Violante: seduta 24
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Pag. 877 SEGUITO DELL'AUDIZIONE DEL PREFETTO VINCENZO PARISI, CAPO DELLA POLIZIA PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Seguito dell'audizione del prefetto Vincenzo Parisi, capo della polizia: Violante Luciano, Presidente ................. 879, 881, 888 889, 891, 892, 898, 901, 902, 908, 909, 913 Acciaro Giovanni Carlo ............................ 907, 908 Biscardi Luigi ......................................... 900 Boso Enzo .................................... 902, 909, 910 Brutti Massimo ......................................... 898 Cappuzzo Umberto ....................................... 904 Cutrera Achille ........................................ 906 D'Amato Carlo .......................................... 907 D'Amelio Saverio .................................. 904, 913 De Matteo Aldo ......................................... 903 Galasso Alfredo ........................................ 904 Matteoli Altero ................................... 899, 903 Parisi Vincenzo, Capo della polizia .................... 879 881, 888, 889, 891, 892 899, 900, 901, 902, 906, 908, 909, 910, 911, 913 Riggio Vito ....................................... 899, 900 Sorice Vincenzo ........................................ 908 Tripodi Girolamo ............................. 905, 906, 911 Pag. 878 ALLEGATI: documenti consegnati dal prefetto Vincenzo Parisi nel corso dell'audizione: Allegato n. 1: dott. Contrada, prefetto De Fran- cesco................................................... 919 Allegato n. 2: dott. Immordino, fatti di Villalba ...... 927 Allegato n. 3: articolo su "I Siciliani" ............... 941 Allegato n. 4: scheda sull'andamento del fenomeno dei sequestri di persona a scopo estorsivo ................. 947 Allegato n. 5: Salvatore Amendolito, Oliviero Tognoli .. 955 Allegato n. 6: strategia antimafia ................... 1011 Pag. 879 La seduta comincia alle 15,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Seguito dell'audizione del prefetto Vincenzo Parisi, capo della polizia. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del prefetto Vincenzo Parisi, capo della polizia. Prima di dare avvio all'audizione, desidero informare i colleghi che venerdì 5 febbraio si terrà un Forum con la direzione nazionale antimafia, le direzioni distrettuali antimafia e la partecipazione del gruppo di lavoro per gli interventi del CSM nelle zone più colpite dalla criminalità organizzata. Al Forum, che si terrà presso l'auletta dei gruppi della Camera con inizio alle 10, interverrà anche il Presidente della Repubblica. I colleghi riceveranno in proposito una comunicazione scritta, ma era mio desiderio informarli fin d'ora. Ringrazio il prefetto Parisi per la sua presenza e gli do subito la parola per rispondere agli interrogativi rivoltigli dai colleghi nel corso del nostro precedente incontro. Se il prefetto ed i colleghi sono d'accordo, potremmo poi dedicare alcuni minuti ad eventuali richieste di chiarimento da parte dei commissari, secondo la procedura che abbiamo già seguito in occasione dell'audizione del ministro Martelli. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Mi consenta, signor presidente, di rinnovare innanzitutto il mio saluto a lei ed agli onorevoli commissari presenti. Risponderò per singoli argomenti ai quesiti che mi sono stati posti durante il precedente incontro, iniziando dal profilo della carriera del dottor Bruno Contrada, che si è sviluppata attraverso i seguenti passaggi: nominato vice commissario in prova con decreto del 16 marzo 1959; nominato vice commissario effettivo il 1^ ottobre 1959; promosso commissario aggiunto il 23 giugno 1961; promosso commissario il 1^ luglio 1964; inquadrato commissario capo il 1^ luglio 1970, per esami; promosso vicequestore aggiunto con decreto del 28 giugno 1973; promosso vicequestore, ruolo ad esaurimento, con decreto dell'11 settembre 1973; inquadrato nella qualifica di primo dirigente il 1^ luglio 1975; cessato dall'amministrazione della pubblica sicurezza, per trasferimento nella consistenza organica della Presidenza del Consiglio dei ministri, con decreto del 27 gennaio 1982; rientrato in amministrazione con decreto del 13 agosto 1985 e contestualmente collocato in posizione di fuori ruolo al SISDE; promosso dirigente superiore con ricostruzione di carriera il 1^ gennaio 1983; nominato dirigente generale, continuando a permanere in posizione di fuori ruolo, con decreto del 22 febbraio 1991; cessato dalla posizione di fuori ruolo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con decreto del 13 gennaio 1993. Il funzionario si è classificato al ventiduesimo posto della graduatoria del concorso a 220 posti di vice commissario in prova. Quanto alla carriera, l'excursus non evidenzia anomalie rispetto alla progressione seguita da altri funzionari, specialmente se si considera che il suo inquadramento nella qualifica di commissario capo è scaturito dal superamento degli Pag. 880 esami di idoneità per la promozione alla qualifica superiore. Va altresì considerato che la promozione alla qualifica di dirigente superiore è avvenuta sulla base di automatismi stabiliti dalla speciale normativa prevista per i servizi di informazione. Analoghe sono le valutazioni che hanno consentito al funzionario di conseguire la nomina a dirigente generale: in particolare, il predetto risulta essere stato superato da sei colleghi di corso, tre dei quali hanno conseguito la nomina a dirigente generale e tre a prefetto anteriormente al 22 febbraio 1991, data di nomina a dirigente generale del dottor Contrada. Si soggiunge che numerosi funzionari, tra cui otto tuttora in servizio, hanno conseguito la nomina a dirigente generale ovvero a prefetto con un'anzianità complessiva di servizio inferiore a quella del dottor Contrada. La lettera dell'alto commissario De Francesco, nella quale vengono espressi giudizi lusinghieri nei confronti del dottor Contrada nel momento in cui il primo lasciava l'incarico di alto commissario, è stata acquisita al fascicolo del dipartimento della pubblica sicurezza riguardante il funzionario ed indirizzata, naturalmente, al dipartimento. Risulta inoltre acquisito un altro elogio del dottor De Francesco a favore del funzionario, anch'esso pervenuto formalmente agli atti. Queste iniziative appaiono conformi ad una prassi consolidata dell'amministrazione, in presenza di valutazioni di merito. Voglio specificare che possono esservi casi in cui vengono licenziate note di merito e casi in cui, viceversa, vengono licenziate note di demerito. Mi risulta in modo certo che il prefetto De Francesco, come altri funzionari, ha proceduto non solo in casi eccezionali, ma abbastanza frequentemente, a riconoscimenti di questo genere: direi quasi che rientra nel costume di un buon capo ufficio ringraziare e lasciare un segno di gratitudine e di apprezzamento per quanti hanno collaborato. Consegno agli atti della Commissione i documenti su cui mi sono basato per fornire tali informazioni in merito alla carriera del dottor Bruno Contrada; lo stesso farà per quanto riguarda il dottor Immordino. Per quanto riguarda quest'ultimo, questi fu promosso dirigente generale nell'agosto del 1978; dal dicembre 1979 ricoprì la carica di questore di Palermo; collocato a riposo per raggiunti limiti di età il 1^ giugno 1980 è deceduto il 20 aprile 1992. La carriera del dottor Immordino si era sviluppata attraverso questi passaggi: nominato volontario vice commissario aggiunto il 1^ agosto 1943, assunto effettivamente in servizio il 14 novembre 1944 (ritardo determinato dalle vicende belliche); nominato vice commissario aggiunto il 9 maggio 1945; promosso vice commissario il 18 maggio 1946; promosso commissario aggiunto il 1^ agosto 1948; inquadrato commissario con decreto 1^ luglio 1956, con effetti giuridici ed economici retrodatati al 16 settembre 1955; promosso commissario capo il 1^ gennaio 1960; vice questore il 1^ gennaio 1966 (vincitore di concorso speciale); inquadrato primo dirigente con decreto del 1^ luglio 1971; promosso dirigente superiore il 1^ febbraio 1973; nominato dirigente generale il 4 agosto 1978. Vengo ora ai fatti di Villalba. Dal rapporto della compagnia carabinieri esterna di Caltanissetta del 29 settembre 1944 risulta che la mattina del 16 settembre 1944 alcuni attivisti della sezione di Villalba del partito comunista italiano, mentre erano intenti a scrivere sui muri i simboli del partito, venivano interrotti in tale attività da un gruppo di persone, inviate dal sindaco separatista avvocato Farina, che si accingevano a cancellare le scritte comuniste. Il dottor Immordino, mentre si trovava in campagna, avvertito di quanto stava accadendo in paese, si portava sul posto e, accertati i fatti, si recava dal sindaco dove aveva un diverbio con altri rappresentanti del partito separatista. La discussione si fece sempre più violenta fin tanto che si passò a vie di fatto. Tale clima rimase acceso anche nel pomeriggio. Durante il comizio socialcomunista ci furono altri disordini con uso di armi da fuoco e lancio di bombe a mano, nel corso dei quali rimasero ferite alcune persone, tra cui il Pag. 881 dottor Immordino, che riportò lesioni guaribili in giorni quindici salvo complicazioni, come risulta dal referto medico dell'ospedale di Caltanissetta dello stesso giorno 16 settembre 1944. La vicenda fu caratterizzata da un accanito diverbio tra l'oratore Li Causi e Calogero Vizzini esponente il primo di sinistra, il secondo del partito separatista. L'episodio di Villalba, comunque antecedente all'effettiva immissione in servizio del dottor Immordino del 14 novembre 1944, originò un procedimento penale che, per legittima suspicione, si svolse presso la corte di assise di Cosenza contro Calogero Vizzini ed altri e nel quale il dottor Immordino venne citato come parte lesa. L'udienza si tenne il 15 novembre 1949; il procedimento di appello si svolse presso la corte di appello di Catanzaro nel 1954. Il dottor Immordino fu citato anche in questo procedimento ma non comparve. PRESIDENTE. Vizzini, il capomafia? VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Calogero Vizzini, noto capomafia. L'onorevole Borghezio ha posto un quesito avente ad oggetto una lettera da me scritta e firmata in qualità di direttore del SISDE il 6 novembre 1985, relativa all'articolo pubblicato sul numero 31 del novembre 1985 del settimanale I siciliani. L'onorevole Borghezio ha posto quesiti in merito ai contenuti della lettera che indirizzai nella veste di direttore del SISDE il 6 novembre 1985 al dipartimento della pubblica sicurezza, ai comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e per conoscenza al gabinetto dell'onorevole ministro, al CESIS e all'Alto commissario relativamente all'articolo pubblicato sul numero 31 del novembre 1985 del settimanale I siciliani. Nel contesto di detto articolo venivano attribuite responsabilità di collusione del dottor Contrada, capo di gabinetto dell'alto commissario, con ambienti mafiosi. In ordine ai cennati addebiti, ebbi a richiamare l'attenzione degli uffici e comandi sopra citati comunicando nel contempo quanto risultava al servizio sul conto del citato funzionario, ravvisando, in mancanza di elementi di segno contrario, che le notizie riportate, ancorché provenienti da una testata di grande rispetto e onorata dalla firma di uomini illustri, potevano provenire da fonti che perseguivano intendimenti disinformativi e che pertanto lasciavano spazi interpretativi, per non escludere pericoli per l'incolumità fisica del funzionario. Tale punto di vista trova un logico riscontro in quanto dichiarato nell'audizione del 26 gennaio sui motivi che mi fecero destinare il dottor Contrada a servizi non operativi trasferendolo a Roma quando il 31 dicembre 1985, disimpegnato dall'ufficio di capo di gabinetto dell'alto commissario, venne a trovarsi a disposizione del SISDE. A seguito della pubblicazione dell'articolo non mancarono tuttavia i necessari accertamenti per fugare le perplessità configurate sul comportamento del funzionario. Al riguardo esibisco anche una lettera dell'attuale direttore del SISDE, dato che sull'argomento risulta che sono stati interessati a suo tempo i centri di Palermo e Catania con esito negativo. Consegno anche un appunto del direttore centrale della Criminalpol nel quale si fa presente come il nome del dottor Contrada non era apparso nel corso dell'inchiesta. Vi è anche una lettera del segretario del CESIS che è di eguale contenuto. Mi permetto di porre anche questa lettera a disposizione documentale della Commissione. Vengo ora agli aspetti riguardanti la tutela dell'istituzione. In merito alla richiesta avanzata circa la posizione che l'amministrazione assume rispetto al personale, desidero chiarire che la tutela e l'autotutela del dipartimento della pubblica sicurezza e del personale da esso dipendente, si dipana lungo canoni morali, etici e deontologici a loro volta suffragati da specifici riferimenti giuridici ed amministrativi di sustegno, tutti convergenti nello scopo primario di far sì che Pag. 882 i comportamenti singoli e di struttura siano conformi sia formalmente sia sostanzialmente ai parametri ritenuti consoni a quel che l'istituzione rappresenta ed è nell'ambito della nostra società. Varie e diversificate sono le metodologie da ciascuno seguite per il raggiungimento dello scopo, in un insieme che già gode di ogni predisposizione normativa, amministrativa, organizzativa, logistica ed operativa per conseguire quelle sinergie - soprattutto preventive, ma certo anche repressive - idonee al raggiungimento dell'obiettivo primario sopra indicato che, in definitiva, rappresenta precipuo proposito istituzionale e statuale. Per quanto mi riguarda - acquisiti tutti i parametri favorevoli sopra indicati, svolte tutte le iniziative di mia competenza, dispiegati gli impulsi, il coordinamento, il controllo degli stessi per il tramite di un'azione preventiva incisiva, costante e notoriamente non commensurabile in termini quantificabili - sento di poter affermare, con ogni serenità e con piena consapevolezza del dovere compiuto, i risultati raggiunti che si pongono quale componente di accettabilità in ordine sia alla diversa graduazione delle singole mancanze (per lo più, inosservanza di obblighi regolamentari attinenti al servizio ed alla condotta) sia all'entità numerica delle stesse. Tali entità numeriche non possono sottovalutare il riferimento di base, che è quello di una forza effettivamente presente pari a circa 100 mila unità, con incidenza percentuale che, se da un lato si presenta contenuta e men che fisiologica, dall'altro esprime l'intendimento fermo e determinato di limitare al massimo ogni comportamento in contrasto con la legge e i regolamenti, al solo scopo del bene dell'istituzione. Naturalmente il riferimento alle mancanze disciplinari costituisce un solo aspetto della problematica, mentre non sono di lieve momento i 20 caduti, i 1.687 feriti, i 46 invalidi per servizio della polizia di Stato nel solo 1992, le migliaia e migliaia di ricompense al valore e di attestati attribuiti nello stesso anno ai singoli appartenenti per comportamenti eccezionali, tra i quali spiccano le otto medaglie d'oro concesse agli agenti della scorta dei compianti giudici Falcone e Borsellino e i ben tre riconoscimenti di medaglia d'oro alla bandiera nel periodo del mio mandato. Tutti questi elementi si inseriscono in un quadro di fortissima tensione ideale del personale chiamato a vivere ed operare nella trasparenza dei comportamenti, permeandosi sempre più nei concetti di libertà, di democrazia, di responsabilità verso se stessi e il cittadino, concetti da me fortemente profusi in ogni occasione di intervento prolusivo ed esortativo verso i dipendenti, compendio di un sessennio di mandato proprio ieri conclusosi. Non vanno infine sottaciuti due importantissimi parametri che riguardano, per un verso, le qualità precipue della quasi totalità del personale appartenente alla polizia di Stato - ufficiali e agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria - e, per altro verso, la presenza consolidata, importante, ramificata di più organizzazioni sindacali che responsabilmente e costruttivamente, operano in tutte le strutture di polizia al fine del bene dell'organismo; elementi questi che mi sembrano di particolare rilievo e spessore sulla tematica della vigilanza realizzata con quotidianità e costanza nell'ambito dell'istituzione. Sono stati inoltre richiesti chiarimenti circa le norme in tema di informatori e pentiti. Desidero aggiungere alcune brevi considerazioni sull'argomento degli apporti informativi di natura confidenziale alla polizia giudiziaria, dopo il cenno fattone nell'audizione del 26 gennaio scorso, con riferimento ai rischi della "gestione" delle cosiddette "fonti fiduciarie" ed ai profili di positività raggiunti con la recente normativa sul pentitismo. Attraverso gli "informatori" (tali sovente per motivi di lucro o diverse - non sempre commendevoli - ragioni) si acquisivano notizie ritenute in qualche modo socialmente proficue per la repressione Pag. 883 dei delitti. Così la figura della "fonte confidenziale" era riconosciuta e legittimata nelle precedenti edizioni del codice di procedura penale ed i contributi di tale origine trovano schematica disciplina anche nel nuovo codice. Si verte intuibilmente in materia molto delicata, affidata a regole empiriche di esperienza investigativa, con inconvenienti scaturenti da un rapporto bilaterale mantenuto all'ombra dell'anonimo, che ha talvolta comportato, per gli operatori delle forze dell'ordine, sospetti di connivenza e in casi limite perfino coinvolgimenti in sede giudiziaria. Per compensare gli "informatori" erano disponibili alle soglie degli anni ottanta contenute cifre stanziate nel bilancio dello Stato (circa 450 milioni) e ciò implicava che, in via complementare o sostitutiva, si attivassero leciti poteri discrezionali di polizia in loro favore. Che si trattasse di problema complesso e assai responsabilizzante specie dovendosi investigare in ambienti mafiosi, risulta dagli atti (pagg. 1.417 e seguenti) della Commissione parlamentare di inchiesta Pafundi nella V legislatura. L'insieme delle potenzialità di equivoco, delle incertezze e difficoltà del ricorso alle "fonti confidenziali" ha indotto giustamente il Parlamento a privilegiare la linea del "pentitismo", che offre indubbie maggiori garanzie di oggettività dei sostegni al corso della giustizia e di precisi controlli sulla relativa "gestione", che pure necessita di prudenti quanto attente verifiche. Una riprova dell'evoluzione dal supporto operativo dell'"informatore" di polizia a quello tipico del "collaboratore della giustizia" si ha constatando che sono stanziati in bilancio fondi per spese di carattere riservato sia per l'ordinaria attività di polizia sia per la prevenzione e repressione del traffico di droga (per queste ultime è conferita delega al direttore centrale dei servizi antidroga. Le pertinenti erogazioni sono effettuate sulla scorta di precise regole e tabelle ed in proporzione all'importanza delle operazioni concluse positivamente e alla qualità e quantità degli stupefacenti dei quali si perviene al sequestro. Analogamente si procede per remunerare quanti agevolano la cattura dei latitanti di più elevato livello di pericolosità. Ai "pentiti" lo Stato garantisce oggi uno "speciale programma di protezione", sostenuto da controllati contributi finanziari tratti dall'attuale stanziamento di 12 miliardi di lire per la tutela e l'assistenza, estese ai loro conviventi e familiari. Su tali particolari profili dell'attività di polizia è previsto il controllo politico del signor ministro dell'interno. Per quel che riguarda i sequestri di persona, è stato predisposto un documento articolato e molto significativo - che consegno alla Commissione - che dà un quadro esauriente della situazione dal 1969 ad oggi; cioè della storia dei 650 sequestri consumati in Italia, che in alcuni periodi - nel 1977 ve ne sono stati addirittura 75 - hanno impegnato più regioni. E' la storia di un fenomeno tormentato rispetto al quale vi è stato un impegno straordinario sia nella prevenzione sia nell'azione di contrasto ed anche l'intervento del legislatore è certamente servito ad attenuare le tensioni e ad agevolare le soluzioni. L'anno scorso abbiamo avuto 7 sequestri, vale a dire un numero veramente ridotto rispetto a quello degli anni precedenti. Le soluzioni sono state tutte favorevoli, meno quella del caso Carugo, sequestrato a Milano, nell'ambito del quale c'era un'azione di pressione di amici, detto tra virgolette. Affido alla loro lettura il documento per ogni puntuale ricognizione di quella che è stata la storia del fenomeno e l'azione portata avanti dai ministri dell'interno, dall'amministrazione e dalle forze dell'ordine. Desidero comunque rilevare che, con riferimento agli anni 1990 e 1991, bisogna registrare il mancato rilascio di Giancarlo Conocchiella (Briatico, 18 aprile 1991) e di Pasquale Malgeri (Grotteria, Reggio Calabria, 7 ottobre 1991). Sono questi casi che si aggiungono a quelli di Andrea Cortellezzi (Tradate, Varese, 17 febbraio 1989) e di Vincenzo Medici (Bianco, 21 dicembre 1989). Pag. 884 La sopravvivenza di tali ostaggi è considerata purtroppo improbabile sia per il prolungato silenzio dei sequestratori, sia per l'assoluta improduttività delle ricerche che, tuttavia, proseguono nella speranza di qualche riscontro positivo. Sembra, invece, concluso con il decesso della vittima - e la certezza è quasi assoluta - il sequestro di Mirella Silocchi, per la convergenza di indicazioni precise a tale proposito. Ritengo doveroso far presente che, nel periodo compreso tra il 1^ gennaio 1969 ad oggi, sui 650 sequestri verificatisi, per 52 persone è mancato il rilascio e di loro non si sono più avute notizie; per alcune di esse era stato pagato anche il riscatto. Per quanto concerne il rapporto tra criminalità organizzata, mondo economico e finanziario ed internazionalizzazione del fenomeno mafioso, nel documento allegato alla relazione presentata nell'audizione del 26 gennaio ho fornito note di aggiornamento e di valutazione sull'evoluzione del fenomeno mafioso siciliano. Mi preme sottolineare, in merito a quanto osservato dal senatore Frasca e dall'onorevole Tripodi, che il riferimento al cennato panorama delinquenziale non ha inteso portare in secondo piano l'interesse e l'attenzione riservati ad altre aree geografiche, come la Calabria, nelle quali si riscontrano situazioni permeate anch'esse dai indubbi processi condizionanti la stabilità della sicurezza pubblica. Valutando, pertanto, le frontiere della criminalità in senso più lato, è dato riscontrare che esse sono segnate in modo sempre più accentuato dalla crescita economica delle varie componenti delinquenziali, dalle mire espansionistiche delle centrali malavitose a radice meridionale, con riferimento specifico al settore dei traffici di droga ed all'occupazione di spazi nel mondo degli affari, nonché da alcune tipologie di delitti, come le estorsioni con contestuali conflittualità per la conquista indiscussa del potere mafioso. L'ordinato vivere sociale e le regole della stessa economia legale risultano compromessi in parte dalla capacità operativa, proiettata anche all'estero, delle organizzazioni criminali. Queste sono favorite dalle relazioni intessute con similari gruppi delinquenziali, europei e di altri continenti, per la gestione coordinata di sicuri canali da utilizzare ai fini dell'immissione nei rispettivi mercati di consumo delle sostanze stupefacenti, nonché per le transazioni economiche finalizzate al riciclaggio di denaro sporco ed alla sistemazione dei relativi profitti. Proprio guardando a queste specifiche attività criminali - traffico di droga e riciclaggio - non può non essere tenuto in giusta considerazione l'elemento fondamentale caratterizzante tali tipologie criminali: l'internazionalità. L'approvvigionamento degli stupefacenti ha determinato l'esigenza di instaurare rapporti d'affari con paesi lontani dal meridione d'Italia. Così abbiamo trovato il noto mafioso - attualmente detenuto in Italia - Giuseppe Cuffaro, agrigentino trapiantato in Canada che trattava direttamente con i produttori di eroina in Thailandia mentre i suoi conti correnti erano accesi in banche canadesi, svizzere e di Singapore. Inoltre, trafficanti calabresi erano in stretto contatto, nel milanese, con rappresentanti delle organizzazioni turche per trattare il rifornimento dell'eroina. In più occasioni, negli scorsi anni, personaggi di spicco della criminalità campana, dello spessore di Umberto Ammaturo, Nunzio Guida o di Antonio Bardellino, sono stati individuati ed arrestati in Sud America e nell'area dei Caraibi. Per dare un segno della stretta connessione che il traffico della droga ha determinato tra le mafie dei vari continenti, quasi come dati storici, cito due soli episodi. Alla fine degli anni ottanta, in Perù a cento chilometri da Lima, ad Artequita, in un laboratorio per la raffinazione della cocaina direttamente gestito dalla "mafia colombiana", furono trovati i maggiori rappresentanti del clan camorristico di Santa Anastasia. Nel 1983, l'arresto in Thailandia del cinese Koh Bak Kin fece scoprire uno stretto legame d'affari tra i "signori della droga" del Pag. 885 "triangolo d'oro" e le famiglie di Cosa nostra di Partanna - Mondello ed Altofonte. Non meno significativi sono i molteplici successi operativi conseguiti dalle forze di polizia italiane in collaborazione con quelle di altri paesi nel settore del riciclaggio. Anzi, questa specifica attività criminale, che sino agli anni scorsi vedeva collocati in posizione di vertice gruppi, che oserei definire storici, della criminalità nostrana come il clan Cuntrera in sud America, Inzerillo negli Stati Uniti ed il cosiddetto "Siderno group" in Canada, oggi evidenzia anche una realtà estremamente ramificata e spesso del tutto innovativa rispetto a quelle già consolidate nel tempo. Il riciclaggio va considerato come un'importante proficua attività che le stesse organizzazioni criminali non sono più in grado di gestire se non attraverso un elevato salto di qualità dei propri quadri direttivi ed appoggiandosi a gruppi finanziari che operano in maniera spregiudicata. In un'indagine condotta nel 1990 dalla polizia italiana, in stretta collaborazione con quella francese, è stato scoperto che un'organizzazione criminale di tipo mafioso, con una formazione di base di pregiudicati napoletani, stava portando avanti un ambizioso progetto nel sud della Francia: ottenere il controllo di alcuni dei più importanti casinò della Costa Azzurra ed inserirsi nel circuito imprenditoriale dell'edilizia e del turismo locale. L'iniziativa aveva un duplice scopo: da un lato, riciclare e reinvestire il proprio capitale illecito e, dall'altro, costituire una struttura in cui riciclare e reinvestire il capitale illecito altrui. Buon investimento sarebbe stato acquistare i casinò e costruire complessi residenziali alberghieri per sfruttare un turismo abbastanza ampio che gradisce inserire nel tema vacanze anche le puntate alla roulette o al tavolo dello chemin de fer. Creata questa struttura, attraverso gli uffici cassa dei casinò sarebbe stato possibile riciclare denaro sporco e reinvestire le somme nelle attività immobiliari. Sebbene il denaro provenisse dal mondo della criminalità organizzata, i personaggi coinvolti nell'indagine risultarono essere essenzialmente notai, avvocati, commercialisti e croupier italiani, francesi e monegaschi che poco di mafioso avevano nei loro curriculum professionale, ma evidentemente non si erano fatti scrupolo di gestire denaro la cui provenienza non poteva che apparire sospetta. In effetti, l'ampiezza dei fenomeni criminali, la ricchezza dei mercati, i rivolgimenti politici che hanno caratterizzato gli ultimi anni, come l'apertura all'est europeo, non potranno che influenzare in maniera determinante la geografia mafiosa. Per tornare alla vicenda dei casinò francesi prima citata, posso evidenziare un altro connotato saliente di quell'indagine. Mentre le trattative per l'acquisto del casinò di Mentone subivano una battuta d'arresto per problemi amministrativi, i napoletani coinvolti nell'affare immediatamente avviarono altri redditizi programmi di investimento nei paesi dell'est. Furono registrate alcune conversazioni telefoniche tra Sanremo e la Germania nel corso delle quali i fratelli Tagliamento progettavano acquisti di ristoranti e pizzerie a Berlino est e l'acquisizione di partecipazioni nelle case da gioco iugoslave. Il Mercato comune europeo, con la sua apertura all'est, costituisce probabilmente la maggiore concentrazione di ricchezza mondiale. Siffatta realtà non può certamente vedere estranee le varie organizzazioni criminali di tutti i continenti. Se fino a poco tempo fa era soprattutto l'Italia a dover segnalare ai paesi della Comunità europea le proiezioni internazionali della propria criminalità, oggi assistiamo all'insorgere di altri fenomeni addirittura più preoccupanti. Ad esempio, la cosiddetta "mafia russa", che tratta anche materiale radioattivo e quella polacca che sta monopolizzando il mercato delle auto rubate nel nord Europa. Fenomeni, questi, che fanno certamente impallidire casi come quello dell'inserimento Pag. 886 nell'attività di ristorazione di Amsterdam, accertato lo scorso anno, da parte del clan camorristico dei La Torre di Mondragone oppure delle spedizioni di denaro in pacchi postali che il gruppo Restagno, legato ai Comiso di Gioiosa Jonica, fece negli anni scorsi verso il Canada e gli Stati Uniti. Per dare, in punto di sintesi, concreti elementi di valutazione sul processo evolutivo della criminalità negli ultimi anni, possono essere citate due indagini svolte dalla polizia di Stato, in collaborazione con l'FBI e con la DEA. Entrambe le operazioni portano nomi americani, quasi ad emblema della loro internazionalità. La prima sviluppatasi negli anni 1989-1990, venne chiamata big John; la seconda, recentissima e conclusasi lo scorso settembre, green ice. La prima indagine consentì di accertare che elementi delle famiglie mafiose palermitane, rientranti nella sfera di influenza dei Madonia di Resuttana, avevano richiesto, in una serie di incontri tenutisi in Florida e nei Caraibi con i rappresentanti del "cartello di Medellin", di acquisire una sorta di controllo di tutta l'importazione della cocaina, gestendo direttamente le operazioni in Italia e riservandosi nuovi accordi per un progetto di espansione in tutta Europa. L'operazione green ice vede invece uno scenario completamente diverso, con schieramenti rovesciati. Ospina Vargas, capo del "cartello di Pereira" e responsabile della distribuzione di cocaina per conto anche dei "cartelli di Medellin e Cali", viene in Italia per sistemare a Roma il suo collaboratore Villaquiran Josè, uomo di punta della famiglia Grajales, con l'incarico di responsabile per tutta l'Europa della cocaina colombiana. Gli esempi citati e le analisi fatte in sede di cooperazione internazionale con le altre polizie europee, specie quelle francese, tedesca e spagnola, fanno capire che le realtà locali e tradizionali costituiscono certamente pericoli concreti per la sicurezza pubblica, ma i grandi circuiti internazionali delle attività illecite, che si intrecciano con i paralleli circuiti finanziari nazionali ed internazionali, rappresentano minacce ben più consistenti. Quindi, accanto alla realtà delle famiglie di stampo mafioso siciliane, calabresi e campane, vi è uno scenario molto più vasto con presenza di altre consorterie di diversa estrazione etnica, come quelle di matrice araba, orientale, sudamericana e dell'est europeo che già sono state e sono oggetto di approfondite analisi conoscitive e specifiche iniziative investigative a livello comunitario, avviate grazie a precisi accordi operativi fra i diversi paesi interessati, nonché di indagini svolte congiuntamente da investigatori italiani e statunitensi. Di Salvatore Amendolito è tracciata una scheda biografica che consegno alla Commissione; il soggetto è venuto alla ribalta negli anni ottanta nel quadro di una complessa attività investigativa riferita ad organizzazioni di stampo mafioso operanti negli Stati Uniti ed in Italia. Dai relativi sviluppi processuali sono scaturite polemiche, alimentate dall'Amendolito nei confronti della magistratura inquirente, da cui sono derivate ulteriori inchieste giudiziarie. Nel 1984, a seguito della nota operazione condotta negli Stati Uniti e denominata pizza connection, l'Amendolito fu coinvolto nella collaterale inchiesta apertasi in Italia. In quella circostanza fu colpito da provvedimenti restrittivi della libertà personale, mandati di cattura emessi rispettivamente il 22 ed il 28 maggio 1984 dai giudici istruttori di Palermo e di Roma per associazioni a delinquere di stampo mafioso e traffico di stupefacenti. La posizione dell'Amendolito ebbe a riguardare in particolare il suo coinvolgimento nelle operazioni di riciclaggio tra l'organizzazione di stampo mafioso statunitense implicata nella citata operazione e Cosa nostra palermitana, con l'intermediazione dell'industriale bresciano Oliviero Tognoli e del mafioso Leonardo Greco. Incardinata la competenza relativa ai procedimenti, instaurati con l'emissione dei cennati provvedimenti restrittivi presso la magistratura romana, il Pag. 887 predetto fu condannato l'8 novembre 1985 dal tribunale di Roma ad anni quattro di reclusione per i menzionati reati; la sentenza di appello del 27 settembre 1986 confermò la decisione di primo grado. Nei confronti dell'Amendolito, arrestato in Svizzera il 12 giugno 1986, fu richiesto l'arresto provvisorio a fini estradizionali, ma nel novembre dello stesso anno la domanda di estradizione non fu accolta "viste le motivazioni presentate dal collegio di difesa del perseguito, fondate sulle dichiarazioni della competente autorità statunitense", della quale l' Amendolito era divenuto "collaboratore" nel corso della vicenda processuale riferita all'operazione pizza connection. Dopo il ritorno dell'Amendolito negli Usa, la Corte di cassazione annullò, il 24 settembre 1987 la sentenza di secondo grado, disponendo il rinvio degli atti per il rinnovo del giudizio alla Corte di appello di Roma, che revocò successivamente i mandati di cattura a carico dell'Amendolito, determinando il 19 luglio 1990 la cessazione delle ricerche del medesimo in campo internazionale. La figura dell'Amendolito tornò in evidenza dopo il fallito attentato al giudice Falcone, verificatosi il 21 giugno 1989, in località Addaura di Palermo. Infatti, il procuratore della Repubblica di Caltanissetta avanzò il 20 aprile 1990, alla competente autorità giudiziaria statunitense una richiesta di assistenza giudiziaria per interrogare, in qualità di testimone, l'Amendolito, che aveva inviato via fax a quella procura numerose note relative al cennato episodio con una propria ricostruzione dei fatti ed individuazione dei responsabili. La richiesta era finalizzata a conoscere gli elementi sui quali il predetto fondava le sue accuse in ordine al suddetto attentato contro l'avvocato Carla del Ponte, procuratore di Lugano, che in quel giorno si trovava a Palermo unitamente ad altri colleghi svizzeri per assistere ad una rogatoria internazionale in tema di riciclaggio. In particolare, l'Amendolito aveva segnalato che l'attentato non era altro che un simulazione posta in essere dalla Del Ponte per farsi passare quale destinataria dell'aggressione mafiosa e coprire così la sua collusione con i menzionati Oliviero Tognoli e Leonardo Greco. In relazione agli accennati fatti la procura della Repubblica di Caltanissetta instaurò procedimento penale a carico dell'Amendolito per il reato di calunnia, chiedendone al GIP il rinvio a giudizio il 17 gennaio 1991. Il GIP del tribunale nisseno dispose il 18 febbraio 1992 in tal senso, fissando l'udienza per il giorno 20 maggio 1992; a tutt'oggi il procedimento è pendente e la prossima udienza è stata fissata per il giorno 16 marzo. Nel decorso anno l'Amendolito inviò diversi esposti ad autorità politiche e giudiziarie nazionali, elvetiche e statunitensi con diretto riferimento alle pregresse vicende penali che lo avevano coinvolto. Agli atti di ufficio risulta, in particolare, che l'Amendolito inoltrò un esposto l'8 marzo 1992 al signor Presidente della Repubblica per il quale fu interessata la procura della Repubblica di Roma. Altro esposto del 23 marzo dello stesso anno, indirizzato all'onorevole Craxi e fatto pervenire al Consiglio superiore della magistratura il 25 maggio 1992, fu inoltrato il 30 maggio 1992 dalla direzione centrale di polizia criminale ai questori di Palermo e Roma per i dovuti riferimenti alle competenti autorità giudiziarie. Nei citati messaggi l'Amendolito ebbe in particolare a stigmatizzare, con riferimento anche all'inchiesta sviluppata dall'autorità giudiziaria nissena, la condotta del dottor Falcone e la designazione dello stesso a procuratore nazionale antimafia. In precedenza, un'altra lettera era stata inoltrata il 17 novembre 1991 al ministro dell'interno con allegata la copia di una missiva inviata il 15 novembre 1991 dallo stesso Amendolito al GIP di Caltanissetta dottor Buongiorno, relativa alla richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei suoi confronti, dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta nel quadro dell'inchiesta per l'attentato al giudice Falcone all'Addaura il 21 giugno Pag. 888 1989. Infine l'Amendolito inviò sempre al ministro dell'interno, il 27 novembre 1991, copia di comunicati stampa che lo riguardavano. Copia dei citati esposti sono allegati alla nota biografica dell'Amendolito, insieme a tutta la sua documentazione; è disponibile inoltre la scheda di Oliviero Tognoli (se occorre può essere disposta anche quella di Greco), insieme a tutta la documentazione esistente agli atti della direzione centrale della polizia criminale. Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e politica, nell'accennare agli aspetti evolutivi della grande criminalità, va specificato che i valori e le capacità espresse dalle sue componenti vanno collocati in un ambito più vasto che attiene non solo ai tradizionali parametri della prevenzione e repressione, ma anche a tutte le condizioni, comprese quelle culturali ed economiche che ne favoriscono l'insorgenza, la crescita, la trasformazione ed il radicamento nel tessuto della collettività. Di fronte al consolidamento dei principi della razionalità e della programmazione delle attività sviluppate da solide organizzazioni criminali, una valutazione attenta delle potenzialità eversive di queste non può prescindere dall'esame delle forme di condizionamento dell'apparato politico da parte degli elementi inseriti nei cennati aggregati malavitosi, delle infiltrazioni di costoro nel tessuto delle assemblee e delle amministrazioni elettive e, a volte, dei casi di complementarietà tra le suddette aree, favorite di sovente da mediazioni e congiunture particolari, realizzate da componenti dell'apparato amministrativo, attraverso le tradizionali forme di corruzione. Considerata l'importanza della trasparenza della pubblica amministrazione in senso lato, cui va riportata la corretta gestione dei rapporti tra cittadino e Stato, preme sottolineare che negli ultimi anni sono rientrate nel panorama di articolati interventi, che sottendono una sana politica di prevenzione, le vigorose iniziative finalizzate ad un'attenta conduzione politico-amministrativa del territorio. In tale ottica va guardata l'ampia strategia antimafia sorretta dal disegno del legislatore, recepita dai provvedimenti nn. 55, 142 e 241 del 1990, 221 e 203 del 1991, e 16 del 1992 per rendere meno permeabili i confini dell'apparato istituzionale dalle insidie della malavita organizzata. L'impegno profuso dalla magistratura e dalle forze dell'ordine con la sistematica e puntuale applicazione delle cennate norme ha permesso di conseguire importanti risultati nello specifico settore, lasciando intravedere risultati e maggiori ostacoli all'incedere del potere mafioso e sicuri segnali per l'affermazione della legalità. Nella menzionata cornice legislativa vanno letti i provvedimenti di scioglimento nel 1991 e 1992 di 47 consigli comunali (19 in Campania, 15 in Sicilia, 11 in Calabria e 2 in Puglia). Facendo poi riferimento ad attività illecite riconducibili al cennato panorama riscontrato nelle così dette regioni a rischio, dove maggiori sono le pressioni ed i condizionamenti delle organizzazioni criminali, si ha modo di rilevare che dal 1990-1992 sono stati inquisiti complessivamente 2.657 pubblici amministratori... PRESIDENTE. Il dato si riferisce a qualunque tipo di reato? VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Vi è un'analisi successiva. Dicevo che i pubblici amministratori inquisiti sono 2.657, di cui 1.243 in Sicilia, 668 in Campania, 437 in Calabria e 309 in Puglia. Da un'analisi dei dati emerge l'importanza del reticolo legislativo oggi disponibile in materia, ove si consideri che il numero degli amministratori denunciati nelle citate aree è aumentato progressivamente: 561 nel 1990, 851 nel 1991 e 1.245 nel 1992. Questi dati riflettono esclusivamente informazioni della direzione centrale della polizia criminale e potrebbero, quindi, non essere esaurienti. I prospetti che consegno alla Commissione mettono in evidenza, oltre alla specificazione dei consigli sciolti, distinti Pag. 889 per regione, anche il dato relativo al reato contesto. Gli amministratori pubblici denunziati in Sicilia per reati di associazione mafiosa sono stati complessivamente 16; nel 1990 non si era registrato alcun caso, 4 si erano verificati nel 1991 e 12 nel 1992. Gli amministratori pubblici denunziati in Sicilia per reati contro la pubblica amministrazione sono stati 269 nel 1990, 227 nel 1991 e 431 nel 1992 per un totale di 927, e sempre nei tre anni, per altri reati, sono state denunciati in Sicilia 300 amministratori. Per quanto riguarda la regione Puglia, soltanto un amministratore è stato denunziato per associazione mafiosa nel 1991, mentre per reati contro la pubblica amministrazione sono stati denunciati, nei tre anni, 273 amministratori, con una punta massima di 165 nel 1992, e per altri reati ne sono stati denunziati 35. Per quanto concerne la Campania, sono state denunziati 3 amministratori pubblici per associazione mafiosa, 1 nel 1990 e 2 nel 1992; altri 556, di cui 301 nel 1992 sono stati denunziati per reati contro la pubblica amministrazione, 109 per altri reati, di cui 61 nel 1992. Infine, per quanto riguarda gli amministratori pubblici della Calabria, ne sono stati denunciati 3 per associazione mafiosa, (uno per ogni anno dal 1990 al 1992), 308 per reati contro la pubblica amministrazione (con una punta massima di 116 nel 1992) e 126 per altri reati, di cui 31 nel 1992. In ordine ai rapporti tra mafia e massoneria ho il piacere di chiarire che le deviazioni finora hanno avuto carattere episodico (loggia P2, "Scontrino" e "Iside"). Per quanto riguarda la Sicilia, rinvio alla puntuale documentazione testé esibita dalla direzione investigativa antimafia all'attenzione di codesta Commissione. Sono altresì in corso ulteriori indagini giudiziarie sull'argomento per le quali vi è la disponibilità dell'ufficio ad assecondare le richieste compatibili con il nostro lavoro. PRESIDENTE. Posso chiarire ai colleghi questo passaggio: abbiamo chiesto alla direzione investigativa antimafia informative sulle persone che risultavano iscritte a varie logge massoniche siciliane. Oggi, alle 13.30, la DIA ci ha consegnato il documento che è a disposizione di tutti i colleghi. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Si tratta di una ricerca estremamente interessante, eseguita dalla DIA, su tutti i casi che è riuscita a rilevare; essa ha interessato oltre 2.000 persone ed è stato estratto un campione di riferimenti con ipotesi di affiliazione mafiosa per circa 30 persone. Rinvio per il dettaglio all'esame che potrà essere fatto, trattandosi di argomento delicato, in sede ulteriore. Rispondo alla domanda che è stata posta relativamente alla strategia antimafia che il ministro dell'interno, l'amministrazione pensano di porre in essere. E' questo un argomento di massimo interesse per noi perché in fondo tutto il futuro dipende dalla capacità che possiamo esprimere tempestivamente di valutare la situazione e di indirizzare in maniera appropriata l'azione futura. Di fronte alle espressioni più significative delle organizzazioni criminali operanti nel nostro paese, le forze di polizia e la magistratura hanno saputo replicare anche nei momenti più difficili, come quelli segnati dalla eliminazione di difensori delle istituzioni che avevano contrastato l'ascesa della malavita sociale. I risultati conseguiti e le prospettive che il consorzio delinquenziale può riservare in relazione anche all'uscita dalla scena di personaggi come Salvatore Riina ed altri pericolosi boss (come Giuseppe Madonìa, Domenico Libri, Carmine Alfieri) impongono attente riflessioni e strategie informative ed investigative sempre più puntuali, tenendo conto delle linee di politica criminale sfociate in aggiornate costruzioni normative. In proposito richiamo le coordinate di una complessa e più incisiva azione di contrasto raccolte nel documento consegnato alla Commissione (allegato 3 della relazione presentata nell'audizione del 26 Pag. 890 gennaio scorso) e riferite prioritariamente: all'aggiornamento delle mappe della criminalità, con approfondimento anche delle informazioni su persone che, a diverso titolo, possono sostenere l'azione delle organizzazioni delinquenziali; alla disarticolazione di sodalizi con mirate investigazioni, non puntando esclusivamente sulla collaborazione dei cosiddetti pentiti, ma utilizzando anche aggiornate tecniche investigative e i mezzi scientifici disponibili; alla neutralizzazione dei profitti illeciti; alla ricerca e cattura dei latitanti. Nel precisare che gli impegni nelle aree di interesse sopraindicate trovano coinvolte, in una gestione coordinata dei relativi programmi, le forze di polizia presenti in appositi gruppi di lavoro, chiarisco in merito agli ultimi due obiettivi menzionati, sui quali si è fermata l'attenzione di codesta Commissione, che concordo sull'importanza dei relativi interventi, che sono costantemente seguiti dal Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata su disposizione dell'onorevole ministro e, nel contempo, rassegno alcune precisazioni sugli indirizzi operativi riferiti alle due cennate aree e sui risultati conseguiti. Per quanto attiene alle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, il rinnovato impegno degli operatori di giustizia, in parte contrattosi per ragioni fisiologiche dopo l'incalzante fase applicativa della legge n. 646 del 1982, si è riproposto in termini apprezzabili negli ultimi due anni, in virtù anche di una maggiore professionalità conseguita dal personale operante e, in particolare, dopo l'emanazione della legge n. 356 del 1992, che con l'articolo 12-quinquies ha offerto nuovi spazi di intervento. La politica seguita per assicurare in termini sempre più specialistici la lotta alla ricchezza illecita è stata assicurata dal dipartimento con appositi seminari ed esercitazioni, curate queste ultime presso la direzione centrale della polizia criminale, con i contributi di funzionari e di collaboratori esterni. Sono stati acquisiti come collaboratori esterni in via permanente due generali di divisione, già vice comandanti, comandanti in seconda della Guardia di finanza, i generali Bianco - lo stesso che effettuò il noto sequestro degli elenchi della P2 a Castiglion Fibocchi - Adone e il dottor Grilli, già vice comandante dell'Arma dei carabinieri. A fine mese avrà inizio un corso sperimentale di alta specializzazione in accertamenti patrimoniali curato direttamente dal direttore del dipartimento di economia aziendale dell'università degli studi di Firenze, professor Sergio Terzani, ordinario di ragioneria generale applicata presso la facoltà di economia e commercio. Tenuto conto dei dati statistici relativi ai sequestri e alle confische presenti nel prospetto che rimetto alla Commissione è dato evidenziare l'importanza del numero delle confische registrate nel 1991 (165 rispetto alle 33 dell'anno precedente) riferite a beni per oltre 113 miliardi di lire, nonché la portata dei sequestri del decorso anno che hanno riguardato patrimoni acquisiti illecitamente per un valore di oltre 2.300 miliardi di lire. Da una lettura dei dati disponibili raccolti nel citato prospetto, emerge che l'applicazione delle menzionate norme si è verificata prevalentemente in Calabria, Campania e Sicilia e, solo negli ultimi tempi, anche in Puglia. Aggiungo che di straordinaria valenza è il dato riferito al secondo semestre del 1992, nel corso del quale sono stati "bloccati" beni per un valore più che quintuplo rispetto a quello dei primi sei mesi. Il più diffuso slancio operativo è stato favorito certamente dal reticolo normativo della menzionata legge 7 agosto 1992, n. 356. Tra le iniziative più interessanti che nel 1992 hanno portato alla neutralizzazione di cospicui patrimoni di esponenti della malavita organizzata vanno considerate quelle riguardanti le cosche Farinella, La Mattina, Madonìa e Vernengo, i clan camorristici Baratto, Cava, Galasso, Graziano, Imparato, La Torre, Licciardi e Pag. 891 Maiale e i sodalizi calabresi Aquino, Barbaro, Mammoliti, Morabito e Versace. La necessità di restringere in termini più adeguati gli spazi offerti dalla malavita organizzata, impegnata in operazioni destinate a sottrarre le rispettive possidenze e a coprire i propri interessi economici di fronte all'azione preventiva e repressiva delle forze di polizia, ha configurato la necessità di ulteriori impegni di politica criminale, finalizzati all'integrazione della vigente normativa antimafia in materia di misure di prevenzione patrimoniali sullo specifico versante economico-finanziario ed antiriciclaggio. In tal senso, sono allo studio iniziative in ambito ministeriale, da approfondire di concerto con il Ministero di grazia e giustizia, per meglio disciplinare: la materia di prevenzione e controllo di trasferimenti di patrimoni e di beni, nonché di aziende commerciali con la collaborazione e partecipazione attiva di notai, pubblici ufficiali ed altre categorie di professionisti; il settore del sequestro e della confisca dei beni, nonché dell'amministrazione controllata delle aziende e delle imprese soggette a condizionamento e a strumentalizzazione di tipo mafioso; il controllo dei movimenti di capitale e delle trasformazioni societarie; la revisione delle norme del codice civile sul registro delle imprese. In tema di cattura di latitanti, ritengo doveroso evidenziare che l'obiettivo in questione è al centro di pianificate attività di polizia con la messa a punto, in seno al citato Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, di precise e più razionali strategie di intervento. Vorrei qui attirare l'attenzione su un dato molto interessante, che attiene all'effettivo miglioramento nel settore della ricerca dei latitanti. Nel 1991 avevamo 11.000 latitanti, nel 1992 (il dato è riferito al 31 dicembre) circa 11.500, con un incremento del 4,93 per cento. Questo soprattutto in ragione dell'incremento dell'operatività e quindi del maggior numero di persone da ricercare. Le ricerche diramate sono state 7.297 nel 1991 e 10.741 nel 1992 con un incremento del 47 per cento circa. Gli arresti sono stati 2.950 nel 1991 e 6.177 nel 1992, con un incremento del 109, 39 per cento. Questa è l'evidente dimostrazione del considerevole incremento dell'operatività e dei suoi risultati. PRESIDENTE. Mi scusi, quali sono stati i fattori che hanno prodotto questo risultato? VINCENZO PARISI, Capo della polizia. I fattori sono dati dall'incremento dell'operatività e dell'attività di ricerca dei latitanti. Essa è stata ulteriormente razionalizzata anche con un'azione più capillare e ripartita tra le forze dell'ordine attraverso, un sistema più organico di coordinamento. PRESIDENTE. I nuclei appositi per la ricerca dei latitanti sono stati uno strumento particolarmente utile? VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Particolarmente utile. Si è trattato di un'indicazione che è stata proficua sotto il profilo dei risultati. Dopo i notevoli successi conseguiti nello scorso anno, con la cattura di 8 dei 20 più pericolosi ricercati inseriti nello speciale programma interforze (Pietro Vernengo, Luigi Miano, Carmine Alfieri, Francesco Magion, Giuseppe Madonìa, Giuseppe Scarci, Domenico Libri e Matteo Boe), cui va aggiunto l'arresto di Salvatore Riina, è stato aggiornato ed ampliato l'elenco dei soggetti inseriti nel citato programma (dall'originaria fascia di 20 si è passati a 30 unità). Il libretto che comprendeva 200 nominativi è stato ampliato con l'inclusione di altri 300, per cui abbiamo un elenco con fotografie - un documento costantemente presente alle forze dell'ordine - con l'indicazione dei 500 latitanti di maggior peso, da cui sono estrapolati i 30 di massima rilevanza. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione che cosa sono le ricerche diramate? Pag. 892 VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Sono iniziative in virtù delle quali vengono allertati tutti gli uffici di polizia, tutti i comandi dei carabinieri e della Guardia di finanza, l'alto commissario, gli stessi servizi per la cognizione della pendenza di un provvedimento. Questo avviene attraverso lo strumento del bollettino delle ricerche, correlato ad un altro strumento importante, la rubrica di frontiera, tendente ad impedire l'espatrio dei latitanti in Italia e a catturare coloro che, rifugiatisi all'estero, dovessero riaffacciarsi nel nostro paese. PRESIDENTE. Dai dati consegnati alla Commissione emerge un elevato aumento... VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Un elevato aumento anche sul fronte internazionale. PRESIDENTE. Che cosa produce nel 1992 questa moltiplicazione di efficacia? VINCENZO PARISI, Capo della polizia. E' un fatto legato ad una crescita imponente di operatività. PRESIDENTE. Perché non vi è stata prima? VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Non è mancata per scarso interesse da parte degli uffici. Anche la collaborazione internazionale è aumentata, si sono determinate via via condizioni più favorevoli che hanno determinato un incremento straordinario di operatività. Vi è stato anche un affinamento delle tecniche. Indubbiamente, una professionalità specifica nel campo delle ricerche non è così semplice ed elementare come si immagina. La ricerca di un latitante richiede pazienza da certosini, professionalità, acume, anche una grande umiltà e disponibilità a lavorare nelle condizioni più scomode, disagevoli, delicate, anche nei giorni di festa, nelle feste solenni del calendario; bisogna essere sempre disponibili di giorno e di notte, esponendosi anche a situazioni di pericolo. Per favorire la pianificazione e l'attuazione dei relativi programmi di ricerca, si è provveduto a ridefinire l'impianto organizzativo delle strutture operative della polizia di Stato incaricate di assolvere allo specifico compito e nel contempo sono stati accentuati i contatti e gli impegni a livello internazionale per la ricerca dei grandi latitanti, nel solco delle procedure Interpol con la necessaria collaborazione dei servizi. Abbiamo tra l'altro aperto una serie di sezioni, di uffici, creando alcuni ponti all'estero. Abbiamo in questo momento 8 funzionari in Europa (Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Ungheria), 4 in America del sud (Venezuela, Colombia, Perù e Bolivia), 4 in Asia (Cipro, Turchia, Pakistan, Thailandia), 1 in Africa (Marocco) per un complesso di 17 unità. Sono di prossima apertura un ufficio in Olanda ed uno in Nigeria e sussistono ulteriori richieste di rendere operativi altri uffici di collegamento in Albania, Bulgaria, Russia, Argentina, Libano e Senagal. Naturalmente cerchiamo di incrementare tutte queste disponibilità. E' stata significativa anche la risposta legata alla collaborazione internazionale perché dal gennaio 1992 sono stati estradati dall'estero 158 pericolosi pregiudicati, tra i quali vi sono 25 accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso; 28 per reati consumati nel contesto di associazioni criminali caratterizzate dal vincolo mafioso; 27 mafiosi, molti dei quali di grande rilievo; 11 appartenenti alla camorra, 6 alla 'ndrangheta e 5 alla sacra corona unita; abbiamo inoltre 67 pregiudicati già arrestati, detenuti all'estero in attesa di estradizione, fra cui figurano personaggi di grande spicco di importanti famiglie mafiose. Spostando l'ottica della strategia antimafia a livello internazionale, va considerato che negli ultimi anni i risultati operativi sono stati ampliati sotto l'aspetto cognitivo da un'adeguata azione informativa svolta dai nostri stessi funzionari od ufficiali (parlo impropriamente Pag. 893 di funzionari, perché sono compresenti i funzionari di polizia, gli ufficiali dei carabinieri e della Guardia di finanza, con una distribuzione paritetica); allo stesso modo, presso l'Interpol - è un fatto di qualche anno fa, che risale al periodo del mio mandato - sono presenti tre distinte posizioni di responsabilità, una di un funzionario di polizia e due rispettivamente di ufficiali di carabinieri e della finanza. Tutto ciò ha dilatato le possibilità di ricerca perché si inviano funzionari ed ufficiali all'estero, si fanno le ricerche, si localizzano i latitanti e si mettono le polizie di altri paesi di fronte ad una cognizione necessaria rispetto alla quale la collaborazione diventa ineludibile. Una visione d'insieme delle proiezioni internazionali della criminalità non può lasciare certo indifferenti. In Venezuela troviamo latitanti come Pasquale Cuntrera, che con i suoi fratelli gestisce un impero economico di enormi dimensioni; in Germania vivono, e vi si sono rifugiati dopo l'agguato, gli assassini del giudice Livatino; sulla Costa Azzurra vive Michele Zaza, camorrista e mafioso che ha costruito il suo patrimonio con il contrabbando delle sigarette prima e poi con il traffico di stupefacenti; latitanti sardi si nascondono in Sudamerica, ove possono reinvestire il profitto dei sequestri di persona; esponenti di primo piano della camorra, come Rosetta Cutolo ed Umberto Ammaturo, si mimetizzano tra immigrati benestanti e uomini d'affari che si muovono continuamente tra le due sponde dell'Atlantico. Non vi è paese europeo od americano, per non parlare dei cosiddetti paradisi fiscali, in cui non si trovino ogni giorno conti correnti intestati a criminali italiani o a loro prestanomi. Varie polizie estere segnalano movimenti di denaro a livello internazionale gestiti da operatori finanziari che lavorano per conto di mafiosi e camorristi. I confini interni dei paesi europei sono caduti, dando maggiori possibilità di movimento anche ai criminali di altri paesi, che trovano maggiore facilità nel raggiungere l'Italia. In ordine al problema della circolazione delle persone, a livello di studio si vanno approfondendo le ipotesi di imprevista permeabilità ai paesi extracomunitari. Vi è il sospetto, alcune volte confermato dal riscontro di specifici episodi, che le frontiere dell'Europa comunitaria non siano aperte solo al proprio interno ma anche a gran parte degli altri paesi europei, vuoi per i rapporti che la Germania intrattiene con i paesi dell'est, vuoi per garantire collegamenti più rapidi tra paesi europei e colonie, ex colonie e possedimenti oppure con il Commonwealth. La libera circolazione sta raggiungendo una dimensione di gran lunga superiore alle aspettative di Maastricht. Sul piano di una valutazione globale del fenomeno criminalità organizzata non si può prescindere da due aspetti salienti, o meglio dai due principali aspetti del problema: la "periferizzazione" della mafia italiana e l'interconnessione con altre forme di criminalità organizzata di diversa matrice nazionale, ma anch'esse chiamate mafie. Non mancano preoccupati allarmi sollevati dalla stampa. Se i quotidiani italiani ammoniscono i nostri partners europei a guardarsi bene dagli insediamenti di siciliani o calabresi nei loro territori, organi di stampa come il francese Le Monde o il tedesco Die Welt collegano alla caduta del muro di Berlino l'espansione della "mafia polacca" ed allo scioglimento dell'Unione delle repubbliche sovietiche l'avanzata di addirittura 2 mila differenti gruppi della cosiddetta "mafia russa". Aggiungendo a questo panorama la necessità dei trafficanti di droga di evitare i territori di guerra, appare evidente che alla "rotta balcanica" è stata sostituita quella del Caucaso, che usufruisce anche dell'apertura delle frontiere dell'Afganistan, dell'Iran e della Turchia con quelle della Comunità degli stati indipendenti. La mafia italiana in questo ampio ed indeterminato mercato del crimine va quindi ad incontrare, e forse in alcuni momenti anche a scontrarsi, con altre mafie. Non dimentichiamo infatti che a Pag. 894 fronte dei nuovi rapporti non vengono soppiantati i vecchi ed accertati collegamenti con le triadi cinesi e con la mafia dei cartelli colombiani. Questo preoccupante scenario internazionale deve portare a valutare, in una più ampia dimensione, la capacità operativa e la pericolosità della criminalità organizzata italiana. Infatti, dalla fine del 1991 ad oggi, nonostante momenti di grave difficoltà segnati da episodi sintomatici dell'enorme pericolosità della criminalità organizzata italiana, come le due stragi dello scorso anno, è stata registrata una generale contrazione della delittuosità, che si evidenzia anche dagli ultimi dati, ormai definitivi, relativi al periodo gennaio-ottobre dello scorso anno e dai primi dati relativi all'andamento dei reati di omicidio, rispetto ai quali si registra una flessione all'inizio del nuovo anno rispetto all'anno precedente, che già aveva fatto registrare un considerevole decremento. I successi investigativi e giudiziari, l'esponenziale aumento dei sequestri dei beni e la cattura dei latitanti di maggior spicco portano certamente ad una valutazione strettamente positiva di quanto fatto fino ad oggi e confermano che la strada scelta nel contrastare la criminalità è certamente quella giusta; pertanto essa va ancora perseguita con rinnovato impegno in un'azione più ampia e sofisticata. Bisogna tuttavia rilevare obiettivamente che, se il livello più strettamente operativo della delittuosità è stato concretamente intaccato, non altrettanto può dirsi di quella che chiamerei "mafia della finanza" se la specificazione non rischiasse di indurre in errore, facendo torto al mondo finanziario che opera in maniera seria e con grande utilità per le sorti economiche del nostro paese. Il coagularsi di interessi economici all'interno di un mercato più permeabile di quello disegnato dai confini politici e geografici di nazioni e continenti deve preoccupare. Grazie a questo interesse è più facile che si incontrino e si accordino criminali dal colletto bianco, ma è certamente più difficile che l'investigatore di una polizia abbia da solo gli strumenti necessari ad individuare la loro azione e a provarne l'illiceità. Se quanto finora esposto è corretto, se come ampiamente sottolineato nella prima parte di questa audizione ed in quella del 26 gennaio scorso, il connotato saliente della criminalità odierna è l'internazionalità, se il direttore del Bundeskriminalamnt, quello della polizia giudiziaria francese e quello della polizia spagnola non hanno sopravvalutato le evidenze nei loro paesi, se la commissione parlamentare francese sulla criminalità organizzata non ha lanciato allarmi inutili, se tutto ciò è vero, una valida strategia antimafia non può che basarsi sulla cooperazione internazionale. Va anzitutto precisato che oggi, a livello internazionale, è stato fatto già tanto ed il grado di collaborazione è già elevato. Tuttavia, tutto ciò va migliorato ulteriormente e direi ridisegnato in un'ottica più ampia e più spersonalizzata dei singoli paesi. Internazionale non deve essere solo la cooperazione, ma anche la politica e la strategia antimafia di ogni nazione. Il panorama della cooperazione è molto vasto e per primo va ricordato che l'Interpol si è costituita e sviluppata come associazione degli organi di polizia di diversi paesi, oltre 150, in ogni area del mondo. Vi è da considerare che nelle ricerche, quando si tratta di reati più gravi, vi è una diramazione a livello internazionale oltre che interna e l'Interpol se ne rende promotrice attraverso una serie di bollettini di aggiornamento per tutte le polizie affiliate. All'organizzazione è stato attribuito recentemente uno status internazionale fondato su intese intergovernative per la cooperazione di polizia. Va altresì rilevato che gli strumenti di diritto internazionale che ne fanno menzione riconoscono l'Interpol come uno dei canali ufficiali attraverso i quali l'estradizione e l'assistenza giudiziaria possono essere attuate. Nel novero delle iniziative incentrate nella partecipazione a concertati programmi di lotta alla criminalità meritano di essere segnalati l'accordo di Schengen sottoscritto nel 1985 dalla Francia, Pag. 895 dalla Germania, dal Belgio, dall'Olanda e dal Lussemburgo, cui hanno aderito l'Italia (nel 1990), la Spagna, il Portogallo e la Grecia al fine di creare con anticipo rispetto all'obiettivo comunitario del 1993, sia pure in ambito geografico ristretto, un'area di libera circolazione delle persone e delle merci dei paesi membri, mediante la graduale abolizione dei controlli alle loro frontiere comuni ed il rafforzarsi di quelli alle frontiere esterne all'area di Schengen. La conseguente necessità di compensare il deficit di sicurezza derivante da siffatta politica di apertura delle frontiere interne ha determinato la previsione, nel testo della convenzione, di controlli, con il riconoscimento di diritti di "osservazione" e "inseguimento" transfrontalieri, opportunamente regolati con il supporto di un sistema informatico Schengen (SIS), con sede a Strasburgo, che collega le sale operative dei paesi aderenti, consentendo l'acquisizione delle informazioni cosiddette primarie relative a singoli soggetti a rischio. Abbiamo inoltre una sviluppata cooperazione nel quadro del Club dei cinque (Italia, Austria, Svizzera, Francia e Germania), sottoscritto a Vienna nel 1978 dai ministri dell'interno dei singoli paesi per affrontare le tematiche della lotta al terrorismo, al traffico di droga e all'immigrazione clandestina; un accordo definito nel marzo 1990 a Roma tra i paesi del Club dei cinque e quelli della "rotta balcanica" (iniziativa italiana e partecipazione di Bulgaria, Grecia, Iugoslavia, Turchia ed Ungheria) per un impegno comune nella lotta al traffico di droga; una cooperazione denominata Trevi, che trae origine da una decisione adottata dal Consiglio europeo a Roma nel 1975, con la quale si dava mandato ai ministri dell'interno o della giustizia aventi analoghe responsabilità nei paesi CEE di affrontare i problemi attinenti al settore della pubblica sicurezza che avessero interconnessioni sotto il profilo intercomunitario. I lavori, con diretto riferimento ad uno specifico programma di azione, hanno avuto nel secondo semestre 1990, sotto la presidenza italiana, una importante svolta, incentrata sull'approfondimento del tema della lotta alla criminalità organizzata ed al riciclaggio di denaro sporco con l'individuazione di importanti misure compensative riferite senz'altro alle procedure di armonizzazione delle relative legislazioni nazionali, ma rivolte peculariarmente alla creazione di un polo comunitario di intelligence destinato ad interagire con i servizi centrali dei paesi membri e ad assicurare un sistematico scambio delle informazioni sui fenomeni delinquenziali. Sulla base delle suddette coordinate è stata definita la nascita dell'Europol, che ha iniziato il suo corso il 1 gennaio 1993, con un primo stadio operativo riferito alla lotta ai traffici di droga ed al riciclaggio di denaro (Unità antidroga europea), con prospettive di devoluzione rapportate ad altre aree della criminalità organizzata. L'importanza del nuovo organismo comunitario è confermata dal fatto che il titolo VI del trattato di Maastricht, nel prevedere il passaggio della cooperazione dei Dodici nell'accennata area di interesse da una fase informale ad una istituzionale, ha dato cittadinanza all'Europol, struttura - come si è detto - eminentemente di intelligence . A tutta questa serie di importantissimi organismi vanno aggiunti i ventiquattro accordi bilaterali stipulati fra l'Italia ed altri paesi, la cui importanza è enorme poiché essi tengono conto delle peculiarità dei due paesi e delle specifiche realtà di collegamento fra essi, nonché della particolarità dei rispettivi ordinamenti. Questa strada, che si ritiene debba essere ulteriormente perseguita, è stata inaugurata nel 1984 dal Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scàlfaro, allora ministro dell'interno, con il trattato di mutua assistenza Italia-USA e dallo stesso perseguita durante tutto il suo mandato con numerosi altri accordi sia con i paesi europei, sia con quelli del bacino mediterraneo. Questa vocazione internazionale del Ministero dell'interno e del dipartimento Pag. 896 della pubblica sicurezza e l'impegno delle forze dell'ordine anche fuori dei confini nazionali sono testimoniati dal numero di missioni all'estero: 1300 nel 1992, per una spesa complessiva di circa 9 miliardi di lire. A ciò va aggiunto che nel settore di contrasto alla criminalità organizzata per il traffico di stupefacenti ed il terrorismo operano attualmente all'estero, come accennavo in precedenza, 17 ufficiali di collegamento. Anche questa strada è ritenuta particolarmente valida e verrà perseguita, da un lato, aumentando attraverso accordi bilaterali il numero delle dislocazioni e, dall'altro lato, facendo diventare gli uffici esterni più importanti, cioè vere e proprie delegazioni che possano offrire un supporto completo all'attività di interscambio informativo ed alla collaborazione operativa. Naturalmente, questi scambi si realizzano anche con carattere di reciprocità: abbiamo una rappresentanza tedesca, una francese ed altre. Devo a questo punto sottolineare che la cooperazione internazionale fra le polizie dei vari paesi è in sintonia con la planetarietà del fenomeno criminale: tale caratteristica del crimine organizzato ha fatto sì che la collaborazione raggiungesse, non senza sforzi, un apprezzabile livello di efficienza. Ribadisco che il cammino fatto non è stato senza sforzi, in quanto in alcuni paesi, fino a poco tempo fa, veniva negata l'esistenza dell'associazionismo criminale, mentre dall'Italia venivano loro segnalati insediamenti organizzati di mafiosi, che già operavano in sinergia con la criminalità locale. La sensibilità al problema è oggi molto più diffusa: basti pensare che a livello di polizia alcuni paesi europei stanno cercando di mettere a punto congiuntamente una definizione di criminalità organizzata che possa essere recepita in tutti gli ordinamenti con appositi interventi legislativi. A ciò è valsa molto la presenza italiana in tutti gli incontri internazionali e sono stati utili gli stessi rapporti personali da me instaurati con i capi di altre polizie straniere, come quella venezuelana, o quella spagnola, che ho incontrato proprio negli ultimi giorni. Oggi, però, tutto ciò non sembra sufficiente: la collaborazione sotto l'aspetto informativo ed anche operativo va certamente perfezionata ed estesa, ma dove veramente è indispensabile un intervento radicale è nell'armonizzazione degli ordinamenti interni. I paesi che perseguono penalmente i reati associativi sono pochissimi: figuriamo le insormontabili difficoltà che si incontrano quando si parla di un'associazione mafiosa laddove la mafia stricto sensu non esiste. Si tratta di un problema normativo che consente, per esempio, a Michele Zaza di vivere sulla Costa azzurra. E' evidente che l'"uomo d'onore" palermitano, lo "sgarrista" napoletano, il "mammasantissima" calabrese, possono essere perseguiti per le loro appartenenze soltanto in Italia; d'altra parte, se essi collocano il loro raggio d'azione in territori lontani dalla regione d'origine, non sono molti gli strumenti investigativi che le autorità italiane possono mettere in campo per supportare un'eventuale richiesta di estradizione. Quando poi si considera che l'emigrazione dei mafiosi è in certo senso favorita dalla penetrante azione nello Stato, ci troviamo quasi a doverci assumere la responsabilità di questo esodo verso quelle aree dove, per facilità di mimetizzazione o per l'esistenza di normative meno rigorose, si insediano gruppi di criminali che con il passare del tempo, da un lato, attenuano il legame con la terra d'origine, mentre dall'altro lato vengono spinti dalle peculiarità delle loro attività criminali a contatti e ad alleanze con la criminalità di altri paesi. Questa prevedibile conseguenza dell'azione repressiva esercitata nelle regioni meridionali è riscontrabile anche nell'attività di prevenzione, soprattutto in materia di misure patrimoniali. Ho già avuto modo di sottolineare l'imponente quantità di beni sequestrati nel secondo semestre dello scorso anno, ma quando non esistono similari misure cautelative, quando la circolazione dei capitali non può essere limitata, quando Pag. 897 esistono relazioni intessute con similari gruppi delinquenziali europei e di altri continenti, si favoriscono di fatto le transazioni economiche finalizzate al riciclaggio di denaro sporco e la sistemazione dei profitti illeciti nei circuiti internazionali. Non intendo riferirmi ai cosiddetti "paradisi fiscali" ma a tutti quei paesi in cui è consentita l'intestazione fiduciaria e dove il sequestro e la confisca possono essere effettuati solo a carico del responsabile di un reato, e non di un suo prestanome. I particolari aspetti che ho evidenziato richiedono esclusivamente interventi legislativi: pertanto, è da auspicare che la cooperazione internazionale sia non soltanto a livello esecutivo ma anche a livello parlamentare. Al riguardo, desidero ringraziare il presidente Violante ed i membri di questa Commissione parlamentare per l'impulso che stanno dando proprio in tale direzione. Vorrei inoltre ancora ribadire che una corretta strategia antimafia deve vedere adeguatamente bilanciate l'azione a livello nazionale con quella a livello internazionale, in quanto il rallentamento delle attività delinquenziali sul fronte interno, determinato da valide misure di contrasto, ne causa la crescita in aree più favorevoli, ottenendo come effetto solo una modificazione, forse anche di natura strutturale, delle organizzazioni mafiose italiane, senza però favorirne l'effettivo sradicamento. La mia relazione è abbastanza lunga, ma desideravo fornire alcune utili indicazioni; aggiungo ad essa alcuni dati, che consegno alla Commissione, riguardanti l'elenco dei beni sequestrati nel 1992 ai sensi della specifica normativa, in Sicilia, Calabria e così via, con l'indicazione delle diverse famiglie. Ultimamente, sono stati effettuati i sequestri dei beni dei familiari di Salvatore Riina. Altri dati riguardano ancora pericolosi ricercati estradati, le operazioni di rilievo sviluppate al 31 gennaio 93 dalla polizia di Stato in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Resta da affrontare l'argomento relativo al coordinamento delle forze di polizia: desidero al riguardo richiamare integralmente la mia relazione del 26 gennaio 1993 dinanzi alla Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica, di cui consegno copia alla vostra Commissione. In ordine al quesito specifico, relativo soprattutto al coordinamento fra le forze di polizia ed all'istituzione del segretariato generale, presento la relazione citata e desidero chiarire in estrema sintesi i concetti più pregnanti ivi contenuti, che riguardano la riconducibilità dell'attività di coordinamento a due specifici parametri di riferimento concernenti, il primo, l'azione investigativa della polizia giudiziaria e, il secondo, i compiti di polizia amministrativa, di sicurezza e di tutela dell'ordine pubblico. Quanto al primo di essi, le investigazioni condotte dalla polizia giudiziaria, anche nell'ambito delle più ampie capacità giuridiche ad essa recentemente riconosciute, sono svolte spesso su delega dell'autorità giudiziaria, e comunque sempre sotto la direzione di quest'ultima, in un quadro che rivela importanti progressi, sia nei migliori risultati conseguiti sul piano preventivo, con il contenimento del crimine e la riduzione delle necessità di intervento da parte della magistratura, sia nelle ricercate sinergie istituzionali. In particolare: sezioni di polizia giudiziaria interforze; utilizzazione congiunta dei contributi investigativi delle tre principali forze di polizia; nuclei interforze, costituiti dal ministro dell'interno per le indagini sui sequestri di persona; composizione interforze della DIA, anche nel reparto investigazioni giudiziarie; stretta collaborazione della DIA e dei servizi specializzati di polizia, carabinieri e Guardia di finanza, sotto la direzione del procuratore nazionale antimafia; definizione del criterio generale di "priorità investigativa", volto a riconoscere la conduzione delle indagini all'organo di polizia che abbia svolto i primi atti sul reato, fermo restando l'apporto dei contributi informativi in possesso delle altre forze. Con riguardo alla polizia amministrativa, di sicurezza e di tutela dell'ordine Pag. 898 pubblico, l'azione di coordinamento è dispiegata, secondo le direttive del ministro dell'interno, dal dipartimento della pubblica sicurezza nei confronti sia delle forze a competenza generale (polizia e carabinieri, forti di un potenziale umano assolutamente interno alle medie europee) sia per le forze a competenza specifica (Guardia di finanza, polizia penitenziaria, corpo forestale dello Stato) nell'ambito dei rispettivi compiti istituzionali. Densa di realizzazioni è l'attività posta in essere dal dipartimento: rete integrata di telecomunicazioni delle forze di polizia, informatica interforze basata sul CED del dipartimento, con 6.363 terminali già installati, sviluppo di apparati di interconnessione delle diverse sale operative, piani di potenziamento straordinario, sviluppati a partire dal 1982; piani comuni di potenziamento organico. Meritano altresì specifica menzione sia la feconda collaborazione internazionale promossa e realizzata dal dipartimento (nel quadro dell'accordo di Schengen, del progetto Europol e degli impegni bi o plurilaterali volti al contrasto dei traffici di droga), sia la sempre più diffusa articolazione e vocazione interforze delle strutture del dipartimento (ufficio di coordinamento, direzione centrale dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale, direzione centrale dei servizi antidroga, servizio centrale di protezione dei "collaboranti" con la giustizia, servizio Interpol, direzione investigativa antimafia. La pregnanza dell'attività di coordinamento sviluppata sul territorio dalle autorità di pubblica sicurezza si evidenzia laddove il quadro istituzionale preesistente ha trovato più compiuta e funzionale connotazione per effetto delle deleghe concesse a suo tempo dal ministro dell'interno Scotti e prorogate dal ministro Mancino, per specifici e definiti ambiti di operatività, in sede di capoluogo di regione e di provincia, ai prefetti, al direttore generale della pubblica sicurezza, al direttore della DIA ed al prefetto vicedirettore generale della pubblica sicurezza e direttore centrale della polizia criminale. Si sottolinea inoltre la particolare valenza rivestita dalla direttiva emanata dal ministro dell'interno, su conforme parere del Consiglio generale per la lotta alla criminalità, tendente ad indirizzare per il futuro la ripartizione sul territorio delle forze di polizia, al fine di evitare duplicazioni, rispettando secondo le tradizioni l'insediamento della polizia (nelle città e nelle cittadine maggiori) e dei carabinieri (attraverso una presenza più capillare, nel maggior numero possibile dei comuni). Desidero conclusivamente confermare il mio auspicio per un ulteriore sviluppo della funzione di coordinamento, in vista di un dipartimento sede dei "servizi centrali comuni" delle forze di polizia, salvaguardando le esigenze funzionali primarie di attuazione ed elaborazione di direttive primarie, per un verso, e di direzione ed amministrazione della polizia di Stato, per altro verso. Ulteriori valutazioni in ordine all'opportunità di sottolineare la posizione di terzietà della funzione di direzione generale della pubblica sicurezza, rispetto a quella di direzione della polizia di Stato, sono di esclusiva competenza dell'autorità politica, che non mancherà di individuare le soluzioni più appropriate per la migliore funzionalità del comparto, nell'esclusivo interesse dei cittadini, della società e del paese. PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Parisi per il quadro estremamente vasto che ci ha disegnato ed invito i colleghi a rivolgere richieste di chiarimento estremamente sintetiche, per un massimo di due minuti. Avverto che la documentazione prodotta dal prefetto Parisi verrà pubblicata nell'edizione definitiva del resoconto stenografico della seduta odierna. MASSIMO BRUTTI. Vorrei chiedere al prefetto Parisi qualche chiarimento sulla vicenda del dottor Contrada e sui suoi rapporti con il prefetto De Francesco. Se ho ben capito nel settembre dal 1982 il dottor Contrada passa al SISDE, Pag. 899 diventando contemporaneamente capo di gabinetto del dottor De Francesco. Le chiedo: perché il dottor Contrada passa al SISDE se diventa capo di gabinetto dell'alto commissario? C'è una specificità in questo, oppure il dottor Contrada passa al SISDE soltanto perché il dottor De Francesco era, in quella fase, contemporaneamente alto commissario e capo del SISDE? Inoltre, vorrei avere dal prefetto Parisi un chiarimento sulla vicenda che ha qui analiticamente rievocato, quella relativa all'aggressione di Villalba. Nella narrazione fatta dal capo della polizia scorgo alcuni aspetti che si allontanano dal racconto di quella vicenda contenuta in una lettera riservata personale del prefetto De Francesco al ministro dell'interno, a seguito di alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa dal dottor Contrada, in cui il dottor Immordino riteneva di essere denigrato. Si era concluso con un'archiviazione, con un proscioglimento istruttorio, un procedimento penale avviato nei confronti del dottor Immordino. Contrada fa una dichiarazione che Immordino ritiene denigratoria. Quest'ultimo scrive a De Francesco, il quale a sua volta scrive al ministro una lettera che non esito a definire piena di una lunga serie di velenose insinuazioni. In questo ambito, tra l'altro, si racconta la vicenda di Villalba con cose diverse da quelle che ci ha detto oggi il prefetto Parisi: anzitutto che in quella giornata si sarebbe svolto uno scontro tra elementi mafiosi ed elementi comunisti; in secondo luogo che il dottor Immordino era, all'epoca, segretario della sezione del partito comunista di Villalba. Un aspetto, quest'ultimo, che a me, per tradizione orale, per racconto fatto da anziani militanti (anche se posso essere in possesso di notizie lacunose o sbagliate) risulta non vero. In ogni caso la storia rappresentataci qui dal prefetto Parisi si distacca da quella raccontata con dovizia di aggettivi negativi riferiti al dottor Immordino. A me è parso, invece, che il dottor Finocchiaro e lo stesso ministro dell'interno indulgessero alquanto in una interpretazione dei fatti che riprendeva quelle tesi contenute nella lettera, del 16 maggio 1984, di De Francesco. Vorrei infine rivolgere al prefetto Parisi altri due quesiti. Nel 1992 è cambiato qualcosa nella ricerca dei latitanti: ebbene - le chiedo - ciò è derivato da un mutamento di indirizzo? Quanto alla vicenda di Amendolito, è possibile dire che questi sia un imbroglione che racconta frottole oppure un depistatore pilotato? VITO RIGGIO. Dal prefetto Parisi desiderei avere una precisazione in ordine ad un'affermazione che ha fatto la volta scorsa, relativamente alla circostanza, che emerge dall'esame del curriculum, secondo la quale il 13 agosto 1985 il dottor Contrada sarebbe stato collocato fuori ruolo e sarebbe tornato al SISDE. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. No, il 31 dicembre 1985! Quella è l'unica data valida, diversamente si è trattato di un lapsus. VITO RIGGIO. La volta scorsa lei disse che si era creata una situazione di pericolo e di rischio. In proposito lei ci può dare elementi più precisi? ALTERO MATTEOLI. Da quanto ci è stato detto risulta che il dottor Contrada sarebbe rientrato in amministrazione il 13 agosto 1985... VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Chiedo scusa ma il riferimento a quella data riguarda la posizione giuridica. In proposito vorrei subito chiarire che il dottor Contrada viene prima trasferito nei quadri della Presidenza del Consiglio, incardinandosi in via permanente in un servizio di informazione (per l'appunto il SISDE); ad un certo punto rientra in amministrazione, ma sotto il profilo meramente cartolare; ottiene poi la ricostruzione di carriera in applicazione di specifiche normative dei servizi, consegue la promozione e l'inquadramento a dirigente Pag. 900 superiore con retrodatazione e con la ricostruzione della carriera; viene riassegnato, in quella stessa veste, al SISDE dal quale tuttavia non si era mai allontanato. Il funzionario è sempre rimasto al SISDE, come possono attestare tutti coloro che conoscono la normativa. E questi non è stato il solo funzionario! Vi è stato infatti un momento in cui molti funzionari hanno avuto la tentazione di stabilizzarsi e radicarsi. Successivamente, visti i vantaggi che potevano avere con il rientro in amministrazione, sono tornati, hanno conseguito i benefici dell'inquadramento, perdendo però quelli che avrebbero avuto (di stato ed economici particolarmente favorevoli) se fossero rimasti incardinati esclusivamente nel servizio. La data di effettivo rientro al SISDE dall'ufficio di Alto commissario è il 31 dicembre 1985, mentre la data della effettiva "restituzione" alla polizia è il 2 gennaio di quest'anno, giorno in cui è intervenuto il provvedimento di sospensione. VITO RIGGIO. Le rivolgo allora la stessa domanda fatta la volta scorsa, quella cioè relativa al tipo di rischio. LUIGI BISCARDI. Anch'io ringrazio il prefetto Parisi per la documentazione che ci ha fornito. La volta scorsa avevo formulato una domanda sulla progressione di carriera del dottor Contrada. Fino al momento della promozione a dirigente superiore tutto rientra nella ricostruzione di carriera in base all'anzianità, con la retrodatazione al momento della vacanza del posto, secondo quanto previsto dalla legge n. 748 che riguarda la nomina dei dirigenti superiori. Il problema rimane quello della nomina a dirigente generale, in quanto essa, sulla base della suddetta legge n. 748, su proposta del ministro, sentito il Presidente del Consiglio, deve essere approvata dal Consiglio dei ministri. Se non erro, questa è la procedura prevista per la nomina dei dirigenti generali. Si potrebbe anche dire che ormai in Italia la nomina dei dirigenti generali è una delle cose più "leggere" dell'amministrazione pubblica, ma in un settore di così vitale importanza non poteva sfuggire un dato di fatto, quello delle relazioni del prefetto De Francesco, che, per la verità, signor prefetto, almeno per chi conosce l'amministrazione pubblica, non rappresentano un fatto molto usuale. Dalla sua relazione appare che ciò rientrerebbe nella prassi dell'amministrazione, ma per quanto è a mia conoscenza non è così. Le relazioni del prefetto De Francesco sono l'unico aspetto elogiativo della carriera del dottor Contrada, in correlazione con la questione del dottor Immordino. Nel 1991 nella relazione al Consiglio dei ministri (non ricordo chi, all'epoca, fosse il ministro competente) erano riportati due fatti che andavano ben bilanciati. Un fatto positivo, evidenziato in forma non usuale dal prefetto de Francesco, un altro che proveniva da una situazione accertata dalla magistratura: il caso Immordino. Questo passaggio del dottor Contrada da dirigente superiore a dirigente generale non risulta, per la verità, molto limpido. Il fatto poi che prima di Contrada fossero stati nominati anche funzionari con una minore anzianità non significa nulla perché la nomina a dirigente generale non avviene in base all'anzianità ma in base ai criteri previsti dalla legge n. 748. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Anzitutto vorrei fornire un chiarimento al senatore Brutti relativamente alla coincidenza e alla contemporaneità della chiamata del dottor Contrada al SISDE per il conferimento dell'incarico di capo di gabinetto. Con la documentazione e il curriculum che ho esibito, la Commissione ha le stesse cognizioni del ministero dell'interno. Dai documenti si rileva che è antecedente di qualche mese la chiamata del dottor Contrada al SISDE da parte del prefetto De Francesco, il quale quando divenne alto commissario lo insediò come suo capo di gabinetto. Pag. 901 Ho avuto modo di rilevare che esisteva un consolidato rapporto di fiducia tra il prefetto De Francesco e il dottor Contrada. A proposito della progressione di carriera vorrei rilevare come quest'ultima sia assolutamente normale: non c'è stato un tempo che sia stato accelerato. Si tratta cioè di tempi fisiologici. Si possono esaminare en pendant il curriculum di Contrada e quello di Immordino. Essi raggiungono il livello di dirigente generale in termini pressoché identici: intorno ai 33-34 anni, anno più anno meno. C'è poi da considerare che le nomine a dirigente generale per coloro che sono fuori ruolo risultano agevolate dal fatto che non incidono sulle disponibilità dei posti in organico. Infatti, l'amministrazione promuovendo in posizione di fuori ruolo non fa torto ad alcuno di coloro che sono nell'organico. L'atto promozionale è naturalmente un atto politico. Quando si parla di nomine a dirigente generale si parla evidentemente di atti politici. In presenza di un curriculum come quello esibito e documentato, e a disposizione della Commissione, risulta non innaturale che un ministro, di fronte appunto a quel curriculum e a quell'anzianità, abbia potuto formulare la proposta di nomina a dirigente generale. Di patologie di progressione di carriera francamente non ne ho rilevate! Debbo poi aggiungere che per quanto riguarda l'episodio di Villalba, riferisco quanto mi risulta con la stessa puntualità che ho avuto nel riferire su Contrada e su Immordino, il quale è un questore come Contrada. Io ho lo stesso dovere istituzionale di tutela verso un collega, per di più defunto; sarebbe veramente il colmo se mi scatenassi insultando ed accusando una persona che dagli atti risulta parte lesa e non incriminato di alcunché. Vorrei aggiungere che non ho alcuna volontà di fare polemica, dovendo io riferire esclusivamente su dati obiettivi e non su altro. Vi è poi il problema della ricerca dei latitanti, che è stato sempre in evidenza. Tuttavia per la cultura della ricerca è accaduto come per la cultura della ricerca sui patrimoni. Nella mia funzione io mi sono tanto sgolato al riguardo: vorrei che un giorno vi arrivassero, essendo stati tutti raccolti in volumi per anno di attività, i miei interventi istituzionali, che mettono in evidenza quale impegno sia stato profuso in tutte queste direzioni. Purtroppo, però, vi è il passaggio dalla predicazione alla attuazione. Non è che questo passaggio sia così rapido: prima di vedere risultati concreti, completi, veramente consistenti c'è voluto del tempo. Infatti c'è anzitutto un problema di professionalizzazione e poi un problema di persuasione circa il fatto che certe cose vadano fatte e siano prioritarie. PRESIDENTE. Prefetto, c'è un punto relativo a questo aspetto che credo interessi la Commissione. Nella visita che abbiamo effettuato in Puglia (il collega Cabras potrà dire se lo stesso risulta da quella compiuta in Calabria), abbiamo rilevato una qualità media di prefetti e questori veramente molto elevata. Siamo lieti di ciò e vogliamo dargliene atto anche perché a questo è corrisposto un mutamento qualitativo della risposta, in quanto nel 1992 si sono registrati risultati di notevole rilievo. Mi pare che il senatore Brutti - se non ho compreso male la domanda (questo aspetto interessa il nostro lavoro) - abbia posto la seguente questione: nel 1992 vi è stato anche un mutamento di indirizzo politico che ha reso il tutto più efficace, fatto questo che non possiamo che acquisire come dato positivo? VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Certamente! Ma non che vi fosse un orientamento... PRESIDENTE. Non è che prima non ci fosse... VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Diciamo che è stato dato un impulso particolare. Pag. 902 PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo: ricordo che alcuni parti politiche avevano proposto in Parlamento già tre o quattro anni fa la costituzione di nuclei specializzati per la cattura di latitanti, ma questa proposta era sempre stata respinta. Ad un certo punto, essa è stata fatta propria da uno dei Consigli generali presieduti dal ministro Scotti. Questo già segna un mutamento dal prima al dopo. Vi è stato un mutamento di indirizzo che ha reso possibile questo dispiegamento di forze? VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Diciamo che vi è stata una attenzione diretta anche da parte dell'autorità politica, sempre più pressante, questo è fuori di dubbio. Tutto questo ha certamente giovato, perché ha mobilitato di più. Ed hanno giovato anche un miglior coordinamento tra i responsabili delle forze dell'ordine ed una migliore divisione del lavoro. Vi è stata la realizzazione della pubblicazione che ho consegnato, di cui mi permetterò di farle pervenire una copia, nel testo precedente ed in quello aggiornato, perché la Commissione possa avere cognizione dell'impianto secondo il quale si opera. Per quanto riguarda l'ulteriore domanda su Amendolito, devo dire che si tratta di un personaggio composito. Preferirei che la Commissione leggesse gli atti e poi, eventualmente, approfondisse il problema acquisendo tutto ciò che vi è presso i vari uffici delle varie istituzioni italiane. Al momento sono un po' in difficoltà a fornire ulteriori elementi. ENZO BOSO. Mi rifaccio a due domande scritte del collega Borghezio e ad alcuni pensieri personali. Chiedo al dottor Parisi di dare chiarimenti su alcuni aspetti. Vi è la richiesta di un'indagine fatta dall'allora ministro ed attuale Presidente della Repubblica, Scàlfaro circa alcuni accostamenti avvenuti tra il dottor Contrada e Tano Badalamenti. Si deve rivolgere tutta l'attenzione ad un'altra realtà, quella che prima il dottor Parisi ha ricordato. Dobbiamo però pensare che questo Contrada era presente in Sicilia quando ebbe lo screzio con un suo collega e fu interessato da una sentenza del giudice Falcone. Contrada viene poi trasferito da Palermo a Roma, da dove, assegnato ad altro servizio, viene nuovamente inviato a Palermo dove si erano verificati i contrasti in seno alla questura ed ai servizi ivi operanti. Questo superpoliziotto, che avrebbe dovuto garantirci, è presente a Palermo ma non riesce a salvare la vita del generale Dalla Chiesa, non riesce a garantire la vita del giudice Falcone né quella del giudice Borsellino. Guarda caso, però, nel momento stesso in cui questo superpoliziotto viene allontanato dai servizi per accertamenti l'Arma dei carabinieri cattura Totò Riina. Mi chiedo allora, dottor Parisi, se in occasione della richiesta di indagine dell'allora ministro Scàlfaro abbiate dato o meno conoscenza di questi accertamenti: il ministro infatti dispose un'inchiesta amministrativa "al fine di acclarare le ragioni della mancanza di riferimenti documentali su quanto denunciato dalla signoria vostra e di accertare le relative responsabilità". Desidero sapere quali siano i risultati dell'inchiesta Scàlfaro; quali coinvolgimenti oggettivi risultarono, in relazione a quanto sopra esposto, a carico del dottor Bruno Contrada; per quali motivi di tutta questa vicenda non sia stata fornita finora adeguata e completa documentazione alla Commissione antimafia. Se poi ci occupiamo di particolari accertamenti relativamente ai latitanti, le posso dire che già da 27 o 28 anni presso i servizi di frontiera esiste una rubrica e che i comandi di stazione dei carabinieri... PRESIDENTE. Credo che queste cose siano note al prefetto! Se vuole porre la domanda... ENZO BOSO. Faccio la domanda! Ci sono i bollettini di ricerca, ma le foto risultano sempre indecifrabili. Pag. 903 Chiedo un'altra spiegazione, visto che si parla di massoneria e di mafia, sul perché Gelli, che avrebbe dovuto morire, 90 giorni dopo il suo rilascio appare pimpante in alcune interviste televisive. Signori miei, vogliamo andare a cercare queste responsabilità? Volete dirci chi sono stati i giudici che hanno concesso queste libertà, chi sono stati i medici responsabili, visto che quell'uomo doveva avere un carcinoma mortale? Vi chiedo: che garanzie ci date dal Ministero dell'interno? O vi fanno comodo i funerali di Stato? Non si tratta di numeri di matricola, ma di padri di famiglia! Vi chiedo per cortesia di raccontarci la verità, perché, se veramente dovesse nascere qualche dubbio sul vostro operato e sulla vostra informazione, si dovrebbe chiedere pubblicamente lo scioglimento del SISDE! E' opportuno che siate chiamati veramente a rispondere del vostro operato di fronte al popolo, di fronte alla nazione, dottor Parisi, perché sento troppi, troppi racconti romanzeschi! ALDO DE MATTEO. Dottor Parisi, ottenuta una risposta circa la positività dell'anno 1992, voglio dire che si tratta di un argomento che certamente ritornerà. Tra l'altro ho avuto la possibilità di notare che anche le missioni all'estero sono aumentate nel 1992. Questo ed altri elementi danno l'idea di una nuova organizzazione che ha portato risultati positivi. Vorrei approfittare dell'occasione per effettuare una segnalazione circa un aspetto che ho potuto riscontrare durante la recente visita in Calabria sotto la guida del vicepresidente Cabras. Tale segnalazione riguarda uno dei sequestri cui lei ha fatto riferimento anche nella relazione di questo pomeriggio, quello di Briatico ai danni di Conocchiella. Ebbene, ho riportato un'impressione tutta personale in particolare in seguito all'incontro con il procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, dottor Scrivo, apprendendo che le indagini non si possono dire rallentate, ma ferme ed inesistenti in questa fase, nonostante che dai colloqui con alcuni magistrati e in particolare con il presidente del tribunale siano emerse una serie di ipotesi nuove rispetto a possibili moventi del sequestro. Voglio segnalare questa impressione che ho riportato. Vorrei infine sapere se il SIS (servizio di informazione previsto dagli accordi di Schengen) sia stato realmente attivato o si trovi nella fase della prima organizzazione. ALTERO MATTEOLI. Signor prefetto, rispondendo alle domande dei colleghi Brutti e Viscardi, lei ha avuto modo di riferire sulla vicenda Contrada in modo da evitare la domanda che avrei voluto porle e che ora le rivolgo in maniera diversa. La nomina di Contrada a dirigente generale presenta, a seconda dei punti di vista, meriti o responsabilità politiche. A me sembra di aver capito questo. Inoltre, signor prefetto, la ringrazio per aver fatto oggi, attraverso un profluvio di parole, un quadro abbastanza preciso, ma, come sempre avviene quando si danno risposte dettagliate al massimo, si va incontro ad alcune contraddizioni, che ho rilevato e che mi fanno tornare al discorso dell'odierna efficienza delle autorità di polizia, visti i risultati eccellenti del 1992. Purtroppo durante il 1992 vi sono stati buoni risultati per quanto concerne le catture, ma anche efferati crimini. La domanda: lei ha detto che le ricerche sono state effettuate anche nei giorni di festa, quasi a voler dire che a Natale fino ad ora non si effettuavano interventi - rivolgo la domanda terra terra per farmi comprendere - mentre ora si lavora anche in occasione delle feste comandate. Ora, rispetto al risultato ottenuto lei ha già risposto, ma vorrei puntualizzare un aspetto per noi estremamente importante: ciò è dovuto alla nuova legislazione di cui le forze dell'ordine dispongono ad una diversa preparazione degli uomini o ad una accresciuta sensibilizzazione? Che Pag. 904 cosa è insomma accaduto perché si arrivasse a tali risultati? Le rivolgo un'ultima domanda, sempre riguardante Contrada, alla quale non so se potrà dare risposta. Rivolgo la domanda anche a nome di altri colleghi che hanno lasciato l'aula della Commissione essendo in corso votazioni in Assemblea: le risulta che le competenti procure distrettuali abbiano attivato procedimenti inquirenti nei confronti di altri soggetti cui abbia fatto riferimento il pentito che ha chiamato in causa il dottor Contrada? Un pentito, quando ha chiamato in causa il dottor Contrada, ha fatto anche altri nomi; risulta tra l'altro che si sia trattato anche di nomi di alcuni magistrati. Si è proceduto; sono stati attivati procedimenti in tale direzione? ALFREDO GALASSO. Desidero innanzitutto fare un rilievo di carattere generale per poi porre due domande al prefetto Parisi. Non pare soddisfacente il quadro prospettato sia dal ministro dell'interno sia dal capo della polizia in relazione al fatto che ad un certo punto, non si sa bene come e perché, l'indirizzo politico e l'azione investigativa hanno raggiunto un livello elevatissimo. Tale spiegazione non mi convince del tutto e penso al futuro; infatti una spiegazione così semplicistica, che esclude la possibilità di comprendere cosa sia accaduto in questi lunghi e tragici anni, non è una buona garanzia per il futuro. Vorrei fare due esempi che in effetti sono due domande. Il caso Contrada è discusso nell'opinione pubblica ed all'interno delle istituzioni da molti anni e non riguarda soltanto la persona di Bruno Contrada, bensì un sempre strisciante, pendente, mai risolto inquinamento della questura di Palermo. Bruno Contrada non è una pecora nera che si scopre tale per l'iniziativa di alcuni magistrati che cercano di appurare se sia veramente una pecora nera, oppure una pecora bianca dipinta di nero. Vi è un problema presente da anni nella questura di Palermo. Prefetto Parisi, si è scavato a sufficienza, al di là delle responsabilità penali che ci interessano fino ad un certo punto, per comprendere che grumo di inquinamento, di possibile corruzione vi è stato in questi anni e che rapporto c'è tra tutto questo e la debolezza dell'azione investigativa? Il secondo esempio concerne la cattura di Totò Riina a Palermo. Egli (come si afferma da più parti) ha goduto di protezioni politiche e degli apparati dello Stato, ossia della polizia e della magistratura. Totò Riina non può essere d'improvviso catturato solo perché si è elevata l'azione investigativa e si è costituito il nucleo latitanti; in questo caso dovrei domandarmi perché tutto ciò non si è fatto prima. Se vi sono stati elementi di collegamento, di corruzione, di inquinamento, di rapporti non chiari, torbidi tra questo personaggio vertice di Cosa nostra e alcuni personaggi della politica e delle istituzioni, la risposta di carattere generale che si dà è insufficiente, lacunosa, lascia un buio retrostante che impedisce di illuminare la prospettiva. Questo mi pare sia il punto da approfondire. Sarà poi la magistratura ad appurare se esistano, ed in che termini, responsabilità di ordine penale. Per una persona come il prefetto Parisi, dotata di straordinaria esperienza, credo che questi elementi siano noti, per cui non gli sarà difficile fornirci elementi di chiarificazione. SAVERIO D'AMELIO. Ringrazio il prefetto Parisi per la sua ampia ed esauriente relazione. Vorrei porgli una sola domanda concernente il famoso anonimo il quale l'estate scorsa faceva riferimento e cadenzava, per certi aspetti, i tempi di cattura di Riina. Vorrei sapere dal prefetto Parisi se siano state promosse inchieste e condotte indagini su questo personaggio ed a quali conclusioni si è pervenuti. UMBERTO CAPUZZO. Esprimo vivo apprezzamento per la relazione così completa e ricca di dati anche scientifici del prefetto Parisi. Vorrei rifarmi alle questioni sollevate dall'onorevole Galasso in merito al caso Pag. 905 Riina per porre una domanda di carattere tecnico concernente il controllo del territorio. Vorrei in pratica sapere se non sia giunto il momento (tenendo conto che questo signore aveva il suo covo in un appezzamento di terreno a conduzione rurale al centro di Palermo) di concepire il controllo del territorio con una visione globale. Non si tratta solo di "gazzelle" e "pantere" che pattuglino le strade per controllare ciò che accade nel territorio. Com'è possibile che in pieno centro di Palermo un appezzamento di terreno di tanto valore sia passato inosservato? Spesse volte quando passavo davanti a quel terreno mi domandavo come mai non fosse stato oggetto di speculazione edilizia. Probabilmente il controllo del territorio deve essere visto in maniera più completa, mettendo in moto tutti i meccanismi per contrastare il degrado cittadino e la criminalità di vario tipo presente in quasi tutto il paese. Occorrerebbe indagare sulle aree abbandonate scoprendone i proprietari, nonché sui numerosi stabili chiusi, che vengono sistematicamente occupati da extracomunitari o da gente di malaffare, purtroppo mai ispezionati. Ovviamente il controllo del territorio non è di sola spettanza della polizia ma investe anche altre autorità dello Stato. La seconda domanda che intendo rivolgere al prefetto Parisi riveste un carattere strategico. Il capo della polizia ha parlato di una linea di tendenza del fenomeno mafioso assai interessante, ossia la progressiva marginalizzazione della mafia nazionale a vantaggio di quella internazionale. Cosa significa ciò in termini operativi? Quali effetti ciò potrà avere sulla struttura delle forze dell'ordine? Se tende a prevalere la criminalità del cosiddetto colletto bianco, allora la centralità delle forze tipiche che combattono la mafia (carabinieri e polizia di Stato) non potrebbe essere in qualche modo influenzata da una componente (mi riferisco alla Guardia di finanza) specialistica? Occorre forse rivedere la preparazione di tutte le forze dell'ordine? Vorrei in pratica avere qualche idea in ordine al diverso peso e ruolo che forse esse dovranno assumere. Infine vi è il problema dei latitanti. Mi sembra di aver capito che siamo ancora fermi al bollettino di ricerca che tale era nel 1887. In esso sono contenute fotografie non sempre somiglianti con i ricercati (faceva riferimento a ciò il senatore Boso), per cui vorrei sapere se con l'apporto delle moderne tecnologie non sia possibile aggiornare le fisionomie dei latitanti. In altri termini penso che sia finito il tempo di questo bollettino che dovrà essere sostituito con strumenti più moderni. Si è parlato infine di sedi all'estero. Molte di esse non sono della polizia, bensì del SISDE. Vi sono motivi di contrasto al riguardo, oppure si è realizzato una sorta di coordinamento, sicché le due strutture possono operare senza reciproci condizionamenti ed in piena collaborazione? GIROLAMO TRIPODI. Nonostante le immediate prese di posizione assunte in difesa di Contrada, non mi sembra che si sia fatta piena luce sul caso. La nostra Commissione non è stata infatti messa nelle condizioni di esaminare tutti i dettagli della questione. Le vicende legate all'eccezionale professionalità di questo funzionario, la sua nomina a capo di gabinetto del dottor De Francesco in contemporanea al suo incarico al SISDE, nonché il tentativo di ribaltare le sue responsabilità denigrando il defunto questore Immordino (oggi si è scoperto che quest'ultimo fin dal 1944 era impegnato nella lotta alla mafia), non lo fanno certo ben apparire. Ritengo che tutti gli interrogativi rimangano e che non siano stati chiariti i vari aspetti della questione. La mia domanda è la seguente: si vuole andare sino in fondo o no? E' stata promossa da parte della direzione di polizia un'indagine per accertare ciò che è avvenuto a Palermo, per far luce sugli omicidi dei commissari Cassarà e Montana? La situazione rimane a mio giudizio ancora ingarbugliata, per cui occorrerà indagare fino in fondo. Pag. 906 Per quanto riguarda i sequestrati ancora in mano di Cosa nostra, vorrei rilevare che a dicembre del 1991 è stato comunicato ai familiari del dottor Malgeri residente a Siderno, provincia di Reggio Calabria, l'imminente rilascio del congiunto. La notizia è stata trasmessa anche dalla televisione, la quale ha citato come fonte ambienti del Ministero dell'interno. Vorremmo pertanto sapere per quale motivo la liberazione di questo professionista non sia ancora avvenuta. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Potrebbe indicarmi la data in cui sarebbe stata diramata questa notizia? GIROLAMO TRIPODI. Alla vigilia delle festività natalizie del 1991. Per quanto riguarda l'impegno profuso nella lotta alla criminalità e la cattura dei latitanti ci sono novità molto importanti. E' di oggi la notizia secondo la quale il covo di Riina si trovava in un residence a Palermo. I positivi risultati conseguiti sono dovuti ad una maggiore coscienza del problema, ad un adeguamento delle capacità tecniche, oppure in passato non c'è stata la volontà di procedere in maniera incisiva? E' noto che molto spesso i latitanti continuano a vivere nelle loro case e a passeggiare nei paesi di residenza. Vorrei avere qualche notizia circa la costituzione di nuclei specializzati e la loro distribuzione sul territorio. Nella provincia di Reggio Calabria siamo a conoscenza della presenza di alcuni latitanti tra cui Imerti particolarmente feroce e pericoloso. Per concludere vorrei conoscere il pensiero del prefetto Parisi in ordine ai rapporti tra la polizia di Stato, i carabinieri e la Guardia di finanza ed i reparti della DIA, considerando che spesso vi sono rapporti di diffidenza ed elementi di confusione nello svolgimento delle specifiche attività investigative. ACHILLE CUTRERA. Vorrei porre un'ulteriore domanda sul caso Contrada in ordine al quale probabilmente si impone una serie di ulteriori riflessioni. Dalle date riferite nella relazione rilevo che nel 1982 Contrada è stato assegnato al SISDE mentre era contemporaneamente capo gabinetto nell'ufficio dell'Alto commissario De Francesco. Nel 1982 avviene l'omicidio Dalla Chiesa e, se non ricordo male, nel 1983 l'omicidio del giudice Rocco Chinnici. C'è un episodio, che ha suscitato in me profonda impressione, sul quale richiamo la sua attenzione. Ricordo che questo omicidio fu preannunciato alle forze del SISDE, prima al dottor Contrada e poi al dottor De Luca. Dell'omicidio Chinnici fu dato preavviso a Contrada, che ritenne di non doversi occupare dell'argomento perché la fonte da cui proveniva forse non era attendibile. Lo stesso preavviso fu rivolto a De Luca ma anche quest'ultimo ritenne che la fonte non era attendibile. Preciso che a De Luca venne descritta la modalità con la quale l'omicidio sarebbe stato compiuto; cioè, la caratteristica "libanese" dell'attentato. "Credo che questa sia stata una delle omissioni più gravi immaginabili, dal momento che la segnalazione venne fatta tempestivamente a due responsabili del servizio di sicurezza, prevedendo addirittura le modalità d'azione. La notizia fu riferita anche al prefetto De Francesco, ma tutti dissero che si trattava di notizie non raccoglibili. Sono fermamente convinto che il SISDE avrebbe dovuto occuparsi comunque delle segnalazioni pervenute. Vorrei qualche notizia al riguardo perché il caso Chinnici mi ha violentemente colpito; ho letto molti interventi di questo giudice ed insieme a lui ho partecipato ad un convegno di studi svoltosi a Messina. Ricordo la grande preparazione di Rocco Chinnici che considero una delle figure più importanti nella lotta alla mafia. Vorrei capire come di fronte ad un'omissione di questo genere Contrada abbia potuto percorrere una carriera come quella che lei ha descritto, pur non Pag. 907 rilevando il fatto da me ricordato sul piano penale ma su quello disciplinare. Non credo che nel 1992 fosse possibile stilare note di merito come quelle redatte da De Francesco in presenza di un episodio così grave di negligenza che sicuramente è stato compiuto in buona fede ma che altrettanto sicuramente costituisce elemento di violazione dei doveri di investigazione preventiva se il fatto, così come l'ho ricordato, è esatto. CARLO D'AMATO. Ribadisco il mio apprezzamento al prefetto Parisi per la relazione svolta nella scorsa audizione e per le risposte fornite, invertendo una modalità di approccio alle domande a dimostrazione di una disponibilità e di un rapporto cordiale e diretto con la Commissione. Non mi soffermerò sul caso Contrada in ordine al quale le puntualizzazione richieste dai colleghi sono più che legittime, anche se ricordo a me stesso che è in corso un'indagine della magistratura che sta compiendo una serie di valutazioni che certamente chiariranno la posizione del dottor Contrada. Vorrei soffermarmi sul problema relativo al controllo del territorio alla luce delle esperienze scaturite dalla recente visita in Puglia a cui ha fatto riferimento il presidente Violante. Confermo il giudizio espresso dal presidente della Commissione circa i successi riportati nel 1992 dalle forze dell'ordine che hanno ascritto a loro merito una serie di risultati largamente positivi. Tuttavia abbiamo avuto la sensazione di un ritardo culturale delle forze dell'ordine rispetto al collegamento esistente tra la criminalità organizzata e le organizzazioni criminali di più ampia portata. Nel corso di recenti audizioni di pentiti è stato evidenziato il salto di qualità della malavita organizzata pugliese. Probabilmente gli organi preposti avevano sottovalutato il problema partendo dal presupposto di sporadici contatti della malavita pugliese ed in particolare quella foggiana e barese con le grandi organizzazioni malavitose. In verità le stesse procure della Repubblica e le questure segnalavano contatti con la malavita in ordine ad un traffico di droga in espansione e ad un traffico di armi significativo. Pur prendendo atto degli apprezzabili risultati conseguiti è opportuna una ulteriore riflessione rispetto alle azioni di prevenzione da svolgere in tale direzione. Per quanto riguarda il controllo del territorio è indubbia la necessità di dotare la polizia di tutti i più sofisticati mezzi tecnologici. Le stesse organizzazioni sindacali hanno addirittura sottolineato la carenza dei tradizionali mezzi che vengono utilizzati per il controllo del territorio. Si pensi, ad esempio, che a Foggia la polizia può disporre soltanto di due "volanti" per pattugliare la città. Molti mezzi sono obsoleti e le forze di polizia sono costrette a confrontarsi con una malavita che dispone di mezzi sempre più sofisticati. Lungi da noi l'intenzione di voler militarizzare l'Italia meridionale, dobbiamo sottolineare che vi sono larghe zone del nostro territorio carenti di un adeguato controllo. Il Gargano, ad esempio, sta diventando un nuovo Aspromonte, è una zona completamente priva di qualunque controllo ed oggi chi volesse rendersi uccel di bosco , a quanto ci è stato riferito, non deve far altro che cercare rifugio in quelle zone. Per concludere, una breve domanda in ordine al coordinamento tra le forze di polizia. Mi rendo conto che alla polizia di Stato non può essere affidato l'intero controllo del territorio nazionale, che va svolto in coordinamento con l'Arma dei carabinieri. Probabilmente la soluzione potrà venire dall'istituzione del segretario generale posto a capo di uno strumento in grado di determinare un effettivo coordinamento tra le diverse forze di polizia. GIOVANNI CARLO ACCIARO. Nella relazione svolta dal prefetto Parisi, se non ricordo male, c'è un riferimento a latitanti sardi in Venezuela. Vorrei sapere quanti sono e se questi latitanti fanno parte di un discorso legato alla mafia Pag. 908 oppure rientrano nel problema relativo ai sequestri di persona. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Si tratta di casi isolati. La Sardegna e la mafia non hanno assolutamente parentela. GIOVANNI CARLO ACCIARO. L'altro quesito che desidero porre, al di là delle brillanti operazioni condotte e delle quali mi complimento, è relativo all'aspetto di prevenzione. Lei poco fa accennava a nuovi punti di osservazione all'estero alla luce del fatto che la mafia si sta trasformando. Vorrei sapere se tale preoccupazione è presente anche in riferimento al nostro paese. Per quanto riguarda la mia regione, la Sardegna, alla luce delle tensioni sociali esistenti e agli investimenti effettuati, vorrei avere qualche notizia circa il fenomeno del riciclaggio. State ponendo in essere azioni di prevenzione in Sardegna e in altre regioni oppure siete assorbiti totalmente dai compiti quotidiani che la polizia deve svolgere? PRESIDENTE. Informo la Commissione che la signora Antiochia, madre dell'agente ucciso dalla mafia, ha chiesto di essere urgentemente sentita. Poiché non c'è il tempo per una convocazione della Commissione, propongo che la signora venga ascoltata domani alle 17,30 dall'ufficio di presidenza, allargato ai capigruppo e ad altri colleghi interessati. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). VINCENZO SORICE. Dalle visite che la Commissione sta compiendo ed anche dalla sua relazione emerge una maggiore efficienza della polizia. I risultati ci sono anche se, data la scarsità dei mezzi a disposizione, si pone il problema di una maggiore presenza sul territorio. Notiamo, però - e questo ci preoccupa - che gli organi di controllo preposti dalla prefettura ed anche quelli di nomina regionale vivono in una dimensione completamente distaccata dalla realtà. I loro controlli di legittimità non li pongono nella condizione di darci alcune risposte. So che è stato costituito un gruppo di lavoro per verificare quale sia la funzione di tali organi di controllo. Noi, comunque, nutriamo il sospetto che proprio al loro interno si eserciti una forte pressione da parte di elementi esterni. La mia domanda riguarda in particolare il coordinamento. Nonostante che dalla sua relazione emerga una notevole incidenza dell'azione di controllo dei patrimoni, notiamo un completo distacco tra tutti i movimenti bancari ed il sistema del controllo su di essi. La Guardia di finanza svolge perciò un enorme lavoro per il quale non è attrezzata. La stessa Banca d'Italia ci ha molto deluso nel momento in cui ha chiaramente dichiarato la propria impotenza nel controllare i flussi di denaro. Qual è il problema di fronte al quale ci troviamo, soprattutto in regioni sostanzialmente ricche, dove stiamo sì combattendo la criminalità organizzata, ma non si riesce a contrastare il riciclaggio del denaro sporco? Non dimentichiamo che è stato pure accertato un notevole accrescimento dell'usura come elemento di pressione sulle attività economiche a fronte del quale gli organi dello Stato risultano completamente assenti. Penso, dunque, che la legislazione sul controllo bancario debba essere rivista. Ad essa dovrà però affiancarsi soprattutto il coordinamento delle forze di polizia, nei modi e nelle forme indicati, per seguire con maggiore attenzione il flusso del denaro. Sta, infatti, emergendo una mafia, che io definisco "dei colletti bianchi", che è indubbiamente preoccupante soprattutto in alcune regioni non povere, come la Puglia dove si registra un forte movimento di denaro e uno spostamento di patrimoni a proposito del quale né le forze di polizia né gli organi di controllo sono stati in condizione di darci risposte esaurienti. Pag. 909 PRESIDENTE. Desidero porre al prefetto soltanto una questione che riguarda la ricostruzione dello scontro tra mafia e polizia negli anni precedenti al rinnovamento degli strumenti legislativi; penso alle leggi sui pentiti, sul diritto di seguito. Nel corso della precedente audizione - ed il prefetto ha accentuato questo aspetto - si è parlato del confidente come una delle fonti di informazione in mancanza di altri strumenti normativi. Il confidente, se visto nel Piemonte o nella Lombardia di allora, significa una certa cosa. Ho l'impressione che nelle zone di mafia difficilmente potesse essere il piccolo delinquentucolo. Se questi si fosse azzardato a dire qualcosa, avrebbe avuto vita molto breve. Mi chiedo se per caso, in quel contesto specifico che va valutato con le logiche di allora che sono diverse da quelle di oggi, il fornitore di notizie non potesse essere anche un personaggio rilevante dell'organizzazione mafiosa. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Signor presidente, la ringrazio molto per aver riconosciuto che qualche progresso è stato registrato, così come ringrazio gli onorevoli parlamentari per il contributo che hanno fornito con le loro valutazioni. "Vorrei sgombrare il campo dal dubbio che io possa ancora aggiungere una sola sillaba sul dottor Bruno Contrada. Tutto quello che avevo da dire, sulla base delle documentazioni, l'ho detto. Avevo il sacrosanto dovere di dirlo, e l'ho fatto. Non devo neppure giustificarmi di averlo detto perché lo ripeto - avevo il sacrosanto dovere di dirlo. Guai se il titolare di una amministrazione, che deve tutelare l'onore dell'istituzione, non compie il proprio dovere nel momento in cui, trovandosi l'istituzione stessa in una situazione particolarmente delicata, non mette in evidenza ciò che è a sua disposizione, in positivo come in negativo! Io ho messo a disposizione di tutti - Parlamento, magistrature ed addirittura opinione pubblica perché non ho posto problemi di segreto di un solo atto - quanto era a conoscenza dell'amministrazione. Lì, onorevole Tripodi, finisce la mia scienza e la mia conoscenza. Tutto quanto voi mi chiedete in ordine a singoli fatti non mi può trovare disposto a fornire risposte che non sono in grado di dare, anche perché le domande si fondano su vostre cognizioni. Se disponete di elementi certi di verità in ordine a fatti che possano eventualmente anche ledere la persona dell'imputato, rendeteli noti alla magistratura. Personalmente, non ho compiti di difesa, ma compiti di perseguimento della verità. Chi mi conosce da anni sa bene che mi sono sempre preoccupato di dire la verità. In nessuna sede, parlamentare o giudiziaria, si è potuto dubitare della lealtà dei miei comportamenti che sono alla base del mio vivere e del mio agire. Per queste ragioni non ho nient'altro da dire. Non è neppure vero che vi è stata discrepanza nelle mie dichiarazioni che sono fondate su documenti. La lettura delle mie originali dichiarazioni testimonia che ho parlato sulla base di quanto consta, di quanto risulta e limitatamente alle mie conoscenze, così come ho parlato di "tutela istituzionale", non certo personale perché non ve ne era motivo. Posta la questione in questi termini, non devo dire più una sillaba sulla vicenda, così come non devo riferire assolutamente niente in ordine a verità che lei, onorevole Boso, raccomandava di dire. Io ho sempre detto la verità. Mi trovi una persona che dica il contrario! Anzi trovo veramente offensivo che si dubiti che io dica la verità. ENZO BOSO. Prima dice che i pentiti sono da tenere in considerazione e poi ... VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Devo dire che la forma usata non è stata riguardosa verso la persona del relatore. Comunque, lasciamo stare. Analogamente, non posso accogliere insinuazioni circa i motivi per cui la polizia non ha catturato Totò Riina. Non l'ha saputo catturare! Sono stati più bravi i carabinieri. Questo è quanto le posso dire. Se le basta, glielo dico. Se Pag. 910 poi lei dispone di elementi specifici per sostenere che qualcuno non l'ha voluto prendere, lo dica ai magistrati. Io non devo tutelare nessuno. Non ho mai fatto il favoreggiatore di nessuna persona! ENZO BOSO. Lo spero. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Lo stesso discorso vale per le foto dei latitanti. Noi abbiamo le foto che abbiamo, ma non dimentichiamo che esiste un impianto elettronico, per cui la ricerca non si fa più sulla base delle vecchie comunicazioni o delle vecchie circolari. C'è stata un'evoluzione anche nelle comunicazioni, nelle trasmissioni e nei relativi aggiornamenti. Lei mi chiede anche perché Gelli è lì. Non ce l'ho mica mandato io! Non è un problema che mi riguarda. A proposito del sequestro Conochiella, dico subito che le indagini proseguono anche se le speranze sono limitate. Se vogliamo scendere nel dettaglio, posso aggiungere che dagli ambienti della malavita sono giunti segnali secondo cui si potrebbero addirittura rinvenirne i resti, tant'è che stiano esaminando la possibilità di seguire tale percorso. Sono stati, inoltre, inviati rapporti alla magistratura relativamente a persone gravemente indiziate di responsabilità in questo delitto. Rispondo alle domande relative al SIS dicendo che esso è in via di costituzione. Altro non devo aggiungere, neppure a proposito della nomina a dirigente generale e di argomenti analoghi. Ci muoviamo entro tempi fisiologici; l'amministrazione non deve trovarsi in difficoltà ed è agevolata dalla posizione del fuori ruolo. La ricerca dei latitanti è stata sicuramente intensificata. Ci soccorrono una serie di fatti positivi: gli strumenti della nuova legislazione ci hanno sicuramente aiutato, così come ci hanno aiutato e ci aiutano i pentiti; è migliorata la preparazione del personale; esistono una maggiore sensibilità ed un maggior coordinamento nel settore. Possiamo dire, però, che tutto il comparto della difesa dello Stato - prevenzione e repressione dei reati - ha avuto uno slancio eccezionale. Per quel che riguarda la Sicilia, la presenza del personale dell'esercito - che ci sostituisce in compiti di mero presidio - ci ha permesso di realizzare ulteriori progressi e di conseguire risultati operativi. L'azione investigativa è sicuramente cresciuta anche se, onorevole Galasso, abbiamo dovuto affrontare il problema del passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale, che non ha trovato elementi tutti ugualmente agili nell'adattamento al nuovo impianto; anzi, il primo momento del passaggio è stato drammatico nonostante noi si fosse cercato di apprestare strumenti di cognizione, testi e corsi per fornire quanto potesse essere utile. Il miglioramento certamente oggi è considerevole e lo abbiamo potuto constatare lo scorso anno, che si è concluso con 100 mila arresti e 500 mila denunce per delitti. E' un fatto senza precedenti nella storia del paese. Contiamo, dunque, i latitanti, ma contiamo anche i risultati globali, quali quelli relativi ai sequestri di patrimoni, attuati senza riguardi perché si colpiscono tutti, a partire da Riina. Non vi sono remore. Il problema concreto è quello del ricambio di un personale lungamente radicato in alcune aree geografiche. Tale problema è da tempo oggetto di costante attenzione. Da quando sono insediato nella funzione, ho inviato - e mi sembra uno dei fatti più significativi - questori che non avessero neppure dall'esterno conoscenze dell'ambiente per assicurarmi che fossero assolutamente imparziali e non influenzabili. I provvedimenti adottati sono molti, sia per gli avvicendamenti sia per gli inserimenti. Si pensi a capi della squadra mobile come La Barbera, al nuovo capo della mobile che addirittura proviene dalla Sardegna. In altre parole, l'attenzione posta in questa direzione è stata tantissima. Il problema dei trasferimenti, però, si lega anche a limiti finanziari che non ci consentono di spendere come si dovrebbe. Pag. 911 Il controllo del territorio, senatore Cappuzzo, è sicuramente migliorabile e concordo con lei quando dice che deve esserlo sia attraverso una più funzionale distribuzione delle forze sul territorio, sia attraverso una maggiore capacità di penetrazione nel reticolo sociale. Infatti, il vero controllo del territorio consiste nel controllo informativo: potrebbe anche non esserci - e lo dico per assurdo - una pattuglia in giro e nello stesso tempo si potrebbe saper tutto. Questo è molto più utile perché, riuscendo a sapere in tempo che sta per accadere qualcosa, si concentrerebbero le forze là dove è necessario a prevenire i delitti. Vorrei poter dire che tale controllo informativo è migliorato moltissimo, ma purtroppo non posso farlo. Vi è qualche miglioramento e qualche segno di solidarietà esterna, anche se non diffusa, non uniforme, e non ancora rassicurante; probabilmente dobbiamo dare più fiducia ai cittadini affinché trasferiscano il loro consenso dall'area grigia a quella pura delle istituzioni. Il discorso sulla cosiddetta area grigia è fondamentale, e molto dipende dal rapporto di forza: se lo Stato riesce ad esprimere un rapporto di forza più rigoroso, la gente sarà con noi, se non l'abbiamo ancora conquistato è perché non abbiamo saputo meritarlo. Per quanto riguarda il caso del dottor Malgeri, vi è stato un momento nel quale la sua liberazione sembrava imminente; ciò è avvenuto quando improvvisamente è stata liberata la ragazza di Brescia, Roberta Ghedini, e speravamo, secondo vociferazioni confidenziali dell'ambiente, nella sua liberazione. Secondo indicazioni non confermate il Malgeri sarebbe deceduto in una marcia di trasferimento disposta dai suoi sequestratori; non è stato possibile - ripeto - verificarlo, ma sarebbe deceduto durante tale trasferimento, proprio quando le forze dell'ordine tallonavano i banditi in direzione dell'obiettivo dove poi sarebbe stata trovata la Ghedini. Il dottor Malgeri, un uomo anziano di oltre settant'anni, ammalato, in condizioni di disagio, accresciuto dal maltempo, sarebbe schiantato. Purtroppo sono 52 le persone, tra cui comprendiamo lo stesso Malgeri, che non sono tornate. GIROLAMO TRIPODI. Anche Medici. VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Sì, anche Medici; é una conseguenza dell'adozione della linea dura, ma abbiamo constatato che quando vi era discrezionalità di intervento avevamo ugualmente pagamenti di riscatto non seguiti dalla liberazione del sequestrato. In merito al problema della distribuzione di nuclei per l'arresto di latitanti sul territorio, posso assicurare che essi sono operanti dappertutto; anzi, dopo che si è affievolito l'impegno per la ricerca di persone sequestrate, poiché si ha la sensazione che veri e propri sequestrati in vita non ve ne siano, l'azione dei nuclei antisequestro è rivolta all'arresto dei latitanti. Essi operano nell'uno e nell'altro campo nella remota speranza che qualche persona possa essere ritrovata, ma con la fondata volontà di ricercare latitanti. Per quanto riguarda i problemi esistenti nella provincia di Foggia, posti dall'onorevole D'Amato, raccolgo le sue puntuali indicazioni, assicurando che sarà svolta un'azione appropriata; tra l'altro la sua segnalazione è collegabile ad elementi specifici in possesso dell'ufficio, che spero portino a risultati concreti. Che vi sia traffico di armi e di droga nelle spiagge della Puglia è evidente; basti ricordare l'episodio dei giorni scorsi relativa alla nave approdata a Taranto. La dichiarazione delle organizzazioni sindacali, secondo cui non vi sarebbero mezzi sufficienti, è inesatta, e mi permetterò di trasmettere al riguardo una nota alla Commissione. Signor Presidente, da quando sono insediato in questa funzione, la polizia dispone di una quantità di mezzi inimmaginabile; in merito le trasmetterò un elenco riguardante la situazione globale, non soltanto di Foggia, sulle dotazioni di mezzi, il cui numero - non voglio rivelarlo ufficialmente - è impressionante. Pag. 912 Non esiste il problema dei mezzi! Nessuno è a piedi, se non vuole; qualche volta il personale resta negli uffici a svolgere attività burocratiche, e in quel caso vi è inadempimento di una direttiva specifica che vuole gli uffici vuoti ed il personale fuori per il presidio del territorio. Se vi sono due volanti, ciò è molto grave, ma non è un problema che riguarda gli automezzi della polizia. Purtroppo il Gargano si presta, come l'Aspromonte- lo diciamo da quarant'anni, non è una novità, onorevole D'Amato - a nascondimenti, a favorire fughe, e vere e proprie forme di banditismo, che negli assetti attuali, con la vicinanza al mare, creano insidie molto gravi. Il coordinamento delle forze di polizia ha fatto progressi enormi; mi permetto di affidare alla vostra lettura - vi prego, a mani giunte, di leggerlo - il documento che dimostra il salto di qualità compiuto in questo campo, anche se non basta, perché occorre fare di più; quale sarà lo strumento, lo stabilirà il ministro, il Governo ed il Parlamento. Sono convinto che le proposte formulate, anche sull'eventuale terzietà del dipartimento della pubblica sicurezza, rispetto alla polizia di Stato, possano essere prese in considerazione; è fondamentale ricercare una soluzione di incontro molto forte tra le forze dell'ordine per l'elaborazione di una direttiva comune, nel quadro di una sempre maggiore vicinanza tra gli operatori del settore, che devono collaborare, sia pure nell'emulazione. Ritengo necessario che essa sopravviva, poiché è elemento indispensabile in un regime pluralistico, e di garanzia per lo stesso sistema democratico, allargato alla DIA, che non disturba affatto, anzi costituisce la via giusta per ottenere ulteriori spinte emulative ed ulteriori risultati. La Dia sta operando bene, come è emerso da diverse iniziative intraprese; sta dimostrando di sapersi muovere anche senza remore, aspetto questo fondamentale, perché quello attuale è un momento nel quale l'obiettivo delle istituzioni deve essere fare pulizia in tutte le direzioni, senza drammi, scandali superflui o inventati. Bisogna fare pulizia, e la magistratura sta svolgendo un'azione esemplare in tutta Italia; ad essa assicuriamo la nostra totale vicinanza, che è importante. Per quanto riguarda le scelte sulla questione del coordinamento delle forze di polizia possiamo fare molto, ma dobbiamo aspettare le decisioni politiche, pronti comunque ad accoglierle con senso di disciplina e responsabilità, soprattutto con senso dello Stato. Siamo soldati al servizio della legge, con o senza le stellette; il nostro compito è quello di obbedire e di rispettare la legge su un piano davvero elevato di grande sacralità. Il funzionario corretto ha rispetto di tutti, interviene sulla base degli atti a sua disposizione, e se vi sono incriminazioni si affida alla magistratura, e, per quanto mi riguarda, con una fede illimitata nella capacità dei giudici di pronunciarsi in maniera impeccabile ed esemplare. Il lavoro all'estero apre un orizzonte nuovo, tuttavia vorrei sgomberare la strada da un equivoco: da una parte abbiamo la marginalizzazione di alcuni aspetti, ma dall'altra l'enfasi di nuovi problemi. In Italia abbiamo la coesistenza della mafia tradizionale, dei fenomeni di criminalità organizzata, con quelli dell'illecito finanziario. Spesso ci siamo limitati ai soldati di mafia, ma ora dobbiamo passare dai soldati al governo di mafia; per effettuare questo passaggio dobbiamo individuare le centrali dell'illecito ed il riciclaggio deve costituire obiettivo fondamentale di contrasto. Depotenziare la mafia nella sua ricchezza significa indebolirla, così come con la cattura dei latitanti e l'individuazione delle bande, che devono essere sgominate. Il riciclaggio per altro si svolge sul piano internazionale; quindi, non basta il lavoro all'interno del nostro paese, occorre arrivare ad una cooperazione internazionale, che a volte è imperfetta, poiché vi è chi non si rende conto del grave rischio a cui si espone, facendosi contaminare dall'esterno. Per quanto riguarda i controlli patrimoniali, posso dire all'onorevole Sorice che vengono effettuati, continueremo a Pag. 913 farli, e li intensificheremo; si tratta di un chiodo fisso, perché credo nella necessità di continuare su questa strada. Per quanto riguarda l'ultimo quesito posto dal Presidente in merito alla natura dei rapporti tra l'operatore di polizia ed il confidente, ritengo che egli potesse indifferentemente avvicinare grandi e piccoli personaggi, quando quest'ultimo fosse inviato dal grande personaggio, non immaginando margini di manovra dei piccoli personaggi, salvo penalizzazione irreversibile da parte dell'organizzazione; tutto poteva fare parte di un gioco concertato soltanto dall'organizzazione. Questo è il lavoro svolto negli anni passati, di profilo medio-basso, dove si operava su segmenti, e si assecondavano gli scontri tra i gruppi di mafia senza che lo Stato ne traesse un vantaggio effettivo, al di là di quello meramente apparente. Il problema dell'intervento dello Stato sui pentiti è stato fondamentale: ha determinato l'elevazione della dignità degli operatori dello Stato, magistrati e forze dell'ordine. La legislazione sui pentiti è uno strumento prezioso che non dovremo mai far deteriorare; le preoccupazioni che ho espresso più volte, addirittura nella relazione che ho illustrato nella seduta del consiglio generale del 19 dicembre dello scorso anno, in un momento cioè non sospetto, prima delle vicende che poi hanno portato ad ulteriori precisazioni, riguardano la preservazione di quello strumento. Ho dato suggerimenti, ho detto quali sarebbero secondo me le vie da seguire, ho sostenuto l'opportunità di una verifica attenta delle accuse, perché dobbiamo stare attenti a non screditare tale strumento; non dobbiamo consentire che in un solo caso, anche per un solo errore, in cui il collaboratore fosse fuorviato da un disinformatore, si porti discredito all'istituto del pentitismo, che ha aperto la strada al diritto premiale, permettendo una migliore affermazione del nostro diritto penale e processuale. Non credo, signor Presidente, di dovere aggiungere altro. SAVERIO D'AMELIO. Chiedo scusa al prefetto Parisi, ma non ha risposto al mio quesito. VINCENZO PARISI, Capo della Polizia. Ha ragione, le rispondo subito. L'anonimo ha formato oggetto di attenta lettura; infatti, la magistratura ha affidato l'incarico di lettura di questo anonimo allo SCO (servizio centrale operativo) della polizia di Stato, ed al ROS dell'arma dei carabinieri, che lo hanno congiuntamente esaminato, valutato e stanno per licenziare il rapporto informativo per la magistratura. Appena il rapporto sarà stato inviato mi permetterò di trasmettere al presidente Violante notizie circostanziate sulle conclusioni degli inquirenti. PRESIDENTE. Signor prefetto, esprimo vivissimo apprezzamento per la sua esposizione, che sarà estremamente utile al nostro lavoro; auguro a lei ed ai suoi collaboratori di raggiungere nell'anno in corso risultati altrettanto positivi rispetto a quelli conseguiti nel 1992. Desidero infine ricordare che domani, 3 febbraio, alle 17,30, si riunirà l'Ufficio di Presidenza, allargato ai capigruppo, per ascoltare la signora Antiochia e che venerdì 5 febbraio si svolgerà il Forum con i magistrati delle procure antimafia. I lavori saranno aperti da un intervento del Presidente della Repubblica. Ricordo infine che martedì 9 febbraio la Commissione ascolterà un collaboratore della giustizia; a tale scopo, venerdì verrà inviata ai commissari una documentazione al fine di predisporre, entro lunedì 8 febbraio, i quesiti. La seduta termina alle 18.45 Pag. 914 Pag. 915 ALLEGATI Pag. 916 Pag. 917 DOCUMENTI CONSEGNATI DAL PREFETTO VINCENZO PARISI NEL CORSO DELL'AUDIZIONE Pag. 918 Pag. 919 ALLEGATO 1 DOTT. CONTRADA PREFETTO DE FRANCESCO Pag. 920 Pag. 921 ...(omissis)... Pag. 922 ...(omissis)... Pag. 923 ...(omissis)... Pag. 924 ...(omissis)... Pag. 925 ...(omissis)... Pag. 926 ...(omissis)... Pag. 927 ALLEGATO 2 DOTT. IMMORDINO-CARRIERA FATTI DI VILLALBA Pag. 928 Pag. 929 ...(omissis)... Pag. 930 ...(omissis)... Pag. 931 ...(omissis)... Pag. 932 ...(omissis)... Pag. 933 ...(omissis)... Pag. 934 ...(omissis)... Pag. 935 ...(omissis)... Pag. 936 ...(omissis)... Pag. 937 ...(omissis)... Pag. 938 ...(omissis)... Pag. 939 ...(omissis)... Pag. 940 ...(omissis)... Pag. 941 ALLEGATO 3 ARTICOLO SU "I SICILIANI" Pag. 942 Pag. 943 ...(omissis)... Pag. 944 ...(omissis)... Pag. 945 ...(omissis)... Pag. 946 ...(omissis)... Pag. 947 ALLEGATO 4 SEQUESTRI DI PERSONA Pag. 948 Pag. 949 ...(omissis)... Pag. 950 ...(omissis)... Pag. 951 ...(omissis)... Pag. 952 ...(omissis)... Pag. 953 ...(omissis)... Pag. 954 ...(omissis)... Pag. 955 ALLEGATO 5 SALVATORE AMENDOLITO OLIVIERO TOGNOLI Pag. 956 Pag. 957 ...(omissis)... Pag. 958 ...(omissis)... Pag. 959 ...(omissis)... Pag. 960 ...(omissis)... Pag. 961 ...(omissis)... Pag. 962 ...(omissis)... Pag. 963 ...(omissis)... Pag. 964 ...(omissis)... Pag. 965 ...(omissis)... 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