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Violante: seduta 79
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      PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Seguito della discussione della relazione sulla
camorra:
Violante Luciano, Presidente, Relatore .......... 3285, 3289
                                3294, 3295, 3296, 3297, 3298
  3299, 3300, 3301, 3302, 3303, 3305, 3308, 3309, 3311, 3312
Brutti Massimo ............................ 3297, 3301, 3302
Butini Ivo ........ 3295, 3296, 3297, 3298, 3299, 3300, 3301
Cabras Paolo .............................. 3285, 3289, 3294
D'Amelio Saverio ........ 3302, 3303, 3305, 3306, 3307, 3309
                                                        3312
Ferrara Salute Giovanni ................... 3302, 3303, 3306
Frasca Salvatore .............. 3294, 3297, 3306, 3307, 3311
Ranieri Umberto ................................. 3296, 3306
                        Pag. 3284
                        Pag. 3285
La seduta comincia alle 14,15.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
                Seguito della discussione
              della relazione sulla camorra.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della
discussione della relazione sulla camorra.
  PAOLO CABRAS. La relazione di vasto respiro che stiamo
esaminando è analoga a quella che abbiamo approvato sulla
mafia e sui rapporti con la politica e le istituzioni; ritengo
meriti il necessario approfondimento perché costituisce un
contributo notevole per la conoscenza, nelle sue articolazioni
che vanno al di là delle manifestazioni criminali, di
un'organizzazione come la camorra.
   Giustamente nella relazione è posta in evidenza la
specificità del fenomeno camorristico; in particolare si fa
riferimento alle sue origini: è l'unico caso in cui l'origine
di un'organizzazione criminale è cittadina, urbana, in qualche
modo sembra invertito lo schema rivoluzionario di Mao perché
il fenomeno si è diffuso e dalla città si è espanso aggredendo
la campagna. E' perciò difficile pensare ad un contenimento
della camorra in quanto la si deve vedere dispiegata nelle sue
ramificazioni, nei suoi interessi, soprattutto nel suo
radicamento e nel suo insediamento territoriale nella
provincia e nell'hinterland; non c'è dubbio che per il
fenomeno camorristico occorre fare un riferimento più ampio
all'intera regione napoletana, anche se è noto che vi sono
zone dove si registra una sua minore influenza per continguità
o per infiltrazione dalle province vicine (Benevento e
Avellino), mentre in altre province (Caserta e Salerno) il
fenomeno non è meno invasivo e pervasivo dell'intera realtà
provinciale, forse meno presente nelle città capoluogo di
provincia, ma sicuramente diffuso. Abbiamo avuto modo di
verificare in che termini di pericolosità e attraverso quale
spessore organizzativo ed economico questo fenomeno sia
ramificato nelle province citate.
   Certamente la camorra è un modo per organizzare la vita
collettiva, le attività economiche; in origine è stato anche
un modo per esprimere una regola in una società senza regole o
tendenzialmente refrattaria a sottomettersi al rigore della
norma e delle convenzioni. Si può dire che essa era in maniera
rudimentale, come è proprio delle forme criminali con ampio
radicamento sociale, un modo alternativo di convivenza che poi
sempre più si è articolato e qualificato in attività
criminose, in commerci illeciti e nell'esercizio
dell'intimidazione e della violenza fino all'omicidio. In
particolare nell'ultimo decennio l'evoluzione e l'ampliamento
degli interessi della camorra come organizzazione collettiva
si sono diversificati ed ampliati nel connubio tra droga e
affari, nel salto dal contrabbando limitato al tabacco a
quello di armi, oltre che di stupefacenti; soprattutto la sua
presenza è incidente nel settore degli appalti pubblici, delle
forniture, dei servizi e, per quanto riguarda il riciclaggio,
in investimenti e in attività produttive lecite.
   Si avverte il minor collegamento internazionale della
camorra rispetto alla
                        Pag. 3286
mafia e alla 'ndrangheta perché queste ultime, sin dalle
origini, hanno sempre avuto una maggiore capacità di relazioni
e di interessi in varie direzioni oltreoceano. Negli ultimi
tempi la camorra è apparsa presente in investimenti in Europa,
in particolare in Francia, sulla Costa azzurra (basti pensare
a Zaza) ma le sue manifestazioni di relazioni internazionali
sono molto più caute, meno avventurose, meno strutturate
rispetto a quelle della mafia e della 'ndrangheta (come
abbiamo potuto verificare recentemente).
   La camorra, agendo nel territorio, stringe i propri
rapporti fondamentali con il potere; il primo rapporto è
quello dei gruppi che si offrono come bande di ventura per
servire singoli obiettivi, sia criminali sia di potere, per
accrescere così la propria influenza. Questa dimestichezza
della camorra con il potere arriva fino alle forme di
collusione e di influenza con il potere pubblico, di cui
avremo modo di parlare più avanti. Del resto la camorra
manifesta questa sua capacità e disinvoltura imprenditoriale
anche con la possibilità di trovare imprese camorristiche che
ottengano appalti e forniture dalle stesse istituzioni. Nella
relazione è stato dato ampio risalto alla impresa Agizza
Romano che ha manifestato non solo grandi capacità di
espansione, che abbiamo ritrovato nelle nostre visite nel nord
del paese, ma è presente nel palazzo di giustizia di Santa
Maria Capua Vetere dove, già dalla scorsa legislatura, abbiamo
scoperto che aveva l'appalto delle pulizie.
   Analogamente nella relazione è citato il caso dell'azienda
ortofrutticola dei Nuvoletta che fornisce il presidio militare
di Caserta (si tratta di una zona particolarmente permeabile
al rapporto tra le imprese camorristiche e le istituzioni).
   Abbiamo già fatto cenno alla proiezione della camorra
sull'hinterland, sulla provincia, a Napoli, a Caserta, a
Salerno. Vorrei ricordare che una relazione che ebbi modo di
svolgere nella X legislatura si riferiva alla presenza
prevalente della camorra nell'entroterra napoletano nella
proprietà di cave, nell'esercizio di discariche collegato alla
gestione e allo sfruttamento dei prodotti delle cave per le
industrie del movimento terra. Certamente la camorra
necessita, per mantenere la sua presenza così diffusa ed i
suoi interessi economici, della politica. Condivido quindi il
rilievo che la relazione dà all'infiltrazione della camorra
nella pubblica amministrazione, nelle assemblee elettive
locali. Va sottolineato che anche qui c'è una differenza,
nonostante l'univoca tendenza a rapportarsi con la politica,
fra camorra e mafia, nel senso che la camorra è meno implicata
in strategie politiche e rapporti politici di maggiore
spessore. Se pensiamo alle vicissitudini della mafia nel
dopoguerra, alla mafia siciliana, ai suoi rapporti con quella
italoamericana, con il governo militare alleato, alla funzione
di suggeritore che essa ha avuto in Sicilia nella designazione
dei sindaci da parte dell'amministrazione militare alleata e
confrontiamo tutto questo con la radiografia della camorra, ci
troviamo ad un livello diverso. Direi che quello praticato
dalla camorra è preferibilmente il livello subliminale della
politica; la camorra di fatto frequenta più volentieri le
osterie che non le logge massoniche o i salotti, è una forza
più domestica, è insediata nel territorio con volontà di
esercitarvi un dominio sul complesso della vita sociale, essa
cerca costantemente il rapporto con i politici ma in qualche
modo si occupa di politica in misura minore rispetto ad altre
organizzazioni criminali.
   Non è un caso che la mancanza di questi rapporti a livelli
più alti connoti nella terra di dominio dell'organizzazione
camorrista una mancanza di grandi delitti politici. Eppure
anche la camorra è disponibile, quando incontra ostacoli sul
proprio cammino, a sbarazzarsene, ad esercitare
l'intimidazione e la violenza; ma se si guarda alla sua lunga
storia di questi decenni si ritrovano due delitti che potremmo
qualificare come politici, quello del sindaco di Pagani,
Marcello Torre, avvenuto agli inizi degli anni ottanta, e
quello del giornalista de Il
                        Pag. 3287
Mattino Siani. Ambedue concretamente - con la sua azione
politico-amministrativa l'uno e con la sua azione di cronista
l'altro - stavano turbando gli interessi concreti, economici,
di profitto, di scambio, di traffici della camorra sia a
Pagani sia a Napoli e nel suo hinterland.
   Quindi, la camorra apparirebbe una forza più tranquilla,
che non ama i grandi gesti di contrapposizione al potere che
pure pratica. Sarebbe impensabile che la camorra potesse
suggerisce un gesto clamoroso come la diserzione della messa
officiata dal cardinal Pappalardo nel carcere di Palermo:
questo gesto simbolico, grandioso, intimidatorio fa parte di
quella che io chiamo la strategia politica, di rapporti, di
influenze, di pressione che è propria, invece, della mafia.
   Vi è, nelle fasi successive, descritte nella relazione, di
evoluzione della camorra la fase della predominanza della
nuova camorra organizzata, quella che fa riferimento a Cutolo,
più silenziosa ma non meno insidiosa per l'aggiramento e la
penetrazione nei presidi del potere istituzionale, politico ed
amministrativo.
   Dopo la sconfitta dei cutoliani, abbiamo il dominio della
nuova famiglia, cioè dei Nuvoletta, dei Bardellino, degli
Alfieri ed iniziano e si intensificano i rapporti con Cosa
nostra.
   Anche se sono scettico sulle notizie di affiliazione a
Cosa nostra e sul tentativo di identificare la camorra con
Cosa nostra, quasi a toglierle uno status, a negarle
un'identità specifica, sono però convinto che vi siano forme
di integrazione e di relazione con cosa nostra, ed anche con
la 'ndrangheta, al fine di espandere il potenziale economico
della stessa camorra. La stessa evoluzione e la stessa
specificazione ulteriore dei suoi interessi economici ha
portato la camorra a ricercare queste sinergie con la
'ndrangheta e con la mafia ai fini dei traffici, degli
investimenti, dello stesso riciclaggio. Nel decennio che
inizia con il 1980, poi, si delinea tra le attività della
camorra un maggior interesse agli appalti ed una maggiore
articolazione della sua attività imprenditoriale anche oltre
le occasioni, pur così rilevanti, offerte dalla ricostruzione
post-terremoto. Non è che la violenza camorrista non
preesistesse e che Cutolo e la sua organizzazione non avessero
all'attivo una serie di delitti, di atti di violenza e di
intimidazione, ma con l'avvento di questi nuovi gruppi si
producono fenomeni sanguinosi con effetto intimidatorio
maggiore: la strage di Torre Annunziata o l'omicidio di Ciro
Nuvoletta sono passaggi attraverso i quali si può dire che, in
qualche modo, la camorra inizia a somigliare sempre di più
alla mafia, e non soltanto come frutto di interrelazioni o di
integrazioni.
   Accanto a questo, nel seguire l'evoluzione e la
trasformazione della camorra, va fatto riferimento alla
friabilità delle istituzioni. La scadentissima governabilità
locale, regionale ha agevolato la sregolatezza ed ha premiato
le attività criminali, non c'è dubbio. Nel decennio ottanta,
che io considero uno dei peggiori della nostra vita pubblica,
e non soltanto in Campania, vi è stata una accelerazione
nell'interrelazione tra affarismo, corruzione e collusione
della camorra con altri poteri. Del resto, ricordo che in una
relazione che facemmo dopo una visita a Napoli nella X
legislatura, mettemmo in risalto un elemento inquietante come
la frequentazione di esponenti di clan camorristici cittadini
nel palazzo del municipio di Napoli; lo scrivemmo in quella
relazione ma ad essa non seguì alcuna iniziativa, neanche
investigativa; eppure anche quella era una notizia di qualche
interesse.
   D'altra parte, la lettura dei decreti di scioglimento dei
consigli comunali offre di questi rapporti e di queste
interrelazioni uno spaccato che è di per sé più esplicito ed
illuminante di qualsiasi lunga riflessione sociologica
sull'argomento.
   Teniamo presente che gli eventi che hanno portato allo
scioglimento di quei consigli comunali ma anche, con altra
motivazione, del consiglio comunale di Napoli avvengono dopo
che, nella passata legislatura - lo ripeto - le implicazioni
di
                        Pag. 3288
potere a Napoli e nell'hinterland napoletano erano
state messe in evidenza.
   Certamente, io considero le responsabilità politiche ed
istituzionali vaste, preminenti, diffuse e penso che non siano
riconducibili esclusivamente o soltanto a parti politiche o ad
alcuni personaggi. Credo che la crisi sia più grave e la
pratica di piccole e grandi illegalità di sfrenato
clientelismo, di assistenzialismo, di politica ridotta non al
voto di scambio, che è una fattispecie equivoca e di difficile
accertabilità, ma al baratto tra consenso e favori senza
soglie di legalità e senza verifica di compatibilità non solo
di ordine amministrativo ma anche di ordine etico siano gli
esempi più clamorosi di queste responsabilità.
   Nel dire questo e nel raccomandare che non si escluda
un'osservazione a più vasto raggio, non voglio praticare
sconti alle responsabilità della politica ma solo rilevare che
mi sembrano molto evidenti anche i coinvolgimenti di altre
istituzioni. Penso al coinvolgimento, nell'omissione, nella
sottovalutazione, nel minimalismo, della magistratura e del
sistema carcerario. Non vedo alcuna benemerenza di queste
istituzioni in tutti quegli anni né con riferimento
all'attività ed alla vita delle carceri, né con riferimento
all'attività della magistratura di sorveglianza, né tra i
magistrati che dovevano decidere la concessione di arresti
domiciliari e ricoveri ospedalieri, né tra i consulenti medici
e medico-legali che certificavano il falso. Non è un caso che
ieri la procura della Repubblica di Napoli abbia incriminato
due esponenti della classe medica, tra cui un primario
ospedaliero dell'ospedale di Nocera Inferiore, per atti di
favoreggiamento nei confronti dei camorristi, atti che erano
non impliciti, ma, direi, espliciti nelle conclusioni alle
quali pervenne a proposito della concessione degli arresti
domiciliari facili in quel di Napoli l'indagine compiuta da un
un comitato della Commissione antimafia che svolse i suoi
lavori nella passata legislatura. Quelle conclusioni furono
preoccupanti e ricordo che convocammo il ministro di grazia e
giustizia per fargli presente tale grave anomalia. Del resto,
la latitanza dei boss, l'assoluta inefficacia, per non dire
inesistenza, talora, di indagini, di procedimenti giudiziari,
di misure di prevenzione di carattere personale o patrimoniale
stanno a dimostrarlo. Da anni non soltanto la Commissione
parlamentare antimafia ma anche forze politiche, forze sociali
ed osservatori hanno denunciato le famose ville bunker, a
proposito delle quali ironizzava, in qualche modo, anche
Galasso sotto le nostre reiterate, incalzanti domande durante
l'audizione da parte della Commissione antimafia. Un esempio è
la villa bunker a Poggiomarino della famiglia Galasso,
un altro è quello dell'ippodromo di Nuvoletta: non soltanto
un'azienda di allevamento di cavalli da corsa, ma un
ippodromo, una struttura aperta al pubblico, al commercio,
alle gare e quindi più che mai evidente. Quindi, i patrimoni
di questi camorristi erano noti, esibiti ma al riparo di
accertamenti e di sanzioni; credo che anche questo vada
ricordato con maggiori particolari e maggiore ampiezza per
quanto riguarda le responsabilità istituzionali.
   Potremmo ed anzi dovremmo, secondo me, fare riferimento
anche all'abusivismo edilizio, alle discariche illegali - vi
ho accennato prima -, ai concorsi pubblici, sia quelli mai
praticati sia quelli adulterati nel risultato, all'assenza di
controlli amministrativi seri, degni di questo nome, sia che
li praticassero organismi influenzati dalla politica, come i
comitati regionali di controllo, sia che li praticassero i
tribunali regionali amministrativi. Ecco, vorrei che anche in
materia di giustizia non ci limitassimo a prendere atto di
comportamenti che sono al limite dell'ignavia e della
sottovalutazione ma considerassimo questo come uno degli
elementi di intreccio anomalo tra interessi privati e modo di
gestire le istituzioni locali e di esercitare politica. I
magistrati arbitri e collaudatori in tutti i lavori collegati
al terremoto non sono cosa di ieri; sono cosa che ha
riguardato in maniera diffusa non una ma quasi tutte le
amministrazioni comunali dell'e
                        Pag. 3289
poca ed ha riguardato, indubbiamente, anche la magistratura,
che era il ricevente di un'offerta che aveva il carattere di
una chiamata a correità degli stessi magistrati, anche per
eventuali anomalie.
   Sicuramente - questo è un rilievo specifico che muovo -
non concordo con chi considera la stagione del procuratore
Sbordone come una stagione positiva. Io la considero il
trionfo dell'assenza di iniziativa e di trasparenza. E' il
periodo che è coinciso con il massimo dell'affarismo
amministrativo, con il minimo di contrasto verso la camorra e
vorrei che di questo fosse dato atto.
  PRESIDENTE. Sbordone? Ma dicono che inizia di lì,
invece, la svolta.
  PAOLO CABRAS. No, no, non inizia di lì. Tutti i rilievi
che ho fatto e tutti gli eventi che ho indicato con un preciso
riferimento, anche temporale, riguardano quella procura della
Repubblica e non altre. Non mi sembrano quindi giuste le lodi,
anche se possono sempre esservi recuperi e questi, se vanno a
vantaggio della giustizia, sono sempre accettabili.
   Certo, come è detto nella relazione ed è stato
diffusamente rilevato anche in molti degli interventi, c'è una
vicenda cardine nel rapporto tra politica e istituzioni da un
lato e criminalità organizzata dall'altro ed è la vicenda
Cirillo. A questo proposito io vorrei rilevare che non si dirà
mai abbastanza, con nettezza e con grande crudezza che
l'impossibilità di trattare con il terrorismo e la criminalità
è un principio essenziale che attiene alla vita
costituzionale, alla vita democratica, al ruolo delle
istituzioni e della politica, allo stesso contratto con i
cittadini che la politica e le istituzioni in qualche modo
ratificano nello svolgersi del processo di rappresentanza e
dei compiti di Governo.
   Premesso questo, voglio dire che mi sembra che nella
ricostruzione della vicenda Cirillo vengano ridotti alcuni
ruoli ed alcune responsabilità anche in questo caso
istituzionali. Lo dico dopo aver fatto un'affermazione che
riguarda, invece, le responsabilità politiche. Mi riferisco al
ruolo del SISMI, che ancora una volta è stato, in questa
vicenda, non soltanto anomalo ma segnato da profonda slealtà
istituzionale. Il SISMI ha cercato, attraverso i suoi uomini
più o meno compromessi, le benemerenze presso il mondo
politico: questo è il messaggio che lanciava al mondo politico
intervenendo così pesantemente e così illegalmente nella
vicenda Cirillo. In particolare il SISMI cercava di
fuoriuscire in qualche modo dal clima determinato dalla
vicenda della P2; in sostanza, cercava benemerenze dopo la P2.
A questo dobbiamo aggiungere il ruolo ambiguo della direzione
degli istituti di prevenzione e pena, nonché il ruolo di
Sisti, direttore dei servizi in quel periodo. Dobbiamo inoltre
far luce, come cominciò a farla la Commissione stragi della
passata legislatura, sull'accesso troppo facile di
pregiudicati, di uomini politici, di uomini dei servizi nelle
carceri della Repubblica. Il SISMI, a differenza del SISDE,
entrava ed usciva con grande disinvoltura dalle carceri senza
lasciare traccia, soprattutto dopo l'abbandono del SISDE
richiesto dal SISMI stesso; anche qui vi è la presenza di
Sisti, quale depositario di tutte le anomalie e le illiceità
che passarono per le carceri ed attraverso il comportamento di
quelle istituzioni specifiche durante la vicenda Cirillo. Il
SISMI continuò ad esercitare la propria attività, con i suoi
uomini, con Musumeci e Pazienza, coltivando i suoi canali e
violando sostanzialmente due cose. Innanzi tutto la normativa
in materia di sequestri, in secondo luogo - e questo è più
importante - la linea di intransigenza verso il terrorismo e
le brigate rosse che (lo dico con profondo sdegno e dolore)
aveva contraddistinto la linea della Repubblica e delle
istituzioni nei tragici e tormentati mesi della cattura e
della detenzione di Aldo Moro. Credo di poterlo dire anche per
la parte politica che rappresento, anche per il dolore, il
rimpianto e l'angoscia da cui non ci siamo mai più separati
dopo la prigionia e la morte di Moro.
   Il tributo che pagammo al senso delle istituzioni ed al
principio della non trattativa
                        Pag. 3290
 fu, in termini umani, assai alto. Pensare che in una vicenda
dolorosa, che merita rispetto per gli affetti e le emozioni
chiamate in causa, organi e istituzioni dello Stato, abbiano
tradito un indirizzo, una decisione, un comportamento come
questo, su cui non è possibile avere omissioni o cadute di
attenzione, mi sembra una cosa intollerabile. Certo, la
vicenda ha più responsabili, si tratta di una vicenda di
intrecci, di intrighi; c'è il sottofondo clientelare, c'è la
concezione familistica della vita pubblica, c'è la commistione
di interessi personali, anche rispettabili, di politici
locali, c'è la chiamata, per il pagamento del riscatto, di
interessi imprenditoriali che ruotavano attorno alle decisioni
ed al potere di amministrazioni locali. Ebbene, tutto questo è
stato il liquido di fusione che ha portato come risultato alla
frode delle istituzioni, alla violazione di regole
fondamentali, praticamente alla perdita secca della
credibilità delle istituzioni e dello stesso principio
dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: si trattò
con la camorra e con i brigatisti, violando di fatto questa
uguaglianza oltre a violare quei principi.
   Detto questo non credo che il caso Cirillo abbia
costituito una svolta, anche se ha coinciso con una svolta e
con una evoluzione. Questa è stata l'esca, l'occasione, la
cornice in cui si è risolta una guerra di interessi che
preesisteva tra i gruppi in qualche modo più in difficoltà (il
gruppo di Cutolo e la nuova famiglia) e che ha segnato questo
passaggio di consegne. In più dobbiamo pensare all'evoluzione
ed alla trasformazione della camorra non perdendo di vista la
grande occasione offerta dalla ricostruzione: quindi appalti
per la realizzazione di opere pubbliche, ma anche assistenza
ad una imprenditorialità locale. Il terremoto è stata
l'occasione della ricostruzione, ma anche l'occasione per
industrializzare le zone colpite dal sisma, quelle limitrofe e
quelle che con il terremoto non avevano nulla a che fare.
Ritengo pertanto che occorrerebbe fare qualche riflessione
sulle leggi che hanno consentito questa ricostruzione. Queste
leggi rappresentano a mio giudizio un modello di
consociativismo reale, in quanto esse sono state approvate con
vaste maggioranze in seno al Parlamento. Esse sono state una
unione tra forze che stavano al Governo e forze che stavano
all'opposizione; ma queste leggi sono state anche occasione di
associazione improprie di forze governative e di opposizione
nella stessa gestione delle risorse destinate alla
ricostruzione. Penso alle indicazioni del presidente della
regione di allora, Fantini, e del sindaco pro-tempore di
Napoli, Valenzi, per garantire la gestione fuori bilancio di
quelle risorse nella loro qualità di commissari di Governo.
   Quando il senatore Brutti, nel suo intervento, individua
un partito trasversale della spesa pubblica, fa bene ad
inserirvi i partiti di Governo, fa benissimo ad inserirvi in
primo luogo la democrazia cristiana, però, dopo averne
intravisti tutti i tornaconti clientelari e lo sfruttamento
camorristico che ne è derivato, non dovrebbe ignorare la
presenza ed il ruolo politico svolto da partiti di
opposizione, da forze sociali, sindacali, imprenditoriali,
cooperative che hanno in qualche modo aderito ad
un'impostazione di indirizzo che oggi tutti, anche in base
alle risultanze di indagini parlamentari, critichiamo. Credo
che ciò debba essere riconosciuto perché anche questo è un
modo per studiare gli effetti che indirizzi sbagliati di
politica economica e del territorio hanno come ricaduta sulla
crescita e sulla trasformazione della camorra in criminalità
organizzata.
   A questo punto si è chiamata in causa l'involuzione delle
tradizioni del partito popolare di ispirazione cristiana.
Nell'intervento del senatore Brutti ho ravvisato più
un'invettiva, me lo consenta, che delle serie deduzioni
logiche. Non devo ricordare a lei, senatore Brutti, che è
persona colta, buon conoscitore della storia del nostro paese,
che è difficile riconoscere il fondatore del partito popolare
nell'immagine così tranchant che lei ha offerto alla
riflessione della Commissione. Sturzo è innanzitutto, per la
storia del popolarismo,
                        Pag. 3291
 ma anche per quella del meridionalismo, l'autonomia,
l'autogoverno come forza di partecipazione popolare e di
controllo sociale e politico nei confronti dei mazzieri di
Giolitti, delle oligarchie proprietarie del sud, di quelle
stesse che erano, anche allora, conniventi con la camorra, con
la mafia, con la criminalità. La stessa polemica sturziana
contro la degenerazione statalista e burocratica era la
manifestazione della preoccupazione di una degenerazione e di
una contaminazione del sistema politico.
   Appartenevo allora, quando Sturzo faceva queste polemiche,
ad una generazione di politici cattolici che non condividevano
le sue considerazioni in quanto ritenevano essenziale per lo
sviluppo economico, sociale e civile del paese un intervento
della mano pubblica nell'economia. Dico ciò perché quella
polemica aveva delle motivazioni alte, delle preoccupazioni
che non sono da liquidare con derisione, bensì da inquadrare
in una esperienza anche culturale di Sturzo che ha sempre
avuto il modello anglosassone molto presente. Senatore Brutti,
mi permetta inoltre di considerare un po' rozzo il richiamo
che lei fa a quella che ingiustamente ed impropriamente è
passata alla cronaca politica, e non alla storia, come
l'operazione Sturzo per le elezioni amministrative a Roma.
Sturzo era un prete e doveva obbedienza; doveva obbedienza
anche quando scelse l'esilio per combattere per vent'anni il
fascismo: altri cattolici, popolari, preti, laici di sinistra
o di destra sicuramente non fecero altrettanto. Costoro
dissero che il fascismo era una parentesi e che dopo si
sarebbe potuto ricominciare. Ad un uomo che ha pagato questo
prezzo alla libertà si può forse imputare una incauta
operazione politica che fu tra l'altro sventata dai massimi
vertici della democrazia cristiana di allora, in primo luogo
da De Gasperi. Fu l'interpretazione della paura del comunismo,
del cambiamento di regime che, accanto a giuste intuizioni,
provocò allora, ma, ahimè, lo provoca anche oggi dopo la
caduta del comunismo, indirizzi, paure e preoccupazioni e
ricerca di soluzioni profondamente errate. Dico questo in
quanto bisogna ricollegare le posizioni politiche al loro
posto, altrimenti si rischia di liquidare la camorra come
Sturzo. Credo che le forme di relazioni clientelari siano
sempre state presenti al sud nelle relazioni sociali, in
ambienti molto vasti della vita civile. Nel resto del paese,
al nord, al centro, lo Stato con i suoi organi è la legge, è
la norma, mentre al sud è la politica, sono i politici che
rappresentano lo Stato: questa è la deformazione che
lamentiamo. Nel sud sono mancate per tanto tempo aggregazioni
solidaristiche, i sindacati, le cooperative, anche gli stessi
partiti politici popolari. Nel sud esiste d'altra parte una
pluralità di condizioni sociali, di interessi ed il
padronaggio politico diventava fattore di coesione, sostituiva
quasi la cultura della regola, dei diritti. Certo, è da questa
anomalia del sud che bisogna partire per comprendere anche
l'attecchimento della camorra, la sua commistione con il
potere politico. La clientela politica certamente provoca un
degrado istituzionale in quanto attraverso essa si scambiano
prerogative istituzionali, si infrangono regole, sia quando si
assegnano indebitamente posti di lavoro, sia quando si
praticano concessioni amministrative, sia quando si aiuta a
risalire la strada tortuosa delle procedure e di una
burocrazia pubblica che non si sa rinnovare, ma si suggerisce
che l'intervento della politica sia determinante per arrivare
a certi risultati. Comprendendo questo credo si comprenda la
menomazione culturale e civile che il sud ha avuto da questa
concezione, perché questa debolezza culturale attraversa
posizioni culturali e politiche le più varie. E' stato anche
il modo con cui paradossalmente il Mezzogiorno è diventato
moderno - per così dire - si è abituato alla politica, si è
autoregolato; i diritti dei singoli sono diventati visibili
anche dietro quest'alterazione di tipo clientelare. Oggi
(giustamente, a mio avviso: vi è evidentemente una nemesi
nella storia) i diritti dei singoli sono reclamati contro le
vecchie
                        Pag. 3292
centrali dello stesso potere politico e clientelare perché
oggi sono compresi.
   Del resto, la vicenda del clientelismo è più vecchia della
camorra ed anche della corrente dorotea, senatore Brutti, nel
Mezzogiorno. Pensiamo negli anni cinquanta cosa è stato il
laurismo come pratica di scambio di consensi contro beni
concreti - non parlo soltanto delle scarpe spaiate o del pacco
di pasta - come promesse di posti di lavoro o come erogazione
degli stessi, oltre che di sussidi, di contributi e di
finanziamenti. Questo sistema clientelare, fondato anche sulle
false pensioni di invalidità e sui sussidi vari, ha alimentato
l'espansione del sistema criminale e mafioso - ne sono
convinto - ed annidandosi la camorra dentro questo sistema,
essa ha trovato la via di profitti sempre maggiori, sempre più
ingenti che hanno accompagnato anche il rapporto con la
politica.
   Negli anni ottanta (il decennio in cui, a mio avviso, ciò
è avvenuto in modo più clamoroso) il welfare era in
crisi, vi era di fatto il blocco delle assunzioni nel settore
pubblico, era finito il boom delle "cattedrali nel deserto",
cioè dell'industrializzazione in qualche maniera assistita;
poi vi è stata la parentesi del terremoto che, come ho detto
precedentemente, ha consentito la creazione di un nuovo ciclo
di industria assistita, anche se si è trattato di industria
minore, piccola e media, non certo di "cattedrali nel
deserto". Anche il potere politico è intervenuto con leggi che
tentavano di favorire investimenti e nuova
industrializzazione: le leggi nn. 64 e 44 sul Mezzogiorno
(ricordate anche dal senatore Ranieri nel suo vibrato
intervento) rappresentavano il tentativo di imprimere una
svolta, pur partendo dalla consapevolezza dei guasti non
soltanto economici ma anche degenerativi del sistema che i
precedenti indirizzi di politica economica e dello sviluppo
avevano provocato.
   Oggetto della scambio clientelare nell'ultimo decennio
sono diventati, allora, i grandi appalti, i contributi per
l'industria assistita e sono cominciate a circolare risorse
che sono divenute oggetto del desiderio e della concupiscenza
camorristica, risorse che erano alla base di un altro
compromesso affaristico con la politica. Qui vi è stata la
saldatura tra Tangentopoli e la crescita economica della
camorra. Non a caso quegli anni - gli anni del decennio che
considero il più infausto della nostra vita pubblica - sono
stati gli anni dei cosiddetti comitati d'affari.
   E' a questo che vorrei che si rivolgesse la nostra
attenzione più che ad una serie di esemplificazioni che - me
lo consentirà il collega Brutti - tentano sempre di incastrare
attraverso i fatti un gruppo, una corrente, una o più persone;
non voglio assolvere nessuno, senatore Brutti, ma credo che le
responsabilità, i guasti, la complessità e l'articolazione del
potere camorristico nel territorio di Napoli e dintorni siano
qualcosa di molto più vasto che non sta sulle spalle né di
questo o quel personaggio né di quel gruppo o sottogruppo.
Credo che tale considerazione non tolga nulla né all'analisi
del fenomeno né alle denunce contenute nella relazione, anche
se cerca di alzare il tiro e di dare una spiegazione che tenti
(non pretendo di riuscirvi) di essere un po' più complessiva,
un po' più spiegazione ed un po' meno denuncia.
   Questa deriva della politica allo scambio, alla mezzadria
di potere all'interno di coalizioni di governo locale - perché
di questo adesso parliamo - prive di progettualità costituisce
lo scenario della nuova invasione della camorra negli spazi
delle istituzioni e dell'economia. Questa è la lettura che io
compio del fenomeno.
   Per questo non vorrei ridurre la complessità di tale
fenomeno soltanto a singole responsabilità, anche perché
quando si inseguono soltanto episodi isolati, che sono solo
una parte del tutto, si incappa anche in una puntigliosa
precisazione. In fondo l'audizione e la memoria del senatore
Gava contestano, talora anche con argomenti (intendo dire con
fatti contrapposti ad altri fatti) l'indeterminatezza di
alcune acquisizioni processuali che sono nella fase iniziale e
che, come tali, debbono avere uno sviluppo che potrà
                        Pag. 3293
confermarle, arricchirle, aggravarle, integrarle, non mi
interessa. Vorrei ricondurre la nostra analisi, ma anche la
nostra denuncia perché sia severa - il più severa possibile -
ad una capacità di essere inattaccabile dai formalismi e dai
minimalismi di chi poi contesta questo o quel particolare,
perché credo che tutti ci preoccupiamo del quadro d'insieme.
   Del resto, tracce vistose della penetrazione camorristica
negli enti locali - lo abbiamo detto - sono riscontrabili
ormai in numerosi fatti e costituiscono la riprova non solo
dell'esistenza di referenti politici nelle amministrazioni
locali, ma anche dell'interesse della camorra ad influenzarne
le scelte.
   Non dimentichiamo che la camorra, come già la 'ndrangheta
e forse anche la mafia, nell'ultimo decennio non ha voluto
soltanto appoggiare alcuni politici ma ha inteso anche
sottoporre direttamente all'elettorato, attraverso
l'inserimento nelle liste, suoi uomini nelle istituzioni
locali. Tra circa un'ora sarò relatore al Senato del
decreto-legge di integrazione in materia di scioglimento dei
consigli comunali, un provvedimento che insieme con quello
recante interdizione della candidatura per i rinviati a
giudizio per associazione di stampo mafioso testimonia del
fatto che anche la nostra legislazione si è fatta carico di un
processo non solo di infiltrazione, ma addirittura di "presa
diretta" delle istituzioni da parte di camorristi, mafiosi e
'ndraghetisti. Non nego certo validità alle vicende dell'ex
sindaco Sangiovanni, dei suoi passaggi da una corrente
all'altra e del suo ritorno "a casa" in una determinata
corrente; non nego nemmeno validità esemplare alla vicenda di
Poggiomarino, su cui ho avuto numerose altre occasioni di
indagine, ma mi sembra che da Torre Annunziata alla serie di
amministrazioni comunali disciolte in provincia di Napoli ed
in tutta la Campania possiamo ricavare un materiale di
riflessione assai ampio.
   Per questo credo che non si superino quelli che sono
macigni, ostacoli sulla strada del recupero della legalità e
quindi di una vita democratica piena, che coincide con la
legalità, senza quella profonda riforma delle istituzioni e
dei partiti che non è più da evocare, è solo da praticare. Mi
auguro che la prossima legislatura sia capace di compiere
questa trasformazione qualitativa del modo d'essere e d'agire
delle istituzioni. Lo dico perché è la vera speranza anche per
quanto riguarda la lotta ed il contrasto alla camorra.
   Mi auguro, nello stesso tempo, che i partiti si ritirino
veramente sempre più e meglio da spazi istituzionali,
economici e sociali che hanno occupato indebitamente o che
hanno compresso con indirizzi politici e di gestione
profondamente sbagliati. Mi auguro che si affermi sempre più
nella vita politica e nella gestione di governo l'etica della
responsabilità, così come il principio della partecipazione e
del controllo dei cittadini. In questo senso, mi auguro che vi
siano anche partiti nuovi, diversi; ma il mio augurio
personale, sommesso (visto che oggi non è di moda) è che
questi partiti abbiano il volto delle forze popolari, dei
grandi movimenti di folla, di interessi, che abbiano radici,
capacità di rappresentanza di bisogni e di speranze diffuse,
che siano tramiti con le istituzioni senza delegare questo
compito alto della politica a tecnocrazie, a videocrazie, a
élites che si autoproclamano salvatrici del paese. Credo
che la "teledemocrazia" sia meno della democrazia e spero che
vi sia un futuro di democrazia più ampia, più partecipata nel
nostro paese.
   Accanto a questi aspetti più politici ed istituzionali,
credo che nella relazione debba essere anche colmata una
lacuna che riguarda la questione meridionale, una questione
che incrocia il fenomeno della criminalità organizzata non per
una maledizione, ma per il modello di sviluppo non solo
incompiuto ma anche distorto che ha provocato. Se si parla di
sviluppo incompiuto, siamo sempre disponibili, magari anche
ricorrendo all'esistenzialismo, ad aggiungere qualcosa, a dare
qualcosa di più, ad inventarci un contributo. I modelli
economici troppo spesso li abbiamo importati e non si sono
integrati né con le istituzioni né con la
                        Pag. 3294
vita sociale né con la cultura del sud. Il Mezzogiorno è
stato oggetto di provvidenze, quest'orribile parola che è
carica di equivoci e che ha tutto il peso di qualcosa che si
offre, che si dà con carità pelosa - dico io - al Mezzogiorno.
  SALVATORE FRASCA. Sarebbe interessante sapere chi abbia
inventato il termine "provvidenze".
  PAOLO CABRAS. Il termine è molto bello in un'altra
accezione, in quella manzoniana che in me cristiano trova eco
e risonanze; nell'accezione del politichese, non sarà colpa
dei politici di ispirazione cristiana...
  PRESIDENTE. Infatti, non a caso quella divina è
singolare.
  PAOLO CABRAS. Il termine provvidenze è aberrante e
dovremmo abolirlo.
   Tuttavia, non v'è dubbio che questo modo distorto ha poi
provocato la pesante condizione politico-clientelare del sud
ed ha agevolato la camorra e quant'altro. E' avvenuto che i
diritti venissero reclamati e richiesti come favori e non a
caso Giovanni Paolo II ne ha parlato a Napoli, quale emblema
della distorsione dello sviluppo e dell'economia del sud.
   E' qui che la criminalità organizzata ha trovato pascolo
favorevole, approfittando anche di un'inevasa domanda di
occupazione e di ruolo sociale delle giovani generazioni, come
si rileva nella parte finale della relazione. Anch'io credo
che i delitti, le violenze, i traffici illeciti che sono il
cancro della vita meridionale qualche volta siano stati
sottovalutati e sottodimensionati anche nell'immaginario
collettivo perché prevaleva l'offerta di un lavoro illecito,
nero, di cui era tramite proprio la camorra, l'organizzazione
mafiosa. Anche su questo penso che dovremo ragionare se,
combattendo la camorra, vorremo salvare il futuro del sud.
   In conclusione, penso che la mafia e la camorra siano
sempre agevolate dal disimpegno, dal tradimento dei politici,
dalla mafiosità dei comportamenti collettivi ed individuali.
Vorrei ora trarre un passo dalla pastorale dell'ottobre del
1989 dei vescovi italiani sul sud e sulla criminalità
organizzata: "E' vero, c'è una mafiosità dei comportamenti
collettivi ed individuali che non può essere sradicata dalle
legge ma da altri comportamenti e dal prevalere di altri
valori, di un'altra cultura". La Chiesa sta assumendo nel sud
una scelta in qualche modo promozionale di una nuova
mentalità, una cultura della solidarietà contro il familismo,
il tribalismo della società camorristica; la Chiesa sta
dispiegando una pastorale della non violenza del diritti umani
contro i rischi dell'individualismo e della massificazione.
Credo che anche di questo varrebbe la pena di accennare nella
relazione come testimonianza importante nell'azione antimafia.
   Occorre però quell'allenamento del mondo politico alla
nuova cultura della solidarietà e dei diritti, ossia occorre
una netta discontinuità verso il passato delle formazioni
politiche.
   Non penso che ci siano molti innocenti in giro nella
politica e credo che una profonda revisione autocritica sia un
esercizio dovuto da parte di tutte le forze politiche, senza
autoassoluzioni.
   Vorrei in conclusione dire una parola sulla responsabilità
politica.
   Nella parte finale di questa relazione, come anche in
quella sulla mafia, il presidente Violante si è diffuso su un
concetto che, nella sua distinzione un po' di scuola rispetto
alla responsabilità penale, non può non essere accettato; mi
sembra una distinzione razionale.
   Concordo sull'esistenza di comportamenti, scelte,
condivisioni della politica che debbono essere sottoposti a
valutazioni dell'opinione pubblica. Un uomo politico è un
cittadino che chiede il consenso, soprattutto se è candidato
ad una carica rappresentativa, perché vuole rappresentare in
un'assemblea elettiva interessi generali, chiede di essere
investito di una responsabilità sociale, che gli conferisce
tuttavia oneri maggiori di quelli di un singolo cittadino,
anche di un rappresentante di istituzioni diverse da
                        Pag. 3295
quelle politiche, da quelle rappresentative. Credo perciò che
l'uomo politico debba sottoporsi alla trasparenza dei
controlli e al giudizio dei cittadini. Se sbaglia può essere
anche penalmente incensurabile, ma politicamente è uno
sconfitto, deve essere un fuoriuscito dalla politica.
   Ecco, non voglio governi dei giudici, chiedo che vi siano
invece comportamenti e giudizi politici. Non voglio neanche
verdetti politici, preferisco il giudizio dei cittadini che
hanno lo scettro, sono gli arbitri della vita democratica.
   Non credo spetti a noi e al Parlamento esclusivamente un
giudizio su persone, anche su comportamenti politici; ritengo
che nella dinamica della vita democratica sia affidata a noi
anche in questa relazione la necessità di esprimere un
giudizio su quello che i politici non debbono fare e la
politica non deve essere rispetto alle deviazioni concrete
praticate nella vicenda della camorra a Napoli e nei dintorni.
   Non vorrei che rassegnassimo soltanto l'estrapolazione di
alcuni casi, pur significativi, emblematici e rilevanti, ma
che offrissimo il quadro di una devastazione più grande avente
i tratti di una degenerazione sistemica. Non mi pongo quindi
dalla parte di un riflesso condizionato dall'appartenenza, ma
da quella dell'ambizione di mettere in grado per l'avvenire la
politica - quella che miri ad ideali, ad orizzonti di
tensione, che creda nel cambiamento - di sconfiggere la mafia,
l'illegalità, la sopraffazione ed anche di cautelarsi contro i
nemici interni delle istituzioni. Tali nemici possono stare
anche dentro la politica, ma a noi interessa il riscatto della
politica perché abbia una capacità più alta di respiro e di
vita democratica.
  IVO BUTINI. Signor presidente, onorevoli colleghi, tengo
conto in queste mie riflessioni del giudizio che un autorevole
collega ha dato della finalità dei lavori della Commissione
antimafia, intesa come un contributo portato alla
trasformazione del sistema politico in Italia. Se così stanno
le cose, è chiaro che occorre la massima serietà dell'indagine
e la massima responsabilità delle valutazioni.
   La relazione che stiamo discutendo ha un oggetto
specifico: i rapporti di una forma di criminalità organizzata
nota con il nome di camorra con la politica e con le
istituzioni.
   Il documento richiama un evento naturale, il terremoto, le
provvidenze successive per la ricostruzione e sostiene - così
mi sembra di aver inteso - che questo fatto ha favorito una
sorta di interazione tra la politica e gli affari ed è
diventato la culla di una nuova dimensione della camorra.
Quindi, un fatto naturale e una storia criminale avrebbero
determinato alcuni fenomeni rispetto ai quali bisogna poi
concludere secondo la premessa che ho prima richiamato, con il
contributo che si intende portare ad un processo di
trasformazione politica.
   Secondo una prima tesi, dentro questa storia criminale si
è sviluppato un potere politico; secondo un'altra, nelle
pieghe della storia di un partito o, se si vuole, di una sua
corrente, si è verificato lo sviluppo del fenomeno criminale
della camorra o il nuovo sviluppo criminale della stessa;
un'altra impostazione parla di un'evoluzione della criminalità
endogena alla regione Campania, di una criminalità diffusiva
ed autorevole che si è alimentata del mutamento delle
condizioni economico-sociali ed ha premuto sul quadro politico
istituzionale.
   Si afferma nella relazione - lo ricordo a me stesso - che
gli interventi nelle zone terremotate si ispirarono a quello
che fu il "consociativismo nazionale" - usiamo la parola tra
virgolette, come è nella relazione - consociativismo che - è
stato richiamato da molti colleghi - ebbe una storica
concretizzazione nella nomina a Napoli di due commissari
straordinari: all'epoca furono il sindaco Valenzi dell'allora
partito comunista e il presidente della giunta regionale
Fantini della democrazia cristiana...
  PRESIDENTE. Credo che allora fosse De Feo; c'è un errore
nella relazione.
                        Pag. 3296
  IVO BUTINI. Per la verità, ho preso il dato dalla
relazione; probabilmente, si tratta di un errore.
  PRESIDENTE. Comunque il meccanismo è quello.
  UMBERTO RANIERI. Per la verità, Valenzi fu commissario
per meno di due anni. Lo dico solo per ricordare lo schema
istituzionale.
  IVO BUTINI. Richiamavo semplicemente l'origine della
legislazione per gli interventi, ossia il consociativismo.
  UMBERTO RANIERI. Purtroppo, furono soltanto due anni di
consociativismo.
  IVO BUTINI. Il suo richiamo non ha motivo di essere
perché non sosterrò quella tesi.
   Ho richiamato questi elementi perché nella relazione si
afferma che il Parlamento non seppe vincere una certa
emotività determinata dalla gravità del terremoto e quindi,
prescindendo dai fenomeni di consociativismo richiamati,
vennero strumenti, decisioni straordinarie, poteri
eccezionali, i quali sarebbero in parte imputabili di alcune
deviazioni lamentate.
   Ricordo per la verità - anni precedenti a quelli ottanta -
quando le prime strutture degli interventi straordinari nel
Mezzogiorno, al di là delle provvidenze richiamate
dall'onorevole Cabras, venivano giustificate a me che ne
chiedevo spiegazione con la necessità di avere istituti e
procedure nuovi rispetto alla tradizione burocratica italiana
e quindi in qualche misura non ordinarie in considerazione
della necessità di fare presto, di contrastare i ritardi e le
lentezze che la burocrazia aveva manifestato nel paese.
   In altri termini, anche questa storia degli interventi
straordinari e delle procedure eccezionali - prescindendo
dalla gravità dell'evento naturale - hanno motivazioni
politiche diverse nella storia di questi anni.
   Allora, mi domando se la notazione sull'emotività debba
essere limitata soltanto all'episodio del terremoto a Napoli o
se il Parlamento non tenda a volte ad oscillare tra un eccesso
di emotività ed uno di sospettosità: il sospetto aggrava i
lacci e i lacciuoli e, per reagire a questi ultimi, si debbono
introdurre procedure straordinarie delle quali in qualche caso
ci andiamo a lamentare per le conseguenze che portano, così
come risulta dalla relazione.
   Nella stessa sono contenuti alcuni riferimenti - di cui
poi dirò - alla fragilità istituzionale della regione
Campania.
   Credo che una certa debolezza dello Stato - lo anticipo
brevemente e comunque mi sembra sia stato notato anche
nell'intervento dell'onorevole Cabras - una mancanza o una
debolezza del senso dello Stato appartenga a tutta la
tradizione civile del nostro paese, non soltanto alla
Campania.
   Vorrei ora fare riferimento all'intervento del senatore
Brutti; lo invito a correggermi in caso di errore, perché non
vorrei non aver bene inteso.
   A un certo punto egli afferma (credo di essere pressoché
testuale) che c'è stato un cieco conservatorismo e un
anticomunismo della democrazia cristiana che spinse il gruppo
dirigente della DC napoletana a buttarsi a destra.
   Vorrei fare in proposito alcune rapidissime osservazioni.
L'anticomunismo può tranquillamente appartenere ad una
politica liberale, democratica e riformista; si tratta di
vederne la natura. Il conservatorismo è un po' diverso
rispetto ad una politica liberale, democratica e riformista,
ma comunque può essere sempre democratico. Se invece si parla
di cieca posizione politica, sia rivoluzionaria o sia
conservatrice, il destino è comune a tutte e due le ipotesi.
   Mi sia ora permesso un rapidissimo richiamo storico che
ebbe un esito caratteristico nell'area campana e
specificamente napoletana. Parlo del 1953, anno in cui si
contrapponevano due poli, quello monarchico-missino e quello
socialcomunista,
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 vi era la nuova legge elettorale con il premio di
maggioranza, era presente una situazione di difficoltà
nell'area liberaldemocratica del paese, fenomeni che si
riscontrano anche nell'attuale situazione politica. Anche
allora vi fu una fortissima campagna di scandali istituzionali
e di fatto, sia pure a livelli diversi rispetto a quelli di
oggi.
   Richiamo il libro di Magliano "La borghesia e la paura",
che mi pare vinse anche un premio Viareggio; la borghesia
italiana, che poteva avere risentimenti verso la democrazia
cristiana - c'era stata la riforma agraria - avrebbe potuto
votare per il partito liberale, ritornare ad alcune posizioni
politiche tradizionali ed invece punì non so se la DC,
certamente De Gasperi, votando monarchico e missino. Venne
così fuori in quelle proporzioni a Napoli il fenomeno del
laurismo. Quello che successe poi non mi interessa in questa
fase.
  SALVATORE FRASCA. In Campania non c'è stata la riforma
agraria.
  IVO BUTINI. La politica degasperiana delle riforme, che
poteva guadagnarsi il risentimento della borghesia,
logicamente avrebbe dovuto portare tale ceto a votare per il
suo partito tradizionale, quello liberale; votò invece
monarchico e missino in modo particolare nel Mezzogiorno e a
Napoli - quando si verificò la grande ascesa del partito
monarchico di Lauro - per cui il fenomeno non sembrerebbe
legato ad un cieco conservatorismo democristiano che si butta
a destra, ma ad una serie di conflitti sociali e politici, che
in quella fase si manifestarono in quei termini, rispetto ai
quali la DC pagò perdendo voti. Tutto quello che segue non è
oggetto del nostro esame.
  MASSIMO BRUTTI. Mi domando se dopo quella che il
senatore Butini definisce una punizione, dopo lo spostamento
di settori delle classi dominanti verso destra non vi sia
stata - possiamo vedere come nel Mezzogiorno abbia acquistato
certi caratteri, come il clientelismo e via dicendo - la
tendenza di una parte dei gruppi dirigenti della DC a
spostarsi su un terreno concorrenziale con la destra e ad
accentuare elementi di anticomunismo.
  PRESIDENTE. Forse sarebbe meglio che lasciassimo
concludere il senatore Butini!
  IVO BUTINI. Cabras ha già ricordato nel suo
intervento...
  SALVATORE FRASCA. Nel 1951-1952 cadevano i contadini!
C'erano gli arresti di massa!
  IVO BUTINI. Non allargate il discorso!
  PRESIDENTE. Senatore Butini, è l'interesse del suo
intervento che suscita le interruzioni!
  IVO BUTINI. Tornando alle osservazioni del collega
Brutti, credo che questa interpretazione degli avvenimenti del
1953 sia indiscutibile.
  SALVATORE FRASCA. Le Madonne muovevano gli occhi!
  IVO BUTINI. Li muovevano cinque anni prima! Abbi
pazienza! I vescovi hanno il diritto di benedire tutto ciò che
può essere benedetto in certe situazioni!
  SALVATORE FRASCA. Anche i cantieri di lavoro?
  IVO BUTINI. Certo, anche i cantieri di lavoro, se danno
pane! Ognuno ha la sua funzione sociale!
   Non mi nascondo che vi è una storia interna della
democrazia cristiana che risente delle debolezze della cultura
cattolica e delle tradizioni politiche dei cattolici italiani.
Tuttavia, debbo anche dire che nemmeno il partito comunista
sfuggì alla tentazione di utilizzare una parte di queste
debolezze, provocando conseguenze sulle altre parti. A mio
avviso, con riferimento all'analisi che sto
                        Pag. 3298
proponendo, non vi sono sempre ed unicamente volontà autonome
perverse, ma va anche considerata la gestione di fenomeni che
si sovrappongono e si incrociano, la cui analisi meriterebbe
di essere approfondita prima di attribuire ad un soggetto,
personale o politico, responsabilità totali e senza "residui".
Questa è la riflessione che ho voluto sottoporre alla vostra
attenzione.
   Noi - o la democrazia cristiana - abbiamo commesso i
nostri errori; tuttavia, l'anticomunismo della democrazia
cristiana non fu mai cieco. Su questo punto vorrei essere
preciso. Anche a Napoli, Brutti, quando - intorno al 1947 - la
piazza chiedeva che il partito comunista fosse messo fuori
legge, De Gasperi oppose un rifiuto a tale richiesta. Io - se
volete - sono stato e sono anticomunista, ma non mi sento un
anticomunista cieco. Non accetto questa qualificazione!
   Il riformismo della democrazia cristiana non fu mai cieco
conservatorismo, né vi è stata una democrazia cristiana che si
è "buttata" a destra. Anche se pensiamo all'episodio Tambroni,
al quale nessuno ha fatto riferimento - se vogliamo portare la
polemica fino a questo punto, facciamolo! - dobbiamo dire che
esso non fu coperto dalla democrazia cristiana, così come la
storia ha dimostrato. Ecco perché rifiuto il giudizio che è
stato dato e chiedo che nella relazione venga inserito qualche
cenno alla tesi che ho sostenuto.
   Noi abbiamo realizzato una mediazione (definitela di
centro, se preferite), che credo sia stata lucida e non
opportunista, pur nella consapevolezza di quanto spingessero
l'anticomunismo, l'intransigentismo, l'autoritarismo,
l'antipopolarismo e l'orientamento ad attuare una politica
chiusa nei confronti delle masse popolari o del partito
comunista (per la parte di responsabilità che quest'ultimo
aveva assunto in quegli anni nella politica nazionale). Questa
politica di mediazione lucida e non opportunista si scontrò
con l'eredità storica dello Stato unitario. Il ritorno alla
democrazia non si manifestò allo stesso modo nel nord e nel
sud: la storia del ritorno della democrazia in Italia non si
espresse al nord nello stesso modo che al sud.
   Avverto un personale disagio nel considerare le battaglie
che non abbiamo vinto contro la criminalità (e non soltanto
contro di essa). Tuttavia, se vi fosse il rischio, presidente,
per i membri di questa Commissione, per i deputati ed i
senatori del Parlamento nazionale e per l'opinione pubblica,
di essere portati a credere che sia stata la democrazia
cristiana a creare la camorra e la mafia, respingerei
nettamente questo giudizio, che considero immotivato sul piano
storico.
  PRESIDENTE. Senatore, mi pare che la relazione non dica
questo!
  IVO BUTINI. Infatti, ho parlato di un eventuale rischio.
   La seconda parte della relazione sviluppa analiticamente
la descrizione della crisi nella regione Campania. Il collega
Guerritore - se ricordo bene - parlò della camorra come
fenomeno endemico, negandole una continuità storica. La
relazione - l'ho già detto in precedenza - richiama la grave
condizione di fragilità istituzionale che caratterizza la
Campania. Dalla lettura della relazione sembra che in questa
regione non esistano né il senso dello Stato (che, lo
sottolineo, non riguarda soltanto i cittadini, anzi li
riguarda poco sotto un certo profilo) né la responsabilità
amministrativa. A pagina 47 è contenuta una frase bellissima
sull'atteggiamento degli amministratori che - quasi imitando
il lupo - imputano tutto a coloro i quali li hanno preceduti,
quasi che quel tutto fosse derivato da non si sa bene quale
ancestrale condanna. Quando parlo di senso dello Stato mi
riferisco ad un concetto più profondo di quello della legalità
formale: in quella regione manca il sentimento comunitario
nella popolazione ed il senso di una missione nazionale nei
rappresentanti dello Stato. Non ho paura di usare il termine
"missione nazionale", a prescindere da dove questi
                        Pag. 3299
alti funzionari dello Stato si trovino a servire dal punto di
vista sia regionale sia istituzionale. Quello che viene
comunque considerato il fine di ogni Stato organizzato, sembra
che in Campania non esista. Mi pare che l'interpretazione più
ricorrente tra i colleghi sia che in Campania la camorra non è
riuscita a stabilire un proprio ordine, così come invece in
qualche misura si ritiene che abbia fatto la mafia in Sicilia:
nemmeno questo si sarebbe verificato in Campania! Siamo quindi
di fronte ad una degenerazione profonda del tessuto civile
prima ancora che di quello sociale e politico.
   Presidente, concordo con l'esigenza di rinvigorire le
strutture dello Stato e dell'amministrazione, ma credo che ciò
non sia sufficiente. Infatti se lo Stato, che non è una
astrazione ma è rappresentato in questo caso dagli alti
funzionari (credo che tutti ci capiamo quando uso questo
termine) in ogni settore dell'amministrazione, non rende
visibile un comportamento unitario, le strutture da sole non
sono capaci di risolvere il problema che ci poniamo a livello
istituzionale. Su questo punto vorrei essere chiaro: se il
prefetto di una provincia fa una cosa e quello di un'altra
provincia fa una cosa diversa; se l'ordine giudiziario che
opera in una certa provincia si comporta in un modo e se in
un'altra provincia esso agisce in un modo diverso, non siamo
di fronte ad un'immagine unitaria dello Stato accreditata
nella coscienza dei cittadini. Pongo questo problema, che
considero serio, alla vostra attenzione.
   Quanto al rapporto tra i fini e la responsabilità dello
Stato (dottrina ed ordinamento) e la dialettica politica (che
investe gli interessi popolari e che si manifesta attraverso i
partiti e le elezioni), è chiaro che tutte le risposte ad esso
inerenti risentono della situazione storica-locale nella quale
si manifestano certi fenomeni. Pongo questo problema di
carattere generale, riservandomi, presidente, di sollevare una
questione di carattere procedurale.
   La relazione fa riferimento al ruolo di un leader:
parla di un partito, di una corrente, ma sostanzialmente fa
riferimento al ruolo di un leader. Non mi pare possibile
sostenere, nemmeno sulla scorta di quanto la relazione
esprime, che si possa immaginare questo leader come
unica causa agente delle cose descritte, richiamate o valutate
dalla relazione.
   Non vorrei che quanto sto per dire fosse un'ingenuità,
presidente, ma io ho esaminato la relazione presentata dal
senatore Gava, che considero, appunto, una "relazione" perché
presenta tutte le caratteristiche di un documento formale,
autonomo anche rispetto alle audizioni svolte in questa sede.
Non sono un uomo di legge, ma se non ho capito male questo
documento presenta molte caratteristiche tipiche delle memorie
che si presentano nel corso dei dibattimenti processuali. Mi
chiedo, allora: la Commissione deve seguire una procedura
tipicamente processuale, valutando gli elementi di fatto e di
prova? In questo caso, emergerebbero alcune difficoltà sulle
persone che sono state ascoltate, dal momento che le audizioni
sono squilibrate: infatti, abbiamo ascoltato le accuse ed i
responsabili istituzionali, ma non le difese. Se si dovesse
seguire una procedura tipicamente dibattimentale, saremmo
quindi di fronte ad uno scompenso delle analisi che abbiamo
fin qui condotte. Pongo questo problema, presidente,
presumendo che lei debba affrontare una seconda stesura della
relazione. Se lei riterrà di dover tener conto di queste
osservazioni...
  PRESIDENTE. Bisogna tenerne conto!
  IVO BUTINI. In sostanza, vorrei manifestare il mio
disagio, da persona non tecnica, rispetto ai documenti alla
nostra attenzione.
   Mi avvio alla conclusione, ponendo un problema che
probabilmente viene incontro alle osservazioni svolte da
Brutti. Se la fragilità istituzionale esiste - così come tutti
riteniamo -, se c'è una mediazione politica indubbia
nell'azione democratica e nel giudizio popolare (mi pare che
di questo Cabras ne abbia fatto una teoria), allora, onorevoli
colleghi, va considerato
                        Pag. 3300
- ripeto - che da una parte c'è la fragilità istituzionale,
dall'altra la naturale mediazione politica che si alimenta nel
confronto con gli interessi e le opinioni popolari e che
questo può determinare il rischio che la mediazione politica
assuma una funzione di supplenza istituzionale. Questo
rischio, a mio giudizio, si è manifestato in certe aree ed in
certi periodi della storia del paese. Se c'è una supplenza
istituzionale della mediazione politica, siccome l'origine di
quest'ultima non è la legge, ma il voto che esprime
l'interesse e le opinioni delle popolazioni, il rischio del
condizionamento e, al limite, quello della subordinazione, è
reale ed insito in un certo tipo di processo politico. Se non
si corregge la fragilità istituzionale, dobbiamo essere cauti
nei giudizi sulla politica perché probabilmente alcune
deviazioni della politica dipendono da quella fragilità. Si
potrà poi fare la storia di chi è responsabile nella vita
unitaria dello Stato, ma questo è un altro problema. Ho voluto
comunque richiamare queste considerazioni per evitare di dare
un carattere strumentale al ragionamento che sto sviluppando.
   Leggendo la relazione, ho avuto l'impressione che vi sia
il convincimento che la camorra sia capace di condizionare
ogni espressione politica. Si potrebbe poi trarre la
conclusione che ogni altra espressione politica futura
risulterebbe condizionabile dalla camorra. Lo vedremo
certamente. Se l'assunto fosse questo, il dubbio potrebbe
insorgere. Perché? Si è detto che le provvidenze finanziarie
per il Mezzogiorno sono state soggette al dominio della
camorra; questa è diventata la tesi di uno dei partiti nuovi
di questa fase di trasformazione politica del paese. Quindi,
non un elemento marginale ma una tesi fondamentale che compete
in questo processo di trasformazione. Dunque il discorso
diventa rilevante, se c'è un partito che si fa carico di
questo giudizio!
   La descrizione delle strutture locali è drammatica. Tutte
no, per carità!
  PRESIDENTE. Quelle che abbiamo visto.
  IVO BUTINI. Quelle che abbiamo visto! Chissà se ce ne
sono anche altre più coperte? La fragilità istituzionale l'ho
richiamata, con la preoccupazione che essa non possa
garantire, nemmeno nel futuro, la mediazione politica ai
livelli che le sono propri. Allora si potrebbe dire: non si
può fare niente? Siamo di fronte ad una situazione che non
consente vie d'uscita?
   Ritengo che il presidente, nella relazione al Parlamento,
debba porre in evidenza - non che non ne abbia parlato - due
elementi. Occorrerà infatti richiamare le responsabilità
unitarie dello Stato e della pubblica amministrazione, nel
senso che prima ho illustrato, nelle aree interessate dalla
criminalità, in cui lo Stato e la pubblica amministrazione
hanno - per ciò che loro compete - funzioni anche di
repressione, ma debbono soprattutto preoccuparsi di quella che
noi definiamo cura promovendae salutis, in forme
visibili, coordinate ed unitarie.
   Mi permetta poi, presidente, di dire - ma sono
disponibilissimo a cambiare opinione - che il rapporto
economia-criminalità non è solo un elemento interno, una
specificazione del rapporto politica-criminalità.
   Tale rapporto è la fonte di molti dei fenomeni che abbiamo
lamentato. Può diventare più o meno grave a seconda della
forza o della debolezza istituzionale e quindi della capacità
della politica di fare la mediazione che le compete, o la
supplenza che, per le ragioni dette, la porta ad essere
subordinata.
   Sono quindi d'accordo - mi pare che ciò sia nell'ultima
parte - che vi sia una redenzione sociale da richiamare con
forza all'attenzione del Parlamento. Non che quest'ultimo non
lo sappia, ma perché si dia un significato a quanto noi
proponiamo.
   Vorrei fare un'osservazione, richiamando alcune
valutazioni di metodo, che ho prima ricordato. Se vi è stato
un certo
                        Pag. 3301
squilibrio tra quanto ho sentito nella fase delle indagini e
quanto ho poi letto nella fase della sintesi della relazione,
esso può essere il seguente: talvolta abbiamo sentito come
testimoni alcuni che avrebbero potuti essere non dico imputati
ma responsabili delle cose che accadevano. Vi è dunque una
sovrapposizione tra testimonianze e responsabilità,
probabilmente legata al tipo di lavoro che facciamo.
Sottolineo questa come una preoccupazione che ho avvertita,
disponibile a correggere il mio pensiero se fossi incorso in
un travisamento dei fatti, come avremmo potuto compiere noi a
proposito del generale De Sena.
   Non sono né un magistrato né un avvocato, ma ritengo che
il travisamento dei fatti - che penso costituisca un motivo di
annullamento formale delle sentenze - possa colpire anche i
lavori di Commissioni come la nostra, così vicina alle
condizioni processuali.
  MASSIMO BRUTTI. Non mi è sembrato che ci sia stato un
travisamento dei fatti.
  IVO BUTINI. Ho detto che ci potrebbe essere un
travisamento dei fatti. Non dico che si dicano bugie, Brutti!
Vorrei essere chiaro. Non si dicono le bugie, ma si possono
esprimere giudizi che non corrispondono alle intenzioni, per
cui si potrebbe passare dal dolo alla colpa, avendo tutto
costruito sul dolo. E ciò non è poco!
   Vorrei concludere, presidente, dicendo che ciascuno di noi
ha le proprie responsabilità; nessuno può essere messo al di
sopra della mischia.
   Mi pare che la conclusione sia un pochino squilibrata, in
questo senso: in qualche modo attribuisce alla responsabilità
di un leader, o ritiene che l'epurazione di un
partito... Tu hai quasi usato questa parola (Commenti del
senatore Brutti). Per carità!
  MASSIMO BRUTTI. Ho detto che tutti abbiamo problemi di
rinnovamento del sistema politico.
  IVO BUTINI. Certo! Non credo che bastino. La relazione
ha altezze diverse; affronta problemi più grossi. Cabras ha
ben illustrato quale sia il quadro generale più grave. Quindi,
non lo perdiamo nel momento in cui andiamo a dire al
Parlamento: guardate che qui ci troviamo dinanzi ad un
problema serio! Non possiamo dire: la colpa è del Butini, e
poi tutto torna come prima! Questo potrebbe essere un grave
errore di giudizio che insinuiamo nelle persone che ascoltano.
Da qui la necessità di chiarire le posizioni perché non si
perda la complessità dell'analisi che la relazione ha fatto,
puntualizzando alcune specificazioni, nella preoccupazione di
concorrere più alla trasformazione del sistema politico che
non alla valutazione del fenomeno che esaminiamo. Questo è
quanto volevo dire come preoccupazione personale. Sono
tuttavia una voce e non colui che è chiamato a darvi
l'interpretazione autentica!
   Il Parlamento, quindi, non si limiti solo all'acquisizione
di conoscenze. Si cerchi invece di dargli la sensazione che le
conoscenze che acquisisce lo obbligano a fare degli
interventi, ad assumere delle responsabilità.
   Gli squilibri delle tesi a confronto esistono, perché non
abbiamo tutti la stessa tesi. Al loro interno c'è stato un
lavoro che apprezzo per ampiezza ed impegno. Se potessimo, ove
ritenuti validi, accogliere alcuni emendamenti, suggerimenti,
interpretazioni capaci di rendere meno forti gli squilibri
rispetto ad un problema che interessa tutta la nazione, il
nostro apprezzamento sarebbe più largo e completo.
  PRESIDENTE. Colleghi, vi vorrei informare sul fatto che
entro il 31 dicembre il ministro della giustizia dovrà
distribuire 600 magistrati in più tra tutti gli uffici
giudiziari.
   Ci siamo fatti inviare il quadro relativo alla
distribuzione; si tratta di un quadro redatto sulla base di
criteri oggettivi nazionali; esso non riconosce una pregnanza
particolare delle situazioni del Mezzogiorno. Se i colleghi
sono d'accordo
                        Pag. 3302
segnalerei rapidamente al ministro l'opportunità che una
quota (almeno pari al 55 per cento) sia destinata alle sedi
più esposte nell'azione di contrasto alla criminalità
organizzata.
   Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Esaminando la proposta di
emendamento del collega Tripodi, mi è venuto in mente che vi è
il problema, così mi pare, degli avvocati, a Napoli. In altre
parole, mi pare di ricordare che un certo comportamento abbia,
in qualche misura, creato dei problemi all'interno del
tribunale di Napoli, a causa di ritardi, scioperi. Non mi
ricordo se nella relazione si faccia o meno cenno di
quest'aspetto. Se di tale problema non si parlasse, chiedo al
presidente di valutare l'opportunità, relativamente a quella
parte in cui si parla dello stato della giustizia, di far
riferimento anche alla questione di tale conflitto che esiste
con la camera penale.
  PRESIDENTE. Permanente!
  MASSIMO BRUTTI. E' una questione delicatissima, che non
abbiamo affrontato per Cosa nostra. Essa ha una sua autonomia.
  PRESIDENTE. La ringrazio per la sua segnalazione,
senatore Ferrara.
  SAVERIO D'AMELIO. Signor presidente, anch'io vorrei dare
il mio contributo pur parlando brevemente, anzi mi scuso se
non potrò svolgere compiutamente ed in modo organico il mio
intervento, come pure avrei desiderato, ma i tempi stringono e
fra poco dovrò recarmi al Senato per svolgere il mio compito
di relatore presso una Commissione.
   Dico subito che la realtà campana, che è dinanzi ai nostri
occhi, evidenzia, nella sua complessità, dei punti deboli che
certamente non possono farsi risalire all'ultimo decennio.
   In Campania c'è una realtà assai complessa; una
complessità che è parte e si omogeneizza piuttosto verso il
basso, che rende difficile la comprensione dei fenomeni.
   Mi sia consentita una breve citazione personale. Avendo
studiato a Napoli, sia pure come erano costretti a studiare i
figli del proletariato lucano, riducendo al minimo le "punte"
che si facevano all'università, solo perché bisognava
risparmiare, limitandole alle lezioni più importanti o al
periodo degli esami, ricordo di aver tratto fin dal primo
impatto con questa difficile e complessa realtà una sensazione
di repulsa al primo impatto - questo mi capita ancora oggi,
tutte le volte che vado a Napoli -. Appena arrivo, infatti,
provo questa sensazione di una realtà che mi respinge. Se poi
riesco a fermarmi per un certo periodo, penetrando ed
avvicinando la gente, cercando di arrivare al grande cuore di
Napoli, allora è possibile accorgersi di una vivacità e di una
capacità di comprensione dei fenomeni del mondo che è maggiore
a Napoli, soprattutto nei vicoli, di quanto lo sia altrove.
   Ho rappresentato questa mia sensazione per dire che non è
facile comprendere la realtà campana né tanto meno quella
napoletana. In ogni caso, questa realtà ha profonde radici
storiche. E' una realtà tutta da cambiare, salvando ovviamente
ciò che vi è di umanità in quel popolo, cercando di dare
stimoli alla vivacissima e forte intelligenza, ma anche
stimoli e convinzioni nella capacità del diritto, nella
responsabilità dello Stato, nella forza attraente che lo Stato
deve sapere esercitare per rifuggire dalla tentazione, ahimè
tanto diffusa al sud, di sostituire lo Stato, purtroppo spesso
inefficiente se non addirittura inesistente. Ricordo di essere
arrivato a Napoli, due anni fa, di notte, in quella che
conoscevo come piazza Municipio, oggi piazza Plebiscito.
Volevo andare a prendere un caffè e mi imbattei in una realtà
molto più complessa, difficile, avvilente, preoccupante, da
paura. Quella stessa paura che non avevo registrato - eppure
ne avevo
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registrata tanta - visitando gli slum, i bassifondi di
New York o, peggio ancora, di New Orleans.
   Come ha ricordato poco fa il senatore Butini uno dei
compiti della Commissione è quello di dare un contributo alla
lotta alla mafia, ma questo sarà tanto più forte, tanto più
valido e servirà a far crescere nella mente dei meridionali la
consapevolezza della presenza di uno Stato forte, equanime,
capace di fare giustizia, capace comunque di rispondere alle
esigenze e sono tante dei meridionali, tutelando i loro
diritti senza distinzioni, perché purtroppo di distinzioni
ancora oggi si deve parlare.
   Questa breve premessa credo serva a respingere le
affermazioni un po' di parte che ho sentito anch'io ed ho
letto nella relazione del collega Brutti, che risponde più ad
una esigenza propagandistica. Conosco Brutti per altro verso e
devo dire che da come l'ho potuto apprezzare in Parlamento lo
vedo più funzionale ad una logica...
  PRESIDENTE. Il diritto romano non si presta alla
polemica.
  SAVERIO D'AMELIO. Nella interpretazione del diritto
romano il professor De Martino ci ha dato un alto
insegnamento.
  PRESIDENTE. Ma quella è storia del diritto romano.
  SAVERIO D'AMELIO. Ciò nonostante l'interpretazione data
da De Martino non è mai di parte.
  PRESIDENTE. Indubbiamente.
  SAVERIO D'AMELIO. Comunque, apprezzo l'opera del collega
Brutti quale storico, mentre vedo che il suo ruolo in
Parlamento è più funzionale ad una logica molto limitata, di
partito, che non alla sua intelligenza.
   Alcune esemplificazioni non trovano il mio consenso;
esemplificazioni che per altro non ho trovato nella relazione
del presidente, anche se come dirò anch'io vedo con
preoccupazione le conclusioni di questa relazione. Un certo
sillogismo, per quanto altamente posto dal presidente nei
termini essenziali, alla fine arriva a conclusioni che, per il
rispetto dovuto all'analisi storica e concreta, per quel
contributo alla lotta alla mafia che la nostra Commissione
deve saper dare e sta dando, dobbiamo cercare di correggere.
   La realtà campana è tanto difficile per cui è più facile
capire la mafia.
  PRESIDENTE. Certo.
  SAVERIO D'AMELIO. E' più facile capire la mafia che non
la camorra.
  PRESIDENTE. Non c'è dubbio.
  SAVERIO D'AMELIO. La mafia nelle sue aberrazioni, nel
suo modo di essere, che evidentemente non è da condividere, ha
linearità di comportamenti e chiarezza di manifestazioni. Non
a caso, ad esempio, la mafia non uccide con la stessa facilità
con cui la camorra uccide in Campania e per certi aspetti
ancora più gravi in Calabria.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Però quando uccide lo fa
sistematicamente.
  SAVERIO D'AMELIO. Nella mafia c'è una ratio,
mentre nella camorra...
  PRESIDENTE. C'è un'altra ratio.
  SAVERIO D'AMELIO. Non vorrei offendere i meridionali,
dei quali per altro faccio parte...
  PRESIDENTE. Eventualmente offende i camorristi.
  SAVERIO D'AMELIO. ...ma vorrei dire che ho riscontrato
quella sciatteria, che trovo in tanti comportamenti nostri, di
noi meridionali, nelle cose semplici come nelle cose più alte,
nelle cose futili, come in quelle impegnative. Abbiamo il
guizzo dell'ingegno, ma l'incapacità della razionalità! La
stessa sciatteria la trovo
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anche nella delinquenza organizzata che in Campania prende il
nome di camorra. Ma proprio per questo dobbiamo far
riferimento ad una realtà dalla quale dobbiamo partire per
chiedere che ad essa sia riservata maggiore attenzione da
parte di uno Stato disattento (voglio usare questa espressione
che per me è un eufemismo).
   Dove individuo la debolezza della nostra analisi? Dopo le
premesse certamente valide e condivisibili anche della
relazione del presidente Violante, il discorso si restringe ad
un'identificazione della camorra con gli uomini di potere e
soltanto con gli uomini di potere (Brutti su questo punto
estremizza), con gli uomini di governo e soltanto con gli
uomini di governo e al loro interno soltanto con il partito
della democrazia cristiana o con gli uomini della democrazia
cristiana che per aver avuto la ventura di godere di
maggioranze certamente democratiche, tuttavia si sono assunti
anche la grave responsabilità del degrado che è alla base del
fenomeno camorristico, per altro assai preoccupante.
   Respingo il ruolo di un partito, di una corrente e tanto
più di un leader, comunque si chiami (in questo caso
risponde al nome di Gava), quasi che questo avesse alimentato
la camorra o avesse svolto un ruolo funzionale e comunque di
contatto, se non addirittura di alimentazione (poc'anzi il
senatore Butini l'ha definita causa agente). Questa
identificazione, questo assioma come tale non lo vedo, anche
se affermo che le responsabilità dei partiti di governo sono
state certamente maggiori di quelle dei partiti che avrebbero
dovuto esercitare un ruolo di opposizione e che invece spesso
hanno interpretato in modo scorretto il loro ruolo
costituzionale, al punto che non hanno aiutato i partiti di
maggioranza a liberarsi dalle contiguità, che pure sono più
facili, sono più possibili quando un partito amministra,
rispetto ad un partito che, libero dalle responsabilità di
governo, ha in sé la forza e la capacità di aiutare i partiti
di maggioranza - dicevo - a liberarsi dalle contiguità, se non
addirittura dalle confusioni che spesso si evidenziano nella
vita amministrativa.
   Ricordo a questo proposito che quando ero vicepresidente
di questa Commissione, presieduta dal presidente Alinovi,
negli anni 1981-82 ci recammo a Palermo. In quell'occasione
fui invitato da alcuni esponenti del mio partito (la
democrazia cristiana) che certamente conoscevano il fenomeno
della mafia più di quanto lo conoscesse la Commissione. In
quei tempi a Palermo ancora si metteva in discussione
l'esistenza della mafia e l'utilità della presenza della
stessa Commissione in quei luoghi. Indubbiamente
quest'interrogativo offriva l'alibi e in certo qual modo
bloccava la nostra capacità d'indagine e di capire. Tra gli
invitati appresi che c'era anche un grosso esponente della
storia politica della democrazia cristiana degli anni
quaranta-cinquanta; ad un certo momento questo personaggio mi
disse: "La mafia c'è sempre stata qui da noi, purtroppo. La
mafia ha sempre contattato e purtroppo contagiato un po'
tutti, chi più chi meno, partiti di maggioranza come partiti
di minoranza. La differenza però - egli disse - (cito quasi
testualmente) tra ieri ed oggi è che gli uomini di tutti i
partiti che hanno avuto a che fare con la mafia avevano una
tale personalità da chiudere la porta di casa in faccia ai
mafiosi, oggi invece questi sporcaccioni se li portano, se
possibile, in casa e forse anche a letto". In questo modo
estremizzando il discorso e il concetto di ciò che voleva
esprimere.
   Allora, cosa è avvenuto? Cosa c'è dietro questa
affermazione che indubbiamente nella sua gravità evidenzia un
dato storico? Cosa è avvenuto per cui la mafia o la
delinquenza organizzata, comunque la si chiami, ha preso il
sopravvento anche sugli uomini politici e quel che è peggio
sulla politica?
   Nella relazione si dice che le regole sono "saltate" (se
di regole si poteva parlare anche nei comportamenti degli
uomini politici), nel momento in cui sono giunte soprattutto a
Napoli ed in Campania
                        Pag. 3305
 in generale le provvidenze in seguito al terremoto.
Indubbiamente, in quel momento di grande emotività oltre che
del Parlamento anche del paese, si è posta in essere una
legislazione che eliminava alcuni controlli e consegnava nelle
mani di pochi amministratori un potere economico-finanziario e
comunque un potere di scelta e di decisione indubbiamente
eccessivo. Eppure, bisognava far fronte ad un problema che era
eccezionale, quale quello della ricostruzione di due regioni e
mezzo che richiedeva interventi più solleciti o quanto meno
non in sintonia con il concetto di burocrazia che tutti noi
abbiamo. Forse bisognava alleggerire i passaggi burocratici
evitando di dare troppo potere ad alcuni politici, sindaci,
commissari; a chi vuol dimenticare il consociativismo ricordo
che questo fenomeno c'è stato e non solo per Valenzi e Fantini
nel caso della Campania, ma un po' dappertutto.
   La legislazione varata in occasione della ricostruzione è
stata molto attenta a rendere partecipi dei momenti
decisionali anche le minoranze. Principio, per altro
sacrosanto.
  PRESIDENTE. Il consociativismo è il rendere partecipi
alle decisioni della maggioranza.
  SAVERIO D'AMELIO. Il consociativismo c'è stato! Nella
legge n. 219...
  PRESIDENTE. Ha perfettamente ragione, anche se non
rappresenta l'optimum.
  SAVERIO D'AMELIO. Lo sto denunciando.
   Dobbiamo eliminare questi aspetti che hanno portato anche
nel consociativismo alcuni fatti negativi e sforzarci di
capire maggiormente il fenomeno della delinquenza organizzata
e vieppiù della camorra per le difficoltà a penetrare una
realtà complessa, ancora da sottosviluppo, caratterizzata da
inaccettabili condizioni di vita nei "bassi". Basta andare in
un vicolo di Napoli per rendersi conto che sì sono stati
chiusi i postriboli, ma molto probabilmente non vi sono
possibilità di convivenza dato che la promiscuità agevola
certe forme degenerative della vita civile. Tutto questo
richiama alla necessità di una presenza dello Stato.
   Alcuni colleghi hanno fatto riferimento al disagio provato
nel leggere le conclusioni della relazione Violante; anch'io
lo avverto ma, poiché non voglio fare denunce, sia pure con i
condizionamenti di tempo cui ho fatto cenno all'inizio del mio
intervento, nel senso di non seguire tanto la relazione ma
quello che sento e cercando di svolgere ragionamenti sereni e
possibilmente obiettivi nella lettura della realtà, vorrei
dire che non mi sta bene l'identificazione della camorra con
alcuni partiti di Governo, in particolare con la democrazia
cristiana, né tanto meno con una corrente o con un uomo che si
chiama Gava. Non dico questo perché sono democratico
cristiano; sarebbe troppo facile, per esempio, evidenziare
come anche nelle ultime elezioni amministrative del 1993 il
mio partito, la democrazia cristiana, spesso si sia trovato
nell'ingrato e difficile compito di liberare le liste da
uomini chiacchierati (lo dico tra virgolette). Ciò è avvenuto
in Campania, in Sicilia, in Calabria dove ricordo che il
senatore Argiroffi (persona che ho conosciuto e che brilla per
il suo eloquio) ha formato le liste e ha vinto le elezioni in
quel di Taurianova con i parenti ed i nipoti di Macrì che la
democrazia cristiana aveva messo fuori. Lo stesso onorevole
Ayala in Sicilia si è affacciato ad un paesino, il cui nome mi
sfugge in questo momento...
  PRESIDENTE. E' diventato sindaco anche Ayala?
  SAVERIO D'AMELIO. No, non è diventato sindaco ma è
andato a dare la sua benedizione in nome di AD agli uomini che
la DC aveva messo fuori dalle proprie liste proprio perché
"chiacchierati".
   Accanto a questi due esempi ne posso citare un altro,
quello del senatore democristiano
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 Condorelli, commissario della Campania, che è arrivato (da
quello che leggo e conoscendo anche il suo modo di pensare) a
fare non solo forti denunce nei confronti di tanti uomini che
hanno avuto responsabilità a livello nazionale, ma ha fatto
pulizia di tutte le liste. Forse ha fatto fin troppa pulizia,
anche se questa non è mai troppa; ha fatto troppo rinnovamento
perché rinnovare senza mettere uomini (come è avvenuto a Roma,
dove hanno ricevuto un totale di voti di preferenza che vanno
da 1 fino al massimo di 5 mila) vuol dire affidarsi a gente
del tutto sconosciuta.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Il fatto è che voi
democristiani non ci siete abituati a queste cose, noi sì!
  SAVERIO D'AMELIO. Voglio dire che non c'è conoscenza,
non dico radicata, ma neppure nota. Il rinnovamento non si
conduce in questo modo. Anche a Napoli e in altri comuni della
Campania il nostro commissario, senatore Condorelli, ha fatto
piazza pulita, anche se poi è amaro constatare che i consensi
non sono arrivati alla democrazia cristiana.
  UMBERTO RANIERI. Quando arrivavano venivano da...
  SAVERIO D'AMELIO. Quando arrivavano non so se fosse per
quelle circostanze che stiamo combattendo. Come dicevo,
anch'io avverto il disagio di sottoscrivere una sorta di
teorema che credo rifugga dalla volontà del presidente
Violante, però il teorema esiste. Non tutta la realtà
camorristica della Campania e di Napoli in particolare può
essere identificata con i partiti di governo o, peggio ancora,
con un partito, la democrazia cristiana, o con un solo uomo
che si chiama Gava o con alcuni uomini che ruotano attorno a
lui. Se così fosse, sarebbe facile l'eliminazione certo non
fisica ma politica di questi uomini. Abbiamo appreso con
grande soddisfazione che Gava non si presenterà più alle
prossime elezioni.
  SALVATORE FRASCA. Perché "con grande soddisfazione"?
  SAVERIO D'AMELIO. Meglio sarebbe stato se questo gesto
lo avesse fatto nel momento in cui è stato colpito da un
avviso di garanzia, certamente grave, per responsabilità tutte
da accertare, ovviamente. Forse ha prevalso anche in lui, come
ha prevalso nel mio partito, la concezione di uno Stato di
diritto dove, come è giusto che sia, nessuno può dirsi
colpevole fino alla condanna definitiva. Anch'io però avverto
l'esigenza di distinguere il tavolo penale da quello politico:
in politica la moglie di Cesare deve essere sempre più
avveduta, più accorta e comunque apparire (e apparendo deve
essere) più illibata di qualsiasi altra donna che si rispetti.
   Molto probabilmente questi uomini avrebbero dovuto avere
la sensibilità - il partito non poteva metterli ai margini,
nel nome di uno Stato di diritto dove la condanna è solo
quella definitiva - che apprezzo esserci stata in Gava, quando
pochi giorni fa ha ufficialmente annunciato qui di ritirarsi
dalla politica e che vorrei ci fosse anche in altri uomini ai
quali comunque va data la solidarietà della comprensione fino
al momento della sentenza finale. Quando si evidenzia questa
sensibilità va dato anche l'apprezzamento perché in questo
modo si agevola il cammino difficile del nuovo partito della
democrazia cristiana in un momento in cui la confusione è tale
e tanta che ormai, come direbbero i toscani, "quando è notte
tutti i gatti sono bigi", nel senso che non si distingue più
un politico immune da siffatti fenomeni dal politico che,
salvo la sentenza finale, si è macchiato di colpe e di
responsabilità di vario genere.
   Non mi sta bene, signor presidente, anche il caso Cirillo
che, per dirla con Cabras, ha rappresentato il momento più
oscuro della vicenda politica italiana, della storia d'Italia
e che non può essere
                        Pag. 3307
addebitato alla democrazia cristiana la quale va giudicata
per l'atteggiamento responsabile univoco e mai equivoco che ha
mantenuto combattendo il terrorismo con le altre forze
politiche, compreso il partito comunista, ma soprattutto con
la denuncia forte e con l'atteggiamento di fermezza che ha
mantenuto nella tragica vicenda di Aldo Moro. Quella del caso
Cirillo certamente è una pagina nera della storia italiana le
cui responsabilità vanno attribuite - se sono da attribuire -
agli uomini che l'hanno vissuta e l'hanno scritta. Però tra
questi uomini onestamente vedo prima di tutto quelli del SISDE
e del SISMI. Se non ricordo male (vorrei il conforto della
memoria del presidente e degli altri colleghi), Parisi
distinse il ruolo. Non mi rifaccio solo alla distinzione che
pure lui fece fra ruolo del SISMI e del SISDE; disse che si
trattava di compiti di istituto quando il SISDE, in presenza
di una vicenda grave di delinquenza quale il sequestro di
persona, si organizzò e tentò di arrivare alle fonti,
raggiungendo anche quelle inquinate.
  SALVATORE FRASCA. Perché non l'hanno fatto per Moro?
  SAVERIO D'AMELIO. Di questo non mi sorprendo perché non
voglio che ci siano le deviazioni dei servizi segreti, ma ad
essi attribuisco certamente compiti che in talune circostanze
non possono essere adamantini, del tutto nella regolarità e
nella legge.
   Mi sia consentita una breve parentesi: i cosiddetti
confidenti esistono da sempre e costituiscono il punto di
forza non solo dei sistemi dittatoriali (che dobbiamo
condannare); di essi si avvalgono le forze dell'ordine nel
sistemi democratici. Non credo però che i confidenti (al di là
dell'ipotesi che diventino tali per senso civico) nella
stragrande maggioranza siano dei volontari o persone che
manifestano solidarietà. Sono uomini che rispondono a
determinate funzioni in un certo momento; quindi anche i
delinquenti vengono utilizzati - devono essere utilizzati -
per arrivare alla verità. Il guaio è quando i delinquenti
vengono utilizzati non per arrivare alla verità ma ad una
presunta o precostituita verità; questo è il guaio! Sotto
questo aspetto, comprendo e apprezzo il ruolo dei pentiti, ma
non accetto la loro utilizzazione forzata. Al riguardo la mia
posizione resta sempre coerente perché forse anche noi in
certi momenti storici abbiamo utilizzato i pentiti perché
svolgessero un ruolo per l'affermazione di certi effetti. Da
tutto questo dobbiamo rifuggire.
   In conclusione, poiché anch'io vedo uno squilibrio delle
tesi, dobbiamo perciò cercare di compiere un'analisi più
attenta della situazione. Non mi sta bene l'identificazione di
Gava come il diavolo in assoluto, soprattutto non mi sta bene
quando direttamente ed esplicitamente a Gava anche in questa
relazione non può addebitare nulla di specifico se non il
fatto che per essere egli un campano, per essere il capo di
una corrente politica, che credo non possa e non debba essere
criminalizzata tutta intera solo perché il capo era campano,
gli si addebiti di avere un raccordo a diversi livelli con
uomini che non credo siano anch'essi tutti riscontrabili come
mafiosi o camorristi, perché ci sono tanti amministratori e
uomini politici seri che hanno fatto il loro dovere in
Campania, che si sono esposti in prima persona e in alcuni
casi hanno affrontato anche minacce di morte. Non si può
addebitare a Gava il fatto di avere, come capo corrente, un
rapporto politico con altri uomini, alcuni dei quali, ma solo
alcuni, magari collegati con la camorra.
   Dobbiamo riuscire ad evitare facili sovrapposizioni tra
responsabili e testimoni, dobbiamo riuscire ad esprimere un
giudizio severo - e severo è anche il mio giudizio, anche per
quanto riguarda il mio partito - ma non possiamo far ricadere
le responsabilità sull'onorevole Gava o soltanto su di lui,
sull'assunto che avendo egli posto in essere un meccanismo
elettorale di potere che si fonda proprio su una rete di
dirigenti locali che sono da lui sostenuti ed a loro volta lo
sostengono, solo per questo si debba dare
                        Pag. 3308
un giudizio del tutto negativo. Mi pare che la situazione sia
molto più complessa.
  PRESIDENTE. Colleghi, approfitto della vostra pazienza
non per replicare, perché della stragrande maggioranza delle
osservazioni - sia quelle avanzate in questa sede, sia quelle
proposte dal senatore Gava - il testo che proporrò venerdì
terrà pienamente conto, ma per fermare la nostra attenzione su
due o tre questioni politiche che sono state affrontate nella
scorsa seduta e in quella odierna.
   Sono perfettamente d'accordo con la valutazione
dell'opportunità di un riequilibrio (così come è stato detto)
tra la fase dell'analisi e la fase finale, nel senso che è
certamente vero che bisogna rendere meglio la complessità
della situazione campana: la complessità delle responsabilità
nonché l'intreccio tra camorra e corruzione, non camorrista ma
amministrativa, malcostume, come mi suggeriscono. Tutto questo
c'è stato però io mi pongo una domanda. Il fatto che più volte
i colleghi abbiano detto che non si può imputare tutto al
senatore Gava credo che indichi la difficoltà, pur entro un
quadro che deve essere reso più complesso, di non porre una
questione che riguardi in modo specifico - pur con tutto il
garbo e la misura che bisogna usare negli atti parlamentari -
questo parlamentare.
   Infatti, dal complesso delle indicazione che
oggettivamente sono agli atti emerge un fatto. Spero che
quando ci sarà, se ci sarà, una discussione su questo
parlamentare - perché la nostra Commissione ha il dovere di
porre la questione all'attenzione di altri - sarà questo o il
prossimo Parlamento a fare le valutazioni del caso; ci sono,
però, delle specificità che è difficile sottacere. D'altra
parte, mi pare che tutti i colleghi abbiano parlato della
necessità di rendere evidente la complessità ed in questa
complessità si vedrà quali siano i singoli ruoli. Ad esempio,
nella vicenda Cutolo-Cirillo tra i vari dati agli atti della
Commissione abbiamo una deposizione testimoniale dello
psichiatra di Cutolo, che credo sia stato anche parlamentare
della democrazia cristiana o comunque abbia avuto incarichi
politici, il professor Lavitola. Il Lavitola è chiamato da
Cutolo per la perizia psichiatrica quando questi viene mandato
all'Asinara e vede il Cutolo sovreccitato. Cutolo gli dice che
non gli è stato dato ciò che gli era stato promesso e Lavitola
va dal senatore Gava. Voglio leggervi un brano della
deposizione. Dico con chiarezza che al momento in cui la
proposta di relazione è stata presentata, per il peso che
questo brano ha mi sembrava sufficiente, ai fini della
responsabilità dell'indirizzo politico, quello che c'era;
poiché però questo fatto è stato oggetto di riflessioni - lo
stesso senatore Gava ha insistito sulla vicenda Cutolo-Cirillo
- è giusto che i colleghi che non hanno potuto accedere a
questo documento - anche se, naturalmente, era pubblico - ne
vengano a conoscenza. "Appena il Gava mi ricevette - dice il
professor Lavitola - gli dissi che ero stato da Cutolo e che
avevo bisogno di un suo intervento. Gli dissi anche che Cutolo
era disperato e che c'era il rischio che si suicidasse, evento
che avrebbe avuto riflessi molto gravi sulle istituzioni date
le circostanze del trasferimento di Cutolo all'Asinara e le
polemiche che lo avevano preceduto, sicché ben pochi avrebbero
creduto al suicidio. Feci quindi presente a Gava che c'era
l'esigenza per lo Stato di evitare un simile evento. Il Gava
replicò che lui non conosceva di persona il Cutolo ma poi
soggiunse (ricordo le sue testuali parole): 'Peppino, pure tu
hai fatto politica e ti sei servito, come me, di questa gente.
Io l'ho fatto come già lo faceva mio padre'. Mi sentii offeso
da questa risposta. Replicai...". Se i colleghi vorranno,
potranno prendere visione del testo, nel quale sono contenuti
anche dati che riguardano persone estranee a questa
discussione. Questo è un altro dei dati.
   Se poi vogliamo coglierne il significato, sostanzialmente
il documento del senatore Gava dice che l'uomo politico lì è
Granata. E' un po' difficile ritenere che scompaiano
documenti, che succeda tutto quello che succede all'interno
delle carceri,
                        Pag. 3309
 che una serie di persone venga ammazzata e così via ... C'è
un elenco di quelli che trattarono ... La questione ha una sua
drammaticità che va ben al di là della partecipazione di
Granata. D'altra parte, ricorderete che nel testo della
relazione sono riportate alcune relazioni degli agenti di
custodia dell'Asinara fatte nel 1982, in epoca non sospetta, e
nelle quali questi riferiscono di conversazioni di Cutolo con
i parenti, riportandone le frasi. In queste conversazioni
Cutolo dice: sbrigatevi, fatemi avere quello che mi hanno
promesso, muovetevi. Quindi, che vi sia stata una trattativa
per alleggerire la posizione processuale l'hanno riconosciuto
tutti coloro che abbiamo ascoltato. Era Granata che doveva
decidere sulla situazione processuale? Si saranno accorti, i
colleghi, che io non ho mai fatto riferimento al partito ma ho
sempre detto: un uomo, alcuni uomini.
  SAVERIO D'AMELIO. Gliene abbiamo dato atto.
  PRESIDENTE. Ciascuno di noi conosce le storie dei
partiti e sa che sono complesse e non si può mai fare
un'identificazione di questo tipo. Quindi, la stessa vicenda
Cutolo-Cirillo alla luce di tutto questo, alla luce di una
valutazione politica di quello che è successo implica ben
altri livelli. Se a questo aggiungiamo che vi è un ingegnere,
del quale ora mi sfugge il nome, il quale dichiara di aver
portato direttamente nelle mani del senatore Gava una quota
dei soldi raccolti per il riscatto dopo la liberazione di
Cirillo, dire che il senatore Gava è del tutto estraneo alla
vicenda francamente mi sembra difficile.
   Questo non vuol dire che vi siano responsabilità penali,
non è questo. Il problema è se egli sia estraneo o no. Mi pare
che sia difficile sostenerlo sulla base dei dati di cui
disponiamo. Posso assicurarvi che si studierà con ancora
maggiore attenzione, perché documento serio è quello che
rispetta i fatti non quello che sostiene tesi; però mi pare
che siano questi i dati.
   Un altro dato che è stato posto all'attenzione dei
colleghi è la questione di Sant'Antonio Abate. Hanno ragione i
colleghi che sono intervenuti per dire che bisogna dare una
lettura più complessa dei dati relativi a questa vicenda;
però, ad esempio, uno dei punti che il senatore Gava ha
sostenuto oralmente davanti a questa Commissione, anche
spendendosi in sostegno a quell'Antonino D'Auria che è stato
poi arrestato per associazione per delinquere mafiosa, con una
serie di dati gravi, è che questo D'Auria non poteva essere
intervenuto nelle vicende di Sant'Antonio Abate perché quando
egli lo prese come suo assistente nel 1972 gli impose di non
fare più politica. Ebbene, ci siamo fatti inviare dal
segretario comunale di Sant'Antonio Abate il quadro della
situazione e da questo emerge che D'Auria è stato assessore
fino al 1979; non è vero che se ne è andato nel 1972, è
rimasto assessore per altri sette anni. Quindi, la spiegazione
che nella relazione viene data dell'interesse di questo
soggetto è pienamente riscontrata dai dati oggettivi.
   Ci sono altri episodi di questo genere. Peraltro, sia la
relazione sia gli interventi dei colleghi consentono di
correggere alcuni errori presenti nella relazione stessa. Uno
è, ad esempio, quello di ritenere che la Cassazione abbia
riconosciuto per la prima volta l'infermità psichica di
Cutolo: giustamente, tanto l'onorevole Sorice quanto la
relazione stessa precisano quanto lì va corretto. Come va
corretta la storia dell'incontro da Francesco Alfieri: questo
incontro non c'è stato e, tra l'altro, non c'è stato perché un
esponente democristiano era deceduto e l'interessato decise di
non andarci, ma gli altri ci sarebbero andati. Già qui il
senatore Gava ha fatto riferimento esplicito ad un tale Luigi
Riccio; Luigi Riccio è quello che al telefono chiama Francesco
Alfieri "padrone mio", per cui è certamente esponente di
spicco ed è presidente, se non sbaglio, della USL di quel
paese.
   Allora, a mio giudizio, pur dovendo integrare la relazione
con tutti i dati di
                        Pag. 3310
complessità che sono emersi dal discorso che è stato fatto
sulla questione meridionale e anche da alcuni interventi fatti
questa sera, si deve tenere l'atteggiamento che abbiamo tenuto
nella relazione su mafia e politica. In sostanza il punto è
questo - e qui mi richiamo al riferimento alla moglie di
Cesare, cioè alla necessità di una credibilità totale -: nel
momento in cui il tuo segretario personale è una persona di
quel tipo, nel momento in cui alcuni tuoi referenti (perché è
giusto evitare generalizzazioni) sono di questa qualità ed
hanno questo tipo di rapporti, una domanda non si può non
fare.
   La questione di De Sena. Certamente De Sena è una persona
che viene "paracadutata" a Nola a fare il sindaco. Però, sia
il senatore Gava nella sua memoria sia De Sena nei documenti
che allega affermano che questi è un uomo che viene scelto per
fare il sindaco di Nola per la sua spiccata capacità anche di
contrasto all'azione criminale. Uno che per la sua spiccata
capacità di contrasto al crimine è scelto come sindaco di Nola
non sa chi sia Alfieri? Non si chiede a casa di chi lo
portino? Tenete presente che questa non è posta come
contestazione a De Sena, anche se, comunque, egli è un
soggetto che, obiettivamente, si trova ad essere presentato
dal senatore Gava e ad andare a casa di Alfieri, il quale poi
beneficia, sia pure in via indiretta, per una serie di
subappalti. Il problema non è se De Sena sia o non sia
camorrista; io non so se Riccio o l'altro sia camorrista; non
è questa la questione. Il fatto è che vi sono dei soggetti che
hanno un doppio versante: un versante, per così dire, di
dialogo corrente, costante, integrato con uomini della camorra
da un lato, mentre dall'altro costituiscono elemento di
riferimento di un importante uomo politico nazionale.
   Quando fu discusso il documento che riguardava, in un
piccolo brano, il senatore Andreotti anche lì ponemmo con
misura una questione; dicemmo che Lima i rapporti li aveva e
per i rapporti che a sua volta il senatore Andreotti aveva con
l'onorevole Lima avrebbe deciso il Parlamento. Mi pare che sia
difficile sfuggire ad un'impostazione del genere, anche perché
quella pluralità disordinata nella camorra alla quale ha fatto
riferimento il senatore D'Amelio è proprio rispecchiata
dall'esistenza di più soggetti di caratura diversa. Abbiamo
una struttura unitaria, centrale per cosa nostra; in una
struttura frammentata, disordinata, anche se nella sua
violenza la qualità certamente è molto diversa ma c'è comunque
questo dato. Ed io credo che pur inserendolo, come è giusto,
in un contesto molto più problematico e ricco di quanto non
sia l'attuale passaggio - che riconosco essere un po' brutale
- esso assuma una sua specificità. Ugualmente è giusto, sempre
in questo quadro, assumere un atteggiamento critico - mi pare
l'abbia detto il senatore Butini nel suo lucidissimo
intervento di questa sera - poiché vi è il problema di una
consociazione di base al fondo della legge sul terremoto.
Ricordo che tale consociazione era talmente stretta che,
quando i colleghi socialisti chiesero che vi fosse un terzo
commissario - visto che ve ne erano due, potevano essere anche
tre e il presidente della provincia era socialista -, fu
risposto loro di no perché la consociazione era a due e non a
tre; non so se ricordiate questo episodio. Questa è la riprova
dell'esistenza di questo meccanismo di carattere consociativo
parlamentare che produsse una legge che, come è detto nella
relazione, costituiva essa stessa una delle radici di quanto è
venuto dopo, come riconosciuto dalla stessa relazione della
Commissione sugli interventi per la ricostruzione delle zone
colpite dal terremoto.
Questo mi pare sia il quadro nel quale si collocano le
questioni.
   Certamente non possiamo dire che Gava sia l'unico
responsabile; se appare questa cosa la correggiamo
immediatamente. Noi, sulla base dei dati in nostro possesso,
possiamo riscontrare una specificità di questa posizione, ma
certamente non è l'unica e va inserita in un quadro di
complessità. Il dato della debolezza istituzionale si sposa
alla corruzione, alla
                        Pag. 3311
camorra, essendo però queste sempre cose distinte.
L'impressione è che nella Campania si sia creato un ambiente
di non regole e di non diritti, entro il quale ciascuno
prevale con la sua forza. Il problema della regola, del senso
civico non è stato affrontato; allora abbiamo la magistratura
che si comporta in quel modo, i sindaci che si comportano in
quel modo, la polizia che si comporta in quel modo e tutto va
bene. Se solo un maresciallo dei carabinieri avesse fatto caso
all'urbanistica delle zone che frequentava, probabilmente
alcune cose non sarebbero accadute. Ma non le guardava il
pretore, non le guardava il sindaco, non le guardava il
prefetto, non le guardava nessuno, quindi è giusto porre
l'accento su questo sistema di sinergie negative.
   Bisogna inoltre fare una netta distinzione: il problema
non è con chi ha rapporti una certa persona, bensì se le
persone che egli frequenta sono di sua fiducia, in modo che
sia riconoscibile il suo segretario o l'uomo al quale far
riferimento.
   Anche la vicenda del sindaco Sangiovanni è emblematica.
Nessuno smentisce che Galasso interviene, si smentisce che
egli abbia fatto pressioni camorristiche e violente, ma questo
non lo dice nessuno. La cosa grave però è che non si comprende
che uno come Galasso deve restare in carcere, deve essere
emarginato, non può essere utilizzato come soggetto che svolge
un'opera di convincimento nei confronti di una persona che
deve fare il sindaco. In qualche modo non aver colto questo
aspetto, anche in un documento che è stato presentato, è un
dato un po' preoccupante. Galasso dice esplicitamente che
conosceva questa persona alla quale disse che vi era questo
interesse dell'onorevole Patriarca, se non ricordo male, e del
senatore Gava. Questa cosa Sangiovanni la fece, ma anche se
non si tratta di un'imposizione con la forza di un soggetto
camorristico, dal punto di vista dell'etica della
responsabilità, così come è stata posta dal senatore Gava, il
fatto non è meno grave. Che una forza politica, che un
soggetto politico, che un uomo che ha responsabilità politiche
(parlo di chi operava sul territorio) si rivolga a nome
dell'altro ad un camorrista dicendo: tu che lo conosci, digli
questo, come se fosse un soggetto uguale agli altri, questo
certamente non va bene. Il dato di non emarginazione dalla
vita politica e amministrativa di questi uomini nasce
dall'indifferenza e ciò ha prodotto la devastazione che tutti
conosciamo.
   Chiederei ai colleghi se sono d'accordo che la discussione
e le dichiarazioni di voto siano allegate al testo, in quanto
offrono un quadro di riferimento molto chiaro delle singole
posizioni. I colleghi avranno certamente colto che vi è un
livello di analisi e di approfondimento di notevole spessore e
quindi è bene che vi sia anche questo dato e questo
contributo.
   Ovviamente si terrà ampio conto di alcune parti contenute
nella relazione del senatore Gava. Credo tuttavia che questo
possa essere l'indirizzo definitivo da dare.
  SALVATORE FRASCA. Conosco molto bene la situazione
calabrese. Il collega D'Amelio ha detto delle cose molto
interessanti, però non mi sento di condividere il giudizio
espresso sul senatore Argiroffi per un fatto di coscienza.
Vedo il senatore Argiroffi da anni impegnato sul fronte della
lotta alla mafia. Ovviamente è probabile che un parente di
Macrì possa aver votato per il senatore Argiroffi, d'altra
parte il vecchio Macrì era come Priamo il quale si diceva
avesse cinquanta figli.
  PRESIDENTE. Non credo che il senatore D'Amelio volesse
dire questo.
  SALVATORE FRASCA. Alla relazione sulla Sicilia e a
quella sulla Calabria sono state allegate le dichiarazioni di
voto...
  PRESIDENTE. Per la Calabria senz'altro.
  SALVATORE FRASCA. Allora lo si faccia anche per la
Sicilia in quanto è giusto che noi teniamo un comportamento
                        Pag. 3312
 univoco; è bene pertanto che le dichiarazioni di voto siano
allegate a tutte le relazioni.
   Per quanto riguarda il suo intervento, presidente, vorrei
dire che così come abbiamo trovato un equilibrio tra la prima
e la seconda relazione sulla Sicilia, dobbiamo trovare un
equilibrio analogo anche sulla relazione sulla camorra. In
pratica dobbiamo compiere uno sforzo per rimanere sul piano
politico e parlamentare, evitando di influenzare gli esiti
processuali, altrimenti andremmo al di là del nostro compito.
Quindi più che insistere sulle persone, insisterei sul sistema
di potere, sistema marcio, corrotto, che è giusto debellare.
  SAVERIO D'AMELIO. Mi spiace che il collega Frasca, molto
attento ad ogni intervento, abbia inteso in maniera negativa
il giudizio da me espresso sul senatore Argiroffi. Ho detto
che conosco bene il senatore Argiroffi e che apprezzo la sua
preparazione culturale: egli, oltre ad essere un valente
medico, è un uomo di lettere e come tale l'ho apprezzato in
quanto mi ha fatto omaggio di una sua poesia. Quindi nessun
giudizio se non positivo nei suoi confronti. Ho citato il suo
nome per ribadire come le situazioni locali possano
condizionare anche il migliore uomo, per questo ho detto che
nella sua stessa lista vi era un nipote di Macrì cacciato
dalla democrazia cristiana. Questo non è certamente un
giudizio che investe la persona.
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la prossima seduta è
fissata per venerdì alle ore 14, mentre nella mattinata dello
stesso giorno vi faremo pervenire copia della relazione.
Ricordo che nel pomeriggio si svolgeranno le dichiarazioni di
voto finali.
La seduta termina alle 16,55.

 


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