole Borghezio sa bene, deve essere trattato sempre con
molta attenzione. Mi pare, tuttavia, che negli ultimi tempi
(l'onorevole Scotti sa qualcosa di specifico al riguardo) la
disponibilità è stata nettamente maggiore rispetto al passato,
anche ad un passato recente.
   L'onorevole Folena ha chiesto se siamo in grado di
conoscere in tempo reale le attività svolte dagli altri
organismi di polizia che si interessano alla criminalità
organizzata: a tale proposito, vale quanto ho detto in
precedenza riguardo al fatto che sino ad oggi non abbiamo
raggiunto quei livelli di interconnessione informatica che
potrebbero consentirci contatti di questo genere.
   Inoltre, l'onorevole Folena chiedeva se, sotto il profilo
dell'attività di coordinamento, vi fosse qualcosa di fattivo.
La parola coordinamento è stata usata in moltissime occasioni
e talvolta è rimasta solo una parola. Noi riteniamo di
costituire un momento importante dell'attività di
coordinamento; il consiglio generale, istituito nel momento in
cui fu approvata la legge sulla DIA, a sua volta è stato
certamente un momento importante. Adesso mi pare vi siano
altre iniziative dirette a concretizzare in maniera più
incisiva le attività interconnesse: tra queste colloco
innanzitutto la figura del segretario generale, la cui
definizione è
                         Pag. 492
attualmente all'esame del Parlamento. Per coordinarsi non è
necessaria, a mio giudizio, solo la volontà: in qualche caso è
necessaria anche una sovraordinazione che imponga ai soggetti
che debbono coordinarsi l'obbligo di farlo.
   Sempre l'onorevole Folena chiedeva se anche la DIA
condivida la convinzione, manifestata da alcuni organi di
stampa, che la mafia sia ormai alle corde. Sono d'accordo con
lei, onorevole Folena: probabilmente si tratta di
un'enfatizzazione che in molti casi soddisfa esigenze di
carattere diverso. Certo, la situazione della mafia non è così
rosea e florida come qualche tempo fa (questo è sotto gli
occhi di tutti) ma da qui ad affermare - cosa che
desidereremmo - che la mafia è alle corde, francamente mi pare
che ancora ne corra. In effetti, è in atto qualche processo di
disgregazione, e il fenomeno dei pentiti lo dimostra:
vent'anni fa pensare ad un pentito di mafia sarebbe stato come
pensare nel 1940 di andare sulla luna! Oggi, invece, vi sono
moltissime persone che si dissociano, anche manifestando
propositi di carattere morale, psicologico, come dimostra il
caso recente di Marchese, al quale ha accennato qualche giorno
fa il dottor De Gennaro nel corso di un convegno.
   Quanto al rapporto tra mafia e massoneria, non saprei
davvero cosa dire al di fuori di ciò che ho letto sugli organi
d'informazione. Non ci siamo interessati della questione e
quindi non ne sono al corrente; di conseguenza, non saprei
indicare se vi siano azioni d'intervento a questo riguardo.
   Con le sue domande l'onorevole D'Amato ci ha riportati ai
compiti della DIA, compiti che a mio giudizio sono molto
chiari per ciò che riguarda la lotta alla criminalità
organizzata di stampo mafioso. Un altro componente di questa
Commissione ha poi ripreso quanto l'onorevole D'Amato ha detto
riferendosi al comma 4 dell'articolo 3 della legge n. 410.
Comprendo la difficoltà di rinunciare ad attività operative di
questo genere, anche se vi è moltissimo da fare nel campo
dell'operatività in altri settori; è difficile perché sono
campi estremamente interessanti e premiali. Tuttavia, se le
leggi vi sono - mi è parso di aver sentito dire - bisogna
farle rispettare, compito che non è di nostra pertinenza: noi
possiamo soltanto chiedere di poter dire la nostra.
Probabilmente in questo campo vi è qualcosa in più da fare.
  CARLO D'AMATO. In effetti, il presidente ha ripreso la
mia domanda chiedendole come il dettato legislativo venga
osservato dai destinatari, se vi siano comunicazione,
rapporti, un puntuale riferirsi alla DIA, così da determinare
comunque, indipendentemente dalle gerarchie e dalle
prerogative, un lavoro proficuo. E' senz'altro vero che
dobbiamo essere noi a far rispettare le leggi ed a verificare
i motivi per cui non vengano rispettate ma quello che a me
interessava era un vostro giudizio circa l'operatività dei
soggetti in merito.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Onorevole
D'Amato, mi consenta di risponderle in modo piuttosto vago per
ragioni che probabilmente sono più che evidenti. Non credo che
da parte degli interessati manchi la volontà di venire
incontro alle nostre richieste; d'altronde, chi può
controllare in casa d'altri se tutto ciò che si fa in questo
campo viene o meno riferito alla DIA? E' molto difficile
attuare controlli di questo genere.
   Posso dirle che finora sono state assegnate alla DIA 240
unità equamente ripartite fra le tre forze di polizia, così
com'è equamente ripartito l'intero personale investigativo di
cui disponiamo. Quanto ai compiti, è materia ancora da
definire e che presumo sarà discussa nel consiglio generale,
sede nella quale certamente il ministro Mancino saprà valutare
se ed in che misura tali compiti debbano essere attribuiti a
noi, ad altri, soltanto a noi o anche ad altri. E' materia
ancora sub iudice.
   Sempre riguardo al fenomeno del pentitismo, l'onorevole
D'Amato osservava che, mentre quando i pentiti chiamano in
causa i politici la stampa lo giudica un
                         Pag. 493
 fatto normale, nel momento in cui ad essere chiamati in
causa sono i magistrati la condizione di normalità cessa. La
gestione dei pentiti è affidata ai magistrati: quando il
pentito chiama in causa un magistrato l'interessato ha sempre
trovato da ridire ma gli accertamenti sono proseguiti, il che
significa che vi sono altri magistrati che danno credito a
quello che i pentiti dicono riguardo sia a politici sia a loro
colleghi.
  ALTERO MATTEOLI. Una risposta diplomatica.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Grazie,
ma onestamente non saprei cos'altro dire.
   Il senatore Cabras ha chiesto se SCO, ROS e GICO conducano
indagini analoghe a quelle della DIA: finora sì, si vede, lo
sappiamo. In questa sede so che sono state portate messi di
risultati conseguiti nel settore specifico allo scopo di
avvalorare l'efficienza di questi organismi, efficienza che
nessuno di noi mette in dubbio. Osservo semplicemente che vi
sono campi in cui si può proficuamente operare, anche se non
si tratta specificamente di quello della criminalità
organizzata, nel caso in cui il legislatore a suo tempo avesse
stabilito che questo genere di attività deve essere condotto
dalla DIA.
  PAOLO CABRAS. Mi interessava sapere come avvenga la
collaborazione e se questa effettivamente vi sia.
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Questo
aspetto dovrebbe essere curato dal vicedirettore generale.
Ripeto che fino ad oggi si tengono riunioni nel corso delle
quali hanno modo di incontrarsi esponenti di tutti gli
organismi; in quella sede vengono esaminati e valutati singoli
problemi ed aspetti e si assumono decisioni. Francamente, a
mio giudizio, si può fare molto di più (e si farà di certo
molto di più) quando, superata la fase iniziale, si riuscirà a
tenere un ritmo diverso, anche perché talune perplessità
tuttora esistenti probabilmente saranno superate.
   Per quanto riguarda l'intervento dei servizi di cui
all'articolo 2 citato dal senatore Cabras, debbo dire che
indubbiamente la collaborazione vi è; in passato essa avveniva
attraverso l'alto commissario ma, quando tale figura sarà
soppressa, avverrà in modo diverso. La collaborazione riguarda
soprattutto notizie attinenti alla criminalità organizzata.
L'unica preoccupazione che può sorgere a tale proposito è se i
servizi di sicurezza, che sono organi d'informazione, tendano
a trasformarsi in organi di polizia: in questo caso vi sarebbe
una commistione di compiti che certo non favorirebbe la
chiarezza operativa né degli organi di polizia né dei servizi
d'informazione. Soprattutto a questo proposito bisogna
prestare la massima attenzione quando si hanno rapporti con
organismi di polizia esteri, dove esiste una netta
differenziazione tra organi di polizia e servizi
d'informazione. Comunque, in molti paesi si sta diffondendo
l'impiego dei servizi d'informazione in compiti di lotta alla
criminalità organizzata ed al traffico di droga, beninteso
sempre con caratteristiche informative, non operative.
   Lascio al dottor De Gennaro il compito di rispondere
riguardo all'uso che la mafia fa di consulenti naturalmente di
livello spiccato. Il senatore Cabras sostiene che questo
aspetto investigativo appare carente: probabilmente è vero ma
questo nuovo modo di condurre le investigazioni è nato, almeno
per quanto ci riguarda, con la DIA.
   Quanto alla deposizione di Messina circa l'esistenza di
una Cosa nostra nazionale e di una internazionale, confesso di
essere rimasto sorpreso nell'apprendere dell'esistenza di un
simile consesso a carattere internazionale. Sono a conoscenza
di rapporti tra mafie di diversi paesi: italiana e
statunitense, italiana ed australiana, italiana e canadese ma
dell'esistenza di un organismo internazionale non avevo
cognizione. Per essere del tutto franco, non ho cognizione
neppure di un organismo a carattere nazionale: del fatto che
Cosa nostra e per essa una commissione provinciale (ammesso
che ve ne sia
                         Pag. 494
una regionale) di grandissimo rilievo come quella di Palermo
abbia rapporti con organismi mafiosi di altre zone del paese
come la 'ndrangheta, la camorra o la stessa sacra corona unita
sulla base di interessi e di traffici illeciti comuni sono
assolutamente convinto; sul fatto invece che vi sia una simile
forma di organizzazione, quasi a livello di una società per
azioni, francamente nutro qualche dubbio ed avanzo
perplessità.
   Per quanto attiene al quesito dell'onorevole Angelini
circa i rapporti della DIA con organi di polizia di altri
paesi, mi rifaccio a quanto ho già detto: a seguito della
nascita della DIA si è verificata un'accelerazione di questi
rapporti di grandissimo rilievo; contrariamente al passato, a
pari titolo concorrono tutte le organizzazioni di polizia,
intendendo con tale espressione non solo i Carabinieri, la
Polizia di Stato (che tradizionalmente si è sempre occupata di
queste cose) e la Guardia di finanza ma anche la stessa DIA.
Sottolineo con piacere la svolta che di recente è stata
impressa a tali rapporti. Ieri il ministro dell'interno si
trovava a Londra e del suo seguito facevano parte i
rappresentanti delle forze di polizia, DIA compresa.
   Signor presidente, a questo punto mi pare di dover
rispondere ai quesiti che lei ha posto.
   Una catena gerarchica con il dipartimento non esiste; il
dipartimento dà un supporto logistico all'organizzazione; vi è
un elemento di collegamento costituito dal vicecapo della
polizia; questo elemento, nella misura in cui si propone di
interferire nell'attività dell'organismo, può costituire una
limitazione. Però, ciò non si è verificato, per cui le
preoccupazioni insorte all'inizio, finora non hanno avuto modo
di essere tali. Che in futuro possano sorgere preoccupazioni
non lo escludo: dipende dagli uomini, più che da quello che la
norma prevede.
   I problemi dal punto di vista organizzativo sono quelli ai
quali facevo riferimento all'inizio; un organismo di nuova
istituzione ha bisogno di notevoli risorse per raggiungere un
livello accettabile di operatività.
  PRESIDENTE. Da quanto tempo disponete di una sede vostra
autonoma?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. La sede
nella quale ci siamo trasferiti non è nostra, si tratta di una
sede provvisoria, derivata da una soluzione di ripiego: alcuni
ambienti della scuola interforze, titolare della sede, non
venivano utilizzati; laddove vi era posto ci siamo insediati
noi.
  PRESIDENTE. Lei ha parlato di una sede provvisoria; è
prevista una sede definitiva?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Se la
scuola interforze dovrà rimanere in quella sede ed avrà
bisogno di utilizzare l'intera struttura, è chiaro che noi
dovremo trasferirci.
  PRESIDENTE. E' stato previsto il luogo definitivo?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Non
ancora. L'unica cosa prevista è che, nel momento in cui si
scioglie l'Alto commissariato, tutte le sedi di cui dispone -
compresa la palazzina Vargas che peraltro apparteneva non
all'Alto commissariato ma al SISDE - verranno destinate ai
nostri uffici. Saranno sedi aggiuntive e frazionate, che però
ci daranno la possibilità di non avere problemi dal punto di
vista dell'acquartieramento. Non nascondo che, anche
nell'attuale sede, stiamo piuttosto ristretti in ambienti non
destinati ad uffici, ma trasformati provvisoriamente in
uffici.
   Una volta che la struttura avrà raggiunto il massimo del
proprio sviluppo, la gestione avrà soltanto carattere
ordinario, ecco perché in più di una circostanza ho insistito
per avere un'autonomia gestionale che ci consenta di non dover
subire le lentezze derivanti da certi problemi
                         Pag. 495
connessi con le norme relative alla gestione dei fondi dello
Stato.
  PRESIDENTE. Per i fondi, dipendete dal dipartimento
della pubblica sicurezza?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Sempre.
   Per quanto riguarda i rapporti con altri organi di polizia
giudiziaria, come ho già detto prima in riferimento
all'articolo 3, comma 4, della legge n. 410 del 1991, per la
ripartizione dei compiti è prevista una riunione, a breve
termine, del consiglio generale; finora sono state soltanto
attribuite aliquote di personale, non per contingente come la
legge prevedeva in quanto è stato stabilito, di comune intesa,
un contingente di 80 unità per ogni forza di polizia, per un
totale di 240 unità (di cui 4 funzionari ufficiali e 36
sottufficiali ispettori).
   Per ciò che concerne l'interpretazione e l'applicazione
del citato comma 4 dell'articolo 3, credo che il consiglio
generale dovrà riunirsi più volte per giungere ad una
decisione.
  PRESIDENTE. Vi è già il decreto del ministro
dell'interno?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. In ordine
a questa questione specifica, no.
  PRESIDENTE. Nel comma 4 si legge "assegnato alla DIA nei
contingenti e con i criteri e le modalità determinati con
decreto del ministro dell'interno".
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Il
decreto sarà conseguente agli accordi che si raggiungeranno in
sede di consiglio generale.
  PRESIDENTE. Voi fate parte del consiglio generale?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Io sì.
Prima partecipavo come assistente dell'alto commissario per
fatti specifici attinenti alla DIA.
  PRESIDENTE. E adesso?
  GIUSEPPE TAVORMINA, Direttore della DIA. Adesso
intervengo per fatti attinenti alla DIA. Questo aspetto della
partecipazione, comunque, è stato già chiarito.
   Ci sono state rivolte domande a proposito
dell'amministrazione dei grossi beni della mafia e delle
connessioni. Non abbiamo ancora potuto sviluppare l'argomento;
però, poiché un terzo delle forze della DIA è costituito da
persone provenienti dal Corpo della guardia di finanza, non
escludo che nel prosieguo l'aspetto specifico
dell'amministrazione dei beni accumulati dalla mafia possa
costituire uno degli argomenti sui quali, probabilmente, i
miei successori verranno qui a riferire cose egregie (almeno
me lo auguro).
  PRESIDENTE. Speriamo che venga lei.
   Do la parola al dottor De Gennaro per le integrazioni.
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. Vorrei integrare le risposte del direttore e poi
aggiungere qualche elemento su alcune tematiche.
   L'onorevole Matteoli ha posto una domanda sulla visione
unitaria, che può essere collegata con quella dell'onorevole
Folena relativa alla frammentazione e con altre domande che
concernono la strategia operativa che bisognerebbe adottare.
Indubbiamente si avverte la necessità di avere un punto di
riferimento unico e cioè una visione completa. In proposito
vorrei soffermarmi soprattutto sull'azione di monitoraggio e
di conoscenza del fenomeno, ma anche sulla conoscenza degli
interventi investigativi.
   L'onorevole Matteoli ha chiesto se la DIA possa essere
utile a questo fine. Può esserlo, nella misura in cui - come
ha detto il generale Tavormina - la norma
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espressamente prevista dall'articolo 3, comma 4, venga
attuata. Il legislatore ha parlato di indagini collegate; da
più parti è stato fatto riferimento all'aspetto tecnico di
procedura penale dell'indagine collegata. Allora, se il
pensiero del legislatore è quello dell'indagine collegata, gli
uffici specializzati che - com'è stato detto in questa sede -
sostanzialmente svolgono gli stessi compiti e la stessa
attività, fanno riferimento all'interpretazione di indagine
collegata in termini di procedura penale, è il magistrato che
stabilisce il collegamento dell'indagine e non certamente
l'autorità di polizia o l'ufficio di polizia. Se, invece, si
vuole fare riferimento ad un'azione congiunta, allora
certamente un momento di raccordo, quantomeno conoscitivo,
sotto l'aspetto dell'azione investigativa può essere svolto
dalla DIA, se a questa viene attribuita la funzione di
organismo specializzato unificante di più esperienze. In
questi termini mi pare si dovrebbe chiarire questo aspetto.
   Per quanto riguarda la strategia della mafia - anche qui
la domanda dell'onorevole Matteoli si raccorda con quella
dell'onorevole Riggio - ed in particolare le modificazioni
delle strategie e della natura della mafia e le difficoltà
eventuali che ne potrebbero derivare a Cosa nostra, devo dire
che il cambiamento non è avvenuto adesso; da tredici anni
dedico la mia attività professionale alle indagini sullo
specifico argomento della criminalità mafiosa e posso dire che
il cambiamento di strategia della mafia deve essere datato in
un periodo antecedente. Mi pare che sia emerso, in
quest'esperienza investigativa a fianco di magistrati che
hanno dedicato il loro tempo e la loro vita a quest'azione
inquirente, che il cambiamento risale alla metà degli anni
settanta. La strategia delle organizzazioni mafiose muta nel
momento in cui si è verificato un afflusso di denaro molto
elevato, dovuto anche al cambiamento di alcune strategie
criminali ed in particolare al traffico degli stupefacenti,
anzi al coinvolgimento a livello industriale
dell'organizzazione mafiosa nel traffico di stupefacenti, che
ha comportato un cambiamento della mentalità. A quella data
viene fatto risalire, dalle indagini, il coinvolgimento di
altri gruppi criminali (con questo provo a rispondere anche
alla domanda relativa al coinvolgimento di gruppi criminali
diversi di origine italiana e non internazionale). In quel
momento cambia la regola di Cosa nostra siciliana, che, ad
esempio, da allora ammette affiliati non nati in Sicilia. E'
proprio la strategia criminale di un certo periodo che
stravolge alcune regole dell'organizzazione. In questa chiave
si possono leggere alcune scelte criminali particolarmente
violente nei confronti di uomini delle istituzioni, scelte con
valenza addirittura stragistica, laddove non si è tenuto conto
di persone estranee che potevano essere coinvolte.
   Qualche collaboratore della giustizia ha parlato di mafia
democratica prima e mafia totalitaria adesso (tutto sommato,
dei parametri dobbiamo averli, perché per anni si sono svolte
indagini sancite con sentenze della Corte di cassazione).
Mentre prima, ad esempio, la carica di responsabile
all'interno di gruppi di Cosa nostra, come quella di
rappresentante della famiglia, era elettiva ed aveva una
scadenza precisa, successivamente si è dato vita a distorsioni
delle regole. Ciò può avere indotto a modificare
l'atteggiamento nei confronti delle istituzioni e può avere
giustificato reazioni particolarmente violente. La
collaborazione di Giuseppe Marchese non può essere assorbita
dal vertice dell'organizzazione in modo indolore: si tratta di
un tradimento all'interno non della famiglia-gruppo criminale
ma della famiglia di sangue, di quello che, credo a ragione,
riteniamo sia il punto di riferimento massimo
dell'organizzazione. Questo si può tradurre in termini di
potere da parte dei vertici dell'organizzazione ed in
necessità di indebolire l'azione di contrasto.
   E' stato chiesto se possa essere prevedibile un'azione
stragistica o di polverone cioè di disinformazione da parte
della mafia. Abbiamo visto che le due cose, in alcuni momenti
storici, hanno coinciso:
                         Pag. 497
basti pensare all'estate del 1989, quando l'azione
stragistica, e cioè l'attentato alla villa di Falcone, ha
coinciso con un'azione di disinformazione operata certamente
da gruppi vicini o addirittura dalla stessa organizzazione
mafiosa.
  PRESIDENTE. Lei si riferisce alle lettere del Corvo?
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. A tutto quel periodo nel quale si colloca l'episodio
del Corvo. Vi sono state poi anche delle interpretazioni
dell'attentato a Falcone.
  PRESIDENTE. Anche pentiti hanno "giocato" in quel
periodo?
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. La mia conoscenza della tematica dei collaboratori
della giustizia risale al 1984 ed è collegata ai personaggi
più noti. A me non risultano personalmente episodi di
collaborazione voluti e finalizzati allo scopo specifico di
delegittimare altri. A questo proposito vorrei integrare la
risposta sui pentiti.
   Ritengo che la collaborazione di questi ultimi prescinda
dalle motivazioni per le quali è offerta e trovi riscontro in
un tecnico, cioè il magistrato del pubblico ministero, il
quale si avvale della polizia giudiziaria. Anche in passato di
questi specifici episodi si sono sempre occupati organi
investigativi qualificati: squadre mobili, uffici della
Criminalpol, reparti operativi dei carabinieri, sezioni
anticrimine, cioè sempre e comunque gruppi di investigatori e
non di improvvisatori, i quali hanno risposto alle domande dei
magistrati in base alle normali tecniche investigative.
Ricordo che quando si svolse l'indagine conseguente al
pentimento di Calderone, il giudice Falcone delegò al mio
ufficio 284 accertamenti, alcuni dei quali sembravano
impossibili. Anche attualmente, per quanto riguarda la
deposizione di uno dei collaboratori che sta lavorando con il
nostro ufficio, il pubblico ministero è già arrivato alla
sesta od alla settima delega di indagine. Tutto sommato vi è
un'azione di riscontro della dichiarazione resa e non mi pare
che se ne debba ricercare la motivazione; sarebbe come se il
commissario di polizia ricercasse le motivazioni che hanno
spinto un soggetto a presentare denuncia al commissariato:
accerterà dopo se si tratti o meno di una calunnia.
  ALTERO MATTEOLI. Si tratta della stessa cosa.
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. Mi riferivo all'esperienza passata, che ha condotto
anche a determinate decisioni da parte della Corte di
cassazione in ordine al riscontro dell'attività investigativa
ed inquirente compiuta.
   Per quanto riguarda i pentiti, aggiungo che in effetti vi
è una carenza normativa relativa all'identità; tuttavia la
normativa esistente è pur sempre di grande aiuto ed esaustiva
di quasi tutte le necessità, tranne su alcuni dettagli
relativi alla protezione (ma in quel caso è necessaria una
norma complessa, perché non si tratta di un semplice cambio di
nome, che già è previsto in via d'urgenza dalla legge attuale
con un documento di copertura, ma di un completo cambio di
identità, con tutte le problematiche di natura civilistica che
possono aggiungersi).
   In ordine allo specifico aspetto delle collusioni in
ambito finanziario e della necessità della mafia di avvalersi
di consulenti di particolare livello, devo dire che sulla base
dell'esperienza investigativa pregressa si è più volte
registrata, anche in tempi recenti, la presenza di personaggi
non appartenenti all'organizzazione mafiosa che agivano per
conto di mafiosi. Probabilmente essi erano a conoscenza della
natura criminale della persona con la quale trattavano, anche
se quasi sicuramente ne ignoravano l'appartenenza
all'organizzazione, che è un dato segreto, noto soltanto tra
gli stessi aderenti. Cito al proposito un'indagine abbastanza
recente che ha condotto all'arresto del responsabile di una
società finanziaria
                         Pag. 498
di Milano, Lottusi, il quale si occupava di movimentazione di
capitale per conto del gruppo Madonia: probabilmente il
Lottusi non conosceva l'appartenenza del Madonia alla mafia,
ma certamente aveva cognizione, come è stato riscontrato,
dell'illiceità di questi capitali. Devo peraltro aggiungere a
questo proposito che anche l'organizzazione mafiosa ha
compiuto un notevole salto di qualità: per esempio, già
nell'ambito della famiglia Caruana, nel 1984-1985 in Svizzera
operava uno dei figli, laureato, il quale aveva perfetta
conoscenza delle dinamiche bancarie e finanziarie, un po' come
è successo nel traffico degli stupefacenti dove la mafia è
riuscita, producendo in casa i propri tecnici, a sostituire
chimici marsigliesi "importati".
  MASSIMO BRUTTI. Qual è la situazione processuale del
Lottusi?
  GIOVANNI DE GENNARO, Vicedirettore vicario della
DIA. Non sono in grado di rispondere, trattandosi di
un'indagine che ho seguito finché sono rimasto alla direzione
del servizio centrale operativo e non ne conosco perciò gli
ulteriori esiti.
   Credo di aver risposto a tutte le domande e comunque, se
fossi stato carente, rimango a disposizione della Commissione.
  PRESIDENTE. Ringraziamo il generale Tavormina e il
dottor De Gennaro per il contributo che ci hanno fornito. Il
materiale raccolto verrà sottoposto al gruppo di lavoro che si
occupa del coordinamento delle forze di polizia al fine di
proporre alla Commissione relazioni o documenti impegnativi
per il Governo.
  (Il generale Tavormina e il dottor De Gennaro vengono
accompagnati fuori dall'aula).
              Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. Passiamo all'esame del documento già
approvato dall'ufficio di presidenza allargato ai capigruppo
nella riunione del 26 novembre. Ne do lettura:
"1) Rendiconto dei lavori:
     la Commissione ha iniziato i suoi lavori con la seduta
del 30 settembre; sinora ha tenuto 13 sedute e 12 uffici di
presidenza; sono state tenute tre |P'missioni|P' fuori sede (a
Messina, il 13 ottobre, a Gela, da parte di un gruppo di
lavoro, il 13 novembre, a Catanzaro il 28 novembre, da parte
dell'ufficio di presidenza); la Commissione ha sinora
ascoltato 54 persone;
    è stato tenuto un seminario pubblico, il 20 novembre,
sulla cooperazione internazionale nella lotta contro la mafia,
introdotto dall'on. Enzo Scotti, cui hanno partecipato il
presidente della Bundeskriminalamt, Zachert, il capo della
nuova struttura antimafia del ministero dell'Interno francese,
Poinas, il capo della polizia giudiziaria spagnola, Reverte de
Montagut;
    costituiti due gruppi di lavoro (su sistema elettorale e
su coordinamento forze polizia);
     tra pochi giorni inizierà, in attuazione di un
deliberato della Commissione, la memorizzazione informatica di
tutti gli atti di questa Commissione e di quella precedente.
2) Annullamento del processo per l'omicidio del
sovrintendente Aversa e della moglie:
     l'ufficio di presidenza allargato ai capigruppo ha
deliberato, nella seduta del 26, di acquisire rapidamente gli
elementi di conoscenza necessari per comprendere, al di là
delle notizie di stampa, le ragioni e gli effetti
dell'annullamento; è stato delegato, a tal fine, l'ufficio di
presidenza ristretto, che si è recato sabato 28 a Catanzaro,
ha acquisito gli elementi di conoscenza necessari, ha altresì
acquisito
                         Pag. 499
l'assicurazione da parte del Procuratore della Repubblica
presso il tribunale che il processo riprenderà in tempi
rapidi.
3) Piano di lavoro:
     terminare, orientativamente entro metà dicembre,
l'acquisizione degli elementi necessari per esprimere le
valutazioni della Commissione, limitatamente alle decisioni
assunte nella riunione del 29 ottobre 1992; sentire Ciancimino
entro lo stesso termine;
     predisporre prima della sospensione dei lavori per
ciascun componente della Commissione un dossier contenente
tutta la documentazione;
     quindi discutere, alla ripresa, sulla base di una
relazione, dei risultati acquisiti e della fase finale nella
quale, giusta le decisioni del 29 ottobre, dovranno essere
sentiti coloro che hanno rivestito o rivestono responsabilità
istituzionali che lo hanno richiesto, o la cui audizione si
rilevi essere necessaria per i lavori della Commissione, e
coloro che rivestono o hanno rivestito responsabilità
politiche, che si trovino in analoga situazione;
     nella seduta del 29 ottobre si decise di sentire,
conclusivamente, il presidente della Regione Siciliana,
onorevole Campione; sentire anche, conclusivamente il
Presidente del Consiglio, onorevole Amato, per le valutazioni
e gli impegni del Governo; quindi presentare la relazione al
Parlamento chiedendo ai Presidenti dei due rami ed ai
capigruppo di discuterla in tempi brevi;
     la Commissione deve curare, contemporaneamente,
attraverso appositi gruppi di lavoro, gli altri settori di
attività: si propone perciò:
  a) che la Commissione si rechi in aree
|P'esemplari|P'; si sono individuate le aree di Foggia,
Caserta, Brindisi e del Salento;
     nel corso della visita a Catanzaro sono state segnalate
come aree particolarmente esposte quelle del lametino (a
Lametia il consiglio comunale è stato sciolto per mafia), del
vibonese, del crotonese: assumere decisioni conseguenti;
  b) il Ministro dell'industria ha provveduto in data
13 novembre a nominare il Comitato previsto dalla legge
antiracket per l'esame delle richieste di risarcimento; manca
il provvedimento del Consiglio di Stato;
  c) presentare relazione su Gela (relatore: Cafarelli)
  d) di invitare il Ministro della giustizia; il
Ministro verrebbe il 18 dicembre; si è deliberato che entro il
10 dicembre i singoli commissari indichino i temi e le
questioni sulle quali si chiede la risposta del Ministro per
la seduta del 18; i quesiti saranno immediatamente inviati
all'interessato;
  e) di prendere contatti con la Commissione antimafia
del parlamento francese al fine di fissare un incontro su temi
di comune interesse (proposta coordinamento: onorevole
Fumagalli Carulli);
  f) di nominare un gruppo di lavoro per accertare le
cause dei ritardi nella irrogazione della misura di
prevenzione patrimoniale a Vito Ciancimino (ufficio di
presidenza);
  g) incontrare Sindacati di polizia e Associazione
magistrati sul progetto sicurezza.
4) Indirizzi di lavoro:
     distinzione tra responsabilità penale (che va accertata
dalla magistratura) e responsabilità politica (che è di
esclusiva competenza delle autorità politiche); si verificano
gravi distorsioni istituzionali se l'autorità giudiziaria, che
è politicamente irresponsabile, si carica o è caricata
dell'onere di accertare anche le responsabilità politiche; del
tutto inammissibile sarebbe la situazione inversa;
                         Pag. 500
    perché questa distinzione operi effettivamente, la
Commissione, come ha già deciso, e come sta facendo, deve
svolgere i suoi accertamenti con completezza e con tutte le
cautele necessarie ad evitare distorsioni, altrimenti si
attribuirebbero di fatto poteri del tutto anomali ad una
funzione politicamente irresponsabile, come quella
giurisdizionale, cui compete esclusivamente l'accertamento
delle responsabilità giuridiche (nella specie: penali);
    emerge dal lavoro sinora compiuto una straordinaria
complessità e vastità delle connessioni, che vanno ben oltre i
settori del mondo politico ed investono (con caratteri di
autonomia rispetto all'intreccio con il mondo politico)
settori delle istituzioni, delle autonomie locali, delle
professioni; emergono inoltre rapporti continuativi con molti
esponenti della massoneria (è importante la recente decisione
del Parlamento regionale siciliano);
     la Commissione deve presentare nella sua relazione
misure idonee ad avviare una fase ricostruttiva del tessuto
istituzionale, politico ed imprenditoriale;
     le proposte dovrebbero riguardare (previa determinazione
di priorità):
     la piena attuazione delle leggi esistenti, che sono
invece caratterizzate da gravi ritardi applicativi;
     il sistema dei controlli amministrativi (c'è
disponibilità tanto del presidente della Corte dei conti,
quanto del professor Sabino Cassese);
     il sistema elettorale (è già costituito un gruppo di
lavoro coordinato dall'onorevole Cabras),
     questioni attinenti all'ordinamento giudiziario
(verifiche periodiche capacità professionale, responsabilità
disciplinare, strutture di supporto adeguate, migliore
utilizzazione delle risorse esistenti), alle forze dell'ordine
(applicazione puntuale e completa della legge sulla DIA,
razionalità nell'uso delle risorse esistenti, sinergie), agli
apparati amministrativi (capacità professionale, correttezza
amministrativa, adeguatezza agli scopi), alle autonomie locali
(rivelatesi spesso troppo fragili rispetto alla forza degli
interessi in giuoco);
     appalti, riciclaggio, stupefacenti, spazio giudiziario
internazionale;
     la destinazione dei beni confiscati (salvaguardia dei
posti di lavoro);
     la scuola.
  Su alcune questioni specifiche si deve necessariamente
rinviare a relazioni successive, previa indicazione di alcune
linee di indirizzo.
5) Lavori da avviare:
  a) nomina gruppi di lavoro su questioni prioritarie:
  a1) riciclaggio, traffico di stupefacenti e relazioni
internazionali connesse: proposta: Scotti;
  a2) questioni sociali: proposta: D'Amato;
  a3) insediamenti in aree non tradizionali: proposta:
Smuraglia;
  a4) concessioni, appalti e subappalti: proposta:
Cutrera;
  a5) osservatorio sulla attuazione delle leggi
antimafia: proposta: Calvi;
  a6) destinazione beni confiscati, conservazione e
gestione beni sequestrati: proposta: Bargone;
  a7) il sistema dei controlli amministrativi:
proposta: Riggio;
  b) incontro con governi regionali che l'hanno
chiesto: Regione Sicilia (preparazione: Violante), Regione
Calabria (preparazione: Cabras);
  c) andare in Toscana (richiesta onorevole Matteoli);
                         Pag. 501
  d) richiesta del senatore Florino sulle recenti
vicende di Napoli (chiedere prima relazione al prefetto)".
  Desidero sottoporvi, colleghi, anche un argomento di cui
non abbiamo parlato nella riunione dell'ufficio di presidenza.
Come sapete, è stata scoperta una serie di depositi di armi,
per lo più provenienti dai paesi dell'est, che di solito vanno
a finire nelle mani della mafia. Dobbiamo decidere se sia il
caso di costituire un gruppo di lavoro ad hoc che segua
tale questione, al fine di approfondire chi e come sta
istruendo i processi, da dove vengono le armi e come si
approvvigiona la criminalità organizzata, o se sia preferibile
attribuire questa competenza al gruppo di lavoro che si occupa
di riciclaggio e stupefacenti.
   Comunico inoltre che è in distribuzione il documento
dell'assemblea regionale siciliana sulle questioni della
massoneria. Per quanto riguarda la relazione sulla missione di
Catanzaro, se i colleghi dell'ufficio di presidenza sono
d'accordo, verrà distribuita al fine di essere posta in
discussione nella prossima seduta.
  MARIO BORGHEZIO. Suggerisco la costituzione di uno
specifico gruppo di lavoro che si occupi della penetrazione di
Cosa nostra in campo borsistico e finanziario; mi pare che
tale materia debba essere distinta dal riciclaggio perché
sostanzialmente diversa. Anche i risultati delle audizioni
sembra abbiano confermato che i competenti organi
amministrativi e giudiziari sono ancora un po' disorientati
sull'argomento; ritengo pertanto che un gruppo di lavoro ad
hoc potrebbe colmare un vuoto notevole.
  ALTERO MATTEOLI. Per quanto riguarda la missione di
Gela, l'ufficio di presidenza compì un blitz addirittura
peggiore di quello di Catanzaro, poiché decise in modo
anomalo...
  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Matteoli, per quanto
riguarda Catanzaro la decisione fu assunta dall'ufficio di
presidenza allargato ai capigruppo, con il suo solo voto
contrario.
  ALTERO MATTEOLI. In ordine a Gela, però, la decisione fu
assunta dall'ufficio di presidenza senza nemmeno la
partecipazione dei capigruppo.
  PRESIDENTE. Era appena stato commesso un omicidio.
  ALTERO MATTEOLI. Sta bene, comunque non abbiamo ancora
ricevuto la relazione sull'incontro di Gela.
  PRESIDENTE. Non c'è una relazione.
  ALTERO MATTEOLI. Il fatto che la Commissione non sia al
corrente del lavoro svolto da un gruppo di suoi componenti...
  PRESIDENTE. Sono diciotto ore di resoconto stenografico.
  ALTERO MATTEOLI. Vorremmo almeno sapere chi è stato
ascoltato. Non sappiamo nulla; lo sanno i giornalisti ma noi
no.
  PRESIDENTE. Ripeto, si tratta di diciotto ore di
resoconto stenografico, il cui testo è stato consegnato alla
Commissione soltanto pochi giorni fa. Si può proporre che un
collega svolga una relazione informando delle questioni
trattate; se lei invece desidera avere una sintesi
dell'informazione, credo che esista un resoconto sommario.
  GIROLAMO TRIPODI. Ritengo che, proprio nell'ambito
dell'indagine che stiamo compiendo sull'intreccio tra mafia e
politica, dobbiamo occuparci dell'episodio verificatosi a
Reggio Calabria; non si tratta infatti di un problema soltanto
siciliano, come del resto non lo era nemmeno prima. In
relazione a tale episodio, che per molti aspetti mi pare
ancora più sconvolgente, penso sia utile un impegno da parte
della Commissione.
                         Pag. 502
  MICHELE FLORINO. Ritengo che si debba dare priorità
all'incontro con la giunta della regione Calabria contenuto
nel documento che ci è stato sottoposto, proprio in relazione
agli episodi che si sono verificati e che sono stati riportati
dalla stampa.
   Insisto altresì sulla richiesta, già inviata al presidente
per iscritto, relativa alle recenti vicende di Napoli, al fine
di garantire una corsia preferenziale a questo argomento.
Rispetto ad una mafia radicata in alcune regioni d'Italia e
soprattutto in Sicilia, abbiamo...
  PRESIDENTE. La invito a formulare una proposta.
  MICHELE FLORINO. La proposta è la seguente. Poiché la
connotazione mafiosa ormai è presente anche e soprattutto
nella regione Campania, non vorrei liquidare tutto con la
battuta che "mentre il medico studia l'ammalato muore"; in
particolare a Napoli la situazione mafiosa e non camorristica
è diventata preoccupante, gli intrecci sono presenti...
  PRESIDENTE. Ho previsto nel documento di richiedere una
relazione al prefetto, perché di questa vicenda si sta
occupando in questi giorni il Comitato parlamentare per i
servizi di informazione e sicurezza. Il problema è di evitare,
per ragioni di equilibrio istituzionale, che due Commissioni
parlamentari, in modo autonomo e non coordinato, si occupino
entrambe della questione. A questo scopo ho proposto di
richiedere una relazione al prefetto, in base alla quale
potremo poi decidere le singole iniziative da assumere.
  MICHELE FLORINO. Dissento da questa proposta. Ritenevo
infatti che la nostra Commissione d'inchiesta avesse l'obbligo
di intervenire per prima rispetto ad un Comitato che fa capo
ad un ministro, che purtroppo appartiene ad una parte politica
coinvolta in questa vicenda. Per motivi di opportunità
richiedo una corsia preferenziale.
  PRESIDENTE. Mi riferivo al Comitato parlamentare di
vigilanza sui servizi di sicurezza. Di quale ministro parla?
  MICHELE FLORINO. Io parlo del comitato ispettivo...
  PRESIDENTE. Si tratta di una cosa differente. Io mi
riferisco al Comitato parlamentare per i servizi di
informazione e sicurezza e per il segreto di Stato che ha oggi
all'ordine del giorno l'audizione del SISDE.
  MICHELE FLORINO. Perché un altro Comitato è andato ad
indagare...
  PRESIDENTE. Quella è un'altra cosa, non c'interessa.
  MICHELE FLORINO. Comunque, non riesco a comprendere
questa interposizione di forze. L'elemento da cui hanno preso
avvio le indagini (non mi riferisco alle intercettazioni
telefoniche) è riferito all'aspetto precedente, quello della
camorra. Il Comitato per i servizi di informazione e sicurezza
dovrebbe intervenire dopo la Commissione antimafia.
  PRESIDENTE. Sulla vicenda delle intercettazioni
telefoniche...
  MICHELE FLORINO. Non mi riferisco alle intercettazioni.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda la vicenda più
complessiva di Napoli, che certamente è gravissima, avendo
stabilito di attivare l'attenzione su alcune aree
particolarmente esposte (e mi pare che Napoli rientri tra
queste) è giusto avanzare tale proposta e vedremo in che modo
e con quali tempi rispondervi rapidamente. Se lei pone la
questione di carattere generale ha ragione, perché il Comitato
di controllo sui servizi interviene sulla specifica vicenda
delle intercettazioni.
                         Pag. 503
  MICHELE FLORINO. Infatti, pongo il problema della
lettera a lei inviata.
  PRESIDENTE. Ho capito.
   Per quanto concerne la questione della Calabria propongo
che, nell'ambito del lavoro che dobbiamo svolgere, si
consideri questo aspetto con la necessaria rapidità.
Altrimenti corriamo il rischio che venga arrestato
qualcun'altro da qualche altra parte, con una conseguente
stratificazione continua che ci impedisce di concludere
rispetto a singole questioni.
   Rispetto al problema della borsa avanzato dal collega
Borghezio, esso è comunque relativo al riciclaggio...
  MARIO BORGHEZIO. Non si tratta solo di questo, ma della
penetrazione delle aziende nella struttura economica. Si
tratta di due questioni differenti.
  PRESIDENTE. Non si tratta comunque di riciclaggio?
Comunque, poiché entia non sunt multiplicanda, potremmo
valutare se nell'ambito del gruppo di lavoro, di cui mi auguro
lei abbia tempo di far parte, emerga l'esigenza di distinguere
e separare le questioni.
  FRANCESCO CAFARELLI. Per quanto riguarda la questione
delle armi propongo di costituire un gruppo a sé stante.
  PRESIDENTE. Sono d'accordo. Ciascun capogruppo dovrà
segnalare alla presidenza i nominativi dei colleghi
interessati a partecipare all'attività di ciascun gruppo di
lavoro. Poiché vi è l'esigenza di salvaguardare il rapporto
tra maggioranza e opposizione, qualora le proposte
risultassero squilibrate si interverrà per fare in modo che
tale rapporto sia rispettato.
  VINCENZO SCOTTI. Vorrei tornare sulla questione dei
gruppi di lavoro. Si è parlato di separare il tema delle armi
da quello della droga e del riciclaggio; dalle indagini in
corso emerge abbastanza chiaramente la stretta connessione
operativa.
  PRESIDENTE. Propongo di iniziare a lavorare su entrambe
le questioni. Se sarà necessario separarle, ciò potrà essere
fatto successivamente.
   Alla luce delle considerazioni avanzate, propongo di
modificare il punto 5) del documento di cui ho dato lettura
come segue:
5) Lavori da avviare:
  a) nomina gruppi di lavoro su questioni prioritarie:
  a1) riciclaggio e penetrazione nel sistema
economico-finanziario, traffico di stupefacenti, traffico
d'armi e relazioni internazionali connesse: proposta: Scotti;
  a2) questioni sociali: proposta: D'Amato;
  a3) insediamenti in aree non tradizionali:
proposta: Smuraglia;
  a4) concessioni, appalti e subappalti:
proposta: Cutrera;
  a5) osservatorio sulla attuazione delle leggi
antimafia: proposta: Calvi;
  a6) destinazione beni confiscati, conservazione e
gestione beni sequestrati: proposta: Bargone;
  a7) il sistema dei controlli amministrativi:
proposta: Riggio;
  b) incontro con governi regionali che l'hanno
chiesto: Regione Sicilia (preparazione: Violante), Regione
Calabria, anche con riferimento alle recenti vicende di Reggio
Calabria (preparazione: Cabras);
  c) andare in Toscana (richiesta onorevole Matteoli);
  d) richiesta del senatore Florino sulle recenti
vicende di Napoli (e più in generale sulla penetrazione
mafiosa nella città); con particolare carattere di urgenza.
                         Pag. 504
  Pongo in votazione tale proposta.
  (E' approvata).
   Pongo in votazione il documento con la modifica testé
apportata.
  (E' approvato).
La seduta termina alle 18,20.
                      ERRATA CORRIGE
   Nel fascicolo n. 11, relativo alla seduta dell'11 novembre
1992, nel frontespizio e alle pagine 336, seconda colonna, e
337, prima colonna, leggasi "Francesco Cafarelli" e non
"Michele Cafarelli" come erroneamente stampato.

 


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