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Violante: seduta 24
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                         Pag. 877
SEGUITO DELL'AUDIZIONE DEL PREFETTO VINCENZO
                PARISI, CAPO DELLA POLIZIA
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Seguito dell'audizione del prefetto Vincenzo
Parisi, capo della polizia:
Violante Luciano, Presidente ................. 879, 881, 888
                 889, 891, 892, 898, 901, 902, 908, 909, 913
Acciaro Giovanni Carlo ............................ 907, 908
Biscardi Luigi ......................................... 900
Boso Enzo .................................... 902, 909, 910
Brutti Massimo ......................................... 898
Cappuzzo Umberto ....................................... 904
Cutrera Achille ........................................ 906
D'Amato Carlo .......................................... 907
D'Amelio Saverio .................................. 904, 913
De Matteo Aldo ......................................... 903
Galasso Alfredo ........................................ 904
Matteoli Altero ................................... 899, 903
Parisi Vincenzo, Capo della polizia .................... 879
                                     881, 888, 889, 891, 892
            899, 900, 901, 902, 906, 908, 909, 910, 911, 913
Riggio Vito ....................................... 899, 900
Sorice Vincenzo ........................................ 908
Tripodi Girolamo ............................. 905, 906, 911
                         Pag. 878
ALLEGATI: documenti consegnati dal prefetto Vincenzo
Parisi nel corso dell'audizione:
Allegato n. 1: dott. Contrada, prefetto De Fran-
cesco................................................... 919
Allegato n. 2: dott. Immordino, fatti di Villalba ...... 927
Allegato n. 3: articolo su "I Siciliani" ............... 941
Allegato n. 4: scheda sull'andamento del fenomeno dei
sequestri di persona a scopo estorsivo ................. 947
Allegato n. 5: Salvatore Amendolito, Oliviero Tognoli .. 955
Allegato n. 6: strategia antimafia  ................... 1011
                         Pag. 879
La seduta comincia alle 15,30.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
   Seguito dell'audizione del prefetto Vincenzo Parisi,
                   capo della polizia.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito
dell'audizione del prefetto Vincenzo Parisi, capo della
polizia. Prima di dare avvio all'audizione, desidero informare
i colleghi che venerdì 5 febbraio si terrà un Forum con
la direzione nazionale antimafia, le direzioni distrettuali
antimafia e la partecipazione del gruppo di lavoro per gli
interventi del CSM nelle zone più colpite dalla criminalità
organizzata. Al Forum, che si terrà presso l'auletta dei
gruppi della Camera con inizio alle 10, interverrà anche il
Presidente della Repubblica.
   I colleghi riceveranno in proposito una comunicazione
scritta, ma era mio desiderio informarli fin d'ora.
   Ringrazio il prefetto Parisi per la sua presenza e gli do
subito la parola per rispondere agli interrogativi rivoltigli
dai colleghi nel corso del nostro precedente incontro.
   Se il prefetto ed i colleghi sono d'accordo, potremmo poi
dedicare alcuni minuti ad eventuali richieste di chiarimento
da parte dei commissari, secondo la procedura che abbiamo già
seguito in occasione dell'audizione del ministro Martelli.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Mi consenta,
signor presidente, di rinnovare innanzitutto il mio saluto a
lei ed agli onorevoli commissari presenti.
   Risponderò per singoli argomenti ai quesiti che mi sono
stati posti durante il precedente incontro, iniziando dal
profilo della carriera del dottor Bruno Contrada, che si è
sviluppata attraverso i seguenti passaggi: nominato vice
commissario in prova con decreto del 16 marzo 1959; nominato
vice commissario effettivo il 1^ ottobre 1959; promosso
commissario aggiunto il 23 giugno 1961; promosso commissario
il 1^ luglio 1964; inquadrato commissario capo il 1^ luglio
1970, per esami; promosso vicequestore aggiunto con decreto
del 28 giugno 1973; promosso vicequestore, ruolo ad
esaurimento, con decreto dell'11 settembre 1973; inquadrato
nella qualifica di primo dirigente il 1^ luglio 1975; cessato
dall'amministrazione della pubblica sicurezza, per
trasferimento nella consistenza organica della Presidenza del
Consiglio dei ministri, con decreto del 27 gennaio 1982;
rientrato in amministrazione con decreto del 13 agosto 1985 e
contestualmente collocato in posizione di fuori ruolo al
SISDE; promosso dirigente superiore con ricostruzione di
carriera il 1^ gennaio 1983; nominato dirigente generale,
continuando a permanere in posizione di fuori ruolo, con
decreto del 22 febbraio 1991; cessato dalla posizione di fuori
ruolo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con
decreto del 13 gennaio 1993. Il funzionario si è classificato
al ventiduesimo posto della graduatoria del concorso a 220
posti di vice commissario in prova.
   Quanto alla carriera, l'excursus non evidenzia
anomalie rispetto alla progressione seguita da altri
funzionari, specialmente se si considera che il suo
inquadramento nella qualifica di commissario capo è scaturito
dal superamento degli
                         Pag. 880
esami di idoneità per la promozione alla qualifica superiore.
   Va altresì considerato che la promozione alla qualifica di
dirigente superiore è avvenuta sulla base di automatismi
stabiliti dalla speciale normativa prevista per i servizi di
informazione. Analoghe sono le valutazioni che hanno
consentito al funzionario di conseguire la nomina a dirigente
generale: in particolare, il predetto risulta essere stato
superato da sei colleghi di corso, tre dei quali hanno
conseguito la nomina a dirigente generale e tre a prefetto
anteriormente al 22 febbraio 1991, data di nomina a dirigente
generale del dottor Contrada. Si soggiunge che numerosi
funzionari, tra cui otto tuttora in servizio, hanno conseguito
la nomina a dirigente generale ovvero a prefetto con
un'anzianità complessiva di servizio inferiore a quella del
dottor Contrada.
   La lettera dell'alto commissario De Francesco, nella quale
vengono espressi giudizi lusinghieri nei confronti del dottor
Contrada nel momento in cui il primo lasciava l'incarico di
alto commissario, è stata acquisita al fascicolo del
dipartimento della pubblica sicurezza riguardante il
funzionario ed indirizzata, naturalmente, al dipartimento.
Risulta inoltre acquisito un altro elogio del dottor De
Francesco a favore del funzionario, anch'esso pervenuto
formalmente agli atti. Queste iniziative appaiono conformi ad
una prassi consolidata dell'amministrazione, in presenza di
valutazioni di merito. Voglio specificare che possono esservi
casi in cui vengono licenziate note di merito e casi in cui,
viceversa, vengono licenziate note di demerito. Mi risulta in
modo certo che il prefetto De Francesco, come altri
funzionari, ha proceduto non solo in casi eccezionali, ma
abbastanza frequentemente, a riconoscimenti di questo genere:
direi quasi che rientra nel costume di un buon capo ufficio
ringraziare e lasciare un segno di gratitudine e di
apprezzamento per quanti hanno collaborato.
   Consegno agli atti della Commissione i documenti su cui mi
sono basato per fornire tali informazioni in merito alla
carriera del dottor Bruno Contrada; lo stesso farà per quanto
riguarda il dottor Immordino.
   Per quanto riguarda quest'ultimo, questi fu promosso
dirigente generale nell'agosto del 1978; dal dicembre 1979
ricoprì la carica di questore di Palermo; collocato a riposo
per raggiunti limiti di età il 1^ giugno 1980 è deceduto il 20
aprile 1992.
   La carriera del dottor Immordino si era sviluppata
attraverso questi passaggi: nominato volontario vice
commissario aggiunto il 1^ agosto 1943, assunto effettivamente
in servizio il 14 novembre 1944 (ritardo determinato dalle
vicende belliche); nominato vice commissario aggiunto il 9
maggio 1945; promosso vice commissario il 18 maggio 1946;
promosso commissario aggiunto il 1^ agosto 1948; inquadrato
commissario con decreto 1^ luglio 1956, con effetti giuridici
ed economici retrodatati al 16 settembre 1955; promosso
commissario capo il 1^ gennaio 1960; vice questore il 1^
gennaio 1966 (vincitore di concorso speciale); inquadrato
primo dirigente con decreto del 1^ luglio 1971; promosso
dirigente superiore il 1^ febbraio 1973; nominato dirigente
generale il 4 agosto 1978.
   Vengo ora ai fatti di Villalba. Dal rapporto della
compagnia carabinieri esterna di Caltanissetta del 29
settembre 1944 risulta che la mattina del 16 settembre 1944
alcuni attivisti della sezione di Villalba del partito
comunista italiano, mentre erano intenti a scrivere sui muri i
simboli del partito, venivano interrotti in tale attività da
un gruppo di persone, inviate dal sindaco separatista avvocato
Farina, che si accingevano a cancellare le scritte comuniste.
Il dottor Immordino, mentre si trovava in campagna, avvertito
di quanto stava accadendo in paese, si portava sul posto e,
accertati i fatti, si recava dal sindaco dove aveva un
diverbio con altri rappresentanti del partito separatista. La
discussione si fece sempre più violenta fin tanto che si passò
a vie di fatto. Tale clima rimase acceso anche nel pomeriggio.
Durante il comizio socialcomunista ci furono altri disordini
con uso di armi da fuoco e lancio di bombe a mano, nel corso
dei quali rimasero ferite alcune persone, tra cui il
                         Pag. 881
dottor Immordino, che riportò lesioni guaribili in giorni
quindici salvo complicazioni, come risulta dal referto medico
dell'ospedale di Caltanissetta dello stesso giorno 16
settembre 1944.
  La vicenda fu caratterizzata da un accanito diverbio tra
l'oratore Li Causi e Calogero Vizzini esponente il primo di
sinistra, il secondo del partito separatista. L'episodio di
Villalba, comunque antecedente all'effettiva immissione in
servizio del dottor Immordino del 14 novembre 1944, originò un
procedimento penale che, per legittima suspicione, si svolse
presso la corte di assise di Cosenza contro Calogero Vizzini
ed altri e nel quale il dottor Immordino venne citato come
parte lesa.
  L'udienza si tenne il 15 novembre 1949; il procedimento di
appello si svolse presso la corte di appello di Catanzaro nel
1954. Il dottor Immordino fu citato anche in questo
procedimento ma non comparve.
  PRESIDENTE. Vizzini, il capomafia?
  VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Calogero
Vizzini, noto capomafia.
  L'onorevole Borghezio ha posto un quesito avente ad oggetto
una lettera da me scritta e firmata in qualità di direttore
del SISDE il 6 novembre 1985, relativa all'articolo pubblicato
sul numero 31 del novembre 1985 del settimanale I
siciliani. L'onorevole Borghezio ha posto quesiti in merito
ai contenuti della lettera che indirizzai nella veste di
direttore del SISDE il 6 novembre 1985 al dipartimento della
pubblica sicurezza, ai comandi generali dell'Arma dei
carabinieri e della Guardia di finanza e per conoscenza al
gabinetto dell'onorevole ministro, al CESIS e all'Alto
commissario relativamente all'articolo pubblicato sul numero
31 del novembre 1985 del settimanale I siciliani.
  Nel contesto di detto articolo venivano attribuite
responsabilità di collusione del dottor Contrada, capo di
gabinetto dell'alto commissario, con ambienti mafiosi. In
ordine ai cennati addebiti, ebbi a richiamare l'attenzione
degli uffici e comandi sopra citati comunicando nel contempo
quanto risultava al servizio sul conto del citato funzionario,
ravvisando, in mancanza di elementi di segno contrario, che le
notizie riportate, ancorché provenienti da una testata di
grande rispetto e onorata dalla firma di uomini illustri,
potevano provenire da fonti che perseguivano intendimenti
disinformativi e che pertanto lasciavano spazi interpretativi,
per non escludere pericoli per l'incolumità fisica del
funzionario. Tale punto di vista trova un logico riscontro in
quanto dichiarato nell'audizione del 26 gennaio sui motivi che
mi fecero destinare il dottor Contrada a servizi non operativi
trasferendolo a Roma quando il 31 dicembre 1985, disimpegnato
dall'ufficio di capo di gabinetto dell'alto commissario, venne
a trovarsi a disposizione del SISDE.
  A seguito della pubblicazione dell'articolo non mancarono
tuttavia i necessari accertamenti per fugare le perplessità
configurate sul comportamento del funzionario. Al riguardo
esibisco anche una lettera dell'attuale direttore del SISDE,
dato che sull'argomento risulta che sono stati interessati a
suo tempo i centri di Palermo e Catania con esito negativo.
Consegno anche un appunto del direttore centrale della
Criminalpol nel quale si fa presente come il nome del dottor
Contrada non era apparso nel corso dell'inchiesta. Vi è anche
una lettera del segretario del CESIS che è di eguale
contenuto. Mi permetto di porre anche questa lettera a
disposizione documentale della Commissione.
  Vengo ora agli aspetti riguardanti la tutela
dell'istituzione. In merito alla richiesta avanzata circa la
posizione che l'amministrazione assume rispetto al personale,
desidero chiarire che la tutela e l'autotutela del
dipartimento della pubblica sicurezza e del personale da esso
dipendente, si dipana lungo canoni morali, etici e
deontologici a loro volta suffragati da specifici riferimenti
giuridici ed amministrativi di sustegno, tutti convergenti
nello scopo primario di far sì che
                         Pag. 882
i comportamenti singoli e di struttura siano conformi sia
formalmente sia sostanzialmente ai parametri ritenuti consoni
a quel che l'istituzione rappresenta ed è nell'ambito della
nostra società.
  Varie e diversificate sono le metodologie da ciascuno
seguite per il raggiungimento dello scopo, in un insieme che
già gode di ogni predisposizione normativa, amministrativa,
organizzativa, logistica ed operativa per conseguire quelle
sinergie - soprattutto preventive, ma certo anche repressive -
idonee al raggiungimento dell'obiettivo primario sopra
indicato che, in definitiva, rappresenta precipuo proposito
istituzionale e statuale.
  Per quanto mi riguarda - acquisiti tutti i parametri
favorevoli sopra indicati, svolte tutte le iniziative di mia
competenza, dispiegati gli impulsi, il coordinamento, il
controllo degli stessi per il tramite di un'azione preventiva
incisiva, costante e notoriamente non commensurabile in
termini quantificabili - sento di poter affermare, con ogni
serenità e con piena consapevolezza del dovere compiuto, i
risultati raggiunti che si pongono quale componente di
accettabilità in ordine sia alla diversa graduazione delle
singole mancanze (per lo più, inosservanza di obblighi
regolamentari attinenti al servizio ed alla condotta) sia
all'entità numerica delle stesse.
  Tali entità numeriche non possono sottovalutare il
riferimento di base, che è quello di una forza effettivamente
presente pari a circa 100 mila unità, con incidenza
percentuale che, se da un lato si presenta contenuta e men che
fisiologica, dall'altro esprime l'intendimento fermo e
determinato di limitare al massimo ogni comportamento in
contrasto con la legge e i regolamenti, al solo scopo del bene
dell'istituzione.
  Naturalmente il riferimento alle mancanze disciplinari
costituisce un solo aspetto della problematica, mentre non
sono di lieve momento i 20 caduti, i 1.687 feriti, i 46
invalidi per servizio della polizia di Stato nel solo 1992, le
migliaia e migliaia di ricompense al valore e di attestati
attribuiti nello stesso anno ai singoli appartenenti per
comportamenti eccezionali, tra i quali spiccano le otto
medaglie d'oro concesse agli agenti della scorta dei compianti
giudici Falcone e Borsellino e i ben tre riconoscimenti di
medaglia d'oro alla bandiera nel periodo del mio mandato.
  Tutti questi elementi si inseriscono in un quadro di
fortissima tensione ideale del personale chiamato a vivere ed
operare nella trasparenza dei comportamenti, permeandosi
sempre più nei concetti di libertà, di democrazia, di
responsabilità verso se stessi e il cittadino, concetti da me
fortemente profusi in ogni occasione di intervento prolusivo
ed esortativo verso i dipendenti, compendio di un sessennio di
mandato proprio ieri conclusosi.
  Non vanno infine sottaciuti due importantissimi parametri
che riguardano, per un verso, le qualità precipue della quasi
totalità del personale appartenente alla polizia di Stato -
ufficiali e agenti di pubblica sicurezza e di polizia
giudiziaria - e, per altro verso, la presenza consolidata,
importante, ramificata di più organizzazioni sindacali che
responsabilmente e costruttivamente, operano in tutte le
strutture di polizia al fine del bene dell'organismo; elementi
questi che mi sembrano di particolare rilievo e spessore sulla
tematica della vigilanza realizzata con quotidianità e
costanza nell'ambito dell'istituzione.
  Sono stati inoltre richiesti chiarimenti circa le norme in
tema di informatori e pentiti. Desidero aggiungere alcune
brevi considerazioni sull'argomento degli apporti informativi
di natura confidenziale alla polizia giudiziaria, dopo il
cenno fattone nell'audizione del 26 gennaio scorso, con
riferimento ai rischi della "gestione" delle cosiddette "fonti
fiduciarie" ed ai profili di positività raggiunti con la
recente normativa sul pentitismo.
  Attraverso gli "informatori" (tali sovente per motivi di
lucro o diverse - non sempre commendevoli - ragioni) si
acquisivano notizie ritenute in qualche modo socialmente
proficue per la repressione
                         Pag. 883
 dei delitti. Così la figura della "fonte confidenziale" era
riconosciuta e legittimata nelle precedenti edizioni del
codice di procedura penale ed i contributi di tale origine
trovano schematica disciplina anche nel nuovo codice. Si verte
intuibilmente in materia molto delicata, affidata a regole
empiriche di esperienza investigativa, con inconvenienti
scaturenti da un rapporto bilaterale mantenuto all'ombra
dell'anonimo, che ha talvolta comportato, per gli operatori
delle forze dell'ordine, sospetti di connivenza e in casi
limite perfino coinvolgimenti in sede giudiziaria.
   Per compensare gli "informatori" erano disponibili alle
soglie degli anni ottanta contenute cifre stanziate nel
bilancio dello Stato (circa 450 milioni) e ciò implicava che,
in via complementare o sostitutiva, si attivassero leciti
poteri discrezionali di polizia in loro favore. Che si
trattasse di problema complesso e assai responsabilizzante
specie dovendosi investigare in ambienti mafiosi, risulta
dagli atti (pagg. 1.417 e seguenti) della Commissione
parlamentare di inchiesta Pafundi nella V legislatura.
L'insieme delle potenzialità di equivoco, delle incertezze e
difficoltà del ricorso alle "fonti confidenziali" ha indotto
giustamente il Parlamento a privilegiare la linea del
"pentitismo", che offre indubbie maggiori garanzie di
oggettività dei sostegni al corso della giustizia e di precisi
controlli sulla relativa "gestione", che pure necessita di
prudenti quanto attente verifiche.
   Una riprova dell'evoluzione dal supporto operativo
dell'"informatore" di polizia a quello tipico del
"collaboratore della giustizia" si ha constatando che sono
stanziati in bilancio fondi per spese di carattere riservato
sia per l'ordinaria attività di polizia sia per la prevenzione
e repressione del traffico di droga (per queste ultime è
conferita delega al direttore centrale dei servizi antidroga.
Le pertinenti erogazioni sono effettuate sulla scorta di
precise regole e tabelle ed in proporzione all'importanza
delle operazioni concluse positivamente e alla qualità e
quantità degli stupefacenti dei quali si perviene al
sequestro. Analogamente si procede per remunerare quanti
agevolano la cattura dei latitanti di più elevato livello di
pericolosità.
   Ai "pentiti" lo Stato garantisce oggi uno "speciale
programma di protezione", sostenuto da controllati contributi
finanziari tratti dall'attuale stanziamento di 12 miliardi di
lire per la tutela e l'assistenza, estese ai loro conviventi e
familiari. Su tali particolari profili dell'attività di
polizia è previsto il controllo politico del signor ministro
dell'interno.
   Per quel che riguarda i sequestri di persona, è stato
predisposto un documento articolato e molto significativo -
che consegno alla Commissione - che dà un quadro esauriente
della situazione dal 1969 ad oggi; cioè della storia dei 650
sequestri consumati in Italia, che in alcuni periodi - nel
1977 ve ne sono stati addirittura 75 - hanno impegnato più
regioni. E' la storia di un fenomeno tormentato rispetto al
quale vi è stato un impegno straordinario sia nella
prevenzione sia nell'azione di contrasto ed anche l'intervento
del legislatore è certamente servito ad attenuare le tensioni
e ad agevolare le soluzioni. L'anno scorso abbiamo avuto 7
sequestri, vale a dire un numero veramente ridotto rispetto a
quello degli anni precedenti. Le soluzioni sono state tutte
favorevoli, meno quella del caso Carugo, sequestrato a Milano,
nell'ambito del quale c'era un'azione di pressione di amici,
detto tra virgolette.
   Affido alla loro lettura il documento per ogni puntuale
ricognizione di quella che è stata la storia del fenomeno e
l'azione portata avanti dai ministri dell'interno,
dall'amministrazione e dalle forze dell'ordine. Desidero
comunque rilevare che, con riferimento agli anni 1990 e 1991,
bisogna registrare il mancato rilascio di Giancarlo
Conocchiella (Briatico, 18 aprile 1991) e di Pasquale Malgeri
(Grotteria, Reggio Calabria, 7 ottobre 1991). Sono questi casi
che si aggiungono a quelli di Andrea Cortellezzi (Tradate,
Varese, 17 febbraio 1989) e di Vincenzo Medici (Bianco, 21
dicembre 1989).
                         Pag. 884
   La sopravvivenza di tali ostaggi è considerata purtroppo
improbabile sia per il prolungato silenzio dei sequestratori,
sia per l'assoluta improduttività delle ricerche che,
tuttavia, proseguono nella speranza di qualche riscontro
positivo. Sembra, invece, concluso con il decesso della
vittima - e la certezza è quasi assoluta - il sequestro di
Mirella Silocchi, per la convergenza di indicazioni precise a
tale proposito. Ritengo doveroso far presente che, nel periodo
compreso tra il 1^ gennaio 1969 ad oggi, sui 650 sequestri
verificatisi, per 52 persone è mancato il rilascio e di loro
non si sono più avute notizie; per alcune di esse era stato
pagato anche il riscatto.
   Per quanto concerne il rapporto tra criminalità
organizzata, mondo economico e finanziario ed
internazionalizzazione del fenomeno mafioso, nel documento
allegato alla relazione presentata nell'audizione del 26
gennaio ho fornito note di aggiornamento e di valutazione
sull'evoluzione del fenomeno mafioso siciliano. Mi preme
sottolineare, in merito a quanto osservato dal senatore Frasca
e dall'onorevole Tripodi, che il riferimento al cennato
panorama delinquenziale non ha inteso portare in secondo piano
l'interesse e l'attenzione riservati ad altre aree
geografiche, come la Calabria, nelle quali si riscontrano
situazioni permeate anch'esse dai indubbi processi
condizionanti la stabilità della sicurezza pubblica.
   Valutando, pertanto, le frontiere della criminalità in
senso più lato, è dato riscontrare che esse sono segnate in
modo sempre più accentuato dalla crescita economica delle
varie componenti delinquenziali, dalle mire espansionistiche
delle centrali malavitose a radice meridionale, con
riferimento specifico al settore dei traffici di droga ed
all'occupazione di spazi nel mondo degli affari, nonché da
alcune tipologie di delitti, come le estorsioni con
contestuali conflittualità per la conquista indiscussa del
potere mafioso.
   L'ordinato vivere sociale e le regole della stessa
economia legale risultano compromessi in parte dalla capacità
operativa, proiettata anche all'estero, delle organizzazioni
criminali. Queste sono favorite dalle relazioni intessute con
similari gruppi delinquenziali, europei e di altri continenti,
per la gestione coordinata di sicuri canali da utilizzare ai
fini dell'immissione nei rispettivi mercati di consumo delle
sostanze stupefacenti, nonché per le transazioni economiche
finalizzate al riciclaggio di denaro sporco ed alla
sistemazione dei relativi profitti.
   Proprio guardando a queste specifiche attività criminali -
traffico di droga e riciclaggio - non può non essere tenuto in
giusta considerazione l'elemento fondamentale caratterizzante
tali tipologie criminali: l'internazionalità.
L'approvvigionamento degli stupefacenti ha determinato
l'esigenza di instaurare rapporti d'affari con paesi lontani
dal meridione d'Italia. Così abbiamo trovato il noto mafioso -
attualmente detenuto in Italia - Giuseppe Cuffaro, agrigentino
trapiantato in Canada che trattava direttamente con i
produttori di eroina in Thailandia mentre i suoi conti
correnti erano accesi in banche canadesi, svizzere e di
Singapore.
   Inoltre, trafficanti calabresi erano in stretto contatto,
nel milanese, con rappresentanti delle organizzazioni turche
per trattare il rifornimento dell'eroina. In più occasioni,
negli scorsi anni, personaggi di spicco della criminalità
campana, dello spessore di Umberto Ammaturo, Nunzio Guida o di
Antonio Bardellino, sono stati individuati ed arrestati in Sud
America e nell'area dei Caraibi.
   Per dare un segno della stretta connessione che il
traffico della droga ha determinato tra le mafie dei vari
continenti, quasi come dati storici, cito due soli episodi.
Alla fine degli anni ottanta, in Perù a cento chilometri da
Lima, ad Artequita, in un laboratorio per la raffinazione
della cocaina direttamente gestito dalla "mafia colombiana",
furono trovati i maggiori rappresentanti del clan camorristico
di Santa Anastasia. Nel 1983, l'arresto in Thailandia del
cinese Koh Bak Kin fece scoprire uno stretto legame d'affari
tra i "signori della droga" del
                         Pag. 885
"triangolo d'oro" e le famiglie di Cosa nostra di Partanna -
Mondello ed Altofonte.
   Non meno significativi sono i molteplici successi
operativi conseguiti dalle forze di polizia italiane in
collaborazione con quelle di altri paesi nel settore del
riciclaggio. Anzi, questa specifica attività criminale, che
sino agli anni scorsi vedeva collocati in posizione di vertice
gruppi, che oserei definire storici, della criminalità
nostrana come il clan Cuntrera in sud America, Inzerillo negli
Stati Uniti ed il cosiddetto "Siderno group" in Canada,
oggi evidenzia anche una realtà estremamente ramificata e
spesso del tutto innovativa rispetto a quelle già consolidate
nel tempo.
   Il riciclaggio va considerato come un'importante proficua
attività che le stesse organizzazioni criminali non sono più
in grado di gestire se non attraverso un elevato salto di
qualità dei propri quadri direttivi ed appoggiandosi a gruppi
finanziari che operano in maniera spregiudicata. In
un'indagine condotta nel 1990 dalla polizia italiana, in
stretta collaborazione con quella francese, è stato scoperto
che un'organizzazione criminale di tipo mafioso, con una
formazione di base di pregiudicati napoletani, stava portando
avanti un ambizioso progetto nel sud della Francia: ottenere
il controllo di alcuni dei più importanti casinò della Costa
Azzurra ed inserirsi nel circuito imprenditoriale
dell'edilizia e del turismo locale.
   L'iniziativa aveva un duplice scopo: da un lato, riciclare
e reinvestire il proprio capitale illecito e, dall'altro,
costituire una struttura in cui riciclare e reinvestire il
capitale illecito altrui. Buon investimento sarebbe stato
acquistare i casinò e costruire complessi residenziali
alberghieri per sfruttare un turismo abbastanza ampio che
gradisce inserire nel tema vacanze anche le puntate alla
roulette o al tavolo dello chemin de fer. Creata
questa struttura, attraverso gli uffici cassa dei casinò
sarebbe stato possibile riciclare denaro sporco e reinvestire
le somme nelle attività immobiliari.
   Sebbene il denaro provenisse dal mondo della criminalità
organizzata, i personaggi coinvolti nell'indagine risultarono
essere essenzialmente notai, avvocati, commercialisti e
croupier italiani, francesi e monegaschi che poco di
mafioso avevano nei loro curriculum professionale, ma
evidentemente non si erano fatti scrupolo di gestire denaro la
cui provenienza non poteva che apparire sospetta.
   In effetti, l'ampiezza dei fenomeni criminali, la
ricchezza dei mercati, i rivolgimenti politici che hanno
caratterizzato gli ultimi anni, come l'apertura all'est
europeo, non potranno che influenzare in maniera determinante
la geografia mafiosa.
   Per tornare alla vicenda dei casinò francesi prima citata,
posso evidenziare un altro connotato saliente di
quell'indagine. Mentre le trattative per l'acquisto del casinò
di Mentone subivano una battuta d'arresto per problemi
amministrativi, i napoletani coinvolti nell'affare
immediatamente avviarono altri redditizi programmi di
investimento nei paesi dell'est. Furono registrate alcune
conversazioni telefoniche tra Sanremo e la Germania nel corso
delle quali i fratelli Tagliamento progettavano acquisti di
ristoranti e pizzerie a Berlino est e l'acquisizione di
partecipazioni nelle case da gioco iugoslave.
   Il Mercato comune europeo, con la sua apertura all'est,
costituisce probabilmente la maggiore concentrazione di
ricchezza mondiale. Siffatta realtà non può certamente vedere
estranee le varie organizzazioni criminali di tutti i
continenti. Se fino a poco tempo fa era soprattutto l'Italia a
dover segnalare ai paesi della Comunità europea le proiezioni
internazionali della propria criminalità, oggi assistiamo
all'insorgere di altri fenomeni addirittura più preoccupanti.
Ad esempio, la cosiddetta "mafia russa", che tratta anche
materiale radioattivo e quella polacca che sta monopolizzando
il mercato delle auto rubate nel nord Europa. Fenomeni,
questi, che fanno certamente impallidire casi come quello
dell'inserimento
                         Pag. 886
 nell'attività di ristorazione di Amsterdam, accertato lo
scorso anno, da parte del clan camorristico dei La Torre di
Mondragone oppure delle spedizioni di denaro in pacchi postali
che il gruppo Restagno, legato ai Comiso di Gioiosa Jonica,
fece negli anni scorsi verso il Canada e gli Stati Uniti.
   Per dare, in punto di sintesi, concreti elementi di
valutazione sul processo evolutivo della criminalità negli
ultimi anni, possono essere citate due indagini svolte dalla
polizia di Stato, in collaborazione con l'FBI e con la DEA.
Entrambe le operazioni portano nomi americani, quasi ad
emblema della loro internazionalità. La prima sviluppatasi
negli anni 1989-1990, venne chiamata big John; la
seconda, recentissima e conclusasi lo scorso settembre,
green ice. La prima indagine consentì di accertare che
elementi delle famiglie mafiose palermitane, rientranti nella
sfera di influenza dei Madonia di Resuttana, avevano
richiesto, in una serie di incontri tenutisi in Florida e nei
Caraibi con i rappresentanti del "cartello di Medellin", di
acquisire una sorta di controllo di tutta l'importazione della
cocaina, gestendo direttamente le operazioni in Italia e
riservandosi nuovi accordi per un progetto di espansione in
tutta Europa.
   L'operazione green ice vede invece uno scenario
completamente diverso, con schieramenti rovesciati. Ospina
Vargas, capo del "cartello di Pereira" e responsabile della
distribuzione di cocaina per conto anche dei "cartelli di
Medellin e Cali", viene in Italia per sistemare a Roma il suo
collaboratore Villaquiran Josè, uomo di punta della famiglia
Grajales, con l'incarico di responsabile per tutta l'Europa
della cocaina colombiana.
   Gli esempi citati e le analisi fatte in sede di
cooperazione internazionale con le altre polizie europee,
specie quelle francese, tedesca e spagnola, fanno capire che
le realtà locali e tradizionali costituiscono certamente
pericoli concreti per la sicurezza pubblica, ma i grandi
circuiti internazionali delle attività illecite, che si
intrecciano con i paralleli circuiti finanziari nazionali ed
internazionali, rappresentano minacce ben più consistenti.
   Quindi, accanto alla realtà delle famiglie di stampo
mafioso siciliane, calabresi e campane, vi è uno scenario
molto più vasto con presenza di altre consorterie di diversa
estrazione etnica, come quelle di matrice araba, orientale,
sudamericana e dell'est europeo che già sono state e sono
oggetto di approfondite analisi conoscitive e specifiche
iniziative investigative a livello comunitario, avviate grazie
a precisi accordi operativi fra i diversi paesi interessati,
nonché di indagini svolte congiuntamente da investigatori
italiani e statunitensi.
   Di Salvatore Amendolito è tracciata una scheda biografica
che consegno alla Commissione; il soggetto è venuto alla
ribalta negli anni ottanta nel quadro di una complessa
attività investigativa riferita ad organizzazioni di stampo
mafioso operanti negli Stati Uniti ed in Italia. Dai relativi
sviluppi processuali sono scaturite polemiche, alimentate
dall'Amendolito nei confronti della magistratura inquirente,
da cui sono derivate ulteriori inchieste giudiziarie. Nel
1984, a seguito della nota operazione condotta negli Stati
Uniti e denominata pizza connection, l'Amendolito fu
coinvolto nella collaterale inchiesta apertasi in Italia. In
quella circostanza fu colpito da provvedimenti restrittivi
della libertà personale, mandati di cattura emessi
rispettivamente il 22 ed il 28 maggio 1984 dai giudici
istruttori di Palermo e di Roma per associazioni a delinquere
di stampo mafioso e traffico di stupefacenti.
   La posizione dell'Amendolito ebbe a riguardare in
particolare il suo coinvolgimento nelle operazioni di
riciclaggio tra l'organizzazione di stampo mafioso
statunitense implicata nella citata operazione e Cosa nostra
palermitana, con l'intermediazione dell'industriale bresciano
Oliviero Tognoli e del mafioso Leonardo Greco.
   Incardinata la competenza relativa ai procedimenti,
instaurati con l'emissione dei cennati provvedimenti
restrittivi presso la magistratura romana, il
                         Pag. 887
predetto fu condannato l'8 novembre 1985 dal tribunale di Roma
ad anni quattro di reclusione per i menzionati reati; la
sentenza di appello del 27 settembre 1986 confermò la
decisione di primo grado.
   Nei confronti dell'Amendolito, arrestato in Svizzera il 12
giugno 1986, fu richiesto l'arresto provvisorio a fini
estradizionali, ma nel novembre dello stesso anno la domanda
di estradizione non fu accolta "viste le motivazioni
presentate dal collegio di difesa del perseguito, fondate
sulle dichiarazioni della competente autorità statunitense",
della quale l' Amendolito era divenuto "collaboratore" nel
corso della vicenda processuale riferita all'operazione
pizza connection. Dopo il ritorno dell'Amendolito negli
Usa, la Corte di cassazione annullò, il 24 settembre 1987 la
sentenza di secondo grado, disponendo il rinvio degli atti per
il rinnovo del giudizio alla Corte di appello di Roma, che
revocò successivamente i mandati di cattura a carico
dell'Amendolito, determinando il 19 luglio 1990 la cessazione
delle ricerche del medesimo in campo internazionale.
   La figura dell'Amendolito tornò in evidenza dopo il
fallito attentato al giudice Falcone, verificatosi il 21
giugno 1989, in località Addaura di Palermo. Infatti, il
procuratore della Repubblica di Caltanissetta avanzò il 20
aprile 1990, alla competente autorità giudiziaria statunitense
una richiesta di assistenza giudiziaria per interrogare, in
qualità di testimone, l'Amendolito, che aveva inviato via fax
a quella procura numerose note relative al cennato episodio
con una propria ricostruzione dei fatti ed individuazione dei
responsabili. La richiesta era finalizzata a conoscere gli
elementi sui quali il predetto fondava le sue accuse in ordine
al suddetto attentato contro l'avvocato Carla del Ponte,
procuratore di Lugano, che in quel giorno si trovava a Palermo
unitamente ad altri colleghi svizzeri per assistere ad una
rogatoria internazionale in tema di riciclaggio. In
particolare, l'Amendolito aveva segnalato che l'attentato non
era altro che un simulazione posta in essere dalla Del Ponte
per farsi passare quale destinataria dell'aggressione mafiosa
e coprire così la sua collusione con i menzionati Oliviero
Tognoli e Leonardo Greco.
   In relazione agli accennati fatti la procura della
Repubblica di Caltanissetta instaurò procedimento penale a
carico dell'Amendolito per il reato di calunnia, chiedendone
al GIP il rinvio a giudizio il 17 gennaio 1991. Il GIP del
tribunale nisseno dispose il 18 febbraio 1992 in tal senso,
fissando l'udienza per il giorno 20 maggio 1992; a tutt'oggi
il procedimento è pendente e la prossima udienza è stata
fissata per il giorno 16 marzo.
   Nel decorso anno l'Amendolito inviò diversi esposti ad
autorità politiche e giudiziarie nazionali, elvetiche e
statunitensi con diretto riferimento alle pregresse vicende
penali che lo avevano coinvolto. Agli atti di ufficio risulta,
in particolare, che l'Amendolito inoltrò un esposto l'8 marzo
1992 al signor Presidente della Repubblica per il quale fu
interessata la procura della Repubblica di Roma.
   Altro esposto del 23 marzo dello stesso anno, indirizzato
all'onorevole Craxi e fatto pervenire al Consiglio superiore
della magistratura il 25 maggio 1992, fu inoltrato il 30
maggio 1992 dalla direzione centrale di polizia criminale ai
questori di Palermo e Roma per i dovuti riferimenti alle
competenti autorità giudiziarie.
   Nei citati messaggi l'Amendolito ebbe in particolare a
stigmatizzare, con riferimento anche all'inchiesta sviluppata
dall'autorità giudiziaria nissena, la condotta del dottor
Falcone e la designazione dello stesso a procuratore nazionale
antimafia.
   In precedenza, un'altra lettera era stata inoltrata il 17
novembre 1991 al ministro dell'interno con allegata la copia
di una missiva inviata il 15 novembre 1991 dallo stesso
Amendolito al GIP di Caltanissetta dottor Buongiorno, relativa
alla richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei suoi
confronti, dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta
nel quadro dell'inchiesta per l'attentato al giudice Falcone
all'Addaura il 21 giugno
                         Pag. 888
1989. Infine l'Amendolito inviò sempre al ministro
dell'interno, il 27 novembre 1991, copia di comunicati stampa
che lo riguardavano. Copia dei citati esposti sono allegati
alla nota biografica dell'Amendolito, insieme a tutta la sua
documentazione; è disponibile inoltre la scheda di Oliviero
Tognoli (se occorre può essere disposta anche quella di
Greco), insieme a tutta la documentazione esistente agli atti
della direzione centrale della polizia criminale.
   Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e politica,
nell'accennare agli aspetti evolutivi della grande
criminalità, va specificato che i valori e le capacità
espresse dalle sue componenti vanno collocati in un ambito più
vasto che attiene non solo ai tradizionali parametri della
prevenzione e repressione, ma anche a tutte le condizioni,
comprese quelle culturali ed economiche che ne favoriscono
l'insorgenza, la crescita, la trasformazione ed il radicamento
nel tessuto della collettività.
   Di fronte al consolidamento dei principi della razionalità
e della programmazione delle attività sviluppate da solide
organizzazioni criminali, una valutazione attenta delle
potenzialità eversive di queste non può prescindere dall'esame
delle forme di condizionamento dell'apparato politico da parte
degli elementi inseriti nei cennati aggregati malavitosi,
delle infiltrazioni di costoro nel tessuto delle assemblee e
delle amministrazioni elettive e, a volte, dei casi di
complementarietà tra le suddette aree, favorite di sovente da
mediazioni e congiunture particolari, realizzate da componenti
dell'apparato amministrativo, attraverso le tradizionali forme
di corruzione.
   Considerata l'importanza della trasparenza della pubblica
amministrazione in senso lato, cui va riportata la corretta
gestione dei rapporti tra cittadino e Stato, preme
sottolineare che negli ultimi anni sono rientrate nel panorama
di articolati interventi, che sottendono una sana politica di
prevenzione, le vigorose iniziative finalizzate ad un'attenta
conduzione politico-amministrativa del territorio. In tale
ottica va guardata l'ampia strategia antimafia sorretta dal
disegno del legislatore, recepita dai provvedimenti nn. 55,
142 e 241 del 1990, 221 e 203 del 1991, e 16 del 1992 per
rendere meno permeabili i confini dell'apparato istituzionale
dalle insidie della malavita organizzata.
   L'impegno profuso dalla magistratura e dalle forze
dell'ordine con la sistematica e puntuale applicazione delle
cennate norme ha permesso di conseguire importanti risultati
nello specifico settore, lasciando intravedere risultati e
maggiori ostacoli all'incedere del potere mafioso e sicuri
segnali per l'affermazione della legalità.
   Nella menzionata cornice legislativa vanno letti i
provvedimenti di scioglimento nel 1991 e 1992 di 47 consigli
comunali (19 in Campania, 15 in Sicilia, 11 in Calabria e 2 in
Puglia). Facendo poi riferimento ad attività illecite
riconducibili al cennato panorama riscontrato nelle così dette
regioni a rischio, dove maggiori sono le pressioni ed i
condizionamenti delle organizzazioni criminali, si ha modo di
rilevare che dal 1990-1992 sono stati inquisiti
complessivamente 2.657 pubblici amministratori...
  PRESIDENTE. Il dato si riferisce a qualunque tipo di
reato?
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Vi è
un'analisi successiva.
   Dicevo che i pubblici amministratori inquisiti sono 2.657,
di cui 1.243 in Sicilia, 668 in Campania, 437 in Calabria e
309 in Puglia. Da un'analisi dei dati emerge l'importanza del
reticolo legislativo oggi disponibile in materia, ove si
consideri che il numero degli amministratori denunciati nelle
citate aree è aumentato progressivamente: 561 nel 1990, 851
nel 1991 e 1.245 nel 1992. Questi dati riflettono
esclusivamente informazioni della direzione centrale della
polizia criminale e potrebbero, quindi, non essere esaurienti.
   I prospetti che consegno alla Commissione mettono in
evidenza, oltre alla specificazione dei consigli sciolti,
distinti
                         Pag. 889
per regione, anche il dato relativo al reato contesto. Gli
amministratori pubblici denunziati in Sicilia per reati di
associazione mafiosa sono stati complessivamente 16; nel 1990
non si era registrato alcun caso, 4 si erano verificati nel
1991 e 12 nel 1992. Gli amministratori pubblici denunziati in
Sicilia per reati contro la pubblica amministrazione sono
stati 269 nel 1990, 227 nel 1991 e 431 nel 1992 per un totale
di 927, e sempre nei tre anni, per altri reati, sono state
denunciati in Sicilia 300 amministratori.
   Per quanto riguarda la regione Puglia, soltanto un
amministratore è stato denunziato per associazione mafiosa nel
1991, mentre per reati contro la pubblica amministrazione sono
stati denunciati, nei tre anni, 273 amministratori, con una
punta massima di 165 nel 1992, e per altri reati ne sono stati
denunziati 35.
   Per quanto concerne la Campania, sono state denunziati 3
amministratori pubblici per associazione mafiosa, 1 nel 1990 e
2 nel 1992; altri 556, di cui 301 nel 1992 sono stati
denunziati per reati contro la pubblica amministrazione, 109
per altri reati, di cui 61 nel 1992.
   Infine, per quanto riguarda gli amministratori pubblici
della Calabria, ne sono stati denunciati 3 per associazione
mafiosa, (uno per ogni anno dal 1990 al 1992), 308 per reati
contro la pubblica amministrazione (con una punta massima di
116 nel 1992) e 126 per altri reati, di cui 31 nel 1992.
   In ordine ai rapporti tra mafia e massoneria ho il piacere
di chiarire che le deviazioni finora hanno avuto carattere
episodico (loggia P2, "Scontrino" e "Iside"). Per quanto
riguarda la Sicilia, rinvio alla puntuale documentazione testé
esibita dalla direzione investigativa antimafia all'attenzione
di codesta Commissione. Sono altresì in corso ulteriori
indagini giudiziarie sull'argomento per le quali vi è la
disponibilità dell'ufficio ad assecondare le richieste
compatibili con il nostro lavoro.
  PRESIDENTE. Posso chiarire ai colleghi questo passaggio:
abbiamo chiesto alla direzione investigativa antimafia
informative sulle persone che risultavano iscritte a varie
logge massoniche siciliane. Oggi, alle 13.30, la DIA ci ha
consegnato il documento che è a disposizione di tutti i
colleghi.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Si tratta di
una ricerca estremamente interessante, eseguita dalla DIA, su
tutti i casi che è riuscita a rilevare; essa ha interessato
oltre 2.000 persone ed è stato estratto un campione di
riferimenti con ipotesi di affiliazione mafiosa per circa 30
persone.
   Rinvio per il dettaglio all'esame che potrà essere fatto,
trattandosi di argomento delicato, in sede ulteriore.
   Rispondo alla domanda che è stata posta relativamente alla
strategia antimafia che il ministro dell'interno,
l'amministrazione pensano di porre in essere. E' questo un
argomento di massimo interesse per noi perché in fondo tutto
il futuro dipende dalla capacità che possiamo esprimere
tempestivamente di valutare la situazione e di indirizzare in
maniera appropriata l'azione futura.
   Di fronte alle espressioni più significative delle
organizzazioni criminali operanti nel nostro paese, le forze
di polizia e la magistratura hanno saputo replicare anche nei
momenti più difficili, come quelli segnati dalla eliminazione
di difensori delle istituzioni che avevano contrastato
l'ascesa della malavita sociale.
   I risultati conseguiti e le prospettive che il consorzio
delinquenziale può riservare in relazione anche all'uscita
dalla scena di personaggi come Salvatore Riina ed altri
pericolosi boss (come Giuseppe Madonìa, Domenico Libri,
Carmine Alfieri) impongono attente riflessioni e strategie
informative ed investigative sempre più puntuali, tenendo
conto delle linee di politica criminale sfociate in aggiornate
costruzioni normative.
   In proposito richiamo le coordinate di una complessa e più
incisiva azione di contrasto raccolte nel documento consegnato
alla Commissione (allegato 3 della relazione presentata
nell'audizione del 26
                         Pag. 890
gennaio scorso) e riferite prioritariamente:
all'aggiornamento delle mappe della criminalità, con
approfondimento anche delle informazioni su persone che, a
diverso titolo, possono sostenere l'azione delle
organizzazioni delinquenziali; alla disarticolazione di
sodalizi con mirate investigazioni, non puntando
esclusivamente sulla collaborazione dei cosiddetti pentiti, ma
utilizzando anche aggiornate tecniche investigative e i mezzi
scientifici disponibili; alla neutralizzazione dei profitti
illeciti; alla ricerca e cattura dei latitanti.
   Nel precisare che gli impegni nelle aree di interesse
sopraindicate trovano coinvolte, in una gestione coordinata
dei relativi programmi, le forze di polizia presenti in
appositi gruppi di lavoro, chiarisco in merito agli ultimi due
obiettivi menzionati, sui quali si è fermata l'attenzione di
codesta Commissione, che concordo sull'importanza dei relativi
interventi, che sono costantemente seguiti dal Consiglio
generale per la lotta alla criminalità organizzata su
disposizione dell'onorevole ministro e, nel contempo, rassegno
alcune precisazioni sugli indirizzi operativi riferiti alle
due cennate aree e sui risultati conseguiti.
   Per quanto attiene alle misure di prevenzione di carattere
patrimoniale, il rinnovato impegno degli operatori di
giustizia, in parte contrattosi per ragioni fisiologiche dopo
l'incalzante fase applicativa della legge n. 646 del 1982, si
è riproposto in termini apprezzabili negli ultimi due anni, in
virtù anche di una maggiore professionalità conseguita dal
personale operante e, in particolare, dopo l'emanazione della
legge n. 356 del 1992, che con l'articolo 12-quinquies
ha offerto nuovi spazi di intervento.
   La politica seguita per assicurare in termini sempre più
specialistici la lotta alla ricchezza illecita è stata
assicurata dal dipartimento con appositi seminari ed
esercitazioni, curate queste ultime presso la direzione
centrale della polizia criminale, con i contributi di
funzionari e di collaboratori esterni. Sono stati acquisiti
come collaboratori esterni in via permanente due generali di
divisione, già vice comandanti, comandanti in seconda della
Guardia di finanza, i generali Bianco - lo stesso che effettuò
il noto sequestro degli elenchi della P2 a Castiglion Fibocchi
- Adone e il dottor Grilli, già vice comandante dell'Arma dei
carabinieri. A fine mese avrà inizio un corso sperimentale di
alta specializzazione in accertamenti patrimoniali curato
direttamente dal direttore del dipartimento di economia
aziendale dell'università degli studi di Firenze, professor
Sergio Terzani, ordinario di ragioneria generale applicata
presso la facoltà di economia e commercio.
   Tenuto conto dei dati statistici relativi ai sequestri e
alle confische presenti nel prospetto che rimetto alla
Commissione è dato evidenziare l'importanza del numero delle
confische registrate nel 1991 (165 rispetto alle 33 dell'anno
precedente) riferite a beni per oltre 113 miliardi di lire,
nonché la portata dei sequestri del decorso anno che hanno
riguardato patrimoni acquisiti illecitamente per un valore di
oltre 2.300 miliardi di lire.
   Da una lettura dei dati disponibili raccolti nel citato
prospetto, emerge che l'applicazione delle menzionate norme si
è verificata prevalentemente in Calabria, Campania e Sicilia
e, solo negli ultimi tempi, anche in Puglia.
   Aggiungo che di straordinaria valenza è il dato riferito
al secondo semestre del 1992, nel corso del quale sono stati
"bloccati" beni per un valore più che quintuplo rispetto a
quello dei primi sei mesi.
   Il più diffuso slancio operativo è stato favorito
certamente dal reticolo normativo della menzionata legge 7
agosto 1992, n. 356.
   Tra le iniziative più interessanti che nel 1992 hanno
portato alla neutralizzazione di cospicui patrimoni di
esponenti della malavita organizzata vanno considerate quelle
riguardanti le cosche Farinella, La Mattina, Madonìa e
Vernengo, i clan camorristici Baratto, Cava, Galasso,
Graziano, Imparato, La Torre, Licciardi e
                         Pag. 891
Maiale e i sodalizi calabresi Aquino, Barbaro, Mammoliti,
Morabito e Versace.
   La necessità di restringere in termini più adeguati gli
spazi offerti dalla malavita organizzata, impegnata in
operazioni destinate a sottrarre le rispettive possidenze e a
coprire i propri interessi economici di fronte all'azione
preventiva e repressiva delle forze di polizia, ha configurato
la necessità di ulteriori impegni di politica criminale,
finalizzati all'integrazione della vigente normativa antimafia
in materia di misure di prevenzione patrimoniali sullo
specifico versante economico-finanziario ed antiriciclaggio.
   In tal senso, sono allo studio iniziative in ambito
ministeriale, da approfondire di concerto con il Ministero di
grazia e giustizia, per meglio disciplinare: la materia di
prevenzione e controllo di trasferimenti di patrimoni e di
beni, nonché di aziende commerciali con la collaborazione e
partecipazione attiva di notai, pubblici ufficiali ed altre
categorie di professionisti; il settore del sequestro e della
confisca dei beni, nonché dell'amministrazione controllata
delle aziende e delle imprese soggette a condizionamento e a
strumentalizzazione di tipo mafioso; il controllo dei
movimenti di capitale e delle trasformazioni societarie; la
revisione delle norme del codice civile sul registro delle
imprese.
   In tema di cattura di latitanti, ritengo doveroso
evidenziare che l'obiettivo in questione è al centro di
pianificate attività di polizia con la messa a punto, in seno
al citato Consiglio generale per la lotta alla criminalità
organizzata, di precise e più razionali strategie di
intervento.
   Vorrei qui attirare l'attenzione su un dato molto
interessante, che attiene all'effettivo miglioramento nel
settore della ricerca dei latitanti. Nel 1991 avevamo 11.000
latitanti, nel 1992 (il dato è riferito al 31 dicembre) circa
11.500, con un incremento del 4,93 per cento. Questo
soprattutto in ragione dell'incremento dell'operatività e
quindi del maggior numero di persone da ricercare. Le ricerche
diramate sono state 7.297 nel 1991 e 10.741 nel 1992 con un
incremento del 47 per cento circa. Gli arresti sono stati
2.950 nel 1991 e 6.177 nel 1992, con un incremento del 109, 39
per cento. Questa è l'evidente dimostrazione del considerevole
incremento dell'operatività e dei suoi risultati.
  PRESIDENTE. Mi scusi, quali sono stati i fattori che
hanno prodotto questo risultato?
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. I fattori
sono dati dall'incremento dell'operatività e dell'attività di
ricerca dei latitanti. Essa è stata ulteriormente
razionalizzata anche con un'azione più capillare e ripartita
tra le forze dell'ordine attraverso, un sistema più organico
di coordinamento.
  PRESIDENTE. I nuclei appositi per la ricerca dei
latitanti sono stati uno strumento particolarmente utile?
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia.
Particolarmente utile. Si è trattato di un'indicazione che è
stata proficua sotto il profilo dei risultati.
   Dopo i notevoli successi conseguiti nello scorso anno, con
la cattura di 8 dei 20 più pericolosi ricercati inseriti nello
speciale programma interforze (Pietro Vernengo, Luigi Miano,
Carmine Alfieri, Francesco Magion, Giuseppe Madonìa, Giuseppe
Scarci, Domenico Libri e Matteo Boe), cui va aggiunto
l'arresto di Salvatore Riina, è stato aggiornato ed ampliato
l'elenco dei soggetti inseriti nel citato programma
(dall'originaria fascia di 20 si è passati a 30 unità). Il
libretto che comprendeva 200 nominativi è stato ampliato con
l'inclusione di altri 300, per cui abbiamo un elenco con
fotografie - un documento costantemente presente alle forze
dell'ordine - con l'indicazione dei 500 latitanti di maggior
peso, da cui sono estrapolati i 30 di massima rilevanza.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione che cosa sono
le ricerche diramate?
                         Pag. 892
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Sono iniziative
in virtù delle quali vengono allertati tutti gli uffici di
polizia, tutti i comandi dei carabinieri e della Guardia di
finanza, l'alto commissario, gli stessi servizi per la
cognizione della pendenza di un provvedimento. Questo avviene
attraverso lo strumento del bollettino delle ricerche,
correlato ad un altro strumento importante, la rubrica di
frontiera, tendente ad impedire l'espatrio dei latitanti in
Italia e a catturare coloro che, rifugiatisi all'estero,
dovessero riaffacciarsi nel nostro paese.
  PRESIDENTE. Dai dati consegnati alla Commissione emerge
un elevato aumento...
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Un elevato
aumento anche sul fronte internazionale.
  PRESIDENTE. Che cosa produce nel 1992 questa
moltiplicazione di efficacia?
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. E' un fatto
legato ad una crescita imponente di operatività.
  PRESIDENTE. Perché non vi è stata prima?
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Non è mancata
per scarso interesse da parte degli uffici. Anche la
collaborazione internazionale è aumentata, si sono determinate
via via condizioni più favorevoli che hanno determinato un
incremento straordinario di operatività.
   Vi è stato anche un affinamento delle tecniche.
Indubbiamente, una professionalità specifica nel campo delle
ricerche non è così semplice ed elementare come si immagina.
La ricerca di un latitante richiede pazienza da certosini,
professionalità, acume, anche una grande umiltà e
disponibilità a lavorare nelle condizioni più scomode,
disagevoli, delicate, anche nei giorni di festa, nelle feste
solenni del calendario; bisogna essere sempre disponibili di
giorno e di notte, esponendosi anche a situazioni di pericolo.
   Per favorire la pianificazione e l'attuazione dei relativi
programmi di ricerca, si è provveduto a ridefinire l'impianto
organizzativo delle strutture operative della polizia di Stato
incaricate di assolvere allo specifico compito e nel contempo
sono stati accentuati i contatti e gli impegni a livello
internazionale per la ricerca dei grandi latitanti, nel solco
delle procedure Interpol con la necessaria collaborazione dei
servizi.
   Abbiamo tra l'altro aperto una serie di sezioni, di
uffici, creando alcuni ponti all'estero. Abbiamo in questo
momento 8 funzionari in Europa (Francia, Germania, Spagna,
Gran Bretagna e Ungheria), 4 in America del sud (Venezuela,
Colombia, Perù e Bolivia), 4 in Asia (Cipro, Turchia,
Pakistan, Thailandia), 1 in Africa (Marocco) per un complesso
di 17 unità.
   Sono di prossima apertura un ufficio in Olanda ed uno in
Nigeria e sussistono ulteriori richieste di rendere operativi
altri uffici di collegamento in Albania, Bulgaria, Russia,
Argentina, Libano e Senagal. Naturalmente cerchiamo di
incrementare tutte queste disponibilità.
   E' stata significativa anche la risposta legata alla
collaborazione internazionale perché dal gennaio 1992 sono
stati estradati dall'estero 158 pericolosi pregiudicati, tra i
quali vi sono 25 accusati di associazione a delinquere di tipo
mafioso; 28 per reati consumati nel contesto di associazioni
criminali caratterizzate dal vincolo mafioso; 27 mafiosi,
molti dei quali di grande rilievo; 11 appartenenti alla
camorra, 6 alla 'ndrangheta e 5 alla sacra corona unita;
abbiamo inoltre 67 pregiudicati già arrestati, detenuti
all'estero in attesa di estradizione, fra cui figurano
personaggi di grande spicco di importanti famiglie mafiose.
   Spostando l'ottica della strategia antimafia a livello
internazionale, va considerato che negli ultimi anni i
risultati operativi sono stati ampliati sotto l'aspetto
cognitivo da un'adeguata azione informativa svolta dai nostri
stessi funzionari od ufficiali (parlo impropriamente
                         Pag. 893
di funzionari, perché sono compresenti i funzionari di
polizia, gli ufficiali dei carabinieri e della Guardia di
finanza, con una distribuzione paritetica); allo stesso modo,
presso l'Interpol - è un fatto di qualche anno fa, che risale
al periodo del mio mandato - sono presenti tre distinte
posizioni di responsabilità, una di un funzionario di polizia
e due rispettivamente di ufficiali di carabinieri e della
finanza. Tutto ciò ha dilatato le possibilità di ricerca
perché si inviano funzionari ed ufficiali all'estero, si fanno
le ricerche, si localizzano i latitanti e si mettono le
polizie di altri paesi di fronte ad una cognizione necessaria
rispetto alla quale la collaborazione diventa ineludibile.
   Una visione d'insieme delle proiezioni internazionali
della criminalità non può lasciare certo indifferenti. In
Venezuela troviamo latitanti come Pasquale Cuntrera, che con i
suoi fratelli gestisce un impero economico di enormi
dimensioni; in Germania vivono, e vi si sono rifugiati dopo
l'agguato, gli assassini del giudice Livatino; sulla Costa
Azzurra vive Michele Zaza, camorrista e mafioso che ha
costruito il suo patrimonio con il contrabbando delle
sigarette prima e poi con il traffico di stupefacenti;
latitanti sardi si nascondono in Sudamerica, ove possono
reinvestire il profitto dei sequestri di persona; esponenti di
primo piano della camorra, come Rosetta Cutolo ed Umberto
Ammaturo, si mimetizzano tra immigrati benestanti e uomini
d'affari che si muovono continuamente tra le due sponde
dell'Atlantico. Non vi è paese europeo od americano, per non
parlare dei cosiddetti paradisi fiscali, in cui non si trovino
ogni giorno conti correnti intestati a criminali italiani o a
loro prestanomi. Varie polizie estere segnalano movimenti di
denaro a livello internazionale gestiti da operatori
finanziari che lavorano per conto di mafiosi e camorristi.
   I confini interni dei paesi europei sono caduti, dando
maggiori possibilità di movimento anche ai criminali di altri
paesi, che trovano maggiore facilità nel raggiungere l'Italia.
In ordine al problema della circolazione delle persone, a
livello di studio si vanno approfondendo le ipotesi di
imprevista permeabilità ai paesi extracomunitari. Vi è il
sospetto, alcune volte confermato dal riscontro di specifici
episodi, che le frontiere dell'Europa comunitaria non siano
aperte solo al proprio interno ma anche a gran parte degli
altri paesi europei, vuoi per i rapporti che la Germania
intrattiene con i paesi dell'est, vuoi per garantire
collegamenti più rapidi tra paesi europei e colonie, ex
colonie e possedimenti oppure con il Commonwealth.
   La libera circolazione sta raggiungendo una dimensione di
gran lunga superiore alle aspettative di Maastricht. Sul piano
di una valutazione globale del fenomeno criminalità
organizzata non si può prescindere da due aspetti salienti, o
meglio dai due principali aspetti del problema: la
"periferizzazione" della mafia italiana e l'interconnessione
con altre forme di criminalità organizzata di diversa matrice
nazionale, ma anch'esse chiamate mafie.
   Non mancano preoccupati allarmi sollevati dalla stampa. Se
i quotidiani italiani ammoniscono i nostri partners
europei a guardarsi bene dagli insediamenti di siciliani o
calabresi nei loro territori, organi di stampa come il
francese Le Monde o il tedesco Die Welt collegano
alla caduta del muro di Berlino l'espansione della "mafia
polacca" ed allo scioglimento dell'Unione delle repubbliche
sovietiche l'avanzata di addirittura 2 mila differenti gruppi
della cosiddetta "mafia russa". Aggiungendo a questo panorama
la necessità dei trafficanti di droga di evitare i territori
di guerra, appare evidente che alla "rotta balcanica" è stata
sostituita quella del Caucaso, che usufruisce anche
dell'apertura delle frontiere dell'Afganistan, dell'Iran e
della Turchia con quelle della Comunità degli stati
indipendenti.
   La mafia italiana in questo ampio ed indeterminato mercato
del crimine va quindi ad incontrare, e forse in alcuni momenti
anche a scontrarsi, con altre mafie. Non dimentichiamo infatti
che a
                         Pag. 894
fronte dei nuovi rapporti non vengono soppiantati i vecchi ed
accertati collegamenti con le triadi cinesi e con la mafia dei
cartelli colombiani.
   Questo preoccupante scenario internazionale deve portare a
valutare, in una più ampia dimensione, la capacità operativa e
la pericolosità della criminalità organizzata italiana.
Infatti, dalla fine del 1991 ad oggi, nonostante momenti di
grave difficoltà segnati da episodi sintomatici dell'enorme
pericolosità della criminalità organizzata italiana, come le
due stragi dello scorso anno, è stata registrata una generale
contrazione della delittuosità, che si evidenzia anche dagli
ultimi dati, ormai definitivi, relativi al periodo
gennaio-ottobre dello scorso anno e dai primi dati relativi
all'andamento dei reati di omicidio, rispetto ai quali si
registra una flessione all'inizio del nuovo anno rispetto
all'anno precedente, che già aveva fatto registrare un
considerevole decremento.
   I successi investigativi e giudiziari, l'esponenziale
aumento dei sequestri dei beni e la cattura dei latitanti di
maggior spicco portano certamente ad una valutazione
strettamente positiva di quanto fatto fino ad oggi e
confermano che la strada scelta nel contrastare la criminalità
è certamente quella giusta; pertanto essa va ancora perseguita
con rinnovato impegno in un'azione più ampia e sofisticata.
Bisogna tuttavia rilevare obiettivamente che, se il livello
più strettamente operativo della delittuosità è stato
concretamente intaccato, non altrettanto può dirsi di quella
che chiamerei "mafia della finanza" se la specificazione non
rischiasse di indurre in errore, facendo torto al mondo
finanziario che opera in maniera seria e con grande utilità
per le sorti economiche del nostro paese.
   Il coagularsi di interessi economici all'interno di un
mercato più permeabile di quello disegnato dai confini
politici e geografici di nazioni e continenti deve
preoccupare. Grazie a questo interesse è più facile che si
incontrino e si accordino criminali dal colletto bianco, ma è
certamente più difficile che l'investigatore di una polizia
abbia da solo gli strumenti necessari ad individuare la loro
azione e a provarne l'illiceità.
   Se quanto finora esposto è corretto, se come ampiamente
sottolineato nella prima parte di questa audizione ed in
quella del 26 gennaio scorso, il connotato saliente della
criminalità odierna è l'internazionalità, se il direttore del
Bundeskriminalamnt, quello della polizia giudiziaria francese
e quello della polizia spagnola non hanno sopravvalutato le
evidenze nei loro paesi, se la commissione parlamentare
francese sulla criminalità organizzata non ha lanciato allarmi
inutili, se tutto ciò è vero, una valida strategia antimafia
non può che basarsi sulla cooperazione internazionale. Va
anzitutto precisato che oggi, a livello internazionale, è
stato fatto già tanto ed il grado di collaborazione è già
elevato. Tuttavia, tutto ciò va migliorato ulteriormente e
direi ridisegnato in un'ottica più ampia e più spersonalizzata
dei singoli paesi. Internazionale non deve essere solo la
cooperazione, ma anche la politica e la strategia antimafia di
ogni nazione.
   Il panorama della cooperazione è molto vasto e per primo
va ricordato che l'Interpol si è costituita e sviluppata come
associazione degli organi di polizia di diversi paesi, oltre
150, in ogni area del mondo. Vi è da considerare che nelle
ricerche, quando si tratta di reati più gravi, vi è una
diramazione a livello internazionale oltre che interna e
l'Interpol se ne rende promotrice attraverso una serie di
bollettini di aggiornamento per tutte le polizie affiliate.
All'organizzazione è stato attribuito recentemente uno
status internazionale fondato su intese intergovernative
per la cooperazione di polizia. Va altresì rilevato che gli
strumenti di diritto internazionale che ne fanno menzione
riconoscono l'Interpol come uno dei canali ufficiali
attraverso i quali l'estradizione e l'assistenza giudiziaria
possono essere attuate. Nel novero delle iniziative incentrate
nella partecipazione a concertati programmi di lotta alla
criminalità meritano di essere segnalati l'accordo di Schengen
sottoscritto nel 1985 dalla Francia,
                         Pag. 895
 dalla Germania, dal Belgio, dall'Olanda e dal Lussemburgo,
cui hanno aderito l'Italia (nel 1990), la Spagna, il
Portogallo e la Grecia al fine di creare con anticipo rispetto
all'obiettivo comunitario del 1993, sia pure in ambito
geografico ristretto, un'area di libera circolazione delle
persone e delle merci dei paesi membri, mediante la graduale
abolizione dei controlli alle loro frontiere comuni ed il
rafforzarsi di quelli alle frontiere esterne all'area di
Schengen.
   La conseguente necessità di compensare il deficit di
sicurezza derivante da siffatta politica di apertura delle
frontiere interne ha determinato la previsione, nel testo
della convenzione, di controlli, con il riconoscimento di
diritti di "osservazione" e "inseguimento" transfrontalieri,
opportunamente regolati con il supporto di un sistema
informatico Schengen (SIS), con sede a Strasburgo, che collega
le sale operative dei paesi aderenti, consentendo
l'acquisizione delle informazioni cosiddette primarie relative
a singoli soggetti a rischio.
   Abbiamo inoltre una sviluppata cooperazione nel quadro del
Club dei cinque (Italia, Austria, Svizzera, Francia e
Germania), sottoscritto a Vienna nel 1978 dai ministri
dell'interno dei singoli paesi per affrontare le tematiche
della lotta al terrorismo, al traffico di droga e
all'immigrazione clandestina; un accordo definito nel marzo
1990 a Roma tra i paesi del Club dei cinque e quelli della
"rotta balcanica" (iniziativa italiana e partecipazione di
Bulgaria, Grecia, Iugoslavia, Turchia ed Ungheria) per un
impegno comune nella lotta al traffico di droga; una
cooperazione denominata Trevi, che trae origine da una
decisione adottata dal Consiglio europeo a Roma nel 1975, con
la quale si dava mandato ai ministri dell'interno o della
giustizia aventi analoghe responsabilità nei paesi CEE di
affrontare i problemi attinenti al settore della pubblica
sicurezza che avessero interconnessioni sotto il profilo
intercomunitario.
   I lavori, con diretto riferimento ad uno specifico
programma di azione, hanno avuto nel secondo semestre 1990,
sotto la presidenza italiana, una importante svolta,
incentrata sull'approfondimento del tema della lotta alla
criminalità organizzata ed al riciclaggio di denaro sporco con
l'individuazione di importanti misure compensative riferite
senz'altro alle procedure di armonizzazione delle relative
legislazioni nazionali, ma rivolte peculariarmente alla
creazione di un polo comunitario di intelligence
destinato ad interagire con i servizi centrali dei paesi
membri e ad assicurare un sistematico scambio delle
informazioni sui fenomeni delinquenziali.
   Sulla base delle suddette coordinate è stata definita la
nascita dell'Europol, che ha iniziato il suo corso il 1
gennaio 1993, con un primo stadio operativo riferito alla
lotta ai traffici di droga ed al riciclaggio di denaro (Unità
antidroga europea), con prospettive di devoluzione rapportate
ad altre aree della criminalità organizzata. L'importanza del
nuovo organismo comunitario è confermata dal fatto che il
titolo VI del trattato di Maastricht, nel prevedere il
passaggio della cooperazione dei Dodici nell'accennata area di
interesse da una fase informale ad una istituzionale, ha dato
cittadinanza all'Europol, struttura - come si è detto -
eminentemente di intelligence .
   A tutta questa serie di importantissimi organismi vanno
aggiunti i ventiquattro accordi bilaterali stipulati fra
l'Italia ed altri paesi, la cui importanza è enorme poiché
essi tengono conto delle peculiarità dei due paesi e delle
specifiche realtà di collegamento fra essi, nonché della
particolarità dei rispettivi ordinamenti. Questa strada, che
si ritiene debba essere ulteriormente perseguita, è stata
inaugurata nel 1984 dal Presidente della Repubblica, Oscar
Luigi Scàlfaro, allora ministro dell'interno, con il trattato
di mutua assistenza Italia-USA e dallo stesso perseguita
durante tutto il suo mandato con numerosi altri accordi sia
con i paesi europei, sia con quelli del bacino mediterraneo.
   Questa vocazione internazionale del Ministero dell'interno
e del dipartimento
                         Pag. 896
della pubblica sicurezza e l'impegno delle forze dell'ordine
anche fuori dei confini nazionali sono testimoniati dal numero
di missioni all'estero: 1300 nel 1992, per una spesa
complessiva di circa 9 miliardi di lire. A ciò va aggiunto che
nel settore di contrasto alla criminalità organizzata per il
traffico di stupefacenti ed il terrorismo operano attualmente
all'estero, come accennavo in precedenza, 17 ufficiali di
collegamento. Anche questa strada è ritenuta particolarmente
valida e verrà perseguita, da un lato, aumentando attraverso
accordi bilaterali il numero delle dislocazioni e, dall'altro
lato, facendo diventare gli uffici esterni più importanti,
cioè vere e proprie delegazioni che possano offrire un
supporto completo all'attività di interscambio informativo ed
alla collaborazione operativa. Naturalmente, questi scambi si
realizzano anche con carattere di reciprocità: abbiamo una
rappresentanza tedesca, una francese ed altre.
   Devo a questo punto sottolineare che la cooperazione
internazionale fra le polizie dei vari paesi è in sintonia con
la planetarietà del fenomeno criminale: tale caratteristica
del crimine organizzato ha fatto sì che la collaborazione
raggiungesse, non senza sforzi, un apprezzabile livello di
efficienza. Ribadisco che il cammino fatto non è stato senza
sforzi, in quanto in alcuni paesi, fino a poco tempo fa,
veniva negata l'esistenza dell'associazionismo criminale,
mentre dall'Italia venivano loro segnalati insediamenti
organizzati di mafiosi, che già operavano in sinergia con la
criminalità locale. La sensibilità al problema è oggi molto
più diffusa: basti pensare che a livello di polizia alcuni
paesi europei stanno cercando di mettere a punto
congiuntamente una definizione di criminalità organizzata che
possa essere recepita in tutti gli ordinamenti con appositi
interventi legislativi. A ciò è valsa molto la presenza
italiana in tutti gli incontri internazionali e sono stati
utili gli stessi rapporti personali da me instaurati con i
capi di altre polizie straniere, come quella venezuelana, o
quella spagnola, che ho incontrato proprio negli ultimi
giorni.
   Oggi, però, tutto ciò non sembra sufficiente: la
collaborazione sotto l'aspetto informativo ed anche operativo
va certamente perfezionata ed estesa, ma dove veramente è
indispensabile un intervento radicale è nell'armonizzazione
degli ordinamenti interni. I paesi che perseguono penalmente i
reati associativi sono pochissimi: figuriamo le insormontabili
difficoltà che si incontrano quando si parla di
un'associazione mafiosa laddove la mafia stricto sensu
non esiste. Si tratta di un problema normativo che consente,
per esempio, a Michele Zaza di vivere sulla Costa azzurra. E'
evidente che l'"uomo d'onore" palermitano, lo "sgarrista"
napoletano, il "mammasantissima" calabrese, possono essere
perseguiti per le loro appartenenze soltanto in Italia;
d'altra parte, se essi collocano il loro raggio d'azione in
territori lontani dalla regione d'origine, non sono molti gli
strumenti investigativi che le autorità italiane possono
mettere in campo per supportare un'eventuale richiesta di
estradizione.
   Quando poi si considera che l'emigrazione dei mafiosi è in
certo senso favorita dalla penetrante azione nello Stato, ci
troviamo quasi a doverci assumere la responsabilità di questo
esodo verso quelle aree dove, per facilità di mimetizzazione o
per l'esistenza di normative meno rigorose, si insediano
gruppi di criminali che con il passare del tempo, da un lato,
attenuano il legame con la terra d'origine, mentre dall'altro
lato vengono spinti dalle peculiarità delle loro attività
criminali a contatti e ad alleanze con la criminalità di altri
paesi. Questa prevedibile conseguenza dell'azione repressiva
esercitata nelle regioni meridionali è riscontrabile anche
nell'attività di prevenzione, soprattutto in materia di misure
patrimoniali.
   Ho già avuto modo di sottolineare l'imponente quantità di
beni sequestrati nel secondo semestre dello scorso anno, ma
quando non esistono similari misure cautelative, quando la
circolazione dei capitali non può essere limitata, quando
                         Pag. 897
esistono relazioni intessute con similari gruppi
delinquenziali europei e di altri continenti, si favoriscono
di fatto le transazioni economiche finalizzate al riciclaggio
di denaro sporco e la sistemazione dei profitti illeciti nei
circuiti internazionali. Non intendo riferirmi ai cosiddetti
"paradisi fiscali" ma a tutti quei paesi in cui è consentita
l'intestazione fiduciaria e dove il sequestro e la confisca
possono essere effettuati solo a carico del responsabile di un
reato, e non di un suo prestanome.
   I particolari aspetti che ho evidenziato richiedono
esclusivamente interventi legislativi: pertanto, è da
auspicare che la cooperazione internazionale sia non soltanto
a livello esecutivo ma anche a livello parlamentare. Al
riguardo, desidero ringraziare il presidente Violante ed i
membri di questa Commissione parlamentare per l'impulso che
stanno dando proprio in tale direzione. Vorrei inoltre ancora
ribadire che una corretta strategia antimafia deve vedere
adeguatamente bilanciate l'azione a livello nazionale con
quella a livello internazionale, in quanto il rallentamento
delle attività delinquenziali sul fronte interno, determinato
da valide misure di contrasto, ne causa la crescita in aree
più favorevoli, ottenendo come effetto solo una modificazione,
forse anche di natura strutturale, delle organizzazioni
mafiose italiane, senza però favorirne l'effettivo
sradicamento.
   La mia relazione è abbastanza lunga, ma desideravo fornire
alcune utili indicazioni; aggiungo ad essa alcuni dati, che
consegno alla Commissione, riguardanti l'elenco dei beni
sequestrati nel 1992 ai sensi della specifica normativa, in
Sicilia, Calabria e così via, con l'indicazione delle diverse
famiglie. Ultimamente, sono stati effettuati i sequestri dei
beni dei familiari di Salvatore Riina. Altri dati riguardano
ancora pericolosi ricercati estradati, le operazioni di
rilievo sviluppate al 31 gennaio 93 dalla polizia di Stato in
Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
   Resta da affrontare l'argomento relativo al coordinamento
delle forze di polizia: desidero al riguardo richiamare
integralmente la mia relazione del 26 gennaio 1993 dinanzi
alla Commissione affari costituzionali del Senato della
Repubblica, di cui consegno copia alla vostra Commissione.
   In ordine al quesito specifico, relativo soprattutto al
coordinamento fra le forze di polizia ed all'istituzione del
segretariato generale, presento la relazione citata e desidero
chiarire in estrema sintesi i concetti più pregnanti ivi
contenuti, che riguardano la riconducibilità dell'attività di
coordinamento a due specifici parametri di riferimento
concernenti, il primo, l'azione investigativa della polizia
giudiziaria e, il secondo, i compiti di polizia
amministrativa, di sicurezza e di tutela dell'ordine pubblico.
   Quanto al primo di essi, le investigazioni condotte dalla
polizia giudiziaria, anche nell'ambito delle più ampie
capacità giuridiche ad essa recentemente riconosciute, sono
svolte spesso su delega dell'autorità giudiziaria, e comunque
sempre sotto la direzione di quest'ultima, in un quadro che
rivela importanti progressi, sia nei migliori risultati
conseguiti sul piano preventivo, con il contenimento del
crimine e la riduzione delle necessità di intervento da parte
della magistratura, sia nelle ricercate sinergie
istituzionali. In particolare: sezioni di polizia giudiziaria
interforze; utilizzazione congiunta dei contributi
investigativi delle tre principali forze di polizia; nuclei
interforze, costituiti dal ministro dell'interno per le
indagini sui sequestri di persona; composizione interforze
della DIA, anche nel reparto investigazioni giudiziarie;
stretta collaborazione della DIA e dei servizi specializzati
di polizia, carabinieri e Guardia di finanza, sotto la
direzione del procuratore nazionale antimafia; definizione del
criterio generale di "priorità investigativa", volto a
riconoscere la conduzione delle indagini all'organo di polizia
che abbia svolto i primi atti sul reato, fermo restando
l'apporto dei contributi informativi in possesso delle altre
forze.
   Con riguardo alla polizia amministrativa, di sicurezza e
di tutela dell'ordine
                         Pag. 898
pubblico, l'azione di coordinamento è dispiegata, secondo le
direttive del ministro dell'interno, dal dipartimento della
pubblica sicurezza nei confronti sia delle forze a competenza
generale (polizia e carabinieri, forti di un potenziale umano
assolutamente interno alle medie europee) sia per le forze a
competenza specifica (Guardia di finanza, polizia
penitenziaria, corpo forestale dello Stato) nell'ambito dei
rispettivi compiti istituzionali.
   Densa di realizzazioni è l'attività posta in essere dal
dipartimento: rete integrata di telecomunicazioni delle forze
di polizia, informatica interforze basata sul CED del
dipartimento, con 6.363 terminali già installati, sviluppo di
apparati di interconnessione delle diverse sale operative,
piani di potenziamento straordinario, sviluppati a partire dal
1982; piani comuni di potenziamento organico.
   Meritano altresì specifica menzione sia la feconda
collaborazione internazionale promossa e realizzata dal
dipartimento (nel quadro dell'accordo di Schengen, del
progetto Europol e degli impegni bi o plurilaterali volti al
contrasto dei traffici di droga), sia la sempre più diffusa
articolazione e vocazione interforze delle strutture del
dipartimento (ufficio di coordinamento, direzione centrale dei
servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale,
direzione centrale dei servizi antidroga, servizio centrale di
protezione dei "collaboranti" con la giustizia, servizio
Interpol, direzione investigativa antimafia.
   La pregnanza dell'attività di coordinamento sviluppata sul
territorio dalle autorità di pubblica sicurezza si evidenzia
laddove il quadro istituzionale preesistente ha trovato più
compiuta e funzionale connotazione per effetto delle deleghe
concesse a suo tempo dal ministro dell'interno Scotti e
prorogate dal ministro Mancino, per specifici e definiti
ambiti di operatività, in sede di capoluogo di regione e di
provincia, ai prefetti, al direttore generale della pubblica
sicurezza, al direttore della DIA ed al prefetto vicedirettore
generale della pubblica sicurezza e direttore centrale della
polizia criminale. Si sottolinea inoltre la particolare
valenza rivestita dalla direttiva emanata dal ministro
dell'interno, su conforme parere del Consiglio generale per la
lotta alla criminalità, tendente ad indirizzare per il futuro
la ripartizione sul territorio delle forze di polizia, al fine
di evitare duplicazioni, rispettando secondo le tradizioni
l'insediamento della polizia (nelle città e nelle cittadine
maggiori) e dei carabinieri (attraverso una presenza più
capillare, nel maggior numero possibile dei comuni).
   Desidero conclusivamente confermare il mio auspicio per un
ulteriore sviluppo della funzione di coordinamento, in vista
di un dipartimento sede dei "servizi centrali comuni" delle
forze di polizia, salvaguardando le esigenze funzionali
primarie di attuazione ed elaborazione di direttive primarie,
per un verso, e di direzione ed amministrazione della polizia
di Stato, per altro verso.
   Ulteriori valutazioni in ordine all'opportunità di
sottolineare la posizione di terzietà della funzione di
direzione generale della pubblica sicurezza, rispetto a quella
di direzione della polizia di Stato, sono di esclusiva
competenza dell'autorità politica, che non mancherà di
individuare le soluzioni più appropriate per la migliore
funzionalità del comparto, nell'esclusivo interesse dei
cittadini, della società e del paese.
  PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Parisi per il quadro
estremamente vasto che ci ha disegnato ed invito i colleghi a
rivolgere richieste di chiarimento estremamente sintetiche,
per un massimo di due minuti.
   Avverto che la documentazione prodotta dal prefetto Parisi
verrà pubblicata nell'edizione definitiva del resoconto
stenografico della seduta odierna.
  MASSIMO BRUTTI. Vorrei chiedere al prefetto Parisi
qualche chiarimento sulla vicenda del dottor Contrada e sui
suoi rapporti con il prefetto De Francesco.
   Se ho ben capito nel settembre dal 1982 il dottor Contrada
passa al SISDE,
                         Pag. 899
diventando contemporaneamente capo di gabinetto del dottor De
Francesco. Le chiedo: perché il dottor Contrada passa al SISDE
se diventa capo di gabinetto dell'alto commissario? C'è una
specificità in questo, oppure il dottor Contrada passa al
SISDE soltanto perché il dottor De Francesco era, in quella
fase, contemporaneamente alto commissario e capo del SISDE?
   Inoltre, vorrei avere dal prefetto Parisi un chiarimento
sulla vicenda che ha qui analiticamente rievocato, quella
relativa all'aggressione di Villalba. Nella narrazione fatta
dal capo della polizia scorgo alcuni aspetti che si
allontanano dal racconto di quella vicenda contenuta in una
lettera riservata personale del prefetto De Francesco al
ministro dell'interno, a seguito di alcune dichiarazioni
rilasciate alla stampa dal dottor Contrada, in cui il dottor
Immordino riteneva di essere denigrato.
   Si era concluso con un'archiviazione, con un
proscioglimento istruttorio, un procedimento penale avviato
nei confronti del dottor Immordino. Contrada fa una
dichiarazione che Immordino ritiene denigratoria. Quest'ultimo
scrive a De Francesco, il quale a sua volta scrive al ministro
una lettera che non esito a definire piena di una lunga serie
di velenose insinuazioni. In questo ambito, tra l'altro, si
racconta la vicenda di Villalba con cose diverse da quelle che
ci ha detto oggi il prefetto Parisi: anzitutto che in quella
giornata si sarebbe svolto uno scontro tra elementi mafiosi ed
elementi comunisti; in secondo luogo che il dottor Immordino
era, all'epoca, segretario della sezione del partito comunista
di Villalba. Un aspetto, quest'ultimo, che a me, per
tradizione orale, per racconto fatto da anziani militanti
(anche se posso essere in possesso di notizie lacunose o
sbagliate) risulta non vero.
   In ogni caso la storia rappresentataci qui dal prefetto
Parisi si distacca da quella raccontata con dovizia di
aggettivi negativi riferiti al dottor Immordino. A me è parso,
invece, che il dottor Finocchiaro e lo stesso ministro
dell'interno indulgessero alquanto in una interpretazione dei
fatti che riprendeva quelle tesi contenute nella lettera, del
16 maggio 1984, di De Francesco.
   Vorrei infine rivolgere al prefetto Parisi altri due
quesiti. Nel 1992 è cambiato qualcosa nella ricerca dei
latitanti: ebbene - le chiedo - ciò è derivato da un mutamento
di indirizzo?
   Quanto alla vicenda di Amendolito, è possibile dire che
questi sia un imbroglione che racconta frottole oppure un
depistatore pilotato?
  VITO RIGGIO. Dal prefetto Parisi desiderei avere una
precisazione in ordine ad un'affermazione che ha fatto la
volta scorsa, relativamente alla circostanza, che emerge
dall'esame del curriculum, secondo la quale il 13 agosto
1985 il dottor Contrada sarebbe stato collocato fuori ruolo e
sarebbe tornato al SISDE.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. No, il 31
dicembre 1985! Quella è l'unica data valida, diversamente si è
trattato di un lapsus.
  VITO RIGGIO. La volta scorsa lei disse che si era creata
una situazione di pericolo e di rischio. In proposito lei ci
può dare elementi più precisi?
  ALTERO MATTEOLI. Da quanto ci è stato detto risulta che
il dottor Contrada sarebbe rientrato in amministrazione il 13
agosto 1985...
  VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Chiedo scusa
ma il riferimento a quella data riguarda la posizione
giuridica. In proposito vorrei subito chiarire che il dottor
Contrada viene prima trasferito nei quadri della Presidenza
del Consiglio, incardinandosi in via permanente in un servizio
di informazione (per l'appunto il SISDE); ad un certo punto
rientra in amministrazione, ma sotto il profilo meramente
cartolare; ottiene poi la ricostruzione di carriera in
applicazione di specifiche normative dei servizi, consegue la
promozione e l'inquadramento a dirigente
                         Pag. 900
superiore con retrodatazione e con la ricostruzione della
carriera; viene riassegnato, in quella stessa veste, al SISDE
dal quale tuttavia non si era mai allontanato. Il funzionario
è sempre rimasto al SISDE, come possono attestare tutti coloro
che conoscono la normativa. E questi non è stato il solo
funzionario! Vi è stato infatti un momento in cui molti
funzionari hanno avuto la tentazione di stabilizzarsi e
radicarsi. Successivamente, visti i vantaggi che potevano
avere con il rientro in amministrazione, sono tornati, hanno
conseguito i benefici dell'inquadramento, perdendo però quelli
che avrebbero avuto (di stato ed economici particolarmente
favorevoli) se fossero rimasti incardinati esclusivamente nel
servizio.
   La data di effettivo rientro al SISDE dall'ufficio di Alto
commissario è il 31 dicembre 1985, mentre la data della
effettiva "restituzione" alla polizia è il 2 gennaio di
quest'anno, giorno in cui è intervenuto il provvedimento di
sospensione.
  VITO RIGGIO. Le rivolgo allora la stessa domanda fatta
la volta scorsa, quella cioè relativa al tipo di rischio.
  LUIGI BISCARDI. Anch'io ringrazio il prefetto Parisi per
la documentazione che ci ha fornito.
   La volta scorsa avevo formulato una domanda sulla
progressione di carriera del dottor Contrada. Fino al momento
della promozione a dirigente superiore tutto rientra nella
ricostruzione di carriera in base all'anzianità, con la
retrodatazione al momento della vacanza del posto, secondo
quanto previsto dalla legge n. 748 che riguarda la nomina dei
dirigenti superiori.
   Il problema rimane quello della nomina a dirigente
generale, in quanto essa, sulla base della suddetta legge n.
748, su proposta del ministro, sentito il Presidente del
Consiglio, deve essere approvata dal Consiglio dei ministri.
Se non erro, questa è la procedura prevista per la nomina dei
dirigenti generali.
   Si potrebbe anche dire che ormai in Italia la nomina dei
dirigenti generali è una delle cose più "leggere"
dell'amministrazione pubblica, ma in un settore di così vitale
importanza non poteva sfuggire un dato di fatto, quello delle
relazioni del prefetto De Francesco, che, per la verità,
signor prefetto, almeno per chi conosce l'amministrazione
pubblica, non rappresentano un fatto molto usuale. Dalla sua
relazione appare che ciò rientrerebbe nella prassi
dell'amministrazione, ma per quanto è a mia conoscenza non è
così.
   Le relazioni del prefetto De Francesco sono l'unico
aspetto elogiativo della carriera del dottor Contrada, in
correlazione con la questione del dottor Immordino. Nel 1991
nella relazione al Consiglio dei ministri (non ricordo chi,
all'epoca, fosse il ministro competente) erano riportati due
fatti che andavano ben bilanciati. Un fatto positivo,
evidenziato in forma non usuale dal prefetto de Francesco, un
altro che proveniva da una situazione accertata dalla
magistratura: il caso Immordino.
   Questo passaggio del dottor Contrada da dirigente
superiore a dirigente generale non risulta, per la verità,
molto limpido. Il fatto poi che prima di Contrada fossero
stati nominati anche funzionari con una minore anzianità non
significa nulla perché la nomina a dirigente generale non
avviene in base all'anzianità ma in base ai criteri previsti
dalla legge n. 748.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Anzitutto
vorrei fornire un chiarimento al senatore Brutti relativamente
alla coincidenza e alla contemporaneità della chiamata del
dottor Contrada al SISDE per il conferimento dell'incarico di
capo di gabinetto.
   Con la documentazione e il curriculum che ho
esibito, la Commissione ha le stesse cognizioni del ministero
dell'interno. Dai documenti si rileva che è antecedente di
qualche mese la chiamata del dottor Contrada al SISDE da parte
del prefetto De Francesco, il quale quando divenne alto
commissario lo insediò come suo capo di gabinetto.
                         Pag. 901
   Ho avuto modo di rilevare che esisteva un consolidato
rapporto di fiducia tra il prefetto De Francesco e il dottor
Contrada.
   A proposito della progressione di carriera vorrei rilevare
come quest'ultima sia assolutamente normale: non c'è stato un
tempo che sia stato accelerato. Si tratta cioè di tempi
fisiologici. Si possono esaminare en pendant il
curriculum di Contrada e quello di Immordino. Essi
raggiungono il livello di dirigente generale in termini
pressoché identici: intorno ai 33-34 anni, anno più anno meno.
   C'è poi da considerare che le nomine a dirigente generale
per coloro che sono fuori ruolo risultano agevolate dal fatto
che non incidono sulle disponibilità dei posti in organico.
Infatti, l'amministrazione promuovendo in posizione di fuori
ruolo non fa torto ad alcuno di coloro che sono nell'organico.
L'atto promozionale è naturalmente un atto politico. Quando si
parla di nomine a dirigente generale si parla evidentemente di
atti politici. In presenza di un curriculum come quello
esibito e documentato, e a disposizione della Commissione,
risulta non innaturale che un ministro, di fronte appunto a
quel curriculum e a quell'anzianità, abbia potuto
formulare la proposta di nomina a dirigente generale.
   Di patologie di progressione di carriera francamente non
ne ho rilevate!
   Debbo poi aggiungere che per quanto riguarda l'episodio di
Villalba, riferisco quanto mi risulta con la stessa puntualità
che ho avuto nel riferire su Contrada e su Immordino, il quale
è un questore come Contrada. Io ho lo stesso dovere
istituzionale di tutela verso un collega, per di più defunto;
sarebbe veramente il colmo se mi scatenassi insultando ed
accusando una persona che dagli atti risulta parte lesa e non
incriminato di alcunché.
   Vorrei aggiungere che non ho alcuna volontà di fare
polemica, dovendo io riferire esclusivamente su dati obiettivi
e non su altro.
   Vi è poi il problema della ricerca dei latitanti, che è
stato sempre in evidenza. Tuttavia per la cultura della
ricerca è accaduto come per la cultura della ricerca sui
patrimoni. Nella mia funzione io mi sono tanto sgolato al
riguardo: vorrei che un giorno vi arrivassero, essendo stati
tutti raccolti in volumi per anno di attività, i miei
interventi istituzionali, che mettono in evidenza quale
impegno sia stato profuso in tutte queste direzioni.
   Purtroppo, però, vi è il passaggio dalla predicazione alla
attuazione. Non è che questo passaggio sia così rapido: prima
di vedere risultati concreti, completi, veramente consistenti
c'è voluto del tempo. Infatti c'è anzitutto un problema di
professionalizzazione e poi un problema di persuasione circa
il fatto che certe cose vadano fatte e siano prioritarie.
  PRESIDENTE. Prefetto, c'è un punto relativo a questo
aspetto che credo interessi la Commissione.
   Nella visita che abbiamo effettuato in Puglia (il collega
Cabras potrà dire se lo stesso risulta da quella compiuta in
Calabria), abbiamo rilevato una qualità media di prefetti e
questori veramente molto elevata. Siamo lieti di ciò e
vogliamo dargliene atto anche perché a questo è corrisposto un
mutamento qualitativo della risposta, in quanto nel 1992 si
sono registrati risultati di notevole rilievo.
   Mi pare che il senatore Brutti - se non ho compreso male
la domanda (questo aspetto interessa il nostro lavoro) - abbia
posto la seguente questione: nel 1992 vi è stato anche un
mutamento di indirizzo politico che ha reso il tutto più
efficace, fatto questo che non possiamo che acquisire come
dato positivo?
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Certamente!
Ma non che vi fosse un orientamento...
  PRESIDENTE. Non è che prima non ci fosse...
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Diciamo che è
stato dato un impulso particolare.
                         Pag. 902
  PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo: ricordo che alcuni
parti politiche avevano proposto in Parlamento già tre o
quattro anni fa la costituzione di nuclei specializzati per la
cattura di latitanti, ma questa proposta era sempre stata
respinta. Ad un certo punto, essa è stata fatta propria da uno
dei Consigli generali presieduti dal ministro Scotti.
   Questo già segna un mutamento dal prima al dopo. Vi è
stato un mutamento di indirizzo che ha reso possibile questo
dispiegamento di forze?
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Diciamo che
vi è stata una attenzione diretta anche da parte dell'autorità
politica, sempre più pressante, questo è fuori di dubbio.
   Tutto questo ha certamente giovato, perché ha mobilitato
di più. Ed hanno giovato anche un miglior coordinamento tra i
responsabili delle forze dell'ordine ed una migliore divisione
del lavoro.
   Vi è stata la realizzazione della pubblicazione che ho
consegnato, di cui mi permetterò di farle pervenire una copia,
nel testo precedente ed in quello aggiornato, perché la
Commissione possa avere cognizione dell'impianto secondo il
quale si opera.
   Per quanto riguarda l'ulteriore domanda su Amendolito,
devo dire che si tratta di un personaggio composito.
Preferirei che la Commissione leggesse gli atti e poi,
eventualmente, approfondisse il problema acquisendo tutto ciò
che vi è presso i vari uffici delle varie istituzioni
italiane. Al momento sono un po' in difficoltà a fornire
ulteriori elementi.
  ENZO BOSO. Mi rifaccio a due domande scritte del collega
Borghezio e ad alcuni pensieri personali.
   Chiedo al dottor Parisi di dare chiarimenti su alcuni
aspetti. Vi è la richiesta di un'indagine fatta dall'allora
ministro ed attuale Presidente della Repubblica, Scàlfaro
circa alcuni accostamenti avvenuti tra il dottor Contrada e
Tano Badalamenti.
   Si deve rivolgere tutta l'attenzione ad un'altra realtà,
quella che prima il dottor Parisi ha ricordato. Dobbiamo però
pensare che questo Contrada era presente in Sicilia quando
ebbe lo screzio con un suo collega e fu interessato da una
sentenza del giudice Falcone. Contrada viene poi trasferito da
Palermo a Roma, da dove, assegnato ad altro servizio, viene
nuovamente inviato a Palermo dove si erano verificati i
contrasti in seno alla questura ed ai servizi ivi operanti.
   Questo superpoliziotto, che avrebbe dovuto garantirci, è
presente a Palermo ma non riesce a salvare la vita del
generale Dalla Chiesa, non riesce a garantire la vita del
giudice Falcone né quella del giudice Borsellino. Guarda caso,
però, nel momento stesso in cui questo superpoliziotto viene
allontanato dai servizi per accertamenti l'Arma dei
carabinieri cattura Totò Riina.
   Mi chiedo allora, dottor Parisi, se in occasione della
richiesta di indagine dell'allora ministro Scàlfaro abbiate
dato o meno conoscenza di questi accertamenti: il ministro
infatti dispose un'inchiesta amministrativa "al fine di
acclarare le ragioni della mancanza di riferimenti documentali
su quanto denunciato dalla signoria vostra e di accertare le
relative responsabilità". Desidero sapere quali siano i
risultati dell'inchiesta Scàlfaro; quali coinvolgimenti
oggettivi risultarono, in relazione a quanto sopra esposto, a
carico del dottor Bruno Contrada; per quali motivi di tutta
questa vicenda non sia stata fornita finora adeguata e
completa documentazione alla Commissione antimafia.
   Se poi ci occupiamo di particolari accertamenti
relativamente ai latitanti, le posso dire che già da 27 o 28
anni presso i servizi di frontiera esiste una rubrica e che i
comandi di stazione dei carabinieri...
  PRESIDENTE. Credo che queste cose siano note al
prefetto! Se vuole porre la domanda...
  ENZO BOSO. Faccio la domanda!
   Ci sono i bollettini di ricerca, ma le foto risultano
sempre indecifrabili.
                         Pag. 903
   Chiedo un'altra spiegazione, visto che si parla di
massoneria e di mafia, sul perché Gelli, che avrebbe dovuto
morire, 90 giorni dopo il suo rilascio appare pimpante in
alcune interviste televisive.
   Signori miei, vogliamo andare a cercare queste
responsabilità? Volete dirci chi sono stati i giudici che
hanno concesso queste libertà, chi sono stati i medici
responsabili, visto che quell'uomo doveva avere un carcinoma
mortale?
   Vi chiedo: che garanzie ci date dal Ministero
dell'interno? O vi fanno comodo i funerali di Stato? Non si
tratta di numeri di matricola, ma di padri di famiglia! Vi
chiedo per cortesia di raccontarci la verità, perché, se
veramente dovesse nascere qualche dubbio sul vostro operato e
sulla vostra informazione, si dovrebbe chiedere pubblicamente
lo scioglimento del SISDE! E' opportuno che siate chiamati
veramente a rispondere del vostro operato di fronte al popolo,
di fronte alla nazione, dottor Parisi, perché sento troppi,
troppi racconti romanzeschi!
  ALDO DE MATTEO. Dottor Parisi, ottenuta una risposta
circa la positività dell'anno 1992, voglio dire che si tratta
di un argomento che certamente ritornerà. Tra l'altro ho avuto
la possibilità di notare che anche le missioni all'estero sono
aumentate nel 1992. Questo ed altri elementi danno l'idea di
una nuova organizzazione che ha portato risultati positivi.
   Vorrei approfittare dell'occasione per effettuare una
segnalazione circa un aspetto che ho potuto riscontrare
durante la recente visita in Calabria sotto la guida del
vicepresidente Cabras. Tale segnalazione riguarda uno dei
sequestri cui lei ha fatto riferimento anche nella relazione
di questo pomeriggio, quello di Briatico ai danni di
Conocchiella. Ebbene, ho riportato un'impressione tutta
personale in particolare in seguito all'incontro con il
procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, dottor Scrivo,
apprendendo che le indagini non si possono dire rallentate, ma
ferme ed inesistenti in questa fase, nonostante che dai
colloqui con alcuni magistrati e in particolare con il
presidente del tribunale siano emerse una serie di ipotesi
nuove rispetto a possibili moventi del sequestro.
   Voglio segnalare questa impressione che ho riportato.
   Vorrei infine sapere se il SIS (servizio di informazione
previsto dagli accordi di Schengen) sia stato realmente
attivato o si trovi nella fase della prima organizzazione.
  ALTERO MATTEOLI. Signor prefetto, rispondendo alle
domande dei colleghi Brutti e Viscardi, lei ha avuto modo di
riferire sulla vicenda Contrada in modo da evitare la domanda
che avrei voluto porle e che ora le rivolgo in maniera
diversa.
   La nomina di Contrada a dirigente generale presenta, a
seconda dei punti di vista, meriti o responsabilità politiche.
A me sembra di aver capito questo. Inoltre, signor prefetto,
la ringrazio per aver fatto oggi, attraverso un profluvio di
parole, un quadro abbastanza preciso, ma, come sempre avviene
quando si danno risposte dettagliate al massimo, si va
incontro ad alcune contraddizioni, che ho rilevato e che mi
fanno tornare al discorso dell'odierna efficienza delle
autorità di polizia, visti i risultati eccellenti del 1992.
Purtroppo durante il 1992 vi sono stati buoni risultati per
quanto concerne le catture, ma anche efferati crimini.
   La domanda: lei ha detto che le ricerche sono state
effettuate anche nei giorni di festa, quasi a voler dire che a
Natale fino ad ora non si effettuavano interventi - rivolgo la
domanda terra terra per farmi comprendere - mentre ora si
lavora anche in occasione delle feste comandate.
   Ora, rispetto al risultato ottenuto lei ha già risposto,
ma vorrei puntualizzare un aspetto per noi estremamente
importante: ciò è dovuto alla nuova legislazione di cui le
forze dell'ordine dispongono ad una diversa preparazione degli
uomini o ad una accresciuta sensibilizzazione? Che
                         Pag. 904
cosa è insomma accaduto perché si arrivasse a tali risultati?
   Le rivolgo un'ultima domanda, sempre riguardante Contrada,
alla quale non so se potrà dare risposta. Rivolgo la domanda
anche a nome di altri colleghi che hanno lasciato l'aula della
Commissione essendo in corso votazioni in Assemblea: le
risulta che le competenti procure distrettuali abbiano
attivato procedimenti inquirenti nei confronti di altri
soggetti cui abbia fatto riferimento il pentito che ha
chiamato in causa il dottor Contrada?
   Un pentito, quando ha chiamato in causa il dottor
Contrada, ha fatto anche altri nomi; risulta tra l'altro che
si sia trattato anche di nomi di alcuni magistrati. Si è
proceduto; sono stati attivati procedimenti in tale direzione?
  ALFREDO GALASSO. Desidero innanzitutto fare un rilievo
di carattere generale per poi porre due domande al prefetto
Parisi.
   Non pare soddisfacente il quadro prospettato sia dal
ministro dell'interno sia dal capo della polizia in relazione
al fatto che ad un certo punto, non si sa bene come e perché,
l'indirizzo politico e l'azione investigativa hanno raggiunto
un livello elevatissimo. Tale spiegazione non mi convince del
tutto e penso al futuro; infatti una spiegazione così
semplicistica, che esclude la possibilità di comprendere cosa
sia accaduto in questi lunghi e tragici anni, non è una buona
garanzia per il futuro.
   Vorrei fare due esempi che in effetti sono due domande. Il
caso Contrada è discusso nell'opinione pubblica ed all'interno
delle istituzioni da molti anni e non riguarda soltanto la
persona di Bruno Contrada, bensì un sempre strisciante,
pendente, mai risolto inquinamento della questura di Palermo.
Bruno Contrada non è una pecora nera che si scopre tale per
l'iniziativa di alcuni magistrati che cercano di appurare se
sia veramente una pecora nera, oppure una pecora bianca
dipinta di nero. Vi è un problema presente da anni nella
questura di Palermo. Prefetto Parisi, si è scavato a
sufficienza, al di là delle responsabilità penali che ci
interessano fino ad un certo punto, per comprendere che grumo
di inquinamento, di possibile corruzione vi è stato in questi
anni e che rapporto c'è tra tutto questo e la debolezza
dell'azione investigativa?
   Il secondo esempio concerne la cattura di Totò Riina a
Palermo. Egli (come si afferma da più parti) ha goduto di
protezioni politiche e degli apparati dello Stato, ossia della
polizia e della magistratura. Totò Riina non può essere
d'improvviso catturato solo perché si è elevata l'azione
investigativa e si è costituito il nucleo latitanti; in questo
caso dovrei domandarmi perché tutto ciò non si è fatto prima.
Se vi sono stati elementi di collegamento, di corruzione, di
inquinamento, di rapporti non chiari, torbidi tra questo
personaggio vertice di Cosa nostra e alcuni personaggi della
politica e delle istituzioni, la risposta di carattere
generale che si dà è insufficiente, lacunosa, lascia un buio
retrostante che impedisce di illuminare la prospettiva. Questo
mi pare sia il punto da approfondire. Sarà poi la magistratura
ad appurare se esistano, ed in che termini, responsabilità di
ordine penale. Per una persona come il prefetto Parisi, dotata
di straordinaria esperienza, credo che questi elementi siano
noti, per cui non gli sarà difficile fornirci elementi di
chiarificazione.
  SAVERIO D'AMELIO. Ringrazio il prefetto Parisi per la
sua ampia ed esauriente relazione. Vorrei porgli una sola
domanda concernente il famoso anonimo il quale l'estate scorsa
faceva riferimento e cadenzava, per certi aspetti, i tempi di
cattura di Riina. Vorrei sapere dal prefetto Parisi se siano
state promosse inchieste e condotte indagini su questo
personaggio ed a quali conclusioni si è pervenuti.
  UMBERTO CAPUZZO. Esprimo vivo apprezzamento per la
relazione così completa e ricca di dati anche scientifici del
prefetto Parisi.
   Vorrei rifarmi alle questioni sollevate dall'onorevole
Galasso in merito al caso
                         Pag. 905
Riina per porre una domanda di carattere tecnico concernente
il controllo del territorio. Vorrei in pratica sapere se non
sia giunto il momento (tenendo conto che questo signore aveva
il suo covo in un appezzamento di terreno a conduzione rurale
al centro di Palermo) di concepire il controllo del territorio
con una visione globale. Non si tratta solo di "gazzelle" e
"pantere" che pattuglino le strade per controllare ciò che
accade nel territorio. Com'è possibile che in pieno centro di
Palermo un appezzamento di terreno di tanto valore sia passato
inosservato? Spesse volte quando passavo davanti a quel
terreno mi domandavo come mai non fosse stato oggetto di
speculazione edilizia. Probabilmente il controllo del
territorio deve essere visto in maniera più completa, mettendo
in moto tutti i meccanismi per contrastare il degrado
cittadino e la criminalità di vario tipo presente in quasi
tutto il paese. Occorrerebbe indagare sulle aree abbandonate
scoprendone i proprietari, nonché sui numerosi stabili chiusi,
che vengono sistematicamente occupati da extracomunitari o da
gente di malaffare, purtroppo mai ispezionati. Ovviamente il
controllo del territorio non è di sola spettanza della polizia
ma investe anche altre autorità dello Stato.
   La seconda domanda che intendo rivolgere al prefetto
Parisi riveste un carattere strategico. Il capo della polizia
ha parlato di una linea di tendenza del fenomeno mafioso assai
interessante, ossia la progressiva marginalizzazione della
mafia nazionale a vantaggio di quella internazionale. Cosa
significa ciò in termini operativi? Quali effetti ciò potrà
avere sulla struttura delle forze dell'ordine? Se tende a
prevalere la criminalità del cosiddetto colletto bianco,
allora la centralità delle forze tipiche che combattono la
mafia (carabinieri e polizia di Stato) non potrebbe essere in
qualche modo influenzata da una componente (mi riferisco alla
Guardia di finanza) specialistica? Occorre forse rivedere la
preparazione di tutte le forze dell'ordine? Vorrei in pratica
avere qualche idea in ordine al diverso peso e ruolo che forse
esse dovranno assumere.
   Infine vi è il problema dei latitanti. Mi sembra di aver
capito che siamo ancora fermi al bollettino di ricerca che
tale era nel 1887. In esso sono contenute fotografie non
sempre somiglianti con i ricercati (faceva riferimento a ciò
il senatore Boso), per cui vorrei sapere se con l'apporto
delle moderne tecnologie non sia possibile aggiornare le
fisionomie dei latitanti. In altri termini penso che sia
finito il tempo di questo bollettino che dovrà essere
sostituito con strumenti più moderni.
   Si è parlato infine di sedi all'estero. Molte di esse non
sono della polizia, bensì del SISDE. Vi sono motivi di
contrasto al riguardo, oppure si è realizzato una sorta di
coordinamento, sicché le due strutture possono operare senza
reciproci condizionamenti ed in piena collaborazione?
  GIROLAMO TRIPODI. Nonostante le immediate prese di
posizione assunte in difesa di Contrada, non mi sembra che si
sia fatta piena luce sul caso. La nostra Commissione non è
stata infatti messa nelle condizioni di esaminare tutti i
dettagli della questione. Le vicende legate all'eccezionale
professionalità di questo funzionario, la sua nomina a capo di
gabinetto del dottor De Francesco in contemporanea al suo
incarico al SISDE, nonché il tentativo di ribaltare le sue
responsabilità denigrando il defunto questore Immordino (oggi
si è scoperto che quest'ultimo fin dal 1944 era impegnato
nella lotta alla mafia), non lo fanno certo ben apparire.
   Ritengo che tutti gli interrogativi rimangano e che non
siano stati chiariti i vari aspetti della questione. La mia
domanda è la seguente: si vuole andare sino in fondo o no? E'
stata promossa da parte della direzione di polizia un'indagine
per accertare ciò che è avvenuto a Palermo, per far luce sugli
omicidi dei commissari Cassarà e Montana? La situazione rimane
a mio giudizio ancora ingarbugliata, per cui occorrerà
indagare fino in fondo.
                         Pag. 906
   Per quanto riguarda i sequestrati ancora in mano di Cosa
nostra, vorrei rilevare che a dicembre del 1991 è stato
comunicato ai familiari del dottor Malgeri residente a
Siderno, provincia di Reggio Calabria, l'imminente rilascio
del congiunto. La notizia è stata trasmessa anche dalla
televisione, la quale ha citato come fonte ambienti del
Ministero dell'interno. Vorremmo pertanto sapere per quale
motivo la liberazione di questo professionista non sia ancora
avvenuta.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Potrebbe
indicarmi la data in cui sarebbe stata diramata questa
notizia?
  GIROLAMO TRIPODI. Alla vigilia delle festività natalizie
del 1991.
   Per quanto riguarda l'impegno profuso nella lotta alla
criminalità e la cattura dei latitanti ci sono novità molto
importanti. E' di oggi la notizia secondo la quale il covo di
Riina si trovava in un residence a Palermo. I positivi
risultati conseguiti sono dovuti ad una maggiore coscienza del
problema, ad un adeguamento delle capacità tecniche, oppure in
passato non c'è stata la volontà di procedere in maniera
incisiva? E' noto che molto spesso i latitanti continuano a
vivere nelle loro case e a passeggiare nei paesi di residenza.
   Vorrei avere qualche notizia circa la costituzione di
nuclei specializzati e la loro distribuzione sul territorio.
Nella provincia di Reggio Calabria siamo a conoscenza della
presenza di alcuni latitanti tra cui Imerti particolarmente
feroce e pericoloso.
   Per concludere vorrei conoscere il pensiero del prefetto
Parisi in ordine ai rapporti tra la polizia di Stato, i
carabinieri e la Guardia di finanza ed i reparti della DIA,
considerando che spesso vi sono rapporti di diffidenza ed
elementi di confusione nello svolgimento delle specifiche
attività investigative.
  ACHILLE CUTRERA. Vorrei porre un'ulteriore domanda sul
caso Contrada in ordine al quale probabilmente si impone una
serie di ulteriori riflessioni.
   Dalle date riferite nella relazione rilevo che nel 1982
Contrada è stato assegnato al SISDE mentre era
contemporaneamente capo gabinetto nell'ufficio dell'Alto
commissario De Francesco. Nel 1982 avviene l'omicidio Dalla
Chiesa e, se non ricordo male, nel 1983 l'omicidio del giudice
Rocco Chinnici. C'è un episodio, che ha suscitato in me
profonda impressione, sul quale richiamo la sua attenzione.
Ricordo che questo omicidio fu preannunciato alle forze del
SISDE, prima al dottor Contrada e poi al dottor De Luca.
   Dell'omicidio Chinnici fu dato preavviso a Contrada, che
ritenne di non doversi occupare dell'argomento perché la fonte
da cui proveniva forse non era attendibile. Lo stesso
preavviso fu rivolto a De Luca ma anche quest'ultimo ritenne
che la fonte non era attendibile. Preciso che a De Luca venne
descritta la modalità con la quale l'omicidio sarebbe stato
compiuto; cioè, la caratteristica "libanese" dell'attentato.
   "Credo che questa sia stata una delle omissioni più gravi
immaginabili, dal momento che la segnalazione venne fatta
tempestivamente a due responsabili del servizio di sicurezza,
prevedendo addirittura le modalità d'azione. La notizia fu
riferita anche al prefetto De Francesco, ma tutti dissero che
si trattava di notizie non raccoglibili. Sono fermamente
convinto che il SISDE avrebbe dovuto occuparsi comunque delle
segnalazioni pervenute.
   Vorrei qualche notizia al riguardo perché il caso Chinnici
mi ha violentemente colpito; ho letto molti interventi di
questo giudice ed insieme a lui ho partecipato ad un convegno
di studi svoltosi a Messina. Ricordo la grande preparazione di
Rocco Chinnici che considero una delle figure più importanti
nella lotta alla mafia.
   Vorrei capire come di fronte ad un'omissione di questo
genere Contrada abbia potuto percorrere una carriera come
quella che lei ha descritto, pur non
                         Pag. 907
rilevando il fatto da me ricordato sul piano penale ma su
quello disciplinare. Non credo che nel 1992 fosse possibile
stilare note di merito come quelle redatte da De Francesco in
presenza di un episodio così grave di negligenza che
sicuramente è stato compiuto in buona fede ma che altrettanto
sicuramente costituisce elemento di violazione dei doveri di
investigazione preventiva se il fatto, così come l'ho
ricordato, è esatto.
  CARLO D'AMATO. Ribadisco il mio apprezzamento al
prefetto Parisi per la relazione svolta nella scorsa audizione
e per le risposte fornite, invertendo una modalità di
approccio alle domande a dimostrazione di una disponibilità e
di un rapporto cordiale e diretto con la Commissione.
   Non mi soffermerò sul caso Contrada in ordine al quale le
puntualizzazione richieste dai colleghi sono più che
legittime, anche se ricordo a me stesso che è in corso
un'indagine della magistratura che sta compiendo una serie di
valutazioni che certamente chiariranno la posizione del dottor
Contrada.
   Vorrei soffermarmi sul problema relativo al controllo del
territorio alla luce delle esperienze scaturite dalla recente
visita in Puglia a cui ha fatto riferimento il presidente
Violante. Confermo il giudizio espresso dal presidente della
Commissione circa i successi riportati nel 1992 dalle forze
dell'ordine che hanno ascritto a loro merito una serie di
risultati largamente positivi. Tuttavia abbiamo avuto la
sensazione di un ritardo culturale delle forze dell'ordine
rispetto al collegamento esistente tra la criminalità
organizzata e le organizzazioni criminali di più ampia
portata.
   Nel corso di recenti audizioni di pentiti è stato
evidenziato il salto di qualità della malavita organizzata
pugliese. Probabilmente gli organi preposti avevano
sottovalutato il problema partendo dal presupposto di
sporadici contatti della malavita pugliese ed in particolare
quella foggiana e barese con le grandi organizzazioni
malavitose. In verità le stesse procure della Repubblica e le
questure segnalavano contatti con la malavita in ordine ad un
traffico di droga in espansione e ad un traffico di armi
significativo.
   Pur prendendo atto degli apprezzabili risultati conseguiti
è opportuna una ulteriore riflessione rispetto alle azioni di
prevenzione da svolgere in tale direzione.
   Per quanto riguarda il controllo del territorio è indubbia
la necessità di dotare la polizia di tutti i più sofisticati
mezzi tecnologici. Le stesse organizzazioni sindacali hanno
addirittura sottolineato la carenza dei tradizionali mezzi che
vengono utilizzati per il controllo del territorio. Si pensi,
ad esempio, che a Foggia la polizia può disporre soltanto di
due "volanti" per pattugliare la città. Molti mezzi sono
obsoleti e le forze di polizia sono costrette a confrontarsi
con una malavita che dispone di mezzi sempre più sofisticati.
   Lungi da noi l'intenzione di voler militarizzare l'Italia
meridionale, dobbiamo sottolineare che vi sono larghe zone del
nostro territorio carenti di un adeguato controllo. Il
Gargano, ad esempio, sta diventando un nuovo Aspromonte, è una
zona completamente priva di qualunque controllo ed oggi chi
volesse rendersi uccel di bosco , a quanto ci è stato
riferito, non deve far altro che cercare rifugio in quelle
zone.
   Per concludere, una breve domanda in ordine al
coordinamento tra le forze di polizia. Mi rendo conto che alla
polizia di Stato non può essere affidato l'intero controllo
del territorio nazionale, che va svolto in coordinamento con
l'Arma dei carabinieri. Probabilmente la soluzione potrà
venire dall'istituzione del segretario generale posto a capo
di uno strumento in grado di determinare un effettivo
coordinamento tra le diverse forze di polizia.
  GIOVANNI CARLO ACCIARO. Nella relazione svolta dal
prefetto Parisi, se non ricordo male, c'è un riferimento a
latitanti sardi in Venezuela. Vorrei sapere quanti sono e se
questi latitanti fanno parte di un discorso legato alla mafia
                         Pag. 908
oppure rientrano nel problema relativo ai sequestri di
persona.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Si tratta di
casi isolati. La Sardegna e la mafia non hanno assolutamente
parentela.
  GIOVANNI CARLO ACCIARO. L'altro quesito che desidero
porre, al di là delle brillanti operazioni condotte e delle
quali mi complimento, è relativo all'aspetto di prevenzione.
Lei poco fa accennava a nuovi punti di osservazione all'estero
alla luce del fatto che la mafia si sta trasformando. Vorrei
sapere se tale preoccupazione è presente anche in riferimento
al nostro paese.
   Per quanto riguarda la mia regione, la Sardegna, alla luce
delle tensioni sociali esistenti e agli investimenti
effettuati, vorrei avere qualche notizia circa il fenomeno del
riciclaggio. State ponendo in essere azioni di prevenzione in
Sardegna e in altre regioni oppure siete assorbiti totalmente
dai compiti quotidiani che la polizia deve svolgere?
  PRESIDENTE. Informo la Commissione che la signora
Antiochia, madre dell'agente ucciso dalla mafia, ha chiesto di
essere urgentemente sentita. Poiché non c'è il tempo per una
convocazione della Commissione, propongo che la signora venga
ascoltata domani alle 17,30 dall'ufficio di presidenza,
allargato ai capigruppo e ad altri colleghi interessati.
   Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
  VINCENZO SORICE. Dalle visite che la Commissione sta
compiendo ed anche dalla sua relazione emerge una maggiore
efficienza della polizia. I risultati ci sono anche se, data
la scarsità dei mezzi a disposizione, si pone il problema di
una maggiore presenza sul territorio.
   Notiamo, però - e questo ci preoccupa - che gli organi di
controllo preposti dalla prefettura ed anche quelli di nomina
regionale vivono in una dimensione completamente distaccata
dalla realtà. I loro controlli di legittimità non li pongono
nella condizione di darci alcune risposte. So che è stato
costituito un gruppo di lavoro per verificare quale sia la
funzione di tali organi di controllo. Noi, comunque, nutriamo
il sospetto che proprio al loro interno si eserciti una forte
pressione da parte di elementi esterni.
   La mia domanda riguarda in particolare il coordinamento.
Nonostante che dalla sua relazione emerga una notevole
incidenza dell'azione di controllo dei patrimoni, notiamo un
completo distacco tra tutti i movimenti bancari ed il sistema
del controllo su di essi. La Guardia di finanza svolge perciò
un enorme lavoro per il quale non è attrezzata. La stessa
Banca d'Italia ci ha molto deluso nel momento in cui ha
chiaramente dichiarato la propria impotenza nel controllare i
flussi di denaro.
   Qual è il problema di fronte al quale ci troviamo,
soprattutto in regioni sostanzialmente ricche, dove stiamo sì
combattendo la criminalità organizzata, ma non si riesce a
contrastare il riciclaggio del denaro sporco? Non
dimentichiamo che è stato pure accertato un notevole
accrescimento dell'usura come elemento di pressione sulle
attività economiche a fronte del quale gli organi dello Stato
risultano completamente assenti.
   Penso, dunque, che la legislazione sul controllo bancario
debba essere rivista. Ad essa dovrà però affiancarsi
soprattutto il coordinamento delle forze di polizia, nei modi
e nelle forme indicati, per seguire con maggiore attenzione il
flusso del denaro. Sta, infatti, emergendo una mafia, che io
definisco "dei colletti bianchi", che è indubbiamente
preoccupante soprattutto in alcune regioni non povere, come la
Puglia dove si registra un forte movimento di denaro e uno
spostamento di patrimoni a proposito del quale né le forze di
polizia né gli organi di controllo sono stati in condizione di
darci risposte esaurienti.
                         Pag. 909
  PRESIDENTE. Desidero porre al prefetto soltanto una
questione che riguarda la ricostruzione dello scontro tra
mafia e polizia negli anni precedenti al rinnovamento degli
strumenti legislativi; penso alle leggi sui pentiti, sul
diritto di seguito.
   Nel corso della precedente audizione - ed il prefetto ha
accentuato questo aspetto - si è parlato del confidente come
una delle fonti di informazione in mancanza di altri strumenti
normativi. Il confidente, se visto nel Piemonte o nella
Lombardia di allora, significa una certa cosa. Ho
l'impressione che nelle zone di mafia difficilmente potesse
essere il piccolo delinquentucolo. Se questi si fosse
azzardato a dire qualcosa, avrebbe avuto vita molto breve.
   Mi chiedo se per caso, in quel contesto specifico che va
valutato con le logiche di allora che sono diverse da quelle
di oggi, il fornitore di notizie non potesse essere anche un
personaggio rilevante dell'organizzazione mafiosa.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Signor
presidente, la ringrazio molto per aver riconosciuto che
qualche progresso è stato registrato, così come ringrazio gli
onorevoli parlamentari per il contributo che hanno fornito con
le loro valutazioni.
   "Vorrei sgombrare il campo dal dubbio che io possa ancora
aggiungere una sola sillaba sul dottor Bruno Contrada. Tutto
quello che avevo da dire, sulla base delle documentazioni,
l'ho detto. Avevo il sacrosanto dovere di dirlo, e l'ho fatto.
Non devo neppure giustificarmi di averlo detto perché lo
ripeto - avevo il sacrosanto dovere di dirlo. Guai se il
titolare di una amministrazione, che deve tutelare l'onore
dell'istituzione, non compie il proprio dovere nel momento in
cui, trovandosi l'istituzione stessa in una situazione
particolarmente delicata, non mette in evidenza ciò che è a
sua disposizione, in positivo come in negativo!
   Io ho messo a disposizione di tutti - Parlamento,
magistrature ed addirittura opinione pubblica perché non ho
posto problemi di segreto di un solo atto - quanto era a
conoscenza dell'amministrazione. Lì, onorevole Tripodi,
finisce la mia scienza e la mia conoscenza. Tutto quanto voi
mi chiedete in ordine a singoli fatti non mi può trovare
disposto a fornire risposte che non sono in grado di dare,
anche perché le domande si fondano su vostre cognizioni. Se
disponete di elementi certi di verità in ordine a fatti che
possano eventualmente anche ledere la persona dell'imputato,
rendeteli noti alla magistratura. Personalmente, non ho
compiti di difesa, ma compiti di perseguimento della verità.
Chi mi conosce da anni sa bene che mi sono sempre preoccupato
di dire la verità. In nessuna sede, parlamentare o
giudiziaria, si è potuto dubitare della lealtà dei miei
comportamenti che sono alla base del mio vivere e del mio
agire. Per queste ragioni non ho nient'altro da dire.
   Non è neppure vero che vi è stata discrepanza nelle mie
dichiarazioni che sono fondate su documenti. La lettura delle
mie originali dichiarazioni testimonia che ho parlato sulla
base di quanto consta, di quanto risulta e limitatamente alle
mie conoscenze, così come ho parlato di "tutela
istituzionale", non certo personale perché non ve ne era
motivo.
   Posta la questione in questi termini, non devo dire più
una sillaba sulla vicenda, così come non devo riferire
assolutamente niente in ordine a verità che lei, onorevole
Boso, raccomandava di dire. Io ho sempre detto la verità. Mi
trovi una persona che dica il contrario! Anzi trovo veramente
offensivo che si dubiti che io dica la verità.
  ENZO BOSO. Prima dice che i pentiti sono da tenere in
considerazione e poi ...
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Devo dire che
la forma usata non è stata riguardosa verso la persona del
relatore. Comunque, lasciamo stare.
   Analogamente, non posso accogliere insinuazioni circa i
motivi per cui la polizia non ha catturato Totò Riina. Non
l'ha saputo catturare! Sono stati più bravi i carabinieri.
Questo è quanto le posso dire. Se le basta, glielo dico. Se
                         Pag. 910
poi lei dispone di elementi specifici per sostenere che
qualcuno non l'ha voluto prendere, lo dica ai magistrati. Io
non devo tutelare nessuno. Non ho mai fatto il favoreggiatore
di nessuna persona!
  ENZO BOSO. Lo spero.
  VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Lo stesso
discorso vale per le foto dei latitanti. Noi abbiamo le foto
che abbiamo, ma non dimentichiamo che esiste un impianto
elettronico, per cui la ricerca non si fa più sulla base delle
vecchie comunicazioni o delle vecchie circolari. C'è stata
un'evoluzione anche nelle comunicazioni, nelle trasmissioni e
nei relativi aggiornamenti.
   Lei mi chiede anche perché Gelli è lì. Non ce l'ho mica
mandato io! Non è un problema che mi riguarda.
   A proposito del sequestro Conochiella, dico subito che le
indagini proseguono anche se le speranze sono limitate. Se
vogliamo scendere nel dettaglio, posso aggiungere che dagli
ambienti della malavita sono giunti segnali secondo cui si
potrebbero addirittura rinvenirne i resti, tant'è che stiano
esaminando la possibilità di seguire tale percorso. Sono
stati, inoltre, inviati rapporti alla magistratura
relativamente a persone gravemente indiziate di responsabilità
in questo delitto.
   Rispondo alle domande relative al SIS dicendo che esso è
in via di costituzione. Altro non devo aggiungere, neppure a
proposito della nomina a dirigente generale e di argomenti
analoghi. Ci muoviamo entro tempi fisiologici;
l'amministrazione non deve trovarsi in difficoltà ed è
agevolata dalla posizione del fuori ruolo.
   La ricerca dei latitanti è stata sicuramente
intensificata. Ci soccorrono una serie di fatti positivi: gli
strumenti della nuova legislazione ci hanno sicuramente
aiutato, così come ci hanno aiutato e ci aiutano i pentiti; è
migliorata la preparazione del personale; esistono una
maggiore sensibilità ed un maggior coordinamento nel settore.
Possiamo dire, però, che tutto il comparto della difesa dello
Stato - prevenzione e repressione dei reati - ha avuto uno
slancio eccezionale. Per quel che riguarda la Sicilia, la
presenza del personale dell'esercito - che ci sostituisce in
compiti di mero presidio - ci ha permesso di realizzare
ulteriori progressi e di conseguire risultati operativi.
   L'azione investigativa è sicuramente cresciuta anche se,
onorevole Galasso, abbiamo dovuto affrontare il problema del
passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale, che
non ha trovato elementi tutti ugualmente agili nell'adattamento
al nuovo impianto; anzi, il primo momento del passaggio è stato
drammatico nonostante noi si fosse cercato di apprestare
strumenti di cognizione, testi e corsi per fornire quanto
potesse essere utile. Il miglioramento certamente oggi è
considerevole e lo abbiamo potuto constatare lo scorso anno,
che si è concluso con 100 mila arresti e 500 mila denunce per
delitti. E' un fatto senza precedenti nella storia del paese.
Contiamo, dunque, i latitanti, ma contiamo anche i risultati
globali, quali quelli relativi ai sequestri di patrimoni,
attuati senza riguardi perché si colpiscono tutti, a partire
da Riina. Non vi sono remore.
  Il problema concreto è quello del ricambio di un personale
lungamente radicato in alcune aree geografiche. Tale problema
è da tempo oggetto di costante attenzione. Da quando sono
insediato nella funzione, ho inviato - e mi sembra uno dei
fatti più significativi - questori che non avessero neppure
dall'esterno conoscenze dell'ambiente per assicurarmi che
fossero assolutamente imparziali e non influenzabili. I
provvedimenti adottati sono molti, sia per gli avvicendamenti
sia per gli inserimenti. Si pensi a capi della squadra mobile
come La Barbera, al nuovo capo della mobile che addirittura
proviene dalla Sardegna. In altre parole, l'attenzione posta
in questa direzione è stata tantissima. Il problema dei
trasferimenti, però, si lega anche a limiti finanziari che non
ci consentono di spendere come si dovrebbe.
                         Pag. 911
   Il controllo del territorio, senatore Cappuzzo, è
sicuramente migliorabile e concordo con lei quando dice che
deve esserlo sia attraverso una più funzionale distribuzione
delle forze sul territorio, sia attraverso una maggiore
capacità di penetrazione nel reticolo sociale. Infatti, il
vero controllo del territorio consiste nel controllo
informativo: potrebbe anche non esserci - e lo dico per
assurdo - una pattuglia in giro e nello stesso tempo si
potrebbe saper tutto. Questo è molto più utile perché,
riuscendo a sapere in tempo che sta per accadere qualcosa, si
concentrerebbero le forze là dove è necessario a prevenire i
delitti. Vorrei poter dire che tale controllo informativo è
migliorato moltissimo, ma purtroppo non posso farlo.
   Vi è qualche miglioramento e qualche segno di solidarietà
esterna, anche se non diffusa, non uniforme, e non ancora
rassicurante; probabilmente dobbiamo dare più fiducia ai
cittadini affinché trasferiscano il loro consenso dall'area
grigia a quella pura delle istituzioni. Il discorso sulla
cosiddetta area grigia è fondamentale, e molto dipende dal
rapporto di forza: se lo Stato riesce ad esprimere un rapporto
di forza più rigoroso, la gente sarà con noi, se non l'abbiamo
ancora conquistato è perché non abbiamo saputo meritarlo.
   Per quanto riguarda il caso del dottor Malgeri, vi è stato
un momento nel quale la sua liberazione sembrava imminente;
ciò è avvenuto quando improvvisamente è stata liberata la
ragazza di Brescia, Roberta Ghedini, e speravamo, secondo
vociferazioni confidenziali dell'ambiente, nella sua
liberazione. Secondo indicazioni non confermate il Malgeri
sarebbe deceduto in una marcia di trasferimento disposta dai
suoi sequestratori; non è stato possibile - ripeto -
verificarlo, ma sarebbe deceduto durante tale trasferimento,
proprio quando le forze dell'ordine tallonavano i banditi in
direzione dell'obiettivo dove poi sarebbe stata trovata la
Ghedini. Il dottor Malgeri, un uomo anziano di oltre
settant'anni, ammalato, in condizioni di disagio, accresciuto
dal maltempo, sarebbe schiantato. Purtroppo sono 52 le
persone, tra cui comprendiamo lo stesso Malgeri, che non sono
tornate.
  GIROLAMO TRIPODI. Anche Medici.
  VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Sì, anche
Medici; é una conseguenza dell'adozione della linea dura, ma
abbiamo constatato che quando vi era discrezionalità di
intervento avevamo ugualmente pagamenti di riscatto non
seguiti dalla liberazione del sequestrato.
   In merito al problema della distribuzione di nuclei per
l'arresto di latitanti sul territorio, posso assicurare che
essi sono operanti dappertutto; anzi, dopo che si è
affievolito l'impegno per la ricerca di persone sequestrate,
poiché si ha la sensazione che veri e propri sequestrati in
vita non ve ne siano, l'azione dei nuclei antisequestro è
rivolta all'arresto dei latitanti. Essi operano nell'uno e
nell'altro campo nella remota speranza che qualche persona
possa essere ritrovata, ma con la fondata volontà di ricercare
latitanti.
   Per quanto riguarda i problemi esistenti nella provincia
di Foggia, posti dall'onorevole D'Amato, raccolgo le sue
puntuali indicazioni, assicurando che sarà svolta un'azione
appropriata; tra l'altro la sua segnalazione è collegabile ad
elementi specifici in possesso dell'ufficio, che spero portino
a risultati concreti. Che vi sia traffico di armi e di droga
nelle spiagge della Puglia è evidente; basti ricordare
l'episodio dei giorni scorsi relativa alla nave approdata a
Taranto. La dichiarazione delle organizzazioni sindacali,
secondo cui non vi sarebbero mezzi sufficienti, è inesatta, e
mi permetterò di trasmettere al riguardo una nota alla
Commissione.
   Signor Presidente, da quando sono insediato in questa
funzione, la polizia dispone di una quantità di mezzi
inimmaginabile; in merito le trasmetterò un elenco riguardante
la situazione globale, non soltanto di Foggia, sulle dotazioni
di mezzi, il cui numero - non voglio rivelarlo ufficialmente -
è impressionante.
                         Pag. 912
Non esiste il problema dei mezzi! Nessuno è a piedi, se non
vuole; qualche volta il personale resta negli uffici a
svolgere attività burocratiche, e in quel caso vi è
inadempimento di una direttiva specifica che vuole gli uffici
vuoti ed il personale fuori per il presidio del territorio. Se
vi sono due volanti, ciò è molto grave, ma non è un problema
che riguarda gli automezzi della polizia.
   Purtroppo il Gargano si presta, come l'Aspromonte- lo
diciamo da quarant'anni, non è una novità, onorevole D'Amato -
a nascondimenti, a favorire fughe, e vere e proprie forme di
banditismo, che negli assetti attuali, con la vicinanza al
mare, creano insidie molto gravi.
   Il coordinamento delle forze di polizia ha fatto progressi
enormi; mi permetto di affidare alla vostra lettura - vi
prego, a mani giunte, di leggerlo - il documento che dimostra
il salto di qualità compiuto in questo campo, anche se non
basta, perché occorre fare di più; quale sarà lo strumento, lo
stabilirà il ministro, il Governo ed il Parlamento.
   Sono convinto che le proposte formulate, anche
sull'eventuale terzietà del dipartimento della pubblica
sicurezza, rispetto alla polizia di Stato, possano essere
prese in considerazione; è fondamentale ricercare una
soluzione di incontro molto forte tra le forze dell'ordine per
l'elaborazione di una direttiva comune, nel quadro di una
sempre maggiore vicinanza tra gli operatori del settore, che
devono collaborare, sia pure nell'emulazione. Ritengo
necessario che essa sopravviva, poiché è elemento
indispensabile in un regime pluralistico, e di garanzia per lo
stesso sistema democratico, allargato alla DIA, che non
disturba affatto, anzi costituisce la via giusta per ottenere
ulteriori spinte emulative ed ulteriori risultati. La Dia sta
operando bene, come è emerso da diverse iniziative intraprese;
sta dimostrando di sapersi muovere anche senza remore, aspetto
questo fondamentale, perché quello attuale è un momento nel
quale l'obiettivo delle istituzioni deve essere fare pulizia
in tutte le direzioni, senza drammi, scandali superflui o
inventati. Bisogna fare pulizia, e la magistratura sta
svolgendo un'azione esemplare in tutta Italia; ad essa
assicuriamo la nostra totale vicinanza, che è importante.
   Per quanto riguarda le scelte sulla questione del
coordinamento delle forze di polizia possiamo fare molto, ma
dobbiamo aspettare le decisioni politiche, pronti comunque ad
accoglierle con senso di disciplina e responsabilità,
soprattutto con senso dello Stato. Siamo soldati al servizio
della legge, con o senza le stellette; il nostro compito è
quello di obbedire e di rispettare la legge su un piano
davvero elevato di grande sacralità. Il funzionario corretto
ha rispetto di tutti, interviene sulla base degli atti a sua
disposizione, e se vi sono incriminazioni si affida alla
magistratura, e, per quanto mi riguarda, con una fede
illimitata nella capacità dei giudici di pronunciarsi in
maniera impeccabile ed esemplare.
   Il lavoro all'estero apre un orizzonte nuovo, tuttavia
vorrei sgomberare la strada da un equivoco: da una parte
abbiamo la marginalizzazione di alcuni aspetti, ma dall'altra
l'enfasi di nuovi problemi. In Italia abbiamo la coesistenza
della mafia tradizionale, dei fenomeni di criminalità
organizzata, con quelli dell'illecito finanziario. Spesso ci
siamo limitati ai soldati di mafia, ma ora dobbiamo passare
dai soldati al governo di mafia; per effettuare questo
passaggio dobbiamo individuare le centrali dell'illecito ed il
riciclaggio deve costituire obiettivo fondamentale di
contrasto.
   Depotenziare la mafia nella sua ricchezza significa
indebolirla, così come con la cattura dei latitanti e
l'individuazione delle bande, che devono essere sgominate. Il
riciclaggio per altro si svolge sul piano internazionale;
quindi, non basta il lavoro all'interno del nostro paese,
occorre arrivare ad una cooperazione internazionale, che a
volte è imperfetta, poiché vi è chi non si rende conto del
grave rischio a cui si espone, facendosi contaminare
dall'esterno.
   Per quanto riguarda i controlli patrimoniali, posso dire
all'onorevole Sorice che vengono effettuati, continueremo a
                         Pag. 913
farli, e li intensificheremo; si tratta di un chiodo fisso,
perché credo nella necessità di continuare su questa strada.
   Per quanto riguarda l'ultimo quesito posto dal Presidente
in merito alla natura dei rapporti tra l'operatore di polizia
ed il confidente, ritengo che egli potesse indifferentemente
avvicinare grandi e piccoli personaggi, quando quest'ultimo
fosse inviato dal grande personaggio, non immaginando margini
di manovra dei piccoli personaggi, salvo penalizzazione
irreversibile da parte dell'organizzazione; tutto poteva fare
parte di un gioco concertato soltanto dall'organizzazione.
   Questo è il lavoro svolto negli anni passati, di profilo
medio-basso, dove si operava su segmenti, e si assecondavano
gli scontri tra i gruppi di mafia senza che lo Stato ne
traesse un vantaggio effettivo, al di là di quello meramente
apparente. Il problema dell'intervento dello Stato sui pentiti
è stato fondamentale: ha determinato l'elevazione della
dignità degli operatori dello Stato, magistrati e forze
dell'ordine. La legislazione sui pentiti è uno strumento
prezioso che non dovremo mai far deteriorare; le
preoccupazioni che ho espresso più volte, addirittura nella
relazione che ho illustrato nella seduta del consiglio
generale del 19 dicembre dello scorso anno, in un momento cioè
non sospetto, prima delle vicende che poi hanno portato ad
ulteriori precisazioni, riguardano la preservazione di quello
strumento. Ho dato suggerimenti, ho detto quali sarebbero
secondo me le vie da seguire, ho sostenuto l'opportunità di
una verifica attenta delle accuse, perché dobbiamo stare
attenti a non screditare tale strumento; non dobbiamo
consentire che in un solo caso, anche per un solo errore, in
cui il collaboratore fosse fuorviato da un disinformatore, si
porti discredito all'istituto del pentitismo, che ha aperto la
strada al diritto premiale, permettendo una migliore
affermazione del nostro diritto penale e processuale.
   Non credo, signor Presidente, di dovere aggiungere altro.
  SAVERIO D'AMELIO. Chiedo scusa al prefetto Parisi, ma
non ha risposto al mio quesito.
  VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Ha ragione,
le rispondo subito. L'anonimo ha formato oggetto di attenta
lettura; infatti, la magistratura ha affidato l'incarico di
lettura di questo anonimo allo SCO (servizio centrale
operativo) della polizia di Stato, ed al ROS dell'arma dei
carabinieri, che lo hanno congiuntamente esaminato, valutato e
stanno per licenziare il rapporto informativo per la
magistratura. Appena il rapporto sarà stato inviato mi
permetterò di trasmettere al presidente Violante notizie
circostanziate sulle conclusioni degli inquirenti.
  PRESIDENTE. Signor prefetto, esprimo vivissimo
apprezzamento per la sua esposizione, che sarà estremamente
utile al nostro lavoro; auguro a lei ed ai suoi collaboratori
di raggiungere nell'anno in corso risultati altrettanto
positivi rispetto a quelli conseguiti nel 1992.
   Desidero infine ricordare che domani, 3 febbraio, alle
17,30, si riunirà l'Ufficio di Presidenza, allargato ai
capigruppo, per ascoltare la signora Antiochia e che venerdì 5
febbraio si svolgerà il Forum con i magistrati delle
procure antimafia. I lavori saranno aperti da un intervento
del Presidente della Repubblica.
   Ricordo infine che martedì 9 febbraio la Commissione
ascolterà un collaboratore della giustizia; a tale scopo,
venerdì verrà inviata ai commissari una documentazione al fine
di predisporre, entro lunedì 8 febbraio, i quesiti.
 La seduta termina alle 18.45
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                         ALLEGATI
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                         Pag. 917
    DOCUMENTI CONSEGNATI DAL PREFETTO VINCENZO PARISI
                 NEL CORSO DELL'AUDIZIONE
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                        ALLEGATO 1
                      DOTT. CONTRADA
                  PREFETTO DE FRANCESCO
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                        ALLEGATO 2
                 DOTT. IMMORDINO-CARRIERA
                    FATTI DI VILLALBA
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                        ALLEGATO 3
                ARTICOLO SU "I SICILIANI"
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                         Pag. 943
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                        ALLEGATO 4
                   SEQUESTRI DI PERSONA
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                        ALLEGATO 5
                   SALVATORE AMENDOLITO
                     OLIVIERO TOGNOLI
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                        Pag. 1011
                        ALLEGATO 6
                   STRATEGIA ANTIMAFIA
                        Pag. 1012
                        Pag. 1013
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       PERICOLOSI RICERCATI, ESTRADATI DALL'ESTERO
                 VERSO L'ITALIA NEL 1992
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                        Pag. 1033
           BENI SEQUESTRATI, NEL 1992, AI SENSI
                DELLA NORMATIVA ANTIMAFIA
                        Pag. 1034
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OPERAZIONI DI RILIEVO, SVILUPPATE DALL'1.1.1992 AL 31.1.1993,
         IN CALABRIA, CAMPANIA, PUGLIA E SICILIA
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