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Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions Vittorio Russo, "Santità!" (3)

Vittorio Russo, "Santità!"


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"Sì, dopo averla umiliata e trattata come la più immonda delle bestie, dopo averla denudata e ricoperta appena di paņos de verguenza, dopo averne fiaccato la personalità e averle strappato fino all'ultimo brandello di dignità, dopo averla seviziata e dopo che la sventurata ebbe implorato pietà per quei suoi crimini.

"E che dovrei fare io per tutti i crimini del genere umano? I crimini veri, intendo! Elvira aveva già languito per un anno nelle segrete dell'Inquisizione e fu condannata a scontarne ancora tre. Fu obbligata a portare sui vestiti la croce gialla dell'ignominia, che serviva ad identificare i condannati del tribunale dell'Inquisizione. Per ultimo le furono confiscati i beni. Perché i beni degli inquisiti erano regolarmente confiscati e divisi tra gl'inquisitori, gli scribi, i delatori, gl'impiccatori e, beninteso, il papa. Proprio come avvenne sotto la croce."

Seguì una lunga pausa più cupa della notte.

"L'Inquisizione non era un'istituzione brutale," rilevò cauto Sua Santità, "se rapportata alla mentalità del tempo, alle sue fobie, alle sue angosce e ai suoi spettri. Era il terrore di non essere in linea con la Tua volontà che muoveva lo zelo degli inquisitori. Io ho sinceramente pietà per le follie determinate dall'esaltazione, ma, a modo loro, quegli inquisitori furono uomini devoti. Spietati, sì, ma per amor Tuo. Più ciechi che colpevoli, essi erano solo mossi da un malinteso senso dell'ortodossia."

"Per amor mio!" fece eco Quello. "Come desidero essere detestato se l'amor mio deve generare sofferenza! Quello però non era amore, era il fanatismo della cecità di esaltati, lontani dal capire che l'opera loro mirava esclusivamente a rafforzare il potere del papa sulle anime."

"Eppure, non era certo alla propria cecità che gl'inquisitori attribuivano l'annientamento degli eretici, ma alla Tua volontà. E Tu tacevi, accoglievi le lodi, i profumi degli incensi e le messe di ringraziamento..."

"Avrei dovuto intromettermi, dici tu? E disapprovi perché non l'ho fatto. E se avessi reagito, quante volte credi che avrei dovuto ridurre questo mondo ad un cumulo di macerie e di carogne immonde?"

"Dopo però avresti potuto rifarlo migliore! Magari prendendoTi un po' di tempo per non avere sorprese. Che Ti costava? Hai voluto utilizzare materiale umano scadente e Ti lamenti se poi non risponde!" ironizzò Sua Santità.

"Dunque avrei dovuto sottoporre la mia opera ad un collaudo: un esame di riparazione! Io, insomma, rimandato a settembre come uno scolaretto! Sappi che quello che ho creato m'è sacro, ed è irripetibile e definitivo."

"...e Paganini che credeva di essere originale!" considerò di sfuggita Sua Santità e replicò:

"Beh, qualche correzione l'hai fatta... con il diluvio, per esempio, con qualche intervento incendiario."

Quello stette qualche attimo in silenzio, come se meditasse, poi ricominciò senza cogliere l'insolenza:

"L'Inquisizione non era brutale solo se rapportata al suo tempo, lo era pure se confrontata ai secoli anteriori, durante i quali, nella maggioranza dei paesi europei, la tortura era considerata un avanzo di antiche efferatezze. Disumano ed empio era il principio stesso su cui essa si fondava; disumano che i processi si protraessero per anni, decenni talvolta; disumano che si applicasse perfino ai morti; disumano che potessero essere giudicati quelli che parlavano male degli ecclesiastici e del papa, anche se lo facevano in stato di ubriachezza.

"Eresia era non celebrare la Pasqua, mangiar carne di venerdì, leggere la Bibbia, non pagare le decime alla chiesa e anche essere sospettati soltanto di pensare in maniera eretica. Questi reati erano puniti inesorabilmente con condanne senza appello. Del resto, che appello poteva esserci alla sentenza di un'istituzione infallibile come la chiesa, nel nome della quale l'Inquisizione agiva! Sarebbe stato un controsenso dar voce a chi era eretico già per il fatto di non trovarsi d'accordo con essa. Questo aveva sancito, intorno al 1100, un pontefice come Pasquale II.

"Nessuno fra le dozzine di papi che si succedettero sulla cattedra di Pietro, dal secolo XI in poi, sconfessò mai i metodi dell'Inquisizione. Nessuno tra essi fu mai sfiorato dal sospetto che anche mio Figlio, benché innocente, era stato condannato a morte perché eretico per gli Ebrei."

"Purtroppo una struttura che nel corso dei secoli ha costruito l'idea dell'infallibilità, ha lo svantaggio di non poter negare dottrine cui lo sviluppo del pensiero imporrebbe mutamenti radicali. Non potendole rinnegare, non potendo ripudiare nessuna delle decisioni dei pontefici anteriori, la Chiesa ha potuto solo tentare di stendere con il silenzio un velo sul passato."

"Dovresti più chiaramente dichiarare che la chiesa ha preferito calpestare il Vangelo, piuttosto che ritrattare una sola delle sue bolle blasfeme."

"Eppure, la Chiesa non novit sanguinem, non ha mai versato sangue," cercò di distinguere cavillosamente Sua Santità, "perché i condannati erano consegnati al braccio secolare unitamente ad un'immancabile richiesta di grazia da parte degli stessi inquisitori."

"Tutto ineccepibile nelle esteriorità di quei fanatici giudici. Ma tu sai che nessuna autorità laica, nessun braccio secolare, come dici tu, ha mai dato esito a quelle richieste. Questo braccio era sanguinario ma non stupido. Aderire alle richieste di grazia avrebbe infatti comportato per l'autorità secolare il rischio di comparire, essa stessa, davanti al tribunale dell'Inquisizione, per eresia o per favoreggiamento dell'eresia. Magari, davanti a quegli stessi ipocriti giudici.

"Questa è la massima punta di farisaica perversità che io abbia mai dovuto tollerare. Senza contare che i prìncipi secolari amavano essere anche più severi di quanto la chiesa domandasse, per mostrarle devozione e ottenerne vantaggi. Assassini perciò quei prìncipi, ma molto più assassini i pontefici che all'assassinio li spingevano; quei pontefici che esaltando la sofferenza come condizione della salvezza, intesero conseguirla con l'omicidio.

"Quanti, ingiustamente incriminati, invocarono la morte e la perdizione dell'anima per scongiurare la tortura del corpo, o semplicemente per porvi termine! Nessun delitto è stato più agghiacciante di questo, perché perpetrato da menti che in nome di mio Figlio e della salvezza dell'anima furono capaci delle frenesie più crudeli che intelletto umano abbia mai concepito."

"Eterno, le crudeltà erano nei costumi del tempo e in quanto alle torture..."

"Non parlarmi delle torture. Quelle escogitate dall'Inquisizione sono state di modello per secoli. Hai idea di cosa fosse la garrota? Consisteva nel legare strettamente il corpo della vittima. Torcendo progressivamente i lacci con dei bastoni, inseriti tra i lacci stessi e la pelle, si finiva con il tagliare la carne e i nervi del torturato e finanche con lo spezzargli le ossa. Questo supplizio si eseguiva correntemente nelle segrete dell'Inquisizione in Spagna.

"Mentre il condannato, impazzito di dolore, urlava la sua sofferenza, gl'inquisitori incappucciati e neri come catafalchi, recitando il rosario, gli chiedevano a tratti e con voce indifferente di nenia, di dire la verità. Non mi risulta che abbiano mai prestato attenzione alle risposte.

"E questo è ancora poca cosa se si considerano le tante altre torture eseguite con strumenti raccapriccianti. Per esempio: la ruota dentata, usata per spezzare gli arti; le maschere e i guanti, che spappolavano il viso e le mani; la stanghetta, che era una specie di morsa entro cui si stringeva il cranio e altre parti del corpo; il trapano, con il quale si perforavano, nel senso della lunghezza, le ossa degli arti. E che dire del caprone, un congegno ripugnante usato per le donne, consistente in uno spigoloso cuneo di legno che, penetrando lentamente nelle parti intime, squarciava il corpo della vittima. E ancora la campana, che veniva fatta vibrare per ore e ore a pochi palmi di distanza dalla testa del presunto reo...

"Quanti i màrtiri senza nome costretti da simili torture a rantolare ammissioni di colpa nelle orecchie dei carnefici! Quanti i condannati, talvolta senza nessuna prova e nessuna litis contestatio!"

"Un medico, in ogni caso, assisteva sempre ai supplizi."

"Sì. Non per medicare ferite, però, o dar conforto, ma solo per constatare decessi. E se la vittima era innocente, nessuno scrupolo per gli aguzzini. Con una rapida preghiera per l'anima sua, essi l'affidavano, ovviamente, alla mia misericordia, certi che io l'avrei pietosamente accolta in paradiso e, allo stesso tempo, perdonato la svista."

"In ogni caso, Eterno," s'intromise Sua Santità, "c'è molta leggenda intorno a queste vicende. Tutta una letteratura romanzesca e certi filoni della cinematografia si sono impossessati di questi argomenti e li hanno amplificati a dismisura per appagare la morbosa curiosità della gente. Le torture erano spesso casi isolati..."

"Letteratura romanzesca? Cinematografia? Ma per chi mi prendi, Santità? Credi che io abbia bisogno di leggere fumetti, o andare al cinema di domenica, per aggiornarmi. Io so, perché... So e basta!

"In quanto alle torture, le testimonianze non mancano. Nel palazzo dei papi ad Avignone, lo spazio occupato dai tribunali, dalle celle, dalle segrete, dalle cosiddette camere di penitenza e di tormento e dalle prigioni della fede era immenso. Le sale della tortura erano provviste di pareti asimmetriche per attutire le urla di morte dei condannati. Le sale del giudizio avevano soffitti dotati di aperture circolari. Attraverso di esse passavano, con un soffio di voce, le confessioni della vittima, che erano registrate scrupolosamente dai suoi aguzzini, al piano superiore. S'è mai visto nulla di più bieco di un accusatore che si fa scrupolo di vedere l'imputato soffrire, ma ne raccoglie con distacco tutti i lamenti e tutti i palpiti di sofferenza? Un accusato che non può vedere in faccia il suo accusatore è già per questo la più abietta delle torture!

"Non meno cupo era il palazzo dell'Inquisizione a Roma..."

"Eterno, le segrete di questo palazzo sono state trasformate in archivio fin dal 1870" confutò istantaneamente Sua Santità.

"Quanto discernimento in quest'opera di risanamento..." commentò Quello pungente e seguitò. "Qualcuno ha scritto che l'Inquisizione è stata la più diffusa e costante barbarie della storia del mondo civile. Un altro ha aggiunto che non s'è visto nulla di più brutale per durata e sistematicità. Altri ancora hanno affermato che l'Inquisizione è stata l'istituzione più spietata che l'umanità abbia mai conosciuto e anche la più blasfema delle ironie, se la chiesa ha osato sostenere che non ‘novit sanguinem'. Che posso aggiungere di mio?"

"Eterno, io Ti sono grato per la Tua visita" mentì spudoratamente Sua Santità, "eppure, mi è difficile capire perché vieni a sfogarTi con me per i crimini degli inquisitori. Perché non sei intervenuto a suo tempo? Perché, quando è stato il momento, non hai fatto sentire il peso della Tua mano? Te la prendi con me che sono l'ultimo lampione della strada schivato pure dai cani? Invece che a me, era al patriarca di Gerusalemme, mio ospite, che dovevi comparire. In fondo, è per Te che lavoro e avresti potuto darmi una mano.

"Con il patriarca sto cercando di conciliare certe questioni di fede. Ma è ostico, sai! Una Tua capatina avrebbe potuto ammorbidirlo. E invece sbuchi dall'ombra, Ti pari davanti a me, come in un'imboscata:... Alto là! Dove vai? E mi riepiloghi i crimini di papi e inquisitori!"

"Verrà anche l'ora del patriarca di Gerusalemme, stanne certo. In quanto ai miei interventi, credi che non mi sia fatto sentire? Certo, non è bastato! Ho dosato male il castigo. E poi, tutti si raccomandavano a qualche santo in paradiso... è una vostra debolezza irriducibile! E i santi di corsa da me, a perorare. Ora se un santo ti chiede un favore per un suo protetto in terra, tu che fai? Glielo neghi?" interrogò Quello roteando un dito.

"Se il protetto non merita..." considerò Sua Santità.

"Se il protetto non merita! Facile a dirsi. Qualche volta per ragioni di armonia devo concedere. Non posso alterare equilibri. Non posso mettermi contro tutti i santi. Una certa autonomia devo concederla." Confessò con candore.

"Insomma una parvenza di democrazia c'è pure in cielo, ma senza immunità, senza delega di poteri, mi pare di capire, perché Tu non abdichi, Tu non dai mandati: Tu solo e la Trinità al vertice delle gerarchie celesti..." soppesò caustico Sua Santità.

"E che volevi la par condicio anche in paradiso? Santità, il mio è un regno non una repubblica. Le decisioni nascono nella mia mente illuminata, non in parlamento. E poi, sappi che la Trinità non è un triumvirato, come credi tu. La Trinità sono io!" sancì regale. "Sono io che decido, per il bene di tutti. E da me non ci sono né inchieste, né mozioni di sfiducia!" precisò.

"Quando da noi c'è qualcuno che vuole decidere per tutti, cominciamo a preoccuparci." Commentò Sua Santità sibillino.

"Io sono l'Eterno," si risentì sùbito Quello. "L'uomo giudica in funzione della sua stagione mortale e delle sue categorie terrene; non può intendere le dimensioni del mio pensiero e le sue proiezioni che travalicano i tempi della storia."

Si arrestò per un secondo, quindi riprese il filo interrotto:

"Comunque, ne ho spedito di malfattori all'inferno! Che altro avrei dovuto fare? Aprire in paradiso una succursale dei vostri tribunali dell'Inquisizione? Provvedermi io pure di sale di tortura e di celle di segregazione? Non è così che si esprime la mia giustizia. Però potrei farmi vivo in qualche altro modo..."

Respirò profondamente mentre, tutto preso, tamburellava con l'indice sulla fronte. Sua Santità sentiva che non era finita.

"Che dire poi di quel pervertito di Innocenzo VIII, che subentrò a Sisto IV, nel 1484?" ricominciò infatti con immutata lena. "Verso la fine dei suoi giorni si nutriva di latte di donna. Gli furono sacrificati anche tre innocenti costretti a trasfondergli il proprio sangue. Era necessario sostituire il suo che era marcio. E non poteva essere altrimenti, visto che stillava da quel cuore, arido come una pietra pomice, vero capolavoro del mio Avversario. Con un editto costrinse centinaia di migliaia di Ebrei a lasciare la Spagna o a convertirsi."

"Quelle conversioni erano però in maggioranza false..." s'interpose Sua Santità.

"E questo, ricorderai Santità, diede lavoro all'Inquisizione per diversi altri secoli, ininterrottamente."

S'attardò in un'interruzione, nell'attesa di un commento che Sua Santità non ebbe il coraggio di fare, poi proseguì:

"Ad ogni buon conto, questo era ancora poca cosa rispetto a quanto concepì uno dei pontefici successivi: Leone X, il figlio del Magnifico Lorenzo. Mi riferisco alla vendita pubblica delle indulgenze: nelle piazze, nelle bettole, nei bordelli. Quello straordinario imbonitore di Leone, che rispondeva al nome di padre Tetzel, era pure in grado di garantire che con un quarto di fiorino lorenese si poteva acquistare il salvacondotto per il cielo...

"Quanta feroce spregiudicatezza in nome del danaro! Alla chiesa non bastava più quello che aveva accumulato illecitamente in nome mio, pretendeva ora anche quello di Cesare e di tutti i sudditi di Cesare."

"Ma, Eterno, questi sono particolari di poco rilievo: de minimis non curat pontifex. Tetzel fu un'eccezione. Il problema oggi è molto ridimensionato. In quanto al potere della Chiesa, era importante mostrarlo con autorevolezza perché la fede in Tuo Figlio trionfasse. Temendo noi, Vicari di Cristo, i potenti della terra e i popoli da essi retti avrebbero temuto e rispettato il Tuo nome..."

"Sono millenni che mi sforzo di far capire che non voglio essere temuto, ma amato..." scattò Quello di nuovo indispettito.

"Non è stato chiaro il modo in cui hai cercato di farTi capire." Obiettò Sua Santità con una punta d'impertinenza.

"Né potevi pretendere che Ti si amasse per gli eccidi commessi tanto tempo fa dagli Ebrei, in nome Tuo, e dei quali, mi pare, Tu Ti rallegrassi..."

"Eccidi?" sembrò meravigliarsi Quello. "Io mi sarei compiaciuto di eccidi!"

"Non voglio apparirTi irriverente, Eterno," rispose Sua Santità cui sembrava di avere aperto una breccia, "ma se vado con la memoria ai passi dell'Antico Testamento che riferiscono delle conquiste militari dei Tuoi prediletti Ebrei..., beh, si deve riconoscere che ne hanno combinate di belle con il Tuo assenso, neanche tanto tacito. Talora perfino per Tuo ordine."

Quello restava muto, come se rovistasse nell'archivio della Sua sconfinata memoria alla ricerca di eventi tanto remoti.

"Sai come vanno certe cose," soggiunse poi - e il suo vocione era ora meno tenebroso - "i miei antichi biografi, i patriarchi e i profeti d'Israele, si rivolgevano ad un popolo dal collo duro, per il quale occorrevano esempi chiari. Usavano perciò un linguaggio che fosse comprensibile per il loro cervello, che era anche più duro del collo."

"Capisco, Eterno..." e Sua Santità si compiacque di indugiare in una lunga pausa. "Ma come vuoi che noi, a distanza di millenni, ci rendessimo conto che Tu sei misericordioso, quando leggiamo dei macelli commessi nel Tuo nome di Yahweh Sebaoth, il Dio degli Eserciti? Sacrifici immani di migliaia e migliaia di poveracci, consumati nelle lotte che portarono Israele alla conquista della Terra Promessa!

"Se rivado con la mente a tanti passaggi dei libri del Pentateuco e a quello di Giosuè, posso immaginare a quali modelli si sono rifatti i vescovi di Roma che hai menzionato prima!"

"Si vede che tu non capisci il linguaggio biblico" spiegò Quello. "Gli Ebrei ascrivevano a me la paternità delle loro gesta. Le loro sconfitte erano per essi niente più che la punizione che io infliggevo per le loro disubbidienze, così come le vittorie erano il premio per la loro fedeltà. Ma tu sai che le sconfitte erano la conseguenza della loro disorganizzazione, come le vittorie erano il risultato della loro migliore strategia, o della debolezza degli avversari. Si capisce poi che certe azioni sono descritte con una certa crudezza... Ma la crudeltà era dei soli capi. Essi avevano bisogno d'instillare negli avversari il terrore del mio popolo. E' grazie a questo che Israele sopravvisse fra tanti nemici."

"E Tu lasciavi fare. Permettevi che in nome Tuo compissero eccidi. Chiudevi un occhio, insomma!" rimarcò quasi provocatoriamente Sua Santità.

"Era necessario, in quel frangente, che i miei temessero il mio nome più dei nemici stessi. Era di me che essi avevano bisogno e a me ricorrevano quando subivano disfatte. Venivano da me in ginocchio e il loro cuore si scioglieva come acqua, si stracciavano le vesti dal dolore, si cospargevano il capo di cenere e m'invocavano perché li vendicassi. Ero il loro solo riferimento. Avevano me esclusivamente come modello, per non cadere nell'idolatria praticata dai popoli di Canaan. Era essenziale che mi descrivessero come un dio terribile, geloso della mia unicità e facile all'ira, ma pure clemente quando perdonavo le loro frequenti cadute nell'idolatria..."

"Non dovevi mica temere la concorrenza degli altri dèi!" Lo interruppe audace Suo Santità.

"Io Sono Colui che Sono, sono il vero e unico Dio! Non avrai altri dèi di fronte a me... comandai sull'Oreb."

"Così sta scritto e così sappiamo infatti, Eterno, ma non credo che la pensasse così quel Tuo popolo eletto. Non devo certo ricordarTi io che Ti chiamavano El Elohim, il Dio degli Dèi. Dunque, una divinità fra le altre, magari superiore alle altre, ma non unica..." dissertò penetrante Sua Santità, che si soffermò ancora una volta, volutamente, prima di riprendere.

"Essi, i Tuoi Ebrei voglio dire, conoscevano altri dèi e spesso li adoravano perché il culto di quelli consentiva loro certi sfoghi terreni, che nel Tuo erano proibiti. Così, per esempio, quando fornicarono con le figlie dei Moabiti e si prostituirono davanti ai loro idoli. Ma anche in quella circostanza, a dispetto della Tua benignità, il Tuo intervento fu radicale, perché ne colpisti, a quanto riportano i cronisti, ventiquattromila in un solo giorno. Dici che questo era per dare un saggio della Tua clemenza?"

"Gli altri dèi erano insignificanti mostruosità. Cadevano in frantumi al mio cospetto, come Dagon che crollò faccia a terra davanti a me, con mani e capo mozzi. La venerazione degli idoli distraeva il popolo dalla mia adorazione. Era perciò attraverso la potenza del mio braccio e attraverso la giusta punizione delle offese che mi venivano fatte che esso poteva intendere la mia grandezza. Così dovevano rappresentarmi i capi e così mi rappresentarono agli occhi del popolo, affinché si fissasse la mia immagine e fossi amato."

"Forse, vuoi dire, temuto. Non si ama quando si teme." Censurò ancora beffardo Sua Santità.

"Ma quando i tempi sono stati maturi, nessuno ha avuto modo di aver dubbi sulla mia pietà. Quante volte si è provocata la mia ira e quante volte ho dimenticato quello che avevo avuto in cuore di fare? Non mi sarebbero certo mancate le ragioni per scatenare qualche diluvio universale!"

"Beh, se per questo, le ragioni non Ti mancano neanche adesso. E chi oserebbe darTi torto se... ma meglio di no! In ogni caso non si può dire che sei stato spesso compassionevole. Hai distrutto tutto, senza pietà e solo perché, da quando si legge nel passo del Genesi che narra di quel Tuo diluvio, i Tuoi figli avevano visto che le figlie degli uomini erano belle e le presero per mogli. Non ho mai capito chi fossero, a questo punto, i Tuoi Figli e chi le figlie degli uomini. E Tu Ti pentisti - è scritto proprio così - di aver fatto l'uomo. Te ne addolorasti in cuor Tuo e annunciasti: Sterminerò di su la faccia della terra l'uomo che ho creato, dall'uomo fino agli animali domestici, fino ai rettili e fino agli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti... sono parole Tue!"

"Devo riconoscere che quello che autorizzai ai tempi di Noè fu un cataclisma un po' eccessivo..."

"Un po' eccessivo? Ma se fu sterminato ogni essere esistente sulla faccia della terra, dall'uomo agli animali domestici, tutto annientato, tutto ridotto a melma e liquame! E Ti ci vollero centocinquanta giorni per assicurarTi che nulla scampasse."

"Beh, fui effettivamente esagerato" ammise Quello dopo una breve meditazione. "Però ben altri crimini ha commesso l'uomo perché siano giustificati tutti i cataclismi che ho in mente e che finora non ho mai suscitato..."

"A ben riflettere, Eterno, non mi pare che Tu sia stato tanto indulgente con questa Tua umanità. I cataclismi non sono mai mancati. Di sciagure e lutti sono pieni gli annali del genere umano. Non è il caso di ricordarTi quante volte Ti sei lasciato prendere la mano e quante vittime hanno fatto i Tuoi terremoti, i maremoti, le eruzioni vulcaniche, le inondazioni, le siccità, le carestie, le pestilenze, le epidemie, le malattie più debilitanti e dolorose che colpiscono indistintamente adulti e bambini innocenti, l'AIDS e tutte le altre infinite catastrofi mediante le quali hai voluto dare un segno della Tua grandezza..."

"Ma tu confondi gli eventi naturali e le conseguenze della depravazione umana, con la mia collera..."

"Eterno, vorrei tacere, ma non posso" si oppose pignolo Sua Santità. "Qui da noi, in terra, si usa dire che non si muove foglia che Tu non voglia, che Tu hai il controllo minuzioso di tutto quello che accade, che porti pure la contabilità dei capelli del nostro capo. Com'è poi che quando si scatena la natura, Tu non c'entri? Senza voler ritornare sulle cause che determinarono la Tua ira quando provocasti il diluvio, vorrei ricordare che nei sacri testi, dove si narrano le Tue gesta, sono anche riportate con meticoloso puntiglio tutte le volte che la Tua rabbia è divampata. Non sempre per cause giustificate, a mio umile avviso."

"E quando questa mia rabbia sarebbe divampata ingiustificatamente, a tuo umile avviso?" domandò Quello con falsa curiosità.

"Mi provo a ricordare, Eterno, ma non me ne volere per il poco rispetto che avrò della cronologia. Ti sei manifestato a me così all'improvviso che non ho avuto la possibilità di prepararmi. Devo perciò affidarmi alla memoria. Dunque, vediamo..." ed esordì con le sue osservazioni:

"Te la prendi con noi per le persecuzioni degli Ebrei, per le sevizie, per i ghetti, per i pogrom, e via dicendo. Ma non Ti sei comportato Tu pure alla stessa maniera?"

"Gli Ebrei sono il mio popolo e se io decido di punirlo è per giustizia. Non permetto all'uomo di sindacare i miei provvedimenti. L'uomo non può perseguitare il mio popolo perché io avrei dato l'esempio" chiarì severo.

"Ossia, in parole povere, a perseguitarli ci pensi già Tu? In ogni caso, devi convenire che hai spesso calcato la mano con loro. E meno male che era il Tuo popolo eletto e che era privilegiato per aver sottoscritto con Te un patto di alleanza! Perché, ci sarebbe da chiedersi, che sarebbe mai avvenuto di loro senza il privilegio della Tua clemenza?"

"Gli Ebrei sono quelli che rendono testimonianza di me nel tempo, sopravvivendo a tutti i loro antichi dominatori. Delle tribù di Canaan, degli Egiziani, dei Babilonesi, dei Macedoni, dei Romani, di tutti i popoli che li asservirono, li smembrarono, li sparpagliarono come pula al vento e ne fecero scempio, non sussiste che la memoria storica. Sono stati confusi gl'inquisitori, gli antisemiti, i nazisti stessi, mentre il mio popolo è là, vivo fra tante rovine, ad attestare con la sua continuità la validità del mio patto con i patriarchi. Non basta questo a provare il privilegio che ho loro accordato?"

"Ammetto, Eterno, che a queste considerazioni si resta confusi. Ma è ancora più stupefacente rilevare l'eccezionale resistenza di quel popolo alla Tua severità."

"Severità?" domandò Quello.

"Beh, severità è piuttosto riduttivo, dovrei dire maltrattamenti. Con quale altro nome definire il Tuo comportamento?"

Sua Santità scrutò di sottecchi il volto di Quello per leggervi una reazione. Poi, partendo da lontano, prese ad elencare gli scempi provocati dal furore divino:

"Ti sei acceso d'ira, senza motivazioni sostanziali, almeno così sembra a me, quando cercasti di uccidere Mosè stesso e tutti quelli della sua famiglia, per il semplice fatto di non essere circoncisi. Montasti su tutte le furie quando Aronne, suo fratello, fuse per gli Ebrei un vitello d'oro davanti al quale essi si prostrarono in adorazione. Lasciami fare - dicesti a Mosè - Che la mia ira s'infiammi contro di loro e che io li consumi. Mosè fece di tutto perché Tu rinunciassi al Tuo proposito ...Desisti dall'ardore della Tua collera - T'invocò - e pentiTi del male destinato al Tuo popolo. E per fortuna di quei poveracci, sta scritto che Ti pentisti, ma non senza che essi pagassero un tributo di sangue spaventoso: tremila morti, secondo la Tua volontà."

"Pentimento è termine umano per significare la mia capacità di misericordia, come ira, che sta per valore supremo della mia giustizia." Spiegò Quello con tono vago.

"Poi il popolo si ribellò di nuovo" insistette Sua Santità senza cogliere le precisazioni, "e Tu Ti sentisti oltraggiato. E ancora un volta Mosè intervenne, mentendoTi, che sei tardo all'ira e largo di misericordia, perché sopporti colpe e ribellioni e Ti chiese di perdonare, secondo la grandezza della Tua clemenza. Ma non volesti sentire ragioni e, lamentandoTi perché per dieci volte eri stato messo alla prova, decidesti di consumarli tutti nel deserto. E puntualmente rispettasti la Tua parola.

"Mi permetto di rievocare ancora quella volta che i Filistei catturarono la Tua arca dell'alleanza e Tu li punisti con il flagello dei bubboni, che è un eufemismo scritturale per dire emorroidi. Per questo motivo essi decisero di restituirla ai figli d'Israele. Ma fra costoro ci fu chi non festeggiò il ritorno con particolare entusiasmo. Non Ti offrì, ahimè, olocausti dignitosi. Si trattava dei figli di Ieconia. E Tu Te la prendesti a male: settanta persone della loro casa, con tutte le loro proprietà, furono annientate dalla Tua furia in quel giorno."

Sua Santità fece una pausa, come per ordinare i suoi pensieri, poi andò avanti con la sua esposizione:

"Sapevi però sopportare in silenzio le malefatte della Tua gente. Ad onor del vero, ne combinava di tutti i colori: Abramo che offre la moglie Sara, come una qualsiasi prostituta, una prima volta al Faraone e poi ad Abimelec; Giacobbe che con l'inganno sottrae la primogenitura ad Esaù (che Ti è tanto antipatico); Simeone e Levi, gli abietti traditori figli di Giacobbe, che con raffinata ferocia fanno scempio dei figli di Sichem, ne saccheggiano la città e li depredano dei loro averi; Giuda che si congiunge incestuosamente con Tamar. Di questi esempi ve ne sono a non finire nelle Scritture."

"La mia giustizia non deve essere interpretata con la tua logica ristretta. Essa ha orizzonti più ampi e non s'impronta al metro rudimentale degli uomini, fatto di colpa e castigo. Per la pochezza della tua ragione tu concepisci solo l'immediata consequenzialità di causa ed effetto. Questo è il tuo limite. Tuttavia nessuna perfidia è mai passata indenne al vaglio della mia equità."

Ma Sua Santità, che seguitava a non comprendere i meccanismi complicati della giustizia divina, procedette:

"Non adirarTi se insisto, Eterno, l'uomo capiva quello che vedeva. E quello che vedeva lo confondeva, lo faceva tremare. Colpisti gli Egiziani con le famose piaghe: pustole, zanzare, cavallette, grandine, mosche, tafani, tenebre, e si capiva quello che intendevi. Ma poi li punisti ancora con la strage dei primogeniti. Trucidasti indiscriminatamente uomini e bestie, giusti e reprobi, per rendere nota ad un testardo Faraone la Tua potenza. Tutti mandati al Creatore... a Te, voglio dire. Che c'entravano gl'innocenti? Che c'entravano le bestie? Non sarebbe bastato togliere di mezzo solo quel Faraone ottuso? Ma Tu, invece di punire chi commetteva il crimine, sembravi compiacerTi di percuotere gli inermi, che ne avrebbero subìto le conseguenze.

"E' qui che perdo il segno sul concetto di giustizia divina, perdonami!" finse Sua Santità e, senza attendere risposta, riprese: "E questo è ancora poco, se penso alle carneficine che ordinasti ai Tuoi eletti. Quella degli Amaleciti, per esempio, che per Tuo comando furono passati tutti a fil di spada, o degli Amorrei, dei quali volesti che non rimanesse alcun sopravvissuto, o dei Madianiti, che furono tutti annientati e spogliati di bestiame e ricchezze.

"Ti facesti prendere da una collera furibonda quando ingiungesti di distruggere Basan e tutto il suo popolo, senza lasciar superstiti, o quando cancellasti sessanta città della striscia di Argob, regno di Ob. Tutte divorate dal fuoco, con uomini, donne, bambini e bestiame. Intimasti poi che tutte le tribù di Canaan fossero votate allo sterminio. Etei, Girgasei, Amorrei, Ferezei, Evei, Gebusei..." elencò senza incertezza e senza bisogno di dita, "massacrati o cacciati via dalla loro terra, perché Tu l'avevi promessa agli Ebrei."

Sua Santità si fermò per riprendere fiato.

Quello ne approfittò per commentare:

"Erano popoli idolatri che dovevo cacciar via dal mio cospetto..."

"E la Tua clemenza? Dopotutto li avevi creati Tu. Non perdonavi le trasgressioni degli Ebrei e Ti compiacevi se uccidevano e scannavano e depredavano, come Tu imponevi. Ma se di tanto in tanto essi erano mossi a pietà, se si impietosiva il loro occhio, Tu infierivi contro di loro. Ti adiravi quando non passavano a fil di spada anche le donne e i bambini. Ed essi Ti obbedivano scrupolosamente lasciando in vita, per il loro diletto, solamente le vergini. Proprio come volevi Tu.

"Passavi come il fuoco divoratore davanti ai nemici del Tuo popolo, cui avevi assicurato il possesso del paese di Canaan..."

"Questa è la descrizione con parole effimere di avvenimenti che hanno ben altro significato, te l'ho già detto. In ogni caso io dovevo tener fede ai patti stipulati con i patriarchi. Dovevo pur dare in eredità alla mia gente la terra dove scorre il latte e il miele."

"Veramente, Eterno, da quello che si apprende, in quella terra scorse solo sangue e sangue e nulla è cambiato oggi. E poi, c'è un piccolo particolare, quella terra apparteneva ad altri, che furono costretti a sloggiare con la forza. Giosuè, figlio di Nun, demolì Gerico al suono delle trombe e le sue schiere passarono a fil di spada tutto ciò che era nella città, dall'uomo alla donna, dal ragazzo al vecchio, al bue, alla pecora e all'asino. Prese Ai con un'imboscata ed eliminò tutti gli abitanti, fino all'ultimo. Li scovò anche nella campagna e nel deserto dove quelli avevano cercato rifugio: dodicimila, fatti a pezzi in un solo giorno, in Tuo onore, con conseguente razzia di bestiame."

"Ti ripeto ancora che le narrazioni alle quali ti riferisci esprimono in termini umani vicende la cui accezione non è quella apparente, ma ciò che diventa manifesto nel tempo" illustrò Quello singolarmente indulgente.

Sua Santità ignorò, ancora una volta, questa spiegazione nebulosa e seguitò:

"Giosuè smantellò ancora Gabaon e liquidò i suoi abitanti. Tu stesso, in quella circostanza, desti una mano scagliando grandi pietre dal cielo. Furono molti di più quelli che morirono per le Tue pietre di quelli uccisi dai figli d'Israele. Venire alle mani con semplici mortali! MetterTi sul loro piano! Eppure, dopo la litigata con Giacobbe non Ti eri preso più con nessuno!

"Devi riconoscere che in quell'occasione Ti comportasti come gli dèi della mitologia greca alla guerra di Troia" provocò irrispettoso e continuò imperturbabile. "Fermati sole! comandasti ad un astro immobile per dar tempo al Tuo popolo di compiere uno sfracello completo. Lo stesso Giosuè, non pago, Ti sacrificò gli abitanti di Macheda, di Libna, di Lachis, di Gezer, di Ebron, di Debir e di tante altre città i cui abitanti furono passati a fil di spada. Tutti, è ovvio. Non scampò nessuno, proprio come avevi voluto Tu. E perché non ci fossero dubbi sulla sua devozione, Giosuè spianò ancora qualche altra città cananea: Asor, Madon, Simron, Acsaf e Te ne sacrificò la gente, una moltitudine numerosa come la sabbia del mare della quale non restò un solo superstite.

"Uno sterminio totale perché non fu risparmiato alcuno come il Signore aveva ordinato, per usare le parole della Bibbia. E dopo tutto questo mal di Dio - come potrei dire ben di Dio! - vieni a ricordarmi le violenze dell'Inquisizione... l'iniquità dei papi! Io non ho dettato nessuna persecuzione e in quanto ai papi indegni, non li ho mica creati io! L'uomo ha errato nel metterli sul trono di Pietro, d'accordo, ma Tu li hai messi sulla terra!"

Era giunto il momento di perdere la pazienza e Quello la perse completamente.

"Bestemmiatore e anatema, abominazione della desolazione!" deflagrò Quello non potendone più. Dimenava ostile i pugni fuori dalle ampie maniche della tunica. Le nocche di quei pugni erano bianche per il livore acceso dall'esasperazione. Il triangolo sul Suo capo mulinò fiammeggiando, si scompose, divenne scaleno, baluginò, poi si spense come fulminato.

"Osi giudicare l'opera mia e i miei disegni!" urlò. "Tu, errore del creato, grumo di materia insignificante, tu, figlio d'iniquità e radice di perdizione, ardisci interpretare le mie decisioni!" Irradiava un'ira terrificante e sbuffava irrefrenabilmente. "Già, dovevo ricordarmi di quale anima nera ti avevo provvisto! Nel tuo cuore non regna che il buio della notte! Il tuo dio è l'arconte delle tenebre! E' lui che t'ispira."

Poi si placò per un attimo, ma ripartì immediatamente:

"Come posso pretendere verità da chi smercia inganno! Come posso pretendere che tu sappia soltanto intuire e rispettare i miei misteri! Io dispongo le regole della vita in un equilibrio che la tua sciagurata mente umana non può capire. Le mie vie, ricordalo, sono infinite. Attraverso eventi apparentemente luttuosi e crudeli si manifesta la mia benignità" così decretò schiumando. "Per amore di un'umanità fatta di altezzosi e spudorati come te, io, pietoso, ho immolato il mio stesso Figlio..."

Ritornava quella storia dei misteri di Dio... Era proprio un nodo indissolubile, ma anche una facile formula per risolvere problemi. Se ne serviva lo stesso Padre Eterno quando messo alle strette. In ogni caso, Sua Santità non aveva bisogno di nuove conferme: con i misteri di Dio si colmano gli abissi d'ignoranza dell'uomo. Ma lasciò correre e notò:

"Questa umanità sei Tu che l'hai voluta così: dissoluta e impertinente. Perché protesti se si comporta in maniera oltraggiosa? Certo è magnanimo il Tuo gesto; il genere umano Ti è formalmente devoto per l'immolazione di Tuo Figlio. Ma a pensarci bene, perdona la mia audacia, è sicuro che l'uomo sia stato salvato dal sacrificio di Cristo? Peggiora sempre più e uccide in maniera sempre più raffinata! Sembra a me che Cristo, più che momento di ravvedimento e riflessione, è frequentemente pretesto per abbandoni da baccanale.

"Vedi quello che succede in occasione delle festività natalizie! Per i più Natale equivale a bagordi: Ludibrium et debacchatio oscenum! Altro che giorno natale del Salvatore del mondo! Per altri è occasione di vacanze sulla neve o su isole esotiche. Le altre festività religiose sono interpretate più o meno tutte alla stessa maniera.

"Io eseguo il mio compito, mi do da fare a spegnere incendi, ci metto anche zelo: ammonisco, predico, benedico, ma la gente, che pure corre ad ascoltarmi, sembra più incuriosita dal folclore destato dalla mia immagine che dal fatto religioso da me rappresentato.

"Non sortiscono maggiore effetto sinodi e concistori, concili e conciliaboli. Le mie encicliche, le mie pastorali ce le leggiamo fra addetti ai lavori. La gente si distrae facilmente. Non ha orecchie per intendere. Ha smarrito l'ideale dell'impegno che conduce alla conquista. Non sente più il fascino del sacrificio di Tuo Figlio, perché è lontana dalla sua dimensione, perché l'idea stessa di sacrificio è sgradevole. Fa' che è stato superfluo! Che non ne valeva la pena, voglio dire? Il risultato in termini di riconoscenza da parte dell'uomo è sicuramente scadente."

"Quest'umanità è accecata dalle sue conquiste di falso benessere, ha sentito poco la mia voce e la tua chiesa ne ha assecondato le tentazioni nutrendola solo di apparenze e di formalità. S'è impigrito l'uomo nell'indifferenza, o si è compiaciuto, per puro esercizio intellettuale, di concepire dottrine e teorie che lo hanno condotto alla morte di Dio stesso, con il pensiero questa volta, che uccide più della croce" rifletté Quello meno adirato. I Suoi grandi occhi, ora rotondi di bontà, erano velati di avvilimento.

"La Chiesa non dispone più dei mezzi di un tempo" incalzò Sua Santità. "E poi hai finito proprio ora di esprimere il Tuo punto di vista su quei mezzi. Riconosci, in ogni caso, che la fede in Te era viva quando la Chiesa faceva sentire la propria voce con autorità..."

Quello abbassò lo sguardo meditabondo mentre si lisciava la barba. Ma non rispose.

"Siamo lontani dalla verità di Cristo," proseguì Sua Santità, "perché sempre meno si concilia il Suo sacrificio con le capacità logiche dell'uomo di oggi. Perché, in fondo in fondo, il Suo soffrire è soltanto apparente; perché Gesù è morto, diciamolo pure, solo pro tempore, visto che Tu l'hai risuscitato. Dunque, un po' una finzione. Un fatto di mera apparenza, un'opera a fondo perduto. Questi criteri l'uomo dei nostri tempi li accetta sempre meno. Sente offeso il suo intelletto."

"Il sacrificio di mio Figlio è l'espressione più elevata della mia giustizia e della mia pietà." Decretò Quello di nuovo duro.

Con quella storia della giustizia divina, presente dovunque, Sua Santità proprio non riusciva a raccapezzarsi più. Ma andò avanti seguendo il filo del suo ragionamento:

"Quindi se posso riepilogare: Tu crei l'uomo peccaminoso e insolente, quasi per mettere alla prova la Tua capacità di sopportazione, quando poi perdi la pazienza, cosa che Ti capita spesso, che fai? Per soddisfare la coscienza superiore della Tua giustizia e non potendo continuamente distruggere questa Tua creatura così poco riuscita, fingi di sacrificare Tuo Figlio... in altre parole punisci Te stesso. E così tutto quadra. Giustizia è fatta! Ma non mi pare che il problema sia risolto. Quest'umanità distratta lo dimostra."

"Finto di sacrificare! Ma mio Figlio è morto sulla croce, soffrendo nella Sua carne il martirio dell'umiliazione, morto come un reietto..." ribatté Quello con veemenza. "Si è immolato per i peccati degli uomini! Scientemente e perciò dolorosamente!" distinse puntiglioso. "Tu che sai quanta umanità è stata sacrificata ciecamente per i peccati dei pontefici - e anche la tua coscienza ne appare toccata - dovresti capire la grandezza del mio atto! Il martirio di mio Figlio ha salvato l'uomo dalla perdizione eterna e l'ha reso mio erede e coerede Suo. L'ha ben precisato Paolo nel Capitolo VIII della sua Lettera ai Romani..."

"Sì, ma Tuo Figlio sapeva che sarebbe risorto, perché il Figlio di Dio non può morire. E poi, a che è servito questo olocausto se l'uomo che Tu hai salvato dal peccato di Adamo non s'è salvato da se stesso e dal suo malefico ingegno? Egli è talmente peggiorato, come dicevo prima, da meritare giustificatamente qualche Tuo castigo, tipo diluvio per intenderci e Tu, invece di colpirlo, lo premi addirittura e parli di eredità!" Sua Santità si lasciò andare liberamente Poi si soffermò mentalmente per un momento sul significato di questa eredità. Riusciva infatti ad intenderlo solo nella sua più terrena accezione.

"L'uomo erede Tuo..." constatò perplesso. "Secondo le leggi della terra, erede è colui che subentra nella titolarità del patrimonio di un defunto. Perciò, noi saremo tuoi eredi e coeredi di Cristo... alla Tua morte.

"La Tua morte, Dio non voglia..." incespicò "voglio dire che la morte di Dio, come teoria beninteso, per quanto i teologi del cristianesimo ateo l'abbiano adombrata, è un puro nonsenso, un'arida speculazione, un contraddittorio esercizio intellettuale. Senza Dio non ha consistenza la fede, non ha valore la religione, non ha significato l'uomo stesso, perché sarebbe privato della speranza che dà senso alla sua esistenza. E Tu parli di eredità celeste? La morte di Dio che sola giustificherebbe quest'eredità, paradossalmente e soprattutto, la vanifica anche, perché l'eredità, che è poi la vita eterna, sarebbe da godere non più nella luce della Tua gloria, ma al cospetto del Tuo... cadavere. E' grottesco!" concluse senza più remore.

"Come al solito ti affidi alla tua ragione e arrivi alla conclusione errata." Rispose stranamente pacato Quello. "Lascia da parte le tue analisi sulla natura della mia eredità e riconosci che se l'uomo è peggiorato vi hanno concorso quelli che ti hanno preceduto sul cosiddetto soglio di Pietro. Sono essi che hanno imbastardito il messaggio di mio Figlio." Sbuffava ora, nuovamente, soffiando attraverso i fori immensi delle narici, neri come due pozzi gemelli.

"Abbiamo già detto Eterno..."

"Lo so... lo so, non sono mica rimbambito!"

"A volte ripetiamo le cose senza rendercene conto. A me capita." Sottolineò Sua Santità con malizia. "Comunque, per parte mia, posso solo aggiungere che la Chiesa ha fatto di tutto per creare modelli di riferimento morale. Tutti i pontefici malvagi sono pur sempre una minoranza, rispetto al gran numero di Santi e di Màrtiri che il Cattolicesimo ha espresso nel corso dei secoli per l'edificazione dell'uomo e per l'esaltazione del Tuo nome."

"Beh, sì, ne so qualcosa. Se li avessi accettati tutti avrei avuto problemi a sistemarli in paradiso. Senza considerare che avete tentato di rifilarmene certi che esprimevano tutto fuorché santità, altri che non si sono mai convertiti al cristianesimo, vedi la sequela dei profeti ebraici, Zaccaria, Amos, Osea, Aggeo, Abacuc e via dicendo; dei patriarchi, Abramo, Isacco, Giacobbe e quanti altri. Mi avete santificato Esaù, e sapevate che non l'ho mai potuto soffrire. Avete canonizzato Mosè e Giosuè che di crimini sulla coscienza ne avevano un bel po'. L'hai detto poco fa. Senza parlare di Davide e Salomone, che per misfatti non erano secondi a nessuno, anch'essi regolarmente elevati alla gloria degli altari. E Adamo ed Eva? Io li avevo cacciati peccatori dal paradiso e voi me li avete restituiti santi.

"E non menzioniamo tutti gli infiniti altri beati ai quali vi raccomandate assiduamente. Ma questa delle raccomandazioni, l'abbiamo visto, è una vostra abitudine connaturata, che esprimete anche in altri campi..."

"Ma la beatificazione dei personaggi biblici è un segno di devozione verso i progenitori di Gesù e di coloro che ne avevano prefigurato l'opera e predetto la venuta!" commentò Sua Santità.

"Questa non è devozione, è distrazione. Avete inventato santi e màrtiri per affollare il calendario, che alla fine ne è straripato. Avete santificato spesso delle funzioni, così con san Cristoforo, che significa portatore di Cristo, ossia cristiano; certe divinità della mitologia pagana come san Dioniso, il dio greco dell'ebbrezza; san Bacco, il suo equivalente romano; sant'Isidoro, confusione di Iside e Horo; san Giorgio, che per alcuni è ancor l'egiziano Horo, per altri è invece una figurazione di Gea, la Madre Terra, per questo quindi patrono dei contadini. Avete santificato Gabriele, il mio arcangelo messaggero, che è diventato patrono dei postini e ancora un sant'Onesimo che era lo schiavo fuggito di cui parla Paolo nella Lettera a Filemone, divenuto protettore di domestici e camerieri.

"Con semplici assonanze avete beatificato uno come san Latino, invocato per le malattie da latte; santa Lucia, per la vista e le immagini chiare della televisione; simboli di virtù come santa Fede, vergine e martire, che è la personificazione della fede ideale, unitamente alle sorelle, Speranza e Carità, esse pure vergini e màrtiri, tutte figlie di santa Sapienza, forse martire ma non più vergine. Senza voler parlare di santi leggendari, come san Gennaro, san Castrese, o di sante come Filomena, che è solamente una scritta su un'ampolla trovata qualche secolo fa nelle catacombe di Priscilla."

Si fermò per un attimo, sollevò lo sguardo al cielo come in cerca d'ispirazione non si sa bene da chi, e riattaccò.

"E' stato canonizzato un san Longino, assassino di mio Figlio, che prese il nome dalla lancia con cui Gli aveva perforato il costato. Sono stati santificati nientemeno che semplici oggetti come la vera eicon, il panno nel quale, lungo la via crucis, fu asciugato il volto di Gesù. E' diventato santa Veronica. A questa santa avete trovato anche un marito: Amatore, santo forse per lubriche inclinazioni.

"E che dire di Pilato? Mi avete beatificato anche lui. Pilato, il carnefice di mio Figlio! S'era presentato a me con una bacinella d'acqua per ricordarmi il gesto che provava la sua innocenza. Scaraventandolo giù dal paradiso ha capito che lì giudico io. Pure in questo caso si è trattato di santificazione di gruppo perché, con lui, avete elevato alla gloria degli altari anche la moglie: santa Claudia Procula.

"Non voglio dilungarmi poi su tutti i santi preposti alla sfera sessuale: san Falliano, san Genitore, santa Fotina e via dicendo."

"Ma sono stati tutti regolarmente declassati!" intese giustificare Sua Santità.

"Diciamo che non si parla più di loro, formalmente. Ma sono tutti là. La superstizione è solo ufficialmente abolita. Nessuno osa stornare la concentrazione dei fedeli dal loro culto."

"Ma non si può, Eterno, ci vuole flessibilità! Passi per santa Filomena, per santa Fede, per san Pilato e qualche altro. Ma san Gennaro, per esempio! Ha un suo seguito. Come si può? A chi dà fastidio san Gennaro! Chi glielo dice ai napoletani che il loro patrono è nessuno? E poi, poveretti, con tante sventure da sopportare, perché toglier loro un pio sfogo! In fondo si contentano di così poco! Certo, imprecazioni quante ne vuoi e fin quando non si è sciolto il sangue. Ma questo è tutto. Alla folla basta questo prodigio inoffensivo. Se lo interpreta come vuole ed è felice per un altro anno."

"Questa è superstizione! Dove s'è mai visto gente insolentire i santi in chiesa, bestemmiare sugli altari..."

"I devoti di san Gennaro sono un caso a sé. Bestemmiano, l'ho detto, ma con fede e a motivo di fede."

"Superstizione!" replicò Quello tonante. "Invece di sciogliere il sangue - se di sangue si tratta - perché Gennaro non scioglie i cuori di pietra della gente? La verità è che questo cosiddetto miracolo è un modo per distogliere l'attenzione dei cristiani dai temi centrali della fede, perché voi ne possiate trarre benefici materiali. Infatti, il culto dei santi si accompagna a quello delle loro reliquie, anch'esse idolatrate.

"Inutile ricordarti quanto fruttuoso sia stato per secoli il loro mercato. La follia della credulità ha raggiunto l'apice con l'adorazione del prepuzio e dell'ombelico di mio Figlio. Nemmeno io sono riuscito a stabilire quanti di questi prepuzi e di questi ombelichi siano conservati nelle vostre chiese, tutti ritenuti autentici. Ma si venerano anche reliquie di altro genere: ossa, denti, unghie, capelli, arti, impronte di piedi, di mani e pure corpi interi, mummificati, scheletriti, anchilosati, di santi, di vergini, di màrtiri, di monaci, di anacoreti, molti dei quali non sono mai nati.

"Si venerano svariate teste di Giovanni il Battista; una dozzina sono quelle di santa Giuliana; una diecina almeno sono i corpi di san Giorgio e per fortuna questo santo non è mai vissuto né da solo né in gruppo, come qualcuno ha scritto e ancora: una mandibola, la lingua rinsecchita e finanche le corde vocali di sant'Antonio. Si conservano addirittura una penna delle ali del mio arcangelo Gabriele (oltre a quella di frate Cipolla di cui è detto nel Decamerone) e un dito dello Spirito Santo... avrei capito un'ala! Nulla di più profano e volgare.

"Per quanto concerne le reliquie non corporee dovrei trattenerti molto a lungo e rischieresti una recrudescenza del tuo mal di stomaco..."

"Per l'amor di Dio... per amor Tuo, intendo dire, Tu non voglia," L'interruppe Sua Santità cui a quelle parole si era risvegliato furioso il dolore all'addome, "ho sofferto le pene dell'inferno... risparmiami, Ti prego. Tanto più che so già di queste reliquie: ...la limatura di ferro della catena di san Pietro, la graticola di san Lorenzo, il coltello usato per la circoncisione di Gesù, gli effetti personali di Maria Vergine..."

"Sì," continuò impassibile Quello, come per una sorta di punizione "e inoltre la sacra sindone di Torino: il lenzuolo nel quale sarebbe stato avvolto il corpo di Gesù del quale conserverebbe l'impronta, dimenticando però che questo lenzuolo è di almeno un millennio posteriore alla Sua morte. Senza tener conto di tante altre sindoni, una quarantina a dir poco, tutte parimenti autentiche e parimenti venerate.

"E che dire dei chiodi usati durante la crocifissione che si contano a migliaia; delle spine della Sua corona? Una boscaglia se si mettessero tutte insieme. E le schegge di legno della croce? Quante? Voi dite: Lo sa Dio! Ma ti assicuro che non lo so." Confessò perplesso.

"Eterno ce ne sono di cose su cui riflettere..." cercò di concludere Sua Santità con tono conciliante, massaggiandosi l'addome.

"Capisco che non posso prendermela con te, Santità, tu in fondo sei solo un anello di una lunga catena. Sei pure capace di un filosofico riguardo per la mia salute, che ti starebbe a cuore per il bene dell'uomo. Forse dovrei prendermela con me stesso se le cose sono precipitate a questo punto. Avrei dovuto fare qualcosa prima. Intervenire subito. E' certo in ogni modo che così non va."

Si fece silenzio, un silenzio denso e minaccioso che Sua Santità non osò spezzare, ma tremava. Perché, comunque stessero le cose, a vincere era Lui. Fra Dio e l'uomo vince sempre Dio.

Sua Santità sentiva che il giudizio era vicino.

"Chissà quale sarà la mia punizione!" ponderò con ansia febbrile, "perché è chiaro che io sarò il primo. Mi cancellerà dal Suo cospetto, come usava con la Sua gente in passato; m'incenerirà sul colpo, o aprirà la terra sotto i miei piedi come fece con Core, Dathan e Abiron..."

"Non va, non va! Tutto da rifare!" soggiunse Quello assorto. "Fuoco distruttore o acque purificatrici... vedremo se il genere umano ritornerà all'ordine! Vedremo! Ma tu, Santità, medita..., medita..." sentenziò scuotendo la testa bianca e un dito ammonitore, mentre la Sua voce andava pian piano sfumando in una lontananza di nebbia.

"Fuoco distruttore, acque purificatrici..." Sua Santità ebbe un sussulto. Quelle parole non nascondevano nulla. Erano quelli i Suoi strumenti tradizionali: gli strumenti con i quali aveva dimestichezza e che già aveva sperimentato con successo...

Poi sullo sfondo blu del cielo, nel volto rosso di Quello, più forte risaltò il bianco della barba, quasi a richiamare con quei tre colori gli eccidi rivoluzionari del Terrore e a prefigurarne uno nuovo. Il triangolo sul Suo capo ebbe ancora qualche sussulto luminoso, poi si spense definitivamente. L'immensa nube del Padre Eterno si sgonfiò, gradatamente, fino a diventare un punticino nero, come un uccellino che agitando le tenere ali spiccava il volo verso la volta celeste.

"Ecco," opinò Sua Santità, "si trasforma nello Spirito Santo."

E aprì gli occhi. Se li stropicciò con forza mentre suor Candida, schiusi gli scuri dell'imposta, si esibiva in un profondo inchino.

Una folgore in quell'istante attraversò, quasi una sciabolata, i vetri opachi della finestra seguita da un tuono fragoroso che spaccò il cielo. Suor Candida si segnò meccanicamente.

Fuori pioveva a dirotto.

"Ha deciso per l'acqua!" assodò Sua Santità rassegnato.

Sulla parete di fronte al letto, nel colore turchino, spiccava solo l'enorme croce nera, da lato a lato, come le sbarre di una prigione. E contro quelle sbarre, il punticino nero di cui sopra s'era materializzato in un inerme pipistrello che sbatteva le ali, spaventato dalla luce improvvisa. E annaspava alla ricerca della libertà, ingannato dal falso colore del cielo dipinto sulla parete.

"Ben levato Santità." Salutò gioiosa suor Candida. "Diluvia oggi!"

"Ahimè, lo vedo. C'era da aspettarselo."

"Oh, mio Dio!" esclamò la suora, all'improvviso, portandosi entrambe le mani alle labbra. "Un pipistrello! E come sarà entrato?" sussultò segnandosi di nuovo precipitosamente.

"Quello lì non ha bisogno di farsi annunciare: entra e si manifesta!" constatò soprappensiero Sua Santità.

"Eh, ma mi sentiranno le suore preposte!" fece quella distratta. "Le prometto, Santità, che non succederà più. Disporrò perché padre Giacobbe rovisti la stanza ogni sera e chiuda scrupolosamente porte e finestre."

"Bastasse chiudere porte e finestre!" commentò Sua Santità scendendo dal letto e cercando istintivamente le pantofole con i piedi.

"Non entra mica per opera e virtù dello Spirito Santo?"

"E chi lo può dire?"

"Per fortuna non Le è successo nulla" continuò premurosa la suora. "Sa, dicono che un pipistrello è capace di tagliare la faccia con le ali..."

"Peggio sorella."

"Peggio?"

"Il peggiore degli incubi. Io, dopo Giacobbe, sono salvo per miracolo."

"Pure padre Giacobbe..."

"No quell'altro... il patriarca."

"Anche il patriarca?" domandò la poveretta confusa. "Non capisco Santità: ...padre Giacobbe, il patriarca di Gerusalemme..."

"Lasci perdere, sorella" troncò Sua Santità.

"Ma Santità lei è rosso e sudato, ha due occhiaie... Si sente bene?" s'informò sollecita.

"Si, adesso va meglio. E' stato l'Eterno... incubo, il pipistrello voglio dire. Ma per fortuna è passato... spero!"

A scrosci l'acqua s'avventava contro i vetri.

"Diluvia, dice lei, sorella," notò assorto. "Chissà che il peggio non debba ancora venire."

"Sia fatta la volontà di Dio!" concluse quella senza capire e d'istinto, una volta ancora, si fece il segno della croce.





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