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Violante: seduta 25
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                        Pag. 1219
AUDIZIONE DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA GASPARE
                          MUTOLO
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Audizione del collaboratore di giustizia Gaspare
Mutolo:
Violante Luciano, Presidente .................... 1221, 1222
              1223, 1224, 1225, 1226, 1227, 1228, 1229, 1230
              1232, 1233, 1234, 1235, 1236, 1237, 1238, 1239
              1240, 1241, 1242, 1243, 1244, 1245, 1246, 1247
              1248, 1249, 1250, 1251, 1252, 1253, 1254, 1255
              1256, 1257, 1258, 1259, 1260, 1261, 1262, 1263
              1264, 1265, 1266, 1267, 1268, 1269, 1270, 1271
              1272, 1273, 1274, 1275, 1276, 1277, 1278, 1279
              1280, 1281, 1282, 1283, 1284, 1285, 1286, 1287
              1288, 1289, 1290, 1291, 1292, 1293, 1294, 1295
              1296, 1297, 1298, 1299, 1300, 1301, 1302, 1303
              1304, 1305, 1306, 1307, 1308, 1309, 1310, 1311
              1312, 1313, 1314, 1315, 1316, 1317, 1318, 1319
                    1320, 1321, 1322, 1323, 1324, 1325, 1326
Acciaro Giovanni Carlo ................................ 1316
Bargone Antonio ................................. 1316, 1325
Biondi Alfredo .......... 1250, 1292, 1297, 1303, 1311, 1315
                                                        1325
Borghezio Mario ................................. 1315, 1316
                        Pag. 1220
Boso Erminio Enzo ..................................... 1315
Brutti Massimo .................................. 1315, 1316
Buttitta Antonino ..................................... 1317
Folena Pietro ................................... 1316, 1317
Galasso Alfredo ....................................... 1316
Imposimato Ferdinando ................................. 1325
Matteoli Altero ......... 1226, 1242, 1303, 1314, 1315, 1326
Mutolo Gaspare .......... 1221, 1222, 1223, 1224, 1225, 1226
              1227, 1228, 1229, 1230, 1232, 1233, 1234, 1235
              1236, 1237, 1238, 1239, 1240, 1241, 1242, 1243
              1244, 1245, 1246, 1247, 1248, 1249, 1250, 1251
              1252, 1253, 1254, 1255, 1256, 1257, 1258, 1259
              1260, 1261, 1262, 1263, 1264, 1265, 1266, 1267
              1268, 1269, 1270, 1271, 1272, 1273, 1274, 1275
              1276, 1277, 1278, 1279, 1280, 1281, 1282, 1283
              1284, 1285, 1286, 1287, 1288, 1289, 1290, 1291
              1292, 1293, 1294, 1295, 1296, 1297, 1298, 1299
              1300, 1301, 1302, 1303, 1304, 1305, 1306, 1307
              1308, 1309, 1310, 1311, 1312, 1313, 1314, 1315
              1317, 1318, 1319, 1320, 1321, 1322, 1323, 1324
Riggio Vito ........................................... 1316
Tripodi Girolamo ...................................... 1316
                        Pag. 1221
La seduta comincia alle 9,40.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
         Audizione del collaboratore di giustizia
                     Gaspare Mutolo.
  PRESIDENTE. Prima di far entrare l'audito, ricordo alla
Commissione che già in un'altra occasione la magistratura che
seguiva due vicende (tra cui quella relativa al questore
Contrada), per motivi di correttezza, ci chiese di non
affrontare fatti specifici.
   La magistratura che segue il collaboratore che ascolteremo
ci ha chiesto, se possibile, di non affrontare oggi le note
vicende dell'assassinio Reina, ex segretario provinciale della
democrazia cristiana, e dell'assassinio del presidente
Mattarella. Informo la Commissione che ho accettato queste
condizioni perché mi è sembrato corretto, su un piano di
collaborazione. Se su qualche punto mi capiterà di dover
interrompere il collaboratore, sarà perchè si rischia di
andare su un terreno sul quale non è opportuno soffermarci.
(Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene
introdotto nell'aula).
  PRESIDENTE. Signor Mutolo, lei è di fronte alla
Commissione parlamentare antimafia che ha già ascoltato altri
collaboratori di giustizia prima di lei. Il nostro lavoro è
diverso da quello svolto dai giudici: mentre questi hanno
bisogno di sapere fatti specifici, chi ha commesso questo
reato, chi quest'altro, a noi interessano questioni di
carattere più generale in quanto il nostro compito è quello di
conoscere l'evoluzione di Cosa nostra ed i suoi meccanismi di
arricchimento e di sviluppo per capire come meglio possiamo
contrastarla.
   Per cominciare vuol dirci come si chiama e dov'è nato?
  GASPARE MUTOLO. Mi chiamo Mutolo Gaspare e sono nato a
Palermo il 5 febbraio 1940.
  PRESIDENTE. Intende fare una dichiarazione preliminare?
  GASPARE MUTOLO. Ho sentito parlare della Commissione
antimafia che rappresenta il Governo italiano.
   L'unica cosa che posso dire è che dal momento in cui ho
iniziato a collaborare l'ho fatto in modo ampio; sono stato il
primo a correre il rischio di denunciare gli omicidi che io
stesso ho commesso.
  PRESIDENTE. Infatti lei è stato uno dei pochi a farlo.
  GASPARE MUTOLO. Non ne conoscevo le conseguenze, però ho
avuto fiducia. Dal momento in cui ho deciso di collaborare il
mio scopo principale è stato quello di sconfiggere la mafia;
altre cose nascono di conseguenza.
   L'unica raccomandazione, che facciamo io ed altri
collaboratori che hanno seguito il mio esempio, è quella di
rispettare le famiglie e di consentire ai figli di costruirsi
un avvenire.
  PRESIDENTE. Confermo che lei è stato uno dei pochi
collaboratori che hanno denunciato i propri omicidi. Quando è
entrato a far parte di Cosa nostra?
                        Pag. 1222
  GASPARE MUTOLO. Sono entrato a far parte di Cosa nostra
nel 1973.
  PRESIDENTE. Come?
  GASPARE MUTOLO. Quando mi hanno affiliato mi trovavo a
Napoli, nella casa di un certo Lorenzo Nuvoletta. Sono stato
aggregato al gruppo di Saro Riccobono (le famiglie ancora non
esistevano); però già prima di allora conoscevo alcuni
personaggi, per cui non sono entrato in un mondo nuovo, anche
se ne ignoravo le regole ed i comportamenti, però in qualche
modo avevo una certa conoscenza...
  PRESIDENTE. Come mai aveva questa conoscenza?
  GASPARE MUTOLO. Per chi abita e vive a Palermo la realtà
è quella che è. Inoltre, avevo degli zii uomini d'onore: posso
nominare un certo Ingrassia Giuseppe.
  PRESIDENTE. Un suo zio?
  GASPARE MUTOLO. Sì, fratello di mia madre. Vi era poi un
certo Augello Giuseppe di Pallavicino, suocero di una mia
sorella e Siragusa Giuseppe, marito della sorella di mia
madre.
  PRESIDENTE. Quindi, aveva intorno un certo ambiente.
  GASPARE MUTOLO. Avevo delle conoscenze ed ero
affascinato da personaggi caratterizzati, secondo la mia
fantasia, da saggezza, ai quali le persone si rivolgevano per
chiedere raccomandazioni.
  PRESIDENTE. L'affascinavano il potere di queste persone
o la considerazione di cui godevano nell'ambiente?
  GASPARE MUTOLO. Più che altro la considerazione. Le
faccio un piccolo esempio: se un giovane litigava con la
fidanzata, lui o sua madre non andavano a parlare del problema
con il maresciallo, ma si rivolgevano alla persona di quella
borgata che poteva essere il mafioso. Secondo la cultura che
c'era a Palermo... Certo, se uno guarda oggi alla mafia, dopo
quello che ha fatto, la vede in maniera diversa, ma la mafia,
fino agli anni Settanta, per come la ricordo e per come era la
mia fantasia, era tutta diversa: i mafiosi erano le persone
che comandavano, i saggi. Non si pensava mai alla violenza...
  PRESIDENTE. Che però c'era?
  GASPARE MUTOLO. Sì, ma in maniera limitata, non come
ora. Si sentiva dire dell'uccisione di qualcuno, ma ci si
immaginava sempre che quello che moriva era il cattivo, e non
che poteva essere il buono. Per esempio, se una persona
cercava un posto di lavoro, non andava all'ufficio di
collocamento ma si dava da fare tramite il mafioso, che se era
il caso parlava con quello dell'ufficio di collocamento.
Anch'io ho un'esperienza personale: mi interessavo tramite le
fabbriche, o i negozi, per far lavorare qualche persona.
  PRESIDENTE. Perché dice di avere un'esperienza diretta
in questo campo?
  GASPARE MUTOLO. Per quanto capisco, oggi, la mentalità
del cittadino palermitano che vive in quella realtà è diversa
rispetto a come si concepiva la mafia venti anni fa. Oggi
molti ragazzi entrano a far parte della mafia per bisogno, non
perché sono portati ad essere mafiosi o delinquenti. Nella
mafia vedono l'arricchimento, la realizzazione, un mondo che
offre tutto quello che la vita richiede per un giovane. Non è
che uno nasce e dice: "Ora faccio il mafioso"; pian piano,
vivendo in quella realtà, con i problemi che ci sono, come ci
sono sempre stati a Palermo... Comunque, il discorso della
mafia era principalmente culturale. Ricordo, per esempio, che
nei lunghi periodi in cui sono stato in galera ho letto I
beati paoli, un libro in cui emerge che la realtà mafiosa è
tutta diversa, perché il mafioso è la persona buona che aiuta.
                        Pag. 1223
  PRESIDENTE. Lei ha detto di avere una esperienza nella
ricerca di posti di lavoro: può spiegare meglio?
  GASPARE MUTOLO. Nella mia borgata ci sono delle
fabbriche e io mi sono trovato più di una volta a parlare con
i loro proprietari.
  PRESIDENTE. Qual era la sua borgata?
  GASPARE MUTOLO. Quella di Pallavicino, Mondello e
Partanna. A Palermo, quasi tutte le fabbriche pagano, diciamo,
il pizzo o la tangente. E' assurdo che qualche industriale o
commerciante dica: "Io non pago"; se lo dice, è perché ha
paura, e giustamente deve essere capito, perché vive in quel
luogo. So per esperienza quello che succedeva quando un
commerciante o un industriale non voleva pagare: gli si faceva
saltare lo stabilimento, a volte gli si davano "colpi di
legno", bastonate, e si costringeva a pagare.
   Quando poi l'industriale prende contatti e paga, ha a
volte anche dei vantaggi perché, primo, nasce un rapporto di
amicizia fra quello che va a prendere la mesata e
l'industriale, che ha modo di vedere che il mafioso locale è
una persona normale, che si comporta in quel modo per i soldi
e poi perché è garantito che, se succede qualche furto, quelli
dell'ambiente mafioso si interessano per fargli recuperare
quello che gli hanno rubato, oppure se qualcuno gli fa una
truffa c'è tutto un giro che costringe a far pagare. Poi, si
offrono anche delle società: se per esempio lei ha
un'industria che fa posacenere e ne vende, per esempio, mille,
e io le propongo di fare una società che può vendere diecimila
posacenere. Quindi, lei si fa il conto e vede che la cosa le
interessa; poi è compito mio, attraverso le borgate di
Palermo, imporre agli esercizi di vendere quel tipo di
posacenere. Quindi, non è che perde soltanto; a volte, c'è un
discorso di convenienza. Nascendo questo rapporto,
logicamente, quando viene da me una signora o un uomo che mi
dice: "Senti, mio figlio si deve sposare e deve lavorare", io
mi interesso tra queste fabbriche e lo faccio lavorare. Non
c'è problema: si parla con il proprietario e gli si dice: "Fai
lavorare uno, due, tre, o quelli che sono". Magari il
proprietario della fabbrica avrà bisogno di quindici giorni, o
un mese, per licenziare qualcun'altro, o per creare il posto,
ma il modo si trova sempre.
  PRESIDENTE. Tutto questo l'ha interessato ed
affascinato: per questo motivo è entrato in Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. No: sono esperienze che ho avuto dopo.
Prima mi affascinava vedere le persone della borgata che
comandavano.
  PRESIDENTE. Lei aveva un lavoro prima di entrare in Cosa
nostra?
  GASPARE MUTOLO. Fino a un certo periodo ho lavorato come
meccanico, ma dopo i diciotto-venti anni non ho più lavorato,
perché sono stato in galera.
  PRESIDENTE. Per piccoli reati?
  GASPARE MUTOLO. Sì, per reati contro il patrimonio; pian
piano, è una scala che si percorre...
  PRESIDENTE. Quando è uscito da Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Sono uscito il 1^ luglio dell'anno
scorso.
  PRESIDENTE. Il 1992?
  GASPARE MUTOLO. 1992. Avevo fatto questa maturazione
principalmente perché tutti i miei amici sono stati uccisi.
Nel tempo sono stati uccisi tanti amici miei nel 1982 tutti
assieme, senza nessun motivo specifico.
   Mi trovavo in carcere, ero a Montelupo; mi hanno portato
la notizia. Mio fratello è venuto per dirmi: "Sai, mi ha
                        Pag. 1224
chiamato il Tizio e il Caio, mi ha detto che i tizi non ci
sono più, comunque per te non cambia niente".
   Però nel giro di tre-quattro anni, prima del maxiprocesso,
gli ultimi sono scomparsi o uccisi verso il 1987. Quindi, ho
capito che in quella famiglia erano destinati a scomparire
tutti; infatti di quella famiglia - eravamo tanti - siamo
rimasti io, perché ero in galera, un certo Porcelli ed un
certo Davì Salvatore. Tutti gli altri sono morti o scomparsi.
C'è stata una degenerazione.
   Non davo una motivazione, perché purtroppo non ero stato
abituato a stare in ufficio, a lavorare. Quando sono entrato a
far parte di Cosa nostra e mi sono trovato ad uccidere
persone, pacificamente pensavo che c'era un motivo per
uccidere una persona. Dopo, con l'andare del tempo, ho capito
che in qualche cosa si esagerava, ma comunque per me era una
cosa normale accettarla. Mi sentivo di avere la coscienza a
posto, perché magari pensavo: "Mi viene ordinato di uccidere
uno ed io lo debbo fare, perché non posso rifiutare".
   Il mutamento, il ripensamento, è dovuto prima di tutto a
queste persone morte senza motivo, alle quali ero molto
affezionato; uno si affeziona anche agli animali, quindi a
maggior ragione agli amici. Ma la cosa più terribile per me è
stato quando si sono messi ad uccidere le donne e qualche
bambino. E' una cosa che...
  PRESIDENTE. A chi si riferisce in particolare, a quali
donne?
  GASPARE MUTOLO. Per esempio, la moglie di Giovanni
Bontate, altre donne che magari sul momento non ricordo... la
moglie, la zia e la sorella di Mannoia. Ci sono state altre
donne nella provincia di Palermo che sono state uccise
deliberatamente, non perché succedeva per caso.
   Ricordo negli anni passati se, per esempio, c'era l'ordine
di uccidere una persona, quelle persone che andavano ad
uccidere, se per caso era in compagnia della moglie o delle
figlia, guardavano, tornavano e rinviavano l'esecuzione.
Invece, dopo questa regola è finita...
  PRESIDENTE. Man mano che venivano avanti i corleonesi?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Parlo dei fatti più recenti.
Un po' tutta la mentalità è cambiata ed io non mi ci vedevo
più. Umanamente ormai non vedevo più Cosa nostra con
quell'ideale per cui ero entrato.
   Ripeto: quando sono entrato per me era una nuova vita, con
delle nuove regole. Per me esisteva soltanto Cosa nostra.
C'erano regole comportamentali ben precise; almeno da quello
che si diceva erano cose molto belle perché c'era il
rispettarsi l'un con l'altro, il mettersi a disposizione per
qualsiasi cosa se un altro aveva bisogno, il rispettare le
donne degli altri come sorelle. Era un mondo nuovo che almeno
a me affascinava molto. Certo, la realtà anche in quel periodo
non era questa. Però ricordo per esempio - per capire un po'
la mentalità - il sequestro di una certa Mandalà; allora
comandava il Gaetano Badalamenti. Questa signora Mandalà è
stata liberata a Mondello. Sono stati uccisi tutti i
componenti del gruppo che aveva partecipato a questo
sequestro. Quella che guardava questa donna, la signora
Mandalà, era la moglie di un certo Vittorio Manno, il quale
aveva una specie di casotto dove vendeva copertoni, cerchi. Si
uccise lui però per la moglie il Badalamenti disse: "Non ve lo
do l'ordine di uccidere una donna, però se qualcuno se la
sente lo può fare; io non mi sento". Questo perché c'era un
ordine ben preciso che in Sicilia non si dovevano fare...
  PRESIDENTE. Mi scusi, signor Mutolo in che anni siamo
quando avviene il sequestro Mandalà?
  GASPARE MUTOLO. Verso il 1977-1978.
  PRESIDENTE. Badalamenti disse: "Io l'ordine non ve lo
do".
                        Pag. 1225
  GASPARE MUTOLO. E questa donna è rimasta viva. Nessuno
degli affiliati ha ucciso questa donna. Ora invece la cosa è
diversa.
  PRESIDENTE. Quindi, praticamente si è visto via via
isolato, perché tutti i suoi amici erano morti, ha visto che
cambiavano le regole e la natura stessa di Cosa nostra. Questo
mi pare sia stato il suo ragionamento. Vi è stato qualche
fatto specifico che l'ha spinta in modo decisivo?
  GASPARE MUTOLO. Il fatto specifico è questo. Ripeto: non
è che avevo paura di litigare o di fare... fino a che mi hanno
arrestato e dopo che mi hanno arrestato ho fatto trovare due
mitra alla polizia di Firenze; avevo fucili a pompa, mi sapevo
guardare, perché ero vissuto in quella realtà. Però entrando
in galera, mi sono sentito amareggiato e ho pensato: "Ora
debbo stare in galera, esco, ma per che cosa? I miei figli, se
esco e mi uccidono o mi uccidono qua, crescendo questi bambini
che cosa faranno?". Allora ho detto: "Ora cerco con tutte le
mie forze di distruggere questi animali". Quindi, ho preso
quella decisione, di combattere la mafia. Infatti, ho mandato
a chiamare il dottor Giovanni Falcone; non è che mi sono
rivolto alla procura di Palermo per parlare con un giudice
qualsiasi. Mi ricordo che il dottor Falcone è venuto con
un'altra persona - che non mi ricordo chi fosse, nemmeno lo so
- gli ho detto che volevo parlare perché avevo deciso di...
  PRESIDENTE. Più o meno in che epoca siamo?
  GASPARE MUTOLO. Nella fine del 1991, nel dicembre del
1991.
   Il dottor Falcone mi disse che potevo parlare di fronte a
quella persona, immaginando che gli dovessi chiedere qualcosa.
Al dottor Falcone dissi di essere deciso e di sapere delle
cose...
  PRESIDENTE. Dove era detenuto allora?
  GASPARE MUTOLO. A Spoleto. Gli dissi: so che, malgrado
ciò, ci sono stati pentiti che hanno parlato, ma io le dirò
cose che lei non sa e che riguardano la zona della Piana di
Colli, anche perché sono deciso a distruggerli completamente.
   Il dottor Falcone era un po' dispiaciuto; mi spiegò di non
poterlo fare perché era in un altro ufficio e mi disse che mi
avrebbe fatto parlare con altri giudici. Io gli dissi di non
voler parlare con nessuno e, dopo, il dottor Falcone mi parlò
del dottor Di Gennaro, che avevo già sentito nominare in Cosa
nostra.
   Il dottor Falcone mi chiese di pensarci; disse che c'era
il dottor Di Gennaro e che, nel caso, mi avrebbe affidato a
lui. Io mi sono convinto a parlare con il dottor Di Gennaro e,
in caso, di stabilire dopo con quale giudice parlare sotto le
direttive del giudice Falcone.
   Poi il dottor Falcone è morto ed ho parlato con il dottor
Vigna e dopo con il dottor Borsellino.
  PRESIDENTE. Lei voleva parlare subito con il dottor
Borsellino? Chiese al dottor Vigna di parlare con il giudice
Borsellino?
  GASPARE MUTOLO. Guardi, io ero titubante perché
conoscevo e conosco molto bene la realtà palermitana e avevo
anche esperienze negative di alcune persone che hanno
collaborato, ma che non sono state credute; quanto meno, si
riusciva a insabbiare... La mia titubanza era quella di
affidarmi ad un giudice che avesse il coraggio di affrontare
la realtà. Siccome sapevo che la realtà principalmente era
anche quella dei tribunali...
  PRESIDENTE. Certo.
  GASPARE MUTOLO... era assurdo che mi potessi mettere
contro la mafia, quando almeno non dessi il segnale e di
mettere paura a qualcuno del tribunale. Questa per me era una
cosa logica. Questa era la mia titubanza.
   Quindi, dopo, ho chiesto di parlare con il giudice
Borsellino.
                        Pag. 1226
  PRESIDENTE. Come mai scelse il giudice Borsellino?
  GASPARE MUTOLO. Perché io già del giudice
Borsellino...siccome già nel 1980 si era ventilato che si
dovesse uccidere perché era inavvicinabile...insomma cercavo
un giudice...
  PRESIDENTE. Questo si diceva nel 1980?
  GASPARE MUTOLO. Sì, nel 1980. Quando c'era il processo
Basile ed un certo Madonia era stato più volte inquisito come
mandante di alcuni processi, si era ventilato che questo
Borsellino fosse inavvicinabile. Sapevo inoltre che il giudice
Borsellino, facendo parte del pool con il giudice
Falcone, era persona competente che poteva comprendere perché
io non conosco bene l'italiano e faccio fatica a farmi...
  PRESIDENTE. Comprendere.
  GASPARE MUTOLO. A farmi comprendere. Se un giudice,
magari, non è pratico della materia...
  PRESIDENTE. E' ancora peggio.
  GASPARE MUTOLO. Insomma... Dopo però ho parlato con il
giudice Borsellino, ma disgraziatamente...
  PRESIDENTE. Lei ha parlato subito con il giudice
Borsellino o è passato un po' di tempo?
  GASPARE MUTOLO. Ho parlato con il giudice Borsellino
dopo qualche mese. A maggio, se non sbaglio, o il 1^ luglio...
o maggio, o luglio...
  PRESIDENTE. Giugno?
  GASPARE MUTOLO. Il 1^ luglio mi sono dissociato con il
giudice Vigna, dicendo che volevo parlare anche con qualche
giudice di Palermo.
  PRESIDENTE. Ho capito. Quindi poi fu messo in contatto
con...
  GASPARE MUTOLO. Dopo ho parlato con il giudice
Borsellino; abbiamo parlato, mi sembra, due o tre volte; il
venerdì l'ho visto...
  PRESIDENTE. Parlò immediatamente con il giudice
Borsellino o prima venne a parlarle qualche altro giudice di
Palermo?
  GASPARE MUTOLO. No, venne il giudice Borsellino.
  ALTERO MATTEOLI. Allora non ha parlato con Di Gennaro?
  PRESIDENTE. Onorevole Matteoli, rimandiamo a dopo le
domande.
  GASPARE MUTOLO. Ma Di Gennaro chi è, il giudice?
  PRESIDENTE. Lasci stare, risponda alle mie domande.
   Passiamo ad un'altra questione. Può spiegare alla
Commissione la struttura interna di Cosa nostra?
   Prima che lei risponda a questa domanda, l'onorevole
Matteoli le chiedeva se per caso sia stato interrogato dal
questore Di Gennaro.
  GASPARE MUTOLO. No. Quando ho parlato con il giudice
Vigna, logicamente gli ho detto che mi affidavo alla direzione
del dottor Di Gennaro perché, pur non conoscendolo
fisicamente, sapevo già chi era il dottor Di Gennaro perché
all'interno di Cosa nostra si parla di quei personaggi che
possono essere un pericolo per la struttura
dell'organizzazione. Logicamente non cerco una persona
qualsiasi, ma chi è già contro la mafia perché mi sento più
sicuro.
  PRESIDENTE. Certo.
  GASPARE MUTOLO. Ho fatto quindi richiesta esplicita al
dottor Vigna di
                        Pag. 1227
essere affidato alla custodia del dottor Di Gennaro. Infatti
i collaboratori più importanti cercano il dottor Di Gennaro,
non un altro questore.
   Non è che io conosca altri questori, ma anche in seno a
Cosa nostra, per una sicurezza, per una... Si cerca, cioè,
quella struttura in cui si è sicuri che non vi possano essere
infiltrazioni di altri personaggi che magari possano far
sapere in anticipo alla mafia qualcosa.
  PRESIDENTE. Quindi, lei, alla fine del 1991 si decide,
chiama il dottor Falcone e gli comunica la sua intenzione di
collaborare.
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Il primo interrogatorio vero e proprio lo ha
a luglio, oppure prima?
  GASPARE MUTOLO. Il primo interrogatorio... ci sono i
verbali scritti... insomma, è venuto il giudice Vigna.
  PRESIDENTE. Ho capito.
  GASPARE MUTOLO. Io ero in ospedale...
  PRESIDENTE. A Pisa?
  GASPARE MUTOLO. No, a Firenze. Mi hanno portato a
Firenze, mi hanno fatto uscire con una scusa - mi hanno anche
sottoposto alla TAC, alla risonanza magnetica - e in ospedale
mi ha interrogato il dottor Vigna con la dottoressa Silvia
Della Monica.
   Tempo dopo sono venuto a Roma ed ho parlato con il dottor
Borsellino.
  PRESIDENTE. Che lei ricordi, il primo interrogatorio con
il giudice Borsellino è avvenuto a luglio? Se non lo ricorda,
dopo verifichiamo le date.
  GASPARE MUTOLO. Non mi ricordo.
  PRESIDENTE. Dopo controlliamo le date.
  GASPARE MUTOLO. Però era senz'altro estate e dopo che ho
parlato con il giudice Vigna.
  PRESIDENTE. Da quando lei aveva parlato con il dottor
Falcone a quando aveva cominciato a parlare con il giudice
Borsellino erano passati cinque o sei mesi. Non si è chiesto
come mai passasse tanto tempo? Un collaboratore chiede di
parlare...
  GASPARE MUTOLO. Guardi, non me lo chiedevo anche perché
con il dottor Falcone non è che... La cosa è rimasta in piedi
perché io avevo il desiderio di parlare con lui, il dottor
Falcone mi spiegò per più di un'ora che c'era un'altra persona
che aveva i baffetti biondi - non so se fosse giudice, ma è
stato scritto là - e mi disse che non poteva essere perchè lui
era in un altro ufficio...
  PRESIDENTE. Non poteva.
  GASPARE MUTOLO. Io gli dissi però che, a quel punto, non
intendevo più collaborare...
  PRESIDENTE. Ho capito.
  GASPARE MUTOLO. Non mi interessava, non mi sentivo
sicuro, insomma, nell'affidarmi ad un altro giudice.
  PRESIDENTE. E' chiaro.
   Passiamo ora ad un secondo capitolo e più precisamente a
quello riguardante la struttura di Cosa nostra, ossia a come è
organizzata ed a come funziona. In vari interrogatori ha in
parte risposto a questa domanda, gradiremmo però che lei
esponesse nuovamente il suo pensiero in questa sede.
  GASPARE MUTOLO. In ogni borgata vi è una famiglia e le
borgate sono quelle indicate nella cartina toponomastica del
comune. Nella famiglia c'è il gruppo.
                        Pag. 1228
Quando una famiglia viene sciolta, e gli uomini d'onore non
si devono sentire più tali, ma non devono parlare con nessuno,
la commissione o quelli che comandano incaricano una persona
di formare un gruppo. E' quindi compito della persona che
forma il gruppo allargarlo e farlo diventare una famiglia. Può
accadere anche che allo scioglimento della famiglia gli uomini
d'onore rimangano tali e venga messa una reggenza. La
commissione o gli organi che comandano possono anche mettere
un supervisore, ossia un'altra persona, di fiducia della
commissione o di un gruppo di commissioni, a controllare la
reggenza. Nella famiglia vi è un rappresentante che viene
chiamato capo, o rappresentante, il quale viene eletto dagli
affiliati, mentre il sottocapo è nominato direttamente dal
capo. Dagli affiliati viene eletto il consigliere e dal capo
decina. Poi vi è un organo superiore, ossia il capo
mandamento, che di solito (ma non è una regola fissa) è eletto
da tre famiglie. Questo gruppo di famiglie ogni tre, quattro
anni elegge appunto un capo mandamento. L'insieme dei capi
mandamento formano i coordinatori i quali non rivestono una
carica specifica, bensì hanno il potere di riunire la
commissione. Se io, capo mandamento, devo riunire la
commissione, non posso andare da un altro capo mandamento,
devo andare dalla persona indicata. Per un certo periodo di
tempo sono stati coordinatori Gaetano Badalamenti, Michele
Greco, sotto il quale vi era Totò Riina che era pilotato..., e
prima ancora il famoso triunvirato composto da Badalamenti,
Bontate e Liggio, che dopo subentrò Salvatore Riina.
  PRESIDENTE. I capi mandamento fanno parte della
commissione provinciale?
  GASPARE MUTOLO. Certo, quando si riunisce la commissione
sono i capi mandamento che ...
  PRESIDENTE. Ora da chi è composta la commissione?
  GASPARE MUTOLO. Da Pippo Bono, da Antonino Gerace, da
Bernardo Brusca, da Pippo Calò, da Procopio Di Maggio, da
Salvatore Buscemi, da Giuseppe Gambino, da Francesco Madonia,
per quanto concerne Palermo. Ovviamente queste persone hanno
dei sostituti. Per esempio il sostituto di Gambino è Troia,
quello di Di Maggio è Vito Palazzolo, quello di Calò è
Salvatore Cangemi.
  PRESIDENTE. Provenzano non fa parte della commissione?
  GASPARE MUTOLO. Si parla poco di Provenzano perché la
sua figura viene, per così dire, soffocata da quella di Riina.
Provenzano fa parte della commissione, però nessuno lo nomina,
è una figura che passa quasi inosservata in quanto personaggio
di spicco per trent'anni nella mafia è stato Salvatore Riina.
Quando si parla di Corleone, si parla solo di Salvatore Riina.
  PRESIDENTE. Quindi Provenzano non riesce a pesare?
  GASPARE MUTOLO. Vi fu un periodo in cui ha contato.
Ricordo che nel 1973, quando esisteva il famoso triunvirato
composto da Badalamenti, Bontate e Liggio, proprio il Liggio
nominò suo sostituto Salvatore Riina. Siccome Riina ha sempre
avuto in mente di trasformare Cosa nostra, di fare delle
innovazioni, ha in pratica avuto sempre la mania di fare una
Cosa sua e non una Cosa nostra, ad un certo punto Liggio lo
guardò con sospetto ed avvisò i vari capigruppo e capifamiglia
di non rivolgersi più a Salvatore Riina, ma a Provenzano.
Questo è avvenuto per poco tempo perché subito dopo il Liggio
fu arrestato e si vide subito la figura di Salavatore Riina
offuscare quella di Provenzano, che sappiamo essere stata pure
una figura importante. Egli non aveva certo la forza e
l'intelletto di Salvatore Riina. Provenzano non si assumeva le
responsabilità che si è poi assunto Salvatore Riina: era più
cauto, ponderava meglio le cose, mentre Salvatore Riina se
doveva assumersi una responsabilità se l'assumeva.
                        Pag. 1229
  PRESIDENTE. Al maxiprocesso Liggio disse che non conosceva
Provenzano e che Riina era una bravo ragazzo e che lo teneva
nel suo cuore. Cosa voleva dire con ciò?
  GASPARE MUTOLO. Conosco molto bene Liggio, così come
conosco bene Salvatore Riina. Liggio sa che Salvatore Riina
con Liggio che l'ha avuta e ce l'ha ancora, anche perché
quando Liggio disse a tutti i capifamiglia di non rivolgersi
più a Riina, bensì a Provenzano, addusse come giustificazione
il fatto che Salvatore Riina beveva e quindi parlava troppo.
Siccome Salvatore Riina ha sempre avuto delle persone fidate
nelle varie famiglie, questo discorso gli fu riferito. Liggio
era una persona sanguinaria, metteva paura solo a parlarci,
mentre Riina no. Liggio con il tempo capì che quel ragazzino
che conosceva da anni era molto più intelligente di quanto
pensasse.
   Se Luciano Liggio non è uscito dal carcere è perché
Salvatore Riina non ha voluto. Ricordo che, subito dopo il
1974, quando Luciano Liggio era stato arrestato e si trovava a
Lodi, in corso dei Mille, a casa di Pietro Vernengo, questi,
io, Stefano Giaconia e un certo Mafara abbiamo detto a
Salvatore Riina che potevamo fare un squadretta e andare a
prendere Luciano, ma Riina ha detto: "Fatevi i fatti vostri;
questi sono fatti che riguardano me; se occorre ci penso io e
vi disturbo io". Luciano Liggio da quel momento non è più
uscito.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che Riina non ha voluto che
Liggio uscisse dal carcere? Si riferisce solo a questo
episodio o anche a fatti successivi?
  GASPARE MUTOLO. Questo è stato un episodio di forza.
Comunque, chi conosce bene la mafia, sa che essa arriva in
tutti i posti: i presupposti per la liberazione di Luciano
Liggio vi sono stati ma egli non è uscito. Quindi non ha avuto
quella spinta. D'altronde io sono stato in cella fino 1988 e
so quale considerazione poteva avere Luciano Liggio...
  PRESIDENTE. Qual era?
  GASPARE MUTOLO. Si illudeva di essere nel cuore di
Salvatore Riina ma a volte si lamentava per il fatto che
qualcosa non andava anche all'interno della famiglia.
Bagarella, ad esempio, non gli dava confidenza (lui si sfogava
con Pino Leggio) anche per questioni banali come quella
relativa a dei suoi nipoti che avevano del terreno e dovevano
acquistare una mietitrice; Pino Leggio, per sorvolare, gli
disse che gliela avrebbe regalata lui. Sono cose dalle quali
si capisce... se vi è bisogno di qualcosa, subito qualcuno si
mette a disposizione: questo tipo di interessamento non vi era
nei confronti di Luciano Liggio e lui lo capiva; però faceva
buon viso a cattivo gioco.
  PRESIDENTE. Il fatto che la moglie e i figli di
Provenzano siano tornati a casa ha qualche significato?
  GASPARE MUTOLO. Noi latitanti siamo abituati a stare
sempre con le mogli e i bambini, anche perché non siamo molto
disturbati.
  PRESIDENTE. Questo lo abbiamo capito.
  GASPARE MUTOLO. Sono stato latitante molti anni ed ho
vissuto sempre con mia moglie e i bambini. Certo il ritorno
della moglie e dei figli di Provenzano è sembrato un po'
strano anche a noi.
  PRESIDENTE. Sulla base delle regole e dei comportamenti
di Cosa nostra può tentare di dare una spiegazione?
  GASPARE MUTOLO. O Provenzano è espatriato e si trova
all'estero in un paese dove vuole aggiustarsi il terreno prima
di trasferirvi la famiglia, oppure è così tranquillo dove ha
mandato i figli che tenerli in un posto o nell'altro non fa
differenza.
                        Pag. 1230
   In un primo momento si poteva pensare che egli fosse stato
ucciso, però si sarebbe saputo in modo dirompente dentro Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Si sarebbe capito?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Da che cosa?
  GASPARE MUTOLO. Cosa nostra si tiene sempre aggiornata.
Sembra che si parli in segreto o in privato ma non è così
perché, ad esempio, io dico una cosa ad un mio amico
raccomandandolo di non dire niente a nessuno e lui fa lo
stesso con un suo amico. Una volta, insieme a noi in galera vi
era un prete.
  PRESIDENTE. Coppola?
  GASPARE MUTOLO. Un prete che aveva la foto di una donna
in costume. Tutti l'avevano vista, ma lui era convinto di non
averlo detto a nessuno. Ad ognuno diceva: "Mi raccomando...".
  PRESIDENTE. Quando ha fatto riferimento a chi compone
adesso la commissione provinciale non ha parlato di Aglieri.
Ne fa parte o no?
  GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare, ma non ho avuto
modo di conoscerlo direttamente. Non posso essere preciso ma
so che in quel mandamento vi sono stati degli aggiustamenti.
Ho sentito dire che Pietro Aglieri è un ragazzo valoroso,
molto amico di Salvatore Riina, però non ne ho parlato perché
personalmente non mi consta. Ho nominato soltanto le persone
che conosco direttamente: so, ad esempio, che i Graviano sono
in una posizione avvantaggiata ma non li nomino perché non li
conosco direttamente.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione quale sia il
carattere di Riina? Perché è diventato il capo e lo è rimasto
per tanto tempo? Come ha fatto a restare latitante per più di
20 anni?
  GASPARE MUTOLO. Riina è una persona molto docile e
apparentemente umile; non l'ho mai visto arrabbiato: qualche
volta l'ho visto con un colorito un po' più acceso ma mai
sgarbato o aggressivo.
   Nel 1973, siamo passati da una persona prepotente ed
aggressiva come Liggio a Salvatore Riina che molto spesso
diceva: "Ho fiducia nei giovani; bisogna fare largo ai
giovani". Con uno stratagemma, fin da allora, aveva fatto in
modo che tutti i gruppi e le famiglie gli mettessero a
disposizione una o due persone con la scusa che era latitante
per cui, quando si recava in una borgata, era necessario
evitare le formalità. In qualsiasi momento ed in qualsiasi
borgata trovava chi lo accompagnava, chi lo faceva entrare,
chi lo faceva dormire. Lo scopo di Salvatore Riina però era un
altro perché lui aveva già delle persone fidatissime. Ricordo
che allora io e un certo Micalizzi Salvatore eravamo a sua
disposizione; vi erano poi Pietro Vernengo della famiglia di
Stefano Bontate, Franco Mafra della famiglia di Di Maio, i
figli di Francesco Madonia, Nino e Giuseppe anche se giovani,
della famiglia di Resuttana, Gambino Giacomo "u tignuso" che è
stato sempre molto legato a Salvatore Riina, un certo Franco
Di Carlo che ora si trova a Londra, Stefano Giaconia. Con un
atteggiamento docile era riuscito a creare attorno a sé un
gruppo.
   Io, purtroppo, sono uscito subito da questa cerchia (si
facevano cose apparentemente lecite: fra noi vi era
confidenza, si mangiava e si faceva qualche tavolata) perché
un giorno, nel garage di Filippo Marchese, che insieme a
Pietro era a disposizione di Salvatore Riina, c'erano Greco
Scarpa e altri ragazzi. C'erano, insomma, un sacco di ragazzi.
Nella bottega di Filippo Marchese, il Salvatore Riina mi disse
espressamente: "Senti, se facciamo qualcosa, non c'è bisogno
di dirlo per forza al rappresentante". Io ho capito che era
qualcosa che dovevo nascondere
                        Pag. 1231
 a Saro Riccobono, che oltre ad essere il mio rappresentante
era anche mio amico, perché lo conoscevo praticamente da
sempre. Risposi: "Fino a che le cose si possono fare, si
fanno, ma prima di tutto mi hanno insegnato che il nostro
rappresentante è come un padre, e quindi non so se è il caso
di nascondergli qualche cosa". Quindi sia io, sia Totuccio
Micalizzi siamo usciti un po' da questa cerchia. Lui portò
avanti... C'erano Della Noce, un certo Anselmo Rosario, il
Ganci Raffaele che erano a disposizione di Riina: sono tutte
quelle persone che, con l'andare del tempo, ora comandano a
Palermo.
   Quando si parla di guerra di mafia, io non concepisco bene
queste parole; guerra di mafia c'è quando due o più famiglie
mafiose si armano e sanno che uno combatte contro un altro
gruppo di persone. A Palermo, invece, secondo me, secondo la
mia mentalità, questa guerra di mafia non c'è stata; c'è stato
un tradimento. Noi di Partanna Mondello non eravamo in guerra
con nessuno; la famiglia di Passo di Rigano non era in guerra
con nessuno; la famiglia di Borgo non era in guerra con
nessuno. Fu una strategia che Salvatore Riina riuscì a
portare, nel giro di dieci - dodici anni; negli ultimi tempi
in cui sono stato a Palermo, fino al 1982 (poi mi hanno
arrestato), le persone avevano paura di parlare, anche fra
amici, perché si guardavano fra loro e pensavano: "Quello non
c'è, ma sente tutto". C'era, quindi, una diffidenza fra i vari
gruppi e c'erano le infiltrazioni: piano piano, c'è stata la
conseguenza dei tradimenti e così via. L'unica famiglia in cui
non c'erano infiltrazioni - e lo posso dire in maniera
tranquilla - era quella di Partanna Mondello e l'hanno
distrutta tutta, non perché erano in guerra con qualche gruppo
di persone, non erano in guerra con nessuno. Era una
strategia, una mentalità che alcune persone avevano già capito
nel lontano 1975 - 1976, perché Salvatore Riina, prima di
conquistare Palermo, aveva conquistato tutto il circondario
della città e stava già entrando nelle altre province, nel
trapanese, nell'agrigentino, nel catanese.
   Spesso si facevano riunioni, anche con persone di fuori
provincia, fra le quali ricordo Giuseppe Di Cristina,
Calderone ed altri di cui al momento non ricordo i nomi: si
facevano riunioni e mangiate, perché i più bei discorsi sono a
tavola e a letto, ma siccome eravamo tutti uomini si potevano
fare soltanto a tavola. Si discuteva sempre di questo
Salvatore Riina, che già aveva ucciso dei personaggi nei
paesi; quindi, i più focosi, che erano i Di Cristina, Stefano
Bontate, Saro Riccobono... Però, c'era sempre qualche persona,
ricordo un certo Rosario Di Maggio, anche se aveva passato il
mandamento al nipote Salvatore Inzerillo, che cercava di
rabbonirci, dicendo: "No, vediamo, lui qui a Palermo che deve
fare, se siamo tutti d'accordo? Cosa deve fare che lo
prendiamo a calci nel sedere e lo mandiamo a Corleone a fare
crescere il grano?".
   A volte queste riunioni si facevano da Michele Greco, che
con quella faccia da santarello diceva: "Ma no, ragazzi, la
violenza non porta a niente; appena parte la prima
|P'scopettata|P', c'è un morto in ogni strada". Però, Michele
Greco, pian piano, riusciva a far sapere tutto in anticipo a
Salvatore Riina, che conosceva le persone più focose che lo
volevano combattere e creava quindi i presupposti per
eliminarle. E poi, man mano, andava avanti: non è che ci fu un
progetto di Riina da realizzare subito con la forza.
   La mafia, purtroppo, è Palermo; se Palermo si rende conto,
se tutte queste persone che sono rovinate, che hanno ucciso
parenti, cognati, cugini, generi si rendono conto, aprono gli
occhi... Specialmente quelli più grandi di me, perché so che
molte persone non sono cattive: io non voglio essere cattivo e
non ce l'ho con loro; ce l'ho con queste persone perché sono
mafiose, perché ormai la parola "mafia" fa paura per le cose
che ha fatto. Il progetto di Riina parte dal 1973- 1974 e si
sviluppa pian piano fino al 1982, quando si completa la sua
opera,
                        Pag. 1232
un'opera che sarebbe stata chissà che cosa se lui fosse stato
un capo di governo.
   Se lei parlerà con Salvatore Riina, si domanderà: "E'
possibile che questo sia Salvatore Riina?"; è una persona
educatissima, con un'espressione così buona. E' stata la prima
persona che ha inventato il sistema, prima di uccidere uno, di
invitarlo a tavola, farlo mangiare tranquillamente, farlo
divertire; dopo mangiato, si strangolava e non se ne parlava
più. Non si gridava: "Tu hai fatto questo!"; si mangiava, ci
si divertiva e poi si uccideva. Questa è stata la novità che
ha portato Salvatore Riina.
  PRESIDENTE. Quindi aveva una grande abilità?
  GASPARE MUTOLO. Sì, lei ci parla e sembra un
predicatore: si ricorda Papa Giovanni, quel viso bello...!
Scusi il paragone, ma per spiegare. Purtroppo, sono i visi che
ingannano: un altro è quello di Michele Greco, che ha saputo
prendere in giro le persone più feroci di Palermo, con quella
sua faccia buona, dicendo: "No, perché appena parte la prima
|P'scopettata|P', succede un macello a Palermo".
  PRESIDENTE. E intanto?
  GASPARE MUTOLO. Intanto creavano i presupposti e questa
è la guerra di mafia. Io però concepisco come guerra di mafia
quella del 1960-1961, di cui ho sentito parlare. Allora i
gruppi mafiosi si scontravano fra loro: si cercavano fra
mafiosi e non c'entravano niente né il fratello, né la moglie,
né il figlio. Si sapeva che uno era un uomo d'onore, che era
in guerra e si uccideva.
  PRESIDENTE. Insomma, lei dice che la guerra l'ha fatta
una parte sola?
  GASPARE MUTOLO. Esatto: Totò Riina sapeva che era in
guerra con tutti. Infatti, tutti siamo stati latitanti a
Palermo e tutti avevano modo di rintracciarci in qualsiasi
momento; se cercavo un tizio, partivo e dopo mezz'ora l'avevo
rintracciato. Soltanto Totò Riina non poteva essere mai
rintracciato; uno andava dalla persona indicata, da Nino
Madonia, o da |P''u tignuso|P', oppure da Ganci e quelli
dicevano: "E' partuto". Avevano sempre il sorriso sulla bocca,
perché Riina sceglieva queste persone e insegnava loro che,
anche se c'era il terremoto, dovevano sorridere; non avevano
mai i visi arrabbiati e erano sempre docili. L'unica persona
che non si poteva rintracciare era Totò Riina. Lui cercava
noi, perché se, per esempio, io andavo e lui era a due
metri... Ci fu un periodo in cui era da Nuvoletta (e sono nati
i primi disguidi con i napoletani per questo); il baglio dei
Nuvoletta è composto in una certa maniera, per cui c'è un
baglio, la casa della mamma (eravamo sempre là) più avanti una
caseggiata bassa; sapevamo che il Riina era alloggiato là. I
napoletani sono più buoni di noi, più espansivi, non sanno
dire tante bugie; intanto anche a quelli avevano insegnato a
dire le bugie: "Totò Riina non c'è". Magari dopo un quarto
d'ora, si chiamava e si diceva: "Ma, sì...". Qualcuno si
lamentò, sono nati dei discorsi con i napoletani, sempre per
questo loro modo, la diffidenza...
  PRESIDENTE. Dov'era questo baglio?
  GASPARE MUTOLO. A Marano.
  PRESIDENTE. Bontate ha mai pensato di uccidere Riina?
  GASPARE MUTOLO. Su questo ho una certezza perché nel
1981, quando ho ottenuto la semilibertà e mi sono messo a
scendere periodicamente a Palermo - era subito dopo che era
morto Stefano Bontate - mi trovo in un ragionamento che
facciamo a Capogallo, a Mondello. C'ero io, c'era Saro
Riccobono, c'era un certo Manuele D'Agostino, c'era un certo
Salvatore Micalizzi. Si parlava perché già erano scomparsi un
certo Mimmo Teresa, i due fratelli Federico, un certo Di
Franco. Già c'erano voci in giro che molte
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persone se n'erano andate, tipo Pietro Marchese, Giovannello
Greco; però non si sapeva che cosa c'era di vero. Michele
Greco faceva sempre finta di non sapere niente. Però il Saro
Riccobono aveva avuto l'ordine di sondare, di parlare con
Manuele D'Agostino, perché era una delle persone molto vicine
a Stefano Bontate e nello stesso tempo era anche vicino a Saro
Riccobono; l'aveva cresciuto lui, stava più a Partanna che a
Santa Maria di Gesù. Mi trovo in una conversazione in cui
abbiamo la conferma che Stefano Bontate voleva uccidere
Salvatore Riina. Prima perché ci fu una parola che Stefano
Bontate disse a Favarella, dopo che aveva dato alcuni
appuntamenti a Salvatore Riina in commissione, appuntamenti
che venivano disertati. Bontate disse: "Cosa dici, di
ammazzarlo (...); dì come si comporta". Fu una cosa detta tra
amici, amici, amici, non pensando che il Greco avrebbe potuto
dire.
   Stefano Bontate poi si sarà preoccupato di qualche cosa o
avrà preso la decisione; se decisione c'era, certamente essa
riguardava lui e Salvatore Inzerillo e non gli altri membri di
Cosa nostra. Ad un certo punto noi parliamo con questo Manuele
D'Agostino, che era molto preoccupato perché già quattro
persone erano scomparse, mentre altre persone si cercavano per
essere uccise. Disse che effettivamente si era messo diverse
volte in macchina perché doveva uccidere una persona
importante, ma non sapeva chi. L'abbiamo fatto andare perché
c'era la moglie di questo D'Agostino; c'erano anche altre
donne, per cui fu un discorso appartato. Però abbiamo detto al
Saro Riccobono (sapevamo quale affettuosità c'era tra i due):
"Cercano Manuele, quindi noi siamo incaricati di parlare...,
però secondo noi..." - eravamo quelli che spingevano, io ed il
Micalizzi, non possiamo litigare "intortamente" con le persone
- "prima di tutto nessuno pensa che Manuele D'Agostino era
coinvolto in questo discorso e lei non lo sa". Abbiamo portato
un semplice peragone a Saro Riccobono: "Se Giacomo Gambino,
|P''u tignuso|P' uccidesse qualche persona, pensa che
Salvatore Riina lo saprebbe o no?". Rispose: "E' logico,
quello non fa niente che non lo sappia lui". "Uguale è Manuele
D'Agostino con lei". Per i discorsi che c'erano stati...
   Quindi ho avuto la conferma precisa che Stefano Bontate ha
tramato, così come ho saputo che anche Inzerillo ha tramato,
ma non era un complotto della mafia; erano queste persone che
volevano eliminare Salvatore Riina. Non c'era un complotto
della mafia che voleva fare la guerra a Salvatore Riina. Era
Stefano Bontate; si era coinvolto, oppure avevano coinvolto
anche Salvatore Inzerillo. Poi un altro personaggio, un certo
Pillera, un catanese, mi disse che diverse volte, mentre
andava a Palermo da Salvatore Inzerillo in un deposito di
carburante di proprietà di un certo Montalto - ci andavano per
fare conteggi di droga - lo facevano salire in macchina perché
dovevano uccidere una persona, però senza mai dire chi era.
Però in quel posto partiva a volte anche Salvatore Montalto,
che poi si è saputo quello che era...
  PRESIDENTE. Nel senso che era collegato con Riina?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Quindi queste due persone
per un verso o per l'altro si sono trovate; forse, se avessero
avuto l'occasione, effettivamente avrebbero ucciso Salvatore
Riina, però non ci fu un complotto della mafia, perché quando
muore Stefano Bontate, Saro Riccobono si mette in macchina con
Totuccio Micalizzi, va da Michele Greco e gli dice. "Che è
successo?".
  PRESIDENTE. Ricordo un episodio che lei ha raccontato,
per cui ad un certo punto si aspettava che da qualche parte
arrivasse Riina e invece arrivò una macchina con altre due
persone. Riina non era venuto...
  GASPARE MUTOLO. E' stato a baglio Magliocco, da Stefano
Bontate. Nel villino di Stefano Bontate, quello nuovo, si
poteva accedere dall'entrata principale, dalla strada, poi vi
era una traversa, da
                        Pag. 1234
dove si poteva entrare, perché c'era un cancello scorrevole;
in più si poteva andare dal Magliocco internamente... Una sera
Stefano Bontate aveva dato un appuntamento a Salvatore Riina
verso le sette, sette e mezza di sera, era buio. Invece ci
andò Giacomo Gambino con un certo Ganci; entrano dalla parte
della stradella, dove poteva passare tutta la macchina; alcune
persone hanno chiuso il portone, si dice che Stefano Bontate
sia corso verso la macchina ed abbia aperto lo sportello;
quando non vide Riina ci rimase un po' male. Disse che era
corso per...
  PRESIDENTE... omaggiarlo.
  GASPARE MUTOLO. ...perché gli faceva piacere, ma quelli
già sapevano il discorso. Erano tranquilli perché pensavano:
"A noi non ci toccano". Lì hanno avuto la conferma e lì forse
hanno visto uno dei fratelli dell'Inzerillo e l'Inzerillo
viene coinvolto in questo discorso.
  PRESIDENTE. Si è mai progettato di uccidere Liggio in
carcere?
  GASPARE MUTOLO. Che io sappia no.
  PRESIDENTE. Lei ha detto - torneremo poi su quest'altra
questione - "Noi latitanti non ci toccava nessuno". Lei per
quanto tempo è stato latitante?
  GASPARE MUTOLO. La mia vita l'ho passata in carcere o da
latitante, anche per motivi di sicurezza non solo mia, ma un
po' di tutti: non si voleva avere grattacapi od essere
disturbati da visite in casa della polizia. Uno ha l'indirizzo
di casa e la polizia, magari per una routine, deve
passare ogni tanto a controllare. Anche se ci si sposta in un
appartamento, si è però tranquilli perché la polizia lì non
viene.
   Cosa le debbo dire? Noi latitanti che eravamo là,
trascorrevamo la latitanza a Partanna Mondello, a Valdese, a
Pallavicino. A volte ci spostavamo per otto o quindici giorni
perché si verificava un omicidio, o perché sapevamo che erano
in corso operazioni di polizia... ma come eravamo noi a
Partanna Mondello, erano tutti gli altri. Se si cercava
qualcuno, non si andava in un altro...
  PRESIDENTE. Ma la polizia ed i carabinieri non venivano
mai a cercarvi?
  GASPARE MUTOLO. Lo ripeto: andavano a controllare magari
all'indirizzo che avevano.
  PRESIDENTE. Ma lei, durante la latitanza, stava a casa
sua?
  GASPARE MUTOLO. No, non stavo a casa mia, però stavo...
  PRESIDENTE. Vicino?
  GASPARE MUTOLO. Che so: invece di stare in via
Ammiraglio Cagni, stavo a via Patti, ossia a cento metri.
  PRESIDENTE. Lei usciva di casa, si muoveva regolarmente?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Usciva di casa in orari particolari o quando
ne aveva la necessità, senza problemi?
  GASPARE MUTOLO. Uscivamo normalmente, ma conoscevamo gli
orari in cui rientravano le pattuglie. Quando si doveva
trasportare qualche morto o qualche carico di droga sapevamo
che, per esempio, dalle 13,30 alle 15,30-16 si poteva
camminare e che la sera, dalle 18,30 fino alle 20,30-21 era in
genere tranquillo.
  PRESIDENTE. Facevate una vita normale, andavate in giro,
al ristorante?
  GASPARE MUTOLO. Normale.
  PRESIDENTE. Per esempio, i suoi figli frequentavano la
scuola con il suo nome?
                        Pag. 1235
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Una scuola privata o pubblica?
  GASPARE MUTOLO. I miei figli frequentavano una scuola...
  PRESIDENTE. Possiamo chiederle quanti figli ha?
  GASPARE MUTOLO. Ho quattro figli, di cui tre maschi, ed
ho anche un nipotino di tre anni e mezzo. I miei figli hanno
frequentato sia la scuola privata, sia quella a pagamento. A
Palermo c'è la scuola "Antonello da Messina" e mio figlio è
andato anche là.
  PRESIDENTE. I suoi figli, cioè, frequentavano tutti una
scuola privata, a pagamento?
  GASPARE MUTOLO. Fino alla quinta elementare hanno
frequentato, a volte, la scuola comunale...
  PRESIDENTE. La scuola pubblica.
  GASPARE MUTOLO. E dopo scuole a pagamento.
  PRESIDENTE. Perché li mandava ad una scuola a pagamento?
  GASPARE MUTOLO. Forse perché avevano meno voglia di
studiare e sanno che nelle scuole a pagamento, magari, vi è
più interessamento, magari si insegna... ma quando vogliono
stare alcuni periodi senza studiare, insomma...
  PRESIDENTE. Quindi non per una ragione di sua maggiore
tutela?
  GASPARE MUTOLO. No. Quando mio figlio andava a scuola,
lo lasciavo lì e andavo io a riprenderlo in macchina.
  PRESIDENTE. Ho capito. La scuola era nella stessa
borgata?
  GASPARE MUTOLO. A Pallavicino c'è la scuola comunale e
quella materna.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come vengano
assunte da Cosa nostra le decisioni più importanti,
riguardanti, per esempio, un omicidio o un traffico importante
di droga?
  GASPARE MUTOLO. Fino ad un certo periodo, per quanto mi
ricordo, un capo famiglia era padrone del suo territorio e
quello che voleva fare faceva. Dopo si sono verificati due
omicidi un po' anomali, uno di un certo Angelo Graziano, un
costruttore di Palermo, e l'altro di un certo Stefano Giaconia
(anzi, per primo quello di Stefano Giaconia e poi quello di
Graziano).
   In quel periodo i componenti della commissione avevano
trovato un accordo, nel senso di non far riunire tutta la
commissione ogni volta che si doveva uccidere un componente
mafioso; poteva riunirsi una minicommissione, di tre o quattro
persone di borgate confinanti, e decidere l'eliminazione di
qualcuno.
   Infatti, nella soppressione di Stefano Giaconia avviene
questo: lo strangolano, sono un numero ristretto di personaggi
di commissione, Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti, Saro
Riccobono, insomma pochi; tempo dopo, siccome Saro Riccobono
si preoccupava che questo Angelo Graziano era molto legato ad
un certo Giacomo Giuseppe Gambino, Salvatore Riina - già in
quel periodo vi sono ombre di rottura, di correnti per i
mandamenti - eliminano con lo stesso metodo anche Angelo
Graziano. Riccobono sa che, se non era per l'intervento di
Michele Greco, già era pronta la macchina per andare a
sparargli. Riccobono abitava vicino la via Guido Jung, nei
fabbricati che costruiva questo Angelo Graziano e, quindi,
hanno un po' modificato l'andamento della commissione.
   Ora le decisioni che deve prendere la commissione, che
deve essere tutta unanime, tranquilla e pacifica, riguardano
gli omicidi degli uomini d'onore di cui si deve parlare in
commissione perché
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possono esservi rivalità tra i componenti ed è giusto che la
commissione conosca questi fatti; quando si debbono uccidere
industriali, che lo Stato magari... per esempio, giornalisti,
industriali importanti, poliziotti, magistrati, politici...
Questo è un discorso che deve fare per forza la commissione,
non può farlo un capo mandamento od un capo famiglia.
   Per quanto riguarda i traffici di droga, se sono piccoli
può gestirli la famiglia (ognuno è indipendente e fa quello
che vuole); se però qualcuno entra in un grosso traffico, per
cui può intralciare il lavoro di altri mafiosi, di tutta una
certa organizzazione - può cioè invadere un certo mercato, una
certa piazza - la commissione può intervenire; questi
personaggi cioè possono intervenire per dare un'organizzazione
a questo contrabbando. La commissione, cioè, interviene in
tutti i settori importanti.
  PRESIDENTE. Quali sono le persone pericolose per Cosa
nostra? Lei ha spiegato - su questo torneremo più
approfonditamente - perché è stato colpito il generale Dalla
Chiesa (ossia perché andava ad "impicciarsi" in una serie di
questioni concrete apparentemente di modesta portata, ma che
vi davano fastidio), perché sono stati uccisi La Torre e
Mattarella. Può far capire alla Commissione che cosa dia più
fastidio a Cosa nostra e che cosa porti quest'ultima a reagire
nei confronti di chi attua queste iniziative?
  GASPARE MUTOLO. Ciò che ci da più fastidio è che ci
vengano tolti i soldi.
  PRESIDENTE. Questa è la cosa fondamentale.
  GASPARE MUTOLO. Quello che dà maggiormente fastidio è
quando ci tolgono i soldi; uno preferisce stare in galera con
i soldi e non in libertà senza soldi: questa è la cosa
principale. Dopo di che si esaminano le misure che lo Stato
adotta, o più che altro i comportamenti dei vari personaggi.
Lei ha citato poc'anzi il generale Della Chiesa e l'onorevole
La Torre. Quest'ultimo fu ucciso esclusivamente perché voleva
far approvare la famosa legge sul sequestro dei beni: non vi
fu altro motivo se non quello. Ho letto sui giornali articoli
su ipotetici missili in possesso dei mafiosi: il problema era
che Pio La Torre voleva sequestrare i beni ai mafiosi. Se ne
parlò a lungo, se ne discusse, parlammo gli uni con gli altri,
qualcuno disse che sarebbero trascorsi molti anni prima
dell'attuazione della legge, però lui insisteva sempre.
  PRESIDENTE. Pio La Torre aveva presentato da circa un
anno e mezzo la sua proposta di legge e, quando fu ucciso, il
Parlamento non aveva approvato neanche un articolo di questa
legge, anzi vi erano molte resistenze. Per quale motivo allora
fu ucciso?
  GASPARE MUTOLO. Perché insisteva sempre. Le faccio un
altro esempio. Il giudice Terranova venne a Roma a fare il
deputato e non lo pensava nessuno, ma allorquando si seppe che
si sarebbe recato a Palermo solo ed esclusivamente per
combattere la mafia, si agì di conseguenza. Erano personaggi
che davano fastidio alla mafia, anche se qualcuno ne dava più
di altri; qualcuno quindi poteva morire subito, qualcun altro
campare due o tre anni in più. Una volta individuata la
persona che vuole combattere seriamente la mafia, la sua sorte
è segnata. Se debbono affrontare dieci uomini, non lo fanno;
ovviamente si attende il momento opportuno, anche perché a
Palermo prima o poi ciò accade. La città può essere paragonata
ad un piatto; se uno non va al tribunale, va a Mondello o al
teatro: la città si controlla benissimo ed è solo questione di
tempo.
  PRESIDENTE. Cosa nostra ha mai commesso omicidi di
questo tipo fuori della Sicilia?
  GASPARE MUTOLO. Ricordo solo l'omicidio del vicequestore
Mangano.
  PRESIDENTE. Alcune persone che a Palermo sono, per così
dire, coperte, a Roma lo sono molto meno.
                        Pag. 1237
  GASPARE MUTOLO. Cosa nostra fa affidamento principalmente
sui mafiosi originari palermitani, quindi una cosa è muoversi
a Palermo, ove si è padroni della città, nel senso che si
conoscono le strade, i garage, le case, un'altra è compiere un
attentato in un'altra città o addirittura fuori della Sicilia.
Il discorso in questo caso diventa più complicato, non tanto
per mancanza di uomini disposti a sparare, quanto per motivi
logistici; in pratica non vi è la sicurezza che il reato
rimanga impunito. A Palermo quando avviene un omicidio dopo
tre minuti non rimane alcuna traccia.
  PRESIDENTE. Si tratta quindi solo di ragione di
prudenza!
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Non quindi per ragioni ideologiche, ossia
che tutti gli omicidi devono essere compiuti in Sicilia.
  GASPARE MUTOLO. E' più comodo commettere gli omicidi in
Sicilia. Se un personaggio in vista o un ministro invece di
combattere la mafia da Roma la combattesse a Palermo, prima o
poi sarebbe ucciso. A Roma è più difficile commettere un
omicidio, così come lo è a Torino, mentre a Palermo è molto
facile in quanto la città è sotto controllo.
  PRESIDENTE. E' stata fatta una distinzione tra gli
affiliati ed i combinati. Può spiegare alla Commissione tale
distinzione?
  GASPARE MUTOLO. I combinati sono coloro i quali fanno
tutto, compresi gli omicidi, mentre gli affiliati, fino a
quando non uccidono, rimangono a disposizione della mafia, nel
senso che conservano le armi, riscuotono tangenti, procurano
gli appartamenti, ma non si sono ancora macchiati di sangue.
L'unica distinzione tra combinati ed affiliati è che i primi
hanno ucciso, i secondi no.
  PRESIDENTE. La persona viene combinata prima o dopo
l'omicidio?
  GASPARE MUTOLO. Può accadere anche dopo; la cosa
importante è che viene combinata in giornata, dopo l'omicidio.
Sono stato un affiliato ed ho accompagnato molte volte
Salvatore Riina, anche se lui dice di non conoscermi. Lo
accompagnavo a San Giuseppe, a Crociverde in Giardina, a
Palermo; mi avevano indicato come di guardare se intercedessi
o se vedessi Michele Cavataio. Comunque, quando queste persone
parlavano tra loro io rimanevo fuori senza ascoltare. Se
avessi assistito a qualche omicidio o se l'avessi commesso,
sicuramente sarei stato subito combinato. Alcune persone sono
state combinate perché, in compagnia di mafiosi, hanno
assistito allo strangolamento di qualcuno. Sono state quindi
combinate perché così si sono responsabilizzate ed hanno
capito che al di fuori del mondo mafioso non dovevano parlare
con nessuno.
  PRESIDENTE. E' mai avvenuto - che lei sappia - che sia
stata combinata una persona affiliata o estranea che aveva
ascoltato per caso discorsi che non avrebbe dovuto ascoltare?
  GASPARE MUTOLO. E' difficile che una persona che ascolta
certi discorsi non venga combinata. Innanzitutto sono loro che
non mettono le persone nelle condizioni di ascoltare; però se
qualcuno partecipa ad un piano o ad un discorso delicato
subito viene combinato. Se dovessero pagare per combinare
qualcuno forse direbbero che non è il caso ma basta un colpo
d'ago e una santina.
  PRESIDENTE. Quindi formalmente per passare
dall'affiliazione alla combinazione vi è il giuramento. La
ragione per cui si passa dall'una all'altra condizione ha il
senso di far capire alla persona che occorre tenere segreti
determinati fatti.
  GASPARE MUTOLO. Gli viene spiegato che, al di fuori
delle persone d'onore, non deve parlare. La persona che non fa
il giuramento può avere un amico, che
                        Pag. 1238
non è combinato, con il quale si confida; questo parla a sua
volta con un suo amico e così via finché la voce giunge al
mafioso. Intendo dire che la responsabilità è di chi lo ha
vicino, per cui quando una persona ascolta o fa qualcosa viene
combinata in modo da responsabilizzarla: se poi dice qualcosa
che non deve dire, muore. Nessuno cade in questa
contraddizione perchè sa che si muore.
  PRESIDENTE. Come vengono scelte le persone da affiliare?
Sulla base delle loro capacità?
  GASPARE MUTOLO. Mi sono sforzato per far compredere il
discorso dell'affiliazione. Io, che sono di Pallavicino, non
cerco l'affiliato perchè nel paese mi conoscono, tutti sanno
che sono un latitante, entro ed esco di galera e non un
impiegato di banca, quindi sono io che, dal loro
atteggiamento, individuo le persone che mi hanno in simpatia a
differenza di quelle che fanno finta di non vedermi, non mi
offrono il caffè al bar e non mi chiedono se mi occorre
qualcosa. Sono gli affiliati, quindi, che si fanno notare, ad
eccezione naturalmente dei figli degli uomini d'onore, ragazzi
che crescono in quell'ambiente.
  PRESIDENTE. Vi sono casi di affiliati rimasti tali, cioè
che non sono diventati uomini d'onore?
  GASPARE MUTOLO. Sì, vi è qualche caso: si tratta però di
persone che vengono in qualche modo responsabilizzate. Nel
1980-1981 è avvenuto che pochissimi personaggi, per motivi
familiari, non sono stati combinati; comunque, chi li aveva
vicini aveva il dovere di dire loro che potevano praticare
soltanto le cinque o dieci persone indicate; se però costoro
facevano non dico un omicidio, ma una rapina o un furto con
altre persone, venivano subito ammazzati. Conosco ad esempio
il caso di un certo Rotolo Salvatore, persona non combinata,
che aveva sparato a qualcuno e che però aveva contatti solo
con quelle due o tre persone che gli stavano accanto.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che qualcuno non poteva
essere combinato "per motivi familiari"?
  GASPARE MUTOLO. Mi riferisco a persone delle quali si
sapeva, ad esempio, che la madre o la sorella avevano avuto
l'amante. Prima ci si riferiva soltanto a chi aveva un parente
poliziotto o magistrato: è evidente che se qualcuno ha un
fratello poliziotto non può fare il mafioso, ma se si tratta
di un cugino...
  PRESIDENTE. Ci spiega la questione dell'amante che non
abbiamo mai capito bene? Perché è così importante che la
sorella o la madre del mafioso non abbiano avuto un amante?
  GASPARE MUTOLO. Non ho capito.
  PRESIDENTE. Perché è così importante che la madre o la
sorella di un affiliato non abbiano avuto l'amante? Perché è
importante che un uomo d'onore tenga soltanto la moglie?
  GASPARE MUTOLO. Si tratta di regole che venivano
osservate nel passato in modo più rigido che non ora. Ricordo
che Gaetano Badalamenti e, per un certo periodo, anche Totò
Scaglione erano accaniti sostenitori della necessità che si
dovesse essere totalmente dediti alla famiglia. Ciò, in
effetti, dà un certa sicurezza perché una moglie, pur sapendo
che il proprio marito è un delinquente e un assassino e
vedendo con chi parla, è disposta ad accettare qualunque
sacrificio per amore di un uomo fedele ed innamorato. Vi sono
donne, mogli o mamme di mafiosi, degne di ammirazione per i
sacrifici che fanno. Se qualcuno avesse riferito di avermi
visto a Mondello con qualche ragazza, mia moglie gli avrebbe
risposto che sicuramente si trattava della moglie o della
sorella di qualche amico latitante.
   Si tratta però di regole non fisse: ricordo, infatti, che
nella famiglia di Pippo Calò due o tre persone avevano amanti
(veniva chiamata la "famiglia
                        Pag. 1239
degli spazzini" perché non aveva moralità); in seguito,
Luciano Liggio si è preso un'amante con la quale ha avuto un
figlio, non solo, ma si trattava di una donna malata (mi pare
che fosse spastica). Ciò non gli ha procurato alcuna
conseguenza; però, se si fosse trattato di un'altra persona,
sarebbe stata messa fuori dalla famiglia o addirittura uccisa.
   All'immagine, comunque, si è sempre tenuto, perché se ad
esempio io rimprovero, cerco di uccidere o costringo un
ragazzo a sposare una donna solo perché è stato il suo
fidanzato, devo essere il primo, nel quartiere - dove il
mafioso è guardato bene dagli uomini e dalle donne - a
rappresentare un esempio.
  PRESIDENTE. Ciò serve anche al prestigio del mafioso.
  GASPARE MUTOLO. Certo. Inoltre, al mafioso che ha
l'amante potrebbe nascere un bambino che gli procurerebbe
delle nuove responsabilità: ciò non è ammesso; però avviene e
in genere si fa finta di non saperlo.
  PRESIDENTE. E' a conoscenza di casi un cui qualcuno non
è stato combinato ed è rimasto affiliato perché l'uomo d'onore
voleva avere un rapporto personale con questa persona? Per
esempio, se non ricordo male, Calderone sostiene che
Santapaola non aveva combinato Costanzo per avere con lui un
rapporto particolare e non farlo entrare nel giro della
famiglia, altrimenti tutti gli uomini d'onore avrebbero potuto
chiedere favori a Costanzo. Le risulta questo?
  GASPARE MUTOLO. A me non risulta. Per esperienza diretta
so che ci sono personaggi anche a Palermo, certo non al
livello di Costanzo ma importanti, che per motivi di posti e
luoghi pagano le tangenti. Però, non è che hanno contatti con
tutti i mafiosi dei diversi luoghi: per esempio, se conosco
una persona che ha uno stabilimento a Partanna Mondello, con
delle succursali a Palermo o a Catania, posso dire ad altri
uomini d'onore: "Questo ha una bottega nel tuo territorio,
quanto deve pagare?". Se deve pagare una certa cifra, dico:
"Va bene, ogni mese avrai una certa cifra" e non c'è bisogno
che un altro entri in contatto con chi paga. Questa è una
regola: quindi, non è che necessariamente, per non essere
avvicinato da un altro uomo d'onore, non si deve essere
combinato.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come i
corleonesi sono diventati progressivamente così forti dentro
Cosa nostra? Lei ha già spiegato che, verso il 1980-1981,
Riina era diventato quasi il padrone di Cosa nostra.
  GASPARE MUTOLO. E' successo nel corso degli anni: per
esempio, nella famiglia della Noce comandava Totò Scaglione,
ma c'era la spaccatura con gli Anselmi, gli Spina e i Ganci,
diciamo, da Stefano Bontate. C'era poi un infiltrato, Giovanni
Pollarà, nipote di un certo Brusca di San Giuseppe Jato.
Addirittura, avevano quasi fatto mettere contro i due fratelli
Giovanni e Stefano, perché Giovanni Pollarà era molto legato a
Giovanni Bontate. Effettivamente, Salvatore Riina garantiva le
persone che aveva vicino, non le trascurava. Mi ricordo, per
motivi di comando, quello che ha passato lo Scaglione con i
Ganci e Raffaele. Però, li metteva fuori famiglia. Salvatore
Riina diceva sempre: "Guardate, se uccidete qualcuno, io vi
ammazzo". Non permetteva che qualcuno potesse uccidere i suoi
avvicinati; portava sempre avanti questa corrente.
   C'erano poi anche motivi personali: per esempio, Montalto
oppure Buscemi erano personaggi che avevano aspirazioni di
comando ma venivano soffocati da altri. Nella famiglia di
Passo di Rigano, per esempio, fino a quando comandava
Salvatore Inzerillo, tutti gli altri non contavano niente. Lo
stesso era in tutti i posti: quindi, c'era malumore e sete di
potere, anche se non si manifestava. Per l'esperienza che ho,
si arriva ad un certo punto nel quale i soldi non interessano
più e si vuole comandare, probabilmente
                        Pag. 1240
per avere prestigio ed essere importante: però, nello stesso
tempo, ci sono altre persone che potrebbero emergere e vengono
soffocate dalla figura più forte. Quindi, se non c'è un
rapporto effettivamente amichevole, o affettuoso... Riina ha
scavato e trovato nel tempo quelle persone che, per un motivo
o l'altro, potevano non andare d'accordo con i loro
rappresentanti.
  PRESIDENTE. Quindi, è cresciuto così?
  GASPARE MUTOLO. Sì, in tutte le famiglie è andata così.
  PRESIDENTE. E' possibile che la qualità di uomo d'onore
possa essere tenuta riservata nei confronti degli altri?
  GASPARE MUTOLO. Sì, sempre però nell'ideologia e nelle
abitudini dei corleonesi.
  PRESIDENTE. Le risulta che Badalamenti avesse combinato
qualcuno e non lo dicesse?
  GASPARE MUTOLO. No, Badalamenti non aveva questa
mentalità, come nessuno di noi l'aveva. Eravamo molto aperti;
anzi, quando si combinava qualcuno, si aveva il piacere di
presentarlo...
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda il rapporto di
Badalamenti con Ignazio Salvo?
  GASPARE MUTOLO. Vorrei rispondere dopo, per finire
adesso quanto stavo spiegando.
   Ho visto soltanto un caso, perché mi ci sono trovato; poi
con il tempo ho conosciuto la persona, con la quale ho avuto
anche rapporti di Cosa nostra, che era stata combinata nella
famiglia di Badalamenti e non era stata presentata perché
c'era un preciso ordine al riguardo. Questa indicazione era
venuta da Salvatore Riina, perché vi era stato a Monreale il
sequestro di un certo Madonia...
  PRESIDENTE. In che anni siamo?
  GASPARE MUTOLO. A metà degli anni settanta. Era stato
arrestato un certo Martello Mario mentre stava facendo una
telefonata; aveva un bigliettino ma era riuscito a buttarlo.
Comunque, vi erano telefonate registrate: quindi, cosa pensò
il cervello di Salvatore Riina? Di combinare un grosso
professionista, un medico che opera la gola. A questa persona
si lasciò la scelta di essere combinato da Gaetano Badalamenti
(perché allora Totò Riina era importante ma non si sapeva) o
da Michele Greco. Io mi sono trovato a saperlo per caso perché
passarono da Salvatore Inzerillo un certo Leonardo Rimi (che
poi è stato ucciso) e Gaetano Badalamenti con il dottore.
Siccome Gaetano Badalamenti ci vide tutti fuori (me, Saro
Riccobono, Inzerillo, altri latitanti, che prendevamo
tranquillamente il sole) ci disse che stava andando a
Favarella per combinare questo professionista al quale si
lasciava il compito di scegliere. Abbiamo saputo dopo che
aveva scelto Gaetano Badalamenti perché avevano rapporti
amichevoli: per un certo periodo, in pochissimi conoscevano
questa persona, che però era stata combinata solo ed
esclusivamente per fare un'operazione alla gola di Martello in
modo che dalla perizia fonetica risultasse che non era stato
lui a fare quella telefonata.
   A volte succede che dei professionisti vengono affiliati
con l'imposizione: conosco questo fatto specifico, nel quale
non c'era alcun motivo di affiliare una persona che era brava
e non tanto giovane, per cui non poteva servire per sparare.
Però, serviva e in quell'occasione hanno escogitato di
combinarla.
  PRESIDENTE. E lui ha accettato?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
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  PRESIDENTE. Poteva rifiutarsi di accettare, secondo lei?
  GASPARE MUTOLO. Rifiutare è pericoloso. Mettiamoci nelle
condizioni di chi viene portato in una masseria e sente questo
discorso: "Senti, tu hai mai sentito parlare della mafia?"
Quello, magari, risponde di no; allora gli dicono: "Guarda che
la mafia esiste; la mafia siamo noi e tu ora devi entrare a
far parte della mafia. Sei contento o no?" Io penso che
nessuno risponderebbe: "No, sono scontento". Mi metto anche
nelle condizioni di una persona che si trova di fronte a
questa realtà.
  PRESIDENTE. Favori di questo tipo vengono fatti, tra i
vari professionisti, soltanto da quelli combinati o no?
  GASPARE MUTOLO. Certo, per quelli combinati è un
obbligo...
  PRESIDENTE... un dovere.
  GASPARE MUTOLO. E' un dovere, non possono dire di no. Ma
grossi professionisti, anche in una maniera un pochino..., li
fanno pure. Anche se non è un obbligo, però... stiamo sempre
là: per la questione ambientale, per la persona che ci va a
parlare.
   I professionisti purtroppo conoscono la realtà. Se si
presenta una persona che chiede il favore di curare un ferito,
non possono dire no, perché sanno che quel "no" può essere
fatale. Il "sì" li coinvolge e diventano amici; il "no" può
essere fatale. Si dice: "Perché mi dici no?". Questo può
andare a denunciare e in più, se è sgarbato, ci sono due
motivi per eliminarlo.
  PRESIDENTE. Senza fare nomi di persone fisiche, vi sono
molte persone delle diverse professioni che sono dentro o
molto vicine a Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Molti dentro Cosa nostra no; molto
vicini a Cosa nostra sì.
  PRESIDENTE. Senza fare nomi, che tipo di professioni
sono?
  GASPARE MUTOLO. Qualsiasi professione: medici, avvocati,
imprenditori...
  PRESIDENTE. Commercialisti?
  GASPARE MUTOLO. Molto vicini sì; sono persone di
fiducia.
  PRESIDENTE. Magistrati?
  GASPARE MUTOLO. Molto vicini sì.
  PRESIDENTE. Combinati?
  GASPARE MUTOLO. No, io non ne conosco.
  PRESIDENTE. Poi torneremo su questo.
   Quali sono le novità più importanti introdotte dai
corleonesi nella struttura tradizionale di Cosa nostra? Mi
pare che cambia man mano che entrano i corleonesi...
  GASPARE MUTOLO. Non ho capito, presidente.
  PRESIDENTE. Lei ha detto che i corleonesi cambiano
alcuni caratteri di Cosa nostra: Riina ha i suoi uomini di
fiducia dentro le famiglie, sostanzialmente decide lui, fa
anche uomini d'onore senza comunicarlo all'esterno. Questo
cambia le regole?
  GASPARE MUTOLO. Cambia l'atteggiamento...
  PRESIDENTE. Questo volevo capire.
  GASPARE MUTOLO. L'atteggiamento cambia ed è cambiato. Se
ora la mafia si trova ad avere collaboratori, si può dire: non
li ha avuti pure prima? Sì, magari prima si poteva pensare che
il collaboratore parlasse soltanto per avere un qualche
vantaggio.
                        Pag. 1242
   Parlo del caso mio perché non so portare paragoni
appropriati. La mia non è una questione di guadagno, perché
con facilità ci perderò; spero di no, ma nelle previsioni c'è
il fatto che posso perdere e perdere molto, a parte i
rischi... E' stato per questo cambiamento che ha portato Totò
Riina. Forse uno collabora perché è completamente stanco o
perché vuole cambiare. Prima di collaborare mi hanno anche
proposto di andarmene fuori. Mi hanno detto: "Tu te ne vai via
all'estero". Io all'estero non ci vado, anzi se mi dite che si
prevede che io debba andare all'estero non collaboro per
niente! Il mio sogno, la mia speranza, la mia ragione di vita
è quella di andare a Mondello con le persone che conoscevo,
prendermi un gelato nella piazza di Mondello; andare a
Partanna Mondello e dire: "Ecco, lo Stato finalmente mi aiuta;
è riuscito a portare le cose buone così come ognuno spera".
Fin quando non posso andare a Mondello, a Pallavicino a
prendermi un gelato con le persone che conoscono quello che
ero prima e quello che sono ora... desidero avere questa
possibilità, la mia speranza è questa. Non sto facendo questo
perché mi conviene. Spero soltanto da quando mi sono messo a
collaborare perché la mafia non era come ora, non aveva
ricevuto questi colpi terribili; le leggi sono cambiate, c'è
una decisione più ferma, più forte, c'è maggiore continuità.
Ricordo che un anno fa qualche persona qui presente - molto
spesso la vedevo parlare alla televisione - non conosceva
veramente la realtà, i problemi. Io purtroppo li conosco, per
cui ho affrontato, sto affrontando ed affronterò questa cosa
con una certa tranquillità perché il mio sogno è quello non di
andare in America, né in Australia: è quello di andare a
Pallavicino a prendermi un gelato tranquillamente,
pacificamente.
  PRESIDENTE. Lei ha prospettato il problema dei
collaboratori. Dentro Cosa nostra che cosa si diceva del
collaboratore?
  GASPARE MUTOLO. Il primo collaboratore è stato un
disastro, Vitale...
  PRESIDENTE. Per Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. No, per la magistratura, per le
istituzioni. Non si è voluto credere e forse quello è stato
uno dei collaboratori più genuini perché scappò e si andò a
rifugiare dentro una caserma. Il cugino di Vitale Leonardo era
andato a prenderlo per discutere sul modo di aggiustare una
dichiarazione di una macchina data da Scrimi; Vitale scappa
dal cugino mafioso e si va a rifugiare dentro una caserma,
scappa dalla mafia e se ne va "nello Stato". Mi esprimo male,
scusate...
  PRESIDENTE. Si esprime benissimo.
  GASPARE MUTOLO. Questo parla, però viene preso per
pazzo, non viene creduto in niente, finché la mafia lo
ammazza.
   Io ero tranquillo, ero pacifico, erano discorsi che si
sentivano, che facevamo, che il Vitale anche fra trent'anni
era una persona che comunque doveva morire ammazzata. La
mentalità era quella.
  ALTERO MATTEOLI. Che anno era?
  GASPARE MUTOLO. Siamo nel 1973 perché mi ricordo che,
mentre partivo da Palermo con la mamma di Saro Riccobono, per
la prima volta all'aeoroporto mi chiedono i documenti. Siamo
nel 1973; gli sviluppi sono seguiti nel 1974-1975.
   Come mafiosi abbiamo questa sicurezza: i collaboratori non
sfondano. Poi vi è l'altra realtà di Buscetta e di Contorno;
però c'era stato sentore di qualche altro collaboratore; anche
da Corleone, se non sbaglio, c'era un certo Screva. Ma non
erano ascoltati, perché non si era presa coscienza di quello
che realmente era la mafia e vi erano anche le
raccomandazioni; era tutto qua. Se infatti una persona diceva
"può darsi che Tizio abbia fatto questo omicidio", se il
magistrato aveva la raccomandazione di un suo amico diceva che
non era possibile, che quella persona era pazza.
                        Pag. 1243
   Certo, nella realtà più recente di Contorno e di Buscetta,
che sono quelle più attuali, la mafia ha capito che questi
colpi possono lasciare qualche segno, quindi si studiava la
strategia. Qual era? Quella di denigrare queste persone,
tentando in tutti i modi di farle apparire come bugiarde. Una
persona che parla di un fatto particolare, può specificare.
Certo, parlando di 30, 50 anni di mafia, su mille casi qualche
sbaglio può essere commesso.
  PRESIDENTE. Come si fa a screditare una persona, a farla
apparire bugiarda?
  GASPARE MUTOLO. Sono strategie che si studiano tra il
detenuto e l'avvocato. E' qui presente l'onorevole Biondi che
so essere un bravissimo avvocato. Io mi consulto con
l'avvocato il quale, quando fa il suo mestiere, è un
consigliere. Se assumo un avvocato e lo pago, egli ha
principalmente il dovere di trovare la formula per...
  PRESIDENTE. Per tirarla fuori.
  GASPARE MUTOLO. Il modo di tirarmi fuori. Quindi, è un
consigliere: cioè, nei punti sui quali un collaboratore può
essere attaccato, si cerca di farlo, elaborando una strategia.
  PRESIDENTE. Si è mai discusso all'interno di Cosa nostra
in merito all'esercizio di pressioni od all'utilizzo di
giornali a questo scopo?
  GASPARE MUTOLO. Non ho capito.
  PRESIDENTE. Si è mai discusso all'interno di Cosa nostra
della possibilità di utilizzare giornali o giornalisti per
screditare un pentito?
  GASPARE MUTOLO. Il giornalista può cadere in buona fede;
lei sa che tra i giornalisti vi sono persone che sono in
amicizia con personaggi che possono avere un interesse ad
attaccare qualche persona e, quindi, il giornale si presta con
facilità, ma non solo il giornale: possono esserci anche
persone le quali sanno che qualcuno dice la verità; purtroppo,
la verità a volte fa male e per salvare una persona, magari
perché è importante, cercano di screditarlo in tutte le cose.
   I giornalisti, almeno, scrivono quello che sentono, quello
che gli si dice. Possono essere più incisive le persone che
sanno e trovano le strategie come... Ora so che a Palermo si
sta cercando una strategia per combattere i pentiti e so che
non si vuole combatterli cercando di screditarli, cioè
sostenendo che stanno dicendo il falso, perché sanno che falso
ormai...
  PRESIDENTE. Certo.
  GASPARE MUTOLO. Però stanno cercando di alzare dei
polveroni, magari di coinvolgere altri personaggi puliti più
importanti e dire: "Guarda che il personaggio pulito sta
chiamando me, allora sono tutti falsi...", oppure portare
un'indicazione - non mi so spiegare bene...
  PRESIDENTE. Si spiega benissimo.
  GASPARE MUTOLO. ... sotto un aspetto diverso in modo che
dica: "Sono tutte bugie; ho fatto questo non perché facevo
male, ma perché me lo hai detto tu e tu sai che era una cosa
tranquilla e pulita. Quindi, quello che stai dicendo tu è
falso".
   Non posso però essere più preciso perché, purtroppo, sono
notizie che arrivano e non voglio... Però, di personaggi
importanti, non dell'ambiente mafioso, di professionisti.
  PRESIDENTE. Che lei sappia, vi sono giornalisti
"combinati" o molto vicini a Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Non so di giornalisti molto vicini o
combinati; so che qualche giornalista è stato ucciso perché si
accaniva a scrivere contro la mafia.
                        Pag. 1244
  PRESIDENTE. A chi pensa in particolare?
  GASPARE MUTOLO. A De Mauro ed a Mario Francese. Tutti e
due sono stati uccisi per questi discorsi.
  PRESIDENTE. Furono uccisi per quello che scrivevano?
  GASPARE MUTOLO. Il De Mauro è stato strangolato, il
Francese è stato ucciso...
  PRESIDENTE. Gli hanno sparato.
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di ambasciatori di
Riina?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Qual è il ruolo delle famiglie di Catania
all'interno di Cosa nostra? E' lo stesso di quelle di Palermo?
  GASPARE MUTOLO. La struttura della famiglia è uguale a
quella di Palermo: c'è un rappresentante, un consigliere...
  PRESIDENTE. Chi è il rappresentante?
  GASPARE MUTOLO. Ora è Nitto Santapaola. Prima, parlo di
quando c'era Giuseppe Calderone, conoscevo lui. Ho conosciuto
anche Nitto.
   Le strutture sono uguali ma, lo ripeto, la mafia si
concentra a Palermo; la decisione, per tradizione, è Palermo
sia perché ha quei famosi capi mandamento che, quando si
siedono, decidono...
  PRESIDENTE. Le famiglie di Catania svolgono un compito
particolare all'interno di Cosa nostra? Da alcuni processi ci
sembra sia risultato, per esempio, che molte volte armi od
esplosivi passassero, sostanzialmente, attraverso le mani di
Santapaola. Questo era un caso?
  GASPARE MUTOLO. Era un caso.
  PRESIDENTE. Non ci sono divisioni di compiti?
  GASPARE MUTOLO. Non ci sono divisioni di compiti. Si
vede che dove - diciamo lui, ma chi per lui - andavano a
caricare la morfina o l'hashish c'erano delle armi ed
allora le compravano. Questo poteva succedere a Trapani,
accade molto spesso a Napoli, succede a Palermo, eccetera.
  PRESIDENTE. E tra regioni, per esempio tra la Sicilia e
la Calabria, che rapporti ci sono?
  GASPARE MUTOLO. Tra la Sicilia e la Calabria fino al
1982, fino al 1988, che io sapessi, vi era una certa
cordialità, si facevano favoritismi: personaggi importanti
della Calabria potevano andare a Palermo per qualche favore ed
anche siciliani potevano andare in Calabria.
   L'ho sentito nel 1989-1990; ma non ne ho una conferma ben
precisa: me lo disse un amico, un certo Condorelli che poi è
morto. Gli hanno sparato dov'ero io...
  PRESIDENTE. Questo Condorelli era di Catania?
  GASPARE MUTOLO. Sì. Per motivi logistici, avevano creato
in Calabria qualche famiglia mafiosa e qualcuna anche in
Sardegna, ma non ho notizie precise. Queste cose le disse a me
per mettermi sull'avviso perché sapeva che ero in contatto con
calabresi e con sardi. Mi disse: "Sta' attento che ti possono
fregare perché magari tu immagini che il pericolo può venire
solo da Palermo o da Catania invece..."
  PRESIDENTE. Ho capito: quando lei temeva per la sua
vita.
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione quale sia il
peso delle diverse
                        Pag. 1245
province siciliane all'interno di Cosa nostra? Lei ha detto
che quella di Palermo è la più importante.
  GASPARE MUTOLO. La provincia di Palermo è la più
importante in assoluto, dopo c'è Agrigento. Caltanissetta è
stata sempre molto vicina ai palermitani e con personaggi
importanti. Non so: tra Palermo e Trapani... Tra Palermo e
Catania non... A Trapani non si dà tanto peso perché più che
altro sono le province che hanno comandato...
  PRESIDENTE. A Trapani non si dà tanto peso?
  GASPARE MUTOLO. A Trapani città non si dà tanto peso e
lo stesso a Catania, perché si è detto sempre che il modo di
fare e di comportarsi di queste due province, sia Trapani sia
Catania, è diverso da quello dei palermitani. Le origini di
qualche uomo d'onore... A qualcuno piaceva avere delle amanti
o bazzicavano delle donne... Lo stesso a Trapani. Per questo
si tratta di province alle quali non si è mai dato tanto peso.
   Logicamente un uomo d'onore, anche di Catania... Ma le
singole persone, non è come Catania... Certo, ora c'è
Santapaola che è importante, ma non potrà mai diventare un
Salvatore Riina o un Brusca: è da escludere completamente.
  PRESIDENTE. Questo concetto è abbastanza chiaro. Vorrei
chiederle un'altra cosa: che lei sappia...
  GASPARE MUTOLO. Non vorrei che qualche commissario fosse
di Catania.
  PRESIDENTE. In genere noi siamo dall'altra parte.  Ha
mai sentito parlare di organizzazioni mafiose a Barcellona
Pozzo di Gotto?
  GASPARE MUTOLO. Ho sentito parlare di alcuni gruppi che
prima erano molto vicini ai palermitani. Mi riferisco a quei
paesini prima di Barcellona salendo da Palermo che si
affacciano sul mare, quale Tortorici. So che vi sono ancora
personaggi importanti ed ho avuto modo di parlarne fino a poco
tempo fa in galera con alcuni condannati di Barcellona.
Prevalentemente l'amicizia con i palermitani l'avevano i
barcellonesi finalizzata al contrabbando. Questi gruppi sono
più vicini a quelli calabresi; le organizzazioni messinesi,
barcellonesi sono più vicine ai calabresi che non ai
palermitani. Ripeto che i palermitani hanno sfruttato queste
organizzazioni per lungo tempo per il contrabbando delle
sigarette: si trattava infatti di coste tranquille ove poter
effettuare questo traffico.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del "malpassotu"?
  GASPARE MUTOLO. Sì, l'ho conosciuto personalmente.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione che peso ha?
  GASPARE MUTOLO. Non lo conosco come uomo d'onore, bensì
per il fatto di essere stato in prigione con lui. So che è una
persona molto vicina a Santapaola e sicuramente avrà
organizzato con lui qualche famiglia, in quanto ho sentito
dire che sono state create delle famiglie nel circondario di
Catania. Il "malpassotu" per un certo periodo è stato amico di
Giuseppe Calderone e le ultime notizie che avevo fuori (dal
Condorelli e da altre persone di Catania) mi indicano che
rappresenta il punto di appoggio più forte che il Santapaola
ha in quelle zone. Santapaola ha infatti un gruppo di ragazzi
molto valido che sanno ben sparare e che si buttano allo
sbaraglio.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di Milone e di
Chiofalo? Sono persone che operano in quella zona!
  GASPARE MUTOLO. Conosco Carmelo Milone il quale, fino a
poco tempo fa, aveva un'imputazione; insieme a Chiofalo
comandava da una certa frazione a Barcellona Pozzo di Gotto.
  PRESIDENTE. Erano loro i capi?
                        Pag. 1246
  GASPARE MUTOLO. Più che altro lo era Milone.
  PRESIDENTE. Facevano parte di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Sa cosa vuol dire essere "fuori confidenza"?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire: essere stato "posato"?
  GASPARE MUTOLO. Quando uno viene messo fuori famiglia,
come è accaduto a Gaetano Badalamenti, si dice che è stato
"posato": "Mettiti qua, fatti i fatti tuoi, non parlare più di
Cosa nostra".
  PRESIDENTE. In Sicilia esiste una commissione regionale?
  GASPARE MUTOLO. A Catania, ad Agrigento, a
Caltanissetta, a Trapani vi erano alcuni rappresentanti tra
cui ho conosciuto un certo Cannizzaro, con il quale siamo
stati processati insieme per traffico di droga, rappresentante
della provincia di Catania nel 1982. Ho conosciuto poi sia
Settecase sia Vincenzo Colletti di Agrigento.
  PRESIDENTE. Le risulta comunque l'esistenza di un
organismo regionale?
  GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare a carattere
generale e non come una cosa concreta. Quando in una provincia
sorgevano problemi veniva una certa persona. Per esempio, per
un certo periodo a Palermo venne Settecase a dirci che ad
Agrigento erano sorti alcuni problemi. Ciò per avere delle
indicazioni non con un ruolo decisionale. Uguale è Catania.
Sapevo quindi che esisteva un organismo del genere, però, pur
conoscendo tre personaggi, non si dava tanto peso a chi veniva
dalle altre province.
  PRESIDENTE. Quindi è Palermo che comanda.
  GASPARE MUTOLO. Indiscutibilmente, non vi è paragone con
le altre province!
  PRESIDENTE. Torniamo per un momento nella zona
messinese. Ha mai sentito parlare di un certo Galati Giordano
Orlando, detto Nino "u ssuntu"?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Le risulta che a Messina vi sia un
rappresentante provinciale di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. No, di Cosa nostra no, so che vi sono
persone vicine a Cosa nostra, che sono stati creati dei
gruppi, però questa zona si avvicina più alla Calabria che non
all'ambiente mafioso palermitano.
  PRESIDENTE. Nei primi anni settanta vi era stato un
progetto di Cosa nostra volto ad uccidere uomini delle
istituzioni?
  GASPARE MUTOLO. Verso il 1974-1975 si pensò di cercare
in qualsiasi modo di parlare con i giudici, con i poliziotti,
anche perché si era stanchi di tutta questa forma di
associazione che si inventavano i vari commissari ed i vari
marescialli. Ricordo che nel 1963-1964 la polizia aveva
studiato un metodo molto efficace: se a Pallavicino veniva
uccisa una persona, il commissario arrestava tutti i mafiosi
imputandoli di omicidio e di associazione. Intanto costoro
scontavano tre anni di galera, dopo di che si pensava sul da
farsi. A quell'epoca quasi tutti i mafiosi erano in galera.
Dopo, forse presi da quanto accadeva in Italia con il
terrorismo, si cambiò metodo di lotta. Ricordo che a
quell'epoca fui processato insieme a Riccobono ed a Micalizzi
e pochi giorni prima al tribunale fu esposta la bara
contenente le spoglie di Terranova.
   Avevamo i migliori avvocati di Palermo e d'Italia i quali
nel difenderci non ci hanno disegnati come impiegati o
galantuomini ma hanno detto: "Se ancora
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 oggi possiamo uscire la domenica con i bambini e andare in
chiesa o in piazza è grazie a queste persone". Dico ciò per
far compredere la mentalità.
  PRESIDENTE. Perché nelle altre città vi era il
terrorismo?
  GASPARE MUTOLO. Sì. Sia per ciò che avveniva nel resto
d'Italia sia perché le persone si conoscevano. Se si fosse
trattato di un impiegato di banca, l'avvocato non avrebbe
detto in tribunale: "Se ancora oggi possiamo uscire la
domenica...". Questo per comprendere la mentalità che si aveva
del mafioso in quel periodo. Però, quelli che comandavano
erano stanchi di subire questa applicazione.
  PRESIDENTE. Quelli che comandavano all'interno di Cosa
nostra?
  GASPARE MUTOLO. Certo. Ovviamente non assistevo a tutti
i discorsi per cui riferisco ciò che ho sentito dire. Si
decise di assoggettare o di uccidere dei magistrati facendo il
seguente ragionamento: "Se quando è commesso un omicidio viene
un commissario e ci porta tutti in galera, tanto vale stare in
galera perché ammazziamo uno di questi..." (vi erano persone
più moderate ed altre più aggressive che volevano ammazzare
tutti, pensando che peggio di questi non ne sarebbero potuti
venire). Si fece quindi un'opera di intimidazione: ricordo
che, con un certo Micalizzi, bruciai due macchine di un
avvocato a Pallavicino.
  PRESIDENTE. Perché proprio ad un avvocato?
  GASPARE MUTOLO. Nel progetto erano compresi anche
avvocati e magistrati.
  PRESIDENTE. Ma gli avvocati non vi aiutavano?
  GASPARE MUTOLO. Secondo noi avrebbero potuto fare di
più.
  PRESIDENTE. E non lo facevano.
  GASPARE MUTOLO. Secondo noi non facevano tutto quello
che avrebbero dovuto fare.
   Tra i poliziotti si dovevano uccidere quelli che
comandavano a Palermo.
  PRESIDENTE. Chi erano?
  GASPARE MUTOLO. In quel periodo c'erano Boris Giuliano,
De Luca, Contrada, il capitano Russo, cioè coloro che davano
più fastidio a Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Cosa faceste, li intimidiste prima o li
uccideste direttamente?
  GASPARE MUTOLO. Sono stato arrestato nel 1976 e già
questi obiettivi erano stati individuati. Il bar dove è stato
ucciso Giuliano (che abitava lì) era di un mio cugino ed io
avevo il compito di osservare quando egli scendeva: riferii
infatti che ad una certa ora andava a prenderlo una macchina
con una sola persona. Per quanto riguarda De Luca, riuscimmo
ad individuare dove abitava; si scoprì anche dove si recava il
dottor Contrada. Successivamente sono stato arrestato e alcune
di queste persone sono state uccise.
  PRESIDENTE. Una sola è stata uccisa: Giuliano; e in
seguito anche Russo. Si è chiesto perché gli altri due non
siano stati uccisi?
  GASPARE MUTOLO. Nel 1981, quando sono uscito dal
carcere, ho chiesto come mai alcuni - e mi riferisco al dottor
Contrada - non fossero stati uccisi.
  PRESIDENTE. La Commissione già conosce le sue
dichiarazioni.
  GASPARE MUTOLO. Io ero stranizzato per il fatto che
Contrada, capo della squadra mobile, fosse ancora vivo, ma
Riccobono mi disse di non preoccuparmi perché "Contrada è
nelle nostre mani; anzi, se ti fermano, chiama lui e se ti
portano in questura dì che lui sa".
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  PRESIDENTE. Chiese anche di De Luca?
  GASPARE MUTOLO. Se De Luca non se ne andava, sarebbe
morto. Stando a quello che hanno detto a me, se ne è andato
proprio perché ha capito che Riccobono gli dava la caccia. So
che è uno di quelli che si sono salvati in extremis.
  PRESIDENTE. Andò a Catania?
  GASPARE MUTOLO. A Milano e a Catania, ma l'importante
non era questo.
  PRESIDENTE. E il dottor D'Antone?
  GASPARE MUTOLO. Non vi era il progetto di ucciderlo. Si
trattava di una persona buona nel senso che se gli si diceva
qualcosa ...
  PRESIDENTE. Non era particolarmente dannoso per voi.
  GASPARE MUTOLO. Sì, non era aggressivo.
  PRESIDENTE. Come era invece Giuliano.
  GASPARE MUTOLO. Esatto. Oppure non gli si dava peso
anche perché, se non erro, in quel periodo, il dottor D'Antone
era nella buoncostume e quindi non gli si dava peso come se
fosse stato nella squadra catturandi. Quindi a noi non
interessava se andava ad arrestare...
  PRESIDENTE. Il progetto non era tanto di uccidere quanto
di risolvere un problema costituito dal fatto che contestando
l'associazione per delinquere si procedeva a numerosi arresti.
Per cui o si intimidiva la gente e questa cambiava strada
oppure si uccidevano.
  GASPARE MUTOLO. So che Stefano Bontate è stato il primo
ad entrare in contatto con il dottor Contrada tramite il conte
Arturo Cassina. Non so quali fossero i loro rapporti di
amicizia però dopo il sequestro del figlio, Cassina era
impaurito e si era affidato alla protezione della mafia, tanto
che un certo Giovanni Teresi, da sempre sottocapo della
famiglia di Stefano Bontate, era la persona di fiducia del
conte. I rapporti si sono creati in questa maniera.
   La mafia non uccide per il gusto di uccidere, anzi se può
cerca di evitarlo. Si arriva all'omicidio quando si vede un
nemico, quando si individua in una determinata persona un
pericolo.
  PRESIDENTE. Avevate mai parlato fra voi del questore
Immordino?
  GASPARE MUTOLO. Le posso dire che si parlava di questi
poliziotti competenti che erano al vertice della questura; poi
c'erano i magistrati, ai quali, se non si aggiustavano, si
dovevano spaccare le gambe, o qualcos'altro. Anche gli
avvocati dovevano imparare a mettere la testa a posto.
  PRESIDENTE. Gli avvocati dovevano essere più agguerriti?
  GASPARE MUTOLO. Sì; infatti, dopo le cose sono un po'
cambiate. Gli avvocati sono persone a contatto con gli
imputati: sono stati i primi a dire: "Sì, ora facciamo, ora
cerchiamo".... Per loro tramite, si arrivò a parlare con
qualche magistrato; infatti, tacitamente si raggiungeva
qualche risultato, non si parlava più di processi per
associazione. Anche se nessuno lo diceva, la polizia non
faceva i verbali, il magistrato non li chiedeva: per un certo
periodo andò bene.
  PRESIDENTE. A questo proposito, anticipando una
questione sulla quale torneremo, le domando: quando arrivò a
Palermo il giudice Chinnici, mi sembra che cominciarono
nuovamente i processi per associazione e che vi fu una
protesta. Lo ricorda?
  GASPARE MUTOLO. Già noi sentivamo che il Chinnici era
una delle persone che, insieme con qualche altro
                        Pag. 1249
poliziotto, voleva riattivare nuovamente i processi per
associazione mafiosa. Sin dal 1982 (quando ero ancora libero),
si diceva che si stava cercando di uccidere il dottor
Chinnici, perché si ventilava che c'erano due rapporti che la
polizia o i carabinieri stavano facendo, ed era venuto
all'orecchio di qualcuno (ma poi ce lo dicevano a tutti) che,
se il giudice istruttore per i due rapporti fosse stato Rocco
Chinnici, avrebbe fatto i mandati di cattura. Senza conoscere
il dottor Chinnici e senza sapere dove abitava, tramite Saro
Riccobono so però (anche se non sicuramente, si potrebbe
accertare) che il giudice si stava facendo un villino nella
zona di Cardillo sulla montagna e che un certo Spatola
Bartolomeo andava a controllare. Non si fece saltare in aria
il giudice in quel periodo perché tre persone della scorta
andavano a controllare a terra e fra i cespugli. Dopo mi hanno
arrestato e non ho più seguito...
  PRESIDENTE. Quindi, non si fece saltare in aria prima il
dottor Chinnici a causa della scorta che andava a perlustrare
il posto, o per non far saltare in aria anche la scorta?
  GASPARE MUTOLO. Principalmente per la scorta: erano due
aspetti che coincidevano. La scorta andava prima del dottor
Chinnici: c'erano tre persone che controllavano, come vedeva
questo che guardava da lontano con il cannocchiale. Forse, se
il giudice fosse andato insieme con la scorta, si sarebbero
fatti saltare in aria: però, i poliziotti o i carabinieri
andavano prima del giudice per controllare.
  PRESIDENTE. Le risulta che ci sia stata una protesta
degli avvocati contro il dottor Chinnici perché si rifacevano
i processi per associazione?
  GASPARE MUTOLO. Non mi risulta.
  PRESIDENTE. L'omicidio di Terranova, se non erro nel
1979, rientra in questo quadro o appartiene ad un altro tipo
di motivazione?
  GASPARE MUTOLO. L'omicidio di Terranova non rientra nel
disegno del 1975-1976 ma rientra sempre nel quadro per il
quale, nel momento in cui una persona prende corpo e si vuole
prendere la briga di combattere la mafia, se è possibile, si
elimina.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio come si decide un
omicidio? Lei, parlando con i magistrati, ha detto che ci può
essere anche una notevole distanza di tempo fra il momento in
cui si decide ed il momento in cui si realizza l'omicidio. Una
cosa è certa: che quando si decide si fa.
  GASPARE MUTOLO. Faccio un esempio: Mutolo per adesso sta
collaborando e sta recando un danno alla mafia. Certamente, se
fossi a Palermo, sia in caserma, sia in traduzione, qualcuno
tirerebbe un colpo di missile. Per la mafia, la cosa più
impegnativa è individuare l'obiettivo, non colpirlo; non è un
problema colpire, almeno a Palermo, mentre in Italia può
essere diverso. Nel mio caso si rischia, perché sono un
pericolo continuo in quanto si va avanti ma io sto continuando
a parlare. Se invece avessi parlato e mi fossi fermato, la
decisione di uccidermi ci sarebbe stata lo stesso ma non vi
sarebbe stata premura: quando capitava il momento più
opportuno, sarebbe arrivato il "colpettino". A volte si
aspetta che in Italia succeda un fatto eclatante per dare un
"colpicino" da far passare alla chetichella. Qualche volta i
giornalisti non hanno da fare e allora si concentrano su
quello che succede; se, però, avviene in Italia un fatto
importante, qualcos'altro giù a Palermo può passare più
inosservato.
  PRESIDENTE. Come viene presa la decisione: si riunisce
la commissione?
  GASPARE MUTOLO. Si deve riunire la commissione; si
riunisce per parlare dei problemi da affrontare: non c'è
necessariamente una persona che deve scegliere o incaricata di
individuare gli obiettivi da colpire. No, gli obiettivi si
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sanno: se mi risulta che un avvocato cerca di fare il doppio
gioco (con la polizia, non con i magistrati), porto il caso in
commissione e l'avvocato viene ucciso. Se questo ha in mano un
personaggio importante o può uscire qualcosa di importante, si
uccide subito; altrimenti si aspetta il momento in cui la
persona può essere un po' denigrata.
  PRESIDENTE. Che lei sappia, o possa ritenere, ci sono
oggi persone per le quali è stato deciso l'omicidio e non è
stato ancora eseguito?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore, e credo più di una.
  PRESIDENTE. Quando la decisione riguarda non la persona
che ha fatto una cosa specifica ma un uomo politico come La
Torre o Mattarella, si svolge una discussione politica al
riguardo, oppure no?
  GASPARE MUTOLO. Certo, io non la so fare, ma fra
personaggi mafiosi, logicamente, si parla qualche volta di
politica. Comunque, a Palermo, non è che di politica ce ne
intendiamo tanto: a volte, andavo a Milano e vedevo persone
che parlavano di politica nella piazza, mi meravigliavo e
dicevo a mio cognato: "Ma sono pazzi, o scemi, qua tutti
parlano!" A Palermo, che capiscono di politica? A Palermo
votano per comodità, per un favore, perché magari si portano i
trenta litri di benzina o si regala il buono da centomila lire
per fare la spesa. Certo, ora ho letto che ci sono molti
giovani che si riuniscono. Vent'anni fa in politica per noi
uno valeva l'altro. Noi conoscevamo la politica che dovevamo
fare, poi non ci interessava... anche perché non capivamo, non
si sapeva quali problemi erano... a questa politica non ci si
dava peso. Si viveva un'altra realtà...
  PRESIDENTE. La cosa che a noi interessava era questa:
nella commissione si fa una discussione anche politica sulle
persone da uccidere? Quando si tratta di uccidere uomini
politici come Mattarella o La Torre, si fa una valutazione
anche politica della persona?
  GASPARE MUTOLO. No, no!
  PRESIDENTE. Non che lo si uccide perché è di un partito,
non voglio dire questo!
  GASPARE MUTOLO. Si fa la valutazione per il danno che
quella persona può fare.
  PRESIDENTE. Il problema è il danno...
  GASPARE MUTOLO. ... non se quello è politicamente più
bravo. Non avevo capito...
  PRESIDENTE. Non mi sono spiegato bene io.
  GASPARE MUTOLO. Io posso essere comunista (i comunisti
per un certo periodo a Palermo non comandavano niente), però
c'era un onorevole che abitava vicino al motel Agip - non mi
ricordo come si chiamava - uno bassino; si stava decidendo di
ucciderlo perché parlava troppo, ma poi non è stato più
ucciso, perché i cervelloni hanno capito che se fosse stato
ucciso sarebbe diventato un martire.
  ALFREDO BIONDI. Meglio vivo che morto!
  PRESIDENTE. Come si scelgono i killer che devono
eseguire l'omicidio?
  GASPARE MUTOLO. Non viene fatta una scelta di volta in
volta; i killer vengono scelti a periodi. A seconda dei
periodi ci sono famiglie che hanno più importanza perché al
loro interno c'è più unione. Non si sceglie per ogni omicidio;
ci sono alcuni gruppi, quando un omicidio è importante, di
solito il compito viene assunto sempre da quello che ha una
rosa di persone. Dipende dal punto e dal luogo, perché magari
se si deve fare un omicidio a Partanna Mondello io posso
                        Pag. 1251
essere più pratico, perché so che ci sono le campagne, i
"malasiani", dove mi posso andare a rifugiare se arriva la
polizia...
  PRESIDENTE. Non ho compreso la parola: i magazzini?
  GASPARE MUTOLO. I magazzini.
  PRESIDENTE. C'è una ragione di potere per la quale, se
si fa un omicidio a Partanna Mondello, gli esecutori devono
essere di Partanna Mondello per dimostrare che dispongono
degli uomini per fare questa operazione?
  GASPARE MUTOLO. Se è il periodo in cui la famiglia di
Partanna Mondello è forte, sì; si impone e dice: "Le persone
le metto io". Se non conta niente o è in bassa fortuna le
dicono..., ma a volte neanche glielo dicono. Lo sa perché si
sa, ma non si può sapere il giorno, l'ora in cui si fa un
certo omicidio. Dipende dalla potenza che uno ha in certi
periodi in Cosa nostra.
  PRESIDENTE. I killer devono essere necessariamente
di Cosa nostra? Combinati?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Sono tutti combinati?
  GASPARE MUTOLO. Se non sono combinati, ma sono persone
vicine, subito dopo li combinano. Ma questo può succedere per
un omicidio normale, per un ragazzo, ma se è un omicidio
importante non ci va quello che non è combinato per esserlo
subito dopo!
  PRESIDENTE. Quindi, quando un killer non
appartiene a Cosa nostra lo combinano subito dopo?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Può succedere ma in casi
rarissimi. Io conosco solo questo Rotolo Salvatore che non è
combinato, ma credo che quello che ha messo vicino questa
persona ha pagato con la vita, perché oltre a lui c'era anche
qualche altro. Magari non potevano uccidere persone che non
avevano nessuna colpa, però hanno ucciso il responsabile che
creò questa situazione, un certo Filippo Marchese. Lo hanno
ucciso perché si era circondato, non tanto perché si
circondava lui... magari c'erano personaggi della sua famiglia
i quali mettevano accanto persone che poi per un motivo o per
l'altro non si è potuto combinare. Qualcuno si è messo a
collaborare come Sinagra, quindi gli hanno addossato tutta la
colpa. Ognuno sta attento a frequentare una persona che non
può essere combinata. Sono stati sbagli che qualcuno ha
compiuto nel 1981-1982, mentre c'era, mentre avevano una certa
confusione, perché volevano sempre ammazzare e quindi
cercavano persone nuove.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione, secondo lei,
quali sono i motivi per i quali sono state commesse le due
stragi di Capaci e di Via D'Amelio?
  GASPARE MUTOLO. Secondo quello che so sia l'omicidio di
Falcone sia quello di Borsellino viene inquadrato senza ombra
di dubbio nel discorso che uno era l'uomo più pericoloso:
infatti, l'intelligenza del giudice Falcone è ben nota; non so
se in altri campi era intelligente, ma nel combattere la mafia
la sua capacità era indiscussa - e rappresentava quindi un
elemento da eliminare - l'altro era il depositario di una
cultura che allora non tutti i magistrati avevano. Certo ora
speriamo che si vada avanti con questi collaboratori, i
discorsi si vanno meglio specificando, si sta entrando nel
problema, ma fino ad allora Falcone era un potenziale pericolo
- non stava senza dare continui grattacapi alla mafia -
Borsellino, anche se in apparenza molto più bonario, già nel
1980 si era parlato di eliminarlo perché il Madonia Francesco
si sentiva perseguitato da lui, avendo egli emesso alcune
mandati di cattura, del capitano Basile, come mandante...
                        Pag. 1252
  PRESIDENTE. Tuttavia, per un giudice è normale emettere
mandati di cattura per un omicidio, o prima non eravate
abituati?
  GASPARE MUTOLO. Il giudice Falcone non veniva
considerato un giudice normale; lo si considerava uno che
combatteva. Ho conosciuto il giudice Fal-cone anche dall'altra
parte; mi ha interrogato, ma io sono sempre caduto dalle
nuvole. Questa è l'unica arma che abbiamo quando viene il
giudice, quella di fare la vittima, senza cercare di
controbattere. Conoscevo il giudice Falcone e ne avevo sentito
parlare da tanto tempo. Mi ricordo che a Palermo, mentre era
in corso il maxiprocesso, addirittura si diceva che abitava
nella piazzetta di Valdese, dirimpetto alla Sirenetta. Si
parlava di ucciderlo, stavano pensando di farlo, ma allora il
giudice Falcone si spostava molto scortato e, magari, non si
era ancora entrati nella mentalità di uccidere numerose
persone... Insomma, si evitò appunto per non provocare una
strage, ma il pensiero pacifico, tranquillo, l'obiettivo era
che lui dovesse essere comunque ucciso per tutte le
associazioni che lui aveva fatto nel 1983... Certo, perché
questo fattore così eclatante della strage? Secondo me si è
visto che il giudice Falcone era la continuità, seguiva come
una maledizione il maxiprocesso. I mafiosi ed i loro avvocati
cercavano di inventare una scusa, invece si sapeva, anche se i
ministri di grazia e giustizia o dell'interno facevano delle
leggi, si capiva che vi era qualche persona che conosceva
effettivamente i problemi da controbattere. Pensi -
l'onorevole Biondi lo saprà meglio di me - che per il
maxiprocesso si sono fatte quattro o cinque leggi per non far
uscire...
  PRESIDENTE. A questo proposito, intervenne in
particolare una legge riguardante la lettura degli atti... Non
so se lei ricorda quando voi chiedeste la lettura degli
atti...
  GASPARE MUTOLO. Lo ricordo eccome.
  PRESIDENTE. Quale reazione vi fu in proposito
all'interno di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Questo discorso si fece tranquillamente
anche perché era stato suggerito da un avvocato... ma la cosa
che si commentò - non ricordo se ci fosse il giudice Grasso -
era che stava facendo passare questo discorso degli atti
dicendo "li diamo per letti", come fosse una fesseria mentre
dopo l'avvocato, con molta contentezza, disse: "Ma se non ero
attento, stava passando, invece l'ho bloccato..."
  PRESIDENTE. Poi venne varata una legge che superava
questa cosa.
  GASPARE MUTOLO. Sono state adottate quattro o cinque
leggi e si commentavano le strategie dell'avvocato.
   Noi avevamo già delle strategie: c'erano avvocati
presenti, per esempio, a Trapani, che facevano dei processi e
che invece si davano per presenti anche a Palermo. Queste
erano cose che si dovevano portare in Cassazione per buttare
insomma il processo... delle nullità.
   C'erano avvocati completamente... Dicevano: domani mi
danno presente, io ho un processo a Trapani, tanto qua sto,
questa è cosa da annullamento... C'era tutta una strategia.
Certo, si voleva uscire alla scadenza dei termini perché c'era
la maturazione, ma le inventavano tutte al Governo: i
giorni...
  PRESIDENTE. Il computo dei termini...
  GASPARE MUTOLO. Qual era il fattore confortevole per noi
mafiosi, ossia qual era il discorso del processo? Che nessun
giudice, nessun presidente di ruolo, competente, aveva
accettato di fare questo processo perché non ha voluto
sottostare alle direttive che aveva il proseguimento di quel
processo. Siccome quel processo si prospettò subito come
politico, quindi tutta la mafia... Forse l'unico sbaglio del
dottor Falcone è stato quello di far capire a tutto il mondo
che la mafia era rappresentata da quelle
                        Pag. 1253
persone che erano in galera, condannate le quali la mafia
sarebbe stata distrutta. Questo secondo me è stato l'unico
sbaglio.
   Quindi tutte le cose che il detenuto cerca, che studia e
che si inventa perché, anche se il recluso non è molto
intelligente, paga l'avvocato che ha il dovere di seguire...
E' anche un discorso di coscienza...
   L'unica cosa bella era che il presidente che seguì il
maxiprocesso non aveva per noi alcuna importanza perché era un
civilista. Poiché nessun presidente si volle prestare a
seguire il processo non volendo essere condizionato, questo
era un discorso molto confortevole per noi.
   Il presidente Giordano, affiancato certo da qualche altro
magistrato molto valido, ha portato a compimento questo
processo. C'erano, però, tanti di quei cavilli, che si
mormorava fin da allora che la prima sentenza si doveva
accettare più che altro come un atto politico, non come un
atto di condanna anche perché dalle esperienze degli altri
processi - è facile riscontrare che processi molto importanti
non si sono mai...
  PRESIDENTE. Non si sono chiusi.
  GASPARE MUTOLO. Si sono sempre persi per strada.
   Dopo c'è stato il discorso di Tortora, il discorso del
socialismo che con i radicali conducono una campagna...
  PRESIDENTE. Il referendum sulla responsabilità.
  GASPARE MUTOLO. Era un discorso che ci dava forza e ci
portava a dire: "Va bene, per come vanno le cose, non è che
questo processo arriva in Cassazione, in appello..."
  PRESIDENTE. Si sistema.
  GASPARE MUTOLO. Gli interessamenti si cercavano anche
dall'altro lato, sia politico, sia attraverso i magistrati, a
qualsiasi livello perché per la prima volta erano in galera o
latitanti personaggi importanti, che potevano spendere molti
soldi; in sostanza, non si badava a spese.
   Dopo l'appello, è successo...
  PRESIDENTE. L'appello come fu accolto da voi?
  GASPARE MUTOLO. L'appello fu accolto perché già vi era
un giudice di merito; quindi si sapeva che, almeno dagli
orientamenti che avevano gli avvocati, un presidente non può
addirittura ribaltare una sentenza; comunque già un giudice di
merito le dava una certa aggiustata, anche in previsione di
quella che era la Cassazione di quel periodo... di annullare
tutto in Cassazione, cioè non di ridurre, ma di annullare
tutti i processi.
  PRESIDENTE. Era stato contattato un giudice di appello
per tentare di sistemare la cosa?
  GASPARE MUTOLO. Contattare propriamente no; non è che i
giudici si contattano prima; semmai, mentre il processo viene
assegnato ad un certo magistrato, si fa quell'opera di
persuasione che, purtroppo, si prende alla larga, si scovano
parenti ed amici, l'infanzia... Non si va dal giudice a
dire... C'è tutto un lavoro di investigazione...
  PRESIDENTE. C'è tutto un lavorio. Si agisce però anche
con sottili intimidazioni o soltanto con la persuasione?
  GASPARE MUTOLO. Certo, quando si arriva ai giudici
popolari... Sulle corti di assise gioca molto il ruolo dei
giudici popolari, anche se questi ultimi non capiscono niente
e quindi se un presidente è convinto...
  PRESIDENTE. Li trascina.
  GASPARE MUTOLO. Ha il modo... Se però al giudice
popolare si dice: "Mi devi portare la prova", che nei processi
di mafia la prova non è... tu devi dire soltanto: "Mi devi
portare la prova". Anche per il presidente non è tanto
facile...
                        Pag. 1254
  PRESIDENTE. Quindi, anche sul giudice popolare si esercita
una pressione più diretta?
  GASPARE MUTOLO. Il giudice popolare è una persona
normale e di solito non fa resistenza, celebra il processo e
vuole stare tranquillo. Cosa diversa è il giudice togato il
quale ha una carriera e fa quel lavoro per mestiere, quindi
affronta i rischi della sua professione. Su cinque giudici
popolari forse uno non si può avvicinare perché si teme che
abbia un parente poliziotto, ma quasi tutti si possono
avvicinare. Costoro possono provenire da qualsiasi punto della
Sicilia; si fa comunque un'opera di conoscenza senza arrivare
quasi mai alla minaccia. Certo, in casi estremi si può
giungere anche alla minaccia, ma di solito non ci si arriva
mai.
  PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato che in appello si dette
un'"aggiustata" a questo processo.
  GASPARE MUTOLO. Sì, lo stesso fatto che si parlava con
gli avvocati, che vi era un giudice competente ...
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire "giudice competente"?
  GASPARE MUTOLO. Noi facevamo paragoni tra il presidente
Giordano, che è un civilista... Quindi si aveva la
preoccupazione si si prendeva un altro presidente, preso a
casaccio, che poteva benissimo non capire nulla, si metteva là
per dire: tu devi condannare questo o quello. Non so se mi
sono spiegato. Nel momento in cui ciò non è accaduto siamo
stati contenti. Gli avvocati cercano di sondare gli
orientamenti del presidente in ordine alla sua linea di
condotta. Sono cose che non è facile spiegare.
  PRESIDENTE. Quindi questa sentenza d'appello era più
favorevole a voi rispetto a quella di primo grado.
  GASPARE MUTOLO. La sentenza della corte d'appello è
stata buona perché, in qualche modo, ha rotto il teorema della
commissione. Naturalmente in Cassazione apparentemente non
dovevano esservi problemi.
  PRESIDENTE. Come facevate ad essere così tranquilli che
in cassazione non sarebbero sorti problemi? Devo dirle che la
Commissione conosce le dichiarazioni da lei rese su questi
punti; dico ciò per sua tranquillità.
  GASPARE MUTOLO. Innanzitutto perché conoscevamo
l'orientamento del giudice Carnevale della prima sezione e
questo è un fatto pacifico; inoltre sapevamo l'interessamento
degli avvocati molto vicini ed amici del giudice Carnevale.
  PRESIDENTE. Questi avvocati li sceglievate anche perché
amici del giudice Carnevale?
  GASPARE MUTOLO. Gli avvocati si scelgono a seconda del
presidente. Se sappiamo che un presidente è democristiano,
scegliamo un avvocato democristiano; se invece un presidente è
comunista, scegliamo un avvocato comunista.
  PRESIDENTE. Cercavate una persona che potesse parlare al
presidente con maggiore facilità?
  GASPARE MUTOLO. Con l'apporto dell'avvocato e quello
delle altre persone si arriva ad una conclusione più
favorevole per l'imputato.
  PRESIDENTE. Cosa si diceva nel vostro ambiente del
dottor Carnevale?
  GASPARE MUTOLO. Si parlava molto di questo magistrato
molto coraggioso e forte che sapeva imporre la propria
volontà. Certamente un magistrato non può comandare un'intera
sezione, per cui alcuni suoi colleghi condividevano le sue
idee, però il giudice Carnevale era una garanzia più che altro
per l'esperienza per quanto accaduto durante la celebrazione
di questi processi di mafia. Si
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diceva: "C'è Carnevale". Sia lodato Gesù Cristo!". Dopo si
cercava l'avvocato, si cercava...
  PRESIDENTE. Sulla base di ciò che ha detto vi furono
anche interventi di carattere politico per la risoluzione in
Cassazione del maxiprocesso?
  GASPARE MUTOLO. Logicamente vi furono.
  PRESIDENTE. Può spiegarlo alla Commissione?
  GASPARE MUTOLO. Sapevo, sia per dirette conoscenze sia
perché ne parlai con Ignazio Salvo, che aveva degli agganci
con magistrati del tribunale di Palermo e con alte personalità
politiche di Roma.
  PRESIDENTE. Con politici nazionali?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Non siciliani?
  GASPARE MUTOLO. No, nazionali. Si disse che
dell'andamento del processo dovesse interessarsi anche
l'onorevole Lima. Forse perché la linea politica a Roma
cambiò, le promesse allora fatte (non posso certo dire di aver
parlato di queste cose con l'onorevole Lima) non furono
mantenute.
  PRESIDENTE. Vi avevano promesso anche l'annullamento
della sentenza in Cassazione? Perfino del provvedimento di
Falcone?
  GASPARE MUTOLO. Si disse che tutto sarebbe ritornato in
istruttoria in quanto vi erano vizi procedurali.
  PRESIDENTE. Quindi gli avvocati vi dissero: annulleranno
tutto e tutto tornerà nuovamente in istruttoria.
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Questo ve lo disse anche Ignazio Salvo?
  GASPARE MUTOLO. No, Ignazio Salvo no. Questi discorsi li
fecero personaggi mafiosi che avevano parlato probabilmente
con qualche avvocato o con qualche personaggio politico.
  PRESIDENTE. Quale fu il ruolo di Lima in questa vicenda?
  GASPARE MUTOLO. Non posso rispondere con sicurezza alla
domanda, posso solo fare delle deduzioni attraverso le mie
conoscenze e quanto ho sentito dire. Purtroppo dobbiamo
ritornare nella realtà palermitana; a quello che una persona
può subire essendo in politica. Il ruolo qual era? Fra che
Lima diede garanzia che a Roma si sarebbe risolto tutto.
  PRESIDENTE. Lui praticamente faceva da tramite per le
vicende romane?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Dava le garanzie su quello che accadeva a
Roma?
  GASPARE MUTOLO. Lui aveva degli agganci nel tribunale di
Roma. Non so però a chi si rivolgesse.
  PRESIDENTE. Nel fare questo ragionamento siamo partiti
dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Facendo un passo
indietro, devo notare che entrambe le stragi sono eclatanti ed
è questa una novità. Cosa nostra fa saltare addirittura un
tratto di autostrada e quasi un palazzo in via D'Amelio. La
domanda è la seguente: non si sono mai verificate in passato
due stragi così vicine tra loro. Può dare una spiegazione di
ciò? Ad un certo punto bastava aver ucciso Falcone, avrebbero
potuto aspettare ancora un po', come mai subito dopo si è
voluto uccidere anche Borsellino? Perché queste stragi e dopo
basta?
                        Pag. 1256
  GASPARE MUTOLO. Basta perché sono scesi i militari, quindi
logisticamente è diventato più difficile muoversi con la
dinamite.
   Bisogna comprendere che, dopo che la sentenza è divenuta
definitiva, alcune persone si sono sentite perse, per cui vi
era bisogno di una nuova cultura garantista. Ci si può
domandare come sia possibile che dopo un processo definitivo
si abbiano ancora speranze. Ciò deriva dal fatto che in alcuni
casi vi è stata la revisione del processo. Non voglio fare un
discorso troppo complicato, perché da molti anni non ho
contatti con la Sicilia, però, so che la mentalità delle
persone che sono in galera e che devono scontare l'ergastolo
cozza con la realtà perché il mafioso non è abituato a subire
condanne. La sentenza della Corte di cassazione ha
rappresentato l'inizio della fine, per cui occorreva
capovolgere tutto cominciando dal mondo politico e dalla
magistratura. A mio avviso, appena si allenterà la tensione,
vi saranno altri attentati - mi auguro che non sia così -
perché quando un animale è ferito diventa più pericoloso di un
animale selvaggio ma sano.
  PRESIDENTE. Il fatto che adesso Palermo non sia
praticabile come prima a causa della presenza dei militari può
portare Cosa nostra ad attuare fuori dalla Sicilia gli
attentati che a Palermo non sono possibili?
  GASPARE MUTOLO. Cosa nostra ha agganci in diverse città
d'Italia (Napoli, Milano, Roma, Firenze). La mentalità,
comunque, è ancora quella di fare queste cose nella nostra
terra per dare il segno preciso di una mafia che si ribella
agli orientamenti del Governo. Potrebbe semmai prendere in
considerazione un obiettivo facile; ma se occorre far
rischiare l'ergastolo a tre o quattro persone, non opera
nemmeno a Reggio. Comunque, in Italia vi è qualche obiettivo
costituito da qualche funzionario, politico o magistrato che
cerca di distruggere la mafia; vi sono, infatti, dei
personaggi a rischio, anche se nel resto d'Italia non è come
in Sicilia, però se a Roma, Milano o Torino la mafia trova
quel terreno fertile che a Palermo c'è sempre stia tranquillo
che lo fanno andare lì.
  PRESIDENTE. Ad un certo punto lei ha detto che avrebbe
dovuto far riferimento a discorsi di molto tempo fa. Intendeva
parlare di ipotesi di tipo autonomista o separatista della
Sicilia sulle quali puntare per la revisione dei processi?
  GASPARE MUTOLO. Prima si facevano discorsi di
separatismo.
  PRESIDENTE. Intende riferirsi al tempo di Giuliano?
  GASPARE MUTOLO. Ne sentivo parlare quando ero in galera
o al tempo del golpe Borghese e di Sindona. Parlando con
persone importanti nell'ambito della mafia si poteva capire
che si aspirava ad una Sicilia autonoma ma con l'appoggio
degli americani, e non certamente dei russi, perché molti
siciliani hanno figli e nipoti in America.
   Questo conflitto tra America e Russia che rappresentava il
motivo basilare dell'orientamento della mafia non esiste più.
I mafiosi ora se debbono uccidere qualcuno lo fanno, ma se
tutto il popolo è contrario ad un determinato orientamento...
non dimentichiamo i vespri siciliani. Intendo dire che se gli
operai scendono in piazza sono in grado di prendere i mafiosi
a martellate, per cui questi non possono decidere da soli. A
suo tempo si parlava di separatismo ma in primo luogo
dell'America e della convenienza a situarsi sotto la sua
influenza.
  PRESIDENTE. Se non ho capito male lei ha sentito fare
questi discorsi al tempo del golpe Borghese e della discesa in
Sicilia di Sindona.
  GASPARE MUTOLO. Quando è venuto Sindona in Sicilia io
ero in galera, però so che si facevano discorsi di questo
tipo.
                        Pag. 1257
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del fatto che la
Cassazione oltre che a Roma potrebbe essere insediata in tutte
le regioni, quindi anche a Palermo, per cui sarebbe possibile
la revisione del processo?
  GASPARE MUTOLO. Logicamente sarebbe un fatto positivo.
  PRESIDENTE. Stava parlando prima delle due stragi
temporalmente così vicine. Come mai? Se la mafia reputa
necessario fare il grande attentato, anche per reagire e
dimostrare che è forte, dopo sta tranquilla. In questo caso,
invece, non è stato così.
  GASPARE MUTOLO. Potrei darvi una risposta ma non me la
sento. Può darsi che volessero dimostrare la loro forza,
oppure può darsi che qualcuno stesse parlando... Non me la
sento di dare una risposta precisa.
  PRESIDENTE. Certo, con sicurezza non si può dire, ma lei
ci può fornire qualche criterio per capire?
  GASPARE MUTOLO. Sono validi tutte e due gli aspetti.
Falcone era completamente un peso sullo stomaco; per
Borsellino si poteva aspettare e c'è stata un'accelerazione,
perché di solito si aspetta una reazione, anche se lenta,
dello Stato quando viene ucciso un personaggio importante. Può
essere che hanno pensato: cosa facciamo, uno - due e stanno
tutti sul chi va là perché aspettano il terzo (non c'è due
senza tre)? Può darsi che il secondo sia avvenuto perché
sentivano che già c'era qualcuno che stava collaborando, però
non potrei dirlo con certezza.
  PRESIDENTE. Risulta che siano stati utilizzati per la
strage di Capaci alcuni quintali di esplosivo: era facile
procurarselo?
  GASPARE MUTOLO. Per noi, l'esplosivo non è mai stato un
problema, perché ci sono le cave ed abbiamo sempre avuto tutta
la dinamite che abbiamo voluto. Non abbiamo mai avuto problemi
per le armi e la dinamite.
  PRESIDENTE. Quindi, non c'era bisogno di procurarseli da
fuori?
  GASPARE MUTOLO. No, penso che non sia possibile che in
Sicilia manchi la dinamite. Sa quante cave ci sono in Sicilia?
E' come la questione del tecnico, che alcuni dicono essere
forse un arabo, o un tedesco...
  PRESIDENTE. Vuole dire che non c'è bisogno di un tecnico
tedesco?
  GASPARE MUTOLO. Le posso dire che, quando a Palermo
saltavano le "giuliette", in Italia non sapevano cosa fosse
l'esplosivo.
  PRESIDENTE. Negli anni sessanta?
  GASPARE MUTOLO. All'inizio degli anni sessanta. Certo,
se a un bambino di allora si dava un computer non poteva
usarlo, e ora invece i bambini sono più intelligenti; però,
per l'intelligenza che c'era allora, a Palermo, già nel
1962-1963, saltavano le "giuliette" e si pensava che fosse
chissà che cosa.
  PRESIDENTE. Un altro collaboratore ci ha detto che nel
caso di un omicidio particolarmente importante non è che si
chiedesse l'autorizzazione, però si sentiva da qualche altra
parte quale tipo di opinione si avesse sulla sua opportunità e
utilità o meno: si è parlato di un'entità. Le risulta qualcosa
del genere?
  GASPARE MUTOLO. Cosa significa entità?
  PRESIDENTE. Ci hanno detto che quando si deve fare un
omicidio importante se ne occupa Cosa nostra, però qualche
volta si sente l'opinione di qualche entità, associazione o
ente: non abbiamo capito bene perché chi lo ha detto si è
riservato di parlarne più specificatamente con i giudici.
                        Pag. 1258
  GASPARE MUTOLO. Ho capito: si riferisce ad altre
organizzazioni che non sono mafiose?
  PRESIDENTE. Sì.
  GASPARE MUTOLO. Non mi risulta nella maniera più
assoluta, almeno per quanto ne so io. Lo può sapere per
amicizia un personaggio mafioso di un'altra provincia, ma non
come obbligo.
  PRESIDENTE. Da quanto abbiamo capito, però, si
tratterebbe non di un'altra organizzazione criminale ma di
qualcosa di diverso che non è criminale né mafioso.
  GASPARE MUTOLO. No, non mi risulta.
  PRESIDENTE. Si percepiscono segnali che qualche omicidio
può non essere sgradito? La domanda è un po' difficile, lo so,
ma ci serve per capire.
  GASPARE MUTOLO. Non è che si uccide una persona per fare
piacere ad un'altra, ma principalmente perché si ha la
convenienza. Certo, se lo Stato ha, diciamo, "posato" un
personaggio, che è in disgrazia, per motivi che possono essere
diversi... Ma non è che la mafia uccide una persona per fare
un piacere allo Stato. Naturalmente, come in tutti gli omicidi
che riguardano giudici, politici, persone importanti, si
aspetta il momento in cui quella persona è meno in auge:
appena si trova un po' nella bassa fortuna, gli danno il
colpo, appunto per non essere attaccati eccessivamente. Questo
perché lo Stato, per tutti gli omicidi eclatanti, ha avuto
qualche reazione, anche se lenta o piccola: però, è questione
di pochi giorni o mesi. Certo, se si uccide una persona
importante, l'azione dello Stato può essere più forte, come è
successo ora; però, quello che sta succedendo ora non è che
non sia successo in altre occasioni.
  PRESIDENTE. Signor Mutolo, possiamo proseguire, o è
stanco e preferisce interrompere l'audizione?
  GASPARE MUTOLO. No, possiamo proseguire.
  PRESIDENTE. Sulla base di quanto lei può sapere, cosa
sta succedendo dentro Cosa nostra dopo l'arresto di Riina?
  GASPARE MUTOLO. Conoscendo i personaggi che ruotano
attorno all'ambiente, secondo me nessuno può prendere
esattamente il posto di Salvatore Riina per il suo carisma, la
sua conoscenza, la sua capacità, l'ideale per se stesso di
arrivare al punto dove è arrivato, anche se ha fatto
distruggere tutto quello che ha costruito, perché è arrivato
ad un certo punto e dopo ha distrutto tutto con le sue mani:
infatti, comunque dopo un certo periodo, quando le persone
prenderanno corpo, si distruggeranno senz'altro, anche perché
sono tutti rovinati.
   Ad ogni modo le persone che possono essere più propense ad
avere un ruolo sono, primo, un certo Bagarella, il cognato di
Salvatore Riina, che però non ha la stessa intelligenza: è un
ragazzo molto espansivo, nel senso che se c'è una cosa la
vuole fare subito, magari non pensando alle conseguenze che
possono derivare. E' attorniato da una schiera di personaggi
molto giovani e votati a tutto. Altri personaggi che possono
essere a livello di questo Bagarella, ma che sono però molto
più saggi, sono Mariano Troia, Raffaele Ganci - almeno, io
vedo questi come possibili personaggi -. Nella via di mezzo,
fra il primo che potrebbe fare cose avventate e i secondi che
potrebbero essere più moderati, vedo il Cangemi Salvatore, che
è anche uno dei giovani (per giovani intendo della mia età, di
cinquant'anni). Queste persone potrebbero prendere le redini
di Salvatore Riina.
   Bisogna vedere che tipo di azione debbono fare per
prendere questo titolo di conduttore lasciato da Riina.
Giustamene Riina ha lasciato e per un certo tempo non si può
distruggere quello che ha creato, anche in negativo: le
persone a lui vicine, quella stretta collaborazione... quelle
persone ci sono. Bisogna vedere chi deve mettere e i messaggi
che Riina manderà.
                        Pag. 1259
   Il discorso di Riina - "voglio fare il confronto con i
pentiti" oppure "voglio presenziare alle udienze" - non so che
messaggio è. Quando dice che non mi conosce e che mi ha visto
nel 1966 in galera - come dirà di me dirà senz'altro degli
altri - ... Questi confronti a che servono? Sicuramente
saranno messaggi per dire: "Fate qualche cosa". Non mi voglio
esprimere per non... La preoccupazione c'è anche per noi,
perché noi tutti abbiamo familiari in Sicilia. Se sono così
carogne e si vogliono inasprire contro persone che non
c'entrano niente, lo facciano pure. Però il messaggio che dà
lui è questo. Fa il confronto e dice: "A questo chi lo
conosce?". Noi sappiamo pure quanto pesa!
   Ripeto: secondo quello che lui riesce a mandare fuori,
secondo la coscienza che prenderanno le persone di Palermo. Se
Palermo vuole torneranno come prima; se ne andranno a Corleone
e comanderanno nel loro paese, se son capaci, non a Palermo.
   Purtroppo il discorso è ancora forte. Ora hanno arrestato
Montalto Giuseppe, però ci sono ancora tanti latitanti che
rischiano l'incastro con quello che abbiamo detto noi. Che
cosa hanno più da perdere? Sanno che non si possono godere
tutti questi miliardi che hanno, che tutti gli omicidi
compiuti pian piano verranno pagati. Certo, la loro fortuna
consiste nel rimanere latitanti, oppure nel cercare di
assoggettare, di nuovo, come hanno fatto una volta, le
istituzioni; allora si annullano, si fanno revisioni di
processi, si presentano domande di...
  PRESIDENTE. E' chiaro. Era prevedibile, secondo lei, per
Cosa nostra che Riina sarebbe stato arrestato? Era una cosa da
mettere in conto, oppure si pensava che per questa sua
grande...
  GASPARE MUTOLO. Totò Riina dove l'hanno arrestato?
Questa è la vita che ha fatto sempre! Totò Riina si poteva
spostare da San Giuseppe a La Noce, da La Noce a Cardillo, da
Cardillo a Tommaso Natale. Totò Riina là era! Non era in
America! Ogni tanto, quando si sapeva che c'erano
rastrellamenti forti, pigliava e se ne andava vicino a
Marsala.
  PRESIDENTE. Questo era il massimo della lontananza.
  GASPARE MUTOLO. Ma per quindici giorni, dopo scendeva a
Palermo! Non pensiamo che Totò Riina stava nel sotterraneo,
era uno tranquillo, pacifico.
  PRESIDENTE. Che cosa lo rendeva così tranquillo e
pacifico, visto che lo si ricercava?
  GASPARE MUTOLO. Pensava che, anche se arrivava una
soffiata, poteva avere sempre l'intelligenza o l'intuito di
capire e di spostarsi in tempo.
  PRESIDENTE. Si muoveva dentro una zona abbastanza
ristretta...
  GASPARE MUTOLO. Se sale sul Monte Pellegrino, vede che
Palermo è un piatto. Palermo non è come Roma o Milano; non è
grande, è piccola. Proprio dentro Palermo non ci stava mai. Si
è detto tantissime volte: andava sempre nelle perifierie. Ma
queste cose già si sapevano nel 1972, non sono una novità.
  PRESIDENTE. La strage di Capaci...
  GASPARE MUTOLO. Scusi, gli altri, Cangemi ed altri
personaggi, si immagina che sono in America oppure... sono là!
Cangemi si è costruito una villa da sette miliardi; Brusca
ogni sabato è a San Giuseppe Jato, tranquillo, pacifico.
Magari sono persone che non si conoscono, sono cambiate
fisicamente, ma sono là.
  PRESIDENTE. Sono a casa loro.
  GASPARE MUTOLO. La terra attira noi siciliani; latitanti
o non latitanti stiamo là.
  PRESIDENTE. Tuttavia, c'è un punto sul quale non si può
non concordare: è
                        Pag. 1260
abbastanza scandaloso che tutti stanno lì, a casa loro e per
tanti anni non è stato preso nessuno!
  GASPARE MUTOLO. Signor presidente, magari non stanno al
numero 25, ma al 30! La polizia quando è andata al numero 25
ha fatto il suo dovere! Quando mi andavano a cercare andavano
a via Catalano, mentre io non andavo più a via Catalano da
vent'anni! Però ogni tanto la polizia passava da via Catalano;
magari, se c'era qualche bambino si preoccupava perché vedeva
delle armi. L'andamento di Palermo è questo.
  PRESIDENTE. Che indirizzo aveva dato alla scuola
frequentata dai suoi figli? Quando ci si iscrive a scuola, si
dà un indirizzo. Che indirizzo dava, quello di via Catalano o
quello giusto?
  GASPARE MUTOLO. Quello giusto. Può controllare; quando
ero latitante mia moglie andava a iscrivere i miei figli...
anche perché se il bambino si sentiva male e la maestra doveva
telefonare, dove chiamava? All'indirizzo sbagliato?
  PRESIDENTE. A nessuno negli uffici di polizia è venuto
in mente che lei aveva dei figli, che probabilmente questi
figli andavano a scuola, probabilmente nello stesso quartiere.
  GASPARE MUTOLO. Può darsi che non facessero questo tipo
di indagini.
  PRESIDENTE. Non ci vuole una grande perspicacia per
farlo! C'era un forte condizionamento da parte vostra sulle
forze dell'ordine?
  GASPARE MUTOLO. Sono persone che abitavano là a Palermo
e volevano stare tranquilli.
  PRESIDENTE. Ha già dato a questa domanda una parte di
risposta. Ha già detto che Cosa nostra teme più di tutto che
le vengano tolti i soldi. Al di là di questo, quali sono le
cose che più possono darle fastidio?
  GASPARE MUTOLO. La libertà.
  PRESIDENTE. Quindi, i soldi, la cattura...
  GASPARE MUTOLO. Basta.
  PRESIDENTE. Queste operazioni fatte da Dalla Chiesa,
apparentemente piccole, la questione dei pozzi, delle patenti,
dei fogli rosa...
  GASPARE MUTOLO. Sembravano piccole ma erano... Fino a
quando ero fuori Dalla Chiesa non era entrato nel discorso dei
mafiosi. Ci andava così...
   Quelli che si lamentavano di più potevano essere questi
personaggi puliti e non il mafioso; però si diceva che se lui
pensava di fare con i mafiosi quello che aveva fatto con il
terrorismo si uccideva subito...
  PRESIDENTE. Fino a quando è stato ucciso, fino a questo
famoso 3 settembre, Dalla Chiesa non aveva fatto cose
particolarmente pericolose contro di voi: i latitanti non
erano stati arrestati, i soldi non erano stati tolti...
  GASPARE MUTOLO. Sì, però stava attuando tutta una
politica; apparentemente non faceva niente, ma già si sapeva
che, per esempio, andava da quello... non so se si trattasse
di assessori, di cose comunali... Insomma, andavano da questi
personaggi...
  PRESIDENTE. Da un amministratore.
  GASPARE MUTOLO. Per esempio dagli amministratori: c'era
il problema dell'acqua? Allora egli cercava di requisire, ha
requisito i problemi dell'acqua; andava a parlare con il
responsabile dell'acquedotto e questo era un discorso che dava
fastidio ai mafiosi. Non usciva sui giornali, ma si sapeva che
era Dalla Chiesa.
   C'era il discorso delle patenti: lui richiamò tutti coloro
che rilasciavano questi biglietti...
                        Pag. 1261
  PRESIDENTE. I fogli rosa.
  GASPARE MUTOLO. Non uscì sui giornali, ma si sapeva che
si trattava di Dalla Chiesa. C'erano persone le quali dicevano
che non si poteva più respirare...
  PRESIDENTE. Ho capito.
  GASPARE MUTOLO. ... e non certamente il mafioso perché,
almeno fino ad allora, il mafioso non era stato toccato.
  PRESIDENTE. Quindi, Dalla Chiesa non aveva ancora
toccato i mafiosi, ma alcuni ambienti attorno ad essi?
  GASPARE MUTOLO. Sì, dai discorsi che si sentivano e che
si facevano si capiva che lui voleva cambiare, voleva più che
altro far prendere coscienza alle persone che credevano nel
fenomeno mafioso, che cioè vedevano il mafioso come colui che
risolve i problemi, che non era così. Voleva cominciare dalle
scuole, con i lavoratori. Era questo. Magari il mafioso non ci
faceva caso perché non frequenta la scuola, ma erano cose che
si sentivano.
   Quando è venuto a Palermo, Dalla Chiesa si è messo subito
a lavorare su questi elementi; non abbiamo aspettato il 3
settembre, perché già a giugno si vociferava che se non la
finiva, se fosse andato a implicarsi nelle costruzioni, che
aveva queste licenze...
  PRESIDENTE. Sapevate che Dalla Chiesa aveva chiesto
anche un rapporto alla polizia su Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Noi sappiamo questo, mentre sono fuori
so... Non so se Dalla Chiesa, il giudice Chinnici, o Ninni
Cassarà però, nel giugno 1982 sappiamo che c'erano due
rapporti di polizia, uno che appartiene... da Michele Greco,
dalla parte di là della città ed uno di qua, e che se questi
rapporti arrivano al giudice istruttore Chinnici, quest'ultimo
spicca i mandati di cattura. Quindi, se il giudice Chinnici o
la polizia sono incoraggiati perché c'è Dalla Chiesa... Sono
cose che pian piano vengono fuori, ma la realtà era quella.
Non è che arriva Dalla Chiesa, fa un'associazione e quindi
arrestano 100 persone, spiccando i mandati di cattura.
   Già si sapeva che c'erano questi rapporti. Non so ora come
funziona: di solito, quando mi vedevo arrivare un mandato di
cattura - e me ne arrivavano tanti - ... mi rendevo conto
quando avevo il mandato di cattura. In quel periodo sapevamo
che c'erano due rapporti della polizia - o dei carabinieri -
per un totale... Sapevamo che uno era di 150-160 ed un altro
di 80 persone. Queste erano notizie che sapevamo fuori, però
non sapevamo che erano in preparazione, ma se li aveva in mano
Chinnici, faceva i mandati di cattura.
  PRESIDENTE. Come facevate a sapere che erano in
preparazione questi rapporti? Avevate persone che,
dall'interno delle forze di polizia, vi informavano?
  GASPARE MUTOLO. Sì, certamente c'era qualche personaggio
che informava. Non posso dire chi...
  PRESIDENTE. Non chiediamo i singoli nomi.
  GASPARE MUTOLO. Si sapeva, ma non solo dei rapporti. A
volte sapevamo quando c'era un mandato di cattura
nell'ufficio...
  PRESIDENTE. Nell'ufficio catturandi.
  GASPARE MUTOLO. ... nell'ufficio catturandi, sapevamo
quando arrivavano...
  PRESIDENTE. Vi informavano. Questo è avvenuto anche
recentemente o solo in tempi passati?
  GASPARE MUTOLO. Parlo per il passato. Ora non...
  PRESIDENTE. Certo, come sia adesso non può saperlo.
Vorrei sapere, però, se si parli degli anni sessanta-settanta
o...
                        Pag. 1262
  GASPARE MUTOLO. Fino al 1982 mi risulta che fosse così!
  PRESIDENTE. Risulta a lei direttamente.
  GASPARE MUTOLO. Dal 1982 in poi posso parlare per
sentito dire, ma la cosa era...
  PRESIDENTE. Le sembra cioè che non ci siano stati
cambiamenti nemmeno dopo il 1982, ma non lo sa direttamente
perché dopo è stato in carcere?
  GASPARE MUTOLO. E' logico. Ora magari sarà più difficile
perché la realtà è diversa oltre al fatto che con questi
collaboratori che parlano - e parlano troppo - nessuno si
sente più sicuro.
  PRESIDENTE. Certo. Quali contropartite avevano queste
persone che, dall'interno, vi davano informazioni? Si trattava
di soldi, regali, piaceri?
  GASPARE MUTOLO. A percepire soldi erano pochissime
persone. Sapevo che un personaggio dell'ufficio catturandi
percepiva regolarmente un mensile, un certo Spataro, e, in
più, riceveva dei regalini quando si precipitava a portare
informazioni. Qualche altro personaggio lo faceva magari
perché voleva essere pagato, ma di solito non si fanno... Il
pagamento è una cosa... Magari c'è una forma di regalo, ma la
maggior parte - parlo sempre della polizia... E' volgare dire:
"Ti do tanto"; si trova una forma diversa per chiedere un
regalo.
  PRESIDENTE. A questo proposito, un membro della
Commissione vorrebbe avere notizie sulla storia dei 15 milioni
per Contrada.
  GASPARE MUTOLO. Ho specificato, c'è un verbale ormai
pubblico... Nel Natale 1981, facendo della contabilità con
Saro Riccobono, abbiamo detratto 15 milioni perché un amico
del dottor Contrada ci disse che serviva ad una donna che
aveva Contrada...
  PRESIDENTE. Questo amico era un uomo d'onore o un
esterno?
  GASPARE MUTOLO. No, un amico del dottor Contrada.
  PRESIDENTE. Un amico delle forze di polizia od esterno
ad esse? Non voglio conoscere il nome.
  GASPARE MUTOLO. No, non appartiene alla polizia, ma
comunque è di qualche altra organizzazione non mafiosa.
  PRESIDENTE. Non vogliamo conoscere il nome, ma ci faccia
capire.
  GASPARE MUTOLO. Era un medico che si sapeva avere molte
amicizie nell'ambito...
  PRESIDENTE. Era massoneria?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Finora quali comportamenti dello Stato hanno
recato più svantaggio a Cosa nostra? Glielo chiedo per evitare
di compiere gli stessi errori.
  GASPARE MUTOLO. Vuole sapere che cosa dovrebbe fare lo
Stato?
  PRESIDENTE. Sì.
  GASPARE MUTOLO. Il problema principale secondo me è
quello dei tribunali, che è molto importante. Per esempio, se
si fa un processo e ci sono giudici popolari siciliani, è
logico che questi ultimi non possano rischiare la vita per un
processo. Quindi, si dovrebbe cercare una forma di tribunale
normale ma con persone che non corrano il rischio, come è
successo con il giudice Saetta che, dopo aver pronunciato una
sentenza, è stato ucciso. Questi sono fatti che un presidente
non dimentica, che sono sempre vivi nei ricordi dei
magistrati.
                        Pag. 1263
   Quindi, secondo me, si tratta principalmente di mettere le
corti d'assise, i tribunali nelle condizioni di fare un certo
lavoro e di poter contestare liberamente ad un mafioso un
reato senza il pericolo di subire domani un attentato. Questa,
secondo me, è la cosa principale e che mi ha indotto, anche se
dolorosamente, a fare il nome di qualche magistrato, perché a
me non interessa niente...
   E' un problema perché il tribunale è una sicurezza, aiuta:
se sono un mafioso, un killer, e sono sicuro che, male
che mi va, vengo arrestato ad un metro da chi ho ucciso e dopo
il processo si aggiusta, logicamente non c'è freno; vi è,
cioè, una certa sicurezza. Forse, la spavalderia di quei
mafiosi - mi ci metto anch'io - era dovuta alla sicurezza di
sapere tranquillamente che, se anche ci venivano imputati
omicidi o stragi, male che si faceva... Era un detto: "Vabbé,
va' a paga'".
   La procedura? Mi ricordo che quando fu ucciso Alfio
Ferlito, dissi al mio amico Michele Micalizzi, con il quale
conversai fino alle 8,30 sulla terrazza di casa mia in via
Ammiraglio Cagni, che sicuramente mi avrebbero arrestato in
quanto avevo avuto un fermo a Catania e alcune mie telefonate
erano state intercettate. Inoltre, dopo aver visitato due
persone al motel Agip, una macchina della polizia li seguì e
dopo questi furono fermati. Ricordo inoltre che intorno alle
13,30 il maresciallo della borgata (l'omicidio avvenne intorno
alle 11, mezzogiorno) venne a casa mia per chiedermi il nome
della via. Chiesi: come che via è? Mi rispose: lo vogliono
sapere i carabinieri. Quella visita del maresciallo a casa mia
quel giorno dell'omicidio di Ferlito, mi fece pensare che da
lì a poco mi avrebbero arrestato.
  PRESIDENTE. Non ho capito bene: lei sta a casa sua,
arriva un maresciallo ...
  GASPARE MUTOLO. Il maresciallo di Pallavicino.
  PRESIDENTE. ... e le chiede che via è?
  GASPARE MUTOLO. Vuole solo sapere se il mio indirizzo è
quello! La notizia interessava al nucleo centrale dei
carabinieri. Questo maresciallo venne da me due volte. Avevo
avuto la condizionale, ma fino alle 8,30 ero stato in terrazza
a parlare con Michele Micalizzi perché volevo rendermi
latitante. Egli mi consigliò di non farlo perché così facendo
avrei dato l'impressione di aver paura; in ogni caso non avrei
fatto più di sei mesi di galera, il tempo necessario per
esaminare le carte processuali.
  PRESIDENTE. Vi sono uomini d'onore fuori della Sicilia?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. In quali regioni?
  GASPARE MUTOLO. Nel napoletano.
  PRESIDENTE. Napoletano o Campania?
  GASPARE MUTOLO. So di Napoli città e della provincia.
Non so se Marano sia in provincia di Napoli, però in quella
località vi sono due famiglie. Famiglie autorizzate dalla
commissione di Palermo ve ne sono sia a Torino sia a Roma.
  PRESIDENTE. Sono mafiosi singoli o famiglie?
  GASPARE MUTOLO. A Roma vi è una decina, a Torino vi è
un'altra decina, a Napoli vi sono due famiglie, in altre
regioni d'Italia vi sono uomini dislocati ...
  PRESIDENTE. In Lombardia?
  GASPARE MUTOLO. Non ce ne sono. Tempo fa fu fatta una
proposta al Bono, ma non accettò.
  PRESIDENTE. In Liguria?
  GASPARE MUTOLO. Gruppi autorizzati dalla commissione non
ve ne sono. Io so che vi sono insediamenti a Roma, Napoli e
Torino. I mafiosi sono comunque
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sparsi in tutt'Italia, sia perché in passato avevano il
soggiorno obbligato sia perché magari si sono trovati bene.
Non sono comunque a conoscenza di altri insediamenti mafiosi
oltre a quelli.
  PRESIDENTE. In Toscana?
  GASPARE MUTOLO. Non so se la commissione di Palermo ha
autorizzato qualche famiglia. Vi era qualche persona in Emilia
Romagna, qualche persona in Toscana, ma non erano autorizzati
dalla Commissione a formare gruppi. Si tratta comunque di
persone che sono a disposizione di Cosa nostra.
  PRESIDENTE. In Puglia?
  GASPARE MUTOLO. No, comunque in Puglia vi è
un'organizzazione molto consistente, ossia la Sacra corona
unita.
  PRESIDENTE. Da quanto tempo in Puglia opera la Sacra
corona?
  GASPARE MUTOLO. Le prime avvisaglie si hanno intorno al
1977-1978.
  PRESIDENTE. I gruppi autorizzati di Torino e di Roma che
tipo di affari svolgono? Gli stessi che svolge Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Cercano di fare gli stessi affari che si
fanno a Palermo: si cerca di assoggettare qualche
commerciante, però queste piazze offrono di più. In Lombardia,
per esempio, vi sono gruppi mafiosi, ma questi non sono
autorizzati. Vi erano i Ciulla, i Bono, i Martelli, i Carollo,
però costoro non hanno voluto unirsi a Cosa nostra perché se
autorizzati i loro traffici sarebbero stati gestiti da
Palermo.
  PRESIDENTE. Perché questi gruppi di Milano non erano
stati autorizzati a costituirsi in famiglie?
  GASPARE MUTOLO. Loro non si sono voluti associare.
  PRESIDENTE. Hanno voluto mantenere una propria autonomia
finanziaria?
  GASPARE MUTOLO. Certo, perché avevano in mano loro
alcuni industriali e quindi non volevano che i proventi dei
loro traffici fossero trasferiti a Palermo.
  PRESIDENTE. Che peso ha avuto, per quello che lei sa, il
soggiorno obbligato per Cosa nostra? Il soggiorno obbligato è
servito per estendere il controllo sul territorio nazionale?
  GASPARE MUTOLO. Per noi è stata una cosa buona in quanto
ci ha dato modo di contattare altre persone, di conoscere
luoghi diversi, altre città, zone incontaminate dalla
delinquenza organizzata.
  PRESIDENTE. Danni non ne avete avuti dal soggiorno
obbligato?
  GASPARE MUTOLO. Solo le isole davano fastidio perché
erano difficili i contatti. Sono stato all'Asinara e quel
luogo mi dava molto fastidio. Sono stato inoltre a Castiglione
Messer Marino, in provincia di Chieti. Parlo del 1967-1968,
però se mi volevo spostare mi spostavo.
  PRESIDENTE. Questo perché nessuno controllava, o perché
era diventato amico di chi doveva controllarla?
  GASPARE MUTOLO. Ora se vedono arrivare un mafioso lo
guardano come se fosse un appestato, ma allora non era così:
neppure la polizia si rendeva esattamente conto del fenomeno.
D'altronde il mafioso è una persona mite alla quale non piace
farsi notare.
  PRESIDENTE. Mite proprio no, semmai cerca di
nascondersi.
  GASPARE MUTOLO. Ricordo che alla scadenza dei termini di
carcerazione sono andato a Gavorrano, un tranquillo paese di
minatori. Quando è venuto Condorelli ho parlato con il
maresciallo e gli ho chiesto di farlo sistemare da me perché
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lui non conosceva nessuno e l'unico che poteva offrirgli
ospitalità ero io. Il maresciallo mi ha creduto. Allora non si
pensava che anche in un paesino piccolo come Gavorrano si
potessero organizzare attività mafiose.
  PRESIDENTE. Un commissario vuole sapere se il gruppo che
risiede a Torino si occupi di appalti o di lavori relativi
alle autostrade.
  GASPARE MUTOLO. So che a Torino vi sono mafiosi e
persone appartenenti alla 'ndrangheta, però si tratta di una
realtà che non conosco. Posso dire che poiché queste persone
si trovano a Torino da molto tempo certamente avranno le loro
amicizie.
  PRESIDENTE. Che rapporti vi sono tra Cosa nostra e la
'ndrangheta?
  GASPARE MUTOLO. Rapporti cordiali. Anzi i calabresi
erano propensi ad essere affiliati alla mafia, però questa...
  PRESIDENTE. Qualche capo della 'ndrangheta è combinato?
  GASPARE MUTOLO. A quanto mi risulta no, anche se ho
saputo da Condorelli, nel 1989, che erano state autorizzate
delle famiglie mafiose a Napoli. Personalmente, però, non mi
consta. Ho conosciuto diversi calabresi, tutti molto riverenti
nei confronti dei palermitani e ricordo che un tempo si era
iniziato ad affiliare calabresi alla mafia. Però un certo
Arena di Reggio, fratello di Paolo, è stato ucciso; Paolo ne
ha dato la colpa a La Barbera Angelo e ne è nato un conflitto
per cui non se ne è fatto più nulla. In seguito, intorno al
1974-1975, alcuni personaggi si trovavano bene in Sicilia e si
parlò di alcune famiglie (Inzerillo) ma qualcuno si opponeva
perché in Calabria si uccidevano donne e si sparava in piazza,
in altre parole vi era una mentalità che urtava con quella
palermitana.
  PRESIDENTE. Quali sono i rapporti con la Sacra corona
unita? Esistono capi di questa organizzazione combinati con
Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. No. La mafia ha fatto una famiglia di
napoletani perché le è convenuto (sia a Luciano Liggio sia a
Salvatore Riina) però un romano o un napoletano, prima
dell'esistenza della famiglia di Napoli, non potevano essere
combinati: i combinati sono tutti palermitani. Una persona che
fa parte della Sacra corona unita non può essere affiliata
alla mafia, a meno che si combini e gli si dia l'ordine di
fare un gruppo mafioso e di distruggere la Sacra corona unita
perché la mafia non riconosce alcuna altra organizzazione. Con
esse può anche avere un rapporto amichevole, ma non sono Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Invece a Napoli vi è proprio una famiglia
mafiosa.
  GASPARE MUTOLO. Sì, prima è stata fatta una famiglia e
poi un'altra.
  PRESIDENTE. Quali?
  GASPARE MUTOLO. Quella di Lorenzo Nuvoletta e quella di
Michele Zaza, una di Napoli e l'altra delle province.
  PRESIDENTE. E D'Alessandro?
  GASPARE MUTOLO. D'Alessandro era un capodecina della
famiglia Zaza ma, con l'avvento dei cutoliani, i palermitani
se ne sono andati da Napoli dopo che è stato ucciso un certo
Mimmo Bruno e che a Napoli si è cominciato a dire che Cutolo
voleva imporre le sue leggi ai mafiosi. Ora so che Michele
D'Alessandro ha una sua famiglia a Castellammare.
  PRESIDENTE. E' una famiglia di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. No, ha una sua organizzazione. So che è
entrato in conflitto con Imparato, uno dei suoi uomini
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più fidati (quando è uscito dalla galera ha trovato un po' di
confusione).
   La famiglia di Napoli, dopo l'avvento di Cutolo, si è
rotta, però, a quanto mi risulta, sono rimasti tre gruppi:
quello di Napoli con Michele Zaza, anche se conta poco, quello
di Lorenzo Nuvoletta e quello dei Gionta (non so se questo sia
aggregato al primo o al secondo). Tutte le altre
organizzazioni sono tipicamente camorriste, anche se si sono
fatte furbe e stanno creando una struttura simile a quella
nostra.
  PRESIDENTE. Bardellino?
  GASPARE MUTOLO. Bardellino era un uomo d'onore che dopo
la scissione ruppe con Nuvoletta e formò una sua famiglia. E'
rimasto sempre amico di Gaetano Badalamenti e, a quanto ci
risulta, è morto.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare delle stidde?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare di cosa si tratti?
  GASPARE MUTOLO. Le stidde sono state create da un
mafioso - del quale non ricordo il nome - che era stato messo
fuori dalla famiglia. Egli non accettò il fatto di essere
stato posato e costituì un'organizzazione che chiamò "stidda",
parola che può rappresentare una stella luminosa ma anche la
malasorte. Questi "stiddari" hanno una loro organizzazione,
cercano in qualche modo di fare qualcosa ma sono sempre
sopraffatti dalla mafia, la quale non li ha distrutti perché
succede che in diverse famiglie di sangue c'è un componente
mafioso e uno stiddaro: quindi, c'è stata questa, diciamo,
tolleranza. Gli stiddari si focalizzano maggiormente nella
zona di Agrigento, a Favara, ma non hanno mai creato problemi
alla mafia; ogni tanto, quando qualcuno vuole alzare la testa,
lo uccidono e il discorso finisce.
  PRESIDENTE. A Gela c'è stato questo tipo di contrasto?
  GASPARE MUTOLO. Per quanto riguarda queste zone
dell'agrigentino, del catanese e di Gela, ho avuto amici
mentre ero a Spoleto. Lì mi trovavo con una persona che era
direttamente in contrasto con Madonia Giuseppe di Vallelunga;
mentre tutti i giornali parlavano di una faida che coinvolgeva
un certo Iacolano, il pastore, noi discutevamo invece su
questo Iacolano e su questi ragazzi, che poi non sono
stiddari, che avevano un fratello mafioso di un'organizzazione
vicino a Gela alle dipendenze di Peppe Di Cristina e poi di
Madonia; gli avevano ucciso uno e gli altri fratelli hanno
cercato di controbattere per il problema della diga che stanno
facendo.
  PRESIDENTE. La diga sul Desueri?
  GASPARE MUTOLO. Non so, vicino a Gela c'è una diga. Non
vorrei che si facesse confusione fra gli stiddari e le varie
organizzazioni che ci sono a Catania. In questa città c'è una
famiglia e diversi mafiosi se ne sono andati ed hanno creato
dei gruppi: per esempio, Ferlito, Pillera e qualche altro. Poi
ci sono le altre organizzazioni, perché in ogni rione c'erano
bande che cercavano di contrastare soltanto i mafiosi: però,
non sono stiddari. Gli stiddari sono concretamente quelli
dell'organizzazione che si chiama "degli stiddari" e stanno in
quella provincia; Pillera, per esempio, non è stiddaro. Gli
stiddari sono quelli nati nell'agrigentino, principalmente a
Favara.
  PRESIDENTE. Sospendo brevemente l'audizione.
  La seduta, sospesa alle 14,5, è ripresa alle
14,40.
  PRESIDENTE. Proseguiamo con le domande.
   Signor Mutolo, ha mai conosciuto un tale Sciorio? Può dire
chi è?
                        Pag. 1267
  GASPARE MUTOLO. Era uno della famiglia di Napoli ed
abitava vicino Giugliano.
  PRESIDENTE. Quale peso aveva?
  GASPARE MUTOLO. Era un uomo d'onore di una famiglia.
  PRESIDENTE. Era uomo d'onore?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Circa il suo soggiorno a Teramo, può
spiegare, come ha già fatto ai magistrati, questa sua estesa
capacità di movimento da Teramo a Palermo?
  GASPARE MUTOLO. A Teramo mi trovavo in regime di
semilibertà ed avevo un permesso di lavoro perché lavoravo in
una fabbrica di mobili, presso un certo Carusi e Cellini. Dopo
mi sono adoperato per questa fabbrica, perché prendevo le
stanze e i mobili che facevano e che i loro rappresentanti non
riuscivano a vendere e li portavo a Palermo dove li vendevo
attraverso vari negozi. Glieli facevo prendere.
   Questo è stato un motivo di lavoro per fare al giudice una
richiesta tranquilla che per motivi di lavoro avevo
continuamente...
  PRESIDENTE. Aveva informato i giudici che lei andava a
Palermo a vendere questi mobili?
  GASPARE MUTOLO. Ero in semilibertà: di giorno uscivo e
alla sera rientravo. Dopo un po' di tempo ho fatto la
richiesta al giudice, non ricordo se si chiamasse Casu.
  PRESIDENTE. Di Teramo?
  GASPARE MUTOLO. No, di Pescara perché il giudice di
sorveglianza era di Pescara ed il presidente era a L'Aquila.
Per i permessi quindi mi rivolgevo a Pescara. Ho fatto la
richiesta specificando il tipo di lavoro che facevo e il fatto
che dovevo piazzare questi mobili come rappresentante, e me
l'hanno accordata.
  PRESIDENTE. Cosa faceva a Palermo? Vendeva solo mobili o
faceva anche altro?
  GASPARE MUTOLO. La mia era una copertura perché non mi
interessava molto vendere i mobili, però li vendevo perché era
un interesse mio, cioè che il mio datore di lavoro avesse
questo interesse. A me era facile attraverso i negozi perché
anche se avevano già dieci, quindici o venti stanze...
  PRESIDENTE. Compravano la ventunesima.
  GASPARE MUTOLO. Mi facevo il giro e ad ogni persona che
aveva bottega dicevo di prenderne una, due, tre; non avevo
problemi. Logicamente non è che scendevo per i mobili, avevo i
miei motivi.
  PRESIDENTE. Ho capito, aveva i suoi affari. Come ha
trovato questa ditta di mobili?
  GASPARE MUTOLO. Poiché ero amico, avevo fatto un
recupero ad un certo Bellavia Francesco.
  PRESIDENTE. Un recupero di credito?
  GASPARE MUTOLO. Sì. Ho conosciuto questo attraverso un
mio cugino, Siragusa Vito, che ora è scomparso. Questi mi
presentò Bellavia Francesco che aveva, se non sbaglio, quattro
o cinque figli, due maschi e tre femmine; era un uomo buono
che chiunque lo poteva fregare. Diverse altre persone si erano
interessate per risolvere i problemi che aveva Ciccio
Bellavia, però le persone che lui praticava per lo più gli
fregavano i mobili, si inventavano botteghe; insomma era più
il danno che gli facevano che altro.
   Successivamente Vito Siragusa ha ritenuto opportuno di
presentarmi ma non
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era il mio lavoro perché non era mia abitudine fare lavoro di
recupero. Dopo due o tre volte che sono andato a mangiare a
casa sua, anche perché mi serviva una stanzetta per una
"femminuccia" che avevo, questi mi chiese se potevo fare
questo recupero perché era rovinato, aveva un sacco di assegni
postergati. Quindi ne parlai a Saro Riccobono e gli dissi che
siccome avevo conosciuto una persona se gentilmente mi
autorizzava a fargli un po' di recupero. E quello rispose che
andava bene. Comunque, noi non ne capivamo nulla di recuperi.
Mi sono interessato sia nel catanese sia ...
  PRESIDENTE. Cosa faceva, andava dai creditori e diceva
loro di pagare?
  GASPARE MUTOLO. Non sono andato dai creditori. Per
esempio, a Trapani sono andato da Giuseppe Calderone, gli ho
portato tutto il blocco per quanto concerneva Catania e gli ho
detto che se la doveva sbrigare lui; sono andato da Di
Cristina e si interessava nel ...
  PRESIDENTE. A Catania è andato da Calderone?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore, poi anche nella zona di
Agrigento, di Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Questi soldi poi sono arrivati?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Senza problemi?
  GASPARE MUTOLO. Sì, sono arrivati i soldi e quelle
persone che non avevano la possibilità ... si spiegava a
Bellavia che erano... Dopo che ho fatto questo recupero, a
volte partivo con lui o con il figlio per andare a Catania
oppure da una persona che mi aveva indicato Peppe Di Cristina
che aveva una taverna, Bellavia si immaginava che alla fine
dovevo fare i conti e dirgli quanto avevo speso. Però, poiché
non era un lavoro che facevo, spesso mi offendevo per il fatto
che questo voleva pagarmi del lavoro che io avevo fatto.
Quindi questo è rimasto molto obbligato con me e quando
parlava di me lo faceva molto bene. Insomma, era a
disposizione.
   Dopo che sono andato in galera ed avevo bisogno di uscire
in semilibertà, questa persona, attraverso i suoi commercianti
ed i suoi fornitori, mi aveva trovato questa ditta.
  PRESIDENTE. Lei ha poi raccontato che per andare a
Palermo prendeva la sua macchina, una Ferrari, e andava
all'aeroporto; com'è questa storia?
  GASPARE MUTOLO. Ad un certo punto vi è stato un certo
Gasperini, e se non erro Koh Bak Kin... un giorno avevo un
appuntamento perché dovevo parlare a Palermo con delle
persone, con Riccobono ed altri.
  PRESIDENTE. Per il traffico di droga?
  GASPARE MUTOLO. Sì, si parlava di cinquecento chili di
droga.
  PRESIDENTE. Droga e eroina?
  GASPARE MUTOLO. Sì; in un giorno dovevo fare il
"saliscendi" con Roma perché alla mattina uscivo alle sette e
alla sera rientravo. Ovviamente, questo discorso non è che
l'ho tirato io, l'hanno tirato loro che dopo si sono messi a
collaborare. Infatti, ho detto al giudice: questi sono pazzi
perché è impossibile che io in un giorno potessi andare a
Palermo e ritornare. Invece, l'altra volta in tribunale,
purtroppo l'ho dovuto dire con l'avvocato Clementi che diceva:
come mai? Lei quante volte...? Guardi, a Palermo andavo quando
volevo io, a parte che ci andavo regolarmente ogni settimana
per la storia dei mobili. Comunque, altri dicono ed hanno
accertato, attraverso i biglietti dell'aereo, che però non
erano a nome nostro, ma quelli sapevano a quale nome erano...
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  PRESIDENTE. Spieghi bene: lei usciva alle sette dal
carcere...
  GASPARE MUTOLO. Io uscivo alle sette, prendevo la
macchina.
  PRESIDENTE. Che macchina?
  GASPARE MUTOLO. Io avevo o un Dino Ferrari oppure un GTV
2000 Alfa. Mi mettevo in macchina e cercavo di arrivare al più
presto possibile all'aeroporto dove c'erano già i biglietti
pronti.
  PRESIDENTE. Chi preparava i biglietti?
  GASPARE MUTOLO. C'era il Gasperini che aveva qui a Roma
un'agenzia, una sua ditta.
  PRESIDENTE. Quindi, lei trovava la persona con il
biglietto pronto.
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Una volta è sceso pure
questo Gasperini e questo Ko Bak Kin ed abbiamo fatto sali e
scendi.
  PRESIDENTE. Quindi, lei prendeva l'aereo ed andava a
Palermo.
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Faceva i suoi affari a Palermo.
  GASPARE MUTOLO. Di pomeriggio salivo con l'aereo delle
tre e mezza, non ricordo più gli orari precisi.
  PRESIDENTE. Non ci interessano gli orari precisi.
  GASPARE MUTOLO. Prendevo l'aereo intorno alle quattro;
alle cinque, cinque e un quarto ero a Roma e poi in un'ora,
un'ora e mezza ...
  PRESIDENTE. Arrivava su. Non le facevano mai qualche
controllo nella ditta?
  GASPARE MUTOLO. Veda, nella ditta mi facevano qualche
controllo. Però - sa com'è? - erano tranquilli e pacifici che
io lavoravo. Quindi per i controlli io ho visto soltanto una
volta i carabinieri che sono venuti, però io già lo sapevo
perché...
  PRESIDENTE. Quindi, anche a Teramo lo sapevano, non solo
a Palermo?
  GASPARE MUTOLO. Lo sapevano perché siccome io là mi
stavo facendo dei cataloghi perché c'erano altri negozi, per
cui io avevo fatto la richiesta tramite l'assistenza sociale
che avevo motivo di girare in quei paesini dove ci sono
diversi mobilifici, può darsi che venissero magari i
carabinieri proprio quando io non c'ero perché ero uscito per
contattare qualche fabbrica di mobili. I carabinieri
gentilmente - che sono venuti soltanto una volta - mi hanno
trovato là nell'ufficio, alla scrivania.
  PRESIDENTE. Lei prima ha detto un'altra cosa e cioè:
"Poiché lo sapevo..."
  GASPARE MUTOLO. Che dovevano venire.
  PRESIDENTE. Come sapeva che dovevano venire?
  GASPARE MUTOLO. Siccome ogni mese, oppure ogni quindici
giorni, l'assistenza sociale fa delle relazioni,
preoccupandosi che passavano di là e non mi vedevano, mi
telefonava la sera o un giorno prima.
  PRESIDENTE. Le dicevano: guarda che domani verranno a
fare il controllo.
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Dovrebbe essere ora più preciso su un punto,
cioè sulla questione delle latitanze, che rientra nello
specifico lavoro della Commissione. Abbiamo infatti il
compito, tra gli altri, di verificare se tutti gli organi
dello Stato
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svolgano il loro lavoro. Poi, l'eventuale punizione, se c'è,
spetta ai giudici mentre a noi spetta proporre cambiamenti per
evitare che certi fatti continuino a riproporsi.
   Lei, con grande chiarezza, ha detto: noi latitanti non ci
pigliava nessuno, eravamo lì tranquilli nel nostro quartiere,
nella nostra zona. Questo esigeva, però, una copertura
abbastanza vasta. Lei ha fatto il nome del dottor Contrada - e
della vicenda, che ci interessa solo per certi aspetti, si
occuperanno i giudici - ma non può certo essere stata una sola
persona a bloccare tutti: polizia, carabinieri, Guardia di
finanza.
  GASPARE MUTOLO. Guardi, quando parlo di latitanti mi
riferisco, almeno per la zona di Palermo, al fatto che ci sono
paesini dove c'è il maresciallo dei carabinieri. Ci può essere
pure il commissariato di Palermo. Per un discorso ambientale,
noi i carabinieri non li toccavamo perché erano persone che
abitavano là, cioè vivevano con i nostri amici e parenti. A
noi non ci conoscevano, non è che noi li salutavamo. Se io
incontravo il maresciallo non gli dicevo: "Buongiorno",
voltavo la faccia e il discorso era chiuso.
   L'unica preoccupazione poteva essere la polizia di
Palermo, se qualche pattuglia sprovvedutamente si allontanava,
passava da una certa zona e magari ci incontravamo con le
macchine. Anche in questo caso, prima di tutto era difficile
conoscerci e poi si trattava sempre di zone dove, anche se
venivano tre poliziotti a fare un certo pattugliamento e
vedevano una macchina con delle persone a bordo, pure se
vedevano che era un latitante non è che si fermassero.
   E' capitato proprio a me, in una strada parallela alla via
Regione siciliana, mentre stavamo andando a uccidere una
persona - dopo l'abbiamo uccisa - e quindi avevamo due
macchine tutte cariche di armi. Eravamo in una strada
parallela alla via Regione siciliana: noi da Passo di Rigo
entravamo dentro, facevamo Cruillas, arrivavamo dopo la Casa
del sole, e poi c'era una strada mezza asfaltata e si usciva
dopo il Sigros. Pensi che in questa strada parallela abbiamo
incrociato - li abbiamo visti da lontano noi a loro e credo
anche loro a noi - una 128 giallina, si trattava cioè della
"catturante", una delle macchine più pericolose: pensi che si
sono messi sopra un montarozzo di terra - e stavano quasi per
cappottare - per farci passare. Questo per dire che purtroppo
la realtà era questa. Può sembrare assurdo, può sembrare un
discorso...
  PRESIDENTE. Quindi, nelle forze dell'ordine c'era una
paura diffusa?
  GASPARE MUTOLO. Sì, c'era una paura diffusa.
  PRESIDENTE. E c'era anche un problema di corruzione ed
intimidazione?
  GASPARE MUTOLO. C'era tutto un complesso di cose. Quando
si sapeva che c'era qualche personaggio scomodo, si cercava di
eliminarlo, si eliminava. Non è che in polizia erano tutti
bravi o tutti cattivi. In polizia purtroppo, l'ambiente di
Palermo era quello: se c'era uno che accedeva nelle indagini e
nella ricerca dei latitanti, si sapeva e si eliminava. Ci fu
un certo Aparo che per esempio è stato ucciso perché lo
chiamavano il "segugio" perché andava sempre cercando i
latitanti. Ed è stato ucciso.
  PRESIDENTE. Voi riuscivate ad ottenere anche il
trasferimento di persone capaci? Se c'erano un funzionario di
polizia o un sottufficiale dei carabinieri bravi...?
  GASPARE MUTOLO. Questi erano compiti che si prendeva
Roma.
  PRESIDENTE. Si prendeva Roma?
  GASPARE MUTOLO. Cioè, noi sapevamo che c'erano persone
importanti tipo Ignazio Salvo, Nino Salvo, Lima o qualche
altro, ma non so come facevano...
  PRESIDENTE. Non era questo il suo livello.
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  GASPARE MUTOLO. Tramite Roma facevano questi
trasferimenti.
  PRESIDENTE. A lei risulta di gente trasferita per
questo?
  GASPARE MUTOLO. Sì, non è che a me risulti, non è che
posso ricordare i personaggi che sono stati trasferiti.
Ricordo però che quando c'erano personaggi scomodi a volte si
diceva: a chistu videmu si sinni pò fari iri, ma sinnò
s'ammazza. Era così, con facilità, ma se se ne andava era la
cosa migliore che poteva succedere.
  PRESIDENTE. Vuol riferire alla Commissione la vicenda di
Salomone, quello che si andò a costituire?
  GASPARE MUTOLO. Questo Salomone, siccome si era un po'
impelagato perché gli aveva telefonato il Bono Alfredo perché
in quel periodo si cercava di uccidere Buscetta, non lo so
quali abbiano potuto essere gli interessi...
  PRESIDENTE. A Salomone era stato detto che doveva
uccidere Buscetta?
  GASPARE MUTOLO. Alfredo Bono era incaricato... siccome
questo Antonino Salomone era apparentemente il rappresentante,
il capo mandamento della famiglia di San Giuseppe Jato. Però
era stato già scalzato da Bernardo Brusca.
  PRESIDENTE. Antonino Salomone era andato in Venezuela?
Dov'era andato?
  GASPARE MUTOLO. Il Salomone stava sempre in Brasile;
quindi, in quel periodo si cercava di avere le "battute" con
diverse persone.
  PRESIDENTE. La "battuta" vuol dire l'informazione.
  GASPARE MUTOLO. L'informazione dove si poteva andare ad
uccidere, perché, ripeto, l'unico problema per la mafia è
individuare dove abita l'individuo; una volta individuato, il
resto è più facile.
   Alfredo Bono aveva ripetutamente telefonato a Salomone che
voleva un appoggio là (qualche appartamento); però il Salomone
se ne fregava. Dopo, non so quale sia stato il motivo - forse
avrà visto qualche persona - ... Insomma, lui è venuto in
Italia, è andato in Calabria e si è presentato ai carabinieri.
  PRESIDENTE. Ai carabinieri del suo paese, di Africo?
  GASPARE MUTOLO. Lui però è siciliano.
  PRESIDENTE. Perché allora si presentò ai carabinieri di
Africo?
  GASPARE MUTOLO. Non glielo so dire di preciso;
probabilmente lui là aveva qualche appoggio; qualche persona
non si è voluta coinvolgere e gli avrà detto: "Vattene, non mi
mettere in questi pasticci". Fatto sta, ed è inspiegabile, che
il Salomone - non l'ha detto a me o a qualche altro il perché
- andò ad Africo nella caserma dei carabinieri; anzi, lui
aveva pregato un brigadiere, o un maresciallo, il quale l'ha
testimoniato anche nel maxiprocesso, di far finta che lui
l'aveva arrestato, e di non dire che mi sono...
  PRESIDENTE. Costituito.
  GASPARE MUTOLO. Forse lui, con la sua entrata in galera,
voleva giustificare questo suo atteggiamento.
  PRESIDENTE. E voleva tirarsi fuori dall'incarico?
  GASPARE MUTOLO. Esatto; secondo me lui pensava di non
essere molto bene aggiornato su quello che effettivamente era
Totò Riina, e la potenza che aveva. Anche perché c'era un
discorso che gli si era "ingarbugliato", perché Pietro
Marchese e Giovanni Lo Greco erano stati fermati al confine
francese, svizzero, mentre stavano andando in Brasile. Quindi,
già si sapeva che Gaetano Badalamenti e Buscetta erano in
Brasile, e anche questi
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due stavano andando in Brasile, al quale si guardava come un
obiettivo di possibile covo di persone che potevano avere
contro la mafia.
  PRESIDENTE. Ho capito. Lei andò da solo in caserma ad
Africo, o fu accompagnato da qualcuno?
  GASPARE MUTOLO. No, ero solo.
  PRESIDENTE. Lei sa chi era l'eventuale persona che gli
aveva suggerito di andare ad Africo?
   Vi erano vostri uomini, vostre persone o conoscenti ad
Africo?
  GASPARE MUTOLO. Non conosco personaggi; so che vi erano
personaggi importanti della 'ndrangheta calabrese; so che là
vicino c'era pure un prete, non so...
  PRESIDENTE. Ricorda il nome? Don Stilo...
  GASPARE MUTOLO. Don Stilo. Però di preciso non so
niente.
  PRESIDENTE. Questi i nomi che si facevano, ma di preciso
lei non sa nulla.
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Di Nino Buffa, sa qualcosa?
  GASPARE MUTOLO. Nino Buffa è stato condannato a
trent'anni...
  PRESIDENTE. Pare che anche lui era rifugiato in sud
America.
  GASPARE MUTOLO. Sì, in Venezuela. Quando è stato
condannato è stato fatto partire, perché il presidente glielo
aveva consigliato, il quale, aveva fatto sapere a Saro
Riccobono che per questo non c'era niente da fare, sicuramente
non ...
  PRESIDENTE. Il presidente di che cosa?
  GASPARE MUTOLO. Del tribunale, dell'assise.
  PRESIDENTE. Aveva fatto sapere a Riccobono che per Buffa
non c'era niente da fare.
  GASPARE MUTOLO. Che non c'era speranza, che quello che
avevano già fatto nel processo, di assolvere, anche dalla
semplice associazione, me, Riccobono, e a Michele zi'
Salvatore era un fatto molto buono; che al Micalizzi Michele
gli avevano fatto dare il favoreggiamento reale, cioè tutte le
attenuanti...
  PRESIDENTE. Cioè avevano "aggiustato" il processo.
  GASPARE MUTOLO. Cioè, più di quello non poteva avere.
Quindi, si è ritenuto opportuno farlo partire, mandandolo in
Venezuela, che allora Pippo Bono, con Antonino Salomone
facevano i costruttori di interi quartieri.
  PRESIDENTE. Grandi lavori.
  GASPARE MUTOLO. Nel tempo ho saputo che questo Nino si è
sposato là, ha figli e fa il costruttore.
  PRESIDENTE. Dovrebbe ora spiegare alla Commissione i
rapporti tra Cosa nostra siciliana e Cosa nostra americana in
relazione alla visita di John Gambino in Sicilia.
  GASPARE MUTOLO. Dopo l'omicidio di Bontate e di
Inzerillo sono venuti a Partanna Mondello un certo Naimo
Rosario e John Gambino. Sono venuti da Saro Riccobono, perché
questo Naimo, che accompagnava John Gambino, è un uomo d'onore
della famiglia di Tommaso Natale; quindi, come sua competenza,
ha dovuto andare da Tommaso Natale, ha dovuto informare Lino
Spatola, che è il suo rappresentante, e, come mandamento, Saro
Riccobono. Sono venuti là - peccato, mi ci trovavo anch'io -
ed abbiamo parlato, anche perché conoscevo molto bene a Naimo.
Erano venuti perché un
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pochino preoccupati di quello che stava succedendo in
Sicilia, e Paolo Castellano, con questi due omicidi eccellenti
nell'ambito di Cosa nostra, voleva delle direttive. Cioè Paolo
Castellano voleva le direttive.
  PRESIDENTE. Mi scusi, direttive vuol dire che voleva
informazioni, o voleva sapere cosa fare?
  GASPARE MUTOLO. Che cosa fare.
  PRESIDENTE. Perché Cosa nostra americana dipende da Cosa
nostra di Palermo?
  GASPARE MUTOLO. No, ma siccome ci sono dei personaggi
che attraverso le persone che comandano hanno debolissimi
rapporti, c'è uno scambio di commercio...
  PRESIDENTE. Ho capito, non si tratta di un rapporto
gerarchico.
  GASPARE MUTOLO. Dipende, perché a volte la corrente che
c'è in Sicilia, a Palermo, può influire molto sull'andamento
americano, perché vi sono molti italo-americani,
siculi-americani che sono uomini d'onore.
   Questa persona voleva sapere che direttive prendere, si
chiedeva che cosa stava succedendo e se poteva essere utile;
non aspettava un ordine, ma si chiedeva se noi potevamo fare
qualcosa.
   Io e Saro Riccobono siamo andati da Michele Greco,
l'abbiamo informato che c'erano queste persone; il Greco si è
preso uno o due giorni di tempo, nel frattempo gli avevano
accennato che siccome tra il Gambino e l'Inzerillo c'è una
parentela, se si poteva fare qualcosa per Giuseppe Inzerillo,
che noi conoscevamo come persona buona, non cattiva. La sera
abbiamo telefonato a questo Inzerillo Giuseppe da una specie
di cabina che c'era sulla montagna, prima di fare tutti...
  PRESIDENTE. Una cabina dell'ENEL.
  GASPARE MUTOLO. Era una cabina dell'ENEL però tutta di
cemento armato, e dentro vi era un telefono e Saro Riccobono
aveva...
  PRESIDENTE. E chi voleva entrava...
  GASPARE MUTOLO. E Saro Riccobono aveva le chiavi, e
forse quelli che erano addetti ai lavori della luce, non so...
  PRESIDENTE. Ma Saro Riccobono non era addetto ai lavori!
  GASPARE MUTOLO. Saro Riccobono è là, abita ed è
latitante là, tranquillo, pacifico.
  PRESIDENTE. Sì, questo l'abbiamo capito.
  GASPARE MUTOLO. Saro Riccobono telefonò in America a
John Gambino, dopo gli hanno passato... Insomma, Saro
Riccobono gli diceva che si faceva quello che si poteva, però
quello che interessava a Palermo era che lui desse qualche
"battuta" per fregare Buscetta. Questo disse che il Buscetta,
negli ultimi tempi, era più guardingo, però era a
disposizione.
   Dopo uno, due giorni abbiamo dato la risposta a John
Gambino; Riccobono ritornò da Michele Greco e ci ha detto che
si dovevano uccidere tutti quelli alloggiati, scappati in
America. Dopo un giorno ancora abbiamo fatto una specie di
tavolata sulla montagna dell'Anzerra, e dopo non so se sono
partiti o meno.
  PRESIDENTE. Può spiegare...
  GASPARE MUTOLO. Parlò un po' della possibilità di fare
qualche traffico di droga...
  PRESIDENTE. Con gli americani?
  GASPARE MUTOLO. Dato che le strade che c'erano s'erano
da poco interrotte e quindi era un momento di...
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  PRESIDENTE. Perché si erano interrotte?
  GASPARE MUTOLO. Perché Inzerillo era notorio che era
uno...
  PRESIDENTE. Degli anelli.
  GASPARE MUTOLO. ... che portava più droga in America.
  PRESIDENTE. La droga si raffinava in Sicilia e si
portava in America?
  GASPARE MUTOLO. Sì, alcune partite di droga si facevano
in Sicilia. Per alcune partite arrivava la droga... Dopo, io
stavo mettendo in piedi un grande commercio di droga tra la
Tailandia, che in qualche modo è andato avanti per un po'...
  PRESIDENTE. Quando è entrato in contatto con Koh Bak
Kin.
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Ne parleremo tra un attimo.
   I rapporti tra Cosa nostra siciliana e Cosa nostra
americana quali sono? Sono indipendenti, però si sentono e si
ascoltano: è così?
  GASPARE MUTOLO. Sono indipendenti, sì.
  PRESIDENTE. Ma una delle due è gerarchicamente più forte
dell'altra?
  GASPARE MUTOLO. Sono due cose distinte e separate. Loro
erano più ricchi, fino al 1975, quando io ne sentivo parlare.
Loro intelligentemente erano più avanzati, gli americani. Si
faceva il confronto tra la mafia palermitana e quella
americana, osservando che gli americani erano già entrati
nelle società; avevano scoperto che il denaro pulito rende di
più di quello sporco e quindi già da un pezzo avevano preso
questa strada, non tralasciando anche quello sporco.
  PRESIDENTE. Facevano una cosa e l'altra?
  GASPARE MUTOLO. Però le attività pulite coprivano quelle
sporche.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che il denaro pulito rendeva
di più di quello sporco?
  GASPARE MUTOLO. Una persona che apparentemente non ha un
esercizio, un'industria o un'attività, domani, se riceve un
controllo (questo può avvenire ora; allora era più difficile
che accadesse) riesce più difficilmente a giustificare. Come
mai tu hai 100 milioni o 1 miliardo? Invece avendo
un'attività... Si diceva che Cosa nostra, per sfuggire un
pochino a questi controlli che potevano essere fatti, tra i
tanti stratagemmi adottava anche quello di pagare IVA o altre
tasse in più per far vedere che vi erano guadagni. Invece di
dichiarare di aver guadagnato 100 milioni puliti, si dichiara
di aver guadagnato 1 miliardo, anche a costo di pagare 100
milioni di tasse in più.
  PRESIDENTE. Quindi gli americani avevano scoperto che si
poteva usare...
  GASPARE MUTOLO. Questo discorso gli americani lo avevano
fatto già da molto tempo.
  PRESIDENTE. Voi lo avete fatto solo dopo, però.
  GASPARE MUTOLO. E' esatto, dopo ci si è messi a copiare
anche a Palermo, specialmente con l'edilizia.
  PRESIDENTE. Lei stava spiegando che il rapporto non è di
comando tra le due Cosa nostra.
  GASPARE MUTOLO. Esatto, c'è la differenza che loro sono
più moderni, però Cosa nostra è Palermo: loro anche
riconoscono che il mafioso palermitano è più educato.
Educato... cioè in tutte le manifestazioni di mafia che
assume...
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proprio perché forse la sente di più, perché fin da bambino è
abituato ad avere una disciplina. Vi è una differenza tra i
mafiosi americani e quelli siciliani.
  PRESIDENTE. Una cosa semplice: lei ha parlato, nei suoi
interrogatori, distinguendo i casi in cui c'era lo
strangolamento da quelli in cui c'era l'omicidio con l'arma da
fuoco. C'era una ragione di queste distinzioni o era casuale?
  GASPARE MUTOLO. Il discorso era casuale: se si poteva
evitare di sparare, si evitava.
  PRESIDENTE. Per il rumore?
  GASPARE MUTOLO. Esatto. Anche perché, quando avviene lo
strangolamento, la famiglia per un certo periodo pensa che il
figlio è partito o il marito è assente, la polizia non può
fare rapporto o, se lo fa, è più difficile che la magistratura
possa condannare, perché manca il corpo del reato. Addirittura
ci fu un periodo in cui per gli scomparsi nemmeno imputavano.
Se non c'era il corpo del reato, non si poteva...
  PRESIDENTE. Perché non c'è il corpo del reato quando c'è
lo strangolamento?
  GASPARE MUTOLO. Perché viene fatto scomparire. O viene
bruciato o viene squagliato negli acidi o viene sotterrato con
dei prodotti chimici per i quali nel giro di due mesi o tre
mesi, anche se lo trovano e gli fanno una perizia, non
riescono...
  PRESIDENTE. Però, questo può succedere anche con una
persona uccisa con un'arma da fuoco. Anche in questo caso
possono mettere il corpo nell'acido...
  GASPARE MUTOLO. Ma è più difficile. Che discorso è che
io gli debba sparare per buttarlo nell'acido. Io parlo di
strangolamento, quando non si vuol far trovare il cadavere. Se
c'è la possibilità, dovendo sopprimere uno, di solito non si
arriva mai al punto di sparargli, perché le persone sono in
numero sufficiente quando vanno a strangolare qualcuno. Non
c'è motivo di sparare prima ad una persona e poi metterla
nell'acido. Di solito, si strangola e basta.
  PRESIDENTE. Non ho capito, mi scusi.
  GASPARE MUTOLO. Può darsi che io non abbia capito...
  PRESIDENTE. No, no, lei sta spiegando molto bene. Il
punto è questo: quando si spara forse si lascia un proiettile,
si lascia il bossolo, questo vuol dire?
  GASPARE MUTOLO. No, sparando a una persona rimane
innanzi tutto il cadavere e quindi inizia un procedimento
verso persone.
  PRESIDENTE. Ma questo cadavere non si può mettere nel
famoso bidone con l'acido?
  GASPARE MUTOLO. Non ho capito la domanda. Intendo dire
che quando uno va a sparare è perché non c'è la possibilità di
attirare una persona in un luogo sicuro dove afferrarla.
  PRESIDENTE. Ecco, questa cosa non veniva fuori!
  GASPARE MUTOLO. Io non capivo...
  PRESIDENTE. Quindi, si cerca sempre di attirare la
persona?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore, in modo che non si fa
rumore.
  PRESIDENTE. Si strangola e il corpo sparisce.
Altrimenti, quando non è possibile far questo, si spara.
  GASPARE MUTOLO. Quando la vittima è un pochettino
guardinga, allora si spara.
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  PRESIDENTE. Come si passa dal triumvirato
Liggio-Bontate-Badalamenti alla ricostituzione delle famiglie?
  GASPARE MUTOLO. Si passa piano piano, non si passa
improvvisamente. Dopo il triumvirato mi ricordo che, ad
esempio, tra le prime famiglie costituite vi furono quella di
Saro Riccobono, quella di Michele Greco, quella di Pippo Bono
e poi quella di Passo di Rigo, con Sariddu Di Maglio e poi
Salvatore Inzerillo, e così via nei vari paesi. Dopo per un
certo periodo la situazione è rimasta bloccata. Saro Riccobono
aveva quasi mezza città di Palermo; dopo venne fatta la
famiglia a Ciccio Madonìa, nel momento in cui fu dato il
mandamento a Saro Riccobono. Dopo, Saro Riccobono "ci sconsa"
la famiglia al Madonìa e creano un altro mandamento. Così nel
tempo...
  PRESIDENTE. Ho capito, lentamente.
   Quali erano le differenze principali tra il gruppo di
Bontate e di Inzerillo e quello dei Corleonesi? Le principali
differenze tra questi due gruppi dentro Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Diciamo che quello Bontate-Inzerillo,
che era della linea di Badalamenti, era composto da persone
che cercavano di fare andare avanti a Palermo delle regole in
una maniera democratica. Quello di Salvatore Riina si
caratterizzava perché lui voleva girare in una maniera che gli
consentisse di comandare personalmente.
  PRESIDENTE. Questo per quanto riguarda l'aspetto interno
a Cosa nostra. Per quanto riguarda invece l'aspetto del
rapporto con le istituzioni, con la politica, con la polizia,
con assessori, eccetera, che cosa cambiava?
  GASPARE MUTOLO. Niente. Mentre Riina (e quando dico
Riina mi riferisco anche a Provenzano ed agli altri
corleonesi) e Luciano Liggio erano latitanti perché avevano
avuto delle disavventure e si erano abituati a questa
latitanza campagnola, in città da latitanti erano come in
villeggiatura; quando Salvatore Riina era latitante a Palermo
per la guerra tra Navarra e gli altri di Corleone, anche se
stavano in un pagliaio si sentivano come se fossero in
villeggiatura. Per cui per quello che avevano subito avevano
un atteggiamento più aggressivo verso le istituzioni, mentre
Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti erano più moderati: se
si trovava un accordo erano per l'accordo, ma non volevano
arrivare allo sfascio di insanguinare...
  PRESIDENTE. Avevano anche riferimenti politici diversi?
  GASPARE MUTOLO. Riina, a quanto si sapeva, ha sempre
avuto Ciancimino; Stefano Bontate quelli palermitani, cioè
Gioia e Lima. A Partanna Mondello c'era anche l'onorevole
Matta; anche questo era un grande personaggio e Saro Riccobono
ci andava quando voleva.
  PRESIDENTE. Saro Riccobono ci andava a parlare spesso?
  GASPARE MUTOLO. Quando voleva ci andava; era una cosa
normale, anche perché queste persone non erano guardate come
criminali, ma come persone che si adoperavano a fin di bene.
Una delle ultime discussioni che ho sentito tra Saro
Riccobono, Totuccio Lopiccolo e l'onorevole Matta riguardava
la squadra del Palermo: vi erano questioni, uno aveva un
mafioso, l'altro un altro e bisognava trovare un accordo
pacifico. Agli occhi di questi personaggi erano dei pacieri e
non degli assassini.
  PRESIDENTE. A proposito di cose che hanno un significato
un po' storico ed un po' politico, lei ha spiegato ai
magistrati che, per quanto le risulta, la strage di Portella
delle Ginestre non fu deliberata ma fu accidentale.
  GASPARE MUTOLO. A parte che ne ho sentito parlare in
maniera specifica e
                        Pag. 1277
mi appassionava perché riguardava il discorso di Giuliano...
Però, dopo, nel tempo...
  PRESIDENTE. Giuliano era un uomo d'onore?
  GASPARE MUTOLO. Sì. Nel tempo ho avuto modo di parlarne
in maniera accademica, non perché vi fosse ormai un interesse.
La strage avvenne non perché si voleva fare una strage, come
ho spiegato ai giudici, almeno secondo quanto dicevano quelli.
Quella sparatina, quei colpi di mitra provenivano da due mitra
che si trovavano tra due valloni; vi era un punto in cui si
trovavano tutte le persone che dovevano parlare, con bandiere
e controbandiere e più avanti vi erano muli, bambini e vecchi.
Allora, questi, per intimidirli... si dovevano fare
scappare... perché allora, non solo là ma in tutto
l'entroterra del palermitano si cercava di assoggettare questi
comunisti, queste persone delle sinistre che si affacciavano
all'orizzonte. Pare che ad uno, nello sparare in aria, gli
scappò il mitra, ma non andò verso la folla dove erano tutti i
partecipanti riuniti, ma dove si trovavano i muli, i vecchi ed
i bambini che giocavano; dalle perizie, infatti, si può vedere
che rimasero uccisi muli, vecchi e bambini e non persone
giovani, come sarebbe accaduto se si fosse sparato nel
mucchio. Era un discorso fatto dai politici... insomma, da
quelle persone che non volevano che il comunismo prendesse
corpo in queste manifestazioni di massa; si diceva infatti che
nei paesi di Partinico e San Giuseppe facevano manifestazioni
a cavallo e per intimorire i comunisti sparavano. Giuliano era
l'unico uomo d'onore della banda...
  PRESIDENTE. Scusi, lei ha già riferito su questo, e
dovrebbe riferire anche alla Commissione. Lei ha detto che
l'intimidazione che poi è diventata la strage di Portella
delle Ginestre, anche se non era nata come tale, era frutto di
un accordo fra i politici e Giuliano.
  GASPARE MUTOLO. Sì, ma non per fare una strage.
  PRESIDENTE. No, per intimidazione.
  GASPARE MUTOLO. Sì, per fare un'intimidazione.
  PRESIDENTE. Con quali politici era avvenuta l'intesa?
  GASPARE MUTOLO. Sono quelli subito dopo il separatismo:
Mattarella, Finocchiaro Aprile ed altri.
  PRESIDENTE. Questa è storia, quindi può parlare
tranquillamente.
  GASPARE MUTOLO. Vi erano anche principi che
accarezzavano quel progetto passato; queste però erano persone
che venivano considerate come partito dell'avvenire, come
partito buono, anche perché allora se lei guarda tutti i
sindaci e vicesindaci della Sicilia sono quasi tutti mafiosi.
Erano persone che purtroppo gli americani avevano lasciato
come eredità e che la DC continuava a... Era questo
l'andamento delle cose.
  PRESIDENTE. Lei prima ha parlato dell'omicidio del
giudice Saetta; Saetta è l'unico presidente ucciso, perché gli
altri uccisi sono stati procuratori della Repubblica o giudici
istruttori. Come mai viene ucciso Saetta?
  GASPARE MUTOLO. Per quello che ho sentito da qualcuno,
perché il giudice Saetta ha fatto il processo dei Madonìa e
gli ha confermato l'ergastolo: a Madonìa Giuseppe, a Puccio...
  PRESIDENTE. Il processo per l'omicidio di Basile?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Ma allora avevano cercato di condizionare in
qualche modo il processo e non c'erano riusciti?
  GASPARE MUTOLO. L'avevano condizionato fin dall'inizio,
perché vi era una sentenza di primo grado con un'assoluzione
un po' tormentata, tanto che i
                        Pag. 1278
coimputati, dopo poco tempo, si buttarono tutti latitanti;
mentre nel 1987 mi trovo con Giuseppe Madonìa a commentare il
fatto che loro sono preoccupati, che la Cassazione l'aveva
cassato e non si riusciva...
  PRESIDENTE. La Cassazione aveva già annullato una volta?
  GASPARE MUTOLO. Se non sbaglio o la Cassazione aveva già
annullato la prima volta o c'era addirittura l'appello, non
ricordo bene. Quindi rinfacciai a questo che l'avevano
complicato loro, perché si erano buttati latitanti; infatti,
quando c'è una sentenza con la quale un imputato "esce" di un
omicidio, in qualche modo la sentenza è scritta a favore del
detenuto, invece quando c'è la condanna... Lui in maniera
pacifica disse che gli avevano mandato a dire di andare via,
perché il presidente aveva detto che in appello la loro
situazione non avrebbe retto e vi sarebbe stata una possibile
condanna.
  PRESIDENTE. Quale presidente aveva detto che in appello
non reggeva?
  GASPARE MUTOLO. Il presidente del primo grado.
  PRESIDENTE. A chi l'aveva detto il presidente del primo
grado?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so.
  PRESIDENTE. A voi era arrivata la voce che il presidente
del primo grado...
  GASPARE MUTOLO. Questa conversazione l'ebbi direttamente
con uno degli imputati, con Madonìa Giuseppe... Vedo eccessiva
questa preoccupazione, queste lamentele, perché si sapeva che
c'era un altro presidente, uno di Bagheria, un certo Carlo
Ajello, che doveva fare l'appello. Fra di noi si parlava e si
diceva: "Ora questo, appena li condanna, muore". Infatti,
l'appello non fu fatto da Carlo Ajello, ma da un altro
presidente di Palermo, che lo rinviò per delle perizie. Dopo
subentrò il giudice Saetta.
  PRESIDENTE. Quello condotto da Ajello probabilmente fu
il processo di primo grado?
  GASPARE MUTOLO. No, quello d'appello!
  PRESIDENTE. Questo Ajello chiese una perizia?
  GASPARE MUTOLO. Si, lo rinviò per un discorso di perizie
su un terreno. Ma fu tutta una scusa per liberarsene.
  PRESIDENTE. In sostanza, il presidente del tribunale che
aveva pronunciato la sentenza di primo grado, giunto in
appello...
  GASPARE MUTOLO. Avevano consigliato non di "buttarsi"
latitanti, per poi ammazzare qualche altro presidente che li
avesse condannati ma, poichè erano dei giovani, di andare
all'estero. Questo era il significato! La sentenza non
"regge"... andate via! Loro erano tranquilli e pacifici. Ma la
forza e la sicurezza dei magistrati era forte, fortissima, a
Palermo, perché non c'erano processi che non si
"aggiustavano"... Il disastro cominciò con l'inizio del
maxiprocesso e i vari pool antimafia.
  PRESIDENTE. Non è che avete ammazzato tutti coloro che
hanno condannato?
  GASPARE MUTOLO. Mi scusi, ma lei mi può dire qualche
personaggio importante che sia stato condannato all'ergastolo?
  PRESIDENTE. Non è mai accaduto?
  GASPARE MUTOLO. Lei può dirmi un personaggio importante?
  PRESIDENTE. Effettivamente, la sua è una buona domanda.
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  GASPARE MUTOLO. E' giusto che le dica che in galera ci
sono diverse persone innocenti, condannate all'ergastolo, che
stanno pagando per omicidi di personaggi dello Stato. Ma sono
persone completamente innocenti e fanno pena soltanto a
guardarle. Eppure, sono state condannate all'ergastolo e sono
da più di dieci anni in galera per reati assurdi. Mi riferisco
all'omicidio del colonnello Russo, all'omicidio dell'appuntato
Abaro e ad altri che adesso non ricordo.
  PRESIDENTE. Ci sono stati dunque omicidi di questo tipo
per i quali sono stati condannati all'ergastolo...
  GASPARE MUTOLO. ...personaggi completamente innocenti.
  PRESIDENTE. Infatti, credo che probabilmente sia in
corso la revisione del processo relativo all'omicidio del
colonnello Russo.
  GASPARE MUTOLO. C'è anche quello dell'appuntato Abaro.
Quello è un'altra vittima!
  PRESIDENTE. Si era parlato della possibilità che Saetta
presiedesse il processo d'appello del maxiprocesso?
  GASPARE MUTOLO. Non so a che punto siano arrivate queste
voci. Lui poteva essere uno dei probabili presidenti; ma non
era tassativo che dovesse farlo lui. Comunque, anche se
c'erano delle probabilità che Saetta potesse fare il
maxiprocesso, il discorso scatenante è stato che non gli hanno
perdonato che lui abbia condannato.
  PRESIDENTE. Il giudice Saetta era stato avvicinato?
  GASPARE MUTOLO. E' una prassi che si fa con tutti. E'
logico, non tutti accettano di morire; ce ne sono tanti,
infatti, che accampano scuse. Ma era un processo così delicato
e si voleva avere una sicurezza, perché questi purtroppo erano
i rampolli! Allora c'erano Puccio, intimo amico di Greco e
Scarpa Giuseppe, molto legato allora a Salvatore Riina;
Giuseppe Madonìa, compare di Salvatore Riina; Bonanno, un
altro membro della famiglia di Resuttano, pure coinvolto in
questo omicidio. Quindi, c'era un interessamento ma era
pacifico che loro non dovessero pagare per questo reato! Se
c'era una preoccupazione di dover pagare per questo omicidio,
loro sarebbero andati via. Anche se vi fossero state prove
schiaccianti, non rientrava nella mentalità che uno dovesse
pagare per un omicidio.
  PRESIDENTE. La sentenza di Saetta è stata anche
annullata?
  GASPARE MUTOLO. So che questo processo è stato annullato
per due volte in Cassazione.
  PRESIDENTE. Chi c'era in Cassazione, per annullarlo?
  GASPARE MUTOLO. Intende chiedermi chi era il presidente?
  PRESIDENTE. Sì.
  GASPARE MUTOLO. Il dottor Carnevale.
  PRESIDENTE. Questo voi lo sapevate?
  GASPARE MUTOLO. Lo so perché se ne parlava.
  PRESIDENTE. Senta, lei ha spiegato che De Mauro fu
ucciso per gli articoli che scriveva su L'Ora. E' così?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. E Terranova fu ucciso perché tornava a fare
il capo consigliere istruttore. Di Chinnici lei ha già detto.
Senta, può dirci perché Montana e Cassarà furono uccisi?
  GASPARE MUTOLO. Per quanto ho sentito dire all'interno
di Cosa nostra, Montana e Cassarà sono stati uccisi perché
                        Pag. 1280
 erano persone che cercavano di fare le cose in maniera
abbastanza seria. Per questo sono stati eliminati.
  PRESIDENTE. Arrivò una soffiata dalla questura quando
Cassarà uscì di casa?
  GASPARE MUTOLO. Questo non lo posso dire, non mi
risulta.
  PRESIDENTE. Non ne avete sentito parlare?
  GASPARE MUTOLO. So che i giornali hanno parlato di
questa soffiata, che addirittura era Natale Mondo. Invece,
dopo, parlando con altri detenuti, si è detto che, se si
pensava che questo fosse vivo, si sarebbe andati là per
sparargli un colpo in testa. Il fatto che si sia salvato è
stato un caso. Come si fa in mezzo a 250 proiettili a
salvarsi? Come può essere che uno, dentro la macchina, e al
quale venga sparata una raffica di mitra, due colpi di
"scopetta", rimanga vivo? Purtroppo, sono fatalità della
vita...
  PRESIDENTE. Beh, meno male che ci sono queste fatalità!
   Non mi riferivo a Natale Mondo sul quale siamo
perfettamente d'accordo con lei. Cassarà era rimasto per
alcuni giorni a dormire in questura e poi improvvisamente,
quel giorno, era andato via. Il problema è vedere come questo
lo si era saputo, tenendo presente che tante persone e
collaboratori, compreso lei, avevano notizie dall'interno
della questura.
  GASPARE MUTOLO. Non lo posso dire. Vede, io conosco
delle persone che portavano qualche notizia. Le posso dire che
fin quando il poliziotto, il commissario o il maresciallo mi
dicono: "Stai attento che c'è un mandato di cattura" oppure
"Stai attento che stasera debbono controllare la zona. Dalle 6
alle 10 c'è l'operazione zeta", si tratta allora di discorsi
tranquilli, pacifici, che si fanno per un certo quieto vivere,
per qualche favore che si è fatto. Ma, nel momento in cui
vengo a sapere che un poliziotto mi dà la soffiata ma dopo
nasce una strage, e per questo io, mafioso, o noi, mafiosi,
abbiamo la preoccupazione che quello che ha fatto la soffiata
è "sapitore" di una strage, è difficile... Fino a quando si
tratta di discorsi lievi, senza che io debba andare a
rischiare l'ergastolo, lo può sapere un poliziotto o
l'usciere, a me non interessa nulla; però, se vengo a sapere
che domani un poliziotto sa un mio segreto e parla e io
rischio di prendere l'ergastolo, io lo ammazzo cinquanta
volte.
  PRESIDENTE. A meno che non si decida di uccidere dopo il
poliziotto.
  GASPARE MUTOLO. Esatto.
  PRESIDENTE. Perché Mondo viene ucciso?
  GASPARE MUTOLO. Mondo viene ucciso perché era sempre
nell'ufficio di Cassarà, anche se aveva avuto delle
disavventure per i soliti conflitti tra polizia e carabinieri.
Mondo aveva contatti con un certo Duca, se ne è parlato sui
giornali ma abbiamo chiacchierato anche fra di noi. Mondo,
autorizzato da Ninni Cassarà, si voleva infiltrare perché
allora non esisteva ancora la legge per cui si possono fare
compravendite simulate; però i carabinieri avevano
intercettato una telefonata ed erano all'oscuro che Mondo
fosse d'accordo con la polizia e con Duca di fare... e
pensavano che il poliziotto fosse immischiato nel traffico...
Nel momento in cui rimane vivo nell'agguato al dottor Ninni
Cassarà queste cose escono fuori e vengono divulgate dalla
stampa.
  PRESIDENTE. L'omicidio è stato commesso perché Mondo si
era infiltrato?
  GASPARE MUTOLO. Dopo Mondo viene messo sotto inchiesta e
trasferito; in seguito ritorna e si vede molto spesso
all'Arenella, che è la località dove l'hanno ucciso. Nel
frattempo, qui era latitante un certo Salvatore Madonìa...
questo mi viene raccontato da un certo Galato, che
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gli aveva dato il suo appartamento. Un motivo di
preoccupazione era che questo Mondo conosceva tutto l'ambienta
mafioso, almeno tutti quelli schedati. L'hanno ucciso perché
era uno che sapeva delle investigazioni che aveva fatto il
dottor Ninni Cassarà.
  PRESIDENTE. Quindi viene ucciso perché poteva essere
pericoloso, perché sapeva determinate cose?
  GASPARE MUTOLO. Perché poteva essere pericoloso se
facevano qualche rapporto, qualche associazione, dei
collegamenti. Quando la polizia lavora e scrive ricorda sempre
a mente qualche cosa.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito di qualche cerimonia a cui
erano presenti mafiosi? Per esempio un battesimo o un
matrimonio a cui la polizia o i carabinieri non sono
intervenuti per consentirne lo svolgimento?
  GASPARE MUTOLO. Questo discorso l'ho sentito ma in una
maniera... so che c'era qualche latitante che se ne è andato
per via mare. Ora non posso dire chi ci fosse o chi fosse.
  PRESIDENTE. Non ho capito bene.
  GASPARE MUTOLO. So che mentre c'era un matrimonio,
mentre si stavano divertendo è arrivata la polizia. Nel
frattempo, non so se qualcuno vede passare le macchine della
polizia, comunque sanno che stanno per fare quest'irruzione
nel ristorante. So che c'erano diversi latitanti e qualcuno se
ne è andato sui motopescherecci.
  PRESIDENTE. Dove è avvenuto questo matrimonio? A
Palermo?
  GASPARE MUTOLO. No, fuori Palermo.
  PRESIDENTE. Vicino Palermo?
  GASPARE MUTOLO. In provincia di Palermo.
  PRESIDENTE. A Termini Imerese, per esempio?
  GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare e non sono
riuscito a focalizzare bene se fosse Cefalù o la Zagarella,
poiché in tutte e due i luoghi... A me consta che la Zagarella
fosse un punto dove si facevano i nostri matrimoni, perché
c'era una certa tranquillità.
  PRESIDENTE. A matrimoni o a battesimi di questo genere
erano a volte invitati anche appartenenti alle forze di
polizia o carabinieri?
  GASPARE MUTOLO. Invitati?
  PRESIDENTE. Sì.
  GASPARE MUTOLO. No; che mi risulti, quando c'era un
matrimonio, non si invitavano personaggi della polizia.
  PRESIDENTE. E ad un battesimo?
  GASPARE MUTOLO. Nemmeno.
  PRESIDENTE. Non le risulta?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Ha saputo nulla dell'omicidio Scopelliti?
  GASPARE MUTOLO. Mi scusi, non ho capito bene; mi ha
chiesto se quando c'era un matrimonio o un battesimo si
invitavano...
  PRESIDENTE. Che le risulti, è accaduto che ad un
battesimo, in particolare ad un matrimonio tra gli ospiti ci
fosse qualcuno di questi?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Passiamo all'omicidio Scopelliti.
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  GASPARE MUTOLO. Dalle chiacchiere che si sono fatte con
diversi detenuti, persone anche calabresi, l'omicidio è stato
fatto perché si sapeva che Scopelliti, già prima di essere
assegnato ufficialmente alla Cassazione come procuratore per
istruire il maxiprocesso, si sapeva che stava studiando
privatamente tutti gli atti perché non c'era il tempo
materiale per farlo. Può darsi che il discorso per questo
giudice Scopelliti sia stato semplice e regolare ma per
l'ambiente mafioso è stato un segnale, nel senso che egli
aveva un interesse particolare a studiare le cose. Prima che
morisse si sapeva che era rigido e soprattutto contrario a
questa linea dei mafiosi e, quindi, c'erano delle titubanze.
Si pensò che uccidendo Scopelliti e con la nomina di un nuovo
procuratore generale che doveva studiare tutti gli
incartamenti, considerato il tempo delle scadenze e quello
necessario per qualsiasi altro pubblico ministero, le persone
dovevano uscire dal maxiprocesso. Poi c'era quella famosa
promessa o speranza che a Roma si dovesse buttare tutto a
terra.
  PRESIDENTE. Ho capito.
   Ha mai sentito parlare dell'omicidio Fava?
  GASPARE MUTOLO. Sì, ma non posso dare alcuna
indicazione. Di solito, si tratta di omicidi di carattere
mafioso verso personaggi che danno fastidio ad un certo
ambiente; altre persone non si permettono di toccare questi
personaggi. Di concreto non so niente.
  PRESIDENTE. Ha mai conosciuto in Toscana Michelangelo
Fedele?
  GASPARE MUTOLO. Con Michelangelo Fedele, un calabrese,
eravamo vicini ma non ho avuto rapporti di conoscenza o,
quanto meno, non ricordo di averlo conosciuto fisicamente,
anche se so che ha delle agenzie dove lavorano dei suoi
nipoti, se non sbaglio vicino a San Vincenzo. Comunque, cose
specifiche non ne so.
  PRESIDENTE. Quando è stato in Toscana, dov'era?
  GASPARE MUTOLO. A Gavorrano, in provincia di Grosseto.
  PRESIDENTE. Dove poi è stato ucciso Condorelli?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Per il sequestro Lenzi a Pistoia vi furono
contatti tra mafia e terroristi, che lei sappia?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so.
  PRESIDENTE. Prima lei ha spiegato come si svolse la
vicenda quando, verso la metà degli anni settanta vi fu il
progetto di assoggettare... Bontate si avvalse di qualcuno in
particolare e Badalamenti di qualcun'altro per svolgere questo
progetto?
  GASPARE MUTOLO. Il progetto era che Bontate, tramite...
anche perché il conte Cassina Arturo aveva là vicino, nella
zona di Villa Grazia, il villino dove lui abitava; ci lavorava
questo personaggio Teresi Giovanni detto "il pacchione", che
era sottocapo della...
  PRESIDENTE. Dovendo ora porre una questione delicata,
propongo di proseguire i nostri lavori in seduta segreta.
  (La Commissione procede in seduta segreta).
  PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta
pubblica.
   Perché si scelse proprio Cassina?
  GASPARE MUTOLO. Non è che si scelse Cassina per dire
Cassina, magari si sono scelti diversi personaggi.
  PRESIDENTE. Quali furono le persone che vennero scelte?
Una è Cassina, poi?
                        Pag. 1283
  GASPARE MUTOLO. Guardi si facevano tanti, cioè
c'era...come si può dire?
  PRESIDENTE. L'onorevole Gioia venne contattato anche
lui, venne utilizzato anche lui come Cassina?
  GASPARE MUTOLO. Non lo se venne utilizzato. Però, che si
facevano questi avvicinamenti, sia l'onorevole Gioia... anche
perché tra i diversi mafiosi c'era chi diceva: io sono compare
dell'onorevole Restivo; io ho in mano l'onorevole Gioia oppure
Ciancimino. Chiunque poteva avere un personaggio che poteva
evitare uno scontro. In fin dei conti, se queste persone si
adoperavano, lo facevano a fin di bene e non di male: Infatti,
il discorso era che, se non si trovava il modo di farli
accordare, di essere più elastici e morbidi, sicuramente si
uccidevano tutti, come qualcuno è stato ucciso.
  PRESIDENTE. All'inizio degli anni sessanta Lima e
Ciancimino andavano d'accordo. Dopo la metà degli anni
settanta si apre un litigio, si creano dei contrasti politici
e di interesse. Può spiegare come le differenze all'interno di
Cosa nostra si riproducano nei contrasti tra queste due
persone?
  GASPARE MUTOLO. Si tratta della storia della mafia fatta
da un lato, con tutti i supporti di alcuni personaggi, tra cui
ve ne sono alcuni che ci stanno molto bene, che seguono gli
orientamenti dei mafiosi. Ciancimino, almeno per quello che si
è sentito dire, era molto amico anche dell'onorevole
Mattarella. Non è che non erano amici, addirittura erano amici
anche del padre. Dobbiamo però inquadrare questi personaggi
nella mentalità e nell'ottica della Sicilia degli anni
quaranta-cinquanta. Io mi vergognerei se dovessi fare un
paragone ora, magari nominando il padre dell'onorevole
Mattarella, tra quella che è la mafia di oggi e quella che si
concepiva negli anni trenta. Questo è bene che si tenga
presente.
  PRESIDENTE. Questo è chiaro.
  GASPARE MUTOLO. I mafiosi erano "campieri", ma
sicuramente c'era qualche nobile, come ancora oggi c'è. Allora
ce n'erano molti di più. Questi personaggi a cosa servivano?
Per dare ospitalità. In Sicilia che cosa c'era? C'erano feudi,
quindi le persone che comandavano erano questi nobili e i
mafiosi. Non è che ci fossero distinzioni. Con la spaccatura
che avviene all'interno di Cosa nostra, automaticamente ognuno
si va portando i suoi personaggi.
  PRESIDENTE. I suoi alleati.
  GASPARE MUTOLO. Esatto, anche se la mentalità tra il
Bontate e il Riina è diversa, anche se la mentalità tra
l'onorevole Lima e Ciancimino è diversa. Perché anche
Ciancimino è una persona... io non lo conosco personalmente,
però è anche lui un corleonese, cioè ha vissuto più di noi
questa realtà con questi personaggi.
   Quindi, quando avviene questa spaccatura che Gaetano
Badalamenti dice che è amico di Gioia, Stefano Bontate è amico
di Lima, Saro Riccobono è amico di Matta, Antonio Mineo
addirittura - se non sbaglio, allora il ministro Franco
Restivo aveva una carica ...
  PRESIDENTE. Era ministro dell'interno.
  GASPARE MUTOLO. Appunto, si dovevano interessare per
togliere il confino, queste cose ...
  PRESIDENTE. Di Insalaco avete mai sentito parlare in
questo contesto?
  GASPARE MUTOLO. Di Insalaco ho sentito parlare anche
quando lui si portò come personaggio politico, e c'erano
persone che erano d'accordo e altre no perché il padre era un
poliziotto o un commissario.
  PRESIDENTE. Insalaco era uomo d'onore?
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  GASPARE MUTOLO. No, da quanto risulta a me.
  PRESIDENTE. Ma in questo lavoro che lei sostiene facesse
un po' anche Restivo per eliminare il confino ed il soggiorno
obbligato, Insalaco aveva un qualche ruolo oppure no? Mi pare
che allora fosse segretario.
  GASPARE MUTOLO. Insalaco era uno che dopo hanno scoperto,
per esempio, che lui proponeva o aveva la possibilità di far
togliere il confino. Però prima lo faceva dare o lo proponeva,
non so a chi. Quindi, faceva questa specie di doppio gioco per
avere i voti, un certo consenso.
  PRESIDENTE. Per avere più credito.
   Lei ha spiegato che le rotture che si verificavano dentro
Cosa nostra poi si riportavano all'interno del mondo politico.
E' così?
  GASPARE MUTOLO. Non è...
  PRESIDENTE. Non automaticamente.
  GASPARE MUTOLO. Non siamo a questo livello. Io intendo
dire che, se l'onorevole Gioia oppure Ciancimino, oppure Lima,
oppure un'altra persona... cioè, se prima per le questioni
riguardanti le votazioni l'onorevole Lima interessava Stefano
Bontate e dopo, per territorio, questi sapeva che in quella
zona poteva parlare con l'amico suo Bernardo Brusca, o con
Michele Greco, c'era questa cordata. Quindi, quando dopo
c'erano le votazioni e queste persone non portavano più i
voti, logicamente si diceva: in queste zone io non posso
andarci più. Quindi, anche loro insomma erano... però non
c'entra niente. Il discorso che è mafioso è una cosa, altra
cosa è il discorso della politica.
  PRESIDENTE. E' chiaro. Visto che lei ha affrontato
questo tema che ci interessa, vuol spiegare come andava la
vicenda dei voti?
  GASPARE MUTOLO. Noi avevamo tassativamente l'ordine di
votare per la DC perché era l'unico partito buono; erano le
uniche persone che almeno a Palermo si sentiva che potevano
fare qualche favore a livello... non è che io fossi uno che
andava...
   Erano questi, insomma. Oggi io non so distinguere che
differenza passi fra il Tizio ed il Caio, per me era DC; mi
davano i facsimile con i numeri ed io, per quello che potevo
fare fra i miei familiari e la mia borgata, lo facevo in
maniera pacifica.
  PRESIDENTE. Quanti voti controllava più o meno la sua
borgata? E' in grado di dirlo?
  GASPARE MUTOLO. Non è che mi interessassi tanto di
politica.
  PRESIDENTE. Però la campagna elettorale la faceva.
  GASPARE MUTOLO. Per i miei parenti. Questi, ancora oggi
anche se sono al confino e sanno che gli devono dare il
mensile e c'è una certa disfunzione e magari passano otto mesi
e si ritarda bene, per cui a volte queste persone non mangiano
- mi scusi se passo da un discorso all'altro - se io telefono
mi dicono: "Gaspare, vedi che i soldi non sono arrivati, come
dobbiamo fare?". Questo rapporto con i miei parenti l'ho avuto
sempre; quindi ero tranquillo che se gli dicevo di votare un
numero - sempre DC - lo facevano, forse perché la DC dà
un'immagine di sicurezza, o perché abbiamo sempre sentito
parlare di DC.
  PRESIDENTE. Le ragioni non ci interessano molto; ci
interessa invece capire meglio l'orientamento del voto. Lei
riferisce dei suoi parenti, però non credo che il voto venisse
chiesto soltanto a loro.
  GASPARE MUTOLO. Ai miei parenti, tutti quelli che
votavano, sì...
  PRESIDENTE. E gli altri?
                        Pag. 1285
  GASPARE MUTOLO. Se vi era qualche persona che abitava
nella mia scala, o che conoscevo, perché ci salutavamo, o
perché gli avevo fatto qualche favore, gli davo questi
facsimile e gli dicevo di votare... Quello non mi chiedeva se
il candidato era buono o cattivo, non gli interessava, perché
la politica a Palermo, almeno fino a poco tempo fa, non era
sentita.
  PRESIDENTE. Come facevate a sapere che effettivamente
tutti facevano quello che avevate chiesto?
  GASPARE MUTOLO. Per esempio, se un mio amico mi diceva
fai questo, ed io gli facevo il favore, se dopo questo amico
piano piano arrivava fino all'onorevole... ma io non conosco i
meccanismi... Però lei sa che ci sono le sezioni, e persone
che giocano a carte nei circoli (ci sono sempre nelle borgate
quelli che si conoscono); per esempio, c'era il padre di
Micalizzi, un certo Giuseppe, che è ancora in vita, per la
zona di Pallavicino, che era quello più addentrato, che
conosceva, ma a noi non interessava chi era.
  PRESIDENTE. Vi era qualcuno che il giorno del voto,
davanti ai seggi, in qualche modo, cercava di convincere le
persone a votare nel modo richiesto da voi?
  GASPARE MUTOLO. Io, di queste cose almeno, non...
  PRESIDENTE. Voi no!
  GASPARE MUTOLO. Non si doveva controllare il personaggio
se dava o meno... C'era fiducia.
  PRESIDENTE. Però facevate una brutta figura se vi
eravate impegnati per qualcuno che poi non otteneva i voti.
  GASPARE MUTOLO. Questo rischio...
  PRESIDENTE. Il rischio non c'era...
  GASPARE MUTOLO. Questo rischio non c'era, nella maniera
più pacifica.
   Ricordo che una volta a Palermo, di fronte alla Standa,
c'era un negozio di parrucchierìa (parlo di tanti anni fa,
quando ancora lavoravo nel garage). Uno dei figli di questo
signore che aveva il negozio di parrucchierìa si era sposato
con un onorevole - non so che cosa fosse - ed era comunista.
Siccome noi avevamo il garage, dove si vendevano macchine,
conoscevamo questa persona da tanti anni, e voleva un po' di
aiuto nelle elezioni. Quello che ho detto prima, un certo
Salvatore Veterani, chiese di che partito era: "Comunista! Ti
vai a scegliere il partito di cui noi non ci possiamo
interessare". Questo per dire che non si guardava chi era o
meno la persona, a noi interessava che fosse DC, che non era
mai, mai, comunista e neanche fascista. Tutti gli altri
partiti, bene o male...
   Ripeto, quelli che noi sentivamo erano della DC.
  PRESIDENTE. Le risulta di politici che erano, o sono
uomini d'onore?
  GASPARE MUTOLO. Scusi, non ho capito.
  PRESIDENTE. Ci sono stati o ci sono politici che sono
uomini d'onore?
  GASPARE MUTOLO. Ho sentito dire che ci sono stati in
passato; personalmente non mi consta che ci siano ora.
  PRESIDENTE. Questo appoggio alla DC vale ancora oggi,
oppure la situazione ora è diversa?
  GASPARE MUTOLO. Ora la realtà è un po' diversa;
comunque, se dico a mia moglie di votare comunista, lei lo fa,
perché non ne capisce niente di politica, ma se le dico di
votare democristiano, lei vota DC.
  PRESIDENTE. Oggi quindi i rapporti fra Cosa nostra ed i
partiti sono gli stessi o è cambiato qualcosa?
                        Pag. 1286
  GASPARE MUTOLO. Credo che ora, rispetto ad allora, sia
cambiato molto.
  PRESIDENTE. Che cosa?
  GASPARE MUTOLO. Sempre a causa di questo benedetto
maxiprocesso e di tutti i vari decreti-legge che si sono
susseguiti, anche attraverso esponenti della DC.
   Per quanto concerne Cosa nostra, un primo segnale...
  PRESIDENTE. Di critica.
  GASPARE MUTOLO. Di critica (quasi a dire: "Vedete che
ora ci arrabbiamo"), è stato dato nel periodo in cui il
socialista (se non sbaglio, l'onorevole Martelli) ha preso
tutti quei voti a Palermo. Se non ricordo male, l'onorevole
Vassalli, che era ministro di grazia e giustizia, doveva
varare un nuovo codice di procedura penale (noi detenuti
seguiamo molto queste cose); si parlava degli onorevoli
Martelli e Pannella, che si erano interessati tanto del caso
Tortora, e della campagna elettorale per una legge più giusta,
per una giustizia più giusta. Fra noi abbiamo detto: "Ma
insomma questi della DC sono quasi quattro anni che prendono
sempre..." A parte che era sentito già da prima ma abbiamo
pensato che le cose, in un anno, diciotto mesi, sarebbero
cambiate, ed abbiamo voluto dare un chiaro segnale per far
capire che se vogliamo noi, campagna o non campagna,
volantini, pubblicità, insomma... Infatti, ci è venuto
l'ordine (non so da chi), e si è discusso, tra noi detenuti e
tra le persone della commissione, per chiarire che se questo
partito si interessa meglio della DC, non vi è motivo per
andare dietro a questi "mammasantissima", che da quarant'anni
ci mandano al confine. Scusi onorevole! (Rivolto
all'onorevole Scotti). (Si ride).
   Che ci prendono in giro... A volte si faceva il paragone
tra il fascismo e la DC e si diceva che anche Mussolini, in
merito ai mafiosi, si era comportato certamente meglio dei
democristiani, poiché almeno fece un'associazione e una
"imbarcata" di confini ad Ustica, però dopo sono ritornati,
anche perché è durato poco. Invece la DC continuava e dopo,
per un certo periodo, erano sempre gli stessi, sperimentando
isole e isolette; addirittura l'onorevole Cesare Terranova
aveva pensato di prendere una portaerei, disarmarla, buttarla
a mare e portare il mangiare ai mafiosi con l'elicottero,
lasciandoci senza telefono o altro. Temevamo che fosse pazzo,
che, approvata questa legge, ci avrebbero buttato veramente a
mare! Quindi, i rapporti piano piano si sono allentati perché,
anche se io non non ne capisco niente, capisco però che per un
certo periodo in Sicilia, a Palermo, erano tutti della DC:
assessori, sindaci, vicesindaci, tanto che hanno costituito
un'associazione ed hanno arrestato tutti i sindaci e
vicesindaci dei paesi che erano tutti DC. La realtà è un po'
cambiata, e penso che oramai questa rottura con la mafia c'è
stata e c'è.
  PRESIDENTE. Da quando?
  GASPARE MUTOLO. La rottura completa è avvenuta quando
c'è stata la conferma della Cassazione, ma ancora prima,
quando il ministro Scotti emanò quel decreto...
  PRESIDENTE. Che vi ha dato qualche fastidio.
  GASPARE MUTOLO. E' stata una mazzata in testa che ha
fatto tornare tutti i mafiosi in carcere. Quelle sono state
cose che la mafia effettivamente ha sentito molto.
  PRESIDENTE. Quando ha parlato di Lima, lei ha detto che
Lima si rivolgeva a persone della sua stessa corrente
politica. Vuole chiarire questo concetto alla Commissione? Per
quanto sapeva lei, naturalmente.
  GASPARE MUTOLO. Vado per logica e per quello che avevo
sentito dire. Non so se è giusto... Lui si rivolgeva a
personaggi a Roma che erano onorevoli,
                        Pag. 1287
non so chi, della sua stessa corrente. Lui era nella corrente
andreottiana. Non so a chi si rivolgesse.
  PRESIDENTE. Ma si rivolgeva a uomini politici siciliani
o non siciliani?
  GASPARE MUTOLO. No, penso che, anche se c'era qualche
siciliano, il discorso valeva...
  PRESIDENTE. Non erano uomini politici siciliani della
sua corrente.
   In Cosa nostra si facevano dei nomi di uomini politici non
siciliani ai quali si poteva fare riferimento tramite Lima?
  GASPARE MUTOLO. Guardi, non ricordo e non lo posso dire,
perché non sono sicuro. Qualche nome c'era, però...
  PRESIDENTE. Quali erano questi nomi che si facevano?
  GASPARE MUTOLO. Non me li ricordo.
  PRESIDENTE. Lei non si ricorda o non intende dirli? Sono
due concetti diversi.
  GASPARE MUTOLO. Siccome non sono sicuro, potrei cadere
in qualche errore e quindi non ritengo giusto dire una cosa di
cui non sono sicuro.
  PRESIDENTE. Non è sicuro nel senso che non ricorda o non
è sicuro nel senso che non è sicuro che quelli dicessero la
verità, quelli che hanno parlato a lei?
  GASPARE MUTOLO. Sì, è logico, non è che si tratti di una
cosa che mi consta personalmente e quindi non è che possa
parlare di una persona per discorsi che si facevano, sì in una
maniera pacifica, ma sempre... Se noi parliamo di corrente,
non so... Se fossi pratico di politica, allora potrei dire che
uno, quando mi parla di corrente, si riferisce al capo
corrente. Ma io non so di questo riferimento. Che Lima avesse
dei personaggi importanti a Roma della sua corrente nella
quale lui, in maniera pacifica, si era assunta questa
responsabilità di aggiustare, in una maniera pacifica, questo
maxiprocesso, di stare calmi... Ma questo discorso è durato
quasi cinque anni, sei anni, è stato fatto, ma non posso
essere più preciso.
  PRESIDENTE. Comunque un nome si è fatto, questo è il
punto, nel vostro giro?
  GASPARE MUTOLO. Di nomi uno se ne faceva sicuramente, ma
non è che posso ricordarmi ora quale fosse.
  PRESIDENTE. Non se lo ricorda! Lei può anche rispondere
dicendo: non intendo dirlo. Sono due concetti diversi.
  GASPARE MUTOLO. Non intendo dirlo, perché non ritengo
sia giusto...
  PRESIDENTE. Va bene, questa è una risposta.
   Senta, per quali motivi un uomo politico che non è eletto
in Sicilia dovrebbe aiutare voi?
  GASPARE MUTOLO. Certo, se gli interessa quello che viene
eletto in Sicilia, è come se fosse eletto lui. Almeno credo
che sia così. Se ho un amico che fa il politico - faccio il
paragone - e lo eleggono è lo stesso che eleggano me.
  PRESIDENTE. Quindi, se si tratta, di un suo amico viene
rafforzato?
  GASPARE MUTOLO. Logico. Non capisco niente di politica e
non vorrei fare qualche sbaglio...
  PRESIDENTE. No, questi sono ragionamenti comuni.
   E voi votavate Lima?
  GASPARE MUTOLO. Quando Lima si portava, noi avevamo le
direttive di votare Lima, quella corrente che era la più
forte, degli andreottiani.
  PRESIDENTE. La più forte no, perché vi erano altre
correnti più forti.
                        Pag. 1288
  GASPARE MUTOLO. Prima c'era quella fanfaniana, poi
quella... Almeno, per quanto ne so io.
  PRESIDENTE. Quali utilità concrete ricavava Cosa nostra
dal rapporto con questi politici? Questi favori di cui stava
parlando adesso?
  GASPARE MUTOLO. Non è che io fossi ad un livello di Cosa
nostra tale da occuparmi di questi discorsi politici. Le posso
dire che in Cosa nostra non avevamo problemi di alcun genere
sia in Sicilia sia a Roma, perché c'erano persone che si
interessavano. Certo, io non essendo una persona che si
interessava di queste cose, ma più che altro uno che si
interessava di più se si dovesse uccidere uno rispetto a chi
facesse il ministro... Per Cosa nostra, però, si arrivò ad un
punto che problemi non c'erano, sia a Palermo sia a Roma, in
una maniera tranquilla e pacifica.
  PRESIDENTE. Un uomo politico che è vicino a voi e che vi
sostiene e vi appoggia può fare una legge contro di voi o
delle leggi contro di voi?
  GASPARE MUTOLO. In politica tante leggi si fanno e dopo,
magari, passano 40 o 60 giorni e non si va mai... Ad esempio,
ci fu un periodo in cui venimmo a sapere che la DC si trovava
in difficoltà perché le sinistre... Ora io, dicendo sinistre,
non è che capisca...
  PRESIDENTE. Va bene, le sinistre in generale.
  GASPARE MUTOLO. Le sinistre avevano preso forza e
quindi, se non ci fossimo messi bene in testa di prendere
voti... Infatti, stando almeno a quello che mi dicevano, se
non fosse stato per la Sicilia e per la bassa Italia, la DC
non avrebbe nemmeno preso la maggioranza. Queste cose me le
dicevano per dire: "Appena la DC si rafforza, si cambia quello
che c'è da cambiare, si fa". A me, però, o che si dovesse
fare, una strada, un ponte o qualche altra cosa... a me
interessava nel caso di un processo importante che si doveva
aggiustare. Si aggiustava e chi vi provvedesse non mi
interessava niente, l'importante era che si aggiustasse.
  PRESIDENTE. Quindi la legge non vi interessava, era il
processo che vi interessava. Questo vuol dire?
  GASPARE MUTOLO. La legge perché attraverso essa stavamo
bene o stavamo male. Fino a quando non c'erano associazioni,
si stava bene. Dal momento in cui hanno cominciato con queste
associazioni, si è arrivati ad una rottura e ad uno
sgretolamento.
  PRESIDENTE. Perché la legge è stata applicata!
  GASPARE MUTOLO. Le legge piano piano viene applicata,
anche se in maniera lenta. La legge è stata applicata ora,
perché fino al 1983, al 1984 o al 1985... Abituati a come si
stava nel 1977, nel 1978 o nel 1979, ci si trovava male. Ma se
ora si dicesse ai mafiosi: "Volete stare come si stava nel
1983 o nel 1984?". Direbbero: "Logico!". Adesso è molto
peggio.
  PRESIDENTE. Quali sono le ragioni dell'omicidio di Salvo
Lima?
  GASPARE MUTOLO. Le ragioni dell'omicidio di Salvo Lima
sono state proprio perché le garanzie prese a Palermo o non le
ha mantenute o non gliele hanno fatte mantenere. Salvo Lima,
almeno secondo quello che ho sentito dire, per un certo
periodo esortava a non preoccuparsi perché in appello o in
Cassazione... La sentenza della Cassazione, quando è arrivata,
è stata più disastrosa del previsto.
  PRESIDENTE. Lei ha partecipato o ha saputo della
riunione di Cosa nostra in cui si decise l'omicidio Lima?
  GASPARE MUTOLO. No.
                        Pag. 1289
  PRESIDENTE. Non aveva sentito parlare prima di questo?
  GASPARE MUTOLO. Ero nel carcere di Spoleto la prima
volta che ho sentito che il processo andava male. E parlo con
un certo Gambino...
  PRESIDENTE. Nel novembre 1991?
  GASPARE MUTOLO. Sì. Era in corso il processo ed io avevo
saputo che il giudice Carnevale era stato sostituito perché vi
erano delle critiche. Tuttavia, pensavo che dopo tanti anni
Carnevale avrebbe avuto qualche amico al quale raccomandare il
processo. Però, quando fanno il decreto che fa ritornare in
carcere tutti i mafiosi, i quali si trovavano quasi tutti agli
arresti domiciliari, viene Giacomo Giuseppe Gambino, che in
quel periodo era capomandamento anche della mia zona. Ci
troviamo a parlare del maxiprocesso: "Speriamo che si finisca
bene"; "Ma quale bene, le cose vanno male, però chissà se
all'ultimo si riuscirà...". Comunque, c'era sempre qualche
speranza, perché la speranza è l'ultima a morire.
  PRESIDENTE. Non c'è dubbio.
  GASPARE MUTOLO. Si sperava che all'ultimo momento ci
sarebbe stato un ripensamento. Il giudice Falcone ed i giudici
di Palermo capivano che questa sentenza sarebbe stata decisiva
per l'andamento degli altri processi e per tutto
l'inquadramento della struttura mafiosa.
  PRESIDENTE. Dopo la sentenza di condanna - la mazzata
arriva a gennaio -...
  GASPARE MUTOLO. Mentre parliamo di queste cose e
commentiamo il decreto-legge, in base al quale sono rientrati
in carcere i mafiosi, tutti i tentativi che si erano fatti con
il discorso del procuratore Scopelliti... Tutti i tentativi li
abbiamo fatti, dice: l'unico tentativo è un miracolo. Però le
cose, almeno quelle che sappiamo noi, vanno male. Perciò loro
già sapevano, dopo un certo periodo, quando il giudice
Carnevale non voleva presiedere più, o per libera scelta o
perché glielo avevano imposto, che le cose sarebbero andate
peggio di come avrebbero dovuto. Infatti, non si sono
sbagliati perché nella sentenza...
  PRESIDENTE. Dopo la sentenza, si pensò in carcere...
  GASPARE MUTOLO. In carcere eravamo un po' frastornati,
perché eravamo latitanti o arrestati per altri processi, ma
tutti avevamo sulle spalle condanne non indifferenti: chi
aveva dieci anni, chi ne aveva otto, ma tutti eravamo
preoccupati per quello che poteva avvenire con quella
sentenza. La cosa che mi |P'stranizzò|P' fu che a Spoleto si
presentarono nel giro di qualche mese sette persone.
  PRESIDENTE. Cioè si costituirono in carcere?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Addirittura ci siamo messi a
ridere perché a Palermo un certo Corrado Giovanni al momento
della sentenza si era presentato in questura dicendo della
sentenza di Roma, ma gli era stato risposto che lì ancora non
era arrivato niente.
  PRESIDENTE. Avete parlato in carcere con qualcuno di
quelli che si erano costituiti per chiedergli che cosa gli era
venuto in mente?
  GASPARE MUTOLO. Sì, ho parlato con un certo Michelangelo
Pedone. Siccome avevo saputo che si era fidanzato con la
sorella di Giacomo Giuseppe Gambino, mi meravigliai perché
doveva scontare più di otto anni. Gli chiesi perché si era
presentato e mi rispose perché lì c'era Pippo e perché doveva
scontare ancora otto anni; la cosa non lo |P'stranizzava|P',
però ognuno non parlava. Dopo, quando è successo l'omicidio
Lima, mi sono trovato a parlare con un certo Montalto:
"Accominciamo".
                        Pag. 1290
  PRESIDENTE. E l'omicidio di Ignazio Salvo?
  GASPARE MUTOLO. Anche se non è scritto nei verbali
l'avevo preannunciata questa morte, innanzitutto per questioni
personali che aveva avuto con suo cognato Lo Presti...
  PRESIDENTE. Lo Presti era legato ai corleonesi?
  GASPARE MUTOLO. Si capiva che anche questi erano legati
con Inzerillo ed inoltre per la sua posizione in Cosa nostra
anche lui era uno dei referenti che si interessava e non si
interessava con questi politici ed attraverso i tribunali. Era
anche lui, insomma, una persona a rischio.
  PRESIDENTE. Aveva previsto la fine di Salvo prima della
sentenza della Cassazione?
  GASPARE MUTOLO. Dopo la sentenza.
  PRESIDENTE. Ho capito, dopo Lima aveva previsto che
sarebbe capitato anche a quell'altro. Il fatto che Salvo fu
condannato ad un pena molto bassa al maxiprocesso vi colpì?
  GASPARE MUTOLO. No, anzi pensavamo che dovesse andare
assolto ed invece era stato condannato; i giudici erano stati
cattivi.
  PRESIDENTE. Lima aveva in particolare un rapporto con
Bontate all'interno di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Sì, aveva dei rapporti amichevoli.
  PRESIDENTE. E Contrada con chi aveva rapporti dentro
Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. I rapporti più stretti, per quello che
io sapevo, li aveva con Saro Riccobono, ma li aveva anche con
Stefano Bontate ed altre persone.
  PRESIDENTE. In che cosa consistevano questi rapporti?
  GASPARE MUTOLO. Riccobono mi venne a raccontare che,
mentre abitava in via Guido Jung, diverse volte l'avevano
avvisato che la polizia lo doveva arrestare; un giorno, un po'
esasperato, dà l'appuntamento a questo Contrada dall'avvocato,
da un avvocato e gli chiede: "Chi ti porta la notizia che mi
trovo in quell'appartamento?". E Contrada risponde: "Non te lo
dico perché, se ti dico chi mi ha detto queste cose, tu dopo
dieci minuti lo ammazzi". Però Riccobono pensava ad una
persona di via Montalto.
  PRESIDENTE. Praticamente Contrada andò dall'avvocato di
Riccobono?
  GASPARE MUTOLO. No, era un altro avvocato.
  PRESIDENTE. Non voglio sapere il nome. Era un uomo
d'onore?
  GASPARE MUTOLO. A me non risulta che fosse uomo d'onore,
mentre da quando me lo ricordo io da sempre era vicino ad
ambienti mafiosi.
  PRESIDENTE. Dovendo ora porre una domanda delicata,
propongo di proseguire i nostri lavori in seduta segreta.
  (La Commissione procede in seduta segreta).
  PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta
pubblica.
   Quali uomini della magistratura avevano con voi questo
tipo di rapporto?
  GASPARE MUTOLO. Della magistratura, a parte il nome di
qualche altro, ho già fatto quello del giudice Signorino.
  PRESIDENTE. L'ha già fatto ai magistrati?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
                        Pag. 1291
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione la vicenda del
processo relativo all'omicidio dell'agente Cappiello, di cui
lei era imputato?
  GASPARE MUTOLO. C'è stato questo omicidio dell'agente
Cappiello. So che ci fu un primo rapporto della polizia in cui
accusavano me di aver sparato. C'è stato poi un secondo
rapporto di polizia in cui questo omicidio viene "fatto" su un
certo Nino Buffa, un certo Davì Salvatore, un certo Michele
Micalizzi. Successivamente ho saputo dai miei parenti che dopo
due ore avevano già fatto questo primo mandato di cattura,
magari perché si trattava del primo omicidio di un agente
verificatosi dopo l'approvazione della legge Reale.
   Spesso la polizia si recava dalle donne. Magari qualche
mia parente avrà detto: "Guardate che Gaspare era ricoverato
all'ospedale". Ma di questo io non sono certo perché dopo mi
sono giustificato col giudice istruttore dicendo che quella
sera ero ricoverato in ospedale operato di ernia del disco e
quindi non potevo essere...
  PRESIDENTE. Era vero questo?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore, era vero.
   Questo processo va avanti con tre persone imputate per
omicidio e tre per associazione, e con le varie fasi di
"interessamento" nel processo. Quando c'è stata la sentenza
abbiamo avuto tre assoluzioni, una condanna a trent'anni, una
a ventotto e una, mi sembra, a quindici, sedici anni. Se non
ricordo male, questo processo mi sembra che fu fatto dal
presidente Michele Agrifoglio; un giudice a latere era
allora Ingabbiola.
   Abbiamo saputo che questo giudice Ingabbiola, mentre stava
uscendo, ebbe un ripensamento e battè un pugno sul tavolo e
disse: "A costo che mi ammazzano, io...". Forse il giudice
popolare o il presidente facevano pressione al fine di far
assolvere Michele Micalizzi. C'è stata quindi, come si dice in
gergo, una battaglia tra il presidente e il giudice a
latere.
    Prima di questo avevo avuto un abboccamento proprio con
l'interessato, con il professionista Randazzo perché non fosse
"messa" la parte civile...
  PRESIDENTE. Aveva parlato con Randazzo?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Con la vittima dell'estorsione?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. E gli aveva detto di non costituirsi parte
civile?
  GASPARE MUTOLO. E con altri personaggi, ma non so se sia
il caso di...
  PRESIDENTE. Si tratta di personaggi istituzionali, cioè
di magistrati, polizia, carabinieri?
  GASPARE MUTOLO. No, erano avvocati e qualche persona cui
interessava Randazzo, per via di una certa parentela. Ci siamo
accordati ... perché io volevo uccidere questo Randazzo... che
loro non avrebbero "messo" la parte civile. Si era trovato un
accordo, e anche loro avrebbero dato una mano per parlare con
il presidente...
  PRESIDENTE. Poi com'è finita per lei?
  GASPARE MUTOLO. Io, Saro Riccobono e Salvatore Micalizzi
fummo assolti. Furono invece condannati Davì, Buffa e Michele
Micalizzi. E' quella sentenza in cui l'avvocato nel fare
l'arringa ci interroga se noi ancora oggigiorno portiamo i
bambini a passeggiare...
  PRESIDENTE. In Cassazione com'è andata?
  GASPARE MUTOLO. La prima volta, il processo è stato
passato in Cassazione; po in appello sono stati tutti assolti.
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   C'era l'interessamento di questo Ignazio Salvo e in
Cassazione andò bene. Dopo il 1982, in galera, ci trovammo
assieme, ne parlai con il Davì e gli dissi: "Guarda, parla con
Gambino... e gli dici che per questo processo si era
interessato Ignazio Salvo, che conosce tutta la situazione.
Poiché però ci troviamo in una fase dove Saro Riccobono non
c'è più, queste persone quindi o si lasciano in galera o
escono e vengono uccise".
  PRESIDENTE. A cosa intende alludere quando parla di
strategia processuale discussa con Badalamenti, Buscetta,
Fidanzati e Alberti, in relazione al processo dei 114?
  GASPARE MUTOLO. Mi ricordo che Gaetano Badalamenti mi
venne a trovare all'Ucciardone, perché era ritornato da uno
dei viaggi che faceva e mi chiese di raccontargli quello che
avevo fatto a Cinisi.
   Poiché capivo che avrei potuto mettere un po' in
difficoltà il cugino Nino Badalamenti, al quale ero molto
legato, risposi che ero stato a disposizione a Cinisi dove
avevo fatto tante cose. Gli dissi di parlare con Saro
Riccobono perché lui sapeva tutto quello che io avevo fatto a
Cinisi.
   Ricordo perfettamente che lui chiamò Buscetta, Gerlando
Alberti, Gaetano Fidanzati; c'era pure Erasmo Valenza, ma non
ricordo se si trovasse in infermeria o in qualche altra
sezione. Comunque, ci siamo trovati tutti all'interno di una
stanzetta, dentro la matricola, dove ci sono scaffali con i
registri. Lui ci parlò di questo, dicendoci che stava facendo
un giro. Poiché c'era il processo d'appello dei 114, Totò
Riina voleva "fare" questo processo perché sosteneva che il
presidente meglio di così non poteva essere (erano dunque
tranquilli e pacifici), invece lui...
  ALFREDO BIONDI. A Catanzaro?
  GASPARE MUTOLO. A Palermo! Sto parlando del processo dei
114.
  PRESIDENTE. In che epoca siamo?
  GASPARE MUTOLO. Siamo nel 1977. Dice che lui non si fida
di questo presidente; invece ha l'assicurazione di Salvatore
Riina che questo è un presidente tranquillo e pacifico.
Comunque, poiché come ho detto non si fidava e gradiva un
presidente di cui fosse sicuro, voleva raccogliere consensi
presso i vari imputati per poter rinviare il processo. Invece,
se ben ricordo, Buscetta, Badalamenti, Gerlando Alberti,
Fidanzati gli hanno detto che per loro bastava che ci fosse
l'interessamento. So che poi il processo andò bene.
  PRESIDENTE. Come si poteva far cambiare il presidente
del processo?
  GASPARE MUTOLO. Il presidente si può cambiare chiedendo
una perizia ed il processo viene rinviato a nuovo ruolo.
  PRESIDENTE. Questa può essere una forma.
  GASPARE MUTOLO. Sì, la forma più democratica perché il
presidente non può decidere di rinviare il processo perché
qualcuno vuole così.
  PRESIDENTE. Avete mai influito sui piani regolatori o
sulle licenze?
  GASPARE MUTOLO. Sapevo che la persona a cui
interessavano questi discorsi era Michele Reina, che dopo è
stato ucciso.
  PRESIDENTE. Questo non ci interessa.
  GASPARE MUTOLO. Quanto ai piani regolatori, non
riesco... perché non sono molto pratico.
  PRESIDENTE. So che quella dove lei era insediato era una
zona dove c'erano state molte costruzioni.
  GASPARE MUTOLO. Ho capito. Non so a chi spetti il piano
regolatore, se al comune, al sindaco o alla giunta. Ci sono
dei giardini e delle persone che sanno che
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quella zona deve essere edificabile e quindi trovano i
personaggi di comodo, chiamati prestanome, ai quali intestano
il terreno agricolo... glielo fanno vendere perché il terreno
agricolo non si vende. Dopo otto mesi, un anno quella zona
diventa edificabile e crescono i palazzoni. In quella zona
c'era un certo D'Agostino Giovanni, figlioccio di Saro
Riccobono (almeno così si chiamavano fra loro), che ha fatto
diversi fabbricati con altri costruttori e si sapeva che
dietro di lui... c'era Ciancimino.
  PRESIDENTE. Ha conosciuto casi di magistrati che avevano
interessi in comune con costruttori?
  GASPARE MUTOLO. Magistrati?
  PRESIDENTE. Sì.
  GASPARE MUTOLO. No, no.
  PRESIDENTE. Per la costruzione di cabine da spiaggia o
di stabilimenti balneari?
  GASPARE MUTOLO. Ah, sì: il giudice Urso.
  PRESIDENTE. Cos'è questa storia?
  GASPARE MUTOLO. Siccome all'Addaura ogni anno mettono le
cabine, c'era un trapanese di cui non conosco il nome, forse
Lucio, il quale vedendo che cominciano a fare i lavori per il
ristorante, per la sala da ballo disse di fare qualche danno
per pagare...
  PRESIDENTE. Sì, per far pagare la tangente.
  GASPARE MUTOLO. Si vede che interessò qualche persona...
insomma, da noi si presentò un certo Masino Spataro che con
molta premura ci disse che quella zona apparteneva al giudice
Urso, un amico, uno a disposizione.
  PRESIDENTE. Urso era di Palermo o di un'altra città?
  GASPARE MUTOLO. Era di Termini Imerese o di un paese lì
vicino; comunque, io so che era terminese. Quindi, siamo
entrati in contatto, lui era lì tranquillo e pacifico. Dopo ho
avuto bisogno di un favore e me lo ha fatto.
  PRESIDENTE. Che tipo di favore?
  GASPARE MUTOLO. Ero imputato di una rapina che avevo
fatto sull'autostrada a Buonfornello, quindi nel territorio di
Termini Imerese; lui telefonò al pubblico ministero dicendogli
di prosciogliermi perché, in caso contrario, l'avrebbe fatto
lui.
  PRESIDENTE. E lei fu prosciolto?
  GASPARE MUTOLO. Andavo dal giudice... non ci sono stati
problemi.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come faceva a
fare gli investimenti nelle lottizzazioni, nelle costruzioni?
Lei ha spiegato, quando è stato interrogato dai magistrati, di
aver investito parte del suo denaro in costruzioni, vero?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. A chi erano intestate le sue quote? Come
faceva a fidarsi degli intestatari?
  GASPARE MUTOLO. Purtroppo su questi discorsi non ci sono
documenti e nessuno può mai provare nulla perché mai si era
verificato all'interno di Cosa nostra che persone si potessero
approfittare di altri mafiosi; questa è una novità che ha
avuto inizio a partire dal 1980. Tutte le società che si
facevano (la cosa non riguarda solo me ma anche Saro
Riccobono, Micalizzi, Inzerillo)... c'erano persone che
potevano costituire le società per azioni, e le facevano, ma
la cosa più semplice e più normale poteva essere che, per
esempio, io conoscevo lei che fabbricava nella mia borgata
dove si doveva costruire un palazzo. Inizialmente si sapeva la
spesa perché si sa, più o meno,
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quanto un palazzo viene a costare e, man mano che
occorrevano, i soldi venivano messi nella quota. Dopo mi sono
trovato di fronte al fatto che Saro Riccobono è morto e mi
hanno chiesto i documenti non per prendere tempo ma, più che
altro, perché questi signori volevano che io scendessi a
Palermo a discutere. Avevo una società con i costruttori
Caravella, altro terreno sulla montagna Raffo, altro terreno
sulla discesa di Valdese in zona Regina Margherita, qualche
piccola cosa l'ho racimolata perché qualche persona si
preoccupava di quando sarei uscito, mentre qualche altra ha
detto di no, rinviando i conti a quando sarei uscito. C'era un
tacito accordo perché pensavano che, essendo io senza soldi,
fossi più portato a vedermi con queste persone a Palermo e ...
  PRESIDENTE. E quindi l'avrebbero fatta fuori?
  GASPARE MUTOLO. E' logico, questa è stata la mia...
  PRESIDENTE. Il suo timore?
  GASPARE MUTOLO. La mia maturazione, perché questi
discorsi li ho avuti a Palermo con vari personaggi che non
hanno bisogno di approfittarsi del mezzo miliardo o del
miliardo di un'altra persona; per esempio, questi discorsi li
ho avuti con Pippo Calò, con un certo Pino Leggio, con Mariano
Agate, con un certo Savoca, con Pippo Gambino, Giovanni Pilo.
Abbiamo discusso ma tutte le volte dicevano: quando esci stai
tranquillo perché quello che ti tocca è conservato.
Rispondevo: è vero, è conservato ma non è meglio che li tenga
io? Un giorno siamo arrivati alle grosse con Pino Savoca
perché gli chiedevo altri soldi di una partita di droga che
lui doveva dare quando c'è stata quella sparatina in via La
Marmora dove c'era un mio fratello con un certo Palestini che
gli dovevano pagare quattro chili e mezzo di eroina. Riccobono
è morto, quello è morto, mio fratello se ne andò con Palestini
e io questi soldi non li ho visti più. Dopo anzi consigliai a
mio fratello, che era venuto a trovarmi a colloquio, di non
chiedere soldi a nessuno, di non andare in nessun posto se non
glielo avessi detto io. Questo per vedere qual era
l'orientamento. Infatti, dopo mio fratello mi ha detto che
erano scomparse persone, che altre persone lo avevano
incaricato di dirmi che per me era tutto a posto, però io non
ho toccato il discorso dei soldi, anche perché non è che
avessi tanto bisogno.
   Dopo a Palermo, trovandomi a parlare di questi argomenti,
gli ho detto che mi doveva dare questi soldi e lui mi
rispondeva: io ti posso mettere la firma che quando esci ti do
questi soldi. Io gli ho detto: io ti posso mettere la firma
col sangue che a me corde al collo non me ne mettete. A me mi
dovete sparare e sapete che io sparo pure. Io, prima di
comprarmi le scarpe, mi compro le armi, quindi ci possiamo
sparare.
  PRESIDENTE. Lei voleva dire: non mi attirerete mai in un
agguato.
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Infatti, subito un certo
Savoca andò all'ospedale di Palermo, si fece ricoverare, e
rientrò Gambino Giuseppe - facendo finta di non sapere niente
- per vedere che cosa io avevo da lamentarmi. Io gli ho detto:
a me dispiace ed a volte mi arrabbio per questi motivi, però
non capisco perché mi dicono che quando uscirò mi daranno i
soldi. Mi disse: calma, che cosa ti occorre? Risposi: a me
niente. Se avessi chiesto una macchina, al limite andavano da
un concessionario e me la davano, non era certo un problema,
però il discorso era che non mi davano i soldi perché
pensavano: uscendo, questo viene a recuperare i soldi e per
discutere. Io ho preferito rinunciare a tutto.
  PRESIDENTE. Dopo la famosa sentenza della Cassazione la
credibilità di Lima diminuisce presso di voi?
  GASPARE MUTOLO. Non è che diminuisce soltanto la
credibilità di Lima. In me, che non ne capisco niente ma che
ho sentito quello che ho sentito dire, nasce
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una rabbia contro questi personaggi politici che si
interessavano per questo processo, che ci avevano presi in
giro, che ci avevano illusi per tanto tempo. Una cosa diversa
è dire "non si può fare niente perché i tempi sono quelli che
sono".
   Io non avevo una responsabilità verso gli altri per aver
detto "state tranquilli". C'è stato solo un momento nel quale
mi volevo interessare di questo processo, prima che si facesse
il primo grado. Volevo intercedere - lo mandai a dire a
Salvatore Riina - perché ne avevo la possibilità tramite un
pubblico ministero - però mi hanno mandato a dire: no, tu
fatti "u carceratieddu" che ci pensiamo noi da fuori.
  PRESIDENTE. Chi era questo pubblico ministero?
  GASPARE MUTOLO. Quello che è morto, il giudice
Signorino. Purtroppo era ... dopo non è che io mi sono assunto
altre responsabilità.
  PRESIDENTE. Le avevano detto: fatti i fatti tuoi.
  GASPARE MUTOLO. No, non "fatti i fatti tuoi", però la
rabbia era in me... avevo qualche cosa contro questa DC e
quelle persone che avevano detto che si sarebbero interessate
e dopo, per motivi ics, non avevano potuto far niente.
  PRESIDENTE. Lei ha mai conosciuto l'imprenditore
Farinella?
  GASPARE MUTOLO. Non mi ricordo. Me l'ha chiesto anche
qualche giudice, ma so soltanto che è una personalità molto
vicina al Greco. Non ho un ricordo visivo, è un nome che
conosco, molto noto, molto tranquillo.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di rapporti di Cosa
nostra con i cavalieri del lavoro di Catania e, se sì, con
quali?
  GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare da Condorelli, da
Santapaola, da Calderone Giuseppe.
  PRESIDENTE. Di quali?
  GASPARE MUTOLO. Quello con cui sentivo che c'erano
contatti era Carmelo Costanzo.
  PRESIDENTE. Con gli altri?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so, non sono di Catania. Prima di
fare loro quelle tre torri allo stadio, ho portato un
messaggio a Santapaola per far dire a Carmelo Costanzo che le
escavatrici le voleva mettere Saro Riccobono.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di manovre sugli
appalti del comune, della regione?
  GASPARE MUTOLO. "Appalti" cosa significa? Fare palazzi?
  PRESIDENTE. No, lavori pubblici: strade, ponti, scuole.
  GASPARE MUTOLO. Guardi...
  PRESIDENTE. Di queste cose no? Lei nella sua zona,
questa roba...
  GASPARE MUTOLO. Una volta sono stata interessato e mi
hanno trovato anche il numero di telefono di Lodigiani che
stava costruendo l'autostrada. Si pagava, pagano tutti, ma per
come vengono suddivisi questi appalti...
  PRESIDENTE. Non sa.
   Il sistema delle estorsioni, invece, lo conosce?
  GASPARE MUTOLO. Le estorsioni sono una cosa che va
benissimo a Palermo. Le persone sono molto educate nel pagare,
nel non fare storie.
  PRESIDENTE. Le avete educate voi, non è che si sono
educate da sole!
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  GASPARE MUTOLO. Intendo dire "educate" non perché... hanno
quella mentalità per stare tranquilli. Pagano quasi tutti.
Quando sento dire di qualche industriale, di qualche
imprenditore che non paga, mi stranizzo, capisco però che è
giusto che dicano di non pagare. Si dovrebbe studiare il modo
per coinvolgere un industriale e dare indicazioni e non
tentare soltanto di fare il processo; cioè il modo per rompere
questo fenomeno.
   Il discorso delle estorsioni più che altro è un prestigio.
Vent'anni fa potevano servire quei venti, trenta milioni che
entravano per ogni borgata mentre oggi è ormai una questione
di prestigio perché con le estorsioni si entra in un circuito
di persone con le quali si può entrare in contatto solo se
hanno delle botteghe. Se lei è una persona perbene e non ha
nessun esercizio, io non ho nessun motivo per disturbarla; se
invece ha una bottega o una fabbrica, questo è un motivo per
entrare in contatto con lei. Dopo che l'ho conosciuta come
persona, può avvenire, a livello in cui è lei, che può farmi
qualche favore. Io lo faccio a lei e lei lo fa a me.
Altrimenti, si romperebbe questo rapporto che è molto
importante.
  PRESIDENTE. Come sono stabilite le quote delle
estorsioni? In base a cosa stabilite che Tizio paghi una cifra
e Caio un'altra?
  GASPARE MUTOLO. Non c'è una quota fissa per le
estorsioni. C'è il costruttore, il capofamiglia, i componenti
della famiglia: oltre la quota che paga il costruttore, si può
intercedere con l'amico che mette le porte, quello che mette
le mattonelle e quello che mette la calce. E' un discorso
molto complesso.
   Per esempio, quella di Francesco Madonìa era l'unica zona
in cui sapevo che c'era la quota fissa di un milione e mezzo
ad appartamento. A volte lui voleva entrare in società per
alcuni palazzi. Logicamente, se io dico ad un costruttore che
voglio entrare in società per un palazzo che viene costruito
nella mia zona, non è che mi dice di no. Magari non mi farà
mettere il 50 per cento, ma solo il 20 o il 30, ma non mi fa
la scortesia di dirmi di no perché sa che io posso sempre
dirgli: tu qui non costruisci e te ne puoi andare perché
costruisco io.
  PRESIDENTE. Può dire alla Commissione quello che sa
sull'omicidio di Libero Grassi?
  GASPARE MUTOLO. Posso dire che l'ho commentato con un
certo Galatolo; questo omicidio è successo in un momento in
cui a Palermo cominciavano ad essere applicati i
decreti-legge, e c'era quindi un momento di confusione. Mi
sono trovato a commentare questo omicidio direttamente con
Galatolo a Pisa; Madonìa Francesco, in quel periodo, si
trovava ricoverato a Pisa (era guardato a vista e non gli
potevamo mandare neanche un saluto), dove c'è un normale
reparto d'infermeria ed uno più piccolo con circa 10-12 celle
speciali. Fra le varie chiacchiere con il Galatolo ci
domandammo perché non avessero aspettato: quale motivo c'era?
Anche lui era meravigliato perché non pensavamo che nascesse
questa baraonda, poiché in passato, quando si è ucciso un
industriale...
  PRESIDENTE. Finiva lì!
  GASPARE MUTOLO. Non vi era stata una presa di posizione,
manifestazioni, comizi; trattandosi di un industriale, se non
c'è l'ordine della commissione, io, o il capofamiglia, non
posso... Perché per alcuni personaggi ci sono ordini ben
precisi, e se ne deve interessare la commissione o questa deve
saperlo.
  PRESIDENTE. Il movimento antiracket, contro le
estorsioni, presente in alcune zone della Sicilia ed anche in
altri luoghi d'Italia, vi dà fastidio o vi è indifferente?
  GASPARE MUTOLO. Tutte le manifestazioni che una persona
o un movimento possono fare danno fastidio, ma è limitato,
perché in fin dei conti queste organizzazioni antiracket,
anche se fanno
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tante manifestazioni e poi costituiscono un'associazione, non
danno fastidio, se poi le persone vengono tutte assolte. Il
fastidio lo danno...
  PRESIDENTE. Quando le persone sono condannate!
  GASPARE MUTOLO. Il fastidio lo danno se coinvolgono il
presidente e, quindi, si potrebbe arrivare ad una condanna,
perché ci potrebbe essere un'influenza sulla corte. Le
manifestazioni non interessano...
  PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede di sapere come
avvenga, in caso di estorsione, la ripartizione delle quote
delle singole famiglie.
  GASPARE MUTOLO. Se per esempio lei viene a costruire un
palazzo nel mio territorio ci mettiamo d'accordo; le altre
famiglie non c'entrano niente.
  ALFREDO BIONDI. Ma la famiglia ripartisce il frutto
dell'estorsione o lo tiene per sé?
  GASPARE MUTOLO. No, è ripartito tra tutta la famiglia;
certamente se io, come capofamiglia, prendo 100 milioni, e
siamo dieci persone a dividere, posso dare sette milioni a
testa; a me spettano sette milioni, più altri trenta perché,
essendo capofamiglia, ho delle spese.
  ALFREDO BIONDI. Non dipende dall'iniziativa privata del
singolo?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Anzi, il signor Mutolo ha spiegato che con i
sequestri di persona la ripartizione dei fondi era disuguale,
perché i corleonesi prendevano una quota maggiore. E' così?
  GASPARE MUTOLO. Non è proprio così, il discorso è che ci
fu un periodo in cui ci siamo spostati dalla Sicilia; almeno
per quanto mi riguarda, mi sono spostato in Lombardia, dove ho
compiuto due sequestri. Il ricavato non si divideva solo tra
chi partecipava al sequestro di persona ma si pensava anche
alle famiglie che non partecipavano. Si ripartiva in quote
uguali, anche perché in quel periodo si voleva portare avanti
in Sicilia il discorso di non fare sequestri. Quindi Gaetano
Badalamenti voleva controllare di persona anche i sequestri
fuori della Sicilia. Però per i sequestri che abbiamo fatto
noi abbiamo diviso il ricavato, mentre quelli che ha fatto
Luciano Liggio se li dividevano fra loro stretti stretti. Solo
in un caso abbiamo visto un regalino, perché ci fu il discorso
che poteva uscire fuori. Allora Pippo Calò mandò ad ogni
famiglia cinque milioni...
  PRESIDENTE. Una miseria!
  GASPARE MUTOLO. Come regalo.
  PRESIDENTE. Quando nell'ottobre del 1990 ci fu la
scarcerazione dei boss disposta dal giudice Carnevale, quale
fu la vostra valutazione?
  GASPARE MUTOLO. Scusi, quale...?
  PRESIDENTE. Quando ci fu la scarcerazione dei boss e poi
fu emanato un decreto-legge per rimetterli tutti dentro.
  GASPARE MUTOLO. Che io ricordi si usciva piano piano
(quelli che sono usciti erano pochissimi), perché era una
preoccupazione probabilmente degli avvocati, i quali ci
dicevano di non avere fretta, poiché se avessimo presentato
venti istanze quelli si sarebbero allarmati; bisogna
presentarne una alla volta: esce uno, poi un altro. Quando
quelle persone uscirono e due giorni dopo furono arrestate,
l'impressione è stata negativa. I ministri Scotti e Martelli
fecero il gioco delle tre carte: segretamente fecero revocare
quelle norme; però è stata un'impressione negativa, non
l'hanno assorbita bene.
  PRESIDENTE. Lei conosce quale fu la posizione
dell'onorevole Lima in quell'occasione?
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  GASPARE MUTOLO. La posizione di quelle persone che fino
all'ultimo continuavano (non so quello che è successo di
preciso a Roma)...
   Fino a quando il giudice Carnevale non ha lasciato la
sezione, era pacifico...
  PRESIDENTE. Perché poi comunque se ne sarebbe occupato
lui?
  GASPARE MUTOLO. Era pacifico che le cose comunque
andavano bene; si vede che le cose hanno preso una piega
negativa, ma non so quali siano i motivi.
  PRESIDENTE. Da quello che ho capito, confidavate molto
nel dottor Carnevale?
  GASPARE MUTOLO. Moltissimo.
  PRESIDENTE. Vi siete mai chiesti per quale motivo il
dottor Carnevale arrivava a sentenze che vi aprivano il cuore
alla fiducia?
  GASPARE MUTOLO. Per noi era una persona
intelligentissima, alla quale andava tutta la nostra
ammirazione; c'era anche qualche movimento di avvocato che
consigliava gli altri sulla linea da adottare. In noi
prevaleva principalmente l'idea che egli fosse una persona
molto intelligente, scaltra e furba, in cui un avvocato - non
l'onorevole Biondi, un altro! - amico del giudice Carnevale
poteva ascoltare, "assorbire" chiarimenti sul processo.
  PRESIDENTE. Gli interventi di Lima e di Salvo sul dottor
Carnevale si rivolgevano sempre tramite i loro collegamenti
romani?
  GASPARE MUTOLO. Non posso dire se dopo finivano
direttamente da questo Carnevale, e chi ci andava; però ci
arrivavano in una maniera pacifica, e chi ci arrivava io non
lo so. Era un discorso tranquillo e pacifico; Carnevale per
noi in Cassazione era una marca ed una garanzia.
  PRESIDENTE. Senta, passiamo a un altro tema. Altri
collaboratori ci hanno parlato dei rapporti tra uomini di Cosa
nostra e la massoneria. Lei, nella prima parte dell'audizione,
ha fatto un accenno a questa vicenda. Riina è massone, che lei
sappia?
  GASPARE MUTOLO. Io non lo so. Però noi guardiamo a
quest'associazione massonica come ad una struttura molto
importante per i posti chiave che occupa nelle varie città
d'Italia. Ci fu un periodo in cui si guardava ad essa con una
certa rivalità e con una sorta di invidia, ma, con il passare
degli anni, si è scoperto che in fondo in fondo i massoni non
sono cattivi e quindi si può avere un dialogo molto socievole
con loro. Mi ricordo che tra i massoni molti importanti che io
avevo sentito nominare vi era l'avvocato Paolo Seminara.
   In occasione del discorso del giudice Urso, mi sono
trovato a mangiare all'hotel Palace a Baldesi con un certo
Glorioso (anche se questa persona non era mafiosa, noi
sapevamo che apparteneva alla stella di Agrigento e che aveva
amici là) che ci disse che era una persona molto disponibile;
dopo ce lo raccomandò anche Tommaso Spataro, dicendo: "Questo
è uno di quelli che, se domani gli facciamo un favore,
rispettando il giudice Urso, non se lo dimentica". Sono questi
i favori che intervengono tra la mafia e alcuni personaggi
della massoneria.
  PRESIDENTE. Alcuni mafiosi, uomini d'onore, sono anche
massoni?
  GASPARE MUTOLO. Di preciso non lo so, ma il discorso non
mi stranisce perché negli ultimi tempi questo discorso dei
massoni interessava all'ambiente mafioso, in quanto tutti i
punti chiave, sia commercialmente sia nelle istituzioni, si sa
che sono occupati per la maggior parte da massoni. Per noi
l'ordine era che un mafioso non si può aggregare ad altre
associazioni ma sapevamo che molti erano vicinissimi. Non so
se fossero massoni o no. Ad esempio, c'era il cognato di
Stefano Bontate, un certo Vitale, che
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aveva delle conoscenze, e il fratello di Michele Greco, oltre
ad essere mafioso, era introdotto nell'ambiente della
massoneria e della politica. Questo era un discorso pacifico.
Però non posso dire con certezza che personaggi mafiosi... A
me non consta. Ma che in un modo o in un altro siano rapporti
abbastanza amichevoli...
  PRESIDENTE. I massoni sono stati utilizzati, ad esempio,
per aggiustare i processi, qualche volta, che lei sappia?
  GASPARE MUTOLO. Certo, se un giudice è massone, con
facilità ci va a parlare un altro massone.
  PRESIDENTE. Quindi, voi vi informate se quel giudice è
massone?
  GASPARE MUTOLO. Si fa un'investigazione. Guardi, una
volta abbiamo scoperto un omicidio di un certo Tonino Di
Natale, un uomo d'onore della famiglia della Noce. Questo
venne inspiegabilmente ucciso. Di rimpetto alla Favorita c'è
un deposito della Vaselli dove i capizona prendevano i
sacchettini e davano delle disposizioni e vi fu un periodo che
questi capizona della Vaselli erano a Palermo tutti mafiosi.
Inspiegabilmente viene ucciso questo Tonino Di Natale;
arrestano uno ma noi, conoscendo questa persona che era stata
imputata, facciamo un'investigazione e scopriamo chi aveva
ucciso ed il motivo dell'uccisione (il Di Natale gli aveva
insidiato la moglie, anche se bisogna dire che alla moglie
piaceva, perché era un bel giovane) ed allora abbiamo fatto
opera di convincimento verso il presidente per far sapere che
la persona era innocente. Non è che gli abbiamo detto che
quello era colpevole ma a quello che aveva ucciso gli abbiamo
detto che non avrebbe dovuto permettersi più di uccidere e
che, se gli fosse successo qualcosa del genere, avrebbe dovuto
farcelo sapere e ci avremmo pensato noi.
  PRESIDENTE. Fu assolta quella persona, quello che era
imputato?
  GASPARE MUTOLO. Logico!
  PRESIDENTE. Logico? Giusto, perché non c'entrava!
  GASPARE MUTOLO. Era innocente!
  PRESIDENTE. Pino Mandalari è un uomo d'onore?
  GASPARE MUTOLO. No, non lo conosco personalmente.
  PRESIDENTE. Non lo sa. Sa se appartiene alla massoneria?
  GASPARE MUTOLO. So che è un commercialista, ma non so se
sia o no un massone.
  PRESIDENTE. Su Riina poi non mi ha risposto. La domanda
era se Riina, per quello che lei può sapere, sia aderente
anche alla massoneria.
  GASPARE MUTOLO. Posso dirle, lo ripeto, che tra i
massoni e alcuni mafiosi c'era un rapporto molto cordiale ma
se vi sia stata questa affiliazione non lo so. Se è avvenuta,
si è trattato di una cosa molto segreta. Non posso dirlo. E'
probabile che qualche persona importante entri in massoneria,
perché il mafioso può sapere del massone, mentre il massone
non può sapere del mafioso. Possono essere autorizzate due o
tre persone per avere strade aperte ad un certo livello.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare dell'arrivo di
Sindona in Sicilia nel 1979?
  GASPARE MUTOLO. Sì, ne ho sentito parlare.
  PRESIDENTE. Che cosa ha sentito dire?
  GASPARE MUTOLO. Che aveva dei grattacapi sia in Italia
sia in America avendo fatto una bancarotta. Non so di preciso
né so delle persone coinvolte. In quel periodo ero in galera e
quindi ho
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sentito le cose in una maniera... perché mi interessava e non
mi interessava, mi interessava come personaggio.
   Sindona viene a Palermo e viene appoggiato da Salvatore
Inzerillo, perché viene accompagnato da un certo John Gambino.
In galera ho avuto modo di conoscere un certo Miceli Crimi,
essendo in quel periodo alla nona con lui, passeggiavamo
assieme, e mi ricordo un elemento specifico, cioè che questo
si fece trovare in una perquisizione degli appunti con i quali
mandava dei messaggi fuori ai suoi affiliati.
  PRESIDENTE. In che periodo questo?
  GASPARE MUTOLO. Il periodo preciso non me lo ricordo.
Credo sia nel 1978, 1979. Il periodo preciso non lo ricordo.
Io ero alla nona sezione con questo Miceli Crimi, che mi aveva
detto di essere un chirurgo. Commentavamo ridendo con altri
mafiosi, perché c'erano quelli che avevano compiuto l'omicidio
Costa, che nella perquisizione a questo Crimi gli avevano
trovato degli appunti. Quello che si è saputo in giro... Il
motivo specifico non si è saputo, perché questo era
impelagato, aveva fatto operazioni sbagliate e quindi era in
difficoltà con alcuni personaggi.
  PRESIDENTE. Con Sindona?
  GASPARE MUTOLO. Sì. Dopo ci fu il discorso del fratello
di Spatola, che fu arrestato a Roma con quella lista...
  PRESIDENTE. Per quale motivo Sindona venne proprio in
Sicilia?
  GASPARE MUTOLO. Innanzitutto perché era siciliano.
  PRESIDENTE. Era un uomo d'onore Sindona?
  GASPARE MUTOLO. No. So che era uno dei massoni più
quotati, era un cervellone nel campo finanziario.
  PRESIDENTE. Ha mai saputo perché Sindona interruppe
improvvisamente...
  GASPARE MUTOLO. Dopo che manda questa lista di 500 nomi
con il fratello di Rosario Spatola le cose diventano per lui
ingarbugliate; entravano personaggi politici, che chiedeva
soldi ad un sacco di politici e quindi questa figura si è
messa a scottare. Hanno fatto finta che l'avevano rapito, che
si era ferito e poi se ne era andato in America con la
speranza che credessero alla versione del rapimento.
  PRESIDENTE. E' stata la stessa Cosa nostra a mandare
indietro Sindona per timore che la sua presenza lì potesse
diventare motivo di fastidio?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so di preciso, ma so che comunque
i mafiosi non hanno mai rifiutato ospitalità a nessuno: tenere
un latitante in più od in meno non faceva differenza. Poteva
interessare ai mafiosi se Sindona, attraverso altre persone,
dovesse dare soldi ai siciliani ed era un motivo per dirgli di
andare a cercare i soldi e di riportarli...
  PRESIDENTE. Aveva sentito dire che Sindona aveva
utilizzato soldi di siciliani senza restituirli?
  GASPARE MUTOLO. Ho sentito dire, quando ci fu il
discorso di Calvi, che con Flavio Carboni c'erano i siciliani
che avevano investito diversi miliardi in Sardegna, che
avevano comprato terreni in cui erano implicati gli Spataro,
Riina... Però di preciso...
  PRESIDENTE. Vi era un giro di affari, insomma.
  GASPARE MUTOLO. Vi era un giro di affari di diversi
miliardi, acquisto di terreni, però cose più precise...
  PRESIDENTE. Non ho capito se Cosa nostra chiedeva a
Sindona di darsi da fare perché Cosa nostra rientrasse in
possesso di questo denaro.
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  GASPARE MUTOLO. Logico. La giustificazione della lista che
lui fa e chiede ad alcuni politici 500 milioni a persona,
anche se non è uscito sui giornali, è che in quella famosa
lista vi erano personaggi dai quali Sindona voleva soldi.
  PRESIDENTE. Per darli a voi?
  GASPARE MUTOLO. A me no ma certamente a qualche
importante personaggio siciliano e l'unico che ruotava su Roma
era Pippo Calò.
  PRESIDENTE. Perché poi se ne torna indietro?
  GASPARE MUTOLO. Perché quando manda questa lettera viene
preso, non so se perché quello che la portò chiamò la polizia.
  PRESIDENTE. Era Inzerillo, vero?
  GASPARE MUTOLO. No, Spatola. Il discorso quindi si
ingarbugliò e non era più un discorso dove potevano entrare
tutti questi milioni.
  PRESIDENTE. Mi faccia capire una cosa: Sindona venne in
Sicilia perché Cosa nostra gli disse di farlo al fine di
sistemare queste questioni?
  GASPARE MUTOLO. Non so se glielo disse Cosa nostra
oppure se era un desiderio di Sindona. Certamente, andando in
America e venendo qui con John Gambino, logicamente in America
non era appoggiato all'hotel Palace ma era appoggiato da
personaggi della malavita americana; se è venuto in Sicilia e
appoggiò in altro territorio con mafiosi...
  PRESIDENTE. Ed anche massoni?
  GASPARE MUTOLO. Logico, massoni e mafiosi, ma
principalmente ai mafiosi interessavano i soldi. Quando parlai
con Rosario Spatola - non quello che collabora, l'altro -
disse che in quella lista c'erano politici che dovevano
"uscire" ognuno mezzo miliardo. Allora erano tanti soldi.
  PRESIDENTE. Anche adesso. C'è un rapporto tra l'omicidio
di Terranova e la presenza di Sindona in Sicilia?
  GASPARE MUTOLO. Che io sappia no.
  PRESIDENTE. Si discusse in quel periodo, quando Sindona
era in Sicilia, di un progetto politico di Sindona di separare
la Sicilia con un tentativo di colpo di Stato separatista?
  GASPARE MUTOLO. Il colpo di Stato del quale avevo
sentito parlare era molto più serio, era successo nel periodo
1969-70.
  PRESIDENTE. Quello Borghese?
  GASPARE MUTOLO. Quello Borghese. Addirittura so che i
mafiosi non hanno acconsentito perché volevano che si desse
una lista di tutti quelli che partecipavano; è un discorso
pacifico, da noi si commentava che era una trappola della
polizia e dei carabinieri per conoscere tutti gli affiliati di
Cosa nostra. A Napoli addirittura mi dicono che avevano
magazzini di armi. Dopo ho sentito parlare sempre che vi erano
negli anni dopo Sindona... C'è un partito, se non ricordo
male, ma sono cose che non prendono mai corpo... Fino a quando
c'erano gli americani che ci appoggiavano... perché i
siciliani il colpo di Stato lo volevano fare soltanto se c'era
l'appoggio degli americani.
  PRESIDENTE. In che periodo?
  GASPARE MUTOLO. Prima sentivo parlare spesso di queste
associazioni, però era un discorso che doveva avere il
consenso popolare e non soltanto quello della mafia, sempre
però se c'era il presupposto di appoggiarsi sugli americani.
                        Pag. 1302
  PRESIDENTE. Passiamo ad un altro tema. Sa qualcosa
dell'attentato al dottor Palermo?
  GASPARE MUTOLO. Di preciso non so niente, però circolava
in Cosa nostra che era un attentato fatto da Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Della commissione provinciale o di Palermo?
  GASPARE MUTOLO. I palermitani lo sapevano, ma siccome
era un discorso di Trapani senz'altro ne avrà parlato anche la
commissione. In quel periodo ero in galera, però avevo sentito
che era un omicidio di Cosa nostra e che c'era un certo
dispiacere perché era morta quella donna con i bambini.
  PRESIDENTE. Nelle carceri qual era la condizione degli
uomini di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Buona. Dove si andava, si andava. Se
c'era un periodo in cui si stava male c'era un po' di
prevenzione, però dopo un po' di tempo si riusciva a stare
bene, anche perché per temperamento il mafioso in galera non
litiga e non è sgarbato con la custodia o con il direttore. E'
pacifico e tranquillo.
  PRESIDENTE. Le è capitato di avere in carcere colloqui
con latitanti?
  GASPARE MUTOLO. A Palermo, sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come ciò fosse
possibile?
  GASPARE MUTOLO. Questo periodo lo iniziò Buscetta con il
direttore Di Cesare. Dopo la partenza di Buscetta, io mi sono
trovato...
  PRESIDENTE. Di Cesare era massone?
  GASPARE MUTOLO. Sentivo dire là che era un massone, una
persona importante.
   Sono entrate tante persone. Dopo la partenza di Buscetta,
vengo coinvolto in un processo perché le guardie avevano
scritto una lettera alla procura. Succede insomma una
baraonda, in cui io venni denunciato con i dottori, il
direttore, gli assistenti sociali, con tutti... Era una cosa
molto facile fare i colloqui.
  PRESIDENTE. Ma come avvenivano?
  GASPARE MUTOLO. Prima c'era un autista di questo
direttore Di Cesare, che di tanto in tanto passava nella
sezione dell'infermeria dove noi eravamo. Gli davamo le nostre
richieste, tipo: per tale giorno voglio il colloquio. Parliamo
di colloquio "matricola", senza essere controllati. Le
famiglie si presentavano in portineria; c'era un certo
Buonincontro...
  PRESIDENTE. Chi era questo Buonincontro?
  GASPARE MUTOLO. Era un brigadiere che da tanti anni
stava a Palermo e che conosceva tutti. Dopo la sua morte, ci
fu un certo La Rosa. Io non so se le direttive le dava il
direttore. I sottufficiali sapevano ormai le abitudini di
queste persone che potevano avere il colloquio quando
volevano. Quando una famiglia si presentava dinnanzi alla
portineria, se uno avvisava prima la "matricola", cioè
Buonincontro o La Rosa...
  PRESIDENTE. Uno di voi? Dicevate cioè: guarda che sta
arrivando quella famiglia!
  GASPARE MUTOLO. Questo brigadiere telefonava in
portineria e diceva: guarda che tra dieci minuti arriva la
famiglia...di Tizio. Dall'infermeria noi eravamo in condizione
di vedere le famiglie da due posti: da una finestra che dava
su una strada (anche se era un po' lontana)...
  PRESIDENTE. Avevate un binocolo?
  GASPARE MUTOLO. Là avevamo tutto!
                        Pag. 1303
  PRESIDENTE. Dunque anche un binocolo?
  GASPARE MUTOLO. Guardi, è venuta un'inchiesta da parte
di Roma ed è stato trovato un magazzino in cui c'era tutto
quello che lei può immaginare: soldi, whisky, champagne...
Avevamo un magazzino del quale, guarda caso, io avevo
dimenticato la chiave in tasca. Ho passato anche coltelli...
  ALFREDO BIONDI. C'era anche della droga?
  GASPARE MUTOLO. La droga era l'unica cosa che noi non
consumavamo.
  PRESIDENTE. Nel magazzino potevate andarci solamente
voi? Era un vostro magazzino?
  GASPARE MUTOLO. Era una cella fatta a magazzino.
  PRESIDENTE. Lì c'era solo roba vostra?
  GASPARE MUTOLO. C'era solo il mangiare nostro.
  PRESIDENTE. Che anno era?
  GASPARE MUTOLO. Era il 1978-79. Dopo hanno fatto
l'inchiesta, ci sono dei processi nati da inchieste del
Ministero.
  PRESIDENTE. Quindi voi guardando con il binocolo...
  GASPARE MUTOLO. Non c'era bisogno del binocolo. Si
parlava e si diceva: vieni di là... Allora uno scendeva giù e
diceva: fammi chiamare in "matricola". A volte andavamo da
soli, a volte ci accompagnava la guardia, altre volte
mandavano una guardia. Quindi il brigadiere o il maresciallo
poteva telefonare in portineria per dire: sta arrivando la
famiglia di Mutolo! Se io non la vedevo e si presentava mia
moglie, per esempio, in portineria, dicendo alla guardia:
debbo fare il colloquio speciale...
  PRESIDENTE. Si chiamava così, "colloquio speciale"?
  GASPARE MUTOLO. Loro sapevano del colloquio. Oppure si
diceva: telefona a Buonincontro e dì che c'è la famiglia
Mutolo. Quello telefonava e diceva: falla entrare.
  PRESIDENTE. I colloqui erano registrati?
  GASPARE MUTOLO. No. Io, dopo, ho avuto delle conseguenze
perché la guardia della portineria scriveva, per esempio,
Bellavia più 5 o Mutolo più 4... Era una cosa abituale, in
quel periodo.
  PRESIDENTE. Tra quei quattro c'erano dei latitanti che
venivano a parlarvi?
  GASPARE MUTOLO. In quel periodo, purtroppo, sono entrati
Saro Riccobono, Badalamenti.
  PRESIDENTE. Entravano con documenti falsi oppure non li
mostravano?
  GASPARE MUTOLO. Penso che nemmeno glieli chiedessero!
  ALTERO MATTEOLI. Anche Michele Greco venne a trovarla?
  GASPARE MUTOLO. Michele Greco non mi è venuto a trovare.
Diverse persone sono venute a trovarmi: Gaetano Badalamenti,
Saro Riccobono che era un latitante importante; sono venuti un
certo Vernengo, un certo Gangi, un certo Scaglione. Non mi
posso ora ricordare tutti quelli che venivano.
  PRESIDENTE. Ma questo accadeva solo nel carcere di
Palermo oppure anche in qualche altro carcere?
  GASPARE MUTOLO. Forse non solo a Palermo c'era questo
andazzo. Fu il periodo in cui arrivò la riforma carceraria e
quindi ci fu una ventata diciamo di libertà nelle carceri.
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  PRESIDENTE. Non è che ne avevate bisogno, visto che già
prima...
  GASPARE MUTOLO. In quel periodo, anche in altre carceri,
grazie alla riforma carceraria, le cose si erano un po'
"allentate".
  PRESIDENTE. Quindi, con la riforma c'era più elasticità?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Ciò è capitato allora anche in qualche altro
carcere?
  GASPARE MUTOLO. Con me no, però so che a Trapani e a
Marsala si entrava lo stesso.
  PRESIDENTE. E nelle carceri non siciliane?
  GASPARE MUTOLO. So che in quel periodo a Procida c'era
pure un carcere molto "aperto".
  PRESIDENTE. Per pranzo mangiavate quello che veniva da
fuori oppure ciò che vi dava l'amministrazione?
  GASPARE MUTOLO. Di solito mangiavamo tutto quello che
veniva da fuori.
  PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato che per quanto riguarda
polizia, carabinieri e via dicendo, c'era l'intimidazione o la
familiarità, quest'ultima soprattutto con i carabinieri che
venivano lì...
  GASPARE MUTOLO. Non è che davamo molta importanza ai
carabinieri, perché era un fatto scontato che il carabiniere
non desse fastidio.
  PRESIDENTE. Come si manifestavano le connivenze nei
confronti del personale carcerario? Voi davate dei soldi, dei
regali?
  GASPARE MUTOLO. Deve pensare che le guardie carcerarie
sono forse le persone che stanno più a contatto con i
detenuti. E' un rapporto, dunque, che si crea e dopo mesi e
mesi, anni ed anni, questo rapporto , questa convivenza
purtroppo avviene. E' difficile trovare una guardia carceraria
che non sia brava e che non si presti a qualche favore. Ora
forse no, perché...
  PRESIDENTE. Certo, ora è più complicato.
  GASPARE MUTOLO. Parlo di quel periodo, quando le guardie
erano in balìa dei detenuti che comandavano più di loro.
  PRESIDENTE. Lei è stato anche nel manicomio di
Barcellona Pozzo di Gotto, vero?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Avevate trattamenti di favore anche lì?
  GASPARE MUTOLO. Sì, anzi là si stava ancora meglio di
Palermo; ci andavamo proprio per questo!
  PRESIDENTE. Stesso tipo di trattamento, bevande, viveri,
entrate, uscite?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Anche le uscite o solo le entrate?
  GASPARE MUTOLO. No, solo le entrate.
  PRESIDENTE. Come arrivò la notizia che Ferlito doveva
essere trasferito da Enna a Trapani nel maggio 1982?
  GASPARE MUTOLO. Non le so parlare di questo.
  PRESIDENTE. Glielo chiedo perché vi dovettero informare
anche dell'ora.
  GASPARE MUTOLO. Come ho detto, di questo discorso non ne
so nulla...
                        Pag. 1305
  PRESIDENTE. Lei poi non entra in questa storia.
  GASPARE MUTOLO. ... però allora non era difficile... Ho
letto quello che si dice che cioè qualcuno abbia avvisato ma
in quel periodo era normale sapere in anticipo quando un
detenuto doveva partire. Era un fatto pacifico. Io andavo in
matricola, mi rivolgevo a quello che la comandava e gli
domandavo: "Quando parte Tizio? Tizio è in partenza? Vedi se
puoi fare andare Tizio in quel carcere". Questo era facile
farlo.
  PRESIDENTE. Era facile anche lo spostamento di cella?
  GASPARE MUTOLO. Lo spostamento di cella era una cosa
insignificante.
  PRESIDENTE. Non credo tanto insignificante; a voi non
serviva?
  GASPARE MUTOLO. Parlare di celle è un modo di dire
perché c'era un corridoio su cui si affacciavano a destra e a
sinistra le celle; per entrare nel corridoio c'era un portone
di ferro, al quale si arrivava dall'androne con un ascensore.
Le celle che davano sul corridoio erano tutte aperte e le
chiudevamo solo la sera quando andavamo a dormire.
  PRESIDENTE. Erano sempre aperte le celle?
  GASPARE MUTOLO. Sì.
  PRESIDENTE. Ho capito, era un anticipo di riforma.
  GASPARE MUTOLO. Quella era un'infermeria e c'era chi
soffriva di cuore, chi d'asma, chi di ernia. C'erano delle
persone ammalate.
  PRESIDENTE. Non credo che fossero tutti ammalati.
  GASPARE MUTOLO. Apparentemente eravamo tutti ammalati,
anche se là si giocava a pallone.
  PRESIDENTE. Ho capito, era per la terapia.
  GASPARE MUTOLO. Avevamo tutti la cartella clinica,
quindi eravamo tutti ammalati.
  PRESIDENTE. Chi faceva i certificati? I medici del
carcere o medici esterni vostri amici?
  GASPARE MUTOLO. C'era il professor Salmeri che è stato
licenziato in tronco, poverino!
  PRESIDENTE. Poverino non direi!
  GASPARE MUTOLO. Poi c'erano le relazioni di qualche
dottore...
  PRESIDENTE. Esterno?
  GASPARE MUTOLO. ...poi venivano i vari specialisti e
rafforzavano...
  PRESIDENTE. Anche questi erano amici vostri?
  GASPARE MUTOLO. Qualcuno sì perché nel tempo si
diventava anche amici. Là si conviveva: chi ci portava il
caffè e chi i biscotti.
  PRESIDENTE. Chi vi suggerì di prendere come proprio
consulente il professor Ferracuti? Come mai le viene in testa
di prenderlo come consulente?
  GASPARE MUTOLO. Oltre che in quello di Barcellona Pozzo
di Gotto sono stato nel manicomio criminale di Aversa, dove mi
trovavo quale indiziato per la strage di Ferlito; in più,
avevo un mandato di cattura per droga. Poiché sapevo che
grazie alle perizie vi sono dei tetti, cioè che con dodici
anni di condanna ve ne sono due prosciolti, con venticinque
anni cinque, mentre con l'ergastolo c'è il massimo di dieci
anni di proscioglimento... poi si sa che la metà del reato...
  PRESIDENTE. Perché si avvalse di Ferracuti?
                        Pag. 1306
  GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare come uno dei periti
più forti dopo Semerari.
  PRESIDENTE. Semerari era molto quotato ad Aversa?
  GASPARE MUTOLO. Sì, però in quel periodo Semerari è
morto...
  PRESIDENTE. E' morto non volontariamente.
  GASPARE MUTOLO. ...perché gli avevano tagliato la testa.
L'unico che poteva avere quelle amicizie e quel supporto sugli
altri giudici poteva essere Ferracuti.
  PRESIDENTE. Ferracuti fu scelto non solo per la sua
bravura ma anche per la sua capacità di avere rapporti con
altri magistrati?
  GASPARE MUTOLO. I periti li scegliamo per la loro
capacità... e non...
  PRESIDENTE. Quale capacità?
  GASPARE MUTOLO. Non è che ero ammalato. Se sono ammalato
ho un buon medico che mi deve curare; il perito c'era perché
dovevano venire altri tre periti per dire: questo è
schizofrenico, questo è ammalato.
  PRESIDENTE. Voi sceglievate i periti non sulla base
della capacità professionale di medici ma su quella di avere
rapporti con la magistratura?
  GASPARE MUTOLO. I periti di fama potevano coinvolgere i
periti d'ufficio mandati dal magistrato. Se è un grosso
professore può facilmente dire che il detenuto è malato.
  PRESIDENTE. La simulazione della pazzia era contraria ai
principi di Cosa nostra o no?
  GASPARE MUTOLO. Ah, la pazzia! Se uno deve prendere
trenta o venti anni di galera e c'è un modo per prenderne solo
otto o cinque...
  PRESIDENTE. Le avevano detto che Ferracuti era iscritto
alla massoneria, alla P2?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Chi le aveva detto che Ferracuti era uno che
aveva questi rapporti per cui era facile far passare le sue
perizie?
  GASPARE MUTOLO. Sapevo che Semerari era quello a cui a
Roma si rivolgevano tutti gli psichiatri, tutti quelli che
dovevano essere promossi (anche nei medici c'è una certa
scala), quelli che dovevano fare un corso per il quale era
molto importante il parere di Semerari. Le sue perizie erano
indiscusse tanto che ricordo che Martinazzoli, allora ministro
di grazia e giustizia, le annullò tutte e ne fece fare di
nuove. Ci fu un discorso del genere perché là si prendevano i
periti a seconda della gravità del reato e non perché uno era
ammalato, in quanto l'ammalato non aveva certo bisogno del
perito di parte.
  PRESIDENTE. Durante il regime di semilibertà ha avuto
permessi di otto giorni; era normale?
  GASPARE MUTOLO. Per me era normale perché scendevo a
Palermo per motivi di lavoro.
  PRESIDENTE. Questo era comodo e non normale, sono due
concetti diversi.
  GASPARE MUTOLO. Ora le potrei dire che era comodo ma,
per come andavano le cose, devo dire che era normale perché
non c'è stato un interessamento.
  PRESIDENTE. Ho capito, è andata liscia.
  GASPARE MUTOLO. Era soltanto per motivi di lavoro.
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  PRESIDENTE. Quali erano le dimensioni del traffico di
stupefacenti di cui lei si occupava?
  GASPARE MUTOLO. Cominciai con un traffico di poco conto,
di tre, quattro o cinque chili, poi ho fatto il traffico più
importante che Cosa nostra abbia mai fatto e la previsione era
quella di prendere la morfina base in Thailandia e farla
raffinare durante il suo trasporto in mare.
  PRESIDENTE. E' andato in porto questo progetto?
  GASPARE MUTOLO. Sì, per due volte; la terza volta è
andata male.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione quanto si
guadagna investendo soldi in questi affari?
  GASPARE MUTOLO. Ci possono essere diversi traffici di
droga. Per esempio, quando compravo qui la droga a due, tre o
cinque chili portata dai cinesi, la pagavo 50 milioni, mentre
sulla piazza di Roma era 100-110 milioni. Parlo della droga
thailandese, quella bianca, venduta a chilo o a mezzo chilo.
Siccome non ero tanto pratico e non avevo tempo, perché
entravo e uscivo dalla semilibertà, trovai un accordo con il
Pino Savoca che me la pagava 5 milioni in più rispetto al
mercato che facevano i palermitani; cioè, io la compravo a 50
milioni, il mercato a Palermo era a 74-75 milioni e loro me la
pagavano a 80. Perché? Siccome si sapeva che per questa droga
gli americani quando la vedevano impazzivano perché era
bellissima, forse la tagliavano in un modo diverso, a me per
un certo periodo mi è stato più facile, senza toccarla...
  PRESIDENTE. Quindi, loro la vendevano agli americani?
  GASPARE MUTOLO. I palermitani.
  PRESIDENTE. I palermitani la vendevano agli americani
questa droga?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Siccome io conoscevo anche
questa strada perché poco tempo prima avevo mandato due chili
della droga che il Koh Bak Kin mi portò a Palermo quando
ancora Inzerillo era vivo, addirittura me la volevano pagare
140 mila dollari, ma noi sapevamo che la piazza era a 160
mila, quindi era più del doppio. Quando ho avuto la
semilibertà ho cercato di dire a Koh Bak Kin: mandami tutta la
droga che vuoi perché io la do tranquillamente; dopo ho
pensato: perché non la devo portare io in America? In
occasione della venuta di John Gambino - e già era aperto
questo discorso della droga - gli ho detto che avevo la
possibilità di avere questa droga e di portarla direttamente
in America. Lui mi ha detto: va bene, però dobbiamo mettere le
cose a posto. Il guadagno della droga qual è? La possibilità
che avevo io era di comprare la droga fatta a 13 mila dollari
il chilo, per carichi di 400-500 chili, e si poteva venderla a
120-130 mila dollari.
  PRESIDENTE. Lei la comprava a 13 mila e la vendeva a 130
mila?
  GASPARE MUTOLO. Tredicimila. Logicamente parlo di
comprarla in questa maniera. Se uno compra 5 chili di droga e
la vuole vendere al minuto - mezzo chilo o un chilo - ai vari
spacciatori e commercianti, della thailandese ne può fare da
un chilo tre chili. Quindi avevamo una piazza su Roma di 110
milioni, quindi un chilo rapportato a tre chili, per 300
milioni, con la spesa di 13 mila dollari.
   Quello che noi addirittura volevamo fare era comprare la
morfina base in Thailandia e con i chimici raffinarla nel
tragitto, anche perché non ci vuole molto a raffinarla. Più
che altro, è un fatto di praticità.
  PRESIDENTE. E la consegnavate negli Stati Uniti?
  GASPARE MUTOLO. Questo era un progetto che non è stato
più portato avanti perché dopo sono successe quelle
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cose... I due carichi che abbiamo fatto sono stati mandati a
John Gambino in America.
  PRESIDENTE. Sono arrivati in America?
  GASPARE MUTOLO. Sì, due volte 400 chili sia ai Gambino
sia ai Cuntrera che se la dividevano, nella prospettiva che
questo traffico dovesse ingrandirsi.
  PRESIDENTE. In questo traffico intervenivano tutte le
famiglie?
  GASPARE MUTOLO. Esatto. In questo traffico sono
intervenute quasi tutte le famiglie. Almeno per quello che so
io, si può dire quasi tutte ad eccezione di qualcuna.
   Ho manifestato l'idea di mandarla direttamente io in
America, però giustamente sia Totò Riina, sia il Savoca, sia
il Gaetano Carollo, sia altre persone come Gambino e Franco De
Carlo, ma soprattutto Salvatore Riina mi fa capire: senti
Gaspare, non è che mandi dieci chili di droga in America... il
lavoro che vuoi fare tu significa rompere completamente la
piazza ai palermitani, e questo non è possibile anche perché
come prodotto è migliore quello thailandese. Quindi aggiunge:
quale problema c'è? Tanto in America si prendono, assorbono
tutta quella che mandiamo; tra il Canada e l'America non ci
sono problemi, per cui organizziamo e facciamo in modo che
lavoriamo tutti tranquillamente e pacificamente.
   Parlando con Pino Savoca e con altri personaggi, si doveva
portare avanti questo progetto: cominciamo con l'eroina e dopo
ci facciamo addirittura raccogliere la morfina - anche perché
a loro in Thailandia interessava forse di più vendere la
morfina che l'eroina perché avevano problemi per l'acetone -
in attesa di fare un bel discorso importante.
   Nei due lavori che abbiamo fatto, le quote sono state
fissate a 300 mila dollari.
  PRESIDENTE. Trecentomila a famiglia?
  GASPARE MUTOLO. Noi, per esempio, abbiamo messo 600 mila
dollari, però eravamo tre famiglie. L'ha messi Riccobono, però
comprendeva Partanna Mondello, Sferracavallo, Cardillo,
Tommaso Natale ed altri personaggi vicini a Saro Riccobono e
si facevano dei regali, però le parti si facevano in quota.
  PRESIDENTE. Se Saro Riccobono voleva fare un favore ad
un amico, gli diceva: dammi dei soldi che poi...
  GASPARE MUTOLO. No, in quel discorso specifico abbiamo
fatto le quote perché sono stati carichi di preparazione. Le
quote erano fisse e siccome erano i primi carichi non si
poteva sapere se andavano bene o male. Quindi la quota minima
era di 300 mila dollari. Per esempio, se dietro di me c'erano
dieci o venti persone, a lei non interessava; io comunque
portavo 300 mila dollari e dicevo: qui c'è la mia quota. Dopo
lei a me dà il guadagno sui 300 mila dollari ed io me lo
divido con i miei amici.
   Abbiamo partecipato quasi tutti, anche Santapaola e
Ferrera.
  PRESIDENTE. Investendo questi 300 mila dollari, quanto
vi è ritornato?
  GASPARE MUTOLO. Su questi 300 mila dollari la mia parte
è stata di quasi 50-55 milioni ed ho ricavato un utile di 200
milioni, poi abbiamo fatto quasi 70 milioni di regali. Ripeto
però che non si guardava tanto al guadagno per le prime volte,
perché erano lavori grossi per i quali si doveva patteggiare
un certo prezzo con altri paesi, perché dovevamo rompere un
mercato che c'era anche con altri personaggi. Per cui, anche
se si dava a 10 mila dollari in meno, o si facevano dei
regali....
  PRESIDENTE. Voi insomma dovevate entrare in un mercato?
Vuol dire questo?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Quindi dovevate essere competitivi con
altri?
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  GASPARE MUTOLO. Competitivi proprio con tutte le nazioni,
noi praticamente volevamo prendere tutto il mercato...
  PRESIDENTE. Lei ha mai trafficato in cocaina?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Perché? C'è una ragione oppure non è mai
capitato?
  GASPARE MUTOLO. Ultimamente, mi ero interessato della
cocaina, però il mercato della cocaina lo avevano in mano i
catanesi e i calabresi. Per quello che interessava a me, avevo
avuto l'occasione dell'eroina.
  PRESIDENTE. Tramite Koh Bak Kin?
  GASPARE MUTOLO. Sì. Tutti quelli che conoscevo io a
Palermo trafficavano in eroina.
  PRESIDENTE. Ci sono raffinerie adesso in Sicilia?
  GASPARE MUTOLO. Ci sono state, se ci sono adesso non lo
so ma credo che ve ne sia qualcuna.
  PRESIDENTE. Fino a quando ci sono state sicuramente?
  GASPARE MUTOLO. Questo non lo posso dire.
  PRESIDENTE. Ricorda se erano gli anni settanta, ottanta
o novanta?
  GASPARE MUTOLO. Fino a quella che è stata presa a
Trapani, ad Alcamo; dopo si è sentito che ce ne era qualche
altra.
  PRESIDENTE. Secondo lei potrebbero esserci raffinerie
anche a Palermo città o nelle campagne limitrofe?
  GASPARE MUTOLO. A Palermo città non è possibile, perché
si sprigiona un cattivo odore e bisogna essere un po' isolati;
a Palermo centro non è possibile ma, ripeto, in qualsiasi
punto della città è sempre facile, basta che la raffineria sia
situata in un posto dove vi sia aria, sia al mare, sia in
campagna.
  PRESIDENTE. Dove finisce il denaro che si ricava dal
traffico di stupefacenti?
  GASPARE MUTOLO. C'è chi lo investe nell'edilizia, chi lo
deposita nelle banche svizzere e chi acquista proprietà
all'estero.
  PRESIDENTE. Supponiamo che io o lei dobbiamo fare un
investimento all'estero: lei agisce direttamente o si rivolge
a qualcuno?
  GASPARE MUTOLO. Ci sono persone addentrate che conoscono
i canali: io proprio non lo so. Ho sentito dire, per esempio,
che una persona li può portare direttamente nelle banche, dove
gli danno dei numeri e dei nominativi; poi vi sono le famose
società per azioni (si acquista sempre con delle società), che
non si sa di chi sono, però nel tribunale esiste una
registrazione anche se, quando c'è qualche notaio compiacente,
è facile fare "sparire" una società.
  PRESIDENTE. Vuole parlare alla Commissione dell'invito
di Nino Madonìa ad investire in Germania?
  GASPARE MUTOLO. Quando si parlava della legge di Pio La
Torre - siamo nei primi mesi del 1982 - Madonìa ci consigliò,
a me e a Micalizzi, poiché sapeva che lavoravamo a pieno ritmo
con l'eroina, di non correre rischi. Ci disse che, se avessero
approvato questa legge, ci avrebbero tolti i soldi e ci
propose di investirli in Germania dove c'era tranquillità.
  PRESIDENTE. Che tipo di investimenti consigliava
Madonìa?
  GASPARE MUTOLO. La maggior parte degli investimenti
consiste nell'acquisto di terreni; per noi l'investimento
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più sicuro sono i terreni, perché non vengono mai svalutati
ma acquistano sempre valore. Quindi, l'investimento sicuro è
il terreno; poi, una persona pratica può comprare una
fabbrica, qualsiasi esercizio. Ripeto, a colpo sicuro si
investe su terreni.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di investimenti in
borsa o in società finanziarie?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Come si rifornisce Cosa nostra di armi?
  GASPARE MUTOLO. Le persone che vanno a prendere
l'hascisc o l'eroina a volte portano armi da fuori; altre
volte, quando si ha bisogno, si rapina qualche armeria ma di
solito ci sono persone addette che non hanno problemi a
svolgere traffico di armi.
  PRESIDENTE. Da dove provengono queste armi?
  GASPARE MUTOLO. Da dove vengono di preciso non lo so,
però si possono avere a Ventimiglia; qualsiasi tipo di arma
viene dall'estero: danno dei cataloghi e lei può scegliere, in
Italia, su questi cataloghi. Se va per esempio in Francia, in
Svizzera o in qualsiasi paese estero le compra con facilità.
  PRESIDENTE. Quello delle armi non è mai stato un
problema per Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. No, le armi non sono un problema.
  PRESIDENTE. E' capitato qualche volta di uccidere con
pistole di piccolo calibro piuttosto che con armi pesanti?
  GASPARE MUTOLO. L'uso delle pistole a volte serve per
deviare le tracce, oppure perché a volte sono armi che sono
state conservate, ma sempre utilizzabili. Se deve essere un
omicidio in cui si vuole far capire che non è stata la mafia,
perché i giornalisti e i poliziotti pensano che la mafia
esegue sempre gli omicidi con una calibro 38, oppure con la 45
magnum, allora si usano queste 7,65, che vanno a ruba.
  PRESIDENTE. Mi pare che l'onorevole Lima sia stato
ucciso con una pistola di piccolo calibro.
  GASPARE MUTOLO. Non so con quale pistola ma, ripeto, non
è...
  PRESIDENTE. E' stata usata una 7,65?
  GASPARE MUTOLO. Ripeto, questo non è ... Anzi, un
omicidio del genere è anche giusto che si faccia con un'arma
diversa dalla P38.
  PRESIDENTE. Perché?
  GASPARE MUTOLO. Per depistare almeno per qualche periodo
la polizia, le forze dell'ordine; dopo lo sanno...
  PRESIDENTE. Mi pare che anche Boris Giuliano sia stato
ucciso con una pistola di piccolo calibro.
  GASPARE MUTOLO. Sì, ma ripeto non è... A volte non
succede che fanno delle telefonate dicendo: "Siamo la falange
armata..."? Sanno dire soltanto: "Siamo della falange armata,
colpiremo ancora" e stop.
  PRESIDENTE. Queste telefonate, a volte, le ha fatte
qualcuno di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Io penso di sì.
  PRESIDENTE. Lei pensa di sì. Per deviare? Ho capito!
  GASPARE MUTOLO. Un momento: quando succedono omicidi a
Palermo.
  PRESIDENTE. Certo.
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  GASPARE MUTOLO. Allora sì!
  PRESIDENTE. Le armi tipo Kalaschnikov o i mitra UZI (mi
pare israeliani) da dove provengono? Anche questi sono scelti
su catalogo?
  GASPARE MUTOLO. No, queste armi si trovano pure su
catalogo, però ormai ce ne sono tante. Io ho fatto trovare due
UZI israeliani, tipo militare, che ho consegnato...
  PRESIDENTE. Quando lei ha deciso...
  GASPARE MUTOLO. Poi sono stato arrestato. Ripeto, sui
cataloghi si può scegliere qualsiasi tipo di arma, non di
pistole; se lei vuole, anche un lanciamissili: l'importante è
che paghi in contante.
  PRESIDENTE. Poiché Cosa nostra disponeva anche di
lanciamissili, perché non li ha utilizzati per uccidere
Giovanni Falcone, che è "saltato" insieme a persone estranee?
Secondo lei, vi è una ragione?
  GASPARE MUTOLO. Si sapeva, perché se ne era parlato
tante volte, che Cosa nostra aveva diversi lanciamissili, i
piccoli Katyuscia, o qualcosa del genere. Si sapeva che
c'erano a Palermo e a Catania, ma il discorso della strage non
è che... Quella di Chinnici è uguale a quella di Falcone.
  PRESIDENTE. Beh, no!
  GASPARE MUTOLO. Se noi ponderiamo bene, come modalità,
che cosa cambia tra la strage di Chinnici e quella di Falcone?
Una è in movimento, l'altra...
  PRESIDENTE. L'avvocato Biondi rileva...
  GASPARE MUTOLO. In quella di Chinnici hanno imbottito la
macchina con cinquanta chili. In quella di Falcone lei conosce
quella strada, tra quella che va al mare e quella che porta
alle ville, ogni cento metri c'è un sottopassaggio. Per essere
sicuri, invece di trecento, metto seicento chili, tanto...
  PRESIDENTE. Non è quello il problema.
   L'assassinio di Falcone è stato affidato ad una squadra,
ad un gruppo particolarmente attrezzato, oppure no?
  GASPARE MUTOLO. C'è poco da attrezzarsi. Può sembrare
una cosa difficile ma ognuno ha il suo compito. C'è il più
giovane che ha il compito di prendere la dinamite e metterla
nel cunicolo; c'è quello più intelligente ed esperto che avrà
il compito di schiacciare il comando. L'importante è sapere
quando arriva e quando parte la persona. Poi, se si ha la
visuale... Certo, non è che lo ha fatto uno sprovveduto che
non lo aveva mai fatto: sicuramente avranno fatto un gran
numero di prove.
  ALFREDO BIONDI. Quindi, è più facile di quanto non
appaia ad uno che legge il giornale?
  GASPARE MUTOLO. Conoscendo un po' il meccanismo di
questi telecomandi, so che in una frazione di secondo si dà
l'impulso. Certo, se pensiamo che la cosa può essere... E' più
difficile indovinare quando viene che non schiacciare il
bottone. A colpo d'occhio, se lei guarda una macchina e la
vede arrivare, già calcola quanti metri fa, venti, quaranta o
sessanta. Non è che si conti metro per metro; si contano
cinquanta metri, cento metri. Quindi è facile.
  PRESIDENTE. Falcone con la sua scorta erano visibili,
oppure qualcuno ha dato l'imbeccata a Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Certo, la macchina era visibile per chi
ha schiacciato il pulsante.
  PRESIDENTE. Scusi, mi sono spiegato male. Qualcuno vi ha
avvertito, ha avvertito Cosa nostra che Falcone sarebbe
arrivato?
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  GASPARE MUTOLO. Avvertito me no, perché ero in galera.
  PRESIDENTE. No, non lei.
  GASPARE MUTOLO. Sicuramente li avranno avvertiti. C'era
probabilmente il "postiglione" a Punta Raisi. Sapevano forse
che, se non fosse arrivato oggi, sarebbe arrivato domani. Le
abitudini! A Palermo si fanno fregare perché hanno sempre le
stesse abitudini. Totò Riina è stato tanto tempo latitante
perché non diceva a nessuno a che ora usciva. Si vede che si è
confidato con questo Di Maggio e si è fatto fregare. Penso che
il bottone che è stato schiacciato per Falcone è stato usato
da uno che non era così bravo bravo, perché hanno sbagliato
l'obiettivo, avendo fatto saltare un'altra macchina.
  PRESIDENTE. E' saltata la macchina davanti.
  GASPARE MUTOLO. Se ci fosse stata questa precisione,
questo tecnico venuto dalla Germania o dalla Colombia, doveva
saltare la macchina di Falcone e non quella della scorta.
Certo, sono persone ed essendo umane possono sbagliare ma, se
Falcone si fosse messo dietro e se due o tre persone si
fossero messe dietro e la macchina avesse proceduto senza
altre macchine, sarebbero rimasti tutti e tre vivi. Solo che
c'era tanto esplosivo che, anche se vi fossero state quattro
macchine nel giro di cinquanta metri, sarebbero saltate tutte.
Quella precisione di cui parlano i giornali...
  PRESIDENTE. Ha avuto rapporti con i terroristi per
consegna di armi?
  GASPARE MUTOLO. No, no, mai.
  PRESIDENTE. In un caso? Per la consegna di un mitra ad
un terrorista?
  GASPARE MUTOLO. Non ho fatto mai consegne di un mitra...
  PRESIDENTE. Una proposta di consegna di un mitra?
  GASPARE MUTOLO. Non ho avuto mai rapporti con i
terroristi, perché non conosco i terroristi. Questo discorso
si trascina da diversi anni con una persona dei servizi
segreti. Si tratta di questo...
  PRESIDENTE. Vorrei informarla che il direttore del SISDE
ci ha raccontato questo episodio, facendo anche il nome della
persona.
  GASPARE MUTOLO. Voglio raccontare nuovamente la cosa per
com'è. Non avrei alcun motivo di negare di aver dovuto dare un
mitra ad un terrorista. Anche perché questo discorso è stato
chiarito molto bene a Palermo dall'avvocato Inzirillo.
Effettivamente ho conosciuto questo signor dottor Fabbri, che
non so cosa sia ma che è una persona dei servizi segreti. L'ho
saputo mentre ero in galera. Ho conosciuto questa persona come
ho conosciuto altre persone dei servizi segreti e per me erano
persone gentilissime. Forse avevano avuto un'indicazione
sbagliata su di me. Siccome avevano rapporti con un certo
Franco Gasperini e questo ogni tanto fregava soldi ai servizi
dicendogli che doveva fargli arrestare qualche terrorista,
questo Gasperini per tenersi ancora buoni i servizi gli disse
che aveva un amico suo mafioso. Quindi mi venne a trovare in
carcere Gasperini (benedette queste carceri!) e mi dice:
"Senti, c'è una persona del ministero che io posso contattare
per aiutarti". "Dimmi che ci vuole; a disposizione". In quel
periodo a L'Aquila c'era un presidente, che dopo mi ha
concesso la semilibertà, che aveva ricevuto dei rapporti
secondo i quali io sarei appartenuto a bande criminali
soprannominate mafia e era indeciso se darmela o non darmela.
"Va bene, parla con queste persone del ministero". "Sai sono
persone che hanno conoscenze; se ti chiedono un colloquio, tu
ci vuoi parlare?". "Falle venire e che fa, mi mangiano? Io
sono in galera, se c'è qualche persona che mi vuole
aiutare...". Queste persone non sono venute a colloquio.
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 Fatto sta che si sono interessate, o almeno così mi dicono.
Io so che il presidente de L'Aquila prima mi rigetta la
semilibertà perché ero mafioso ma poi mi danno un permesso di
cinque giorni perché mia mamma era in coma in ospedale e,
esistendo una disposizione di legge, avendo io già scontato
quattordici anni e dovendo fare ancora due anni, due anni e
mezzo (stavo quasi per essere liberato), mi danno cinque
giorni di permesso. Vado a vedere mia mamma in coma
all'ospedale e rientro tranquillamente. Quindi cade questa
pericolosità ed anzi, prima di rientrare a Teramo, passo da
L'Aquila e vado a ringraziare il presidente. Gli ho detto:
"Grazie di avermi dato la possibilità di andare a vedere mia
mamma all'ospedale". E lui mi fa, tutto tranquillo: "Mutolo,
lei non sa il bene che ci ha fatto che lei sia rientrato,
perché io ero sicuro che, appena lei avesse messo i piedi
fuori, si sarebbe dato latitante". "Ma, ora, con i bambini, mi
sono messo la testa a posto". Dopo quindici giorni, mia mamma
muore; mi danno altri cinque o sei giorni di permesso, non mi
ricordo quanti; vado a farmi i funerali di mia mamma e rientro
di nuovo. Cade quindi questa mia pericolosità. Però interviene
questo Gasperini e mi dice che ci sono persone del ministero.
Io esco, ho modo di incontrare questo signor Fabbri ed altre
persone. Lui stesso ha detto di non avermi mai dato soldi.
Anzi dice che questo Gasperini gli fregava qualche soldo,
mentre io non gli ho chiesto mai soldi. Io, pensando che
fossero persone del ministero che guadagnavano lo stipendio,
tutte le volte che salivo da Palermo portavo dei pesci
speciali per questi signori, portavo delle cassate e delle
volte che andavamo a mangiare al ristorante ci litigavo perché
volevo pagare io, perché mi sembrava assurdo che una persona
mi portasse al ristorante e dovesse pagare due o trecentomila
lire. Io mi alzavo prima e andavo lì a pagare, gli lasciavo i
soldi. Questo lui lo dice ma, per giustificare questo rapporto
che si era creato con il Gasperini, a un certo punto, essendo
avvenuto il sequestro del generale Dozier, mentre salgo da
Palermo vedo questo Fabbri per portargli delle cassate, un
contenitore di pesce, le solite cose, e questo dice: "Siamo
rovinati!". "Che è successo?". "Dobbiamo cercare di liberare
questo Dozier". "Guardi che siamo fuori campo completamente!
Se lei si vuole interessare perché c'è Saro Riccobono
latitante e lei mi dice quanto tempo ci vuole per ottenere la
domanda di grazia o se lei ha qualche persona che vuole fare
il politico a Palermo e vuole i voti per farlo diventare
onorevole, lei deve dirmelo, ma sul terrorismo... Io a Teramo
conosco solo zingari." Non lo so com'è nato, so solo che il
dottor Falcone, quando mi arrestano nel 1984 o nel 1985, un
giorno viene a Roma e mi fa questo discorso: "Tu con il dottor
Mario Fabbri...". "Io conosco tanti Mario" - gli dissi - "e se
lei mi fa fare un confronto, vedremo". "E' uno del ministero
che ha detto che lei gli doveva far trovare un mitra AK7", che
è lo stesso mitra che aveva ucciso a Calabritto Dalla Chiesa.
Era questo lo spunto che tira fuori questa novità. Io spiego
al giudice Falcone: "Non le voglio dire perché conosco questo
signor Mario Fabbri, le posso dire semplicemente che per me
era un impiegato del ministero però, se lei me lo porta a
confronto e lui dice che effettivamente io gli ho fatto sapere
che avevo questo mitra, io le dico la ragione per la quale
l'ho conosciuto". Non ho fatto mai un confronto. Dopo
l'avvocato Inzerillo ha cercato di specificare il discorso in
aula e cioè che questo Fabbri, per non avere fatto la brutta
figura che Gasperini gli fregava i soldi perché doveva far
arrestare questo o quello, lo ha presentato a me.
  PRESIDENTE. Le risulta che Riina fu avvertito da
Contrada che stavano per arrestarlo?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so.
  PRESIDENTE. Non le risulta o preferisce non dirlo?
  GASPARE MUTOLO. So che Contrada aveva contatti con il
mondo di Cosa
                        Pag. 1314
nostra, però non posso dire se abbia avvisato. Se lei mi fa
la domanda in modo diverso, cioè se Riina aveva contatti con
qualche persona, io le posso dire di sì.
  PRESIDENTE. Riina aveva contatti con Contrada?
  GASPARE MUTOLO. Sì, e per quello che mi risulta non solo
Riina ma anche altri personaggi.
  PRESIDENTE. Quali altri?
  GASPARE MUTOLO. Michele Greco, Totò Scaglione, Salvatore
Inzerillo.
  PRESIDENTE. Contrada era il punto di riferimento più
importante in questura?
  GASPARE MUTOLO. Per quello che mi risulta e per quello
che mi diceva Saro Riccobono, sì.
  PRESIDENTE. Sempre da Riccobono ha saputo dei contatti
con gli altri?
  GASPARE MUTOLO. Sì, erano conversazioni pacifiche.
  PRESIDENTE. Nella prefettura di Palermo avevate qualche
riferimento?
  GASPARE MUTOLO. La prefettura?
  PRESIDENTE. Sì, dove sta il prefetto.
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Gasperini ha dichiarato di aver partecipato
presso una villa di Partanna Mondello ad una riunione di
mafia, avvenuta nel periodo tra l'omicidio di Bontate e quello
di Inzerillo. Lei per caso ha partecipato con Gasperini a
questa riunione?
  GASPARE MUTOLO. Me lo portavo diverse volte a Palermo.
Per me partecipare a quelle che per Gasperini potevano
sembrare riunioni era soltanto andare a "mangiate" normali
alle quali non davo troppa importanza.
  PRESIDENTE. Si discusse in quella sede del fatto che era
stato ucciso Bontate e che si sarebbe ucciso Inzerillo?
  GASPARE MUTOLO. Con me personalmente no.
  PRESIDENTE. In Sardegna esiste una famiglia di Cosa
nostra o uomini d'onore?
  GASPARE MUTOLO. Su questo non posso essere preciso. Nel
1989 sono stato avvisato da Condorelli, che mi aveva detto di
stare attento perché vi era qualche famiglia in Sardegna ed in
Calabria, però non posso dire nulla con certezza.
  PRESIDENTE. Signor Mutolo, la prego di allontanarsi
dall'aula. La richiameremo tra breve.
  (Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene
accompagnato fuori dall'aula).
  PRESIDENTE. Il quadro tracciato dal signor Mutolo
riguarda il sistema dell'impunità relativo a polizia e
carabinieri oltre alle cose che ha detto per il livello
politico. Vorrei sapere se i colleghi intendano porre altre
questioni. Vi è inoltre la necessità di decidere se sia o meno
il caso di rendere pubblica la seduta; infatti, Mutolo ha
fatto nomi di persone, all'interno degli uffici di polizia,
nei confronti dei quali credo vi siano procedimenti in corso,
la cui identità non è ancora trapelata all'esterno. Ritengo
doveroso fare una rapida telefonata a Palermo per sapere se vi
siano procedimenti e se, nel rendere pubblici certi nomi, si
potrebbe arrecare danno. Invito i colleghi a valutare
l'opportunità che tali nomi non vengano resi noti.
  ALTERO MATTEOLI. Preferirei che venisse fatta una
telefonata a Palermo,
                        Pag. 1315
perché, se rendiamo pubblica l'intera audizione, ci sgraviamo
da ogni responsabilità. Anche l'altro giorno, in occasione
dell'audizione della signora Antiochia, i giornali ne hanno
scritto. Poiché siamo tutti imputabili, preferisco che sia
chiarito quell'aspetto. E' stata un'audizione lunga, dalla
quale abbiamo ricavato molte informazioni; proprio all'inizio
è emerso l'aspetto più inquietante, quando sono intervenuto a
proposito della vicenda Di Gennaro. Bisognerebbe sapere quanto
tempo sia passato dalla richiesta di colloquio al colloquio
con il magistrato; egli ha parlato prima con Vigna e poi con
Falcone; quest'ultimo fa il nome del questore Di Gennaro e non
di un magistrato. Questo aspetto a mio avviso andrebbe
chiarito meglio perché, dal momento in cui ha dichiarato di
pentirsi, la magistratura si è fatta viva dopo 5 o 6 mesi.
  PRESIDENTE. Collega Matteoli, non è che tutti quelli che
dicono di pentirsi...
  ALTERO MATTEOLI. Sì, lo so.
  PRESIDENTE. Vi è anche un problema di rispetto dei
tempi.
  ALTERO MATTEOLI. Ma qui siamo di fronte a Mutolo! Di
tutti coloro che abbiamo ascoltato - per carità, non voglio
esprimere giudizi perché questo sarà compito della
magistratura - Mutolo è l'unico, finora, ad aver ammesso chi
sia. Questi ha commesso i peggiori crimini del mondo!
  ALFREDO BIONDI. Sarebbe interessante appurare come
personaggi di livello culturale, professionale e di esperienza
specifica così limitati siano riusciti a vederlo (a parte
l'abilità nascosta dietro la sua immagine), ad amministrare, a
controllare nonché ad avere la possibilità di riciclare del
denaro e di accedere con facilità alle banche.
   Mi pare abbastanza strano che un'amministrazione così
vasta ed eterogenea, anche come proventi, possa essere stata
canalizzata in questo modo.
  PRESIDENTE. Onorevole Biondi, potremo senz'altro
rivolgere tale quesito a Mutolo con la speranza che ci
risponda.
  MARIO BORGHEZIO. Mutolo ha fatto un cenno alla famosa
lista di Sindona. Mi pare che questa sia una buona occasione
per fare il punto conclusivo su una questione che è emersa
oggi, quella relativa alla richiesta di 500 milioni ad ognuno
dei personaggi eccellenti. In particolare, potremmo chiedergli
se qualcuno di questi abbia pagato e chi sia.
   Per quanto riguarda l'Italia a nord di Roma, sembra che a
Torino vi sia l'unica decina autorizzata dalla Cupola. Sarebbe
interessante sapere da Mutolo a quali personaggi essa faccia
capo.
  ERMINIO ENZO BOSO. Presidente, Mutolo ha parlato di
posti di lavoro. In proposito, vorrei che gli fosse chiesto se
esista un legame con le multinazionali presenti sul territorio
della Puglia, della Calabria, della Sicilia ed in quale
maniera i personaggi, a livello direttivo, possano essere in
contatto con Cosa nostra.
   Da ultimo, si potrebbe chiedere a Mutolo se Cosa nostra
sia abbastanza interessata alla ristrutturazione alberghiera e
degli impianti di risalita nella zona di Cortina.
  MASSIMO BRUTTI. Mutolo ha parlato di difficoltà nel
commettere omicidi al di fuori della Sicilia. Potremmo
riprendere il discorso relativo all'omicidio di Condorelli e
chiedergli se esso sia stato possibile grazie ad appoggi in
Toscana.
   Sarebbe inoltre opportuno riprendere anche il discorso
relativo alla rete logistica di Cosa nostra nell'Italia
centrale (mi riferisco ai rapporti con Giacomo Riina a Budrio,
situato tra la Toscana e l'Emilia e Romagna). In proposito,
come certamente ricorderete, il dottor Vigna ci ha parlato di
uno stretto rapporto tra Mutolo, trafficante di droga, e
questa rete. Da qui l'opportunità di porgli questo specifico
quesito.
  PRESIDENTE. Chi c'era a Budrio?
                        Pag. 1316
  MASSIMO BRUTTI. Giacomo Riina e Piero Leggio.
   Potremmo ancora chiedere a Mutolo se, a suo avviso, la
dichiarazione dell'avvocato Fileccia a proposito della
presenza di Riina a Palermo, avesse un preciso significato in
quel momento. Mutolo, infatti, ha parlato di segnali nel
comportamento che Riinaterrà nelle prossime settimane.
   Mutolo ci ha anche detto che Scopelliti stava studiando le
carte in anticipo, prima ancora, cioè, che gli venisse
assegnato il processo. Mi chiedo in quale modo i mafiosi ne
fossero a conoscenza.
  ALFREDO GALASSO. Presidente, credo che vi sia una
domanda tra quelle che erano state preparate che non sia stata
rivolta a Mutolo. Non mi risulta infatti che gli sia stato
chiesto perché alla fine degli anni ottanta siano stati uccisi
a Palermo alcuni imprenditori.
   Desidererei poi che fosse chiesto a Mutolo quale sia il
motivo dell'assassinio di Giovanni Bontate, il cosiddetto
avvocato, ucciso dopo la fine del maxiprocesso. Infine, vorrei
che gli fosse chiesto perché e da chi fu ucciso il colonnello
Russo, a proposito del quale abbiamo già acquisito le
informazioni di Calderone.
  PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole
Tripodi, vorrei fargli presente che non ho chiesto a Mutolo
quali valutazioni si facessero all'interno di Cosa nostra a
proposito dell'inchiesta sulla massoneria a Palmi perché
quando l'inchiesta iniziò egli era già uscito da Cosa nostra.
  GIROLAMO TRIPODI. Poiché si parlava di rapporti tra
mafia e massoneria, avrei voluto sapere se, a seguito di
quell'inchiesta, Mutolo fosse a conoscenza di qualche elemento
che dimostrasse una certa preoccupazione da parte delle
organizzazioni mafiose.
   A Mutolo potremmo chiedere anche quale sia stato il
giudizio di Cosa nostra sull'azione degli alti commissari ed
in particolare su quella del dottor De Francesco.
   In ordine ai grandi traffici di droga, Mutolo ha parlato
di rapporti con i trafficanti calabresi. Ebbene, vorrei sapere
qualcosa di più preciso in proposito e, possibilmente, anche
chi siano questi grandi trafficanti calabresi.
   Mutolo ci ha detto che Scopelliti sarebbe stato ucciso
perché non si "piegava" alle richieste della mafia
relativamente al maxiprocesso (un punto, questo, sul quale
abbiamo già acquisito le dichiarazioni di Messina). Vorrei che
gli venisse chiesto se a suo avviso Scopelliti sia stato
eliminato direttamente dai palermitani oppure dalla
'ndrangheta calabrese.
  PIETRO FOLENA. Vorrei sapere se conosca gli imprenditori
Sansone arrestati in questi giorni e se sapesse che erano
uomini d'onore.
   Nei rapporti con i politici non si è parlato di Gunnella;
vorrei sapere se, a sua conoscenza, fosse persona con cui
c'erano rapporti.
   L'ultima domanda riguarda i ricoveri facili dei carcerati.
E' uno scandalo esploso a più riprese, in modo particolare
all'ospedale Civico. Vorrei sapere se tra le funzioni
dell'onorevole Lima vi fosse anche quella relativa al ruolo
svolto da suo fratello, che per lungo tempo è stato
amministratore dell'ospedale Civico.
  VITO RIGGIO. Poiché quella in cui Mutolo operava è stata
una zona di espansione edilizia non solo privata ma anche
pubblica, vorrei capire il rapporto con il comune di Palermo,
se Mutolo lo conosce. Si parla sempre di Lima ma negli anni in
cui Mutolo è entrato ed uscito di galera si sono svolte tre
campagne elettorali.
  GIOVANNI CARLO ACCIARO. Vorrei chiedere se Flavio
Carboni fosse comunque un utilizzatore dei fondi della mafia
per reinvestire in Sardegna. Faccio il nome di Carboni perché
Mutolo lo ha già nominato collegandolo a Pippo Calò.
  ANTONIO BARGONE. Il signor Mutolo ha parlato del
riferimento romano
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dell'onorevole Lima; in particolare, ha parlato di colloqui
in cui è stato fatto un nome preciso, quello del capocorrente.
Poiché su questa parte Mutolo non è stato preciso, vorrei
sapere in quale occasione se ne sia parlato e a proposito di
cosa, se cioè il rapporto di scambio di favori tra l'onorevole
Lima e Cosa nostra avesse trovato un riferimento in
quell'occasione sulla sponda romana.
  ANTONINO BUTTITTA. Ad un certo punto dell'audizione
abbiamo sentito, a proposito della riutilizzazione o
riciclaggio del danaro, un preciso riferimento al ruolo di
professionisti, comunque di gente specializzata in
quest'opera, soprattutto in quella di trasferimento in
istituti bancari non italiani. Sarebbe utile che Mutolo fosse
più preciso, magari indicando chi siano i professionisti che
si prestano a questo lavoro per loro molto utile.
  PRESIDENTE. Le domande sono numerose e cercherò di
rivolgerle al signor Mutolo tenendo maggiormente presente la
sostanza delle cose, perché il quadro generale è chiaro.
   Se la Commissione concorda, sospendo brevemente la seduta
per accertarmi, presso la procura di Palermo, se su alcuni
nomi fatti oggi dal collaboratore Mutolo siano in corso
accertamenti. Ciò al fine di decidere se rendere totalmente o
parzialmente pubblica l'audizione.
  La seduta sospesa alle 18,45 è ripresa alle 18,55.
  PRESIDENTE. Com'era prevedibile, la procura di Palermo
ha confermato che su alcuni nomi emersi durante l'audizione
sono in corso accertamenti e pertanto su di essi dovrà essere
mantenuto il segreto, quale che sia la decisione che
assumeremo in ordine all'audizione nel suo complesso.
  (Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene
reintrodotto in aula).
  PRESIDENTE. Signor Mutolo, le rivolgerò adesso delle
domande alle quali la prego di rispondere sinteticamente,
visto che ormai il quadro della situazione è abbastanza
chiaro.
   A proposito della sua decisione di collaborare, lei ha
detto di aver chiamato il dottor Falcone il quale ha delegato
un'altra persona di cui lei non ricorda il nome. Il dottor
Falcone le dice poi di far riferimento a qualcuno, nel caso in
cui voglia mantenere ferma la sua decisione?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Mi dice che lui non può
perché è impegnato su altri fronti.
  PRESIDENTE. E quindi?
  GASPARE MUTOLO. Quindi io ho una titubanza e voglio
riflettere.
  PRESIDENTE. E' lei che deve riflettere, per cui la cosa
si tronca.
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Quando riprende?
  GASPARE MUTOLO. A maggio, forse giugno o luglio, non
ricordo. A luglio.
  PRESIDENTE. Prende contatto con Vigna per parlare?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Dopo arrivano i giudici di Palermo?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore. Dopo arriva il dottor
Borsellino.
  PRESIDENTE. Da solo o con altri?
  GASPARE MUTOLO. Mi sembra con il procuratore Aliquò.
  PRESIDENTE. Una domanda che molti di noi si pongono è
questa: come fanno a riciclare tutta questa grande quantità di
denaro? Si servono di professionisti, di specialisti
particolari?
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  GASPARE MUTOLO. Certamente, si servono di specialisti che
fanno delle società o mandano i soldi all'estero.
  PRESIDENTE. Questi specialisti stanno a Palermo o fuori?
  GASPARE MUTOLO. Di solito stanno a Palermo.
  PRESIDENTE. Sono loro che curano tutto il volume degli
affari?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. I soldi poi ritornano in Sicilia o restano
all'estero?
  GASPARE MUTOLO. Arrivano attraverso società, attraverso
azioni. Non è che arrivino soldi liquidi.
  PRESIDENTE. L'onorevole Biondi chiede se lei conosca il
nome di qualcuno dei professionisti che svolgono questo
lavoro.
  GASPARE MUTOLO. I professionisti che svolgono questo
lavoro sono per la maggior parte notai. Specificamente non lo
so; so che qualcuno era molto vicino a questo gruppo di
mafiosi, a Totò Riina, a Scaglione, a Riccobono che creavano
delle società in cui era difficile risalire ai titolari.
Facevano queste società ma non conosco attraverso quale
meccanismo.
  PRESIDENTE. I notai sapevano chi erano le persone con
cui avevano a che fare?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Intende fare i nomi di questi notai? Li
conosce, li ricorda?
  GASPARE MUTOLO. Non vorrei fare confusione. C'è più di
un notaio che fa queste cose a Palermo, non è uno solo. Magari
dopo aver riflettuto...
  PRESIDENTE. Li dirà poi ai giudici.
   A proposito della notizia che ci ha dato in ordine allo
Spatola che viene trovato con l'elenco dei politici che
dovrebbero versare 500 milioni ciascuno, le risulta se
qualcuno di essi pagò?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so, perché ho fatto questi
discorsi con Rosario Spatola mentre eravamo in galera a
Palermo. Mi raccontava che il fratello era andato da questo
avvocato - non so se era un politico che però svolgeva anche
le mansioni di avvocato - il quale (ed è riscontrabile chi era
perché è stato preso con quella lettera) doveva far avere
questa richiesta.
  PRESIDENTE. Questi soldi dovevano andare a Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Logicamente. Erano parte dei soldi -
almeno per come ho capito...
  PRESIDENTE. Spesi male.
  GASPARE MUTOLO... spesi male nel famoso crack del Banco
Ambrosiano.
  PRESIDENTE. Che lei sappia, nella zona di Cortina
d'Ampezzo ci sono investimenti di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. A Cortina d'Ampezzo non lo so. Per la
Sardegna lo so sicuramente perché fu oggetto di discussione.
Però ci sono in tutti i posti, dove c'è un po' di
tranquillità.
  PRESIDENTE. Nel nord della Sardegna?
  GASPARE MUTOLO. Si diceva che dovevano fare villaggi,
complessi alberghieri.
  PRESIDENTE. Quelli in cui c'era Carboni di mezzo?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore, c'era anche Carboni.
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  PRESIDENTE. Nella penisola sorrentina, a Castellamare?
  GASPARE MUTOLO. Sul napoletano so che ha interessi
Liggio; altri mafiosi no. So che Liggio e Riina da molto tempo
avevano delle società con Lorenzo Nuvoletta.
  PRESIDENTE. Gli interventi nei confronti delle imprese e
per i posti di lavoro si fanno anche quando l'impresa è
straniera?
  GASPARE MUTOLO. Sì, perché anche se l'impresa è
straniera il capo cantiere è del luogo. Non si ha direttamente
contatto con la persona straniera, ma con la persona di
fiducia che è responsabile, che cura sia le tangenti sia...
  PRESIDENTE. Chi ha ucciso Condorelli a Gavorrano aveva
sostegni in Toscana? Lei ha detto che, in genere, non si
commettono omicidi fuori della Sicilia, mentre in questo caso
l'omicidio è stato commesso.
  GASPARE MUTOLO. Certamente queste persone che sono
venute dalla Sicilia avevano dei sostegni in Toscana, però non
ho potuto essere preciso anche quando ne ho parlato...
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di un paese che si
chiama Budrio dove c'era Giacomo Riina?
  GASPARE MUTOLO. Sì, lo conosco.
  PRESIDENTE. Che tipo di insediamento c'era lì?
  GASPARE MUTOLO. A Budrio, vicino a Bologna, andavo a
trovare...
  PRESIDENTE. Giacomo Riina?
  GASPARE MUTOLO. No, Giacomo Riina io lo vedevo in casa
di Giuseppe Leggio che è a cinque o sei chilometri da Villa
Fontana. So che lui è inserito lì.
  PRESIDENTE. In Emilia Romagna ci sono molte presenze di
Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Questo non lo so, ma in qualsiasi punto
dell'Italia ci sono mafiosi che stanno lì da tanti anni e che
hanno quasi tutti contatti con Palermo. Difficilmente qualcuno
non li ha.
  PRESIDENTE. L'avvocato Fileccia disse al telegiornale
che Riina era in Sicilia e che lui lo incontrava: qual era il
significato di questa dichiarazione?
  GASPARE MUTOLO. Effettivamente il Fileccia l'ha detto
perché è l'avvocato di Salvatore Riina. Ha girato sempre
intorno all'ambiente mafioso, me lo ricordo da sempre. Certo,
ha dovuto smentire quella notizia perché magari...
  PRESIDENTE. Secondo lei, anche sulla base dei vostri
criteri, che tipo di messaggio voleva dare?
  GASPARE MUTOLO. Voleva dare qualche segnale a qualcuno,
dire che lui è là e se vuole può colpire; non è che è
all'estero, è come morto.
  PRESIDENTE. Come eravate riusciti a sapere che
Scopelliti stava leggendo le carte del processo?
  GASPARE MUTOLO. Io l'ho saputo da altri detenuti; non so
se questi l'hanno saputo dagli avvocati o da qualche giudice
che l'ha fatto poi sapere a qualche avvocato. Non posso essere
più preciso.
  PRESIDENTE. Scopelliti fu ucciso da Cosa nostra o dalla
'ndrangheta?
  GASPARE MUTOLO. No, per quello che mi risulta è stato
ucciso dalla 'ndrangheta.
  PRESIDENTE. Su richiesta di Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Questo è possibile?
                        Pag. 1320
  GASPARE MUTOLO. E' possibile; è una questione di cortesia.
  PRESIDENTE. E' una questione di cortesia!
  GASPARE MUTOLO. Sì, anche perché si è saputo - ho
parlato con un calabrese - che in quel periodo, siccome
c'erano tutti questi clan della 'ndrangheta nel reggino che si
combattevano fra loro, c'era stata una specie di "paciata";
erano tornati cioè calmi e tranquilli, e questo lo so
attraverso un certo Tonino; ho detto a qualche giudice, quando
ero a Pisa, che si erano serviti dell'intervento dei siciliani
per fare questa "paciata".
  PRESIDENTE. Perché alla fine degli anni ottanta, a
Palermo, vengono uccisi tanti imprenditori, come per esempio
Parisi e più tardi Ranieri?
  GASPARE MUTOLO. Si vede che erano personaggi i quali,
oltre a fare gli appaltatori, avevano interessi nell'opera
pubblica. Quindi, qualche cosa tra questi personaggi che si
accaparrano le opere pubbliche sicuramente...
  PRESIDENTE. Non vi siete mai chiesti come mai in quel
periodo venivano uccisi tutti questi imprenditori?
  GASPARE MUTOLO. Quando viene ucciso un imprenditore,
sappiamo che la linea di fondo della mafia è che per uccidere
c'è un motivo. La mafia non si sogna da un giorno all'altro di
uccidere un imprenditore, specialmente se non è in contatto.
La disgrazia di un personaggio, la morte di un imprenditore è
dovuta a certe lamentele tra le persone che gestiscono appalti
pubblici. Per esempio, se qualche persona dà fastidio e
l'altra si lamenta con le persone vicine, poi quelle, a titolo
di favore... Non sono i personaggi che dicono di uccidere, no!
Dicono: quello non ci fa vivere più, quello... Sono messaggi
che...
  PRESIDENTE. Perché fu ucciso Giovanni Bontate?
  GASPARE MUTOLO. Giovanni Bontate è stato ucciso
principalmente perché era una persona scomoda, in quanto
fratello di Stefano e, quindi, poteva avere nel tempo il
carisma e la capacità di raggruppare persone per fare qualche
azione contro quelli che gli avevano ucciso il fratello.
  PRESIDENTE. Dopo che fu ucciso il bambino Claudio
Domino, durante il maxiprocesso Giovanni Bontate lesse un
documento; la lettura di tale documento fu in qualche modo
criticata al vostro interno?
  GASPARE MUTOLO. E' stata un po' criticata e un po'
giustificata, perché Giovanni Bontate si era consigliato con
qualche persona prima di leggerlo. Altri l'hanno criticato
perché lui, nel leggere quel messaggio, in qualche modo aveva
fatto capire che Cosa nostra (noi tutti ci chiedevamo che
cos'è Cosa nostra, chi è il mafioso?) aveva voluto dare una
paternità a delle persone che non avevano commesso quel reato.
  PRESIDENTE. Questa può essere una delle ragioni del suo
omicidio, oppure no?
  GASPARE MUTOLO. No, no.
  PRESIDENTE. Cosa nostra si avvale mai di anonimi, di
lettere anonime, se vuole screditare una persona?
  GASPARE MUTOLO. Questo concetto non rientra nella mia
mentalità; le lettere anonime le abbiamo sempre considerate
come un atto non buono, da personaggi...
  PRESIDENTE. Se per esempio dovete attaccare un politico,
un giudice che vi dà fastidio e screditarlo, può contribuire
ad isolarlo l'invio di lettere anonime ai giornali, dicendo di
questa persona determinate cose?
  GASPARE MUTOLO. Si sa che un giudice viene criticato
quando arriva
                        Pag. 1321
qualche telefonata o lettera anonima, però di solito la mafia
non fa queste cose.
  PRESIDENTE. Quando ci fu l'attentato all'Addaura contro
il dottor Falcone vi siete chiesti chi l'aveva preparato?
  GASPARE MUTOLO. No, in quel periodo io ero a Gavorrano;
non è stato un...
  PRESIDENTE. L'Addaura in quale territorio rientrava?
  GASPARE MUTOLO. Nel territorio di Partanna Mondello.
  PRESIDENTE. Quindi, nel suo!
  GASPARE MUTOLO. Però in quel periodo c'era già, come
capo mandamento, Salvatore Gambino, molto legato a Salvatore
Riina.
  PRESIDENTE. Il colonnello Russo da chi fu ucciso?
  GASPARE MUTOLO. Da Bagarella, da Greco "scarpa"...
  PRESIDENTE. Bagarella era quell'uomo con gli occhiali
scuri?
  GASPARE MUTOLO. Sì, il cognato di Salvatore Riina.
  PRESIDENTE. Le ho rivolto questa domanda perché sotto il
corpo del colonnello Russo è stato rinvenuto un paio di
occhiali.
   Le è mai capitato in carcere di parlare dell'inchiesta
avviata dalla procura di Palmi sui rapporti mafia-massoneria?
  GASPARE MUTOLO. No.
  PRESIDENTE. Che giudizio dava Cosa nostra dell'alto
commissario De Francesco?
  GASPARE MUTOLO. L'alto commissario e le inchieste
parlamentari che si sono succedute non spaventavano tanto i
mafiosi, perché erano orientative e non si fondavano su basi
precise; anzi, si pensava che più organi c'erano, più
confusione si faceva.
  PRESIDENTE. Questo giudizio riguardava anche De
Francesco quando era alto commissario antimafia?
  GASPARE MUTOLO. Non so se c'era De Francesco o altri...
  PRESIDENTE. Ho capito, non vi siete posti il problema.
  GASPARE MUTOLO. Non erano problemi che impensierivano
Cosa nostra; né l'alto commissario né altri, anche perché le
azioni contro la mafia da parte di questi alti commissari non
erano avvertite.
  PRESIDENTE. Ma dopo il 1982 molti di voi - Greco, Calò -
vennero arrestati.
  GASPARE MUTOLO. Ma sono stati arrestati soprattutto
perché avevano mandati di cattura del 1982, non perché erano
nate nuove indagini.
  PRESIDENTE. Esistevano rapporti con i trafficanti di
droga calabresi?
  GASPARE MUTOLO. Questo interscambio a volte succede...
  PRESIDENTE. Chi erano i trafficanti di droga calabresi?
  GASPARE MUTOLO. Di preciso non lo so; posso parlare del
traffico di sigarette: per esempio, scaricavamo delle navi in
Calabria, appoggiati dai calabresi; però, essendo in carcere,
ho avuto modo di sapere che molti personaggi in Calabria
trattano la cocaina e l'eroina.
  PRESIDENTE. Chi sono questi personaggi?
  GASPARE MUTOLO. Quella persona di cui ora mi ricordo il
nome, anche perché sono un po' stanco, abita ad Africo Nuovo,
un calabrese molto importante; so
                        Pag. 1322
che là è un punto di riferimento dove si trova sempre eroina
e cocaina.
  PRESIDENTE. Poiché dobbiamo trattare una questione
delicata, propongo di passare in seduta segreta.
  (La Commissione procede in seduta segreta).
  PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta
pubblica.
   Ha mai conosciuto gli imprenditori Sansone?
  GASPARE MUTOLO. Gli imprenditori Sansone di Palermo?
  PRESIDENTE. Sì.
  GASPARE MUTOLO. Conosco i Sansone, però non so se sono
diventati imprenditori; se sono quelli di Passo di Rigano, li
conosco.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare dei rapporti tra Cosa
nostra e l'onorevole Gunnella?
  GASPARE MUTOLO. Stando a quanto si sentiva dire quando è
stato ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa,
l'onorevole Gunnella diceva in televisione che era in guerra
con la mafia e noi commentavamo un pochettino che anche
all'onorevole Gunnella c'erano delle persone che gli stavano
bene. A che livello non lo so.
  PRESIDENTE. Che vuol dire? C'erano dei rapporti, cioè,
tra alcuni esponenti di Cosa nostra e l'onorevole Gunnella,
questo vuol dire?
  GASPARE MUTOLO. Sissignore.
  PRESIDENTE. Il fratello di Lima era direttore
amministrativo dell'ospedale...
  GASPARE MUTOLO. Non lo conosco e non ne ho sentito mai
parlare.
  PRESIDENTE. Un deputato vuol sapere se il rapporto con
l'amministrazione comunale passasse solo attraverso Lima e
Ciancimino o anche attraverso altri uomini politici.
  GASPARE MUTOLO. Non conosco i contatti, ma certamente
esistevano altri contatti a qualsiasi livello.
  PRESIDENTE. Quelli di cui si parlava erano quei due?
  GASPARE MUTOLO. Quei due mi sono rimasti in mente perché
erano i personaggi più importanti. Però anche tutti gli altri
amministratori...
  PRESIDENTE. Ci sono varie campagne elettorali a Palermo
e in Sicilia: ricorda quali candidati ha sostenuto lei o le
hanno detto di sostenere nella sua zona?
  GASPARE MUTOLO. Posso dire che una volta ho detto alla
mia famiglia di votare il socialismo e per Martelli; tutte le
altre volte ho detto sempre a mia moglie di votare DC e lo
stesso ai miei familiari.
  PRESIDENTE. Ma dicendo anche chi della DC o no?
  GASPARE MUTOLO. Quando abbiamo i facsimile, abbiamo
anche le crocette come indicazione. Se ci dicono il nome con
facilità non...
  PRESIDENTE. Ci sono i nomi sui...
  GASPARE MUTOLO. Ci sono anche i nominativi, sissignore.
  PRESIDENTE. La scelta di votare partito socialista,
allora, fu una scelta spontanea di Cosa nostra o contrattata
col partito?
  GASPARE MUTOLO. Per quanto mi risulta ed in base alle
mie deduzioni posso dire che, anche se vi fu molta
                        Pag. 1323
discussione, è stata una scelta presa perché si votava per
una giustizia più giusta e in quel momento era conveniente.
  PRESIDENTE. Era utile, certo.
   Di Flavio Carboni e degli investimenti in Sardegna lei ha
detto che c'erano degli investimenti immobiliari: Flavio
Carboni era il tramite, uno dei tramiti di questi
investimenti?
  GASPARE MUTOLO. Sì, con Spataro, con Calò.
  PRESIDENTE. Poiché lei, quando io ho chiesto chi fosse
il riferimento romano dell'onorevole Lima, non ha fatto nomi
ed ha detto che si faceva un nome abbastanza insistentemente
in giro, un deputato vuol sapere se si faceva il nome del
capocorrente nazionale di Lima.
  GASPARE MUTOLO. Questo non lo posso dire. Posso dire
soltanto che Lima - stando almeno a quanto sentivo dire -
andava a Roma da personaggi che erano della sua corrente e la
corrente era andreottiana. Però io non posso dire...
  PRESIDENTE. In quale occasione ed a quale proposito si
parlava di questo lavoro che faceva Lima venendo a Roma?
  GASPARE MUTOLO. Mentre c'era il maxiprocesso.
  PRESIDENTE. Era sempre questione di processi o anche
questione di investimenti, di spese per la Sicilia, per
Palermo?
  GASPARE MUTOLO. No, il discorso ha preso corpo quando
eravamo in un bel numero di personaggi ad essere in galera. Si
parlava e queste persone prendevano tempo dicendo: "Tra due
anni le cose cambiano, fra diciotto mesi le cose cambiano".
Insomma, prendevano tempo.
  PRESIDENTE. E' possibile che un collaboratore della
giustizia, dicendo una serie di verità, utilizzi però questo
suo ruolo anche per accusare ingiustamente i suoi avversari e
i suoi nemici dentro Cosa nostra?
  GASPARE MUTOLO. Non lo so. Io almeno di questi rancori
non ne ho. E' un problema accertarlo. Dipende dal tipo di
cultura e di intelligenza del collaboratore: se il
collaboratore si fa prendere perché magari ha dei morti in
famiglia... Ma non è che lo faccia per cattiveria. Uno non può
odiare personalmente tutte le persone. Uno odia Cosa nostra
perché qualsiasi persona anche buona, facendo parte di Cosa
nostra, è un cattivo, quindi, se si convince...
  PRESIDENTE. Questo può indurre anche a dire una bugia, a
dire il falso?
  GASPARE MUTOLO. Bugia no. Uno si può convincere, sapendo
che in una certa borgata comanda una tale persona, pur non
essendoci le prove, in maniera tranquilla e pacifica che è
stata quella persona, anche se non può provarlo. Se però sa
che una certa persona non c'entra niente, il collaboratore non
ha alcun interesse ad indicarla.
  PRESIDENTE. I gruppi di fuoco che funzione hanno?
  GASPARE MUTOLO. Periodicamente, a seconda
dell'importanza delle famiglie e delle alleanze che hanno in
Cosa nostra, i gruppi di fuoco variano; non sono sempre gli
stessi.
  PRESIDENTE. Si può dare un colpo molto duro a Cosa
nostra colpendo i gruppi di fuoco?
                        Pag. 1324
  GASPARE MUTOLO. Secondo me, l'unica cosa che
effettivamente si potrebbe fare per colpire in una maniera
molto forte la mafia è non tanto concentrarsi su persone già
note e latitanti, che sono difficili a prendersi, ma cercare
di colpire in ogni modo questi collaboratori, questi affiliati
di Cosa nostra che rappresentano un rinnovamento sempre pronto
per la mafia. Per fare questo ci vuole la collaborazione degli
industriali e dei commercianti di Palermo. Bisogna fare opera
di persuasione nei confronti di questi personaggi importanti
di Palermo, che cacciano tanti soldi e vivono nella paura di
essere uccisi se non fanno quello che gli dice la mafia.
Queste persone sono in grado periodicamente di indicare le
persone che vanno a riscuotere le tangenti, in modo che con
una scusa la polizia, sotto forma di associazione o di altro,
spazzi via questo vivaio di persone.
   Fin quando non si riesce a far capire questo discorso a
questi uomini tranquilli, pacifici e laboriosi che lavorano in
Sicilia ed hanno questo problema (perché per loro è un
problema essere sia dalla parte dei giudici sia da quella dei
mafiosi), la mafia avrà purtroppo sempre un certo ricambio di
persone, potendo inserire in qualsiasi momento 20, 30, 50, 100
persone. Se invece c'è la collaborazione di questi personaggi,
poiché quelli che ruotano in questo giro sono per la maggior
parte puliti... Io posso andarci una volta da un costruttore o
da un imprenditore che già mi conosce: ci vado con un mio
amico e gli dico: "Ogni mese viene lui a riscuotere". Quindi è
lui che deve essere eliminato.
   Però nella città di Palermo ruotano minimo cento persone
che fanno questo lavoro e, se si pensa che esso si svolge tre
o quattro volte l'anno, già si tratta di tre o quattrocento
persone affiliate. E sarebbe opportuno che prendesse corpo la
consapevolezza che anche essere affiliati è un pericolo. Non
deve essere soltanto un pericolo per il mafioso, perché con
l'andare del tempo ci saranno molti mafiosi che non
presenteranno più nessuno. E saranno conosciuti da quelli che
appartengono alla famiglia.
  PRESIDENTE. Abbiamo terminato. La ringraziamo molto: lei
ha collaborato con noi per circa dieci ore. Ha qualcosa da
dire alla Commissione? Vuole aggiungere una dichiarazione?
  GASPARE MUTOLO. Ringrazio lei e tutta la Commissione per
avermi fatto parlare così tranquillamente, anche se non mi so
esprimere tanto bene. Spero che, dopo quello che ho fatto,
altri collaboratori seguano il mio esempio e dicano tutto
quello che hanno fatto. A me non interessa di stare in galera
o in uno scantinato con altre dieci persone; quello che a me,
come ad altre persone, interessa è che lo Stato effettivamente
aiuti i nostri figli ad avere un avvenire, non attraverso
l'assistenza ma con una professione, con un posto. Noi
collaboratori, anche se siamo considerati pestiferi, tutti i
sacrifici che abbiamo fatto li abbiamo fatti per i figli e
nella nostra decisione di collaborare vi è il desiderio di far
avere loro un avvenire, certamente con l'aiuto del Governo.
   Non è vero che un collaboratore può avere interesse a
parlare male di un politico, di un magistrato o di un
poliziotto; in me, e credo anche negli altri, non ci può
essere un risentimento verso qualsiasi persona. Ho fatto il
delinquente per cinquant'anni e, se lo Stato avesse dovuto
punirmi per tutto quello che ho fatto, avrebbe dovuto darmi
tremila anni di carcere! Ho pagato quello che pagato e, in
confronto con quello ho fatto, me la sono cavata sempre bene.
A chi non si rende conto delle ramificazioni della mafia può
sembrare assurdo che un magistrato od un politico possa avere
contatti con i mafiosi, però bisogna tener presente che la
mafia fino a quindici anni fa non era guardata come la mafia
di oggi. A Palermo qualsiasi persona, quando
                        Pag. 1325
aveva a che fare con un mafioso, aveva un senso di rispetto e
di ossequio; questo cambiamento lo ha prodotto Totò Riina con
i corleonesi ed io spero di potermi andare a prendere un
gelato a Mondello tranquillo e pacifico senza che nessuno
venga e mi tiri un colpo in testa.
  PRESIDENTE. Grazie di nuovo e grazie anche alle persone
che l'accompagnano.
  (Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene
accompagnato fuori dall'aula).
  Dobbiamo decidere se rendere o meno pubblica la seduta,
eliminando anche il nome del trafficante di droga calabrese,
perché non so se su di esso vi siano indagini.
  ALFREDO BIONDI. Sono anch'io in linea di massima
favorevole alla pubblicazione di quello che è avvenuto. Mi
chiedo, sul piano del mio noto garantismo, se sia giusto che,
mentre pende una procedura che riguarda Contrada, cioè la
persona di cui il pentito ha parlato con maggiore frequenza
anche in relazione alle domande che gli sono state rivolte, si
rendano note dichiarazioni attinenti ad un'istruttoria ancora
in corso, che può avere riflessi sulle valutazioni e sui
diritti della difesa e dell'accusa in relazione ad ulteriori
notizie che dessimo di quello che è stato dichiarato. Mi
chiedo se ciò sia opportuno, tenuto conto che è in corso un
procedimento ancora in fase istruttoria; è un dubbio che pongo
a voce alta in relazione all'imperativo della mia coscienza,
che mi pone sempre i problemi dal punto di vista degli altri e
non del mio o dei miei interessi politici.
  PRESIDENTE. Onorevole Biondi, se non sbaglio la sua
proposta sarebbe di stralciare anche questa parte?
  ALFREDO BIONDI. E' di stralciare tutta la parte che si
riferisce alle dichiarazioni su Contrada.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Comprendo la preoccupazione del
collega Biondi, alla quale ne aggiungo un'altra. Se decidiamo
di non consentire la pubblicità delle dichiarazioni di Mutolo
su questa vicenda, certamente vi saranno dichiarazioni che in
parte riferiranno questa storia in maniera alterata e quindi
sarà molto peggio. Purtroppo, non vi è la possibilità di
evitarlo.
  ANTONIO BARGONE. Vorrei aggiungere a quanto ha detto
l'onorevole Imposimato che non mi pare che Mutolo abbia detto
cose diverse da quelle che risultano a verbale. Comprendo la
preoccupazione dell'onorevole Biondi ma mi pare che le
dichiarazioni di questa sera - credo possa confortarmi il
giudizio di altri colleghi - siano state già fatte al
magistrato e quindi risultino a verbale. Non credo che ciò
possa aggiungere o togliere qualcosa alle indagini.
  PRESIDENTE. Inevitabilmente ci siamo occupati di una
serie di questioni sulle quali vi è un processo penale in
corso, come nel caso dell'assassinio di Lima. Dal punto di
vista astratto, pertanto, il problema si pone negli stessi
termini sia per gli uni sia per gli altri. Non so cosa ne
pensi il collega Biondi.
  ALFREDO BIONDI. Ho espresso una mia preoccupazione,
forse per deformazione professionale. Vi sono cose che
fuoriescono e che lasciano un alone su cui la valutazione dei
fatti, che invece è rigorosamente ancorata al valore
probatorio di alcuni accertamenti ancora in corso, può essere
un elemento che pregiudica nel senso letterale del termine,
cioè stabilisce un giudizio anticipato. Poiché su questo ho
una mia vecchia filosofia, mantengo la mia posizione; però, se
i colleghi preferiscono
                        Pag. 1326
la pubblicizzazione, mi rimetto alla loro valutazione.
  ALTERO MATTEOLI. Capisco la preoccupazione del collega
Biondi, ma le cose che Mutolo ha detto sono già state
pubblicate su tutti i giornali.
  PRESIDENTE. Dobbiamo ora decidere, come abbiamo previsto
all'inizio, se rendere pubblica quest'audizione.
   Pongo in votazione la proposta di rendere pubblica
l'audizione testé terminata, ad eccezione delle parti che la
Commissione ha già stabilito di mantenere segrete.
   (E' approvata)
La seduta termina alle 19,35.

 


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