Violante: seduta 25
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Pag. 1219 AUDIZIONE DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA GASPARE MUTOLO PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Audizione del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo: Violante Luciano, Presidente .................... 1221, 1222 1223, 1224, 1225, 1226, 1227, 1228, 1229, 1230 1232, 1233, 1234, 1235, 1236, 1237, 1238, 1239 1240, 1241, 1242, 1243, 1244, 1245, 1246, 1247 1248, 1249, 1250, 1251, 1252, 1253, 1254, 1255 1256, 1257, 1258, 1259, 1260, 1261, 1262, 1263 1264, 1265, 1266, 1267, 1268, 1269, 1270, 1271 1272, 1273, 1274, 1275, 1276, 1277, 1278, 1279 1280, 1281, 1282, 1283, 1284, 1285, 1286, 1287 1288, 1289, 1290, 1291, 1292, 1293, 1294, 1295 1296, 1297, 1298, 1299, 1300, 1301, 1302, 1303 1304, 1305, 1306, 1307, 1308, 1309, 1310, 1311 1312, 1313, 1314, 1315, 1316, 1317, 1318, 1319 1320, 1321, 1322, 1323, 1324, 1325, 1326 Acciaro Giovanni Carlo ................................ 1316 Bargone Antonio ................................. 1316, 1325 Biondi Alfredo .......... 1250, 1292, 1297, 1303, 1311, 1315 1325 Borghezio Mario ................................. 1315, 1316 Pag. 1220 Boso Erminio Enzo ..................................... 1315 Brutti Massimo .................................. 1315, 1316 Buttitta Antonino ..................................... 1317 Folena Pietro ................................... 1316, 1317 Galasso Alfredo ....................................... 1316 Imposimato Ferdinando ................................. 1325 Matteoli Altero ......... 1226, 1242, 1303, 1314, 1315, 1326 Mutolo Gaspare .......... 1221, 1222, 1223, 1224, 1225, 1226 1227, 1228, 1229, 1230, 1232, 1233, 1234, 1235 1236, 1237, 1238, 1239, 1240, 1241, 1242, 1243 1244, 1245, 1246, 1247, 1248, 1249, 1250, 1251 1252, 1253, 1254, 1255, 1256, 1257, 1258, 1259 1260, 1261, 1262, 1263, 1264, 1265, 1266, 1267 1268, 1269, 1270, 1271, 1272, 1273, 1274, 1275 1276, 1277, 1278, 1279, 1280, 1281, 1282, 1283 1284, 1285, 1286, 1287, 1288, 1289, 1290, 1291 1292, 1293, 1294, 1295, 1296, 1297, 1298, 1299 1300, 1301, 1302, 1303, 1304, 1305, 1306, 1307 1308, 1309, 1310, 1311, 1312, 1313, 1314, 1315 1317, 1318, 1319, 1320, 1321, 1322, 1323, 1324 Riggio Vito ........................................... 1316 Tripodi Girolamo ...................................... 1316 Pag. 1221 La seduta comincia alle 9,40. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo. PRESIDENTE. Prima di far entrare l'audito, ricordo alla Commissione che già in un'altra occasione la magistratura che seguiva due vicende (tra cui quella relativa al questore Contrada), per motivi di correttezza, ci chiese di non affrontare fatti specifici. La magistratura che segue il collaboratore che ascolteremo ci ha chiesto, se possibile, di non affrontare oggi le note vicende dell'assassinio Reina, ex segretario provinciale della democrazia cristiana, e dell'assassinio del presidente Mattarella. Informo la Commissione che ho accettato queste condizioni perché mi è sembrato corretto, su un piano di collaborazione. Se su qualche punto mi capiterà di dover interrompere il collaboratore, sarà perchè si rischia di andare su un terreno sul quale non è opportuno soffermarci. (Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene introdotto nell'aula). PRESIDENTE. Signor Mutolo, lei è di fronte alla Commissione parlamentare antimafia che ha già ascoltato altri collaboratori di giustizia prima di lei. Il nostro lavoro è diverso da quello svolto dai giudici: mentre questi hanno bisogno di sapere fatti specifici, chi ha commesso questo reato, chi quest'altro, a noi interessano questioni di carattere più generale in quanto il nostro compito è quello di conoscere l'evoluzione di Cosa nostra ed i suoi meccanismi di arricchimento e di sviluppo per capire come meglio possiamo contrastarla. Per cominciare vuol dirci come si chiama e dov'è nato? GASPARE MUTOLO. Mi chiamo Mutolo Gaspare e sono nato a Palermo il 5 febbraio 1940. PRESIDENTE. Intende fare una dichiarazione preliminare? GASPARE MUTOLO. Ho sentito parlare della Commissione antimafia che rappresenta il Governo italiano. L'unica cosa che posso dire è che dal momento in cui ho iniziato a collaborare l'ho fatto in modo ampio; sono stato il primo a correre il rischio di denunciare gli omicidi che io stesso ho commesso. PRESIDENTE. Infatti lei è stato uno dei pochi a farlo. GASPARE MUTOLO. Non ne conoscevo le conseguenze, però ho avuto fiducia. Dal momento in cui ho deciso di collaborare il mio scopo principale è stato quello di sconfiggere la mafia; altre cose nascono di conseguenza. L'unica raccomandazione, che facciamo io ed altri collaboratori che hanno seguito il mio esempio, è quella di rispettare le famiglie e di consentire ai figli di costruirsi un avvenire. PRESIDENTE. Confermo che lei è stato uno dei pochi collaboratori che hanno denunciato i propri omicidi. Quando è entrato a far parte di Cosa nostra? Pag. 1222 GASPARE MUTOLO. Sono entrato a far parte di Cosa nostra nel 1973. PRESIDENTE. Come? GASPARE MUTOLO. Quando mi hanno affiliato mi trovavo a Napoli, nella casa di un certo Lorenzo Nuvoletta. Sono stato aggregato al gruppo di Saro Riccobono (le famiglie ancora non esistevano); però già prima di allora conoscevo alcuni personaggi, per cui non sono entrato in un mondo nuovo, anche se ne ignoravo le regole ed i comportamenti, però in qualche modo avevo una certa conoscenza... PRESIDENTE. Come mai aveva questa conoscenza? GASPARE MUTOLO. Per chi abita e vive a Palermo la realtà è quella che è. Inoltre, avevo degli zii uomini d'onore: posso nominare un certo Ingrassia Giuseppe. PRESIDENTE. Un suo zio? GASPARE MUTOLO. Sì, fratello di mia madre. Vi era poi un certo Augello Giuseppe di Pallavicino, suocero di una mia sorella e Siragusa Giuseppe, marito della sorella di mia madre. PRESIDENTE. Quindi, aveva intorno un certo ambiente. GASPARE MUTOLO. Avevo delle conoscenze ed ero affascinato da personaggi caratterizzati, secondo la mia fantasia, da saggezza, ai quali le persone si rivolgevano per chiedere raccomandazioni. PRESIDENTE. L'affascinavano il potere di queste persone o la considerazione di cui godevano nell'ambiente? GASPARE MUTOLO. Più che altro la considerazione. Le faccio un piccolo esempio: se un giovane litigava con la fidanzata, lui o sua madre non andavano a parlare del problema con il maresciallo, ma si rivolgevano alla persona di quella borgata che poteva essere il mafioso. Secondo la cultura che c'era a Palermo... Certo, se uno guarda oggi alla mafia, dopo quello che ha fatto, la vede in maniera diversa, ma la mafia, fino agli anni Settanta, per come la ricordo e per come era la mia fantasia, era tutta diversa: i mafiosi erano le persone che comandavano, i saggi. Non si pensava mai alla violenza... PRESIDENTE. Che però c'era? GASPARE MUTOLO. Sì, ma in maniera limitata, non come ora. Si sentiva dire dell'uccisione di qualcuno, ma ci si immaginava sempre che quello che moriva era il cattivo, e non che poteva essere il buono. Per esempio, se una persona cercava un posto di lavoro, non andava all'ufficio di collocamento ma si dava da fare tramite il mafioso, che se era il caso parlava con quello dell'ufficio di collocamento. Anch'io ho un'esperienza personale: mi interessavo tramite le fabbriche, o i negozi, per far lavorare qualche persona. PRESIDENTE. Perché dice di avere un'esperienza diretta in questo campo? GASPARE MUTOLO. Per quanto capisco, oggi, la mentalità del cittadino palermitano che vive in quella realtà è diversa rispetto a come si concepiva la mafia venti anni fa. Oggi molti ragazzi entrano a far parte della mafia per bisogno, non perché sono portati ad essere mafiosi o delinquenti. Nella mafia vedono l'arricchimento, la realizzazione, un mondo che offre tutto quello che la vita richiede per un giovane. Non è che uno nasce e dice: "Ora faccio il mafioso"; pian piano, vivendo in quella realtà, con i problemi che ci sono, come ci sono sempre stati a Palermo... Comunque, il discorso della mafia era principalmente culturale. Ricordo, per esempio, che nei lunghi periodi in cui sono stato in galera ho letto I beati paoli, un libro in cui emerge che la realtà mafiosa è tutta diversa, perché il mafioso è la persona buona che aiuta. Pag. 1223 PRESIDENTE. Lei ha detto di avere una esperienza nella ricerca di posti di lavoro: può spiegare meglio? GASPARE MUTOLO. Nella mia borgata ci sono delle fabbriche e io mi sono trovato più di una volta a parlare con i loro proprietari. PRESIDENTE. Qual era la sua borgata? GASPARE MUTOLO. Quella di Pallavicino, Mondello e Partanna. A Palermo, quasi tutte le fabbriche pagano, diciamo, il pizzo o la tangente. E' assurdo che qualche industriale o commerciante dica: "Io non pago"; se lo dice, è perché ha paura, e giustamente deve essere capito, perché vive in quel luogo. So per esperienza quello che succedeva quando un commerciante o un industriale non voleva pagare: gli si faceva saltare lo stabilimento, a volte gli si davano "colpi di legno", bastonate, e si costringeva a pagare. Quando poi l'industriale prende contatti e paga, ha a volte anche dei vantaggi perché, primo, nasce un rapporto di amicizia fra quello che va a prendere la mesata e l'industriale, che ha modo di vedere che il mafioso locale è una persona normale, che si comporta in quel modo per i soldi e poi perché è garantito che, se succede qualche furto, quelli dell'ambiente mafioso si interessano per fargli recuperare quello che gli hanno rubato, oppure se qualcuno gli fa una truffa c'è tutto un giro che costringe a far pagare. Poi, si offrono anche delle società: se per esempio lei ha un'industria che fa posacenere e ne vende, per esempio, mille, e io le propongo di fare una società che può vendere diecimila posacenere. Quindi, lei si fa il conto e vede che la cosa le interessa; poi è compito mio, attraverso le borgate di Palermo, imporre agli esercizi di vendere quel tipo di posacenere. Quindi, non è che perde soltanto; a volte, c'è un discorso di convenienza. Nascendo questo rapporto, logicamente, quando viene da me una signora o un uomo che mi dice: "Senti, mio figlio si deve sposare e deve lavorare", io mi interesso tra queste fabbriche e lo faccio lavorare. Non c'è problema: si parla con il proprietario e gli si dice: "Fai lavorare uno, due, tre, o quelli che sono". Magari il proprietario della fabbrica avrà bisogno di quindici giorni, o un mese, per licenziare qualcun'altro, o per creare il posto, ma il modo si trova sempre. PRESIDENTE. Tutto questo l'ha interessato ed affascinato: per questo motivo è entrato in Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. No: sono esperienze che ho avuto dopo. Prima mi affascinava vedere le persone della borgata che comandavano. PRESIDENTE. Lei aveva un lavoro prima di entrare in Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Fino a un certo periodo ho lavorato come meccanico, ma dopo i diciotto-venti anni non ho più lavorato, perché sono stato in galera. PRESIDENTE. Per piccoli reati? GASPARE MUTOLO. Sì, per reati contro il patrimonio; pian piano, è una scala che si percorre... PRESIDENTE. Quando è uscito da Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Sono uscito il 1^ luglio dell'anno scorso. PRESIDENTE. Il 1992? GASPARE MUTOLO. 1992. Avevo fatto questa maturazione principalmente perché tutti i miei amici sono stati uccisi. Nel tempo sono stati uccisi tanti amici miei nel 1982 tutti assieme, senza nessun motivo specifico. Mi trovavo in carcere, ero a Montelupo; mi hanno portato la notizia. Mio fratello è venuto per dirmi: "Sai, mi ha Pag. 1224 chiamato il Tizio e il Caio, mi ha detto che i tizi non ci sono più, comunque per te non cambia niente". Però nel giro di tre-quattro anni, prima del maxiprocesso, gli ultimi sono scomparsi o uccisi verso il 1987. Quindi, ho capito che in quella famiglia erano destinati a scomparire tutti; infatti di quella famiglia - eravamo tanti - siamo rimasti io, perché ero in galera, un certo Porcelli ed un certo Davì Salvatore. Tutti gli altri sono morti o scomparsi. C'è stata una degenerazione. Non davo una motivazione, perché purtroppo non ero stato abituato a stare in ufficio, a lavorare. Quando sono entrato a far parte di Cosa nostra e mi sono trovato ad uccidere persone, pacificamente pensavo che c'era un motivo per uccidere una persona. Dopo, con l'andare del tempo, ho capito che in qualche cosa si esagerava, ma comunque per me era una cosa normale accettarla. Mi sentivo di avere la coscienza a posto, perché magari pensavo: "Mi viene ordinato di uccidere uno ed io lo debbo fare, perché non posso rifiutare". Il mutamento, il ripensamento, è dovuto prima di tutto a queste persone morte senza motivo, alle quali ero molto affezionato; uno si affeziona anche agli animali, quindi a maggior ragione agli amici. Ma la cosa più terribile per me è stato quando si sono messi ad uccidere le donne e qualche bambino. E' una cosa che... PRESIDENTE. A chi si riferisce in particolare, a quali donne? GASPARE MUTOLO. Per esempio, la moglie di Giovanni Bontate, altre donne che magari sul momento non ricordo... la moglie, la zia e la sorella di Mannoia. Ci sono state altre donne nella provincia di Palermo che sono state uccise deliberatamente, non perché succedeva per caso. Ricordo negli anni passati se, per esempio, c'era l'ordine di uccidere una persona, quelle persone che andavano ad uccidere, se per caso era in compagnia della moglie o delle figlia, guardavano, tornavano e rinviavano l'esecuzione. Invece, dopo questa regola è finita... PRESIDENTE. Man mano che venivano avanti i corleonesi? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Parlo dei fatti più recenti. Un po' tutta la mentalità è cambiata ed io non mi ci vedevo più. Umanamente ormai non vedevo più Cosa nostra con quell'ideale per cui ero entrato. Ripeto: quando sono entrato per me era una nuova vita, con delle nuove regole. Per me esisteva soltanto Cosa nostra. C'erano regole comportamentali ben precise; almeno da quello che si diceva erano cose molto belle perché c'era il rispettarsi l'un con l'altro, il mettersi a disposizione per qualsiasi cosa se un altro aveva bisogno, il rispettare le donne degli altri come sorelle. Era un mondo nuovo che almeno a me affascinava molto. Certo, la realtà anche in quel periodo non era questa. Però ricordo per esempio - per capire un po' la mentalità - il sequestro di una certa Mandalà; allora comandava il Gaetano Badalamenti. Questa signora Mandalà è stata liberata a Mondello. Sono stati uccisi tutti i componenti del gruppo che aveva partecipato a questo sequestro. Quella che guardava questa donna, la signora Mandalà, era la moglie di un certo Vittorio Manno, il quale aveva una specie di casotto dove vendeva copertoni, cerchi. Si uccise lui però per la moglie il Badalamenti disse: "Non ve lo do l'ordine di uccidere una donna, però se qualcuno se la sente lo può fare; io non mi sento". Questo perché c'era un ordine ben preciso che in Sicilia non si dovevano fare... PRESIDENTE. Mi scusi, signor Mutolo in che anni siamo quando avviene il sequestro Mandalà? GASPARE MUTOLO. Verso il 1977-1978. PRESIDENTE. Badalamenti disse: "Io l'ordine non ve lo do". Pag. 1225 GASPARE MUTOLO. E questa donna è rimasta viva. Nessuno degli affiliati ha ucciso questa donna. Ora invece la cosa è diversa. PRESIDENTE. Quindi, praticamente si è visto via via isolato, perché tutti i suoi amici erano morti, ha visto che cambiavano le regole e la natura stessa di Cosa nostra. Questo mi pare sia stato il suo ragionamento. Vi è stato qualche fatto specifico che l'ha spinta in modo decisivo? GASPARE MUTOLO. Il fatto specifico è questo. Ripeto: non è che avevo paura di litigare o di fare... fino a che mi hanno arrestato e dopo che mi hanno arrestato ho fatto trovare due mitra alla polizia di Firenze; avevo fucili a pompa, mi sapevo guardare, perché ero vissuto in quella realtà. Però entrando in galera, mi sono sentito amareggiato e ho pensato: "Ora debbo stare in galera, esco, ma per che cosa? I miei figli, se esco e mi uccidono o mi uccidono qua, crescendo questi bambini che cosa faranno?". Allora ho detto: "Ora cerco con tutte le mie forze di distruggere questi animali". Quindi, ho preso quella decisione, di combattere la mafia. Infatti, ho mandato a chiamare il dottor Giovanni Falcone; non è che mi sono rivolto alla procura di Palermo per parlare con un giudice qualsiasi. Mi ricordo che il dottor Falcone è venuto con un'altra persona - che non mi ricordo chi fosse, nemmeno lo so - gli ho detto che volevo parlare perché avevo deciso di... PRESIDENTE. Più o meno in che epoca siamo? GASPARE MUTOLO. Nella fine del 1991, nel dicembre del 1991. Il dottor Falcone mi disse che potevo parlare di fronte a quella persona, immaginando che gli dovessi chiedere qualcosa. Al dottor Falcone dissi di essere deciso e di sapere delle cose... PRESIDENTE. Dove era detenuto allora? GASPARE MUTOLO. A Spoleto. Gli dissi: so che, malgrado ciò, ci sono stati pentiti che hanno parlato, ma io le dirò cose che lei non sa e che riguardano la zona della Piana di Colli, anche perché sono deciso a distruggerli completamente. Il dottor Falcone era un po' dispiaciuto; mi spiegò di non poterlo fare perché era in un altro ufficio e mi disse che mi avrebbe fatto parlare con altri giudici. Io gli dissi di non voler parlare con nessuno e, dopo, il dottor Falcone mi parlò del dottor Di Gennaro, che avevo già sentito nominare in Cosa nostra. Il dottor Falcone mi chiese di pensarci; disse che c'era il dottor Di Gennaro e che, nel caso, mi avrebbe affidato a lui. Io mi sono convinto a parlare con il dottor Di Gennaro e, in caso, di stabilire dopo con quale giudice parlare sotto le direttive del giudice Falcone. Poi il dottor Falcone è morto ed ho parlato con il dottor Vigna e dopo con il dottor Borsellino. PRESIDENTE. Lei voleva parlare subito con il dottor Borsellino? Chiese al dottor Vigna di parlare con il giudice Borsellino? GASPARE MUTOLO. Guardi, io ero titubante perché conoscevo e conosco molto bene la realtà palermitana e avevo anche esperienze negative di alcune persone che hanno collaborato, ma che non sono state credute; quanto meno, si riusciva a insabbiare... La mia titubanza era quella di affidarmi ad un giudice che avesse il coraggio di affrontare la realtà. Siccome sapevo che la realtà principalmente era anche quella dei tribunali... PRESIDENTE. Certo. GASPARE MUTOLO... era assurdo che mi potessi mettere contro la mafia, quando almeno non dessi il segnale e di mettere paura a qualcuno del tribunale. Questa per me era una cosa logica. Questa era la mia titubanza. Quindi, dopo, ho chiesto di parlare con il giudice Borsellino. Pag. 1226 PRESIDENTE. Come mai scelse il giudice Borsellino? GASPARE MUTOLO. Perché io già del giudice Borsellino...siccome già nel 1980 si era ventilato che si dovesse uccidere perché era inavvicinabile...insomma cercavo un giudice... PRESIDENTE. Questo si diceva nel 1980? GASPARE MUTOLO. Sì, nel 1980. Quando c'era il processo Basile ed un certo Madonia era stato più volte inquisito come mandante di alcuni processi, si era ventilato che questo Borsellino fosse inavvicinabile. Sapevo inoltre che il giudice Borsellino, facendo parte del pool con il giudice Falcone, era persona competente che poteva comprendere perché io non conosco bene l'italiano e faccio fatica a farmi... PRESIDENTE. Comprendere. GASPARE MUTOLO. A farmi comprendere. Se un giudice, magari, non è pratico della materia... PRESIDENTE. E' ancora peggio. GASPARE MUTOLO. Insomma... Dopo però ho parlato con il giudice Borsellino, ma disgraziatamente... PRESIDENTE. Lei ha parlato subito con il giudice Borsellino o è passato un po' di tempo? GASPARE MUTOLO. Ho parlato con il giudice Borsellino dopo qualche mese. A maggio, se non sbaglio, o il 1^ luglio... o maggio, o luglio... PRESIDENTE. Giugno? GASPARE MUTOLO. Il 1^ luglio mi sono dissociato con il giudice Vigna, dicendo che volevo parlare anche con qualche giudice di Palermo. PRESIDENTE. Ho capito. Quindi poi fu messo in contatto con... GASPARE MUTOLO. Dopo ho parlato con il giudice Borsellino; abbiamo parlato, mi sembra, due o tre volte; il venerdì l'ho visto... PRESIDENTE. Parlò immediatamente con il giudice Borsellino o prima venne a parlarle qualche altro giudice di Palermo? GASPARE MUTOLO. No, venne il giudice Borsellino. ALTERO MATTEOLI. Allora non ha parlato con Di Gennaro? PRESIDENTE. Onorevole Matteoli, rimandiamo a dopo le domande. GASPARE MUTOLO. Ma Di Gennaro chi è, il giudice? PRESIDENTE. Lasci stare, risponda alle mie domande. Passiamo ad un'altra questione. Può spiegare alla Commissione la struttura interna di Cosa nostra? Prima che lei risponda a questa domanda, l'onorevole Matteoli le chiedeva se per caso sia stato interrogato dal questore Di Gennaro. GASPARE MUTOLO. No. Quando ho parlato con il giudice Vigna, logicamente gli ho detto che mi affidavo alla direzione del dottor Di Gennaro perché, pur non conoscendolo fisicamente, sapevo già chi era il dottor Di Gennaro perché all'interno di Cosa nostra si parla di quei personaggi che possono essere un pericolo per la struttura dell'organizzazione. Logicamente non cerco una persona qualsiasi, ma chi è già contro la mafia perché mi sento più sicuro. PRESIDENTE. Certo. GASPARE MUTOLO. Ho fatto quindi richiesta esplicita al dottor Vigna di Pag. 1227 essere affidato alla custodia del dottor Di Gennaro. Infatti i collaboratori più importanti cercano il dottor Di Gennaro, non un altro questore. Non è che io conosca altri questori, ma anche in seno a Cosa nostra, per una sicurezza, per una... Si cerca, cioè, quella struttura in cui si è sicuri che non vi possano essere infiltrazioni di altri personaggi che magari possano far sapere in anticipo alla mafia qualcosa. PRESIDENTE. Quindi, lei, alla fine del 1991 si decide, chiama il dottor Falcone e gli comunica la sua intenzione di collaborare. GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Il primo interrogatorio vero e proprio lo ha a luglio, oppure prima? GASPARE MUTOLO. Il primo interrogatorio... ci sono i verbali scritti... insomma, è venuto il giudice Vigna. PRESIDENTE. Ho capito. GASPARE MUTOLO. Io ero in ospedale... PRESIDENTE. A Pisa? GASPARE MUTOLO. No, a Firenze. Mi hanno portato a Firenze, mi hanno fatto uscire con una scusa - mi hanno anche sottoposto alla TAC, alla risonanza magnetica - e in ospedale mi ha interrogato il dottor Vigna con la dottoressa Silvia Della Monica. Tempo dopo sono venuto a Roma ed ho parlato con il dottor Borsellino. PRESIDENTE. Che lei ricordi, il primo interrogatorio con il giudice Borsellino è avvenuto a luglio? Se non lo ricorda, dopo verifichiamo le date. GASPARE MUTOLO. Non mi ricordo. PRESIDENTE. Dopo controlliamo le date. GASPARE MUTOLO. Però era senz'altro estate e dopo che ho parlato con il giudice Vigna. PRESIDENTE. Da quando lei aveva parlato con il dottor Falcone a quando aveva cominciato a parlare con il giudice Borsellino erano passati cinque o sei mesi. Non si è chiesto come mai passasse tanto tempo? Un collaboratore chiede di parlare... GASPARE MUTOLO. Guardi, non me lo chiedevo anche perché con il dottor Falcone non è che... La cosa è rimasta in piedi perché io avevo il desiderio di parlare con lui, il dottor Falcone mi spiegò per più di un'ora che c'era un'altra persona che aveva i baffetti biondi - non so se fosse giudice, ma è stato scritto là - e mi disse che non poteva essere perchè lui era in un altro ufficio... PRESIDENTE. Non poteva. GASPARE MUTOLO. Io gli dissi però che, a quel punto, non intendevo più collaborare... PRESIDENTE. Ho capito. GASPARE MUTOLO. Non mi interessava, non mi sentivo sicuro, insomma, nell'affidarmi ad un altro giudice. PRESIDENTE. E' chiaro. Passiamo ora ad un secondo capitolo e più precisamente a quello riguardante la struttura di Cosa nostra, ossia a come è organizzata ed a come funziona. In vari interrogatori ha in parte risposto a questa domanda, gradiremmo però che lei esponesse nuovamente il suo pensiero in questa sede. GASPARE MUTOLO. In ogni borgata vi è una famiglia e le borgate sono quelle indicate nella cartina toponomastica del comune. Nella famiglia c'è il gruppo. Pag. 1228 Quando una famiglia viene sciolta, e gli uomini d'onore non si devono sentire più tali, ma non devono parlare con nessuno, la commissione o quelli che comandano incaricano una persona di formare un gruppo. E' quindi compito della persona che forma il gruppo allargarlo e farlo diventare una famiglia. Può accadere anche che allo scioglimento della famiglia gli uomini d'onore rimangano tali e venga messa una reggenza. La commissione o gli organi che comandano possono anche mettere un supervisore, ossia un'altra persona, di fiducia della commissione o di un gruppo di commissioni, a controllare la reggenza. Nella famiglia vi è un rappresentante che viene chiamato capo, o rappresentante, il quale viene eletto dagli affiliati, mentre il sottocapo è nominato direttamente dal capo. Dagli affiliati viene eletto il consigliere e dal capo decina. Poi vi è un organo superiore, ossia il capo mandamento, che di solito (ma non è una regola fissa) è eletto da tre famiglie. Questo gruppo di famiglie ogni tre, quattro anni elegge appunto un capo mandamento. L'insieme dei capi mandamento formano i coordinatori i quali non rivestono una carica specifica, bensì hanno il potere di riunire la commissione. Se io, capo mandamento, devo riunire la commissione, non posso andare da un altro capo mandamento, devo andare dalla persona indicata. Per un certo periodo di tempo sono stati coordinatori Gaetano Badalamenti, Michele Greco, sotto il quale vi era Totò Riina che era pilotato..., e prima ancora il famoso triunvirato composto da Badalamenti, Bontate e Liggio, che dopo subentrò Salvatore Riina. PRESIDENTE. I capi mandamento fanno parte della commissione provinciale? GASPARE MUTOLO. Certo, quando si riunisce la commissione sono i capi mandamento che ... PRESIDENTE. Ora da chi è composta la commissione? GASPARE MUTOLO. Da Pippo Bono, da Antonino Gerace, da Bernardo Brusca, da Pippo Calò, da Procopio Di Maggio, da Salvatore Buscemi, da Giuseppe Gambino, da Francesco Madonia, per quanto concerne Palermo. Ovviamente queste persone hanno dei sostituti. Per esempio il sostituto di Gambino è Troia, quello di Di Maggio è Vito Palazzolo, quello di Calò è Salvatore Cangemi. PRESIDENTE. Provenzano non fa parte della commissione? GASPARE MUTOLO. Si parla poco di Provenzano perché la sua figura viene, per così dire, soffocata da quella di Riina. Provenzano fa parte della commissione, però nessuno lo nomina, è una figura che passa quasi inosservata in quanto personaggio di spicco per trent'anni nella mafia è stato Salvatore Riina. Quando si parla di Corleone, si parla solo di Salvatore Riina. PRESIDENTE. Quindi Provenzano non riesce a pesare? GASPARE MUTOLO. Vi fu un periodo in cui ha contato. Ricordo che nel 1973, quando esisteva il famoso triunvirato composto da Badalamenti, Bontate e Liggio, proprio il Liggio nominò suo sostituto Salvatore Riina. Siccome Riina ha sempre avuto in mente di trasformare Cosa nostra, di fare delle innovazioni, ha in pratica avuto sempre la mania di fare una Cosa sua e non una Cosa nostra, ad un certo punto Liggio lo guardò con sospetto ed avvisò i vari capigruppo e capifamiglia di non rivolgersi più a Salvatore Riina, ma a Provenzano. Questo è avvenuto per poco tempo perché subito dopo il Liggio fu arrestato e si vide subito la figura di Salavatore Riina offuscare quella di Provenzano, che sappiamo essere stata pure una figura importante. Egli non aveva certo la forza e l'intelletto di Salvatore Riina. Provenzano non si assumeva le responsabilità che si è poi assunto Salvatore Riina: era più cauto, ponderava meglio le cose, mentre Salvatore Riina se doveva assumersi una responsabilità se l'assumeva. Pag. 1229 PRESIDENTE. Al maxiprocesso Liggio disse che non conosceva Provenzano e che Riina era una bravo ragazzo e che lo teneva nel suo cuore. Cosa voleva dire con ciò? GASPARE MUTOLO. Conosco molto bene Liggio, così come conosco bene Salvatore Riina. Liggio sa che Salvatore Riina con Liggio che l'ha avuta e ce l'ha ancora, anche perché quando Liggio disse a tutti i capifamiglia di non rivolgersi più a Riina, bensì a Provenzano, addusse come giustificazione il fatto che Salvatore Riina beveva e quindi parlava troppo. Siccome Salvatore Riina ha sempre avuto delle persone fidate nelle varie famiglie, questo discorso gli fu riferito. Liggio era una persona sanguinaria, metteva paura solo a parlarci, mentre Riina no. Liggio con il tempo capì che quel ragazzino che conosceva da anni era molto più intelligente di quanto pensasse. Se Luciano Liggio non è uscito dal carcere è perché Salvatore Riina non ha voluto. Ricordo che, subito dopo il 1974, quando Luciano Liggio era stato arrestato e si trovava a Lodi, in corso dei Mille, a casa di Pietro Vernengo, questi, io, Stefano Giaconia e un certo Mafara abbiamo detto a Salvatore Riina che potevamo fare un squadretta e andare a prendere Luciano, ma Riina ha detto: "Fatevi i fatti vostri; questi sono fatti che riguardano me; se occorre ci penso io e vi disturbo io". Luciano Liggio da quel momento non è più uscito. PRESIDENTE. Cosa vuol dire che Riina non ha voluto che Liggio uscisse dal carcere? Si riferisce solo a questo episodio o anche a fatti successivi? GASPARE MUTOLO. Questo è stato un episodio di forza. Comunque, chi conosce bene la mafia, sa che essa arriva in tutti i posti: i presupposti per la liberazione di Luciano Liggio vi sono stati ma egli non è uscito. Quindi non ha avuto quella spinta. D'altronde io sono stato in cella fino 1988 e so quale considerazione poteva avere Luciano Liggio... PRESIDENTE. Qual era? GASPARE MUTOLO. Si illudeva di essere nel cuore di Salvatore Riina ma a volte si lamentava per il fatto che qualcosa non andava anche all'interno della famiglia. Bagarella, ad esempio, non gli dava confidenza (lui si sfogava con Pino Leggio) anche per questioni banali come quella relativa a dei suoi nipoti che avevano del terreno e dovevano acquistare una mietitrice; Pino Leggio, per sorvolare, gli disse che gliela avrebbe regalata lui. Sono cose dalle quali si capisce... se vi è bisogno di qualcosa, subito qualcuno si mette a disposizione: questo tipo di interessamento non vi era nei confronti di Luciano Liggio e lui lo capiva; però faceva buon viso a cattivo gioco. PRESIDENTE. Il fatto che la moglie e i figli di Provenzano siano tornati a casa ha qualche significato? GASPARE MUTOLO. Noi latitanti siamo abituati a stare sempre con le mogli e i bambini, anche perché non siamo molto disturbati. PRESIDENTE. Questo lo abbiamo capito. GASPARE MUTOLO. Sono stato latitante molti anni ed ho vissuto sempre con mia moglie e i bambini. Certo il ritorno della moglie e dei figli di Provenzano è sembrato un po' strano anche a noi. PRESIDENTE. Sulla base delle regole e dei comportamenti di Cosa nostra può tentare di dare una spiegazione? GASPARE MUTOLO. O Provenzano è espatriato e si trova all'estero in un paese dove vuole aggiustarsi il terreno prima di trasferirvi la famiglia, oppure è così tranquillo dove ha mandato i figli che tenerli in un posto o nell'altro non fa differenza. Pag. 1230 In un primo momento si poteva pensare che egli fosse stato ucciso, però si sarebbe saputo in modo dirompente dentro Cosa nostra. PRESIDENTE. Si sarebbe capito? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Da che cosa? GASPARE MUTOLO. Cosa nostra si tiene sempre aggiornata. Sembra che si parli in segreto o in privato ma non è così perché, ad esempio, io dico una cosa ad un mio amico raccomandandolo di non dire niente a nessuno e lui fa lo stesso con un suo amico. Una volta, insieme a noi in galera vi era un prete. PRESIDENTE. Coppola? GASPARE MUTOLO. Un prete che aveva la foto di una donna in costume. Tutti l'avevano vista, ma lui era convinto di non averlo detto a nessuno. Ad ognuno diceva: "Mi raccomando...". PRESIDENTE. Quando ha fatto riferimento a chi compone adesso la commissione provinciale non ha parlato di Aglieri. Ne fa parte o no? GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare, ma non ho avuto modo di conoscerlo direttamente. Non posso essere preciso ma so che in quel mandamento vi sono stati degli aggiustamenti. Ho sentito dire che Pietro Aglieri è un ragazzo valoroso, molto amico di Salvatore Riina, però non ne ho parlato perché personalmente non mi consta. Ho nominato soltanto le persone che conosco direttamente: so, ad esempio, che i Graviano sono in una posizione avvantaggiata ma non li nomino perché non li conosco direttamente. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione quale sia il carattere di Riina? Perché è diventato il capo e lo è rimasto per tanto tempo? Come ha fatto a restare latitante per più di 20 anni? GASPARE MUTOLO. Riina è una persona molto docile e apparentemente umile; non l'ho mai visto arrabbiato: qualche volta l'ho visto con un colorito un po' più acceso ma mai sgarbato o aggressivo. Nel 1973, siamo passati da una persona prepotente ed aggressiva come Liggio a Salvatore Riina che molto spesso diceva: "Ho fiducia nei giovani; bisogna fare largo ai giovani". Con uno stratagemma, fin da allora, aveva fatto in modo che tutti i gruppi e le famiglie gli mettessero a disposizione una o due persone con la scusa che era latitante per cui, quando si recava in una borgata, era necessario evitare le formalità. In qualsiasi momento ed in qualsiasi borgata trovava chi lo accompagnava, chi lo faceva entrare, chi lo faceva dormire. Lo scopo di Salvatore Riina però era un altro perché lui aveva già delle persone fidatissime. Ricordo che allora io e un certo Micalizzi Salvatore eravamo a sua disposizione; vi erano poi Pietro Vernengo della famiglia di Stefano Bontate, Franco Mafra della famiglia di Di Maio, i figli di Francesco Madonia, Nino e Giuseppe anche se giovani, della famiglia di Resuttana, Gambino Giacomo "u tignuso" che è stato sempre molto legato a Salvatore Riina, un certo Franco Di Carlo che ora si trova a Londra, Stefano Giaconia. Con un atteggiamento docile era riuscito a creare attorno a sé un gruppo. Io, purtroppo, sono uscito subito da questa cerchia (si facevano cose apparentemente lecite: fra noi vi era confidenza, si mangiava e si faceva qualche tavolata) perché un giorno, nel garage di Filippo Marchese, che insieme a Pietro era a disposizione di Salvatore Riina, c'erano Greco Scarpa e altri ragazzi. C'erano, insomma, un sacco di ragazzi. Nella bottega di Filippo Marchese, il Salvatore Riina mi disse espressamente: "Senti, se facciamo qualcosa, non c'è bisogno di dirlo per forza al rappresentante". Io ho capito che era qualcosa che dovevo nascondere Pag. 1231 a Saro Riccobono, che oltre ad essere il mio rappresentante era anche mio amico, perché lo conoscevo praticamente da sempre. Risposi: "Fino a che le cose si possono fare, si fanno, ma prima di tutto mi hanno insegnato che il nostro rappresentante è come un padre, e quindi non so se è il caso di nascondergli qualche cosa". Quindi sia io, sia Totuccio Micalizzi siamo usciti un po' da questa cerchia. Lui portò avanti... C'erano Della Noce, un certo Anselmo Rosario, il Ganci Raffaele che erano a disposizione di Riina: sono tutte quelle persone che, con l'andare del tempo, ora comandano a Palermo. Quando si parla di guerra di mafia, io non concepisco bene queste parole; guerra di mafia c'è quando due o più famiglie mafiose si armano e sanno che uno combatte contro un altro gruppo di persone. A Palermo, invece, secondo me, secondo la mia mentalità, questa guerra di mafia non c'è stata; c'è stato un tradimento. Noi di Partanna Mondello non eravamo in guerra con nessuno; la famiglia di Passo di Rigano non era in guerra con nessuno; la famiglia di Borgo non era in guerra con nessuno. Fu una strategia che Salvatore Riina riuscì a portare, nel giro di dieci - dodici anni; negli ultimi tempi in cui sono stato a Palermo, fino al 1982 (poi mi hanno arrestato), le persone avevano paura di parlare, anche fra amici, perché si guardavano fra loro e pensavano: "Quello non c'è, ma sente tutto". C'era, quindi, una diffidenza fra i vari gruppi e c'erano le infiltrazioni: piano piano, c'è stata la conseguenza dei tradimenti e così via. L'unica famiglia in cui non c'erano infiltrazioni - e lo posso dire in maniera tranquilla - era quella di Partanna Mondello e l'hanno distrutta tutta, non perché erano in guerra con qualche gruppo di persone, non erano in guerra con nessuno. Era una strategia, una mentalità che alcune persone avevano già capito nel lontano 1975 - 1976, perché Salvatore Riina, prima di conquistare Palermo, aveva conquistato tutto il circondario della città e stava già entrando nelle altre province, nel trapanese, nell'agrigentino, nel catanese. Spesso si facevano riunioni, anche con persone di fuori provincia, fra le quali ricordo Giuseppe Di Cristina, Calderone ed altri di cui al momento non ricordo i nomi: si facevano riunioni e mangiate, perché i più bei discorsi sono a tavola e a letto, ma siccome eravamo tutti uomini si potevano fare soltanto a tavola. Si discuteva sempre di questo Salvatore Riina, che già aveva ucciso dei personaggi nei paesi; quindi, i più focosi, che erano i Di Cristina, Stefano Bontate, Saro Riccobono... Però, c'era sempre qualche persona, ricordo un certo Rosario Di Maggio, anche se aveva passato il mandamento al nipote Salvatore Inzerillo, che cercava di rabbonirci, dicendo: "No, vediamo, lui qui a Palermo che deve fare, se siamo tutti d'accordo? Cosa deve fare che lo prendiamo a calci nel sedere e lo mandiamo a Corleone a fare crescere il grano?". A volte queste riunioni si facevano da Michele Greco, che con quella faccia da santarello diceva: "Ma no, ragazzi, la violenza non porta a niente; appena parte la prima |P'scopettata|P', c'è un morto in ogni strada". Però, Michele Greco, pian piano, riusciva a far sapere tutto in anticipo a Salvatore Riina, che conosceva le persone più focose che lo volevano combattere e creava quindi i presupposti per eliminarle. E poi, man mano, andava avanti: non è che ci fu un progetto di Riina da realizzare subito con la forza. La mafia, purtroppo, è Palermo; se Palermo si rende conto, se tutte queste persone che sono rovinate, che hanno ucciso parenti, cognati, cugini, generi si rendono conto, aprono gli occhi... Specialmente quelli più grandi di me, perché so che molte persone non sono cattive: io non voglio essere cattivo e non ce l'ho con loro; ce l'ho con queste persone perché sono mafiose, perché ormai la parola "mafia" fa paura per le cose che ha fatto. Il progetto di Riina parte dal 1973- 1974 e si sviluppa pian piano fino al 1982, quando si completa la sua opera, Pag. 1232 un'opera che sarebbe stata chissà che cosa se lui fosse stato un capo di governo. Se lei parlerà con Salvatore Riina, si domanderà: "E' possibile che questo sia Salvatore Riina?"; è una persona educatissima, con un'espressione così buona. E' stata la prima persona che ha inventato il sistema, prima di uccidere uno, di invitarlo a tavola, farlo mangiare tranquillamente, farlo divertire; dopo mangiato, si strangolava e non se ne parlava più. Non si gridava: "Tu hai fatto questo!"; si mangiava, ci si divertiva e poi si uccideva. Questa è stata la novità che ha portato Salvatore Riina. PRESIDENTE. Quindi aveva una grande abilità? GASPARE MUTOLO. Sì, lei ci parla e sembra un predicatore: si ricorda Papa Giovanni, quel viso bello...! Scusi il paragone, ma per spiegare. Purtroppo, sono i visi che ingannano: un altro è quello di Michele Greco, che ha saputo prendere in giro le persone più feroci di Palermo, con quella sua faccia buona, dicendo: "No, perché appena parte la prima |P'scopettata|P', succede un macello a Palermo". PRESIDENTE. E intanto? GASPARE MUTOLO. Intanto creavano i presupposti e questa è la guerra di mafia. Io però concepisco come guerra di mafia quella del 1960-1961, di cui ho sentito parlare. Allora i gruppi mafiosi si scontravano fra loro: si cercavano fra mafiosi e non c'entravano niente né il fratello, né la moglie, né il figlio. Si sapeva che uno era un uomo d'onore, che era in guerra e si uccideva. PRESIDENTE. Insomma, lei dice che la guerra l'ha fatta una parte sola? GASPARE MUTOLO. Esatto: Totò Riina sapeva che era in guerra con tutti. Infatti, tutti siamo stati latitanti a Palermo e tutti avevano modo di rintracciarci in qualsiasi momento; se cercavo un tizio, partivo e dopo mezz'ora l'avevo rintracciato. Soltanto Totò Riina non poteva essere mai rintracciato; uno andava dalla persona indicata, da Nino Madonia, o da |P''u tignuso|P', oppure da Ganci e quelli dicevano: "E' partuto". Avevano sempre il sorriso sulla bocca, perché Riina sceglieva queste persone e insegnava loro che, anche se c'era il terremoto, dovevano sorridere; non avevano mai i visi arrabbiati e erano sempre docili. L'unica persona che non si poteva rintracciare era Totò Riina. Lui cercava noi, perché se, per esempio, io andavo e lui era a due metri... Ci fu un periodo in cui era da Nuvoletta (e sono nati i primi disguidi con i napoletani per questo); il baglio dei Nuvoletta è composto in una certa maniera, per cui c'è un baglio, la casa della mamma (eravamo sempre là) più avanti una caseggiata bassa; sapevamo che il Riina era alloggiato là. I napoletani sono più buoni di noi, più espansivi, non sanno dire tante bugie; intanto anche a quelli avevano insegnato a dire le bugie: "Totò Riina non c'è". Magari dopo un quarto d'ora, si chiamava e si diceva: "Ma, sì...". Qualcuno si lamentò, sono nati dei discorsi con i napoletani, sempre per questo loro modo, la diffidenza... PRESIDENTE. Dov'era questo baglio? GASPARE MUTOLO. A Marano. PRESIDENTE. Bontate ha mai pensato di uccidere Riina? GASPARE MUTOLO. Su questo ho una certezza perché nel 1981, quando ho ottenuto la semilibertà e mi sono messo a scendere periodicamente a Palermo - era subito dopo che era morto Stefano Bontate - mi trovo in un ragionamento che facciamo a Capogallo, a Mondello. C'ero io, c'era Saro Riccobono, c'era un certo Manuele D'Agostino, c'era un certo Salvatore Micalizzi. Si parlava perché già erano scomparsi un certo Mimmo Teresa, i due fratelli Federico, un certo Di Franco. Già c'erano voci in giro che molte Pag. 1233 persone se n'erano andate, tipo Pietro Marchese, Giovannello Greco; però non si sapeva che cosa c'era di vero. Michele Greco faceva sempre finta di non sapere niente. Però il Saro Riccobono aveva avuto l'ordine di sondare, di parlare con Manuele D'Agostino, perché era una delle persone molto vicine a Stefano Bontate e nello stesso tempo era anche vicino a Saro Riccobono; l'aveva cresciuto lui, stava più a Partanna che a Santa Maria di Gesù. Mi trovo in una conversazione in cui abbiamo la conferma che Stefano Bontate voleva uccidere Salvatore Riina. Prima perché ci fu una parola che Stefano Bontate disse a Favarella, dopo che aveva dato alcuni appuntamenti a Salvatore Riina in commissione, appuntamenti che venivano disertati. Bontate disse: "Cosa dici, di ammazzarlo (...); dì come si comporta". Fu una cosa detta tra amici, amici, amici, non pensando che il Greco avrebbe potuto dire. Stefano Bontate poi si sarà preoccupato di qualche cosa o avrà preso la decisione; se decisione c'era, certamente essa riguardava lui e Salvatore Inzerillo e non gli altri membri di Cosa nostra. Ad un certo punto noi parliamo con questo Manuele D'Agostino, che era molto preoccupato perché già quattro persone erano scomparse, mentre altre persone si cercavano per essere uccise. Disse che effettivamente si era messo diverse volte in macchina perché doveva uccidere una persona importante, ma non sapeva chi. L'abbiamo fatto andare perché c'era la moglie di questo D'Agostino; c'erano anche altre donne, per cui fu un discorso appartato. Però abbiamo detto al Saro Riccobono (sapevamo quale affettuosità c'era tra i due): "Cercano Manuele, quindi noi siamo incaricati di parlare..., però secondo noi..." - eravamo quelli che spingevano, io ed il Micalizzi, non possiamo litigare "intortamente" con le persone - "prima di tutto nessuno pensa che Manuele D'Agostino era coinvolto in questo discorso e lei non lo sa". Abbiamo portato un semplice peragone a Saro Riccobono: "Se Giacomo Gambino, |P''u tignuso|P' uccidesse qualche persona, pensa che Salvatore Riina lo saprebbe o no?". Rispose: "E' logico, quello non fa niente che non lo sappia lui". "Uguale è Manuele D'Agostino con lei". Per i discorsi che c'erano stati... Quindi ho avuto la conferma precisa che Stefano Bontate ha tramato, così come ho saputo che anche Inzerillo ha tramato, ma non era un complotto della mafia; erano queste persone che volevano eliminare Salvatore Riina. Non c'era un complotto della mafia che voleva fare la guerra a Salvatore Riina. Era Stefano Bontate; si era coinvolto, oppure avevano coinvolto anche Salvatore Inzerillo. Poi un altro personaggio, un certo Pillera, un catanese, mi disse che diverse volte, mentre andava a Palermo da Salvatore Inzerillo in un deposito di carburante di proprietà di un certo Montalto - ci andavano per fare conteggi di droga - lo facevano salire in macchina perché dovevano uccidere una persona, però senza mai dire chi era. Però in quel posto partiva a volte anche Salvatore Montalto, che poi si è saputo quello che era... PRESIDENTE. Nel senso che era collegato con Riina? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Quindi queste due persone per un verso o per l'altro si sono trovate; forse, se avessero avuto l'occasione, effettivamente avrebbero ucciso Salvatore Riina, però non ci fu un complotto della mafia, perché quando muore Stefano Bontate, Saro Riccobono si mette in macchina con Totuccio Micalizzi, va da Michele Greco e gli dice. "Che è successo?". PRESIDENTE. Ricordo un episodio che lei ha raccontato, per cui ad un certo punto si aspettava che da qualche parte arrivasse Riina e invece arrivò una macchina con altre due persone. Riina non era venuto... GASPARE MUTOLO. E' stato a baglio Magliocco, da Stefano Bontate. Nel villino di Stefano Bontate, quello nuovo, si poteva accedere dall'entrata principale, dalla strada, poi vi era una traversa, da Pag. 1234 dove si poteva entrare, perché c'era un cancello scorrevole; in più si poteva andare dal Magliocco internamente... Una sera Stefano Bontate aveva dato un appuntamento a Salvatore Riina verso le sette, sette e mezza di sera, era buio. Invece ci andò Giacomo Gambino con un certo Ganci; entrano dalla parte della stradella, dove poteva passare tutta la macchina; alcune persone hanno chiuso il portone, si dice che Stefano Bontate sia corso verso la macchina ed abbia aperto lo sportello; quando non vide Riina ci rimase un po' male. Disse che era corso per... PRESIDENTE... omaggiarlo. GASPARE MUTOLO. ...perché gli faceva piacere, ma quelli già sapevano il discorso. Erano tranquilli perché pensavano: "A noi non ci toccano". Lì hanno avuto la conferma e lì forse hanno visto uno dei fratelli dell'Inzerillo e l'Inzerillo viene coinvolto in questo discorso. PRESIDENTE. Si è mai progettato di uccidere Liggio in carcere? GASPARE MUTOLO. Che io sappia no. PRESIDENTE. Lei ha detto - torneremo poi su quest'altra questione - "Noi latitanti non ci toccava nessuno". Lei per quanto tempo è stato latitante? GASPARE MUTOLO. La mia vita l'ho passata in carcere o da latitante, anche per motivi di sicurezza non solo mia, ma un po' di tutti: non si voleva avere grattacapi od essere disturbati da visite in casa della polizia. Uno ha l'indirizzo di casa e la polizia, magari per una routine, deve passare ogni tanto a controllare. Anche se ci si sposta in un appartamento, si è però tranquilli perché la polizia lì non viene. Cosa le debbo dire? Noi latitanti che eravamo là, trascorrevamo la latitanza a Partanna Mondello, a Valdese, a Pallavicino. A volte ci spostavamo per otto o quindici giorni perché si verificava un omicidio, o perché sapevamo che erano in corso operazioni di polizia... ma come eravamo noi a Partanna Mondello, erano tutti gli altri. Se si cercava qualcuno, non si andava in un altro... PRESIDENTE. Ma la polizia ed i carabinieri non venivano mai a cercarvi? GASPARE MUTOLO. Lo ripeto: andavano a controllare magari all'indirizzo che avevano. PRESIDENTE. Ma lei, durante la latitanza, stava a casa sua? GASPARE MUTOLO. No, non stavo a casa mia, però stavo... PRESIDENTE. Vicino? GASPARE MUTOLO. Che so: invece di stare in via Ammiraglio Cagni, stavo a via Patti, ossia a cento metri. PRESIDENTE. Lei usciva di casa, si muoveva regolarmente? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Usciva di casa in orari particolari o quando ne aveva la necessità, senza problemi? GASPARE MUTOLO. Uscivamo normalmente, ma conoscevamo gli orari in cui rientravano le pattuglie. Quando si doveva trasportare qualche morto o qualche carico di droga sapevamo che, per esempio, dalle 13,30 alle 15,30-16 si poteva camminare e che la sera, dalle 18,30 fino alle 20,30-21 era in genere tranquillo. PRESIDENTE. Facevate una vita normale, andavate in giro, al ristorante? GASPARE MUTOLO. Normale. PRESIDENTE. Per esempio, i suoi figli frequentavano la scuola con il suo nome? Pag. 1235 GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Una scuola privata o pubblica? GASPARE MUTOLO. I miei figli frequentavano una scuola... PRESIDENTE. Possiamo chiederle quanti figli ha? GASPARE MUTOLO. Ho quattro figli, di cui tre maschi, ed ho anche un nipotino di tre anni e mezzo. I miei figli hanno frequentato sia la scuola privata, sia quella a pagamento. A Palermo c'è la scuola "Antonello da Messina" e mio figlio è andato anche là. PRESIDENTE. I suoi figli, cioè, frequentavano tutti una scuola privata, a pagamento? GASPARE MUTOLO. Fino alla quinta elementare hanno frequentato, a volte, la scuola comunale... PRESIDENTE. La scuola pubblica. GASPARE MUTOLO. E dopo scuole a pagamento. PRESIDENTE. Perché li mandava ad una scuola a pagamento? GASPARE MUTOLO. Forse perché avevano meno voglia di studiare e sanno che nelle scuole a pagamento, magari, vi è più interessamento, magari si insegna... ma quando vogliono stare alcuni periodi senza studiare, insomma... PRESIDENTE. Quindi non per una ragione di sua maggiore tutela? GASPARE MUTOLO. No. Quando mio figlio andava a scuola, lo lasciavo lì e andavo io a riprenderlo in macchina. PRESIDENTE. Ho capito. La scuola era nella stessa borgata? GASPARE MUTOLO. A Pallavicino c'è la scuola comunale e quella materna. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come vengano assunte da Cosa nostra le decisioni più importanti, riguardanti, per esempio, un omicidio o un traffico importante di droga? GASPARE MUTOLO. Fino ad un certo periodo, per quanto mi ricordo, un capo famiglia era padrone del suo territorio e quello che voleva fare faceva. Dopo si sono verificati due omicidi un po' anomali, uno di un certo Angelo Graziano, un costruttore di Palermo, e l'altro di un certo Stefano Giaconia (anzi, per primo quello di Stefano Giaconia e poi quello di Graziano). In quel periodo i componenti della commissione avevano trovato un accordo, nel senso di non far riunire tutta la commissione ogni volta che si doveva uccidere un componente mafioso; poteva riunirsi una minicommissione, di tre o quattro persone di borgate confinanti, e decidere l'eliminazione di qualcuno. Infatti, nella soppressione di Stefano Giaconia avviene questo: lo strangolano, sono un numero ristretto di personaggi di commissione, Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti, Saro Riccobono, insomma pochi; tempo dopo, siccome Saro Riccobono si preoccupava che questo Angelo Graziano era molto legato ad un certo Giacomo Giuseppe Gambino, Salvatore Riina - già in quel periodo vi sono ombre di rottura, di correnti per i mandamenti - eliminano con lo stesso metodo anche Angelo Graziano. Riccobono sa che, se non era per l'intervento di Michele Greco, già era pronta la macchina per andare a sparargli. Riccobono abitava vicino la via Guido Jung, nei fabbricati che costruiva questo Angelo Graziano e, quindi, hanno un po' modificato l'andamento della commissione. Ora le decisioni che deve prendere la commissione, che deve essere tutta unanime, tranquilla e pacifica, riguardano gli omicidi degli uomini d'onore di cui si deve parlare in commissione perché Pag. 1236 possono esservi rivalità tra i componenti ed è giusto che la commissione conosca questi fatti; quando si debbono uccidere industriali, che lo Stato magari... per esempio, giornalisti, industriali importanti, poliziotti, magistrati, politici... Questo è un discorso che deve fare per forza la commissione, non può farlo un capo mandamento od un capo famiglia. Per quanto riguarda i traffici di droga, se sono piccoli può gestirli la famiglia (ognuno è indipendente e fa quello che vuole); se però qualcuno entra in un grosso traffico, per cui può intralciare il lavoro di altri mafiosi, di tutta una certa organizzazione - può cioè invadere un certo mercato, una certa piazza - la commissione può intervenire; questi personaggi cioè possono intervenire per dare un'organizzazione a questo contrabbando. La commissione, cioè, interviene in tutti i settori importanti. PRESIDENTE. Quali sono le persone pericolose per Cosa nostra? Lei ha spiegato - su questo torneremo più approfonditamente - perché è stato colpito il generale Dalla Chiesa (ossia perché andava ad "impicciarsi" in una serie di questioni concrete apparentemente di modesta portata, ma che vi davano fastidio), perché sono stati uccisi La Torre e Mattarella. Può far capire alla Commissione che cosa dia più fastidio a Cosa nostra e che cosa porti quest'ultima a reagire nei confronti di chi attua queste iniziative? GASPARE MUTOLO. Ciò che ci da più fastidio è che ci vengano tolti i soldi. PRESIDENTE. Questa è la cosa fondamentale. GASPARE MUTOLO. Quello che dà maggiormente fastidio è quando ci tolgono i soldi; uno preferisce stare in galera con i soldi e non in libertà senza soldi: questa è la cosa principale. Dopo di che si esaminano le misure che lo Stato adotta, o più che altro i comportamenti dei vari personaggi. Lei ha citato poc'anzi il generale Della Chiesa e l'onorevole La Torre. Quest'ultimo fu ucciso esclusivamente perché voleva far approvare la famosa legge sul sequestro dei beni: non vi fu altro motivo se non quello. Ho letto sui giornali articoli su ipotetici missili in possesso dei mafiosi: il problema era che Pio La Torre voleva sequestrare i beni ai mafiosi. Se ne parlò a lungo, se ne discusse, parlammo gli uni con gli altri, qualcuno disse che sarebbero trascorsi molti anni prima dell'attuazione della legge, però lui insisteva sempre. PRESIDENTE. Pio La Torre aveva presentato da circa un anno e mezzo la sua proposta di legge e, quando fu ucciso, il Parlamento non aveva approvato neanche un articolo di questa legge, anzi vi erano molte resistenze. Per quale motivo allora fu ucciso? GASPARE MUTOLO. Perché insisteva sempre. Le faccio un altro esempio. Il giudice Terranova venne a Roma a fare il deputato e non lo pensava nessuno, ma allorquando si seppe che si sarebbe recato a Palermo solo ed esclusivamente per combattere la mafia, si agì di conseguenza. Erano personaggi che davano fastidio alla mafia, anche se qualcuno ne dava più di altri; qualcuno quindi poteva morire subito, qualcun altro campare due o tre anni in più. Una volta individuata la persona che vuole combattere seriamente la mafia, la sua sorte è segnata. Se debbono affrontare dieci uomini, non lo fanno; ovviamente si attende il momento opportuno, anche perché a Palermo prima o poi ciò accade. La città può essere paragonata ad un piatto; se uno non va al tribunale, va a Mondello o al teatro: la città si controlla benissimo ed è solo questione di tempo. PRESIDENTE. Cosa nostra ha mai commesso omicidi di questo tipo fuori della Sicilia? GASPARE MUTOLO. Ricordo solo l'omicidio del vicequestore Mangano. PRESIDENTE. Alcune persone che a Palermo sono, per così dire, coperte, a Roma lo sono molto meno. Pag. 1237 GASPARE MUTOLO. Cosa nostra fa affidamento principalmente sui mafiosi originari palermitani, quindi una cosa è muoversi a Palermo, ove si è padroni della città, nel senso che si conoscono le strade, i garage, le case, un'altra è compiere un attentato in un'altra città o addirittura fuori della Sicilia. Il discorso in questo caso diventa più complicato, non tanto per mancanza di uomini disposti a sparare, quanto per motivi logistici; in pratica non vi è la sicurezza che il reato rimanga impunito. A Palermo quando avviene un omicidio dopo tre minuti non rimane alcuna traccia. PRESIDENTE. Si tratta quindi solo di ragione di prudenza! GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Non quindi per ragioni ideologiche, ossia che tutti gli omicidi devono essere compiuti in Sicilia. GASPARE MUTOLO. E' più comodo commettere gli omicidi in Sicilia. Se un personaggio in vista o un ministro invece di combattere la mafia da Roma la combattesse a Palermo, prima o poi sarebbe ucciso. A Roma è più difficile commettere un omicidio, così come lo è a Torino, mentre a Palermo è molto facile in quanto la città è sotto controllo. PRESIDENTE. E' stata fatta una distinzione tra gli affiliati ed i combinati. Può spiegare alla Commissione tale distinzione? GASPARE MUTOLO. I combinati sono coloro i quali fanno tutto, compresi gli omicidi, mentre gli affiliati, fino a quando non uccidono, rimangono a disposizione della mafia, nel senso che conservano le armi, riscuotono tangenti, procurano gli appartamenti, ma non si sono ancora macchiati di sangue. L'unica distinzione tra combinati ed affiliati è che i primi hanno ucciso, i secondi no. PRESIDENTE. La persona viene combinata prima o dopo l'omicidio? GASPARE MUTOLO. Può accadere anche dopo; la cosa importante è che viene combinata in giornata, dopo l'omicidio. Sono stato un affiliato ed ho accompagnato molte volte Salvatore Riina, anche se lui dice di non conoscermi. Lo accompagnavo a San Giuseppe, a Crociverde in Giardina, a Palermo; mi avevano indicato come di guardare se intercedessi o se vedessi Michele Cavataio. Comunque, quando queste persone parlavano tra loro io rimanevo fuori senza ascoltare. Se avessi assistito a qualche omicidio o se l'avessi commesso, sicuramente sarei stato subito combinato. Alcune persone sono state combinate perché, in compagnia di mafiosi, hanno assistito allo strangolamento di qualcuno. Sono state quindi combinate perché così si sono responsabilizzate ed hanno capito che al di fuori del mondo mafioso non dovevano parlare con nessuno. PRESIDENTE. E' mai avvenuto - che lei sappia - che sia stata combinata una persona affiliata o estranea che aveva ascoltato per caso discorsi che non avrebbe dovuto ascoltare? GASPARE MUTOLO. E' difficile che una persona che ascolta certi discorsi non venga combinata. Innanzitutto sono loro che non mettono le persone nelle condizioni di ascoltare; però se qualcuno partecipa ad un piano o ad un discorso delicato subito viene combinato. Se dovessero pagare per combinare qualcuno forse direbbero che non è il caso ma basta un colpo d'ago e una santina. PRESIDENTE. Quindi formalmente per passare dall'affiliazione alla combinazione vi è il giuramento. La ragione per cui si passa dall'una all'altra condizione ha il senso di far capire alla persona che occorre tenere segreti determinati fatti. GASPARE MUTOLO. Gli viene spiegato che, al di fuori delle persone d'onore, non deve parlare. La persona che non fa il giuramento può avere un amico, che Pag. 1238 non è combinato, con il quale si confida; questo parla a sua volta con un suo amico e così via finché la voce giunge al mafioso. Intendo dire che la responsabilità è di chi lo ha vicino, per cui quando una persona ascolta o fa qualcosa viene combinata in modo da responsabilizzarla: se poi dice qualcosa che non deve dire, muore. Nessuno cade in questa contraddizione perchè sa che si muore. PRESIDENTE. Come vengono scelte le persone da affiliare? Sulla base delle loro capacità? GASPARE MUTOLO. Mi sono sforzato per far compredere il discorso dell'affiliazione. Io, che sono di Pallavicino, non cerco l'affiliato perchè nel paese mi conoscono, tutti sanno che sono un latitante, entro ed esco di galera e non un impiegato di banca, quindi sono io che, dal loro atteggiamento, individuo le persone che mi hanno in simpatia a differenza di quelle che fanno finta di non vedermi, non mi offrono il caffè al bar e non mi chiedono se mi occorre qualcosa. Sono gli affiliati, quindi, che si fanno notare, ad eccezione naturalmente dei figli degli uomini d'onore, ragazzi che crescono in quell'ambiente. PRESIDENTE. Vi sono casi di affiliati rimasti tali, cioè che non sono diventati uomini d'onore? GASPARE MUTOLO. Sì, vi è qualche caso: si tratta però di persone che vengono in qualche modo responsabilizzate. Nel 1980-1981 è avvenuto che pochissimi personaggi, per motivi familiari, non sono stati combinati; comunque, chi li aveva vicini aveva il dovere di dire loro che potevano praticare soltanto le cinque o dieci persone indicate; se però costoro facevano non dico un omicidio, ma una rapina o un furto con altre persone, venivano subito ammazzati. Conosco ad esempio il caso di un certo Rotolo Salvatore, persona non combinata, che aveva sparato a qualcuno e che però aveva contatti solo con quelle due o tre persone che gli stavano accanto. PRESIDENTE. Cosa vuol dire che qualcuno non poteva essere combinato "per motivi familiari"? GASPARE MUTOLO. Mi riferisco a persone delle quali si sapeva, ad esempio, che la madre o la sorella avevano avuto l'amante. Prima ci si riferiva soltanto a chi aveva un parente poliziotto o magistrato: è evidente che se qualcuno ha un fratello poliziotto non può fare il mafioso, ma se si tratta di un cugino... PRESIDENTE. Ci spiega la questione dell'amante che non abbiamo mai capito bene? Perché è così importante che la sorella o la madre del mafioso non abbiano avuto un amante? GASPARE MUTOLO. Non ho capito. PRESIDENTE. Perché è così importante che la madre o la sorella di un affiliato non abbiano avuto l'amante? Perché è importante che un uomo d'onore tenga soltanto la moglie? GASPARE MUTOLO. Si tratta di regole che venivano osservate nel passato in modo più rigido che non ora. Ricordo che Gaetano Badalamenti e, per un certo periodo, anche Totò Scaglione erano accaniti sostenitori della necessità che si dovesse essere totalmente dediti alla famiglia. Ciò, in effetti, dà un certa sicurezza perché una moglie, pur sapendo che il proprio marito è un delinquente e un assassino e vedendo con chi parla, è disposta ad accettare qualunque sacrificio per amore di un uomo fedele ed innamorato. Vi sono donne, mogli o mamme di mafiosi, degne di ammirazione per i sacrifici che fanno. Se qualcuno avesse riferito di avermi visto a Mondello con qualche ragazza, mia moglie gli avrebbe risposto che sicuramente si trattava della moglie o della sorella di qualche amico latitante. Si tratta però di regole non fisse: ricordo, infatti, che nella famiglia di Pippo Calò due o tre persone avevano amanti (veniva chiamata la "famiglia Pag. 1239 degli spazzini" perché non aveva moralità); in seguito, Luciano Liggio si è preso un'amante con la quale ha avuto un figlio, non solo, ma si trattava di una donna malata (mi pare che fosse spastica). Ciò non gli ha procurato alcuna conseguenza; però, se si fosse trattato di un'altra persona, sarebbe stata messa fuori dalla famiglia o addirittura uccisa. All'immagine, comunque, si è sempre tenuto, perché se ad esempio io rimprovero, cerco di uccidere o costringo un ragazzo a sposare una donna solo perché è stato il suo fidanzato, devo essere il primo, nel quartiere - dove il mafioso è guardato bene dagli uomini e dalle donne - a rappresentare un esempio. PRESIDENTE. Ciò serve anche al prestigio del mafioso. GASPARE MUTOLO. Certo. Inoltre, al mafioso che ha l'amante potrebbe nascere un bambino che gli procurerebbe delle nuove responsabilità: ciò non è ammesso; però avviene e in genere si fa finta di non saperlo. PRESIDENTE. E' a conoscenza di casi un cui qualcuno non è stato combinato ed è rimasto affiliato perché l'uomo d'onore voleva avere un rapporto personale con questa persona? Per esempio, se non ricordo male, Calderone sostiene che Santapaola non aveva combinato Costanzo per avere con lui un rapporto particolare e non farlo entrare nel giro della famiglia, altrimenti tutti gli uomini d'onore avrebbero potuto chiedere favori a Costanzo. Le risulta questo? GASPARE MUTOLO. A me non risulta. Per esperienza diretta so che ci sono personaggi anche a Palermo, certo non al livello di Costanzo ma importanti, che per motivi di posti e luoghi pagano le tangenti. Però, non è che hanno contatti con tutti i mafiosi dei diversi luoghi: per esempio, se conosco una persona che ha uno stabilimento a Partanna Mondello, con delle succursali a Palermo o a Catania, posso dire ad altri uomini d'onore: "Questo ha una bottega nel tuo territorio, quanto deve pagare?". Se deve pagare una certa cifra, dico: "Va bene, ogni mese avrai una certa cifra" e non c'è bisogno che un altro entri in contatto con chi paga. Questa è una regola: quindi, non è che necessariamente, per non essere avvicinato da un altro uomo d'onore, non si deve essere combinato. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come i corleonesi sono diventati progressivamente così forti dentro Cosa nostra? Lei ha già spiegato che, verso il 1980-1981, Riina era diventato quasi il padrone di Cosa nostra. GASPARE MUTOLO. E' successo nel corso degli anni: per esempio, nella famiglia della Noce comandava Totò Scaglione, ma c'era la spaccatura con gli Anselmi, gli Spina e i Ganci, diciamo, da Stefano Bontate. C'era poi un infiltrato, Giovanni Pollarà, nipote di un certo Brusca di San Giuseppe Jato. Addirittura, avevano quasi fatto mettere contro i due fratelli Giovanni e Stefano, perché Giovanni Pollarà era molto legato a Giovanni Bontate. Effettivamente, Salvatore Riina garantiva le persone che aveva vicino, non le trascurava. Mi ricordo, per motivi di comando, quello che ha passato lo Scaglione con i Ganci e Raffaele. Però, li metteva fuori famiglia. Salvatore Riina diceva sempre: "Guardate, se uccidete qualcuno, io vi ammazzo". Non permetteva che qualcuno potesse uccidere i suoi avvicinati; portava sempre avanti questa corrente. C'erano poi anche motivi personali: per esempio, Montalto oppure Buscemi erano personaggi che avevano aspirazioni di comando ma venivano soffocati da altri. Nella famiglia di Passo di Rigano, per esempio, fino a quando comandava Salvatore Inzerillo, tutti gli altri non contavano niente. Lo stesso era in tutti i posti: quindi, c'era malumore e sete di potere, anche se non si manifestava. Per l'esperienza che ho, si arriva ad un certo punto nel quale i soldi non interessano più e si vuole comandare, probabilmente Pag. 1240 per avere prestigio ed essere importante: però, nello stesso tempo, ci sono altre persone che potrebbero emergere e vengono soffocate dalla figura più forte. Quindi, se non c'è un rapporto effettivamente amichevole, o affettuoso... Riina ha scavato e trovato nel tempo quelle persone che, per un motivo o l'altro, potevano non andare d'accordo con i loro rappresentanti. PRESIDENTE. Quindi, è cresciuto così? GASPARE MUTOLO. Sì, in tutte le famiglie è andata così. PRESIDENTE. E' possibile che la qualità di uomo d'onore possa essere tenuta riservata nei confronti degli altri? GASPARE MUTOLO. Sì, sempre però nell'ideologia e nelle abitudini dei corleonesi. PRESIDENTE. Le risulta che Badalamenti avesse combinato qualcuno e non lo dicesse? GASPARE MUTOLO. No, Badalamenti non aveva questa mentalità, come nessuno di noi l'aveva. Eravamo molto aperti; anzi, quando si combinava qualcuno, si aveva il piacere di presentarlo... PRESIDENTE. Per quanto riguarda il rapporto di Badalamenti con Ignazio Salvo? GASPARE MUTOLO. Vorrei rispondere dopo, per finire adesso quanto stavo spiegando. Ho visto soltanto un caso, perché mi ci sono trovato; poi con il tempo ho conosciuto la persona, con la quale ho avuto anche rapporti di Cosa nostra, che era stata combinata nella famiglia di Badalamenti e non era stata presentata perché c'era un preciso ordine al riguardo. Questa indicazione era venuta da Salvatore Riina, perché vi era stato a Monreale il sequestro di un certo Madonia... PRESIDENTE. In che anni siamo? GASPARE MUTOLO. A metà degli anni settanta. Era stato arrestato un certo Martello Mario mentre stava facendo una telefonata; aveva un bigliettino ma era riuscito a buttarlo. Comunque, vi erano telefonate registrate: quindi, cosa pensò il cervello di Salvatore Riina? Di combinare un grosso professionista, un medico che opera la gola. A questa persona si lasciò la scelta di essere combinato da Gaetano Badalamenti (perché allora Totò Riina era importante ma non si sapeva) o da Michele Greco. Io mi sono trovato a saperlo per caso perché passarono da Salvatore Inzerillo un certo Leonardo Rimi (che poi è stato ucciso) e Gaetano Badalamenti con il dottore. Siccome Gaetano Badalamenti ci vide tutti fuori (me, Saro Riccobono, Inzerillo, altri latitanti, che prendevamo tranquillamente il sole) ci disse che stava andando a Favarella per combinare questo professionista al quale si lasciava il compito di scegliere. Abbiamo saputo dopo che aveva scelto Gaetano Badalamenti perché avevano rapporti amichevoli: per un certo periodo, in pochissimi conoscevano questa persona, che però era stata combinata solo ed esclusivamente per fare un'operazione alla gola di Martello in modo che dalla perizia fonetica risultasse che non era stato lui a fare quella telefonata. A volte succede che dei professionisti vengono affiliati con l'imposizione: conosco questo fatto specifico, nel quale non c'era alcun motivo di affiliare una persona che era brava e non tanto giovane, per cui non poteva servire per sparare. Però, serviva e in quell'occasione hanno escogitato di combinarla. PRESIDENTE. E lui ha accettato? GASPARE MUTOLO. Sì. Pag. 1241 PRESIDENTE. Poteva rifiutarsi di accettare, secondo lei? GASPARE MUTOLO. Rifiutare è pericoloso. Mettiamoci nelle condizioni di chi viene portato in una masseria e sente questo discorso: "Senti, tu hai mai sentito parlare della mafia?" Quello, magari, risponde di no; allora gli dicono: "Guarda che la mafia esiste; la mafia siamo noi e tu ora devi entrare a far parte della mafia. Sei contento o no?" Io penso che nessuno risponderebbe: "No, sono scontento". Mi metto anche nelle condizioni di una persona che si trova di fronte a questa realtà. PRESIDENTE. Favori di questo tipo vengono fatti, tra i vari professionisti, soltanto da quelli combinati o no? GASPARE MUTOLO. Certo, per quelli combinati è un obbligo... PRESIDENTE... un dovere. GASPARE MUTOLO. E' un dovere, non possono dire di no. Ma grossi professionisti, anche in una maniera un pochino..., li fanno pure. Anche se non è un obbligo, però... stiamo sempre là: per la questione ambientale, per la persona che ci va a parlare. I professionisti purtroppo conoscono la realtà. Se si presenta una persona che chiede il favore di curare un ferito, non possono dire no, perché sanno che quel "no" può essere fatale. Il "sì" li coinvolge e diventano amici; il "no" può essere fatale. Si dice: "Perché mi dici no?". Questo può andare a denunciare e in più, se è sgarbato, ci sono due motivi per eliminarlo. PRESIDENTE. Senza fare nomi di persone fisiche, vi sono molte persone delle diverse professioni che sono dentro o molto vicine a Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Molti dentro Cosa nostra no; molto vicini a Cosa nostra sì. PRESIDENTE. Senza fare nomi, che tipo di professioni sono? GASPARE MUTOLO. Qualsiasi professione: medici, avvocati, imprenditori... PRESIDENTE. Commercialisti? GASPARE MUTOLO. Molto vicini sì; sono persone di fiducia. PRESIDENTE. Magistrati? GASPARE MUTOLO. Molto vicini sì. PRESIDENTE. Combinati? GASPARE MUTOLO. No, io non ne conosco. PRESIDENTE. Poi torneremo su questo. Quali sono le novità più importanti introdotte dai corleonesi nella struttura tradizionale di Cosa nostra? Mi pare che cambia man mano che entrano i corleonesi... GASPARE MUTOLO. Non ho capito, presidente. PRESIDENTE. Lei ha detto che i corleonesi cambiano alcuni caratteri di Cosa nostra: Riina ha i suoi uomini di fiducia dentro le famiglie, sostanzialmente decide lui, fa anche uomini d'onore senza comunicarlo all'esterno. Questo cambia le regole? GASPARE MUTOLO. Cambia l'atteggiamento... PRESIDENTE. Questo volevo capire. GASPARE MUTOLO. L'atteggiamento cambia ed è cambiato. Se ora la mafia si trova ad avere collaboratori, si può dire: non li ha avuti pure prima? Sì, magari prima si poteva pensare che il collaboratore parlasse soltanto per avere un qualche vantaggio. Pag. 1242 Parlo del caso mio perché non so portare paragoni appropriati. La mia non è una questione di guadagno, perché con facilità ci perderò; spero di no, ma nelle previsioni c'è il fatto che posso perdere e perdere molto, a parte i rischi... E' stato per questo cambiamento che ha portato Totò Riina. Forse uno collabora perché è completamente stanco o perché vuole cambiare. Prima di collaborare mi hanno anche proposto di andarmene fuori. Mi hanno detto: "Tu te ne vai via all'estero". Io all'estero non ci vado, anzi se mi dite che si prevede che io debba andare all'estero non collaboro per niente! Il mio sogno, la mia speranza, la mia ragione di vita è quella di andare a Mondello con le persone che conoscevo, prendermi un gelato nella piazza di Mondello; andare a Partanna Mondello e dire: "Ecco, lo Stato finalmente mi aiuta; è riuscito a portare le cose buone così come ognuno spera". Fin quando non posso andare a Mondello, a Pallavicino a prendermi un gelato con le persone che conoscono quello che ero prima e quello che sono ora... desidero avere questa possibilità, la mia speranza è questa. Non sto facendo questo perché mi conviene. Spero soltanto da quando mi sono messo a collaborare perché la mafia non era come ora, non aveva ricevuto questi colpi terribili; le leggi sono cambiate, c'è una decisione più ferma, più forte, c'è maggiore continuità. Ricordo che un anno fa qualche persona qui presente - molto spesso la vedevo parlare alla televisione - non conosceva veramente la realtà, i problemi. Io purtroppo li conosco, per cui ho affrontato, sto affrontando ed affronterò questa cosa con una certa tranquillità perché il mio sogno è quello non di andare in America, né in Australia: è quello di andare a Pallavicino a prendermi un gelato tranquillamente, pacificamente. PRESIDENTE. Lei ha prospettato il problema dei collaboratori. Dentro Cosa nostra che cosa si diceva del collaboratore? GASPARE MUTOLO. Il primo collaboratore è stato un disastro, Vitale... PRESIDENTE. Per Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. No, per la magistratura, per le istituzioni. Non si è voluto credere e forse quello è stato uno dei collaboratori più genuini perché scappò e si andò a rifugiare dentro una caserma. Il cugino di Vitale Leonardo era andato a prenderlo per discutere sul modo di aggiustare una dichiarazione di una macchina data da Scrimi; Vitale scappa dal cugino mafioso e si va a rifugiare dentro una caserma, scappa dalla mafia e se ne va "nello Stato". Mi esprimo male, scusate... PRESIDENTE. Si esprime benissimo. GASPARE MUTOLO. Questo parla, però viene preso per pazzo, non viene creduto in niente, finché la mafia lo ammazza. Io ero tranquillo, ero pacifico, erano discorsi che si sentivano, che facevamo, che il Vitale anche fra trent'anni era una persona che comunque doveva morire ammazzata. La mentalità era quella. ALTERO MATTEOLI. Che anno era? GASPARE MUTOLO. Siamo nel 1973 perché mi ricordo che, mentre partivo da Palermo con la mamma di Saro Riccobono, per la prima volta all'aeoroporto mi chiedono i documenti. Siamo nel 1973; gli sviluppi sono seguiti nel 1974-1975. Come mafiosi abbiamo questa sicurezza: i collaboratori non sfondano. Poi vi è l'altra realtà di Buscetta e di Contorno; però c'era stato sentore di qualche altro collaboratore; anche da Corleone, se non sbaglio, c'era un certo Screva. Ma non erano ascoltati, perché non si era presa coscienza di quello che realmente era la mafia e vi erano anche le raccomandazioni; era tutto qua. Se infatti una persona diceva "può darsi che Tizio abbia fatto questo omicidio", se il magistrato aveva la raccomandazione di un suo amico diceva che non era possibile, che quella persona era pazza. Pag. 1243 Certo, nella realtà più recente di Contorno e di Buscetta, che sono quelle più attuali, la mafia ha capito che questi colpi possono lasciare qualche segno, quindi si studiava la strategia. Qual era? Quella di denigrare queste persone, tentando in tutti i modi di farle apparire come bugiarde. Una persona che parla di un fatto particolare, può specificare. Certo, parlando di 30, 50 anni di mafia, su mille casi qualche sbaglio può essere commesso. PRESIDENTE. Come si fa a screditare una persona, a farla apparire bugiarda? GASPARE MUTOLO. Sono strategie che si studiano tra il detenuto e l'avvocato. E' qui presente l'onorevole Biondi che so essere un bravissimo avvocato. Io mi consulto con l'avvocato il quale, quando fa il suo mestiere, è un consigliere. Se assumo un avvocato e lo pago, egli ha principalmente il dovere di trovare la formula per... PRESIDENTE. Per tirarla fuori. GASPARE MUTOLO. Il modo di tirarmi fuori. Quindi, è un consigliere: cioè, nei punti sui quali un collaboratore può essere attaccato, si cerca di farlo, elaborando una strategia. PRESIDENTE. Si è mai discusso all'interno di Cosa nostra in merito all'esercizio di pressioni od all'utilizzo di giornali a questo scopo? GASPARE MUTOLO. Non ho capito. PRESIDENTE. Si è mai discusso all'interno di Cosa nostra della possibilità di utilizzare giornali o giornalisti per screditare un pentito? GASPARE MUTOLO. Il giornalista può cadere in buona fede; lei sa che tra i giornalisti vi sono persone che sono in amicizia con personaggi che possono avere un interesse ad attaccare qualche persona e, quindi, il giornale si presta con facilità, ma non solo il giornale: possono esserci anche persone le quali sanno che qualcuno dice la verità; purtroppo, la verità a volte fa male e per salvare una persona, magari perché è importante, cercano di screditarlo in tutte le cose. I giornalisti, almeno, scrivono quello che sentono, quello che gli si dice. Possono essere più incisive le persone che sanno e trovano le strategie come... Ora so che a Palermo si sta cercando una strategia per combattere i pentiti e so che non si vuole combatterli cercando di screditarli, cioè sostenendo che stanno dicendo il falso, perché sanno che falso ormai... PRESIDENTE. Certo. GASPARE MUTOLO. Però stanno cercando di alzare dei polveroni, magari di coinvolgere altri personaggi puliti più importanti e dire: "Guarda che il personaggio pulito sta chiamando me, allora sono tutti falsi...", oppure portare un'indicazione - non mi so spiegare bene... PRESIDENTE. Si spiega benissimo. GASPARE MUTOLO. ... sotto un aspetto diverso in modo che dica: "Sono tutte bugie; ho fatto questo non perché facevo male, ma perché me lo hai detto tu e tu sai che era una cosa tranquilla e pulita. Quindi, quello che stai dicendo tu è falso". Non posso però essere più preciso perché, purtroppo, sono notizie che arrivano e non voglio... Però, di personaggi importanti, non dell'ambiente mafioso, di professionisti. PRESIDENTE. Che lei sappia, vi sono giornalisti "combinati" o molto vicini a Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Non so di giornalisti molto vicini o combinati; so che qualche giornalista è stato ucciso perché si accaniva a scrivere contro la mafia. Pag. 1244 PRESIDENTE. A chi pensa in particolare? GASPARE MUTOLO. A De Mauro ed a Mario Francese. Tutti e due sono stati uccisi per questi discorsi. PRESIDENTE. Furono uccisi per quello che scrivevano? GASPARE MUTOLO. Il De Mauro è stato strangolato, il Francese è stato ucciso... PRESIDENTE. Gli hanno sparato. GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di ambasciatori di Riina? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Qual è il ruolo delle famiglie di Catania all'interno di Cosa nostra? E' lo stesso di quelle di Palermo? GASPARE MUTOLO. La struttura della famiglia è uguale a quella di Palermo: c'è un rappresentante, un consigliere... PRESIDENTE. Chi è il rappresentante? GASPARE MUTOLO. Ora è Nitto Santapaola. Prima, parlo di quando c'era Giuseppe Calderone, conoscevo lui. Ho conosciuto anche Nitto. Le strutture sono uguali ma, lo ripeto, la mafia si concentra a Palermo; la decisione, per tradizione, è Palermo sia perché ha quei famosi capi mandamento che, quando si siedono, decidono... PRESIDENTE. Le famiglie di Catania svolgono un compito particolare all'interno di Cosa nostra? Da alcuni processi ci sembra sia risultato, per esempio, che molte volte armi od esplosivi passassero, sostanzialmente, attraverso le mani di Santapaola. Questo era un caso? GASPARE MUTOLO. Era un caso. PRESIDENTE. Non ci sono divisioni di compiti? GASPARE MUTOLO. Non ci sono divisioni di compiti. Si vede che dove - diciamo lui, ma chi per lui - andavano a caricare la morfina o l'hashish c'erano delle armi ed allora le compravano. Questo poteva succedere a Trapani, accade molto spesso a Napoli, succede a Palermo, eccetera. PRESIDENTE. E tra regioni, per esempio tra la Sicilia e la Calabria, che rapporti ci sono? GASPARE MUTOLO. Tra la Sicilia e la Calabria fino al 1982, fino al 1988, che io sapessi, vi era una certa cordialità, si facevano favoritismi: personaggi importanti della Calabria potevano andare a Palermo per qualche favore ed anche siciliani potevano andare in Calabria. L'ho sentito nel 1989-1990; ma non ne ho una conferma ben precisa: me lo disse un amico, un certo Condorelli che poi è morto. Gli hanno sparato dov'ero io... PRESIDENTE. Questo Condorelli era di Catania? GASPARE MUTOLO. Sì. Per motivi logistici, avevano creato in Calabria qualche famiglia mafiosa e qualcuna anche in Sardegna, ma non ho notizie precise. Queste cose le disse a me per mettermi sull'avviso perché sapeva che ero in contatto con calabresi e con sardi. Mi disse: "Sta' attento che ti possono fregare perché magari tu immagini che il pericolo può venire solo da Palermo o da Catania invece..." PRESIDENTE. Ho capito: quando lei temeva per la sua vita. GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione quale sia il peso delle diverse Pag. 1245 province siciliane all'interno di Cosa nostra? Lei ha detto che quella di Palermo è la più importante. GASPARE MUTOLO. La provincia di Palermo è la più importante in assoluto, dopo c'è Agrigento. Caltanissetta è stata sempre molto vicina ai palermitani e con personaggi importanti. Non so: tra Palermo e Trapani... Tra Palermo e Catania non... A Trapani non si dà tanto peso perché più che altro sono le province che hanno comandato... PRESIDENTE. A Trapani non si dà tanto peso? GASPARE MUTOLO. A Trapani città non si dà tanto peso e lo stesso a Catania, perché si è detto sempre che il modo di fare e di comportarsi di queste due province, sia Trapani sia Catania, è diverso da quello dei palermitani. Le origini di qualche uomo d'onore... A qualcuno piaceva avere delle amanti o bazzicavano delle donne... Lo stesso a Trapani. Per questo si tratta di province alle quali non si è mai dato tanto peso. Logicamente un uomo d'onore, anche di Catania... Ma le singole persone, non è come Catania... Certo, ora c'è Santapaola che è importante, ma non potrà mai diventare un Salvatore Riina o un Brusca: è da escludere completamente. PRESIDENTE. Questo concetto è abbastanza chiaro. Vorrei chiederle un'altra cosa: che lei sappia... GASPARE MUTOLO. Non vorrei che qualche commissario fosse di Catania. PRESIDENTE. In genere noi siamo dall'altra parte. Ha mai sentito parlare di organizzazioni mafiose a Barcellona Pozzo di Gotto? GASPARE MUTOLO. Ho sentito parlare di alcuni gruppi che prima erano molto vicini ai palermitani. Mi riferisco a quei paesini prima di Barcellona salendo da Palermo che si affacciano sul mare, quale Tortorici. So che vi sono ancora personaggi importanti ed ho avuto modo di parlarne fino a poco tempo fa in galera con alcuni condannati di Barcellona. Prevalentemente l'amicizia con i palermitani l'avevano i barcellonesi finalizzata al contrabbando. Questi gruppi sono più vicini a quelli calabresi; le organizzazioni messinesi, barcellonesi sono più vicine ai calabresi che non ai palermitani. Ripeto che i palermitani hanno sfruttato queste organizzazioni per lungo tempo per il contrabbando delle sigarette: si trattava infatti di coste tranquille ove poter effettuare questo traffico. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del "malpassotu"? GASPARE MUTOLO. Sì, l'ho conosciuto personalmente. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione che peso ha? GASPARE MUTOLO. Non lo conosco come uomo d'onore, bensì per il fatto di essere stato in prigione con lui. So che è una persona molto vicina a Santapaola e sicuramente avrà organizzato con lui qualche famiglia, in quanto ho sentito dire che sono state create delle famiglie nel circondario di Catania. Il "malpassotu" per un certo periodo è stato amico di Giuseppe Calderone e le ultime notizie che avevo fuori (dal Condorelli e da altre persone di Catania) mi indicano che rappresenta il punto di appoggio più forte che il Santapaola ha in quelle zone. Santapaola ha infatti un gruppo di ragazzi molto valido che sanno ben sparare e che si buttano allo sbaraglio. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di Milone e di Chiofalo? Sono persone che operano in quella zona! GASPARE MUTOLO. Conosco Carmelo Milone il quale, fino a poco tempo fa, aveva un'imputazione; insieme a Chiofalo comandava da una certa frazione a Barcellona Pozzo di Gotto. PRESIDENTE. Erano loro i capi? Pag. 1246 GASPARE MUTOLO. Più che altro lo era Milone. PRESIDENTE. Facevano parte di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Sa cosa vuol dire essere "fuori confidenza"? GASPARE MUTOLO. Non lo so. PRESIDENTE. Cosa vuol dire: essere stato "posato"? GASPARE MUTOLO. Quando uno viene messo fuori famiglia, come è accaduto a Gaetano Badalamenti, si dice che è stato "posato": "Mettiti qua, fatti i fatti tuoi, non parlare più di Cosa nostra". PRESIDENTE. In Sicilia esiste una commissione regionale? GASPARE MUTOLO. A Catania, ad Agrigento, a Caltanissetta, a Trapani vi erano alcuni rappresentanti tra cui ho conosciuto un certo Cannizzaro, con il quale siamo stati processati insieme per traffico di droga, rappresentante della provincia di Catania nel 1982. Ho conosciuto poi sia Settecase sia Vincenzo Colletti di Agrigento. PRESIDENTE. Le risulta comunque l'esistenza di un organismo regionale? GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare a carattere generale e non come una cosa concreta. Quando in una provincia sorgevano problemi veniva una certa persona. Per esempio, per un certo periodo a Palermo venne Settecase a dirci che ad Agrigento erano sorti alcuni problemi. Ciò per avere delle indicazioni non con un ruolo decisionale. Uguale è Catania. Sapevo quindi che esisteva un organismo del genere, però, pur conoscendo tre personaggi, non si dava tanto peso a chi veniva dalle altre province. PRESIDENTE. Quindi è Palermo che comanda. GASPARE MUTOLO. Indiscutibilmente, non vi è paragone con le altre province! PRESIDENTE. Torniamo per un momento nella zona messinese. Ha mai sentito parlare di un certo Galati Giordano Orlando, detto Nino "u ssuntu"? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Le risulta che a Messina vi sia un rappresentante provinciale di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. No, di Cosa nostra no, so che vi sono persone vicine a Cosa nostra, che sono stati creati dei gruppi, però questa zona si avvicina più alla Calabria che non all'ambiente mafioso palermitano. PRESIDENTE. Nei primi anni settanta vi era stato un progetto di Cosa nostra volto ad uccidere uomini delle istituzioni? GASPARE MUTOLO. Verso il 1974-1975 si pensò di cercare in qualsiasi modo di parlare con i giudici, con i poliziotti, anche perché si era stanchi di tutta questa forma di associazione che si inventavano i vari commissari ed i vari marescialli. Ricordo che nel 1963-1964 la polizia aveva studiato un metodo molto efficace: se a Pallavicino veniva uccisa una persona, il commissario arrestava tutti i mafiosi imputandoli di omicidio e di associazione. Intanto costoro scontavano tre anni di galera, dopo di che si pensava sul da farsi. A quell'epoca quasi tutti i mafiosi erano in galera. Dopo, forse presi da quanto accadeva in Italia con il terrorismo, si cambiò metodo di lotta. Ricordo che a quell'epoca fui processato insieme a Riccobono ed a Micalizzi e pochi giorni prima al tribunale fu esposta la bara contenente le spoglie di Terranova. Avevamo i migliori avvocati di Palermo e d'Italia i quali nel difenderci non ci hanno disegnati come impiegati o galantuomini ma hanno detto: "Se ancora Pag. 1247 oggi possiamo uscire la domenica con i bambini e andare in chiesa o in piazza è grazie a queste persone". Dico ciò per far compredere la mentalità. PRESIDENTE. Perché nelle altre città vi era il terrorismo? GASPARE MUTOLO. Sì. Sia per ciò che avveniva nel resto d'Italia sia perché le persone si conoscevano. Se si fosse trattato di un impiegato di banca, l'avvocato non avrebbe detto in tribunale: "Se ancora oggi possiamo uscire la domenica...". Questo per comprendere la mentalità che si aveva del mafioso in quel periodo. Però, quelli che comandavano erano stanchi di subire questa applicazione. PRESIDENTE. Quelli che comandavano all'interno di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Certo. Ovviamente non assistevo a tutti i discorsi per cui riferisco ciò che ho sentito dire. Si decise di assoggettare o di uccidere dei magistrati facendo il seguente ragionamento: "Se quando è commesso un omicidio viene un commissario e ci porta tutti in galera, tanto vale stare in galera perché ammazziamo uno di questi..." (vi erano persone più moderate ed altre più aggressive che volevano ammazzare tutti, pensando che peggio di questi non ne sarebbero potuti venire). Si fece quindi un'opera di intimidazione: ricordo che, con un certo Micalizzi, bruciai due macchine di un avvocato a Pallavicino. PRESIDENTE. Perché proprio ad un avvocato? GASPARE MUTOLO. Nel progetto erano compresi anche avvocati e magistrati. PRESIDENTE. Ma gli avvocati non vi aiutavano? GASPARE MUTOLO. Secondo noi avrebbero potuto fare di più. PRESIDENTE. E non lo facevano. GASPARE MUTOLO. Secondo noi non facevano tutto quello che avrebbero dovuto fare. Tra i poliziotti si dovevano uccidere quelli che comandavano a Palermo. PRESIDENTE. Chi erano? GASPARE MUTOLO. In quel periodo c'erano Boris Giuliano, De Luca, Contrada, il capitano Russo, cioè coloro che davano più fastidio a Cosa nostra. PRESIDENTE. Cosa faceste, li intimidiste prima o li uccideste direttamente? GASPARE MUTOLO. Sono stato arrestato nel 1976 e già questi obiettivi erano stati individuati. Il bar dove è stato ucciso Giuliano (che abitava lì) era di un mio cugino ed io avevo il compito di osservare quando egli scendeva: riferii infatti che ad una certa ora andava a prenderlo una macchina con una sola persona. Per quanto riguarda De Luca, riuscimmo ad individuare dove abitava; si scoprì anche dove si recava il dottor Contrada. Successivamente sono stato arrestato e alcune di queste persone sono state uccise. PRESIDENTE. Una sola è stata uccisa: Giuliano; e in seguito anche Russo. Si è chiesto perché gli altri due non siano stati uccisi? GASPARE MUTOLO. Nel 1981, quando sono uscito dal carcere, ho chiesto come mai alcuni - e mi riferisco al dottor Contrada - non fossero stati uccisi. PRESIDENTE. La Commissione già conosce le sue dichiarazioni. GASPARE MUTOLO. Io ero stranizzato per il fatto che Contrada, capo della squadra mobile, fosse ancora vivo, ma Riccobono mi disse di non preoccuparmi perché "Contrada è nelle nostre mani; anzi, se ti fermano, chiama lui e se ti portano in questura dì che lui sa". Pag. 1248 PRESIDENTE. Chiese anche di De Luca? GASPARE MUTOLO. Se De Luca non se ne andava, sarebbe morto. Stando a quello che hanno detto a me, se ne è andato proprio perché ha capito che Riccobono gli dava la caccia. So che è uno di quelli che si sono salvati in extremis. PRESIDENTE. Andò a Catania? GASPARE MUTOLO. A Milano e a Catania, ma l'importante non era questo. PRESIDENTE. E il dottor D'Antone? GASPARE MUTOLO. Non vi era il progetto di ucciderlo. Si trattava di una persona buona nel senso che se gli si diceva qualcosa ... PRESIDENTE. Non era particolarmente dannoso per voi. GASPARE MUTOLO. Sì, non era aggressivo. PRESIDENTE. Come era invece Giuliano. GASPARE MUTOLO. Esatto. Oppure non gli si dava peso anche perché, se non erro, in quel periodo, il dottor D'Antone era nella buoncostume e quindi non gli si dava peso come se fosse stato nella squadra catturandi. Quindi a noi non interessava se andava ad arrestare... PRESIDENTE. Il progetto non era tanto di uccidere quanto di risolvere un problema costituito dal fatto che contestando l'associazione per delinquere si procedeva a numerosi arresti. Per cui o si intimidiva la gente e questa cambiava strada oppure si uccidevano. GASPARE MUTOLO. So che Stefano Bontate è stato il primo ad entrare in contatto con il dottor Contrada tramite il conte Arturo Cassina. Non so quali fossero i loro rapporti di amicizia però dopo il sequestro del figlio, Cassina era impaurito e si era affidato alla protezione della mafia, tanto che un certo Giovanni Teresi, da sempre sottocapo della famiglia di Stefano Bontate, era la persona di fiducia del conte. I rapporti si sono creati in questa maniera. La mafia non uccide per il gusto di uccidere, anzi se può cerca di evitarlo. Si arriva all'omicidio quando si vede un nemico, quando si individua in una determinata persona un pericolo. PRESIDENTE. Avevate mai parlato fra voi del questore Immordino? GASPARE MUTOLO. Le posso dire che si parlava di questi poliziotti competenti che erano al vertice della questura; poi c'erano i magistrati, ai quali, se non si aggiustavano, si dovevano spaccare le gambe, o qualcos'altro. Anche gli avvocati dovevano imparare a mettere la testa a posto. PRESIDENTE. Gli avvocati dovevano essere più agguerriti? GASPARE MUTOLO. Sì; infatti, dopo le cose sono un po' cambiate. Gli avvocati sono persone a contatto con gli imputati: sono stati i primi a dire: "Sì, ora facciamo, ora cerchiamo".... Per loro tramite, si arrivò a parlare con qualche magistrato; infatti, tacitamente si raggiungeva qualche risultato, non si parlava più di processi per associazione. Anche se nessuno lo diceva, la polizia non faceva i verbali, il magistrato non li chiedeva: per un certo periodo andò bene. PRESIDENTE. A questo proposito, anticipando una questione sulla quale torneremo, le domando: quando arrivò a Palermo il giudice Chinnici, mi sembra che cominciarono nuovamente i processi per associazione e che vi fu una protesta. Lo ricorda? GASPARE MUTOLO. Già noi sentivamo che il Chinnici era una delle persone che, insieme con qualche altro Pag. 1249 poliziotto, voleva riattivare nuovamente i processi per associazione mafiosa. Sin dal 1982 (quando ero ancora libero), si diceva che si stava cercando di uccidere il dottor Chinnici, perché si ventilava che c'erano due rapporti che la polizia o i carabinieri stavano facendo, ed era venuto all'orecchio di qualcuno (ma poi ce lo dicevano a tutti) che, se il giudice istruttore per i due rapporti fosse stato Rocco Chinnici, avrebbe fatto i mandati di cattura. Senza conoscere il dottor Chinnici e senza sapere dove abitava, tramite Saro Riccobono so però (anche se non sicuramente, si potrebbe accertare) che il giudice si stava facendo un villino nella zona di Cardillo sulla montagna e che un certo Spatola Bartolomeo andava a controllare. Non si fece saltare in aria il giudice in quel periodo perché tre persone della scorta andavano a controllare a terra e fra i cespugli. Dopo mi hanno arrestato e non ho più seguito... PRESIDENTE. Quindi, non si fece saltare in aria prima il dottor Chinnici a causa della scorta che andava a perlustrare il posto, o per non far saltare in aria anche la scorta? GASPARE MUTOLO. Principalmente per la scorta: erano due aspetti che coincidevano. La scorta andava prima del dottor Chinnici: c'erano tre persone che controllavano, come vedeva questo che guardava da lontano con il cannocchiale. Forse, se il giudice fosse andato insieme con la scorta, si sarebbero fatti saltare in aria: però, i poliziotti o i carabinieri andavano prima del giudice per controllare. PRESIDENTE. Le risulta che ci sia stata una protesta degli avvocati contro il dottor Chinnici perché si rifacevano i processi per associazione? GASPARE MUTOLO. Non mi risulta. PRESIDENTE. L'omicidio di Terranova, se non erro nel 1979, rientra in questo quadro o appartiene ad un altro tipo di motivazione? GASPARE MUTOLO. L'omicidio di Terranova non rientra nel disegno del 1975-1976 ma rientra sempre nel quadro per il quale, nel momento in cui una persona prende corpo e si vuole prendere la briga di combattere la mafia, se è possibile, si elimina. PRESIDENTE. Può spiegare meglio come si decide un omicidio? Lei, parlando con i magistrati, ha detto che ci può essere anche una notevole distanza di tempo fra il momento in cui si decide ed il momento in cui si realizza l'omicidio. Una cosa è certa: che quando si decide si fa. GASPARE MUTOLO. Faccio un esempio: Mutolo per adesso sta collaborando e sta recando un danno alla mafia. Certamente, se fossi a Palermo, sia in caserma, sia in traduzione, qualcuno tirerebbe un colpo di missile. Per la mafia, la cosa più impegnativa è individuare l'obiettivo, non colpirlo; non è un problema colpire, almeno a Palermo, mentre in Italia può essere diverso. Nel mio caso si rischia, perché sono un pericolo continuo in quanto si va avanti ma io sto continuando a parlare. Se invece avessi parlato e mi fossi fermato, la decisione di uccidermi ci sarebbe stata lo stesso ma non vi sarebbe stata premura: quando capitava il momento più opportuno, sarebbe arrivato il "colpettino". A volte si aspetta che in Italia succeda un fatto eclatante per dare un "colpicino" da far passare alla chetichella. Qualche volta i giornalisti non hanno da fare e allora si concentrano su quello che succede; se, però, avviene in Italia un fatto importante, qualcos'altro giù a Palermo può passare più inosservato. PRESIDENTE. Come viene presa la decisione: si riunisce la commissione? GASPARE MUTOLO. Si deve riunire la commissione; si riunisce per parlare dei problemi da affrontare: non c'è necessariamente una persona che deve scegliere o incaricata di individuare gli obiettivi da colpire. No, gli obiettivi si Pag. 1250 sanno: se mi risulta che un avvocato cerca di fare il doppio gioco (con la polizia, non con i magistrati), porto il caso in commissione e l'avvocato viene ucciso. Se questo ha in mano un personaggio importante o può uscire qualcosa di importante, si uccide subito; altrimenti si aspetta il momento in cui la persona può essere un po' denigrata. PRESIDENTE. Che lei sappia, o possa ritenere, ci sono oggi persone per le quali è stato deciso l'omicidio e non è stato ancora eseguito? GASPARE MUTOLO. Sissignore, e credo più di una. PRESIDENTE. Quando la decisione riguarda non la persona che ha fatto una cosa specifica ma un uomo politico come La Torre o Mattarella, si svolge una discussione politica al riguardo, oppure no? GASPARE MUTOLO. Certo, io non la so fare, ma fra personaggi mafiosi, logicamente, si parla qualche volta di politica. Comunque, a Palermo, non è che di politica ce ne intendiamo tanto: a volte, andavo a Milano e vedevo persone che parlavano di politica nella piazza, mi meravigliavo e dicevo a mio cognato: "Ma sono pazzi, o scemi, qua tutti parlano!" A Palermo, che capiscono di politica? A Palermo votano per comodità, per un favore, perché magari si portano i trenta litri di benzina o si regala il buono da centomila lire per fare la spesa. Certo, ora ho letto che ci sono molti giovani che si riuniscono. Vent'anni fa in politica per noi uno valeva l'altro. Noi conoscevamo la politica che dovevamo fare, poi non ci interessava... anche perché non capivamo, non si sapeva quali problemi erano... a questa politica non ci si dava peso. Si viveva un'altra realtà... PRESIDENTE. La cosa che a noi interessava era questa: nella commissione si fa una discussione anche politica sulle persone da uccidere? Quando si tratta di uccidere uomini politici come Mattarella o La Torre, si fa una valutazione anche politica della persona? GASPARE MUTOLO. No, no! PRESIDENTE. Non che lo si uccide perché è di un partito, non voglio dire questo! GASPARE MUTOLO. Si fa la valutazione per il danno che quella persona può fare. PRESIDENTE. Il problema è il danno... GASPARE MUTOLO. ... non se quello è politicamente più bravo. Non avevo capito... PRESIDENTE. Non mi sono spiegato bene io. GASPARE MUTOLO. Io posso essere comunista (i comunisti per un certo periodo a Palermo non comandavano niente), però c'era un onorevole che abitava vicino al motel Agip - non mi ricordo come si chiamava - uno bassino; si stava decidendo di ucciderlo perché parlava troppo, ma poi non è stato più ucciso, perché i cervelloni hanno capito che se fosse stato ucciso sarebbe diventato un martire. ALFREDO BIONDI. Meglio vivo che morto! PRESIDENTE. Come si scelgono i killer che devono eseguire l'omicidio? GASPARE MUTOLO. Non viene fatta una scelta di volta in volta; i killer vengono scelti a periodi. A seconda dei periodi ci sono famiglie che hanno più importanza perché al loro interno c'è più unione. Non si sceglie per ogni omicidio; ci sono alcuni gruppi, quando un omicidio è importante, di solito il compito viene assunto sempre da quello che ha una rosa di persone. Dipende dal punto e dal luogo, perché magari se si deve fare un omicidio a Partanna Mondello io posso Pag. 1251 essere più pratico, perché so che ci sono le campagne, i "malasiani", dove mi posso andare a rifugiare se arriva la polizia... PRESIDENTE. Non ho compreso la parola: i magazzini? GASPARE MUTOLO. I magazzini. PRESIDENTE. C'è una ragione di potere per la quale, se si fa un omicidio a Partanna Mondello, gli esecutori devono essere di Partanna Mondello per dimostrare che dispongono degli uomini per fare questa operazione? GASPARE MUTOLO. Se è il periodo in cui la famiglia di Partanna Mondello è forte, sì; si impone e dice: "Le persone le metto io". Se non conta niente o è in bassa fortuna le dicono..., ma a volte neanche glielo dicono. Lo sa perché si sa, ma non si può sapere il giorno, l'ora in cui si fa un certo omicidio. Dipende dalla potenza che uno ha in certi periodi in Cosa nostra. PRESIDENTE. I killer devono essere necessariamente di Cosa nostra? Combinati? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Sono tutti combinati? GASPARE MUTOLO. Se non sono combinati, ma sono persone vicine, subito dopo li combinano. Ma questo può succedere per un omicidio normale, per un ragazzo, ma se è un omicidio importante non ci va quello che non è combinato per esserlo subito dopo! PRESIDENTE. Quindi, quando un killer non appartiene a Cosa nostra lo combinano subito dopo? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Può succedere ma in casi rarissimi. Io conosco solo questo Rotolo Salvatore che non è combinato, ma credo che quello che ha messo vicino questa persona ha pagato con la vita, perché oltre a lui c'era anche qualche altro. Magari non potevano uccidere persone che non avevano nessuna colpa, però hanno ucciso il responsabile che creò questa situazione, un certo Filippo Marchese. Lo hanno ucciso perché si era circondato, non tanto perché si circondava lui... magari c'erano personaggi della sua famiglia i quali mettevano accanto persone che poi per un motivo o per l'altro non si è potuto combinare. Qualcuno si è messo a collaborare come Sinagra, quindi gli hanno addossato tutta la colpa. Ognuno sta attento a frequentare una persona che non può essere combinata. Sono stati sbagli che qualcuno ha compiuto nel 1981-1982, mentre c'era, mentre avevano una certa confusione, perché volevano sempre ammazzare e quindi cercavano persone nuove. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione, secondo lei, quali sono i motivi per i quali sono state commesse le due stragi di Capaci e di Via D'Amelio? GASPARE MUTOLO. Secondo quello che so sia l'omicidio di Falcone sia quello di Borsellino viene inquadrato senza ombra di dubbio nel discorso che uno era l'uomo più pericoloso: infatti, l'intelligenza del giudice Falcone è ben nota; non so se in altri campi era intelligente, ma nel combattere la mafia la sua capacità era indiscussa - e rappresentava quindi un elemento da eliminare - l'altro era il depositario di una cultura che allora non tutti i magistrati avevano. Certo ora speriamo che si vada avanti con questi collaboratori, i discorsi si vanno meglio specificando, si sta entrando nel problema, ma fino ad allora Falcone era un potenziale pericolo - non stava senza dare continui grattacapi alla mafia - Borsellino, anche se in apparenza molto più bonario, già nel 1980 si era parlato di eliminarlo perché il Madonia Francesco si sentiva perseguitato da lui, avendo egli emesso alcune mandati di cattura, del capitano Basile, come mandante... Pag. 1252 PRESIDENTE. Tuttavia, per un giudice è normale emettere mandati di cattura per un omicidio, o prima non eravate abituati? GASPARE MUTOLO. Il giudice Falcone non veniva considerato un giudice normale; lo si considerava uno che combatteva. Ho conosciuto il giudice Fal-cone anche dall'altra parte; mi ha interrogato, ma io sono sempre caduto dalle nuvole. Questa è l'unica arma che abbiamo quando viene il giudice, quella di fare la vittima, senza cercare di controbattere. Conoscevo il giudice Falcone e ne avevo sentito parlare da tanto tempo. Mi ricordo che a Palermo, mentre era in corso il maxiprocesso, addirittura si diceva che abitava nella piazzetta di Valdese, dirimpetto alla Sirenetta. Si parlava di ucciderlo, stavano pensando di farlo, ma allora il giudice Falcone si spostava molto scortato e, magari, non si era ancora entrati nella mentalità di uccidere numerose persone... Insomma, si evitò appunto per non provocare una strage, ma il pensiero pacifico, tranquillo, l'obiettivo era che lui dovesse essere comunque ucciso per tutte le associazioni che lui aveva fatto nel 1983... Certo, perché questo fattore così eclatante della strage? Secondo me si è visto che il giudice Falcone era la continuità, seguiva come una maledizione il maxiprocesso. I mafiosi ed i loro avvocati cercavano di inventare una scusa, invece si sapeva, anche se i ministri di grazia e giustizia o dell'interno facevano delle leggi, si capiva che vi era qualche persona che conosceva effettivamente i problemi da controbattere. Pensi - l'onorevole Biondi lo saprà meglio di me - che per il maxiprocesso si sono fatte quattro o cinque leggi per non far uscire... PRESIDENTE. A questo proposito, intervenne in particolare una legge riguardante la lettura degli atti... Non so se lei ricorda quando voi chiedeste la lettura degli atti... GASPARE MUTOLO. Lo ricordo eccome. PRESIDENTE. Quale reazione vi fu in proposito all'interno di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Questo discorso si fece tranquillamente anche perché era stato suggerito da un avvocato... ma la cosa che si commentò - non ricordo se ci fosse il giudice Grasso - era che stava facendo passare questo discorso degli atti dicendo "li diamo per letti", come fosse una fesseria mentre dopo l'avvocato, con molta contentezza, disse: "Ma se non ero attento, stava passando, invece l'ho bloccato..." PRESIDENTE. Poi venne varata una legge che superava questa cosa. GASPARE MUTOLO. Sono state adottate quattro o cinque leggi e si commentavano le strategie dell'avvocato. Noi avevamo già delle strategie: c'erano avvocati presenti, per esempio, a Trapani, che facevano dei processi e che invece si davano per presenti anche a Palermo. Queste erano cose che si dovevano portare in Cassazione per buttare insomma il processo... delle nullità. C'erano avvocati completamente... Dicevano: domani mi danno presente, io ho un processo a Trapani, tanto qua sto, questa è cosa da annullamento... C'era tutta una strategia. Certo, si voleva uscire alla scadenza dei termini perché c'era la maturazione, ma le inventavano tutte al Governo: i giorni... PRESIDENTE. Il computo dei termini... GASPARE MUTOLO. Qual era il fattore confortevole per noi mafiosi, ossia qual era il discorso del processo? Che nessun giudice, nessun presidente di ruolo, competente, aveva accettato di fare questo processo perché non ha voluto sottostare alle direttive che aveva il proseguimento di quel processo. Siccome quel processo si prospettò subito come politico, quindi tutta la mafia... Forse l'unico sbaglio del dottor Falcone è stato quello di far capire a tutto il mondo che la mafia era rappresentata da quelle Pag. 1253 persone che erano in galera, condannate le quali la mafia sarebbe stata distrutta. Questo secondo me è stato l'unico sbaglio. Quindi tutte le cose che il detenuto cerca, che studia e che si inventa perché, anche se il recluso non è molto intelligente, paga l'avvocato che ha il dovere di seguire... E' anche un discorso di coscienza... L'unica cosa bella era che il presidente che seguì il maxiprocesso non aveva per noi alcuna importanza perché era un civilista. Poiché nessun presidente si volle prestare a seguire il processo non volendo essere condizionato, questo era un discorso molto confortevole per noi. Il presidente Giordano, affiancato certo da qualche altro magistrato molto valido, ha portato a compimento questo processo. C'erano, però, tanti di quei cavilli, che si mormorava fin da allora che la prima sentenza si doveva accettare più che altro come un atto politico, non come un atto di condanna anche perché dalle esperienze degli altri processi - è facile riscontrare che processi molto importanti non si sono mai... PRESIDENTE. Non si sono chiusi. GASPARE MUTOLO. Si sono sempre persi per strada. Dopo c'è stato il discorso di Tortora, il discorso del socialismo che con i radicali conducono una campagna... PRESIDENTE. Il referendum sulla responsabilità. GASPARE MUTOLO. Era un discorso che ci dava forza e ci portava a dire: "Va bene, per come vanno le cose, non è che questo processo arriva in Cassazione, in appello..." PRESIDENTE. Si sistema. GASPARE MUTOLO. Gli interessamenti si cercavano anche dall'altro lato, sia politico, sia attraverso i magistrati, a qualsiasi livello perché per la prima volta erano in galera o latitanti personaggi importanti, che potevano spendere molti soldi; in sostanza, non si badava a spese. Dopo l'appello, è successo... PRESIDENTE. L'appello come fu accolto da voi? GASPARE MUTOLO. L'appello fu accolto perché già vi era un giudice di merito; quindi si sapeva che, almeno dagli orientamenti che avevano gli avvocati, un presidente non può addirittura ribaltare una sentenza; comunque già un giudice di merito le dava una certa aggiustata, anche in previsione di quella che era la Cassazione di quel periodo... di annullare tutto in Cassazione, cioè non di ridurre, ma di annullare tutti i processi. PRESIDENTE. Era stato contattato un giudice di appello per tentare di sistemare la cosa? GASPARE MUTOLO. Contattare propriamente no; non è che i giudici si contattano prima; semmai, mentre il processo viene assegnato ad un certo magistrato, si fa quell'opera di persuasione che, purtroppo, si prende alla larga, si scovano parenti ed amici, l'infanzia... Non si va dal giudice a dire... C'è tutto un lavoro di investigazione... PRESIDENTE. C'è tutto un lavorio. Si agisce però anche con sottili intimidazioni o soltanto con la persuasione? GASPARE MUTOLO. Certo, quando si arriva ai giudici popolari... Sulle corti di assise gioca molto il ruolo dei giudici popolari, anche se questi ultimi non capiscono niente e quindi se un presidente è convinto... PRESIDENTE. Li trascina. GASPARE MUTOLO. Ha il modo... Se però al giudice popolare si dice: "Mi devi portare la prova", che nei processi di mafia la prova non è... tu devi dire soltanto: "Mi devi portare la prova". Anche per il presidente non è tanto facile... Pag. 1254 PRESIDENTE. Quindi, anche sul giudice popolare si esercita una pressione più diretta? GASPARE MUTOLO. Il giudice popolare è una persona normale e di solito non fa resistenza, celebra il processo e vuole stare tranquillo. Cosa diversa è il giudice togato il quale ha una carriera e fa quel lavoro per mestiere, quindi affronta i rischi della sua professione. Su cinque giudici popolari forse uno non si può avvicinare perché si teme che abbia un parente poliziotto, ma quasi tutti si possono avvicinare. Costoro possono provenire da qualsiasi punto della Sicilia; si fa comunque un'opera di conoscenza senza arrivare quasi mai alla minaccia. Certo, in casi estremi si può giungere anche alla minaccia, ma di solito non ci si arriva mai. PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato che in appello si dette un'"aggiustata" a questo processo. GASPARE MUTOLO. Sì, lo stesso fatto che si parlava con gli avvocati, che vi era un giudice competente ... PRESIDENTE. Cosa vuol dire "giudice competente"? GASPARE MUTOLO. Noi facevamo paragoni tra il presidente Giordano, che è un civilista... Quindi si aveva la preoccupazione si si prendeva un altro presidente, preso a casaccio, che poteva benissimo non capire nulla, si metteva là per dire: tu devi condannare questo o quello. Non so se mi sono spiegato. Nel momento in cui ciò non è accaduto siamo stati contenti. Gli avvocati cercano di sondare gli orientamenti del presidente in ordine alla sua linea di condotta. Sono cose che non è facile spiegare. PRESIDENTE. Quindi questa sentenza d'appello era più favorevole a voi rispetto a quella di primo grado. GASPARE MUTOLO. La sentenza della corte d'appello è stata buona perché, in qualche modo, ha rotto il teorema della commissione. Naturalmente in Cassazione apparentemente non dovevano esservi problemi. PRESIDENTE. Come facevate ad essere così tranquilli che in cassazione non sarebbero sorti problemi? Devo dirle che la Commissione conosce le dichiarazioni da lei rese su questi punti; dico ciò per sua tranquillità. GASPARE MUTOLO. Innanzitutto perché conoscevamo l'orientamento del giudice Carnevale della prima sezione e questo è un fatto pacifico; inoltre sapevamo l'interessamento degli avvocati molto vicini ed amici del giudice Carnevale. PRESIDENTE. Questi avvocati li sceglievate anche perché amici del giudice Carnevale? GASPARE MUTOLO. Gli avvocati si scelgono a seconda del presidente. Se sappiamo che un presidente è democristiano, scegliamo un avvocato democristiano; se invece un presidente è comunista, scegliamo un avvocato comunista. PRESIDENTE. Cercavate una persona che potesse parlare al presidente con maggiore facilità? GASPARE MUTOLO. Con l'apporto dell'avvocato e quello delle altre persone si arriva ad una conclusione più favorevole per l'imputato. PRESIDENTE. Cosa si diceva nel vostro ambiente del dottor Carnevale? GASPARE MUTOLO. Si parlava molto di questo magistrato molto coraggioso e forte che sapeva imporre la propria volontà. Certamente un magistrato non può comandare un'intera sezione, per cui alcuni suoi colleghi condividevano le sue idee, però il giudice Carnevale era una garanzia più che altro per l'esperienza per quanto accaduto durante la celebrazione di questi processi di mafia. Si Pag. 1255 diceva: "C'è Carnevale". Sia lodato Gesù Cristo!". Dopo si cercava l'avvocato, si cercava... PRESIDENTE. Sulla base di ciò che ha detto vi furono anche interventi di carattere politico per la risoluzione in Cassazione del maxiprocesso? GASPARE MUTOLO. Logicamente vi furono. PRESIDENTE. Può spiegarlo alla Commissione? GASPARE MUTOLO. Sapevo, sia per dirette conoscenze sia perché ne parlai con Ignazio Salvo, che aveva degli agganci con magistrati del tribunale di Palermo e con alte personalità politiche di Roma. PRESIDENTE. Con politici nazionali? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Non siciliani? GASPARE MUTOLO. No, nazionali. Si disse che dell'andamento del processo dovesse interessarsi anche l'onorevole Lima. Forse perché la linea politica a Roma cambiò, le promesse allora fatte (non posso certo dire di aver parlato di queste cose con l'onorevole Lima) non furono mantenute. PRESIDENTE. Vi avevano promesso anche l'annullamento della sentenza in Cassazione? Perfino del provvedimento di Falcone? GASPARE MUTOLO. Si disse che tutto sarebbe ritornato in istruttoria in quanto vi erano vizi procedurali. PRESIDENTE. Quindi gli avvocati vi dissero: annulleranno tutto e tutto tornerà nuovamente in istruttoria. GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Questo ve lo disse anche Ignazio Salvo? GASPARE MUTOLO. No, Ignazio Salvo no. Questi discorsi li fecero personaggi mafiosi che avevano parlato probabilmente con qualche avvocato o con qualche personaggio politico. PRESIDENTE. Quale fu il ruolo di Lima in questa vicenda? GASPARE MUTOLO. Non posso rispondere con sicurezza alla domanda, posso solo fare delle deduzioni attraverso le mie conoscenze e quanto ho sentito dire. Purtroppo dobbiamo ritornare nella realtà palermitana; a quello che una persona può subire essendo in politica. Il ruolo qual era? Fra che Lima diede garanzia che a Roma si sarebbe risolto tutto. PRESIDENTE. Lui praticamente faceva da tramite per le vicende romane? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Dava le garanzie su quello che accadeva a Roma? GASPARE MUTOLO. Lui aveva degli agganci nel tribunale di Roma. Non so però a chi si rivolgesse. PRESIDENTE. Nel fare questo ragionamento siamo partiti dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Facendo un passo indietro, devo notare che entrambe le stragi sono eclatanti ed è questa una novità. Cosa nostra fa saltare addirittura un tratto di autostrada e quasi un palazzo in via D'Amelio. La domanda è la seguente: non si sono mai verificate in passato due stragi così vicine tra loro. Può dare una spiegazione di ciò? Ad un certo punto bastava aver ucciso Falcone, avrebbero potuto aspettare ancora un po', come mai subito dopo si è voluto uccidere anche Borsellino? Perché queste stragi e dopo basta? Pag. 1256 GASPARE MUTOLO. Basta perché sono scesi i militari, quindi logisticamente è diventato più difficile muoversi con la dinamite. Bisogna comprendere che, dopo che la sentenza è divenuta definitiva, alcune persone si sono sentite perse, per cui vi era bisogno di una nuova cultura garantista. Ci si può domandare come sia possibile che dopo un processo definitivo si abbiano ancora speranze. Ciò deriva dal fatto che in alcuni casi vi è stata la revisione del processo. Non voglio fare un discorso troppo complicato, perché da molti anni non ho contatti con la Sicilia, però, so che la mentalità delle persone che sono in galera e che devono scontare l'ergastolo cozza con la realtà perché il mafioso non è abituato a subire condanne. La sentenza della Corte di cassazione ha rappresentato l'inizio della fine, per cui occorreva capovolgere tutto cominciando dal mondo politico e dalla magistratura. A mio avviso, appena si allenterà la tensione, vi saranno altri attentati - mi auguro che non sia così - perché quando un animale è ferito diventa più pericoloso di un animale selvaggio ma sano. PRESIDENTE. Il fatto che adesso Palermo non sia praticabile come prima a causa della presenza dei militari può portare Cosa nostra ad attuare fuori dalla Sicilia gli attentati che a Palermo non sono possibili? GASPARE MUTOLO. Cosa nostra ha agganci in diverse città d'Italia (Napoli, Milano, Roma, Firenze). La mentalità, comunque, è ancora quella di fare queste cose nella nostra terra per dare il segno preciso di una mafia che si ribella agli orientamenti del Governo. Potrebbe semmai prendere in considerazione un obiettivo facile; ma se occorre far rischiare l'ergastolo a tre o quattro persone, non opera nemmeno a Reggio. Comunque, in Italia vi è qualche obiettivo costituito da qualche funzionario, politico o magistrato che cerca di distruggere la mafia; vi sono, infatti, dei personaggi a rischio, anche se nel resto d'Italia non è come in Sicilia, però se a Roma, Milano o Torino la mafia trova quel terreno fertile che a Palermo c'è sempre stia tranquillo che lo fanno andare lì. PRESIDENTE. Ad un certo punto lei ha detto che avrebbe dovuto far riferimento a discorsi di molto tempo fa. Intendeva parlare di ipotesi di tipo autonomista o separatista della Sicilia sulle quali puntare per la revisione dei processi? GASPARE MUTOLO. Prima si facevano discorsi di separatismo. PRESIDENTE. Intende riferirsi al tempo di Giuliano? GASPARE MUTOLO. Ne sentivo parlare quando ero in galera o al tempo del golpe Borghese e di Sindona. Parlando con persone importanti nell'ambito della mafia si poteva capire che si aspirava ad una Sicilia autonoma ma con l'appoggio degli americani, e non certamente dei russi, perché molti siciliani hanno figli e nipoti in America. Questo conflitto tra America e Russia che rappresentava il motivo basilare dell'orientamento della mafia non esiste più. I mafiosi ora se debbono uccidere qualcuno lo fanno, ma se tutto il popolo è contrario ad un determinato orientamento... non dimentichiamo i vespri siciliani. Intendo dire che se gli operai scendono in piazza sono in grado di prendere i mafiosi a martellate, per cui questi non possono decidere da soli. A suo tempo si parlava di separatismo ma in primo luogo dell'America e della convenienza a situarsi sotto la sua influenza. PRESIDENTE. Se non ho capito male lei ha sentito fare questi discorsi al tempo del golpe Borghese e della discesa in Sicilia di Sindona. GASPARE MUTOLO. Quando è venuto Sindona in Sicilia io ero in galera, però so che si facevano discorsi di questo tipo. Pag. 1257 PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del fatto che la Cassazione oltre che a Roma potrebbe essere insediata in tutte le regioni, quindi anche a Palermo, per cui sarebbe possibile la revisione del processo? GASPARE MUTOLO. Logicamente sarebbe un fatto positivo. PRESIDENTE. Stava parlando prima delle due stragi temporalmente così vicine. Come mai? Se la mafia reputa necessario fare il grande attentato, anche per reagire e dimostrare che è forte, dopo sta tranquilla. In questo caso, invece, non è stato così. GASPARE MUTOLO. Potrei darvi una risposta ma non me la sento. Può darsi che volessero dimostrare la loro forza, oppure può darsi che qualcuno stesse parlando... Non me la sento di dare una risposta precisa. PRESIDENTE. Certo, con sicurezza non si può dire, ma lei ci può fornire qualche criterio per capire? GASPARE MUTOLO. Sono validi tutte e due gli aspetti. Falcone era completamente un peso sullo stomaco; per Borsellino si poteva aspettare e c'è stata un'accelerazione, perché di solito si aspetta una reazione, anche se lenta, dello Stato quando viene ucciso un personaggio importante. Può essere che hanno pensato: cosa facciamo, uno - due e stanno tutti sul chi va là perché aspettano il terzo (non c'è due senza tre)? Può darsi che il secondo sia avvenuto perché sentivano che già c'era qualcuno che stava collaborando, però non potrei dirlo con certezza. PRESIDENTE. Risulta che siano stati utilizzati per la strage di Capaci alcuni quintali di esplosivo: era facile procurarselo? GASPARE MUTOLO. Per noi, l'esplosivo non è mai stato un problema, perché ci sono le cave ed abbiamo sempre avuto tutta la dinamite che abbiamo voluto. Non abbiamo mai avuto problemi per le armi e la dinamite. PRESIDENTE. Quindi, non c'era bisogno di procurarseli da fuori? GASPARE MUTOLO. No, penso che non sia possibile che in Sicilia manchi la dinamite. Sa quante cave ci sono in Sicilia? E' come la questione del tecnico, che alcuni dicono essere forse un arabo, o un tedesco... PRESIDENTE. Vuole dire che non c'è bisogno di un tecnico tedesco? GASPARE MUTOLO. Le posso dire che, quando a Palermo saltavano le "giuliette", in Italia non sapevano cosa fosse l'esplosivo. PRESIDENTE. Negli anni sessanta? GASPARE MUTOLO. All'inizio degli anni sessanta. Certo, se a un bambino di allora si dava un computer non poteva usarlo, e ora invece i bambini sono più intelligenti; però, per l'intelligenza che c'era allora, a Palermo, già nel 1962-1963, saltavano le "giuliette" e si pensava che fosse chissà che cosa. PRESIDENTE. Un altro collaboratore ci ha detto che nel caso di un omicidio particolarmente importante non è che si chiedesse l'autorizzazione, però si sentiva da qualche altra parte quale tipo di opinione si avesse sulla sua opportunità e utilità o meno: si è parlato di un'entità. Le risulta qualcosa del genere? GASPARE MUTOLO. Cosa significa entità? PRESIDENTE. Ci hanno detto che quando si deve fare un omicidio importante se ne occupa Cosa nostra, però qualche volta si sente l'opinione di qualche entità, associazione o ente: non abbiamo capito bene perché chi lo ha detto si è riservato di parlarne più specificatamente con i giudici. Pag. 1258 GASPARE MUTOLO. Ho capito: si riferisce ad altre organizzazioni che non sono mafiose? PRESIDENTE. Sì. GASPARE MUTOLO. Non mi risulta nella maniera più assoluta, almeno per quanto ne so io. Lo può sapere per amicizia un personaggio mafioso di un'altra provincia, ma non come obbligo. PRESIDENTE. Da quanto abbiamo capito, però, si tratterebbe non di un'altra organizzazione criminale ma di qualcosa di diverso che non è criminale né mafioso. GASPARE MUTOLO. No, non mi risulta. PRESIDENTE. Si percepiscono segnali che qualche omicidio può non essere sgradito? La domanda è un po' difficile, lo so, ma ci serve per capire. GASPARE MUTOLO. Non è che si uccide una persona per fare piacere ad un'altra, ma principalmente perché si ha la convenienza. Certo, se lo Stato ha, diciamo, "posato" un personaggio, che è in disgrazia, per motivi che possono essere diversi... Ma non è che la mafia uccide una persona per fare un piacere allo Stato. Naturalmente, come in tutti gli omicidi che riguardano giudici, politici, persone importanti, si aspetta il momento in cui quella persona è meno in auge: appena si trova un po' nella bassa fortuna, gli danno il colpo, appunto per non essere attaccati eccessivamente. Questo perché lo Stato, per tutti gli omicidi eclatanti, ha avuto qualche reazione, anche se lenta o piccola: però, è questione di pochi giorni o mesi. Certo, se si uccide una persona importante, l'azione dello Stato può essere più forte, come è successo ora; però, quello che sta succedendo ora non è che non sia successo in altre occasioni. PRESIDENTE. Signor Mutolo, possiamo proseguire, o è stanco e preferisce interrompere l'audizione? GASPARE MUTOLO. No, possiamo proseguire. PRESIDENTE. Sulla base di quanto lei può sapere, cosa sta succedendo dentro Cosa nostra dopo l'arresto di Riina? GASPARE MUTOLO. Conoscendo i personaggi che ruotano attorno all'ambiente, secondo me nessuno può prendere esattamente il posto di Salvatore Riina per il suo carisma, la sua conoscenza, la sua capacità, l'ideale per se stesso di arrivare al punto dove è arrivato, anche se ha fatto distruggere tutto quello che ha costruito, perché è arrivato ad un certo punto e dopo ha distrutto tutto con le sue mani: infatti, comunque dopo un certo periodo, quando le persone prenderanno corpo, si distruggeranno senz'altro, anche perché sono tutti rovinati. Ad ogni modo le persone che possono essere più propense ad avere un ruolo sono, primo, un certo Bagarella, il cognato di Salvatore Riina, che però non ha la stessa intelligenza: è un ragazzo molto espansivo, nel senso che se c'è una cosa la vuole fare subito, magari non pensando alle conseguenze che possono derivare. E' attorniato da una schiera di personaggi molto giovani e votati a tutto. Altri personaggi che possono essere a livello di questo Bagarella, ma che sono però molto più saggi, sono Mariano Troia, Raffaele Ganci - almeno, io vedo questi come possibili personaggi -. Nella via di mezzo, fra il primo che potrebbe fare cose avventate e i secondi che potrebbero essere più moderati, vedo il Cangemi Salvatore, che è anche uno dei giovani (per giovani intendo della mia età, di cinquant'anni). Queste persone potrebbero prendere le redini di Salvatore Riina. Bisogna vedere che tipo di azione debbono fare per prendere questo titolo di conduttore lasciato da Riina. Giustamene Riina ha lasciato e per un certo tempo non si può distruggere quello che ha creato, anche in negativo: le persone a lui vicine, quella stretta collaborazione... quelle persone ci sono. Bisogna vedere chi deve mettere e i messaggi che Riina manderà. Pag. 1259 Il discorso di Riina - "voglio fare il confronto con i pentiti" oppure "voglio presenziare alle udienze" - non so che messaggio è. Quando dice che non mi conosce e che mi ha visto nel 1966 in galera - come dirà di me dirà senz'altro degli altri - ... Questi confronti a che servono? Sicuramente saranno messaggi per dire: "Fate qualche cosa". Non mi voglio esprimere per non... La preoccupazione c'è anche per noi, perché noi tutti abbiamo familiari in Sicilia. Se sono così carogne e si vogliono inasprire contro persone che non c'entrano niente, lo facciano pure. Però il messaggio che dà lui è questo. Fa il confronto e dice: "A questo chi lo conosce?". Noi sappiamo pure quanto pesa! Ripeto: secondo quello che lui riesce a mandare fuori, secondo la coscienza che prenderanno le persone di Palermo. Se Palermo vuole torneranno come prima; se ne andranno a Corleone e comanderanno nel loro paese, se son capaci, non a Palermo. Purtroppo il discorso è ancora forte. Ora hanno arrestato Montalto Giuseppe, però ci sono ancora tanti latitanti che rischiano l'incastro con quello che abbiamo detto noi. Che cosa hanno più da perdere? Sanno che non si possono godere tutti questi miliardi che hanno, che tutti gli omicidi compiuti pian piano verranno pagati. Certo, la loro fortuna consiste nel rimanere latitanti, oppure nel cercare di assoggettare, di nuovo, come hanno fatto una volta, le istituzioni; allora si annullano, si fanno revisioni di processi, si presentano domande di... PRESIDENTE. E' chiaro. Era prevedibile, secondo lei, per Cosa nostra che Riina sarebbe stato arrestato? Era una cosa da mettere in conto, oppure si pensava che per questa sua grande... GASPARE MUTOLO. Totò Riina dove l'hanno arrestato? Questa è la vita che ha fatto sempre! Totò Riina si poteva spostare da San Giuseppe a La Noce, da La Noce a Cardillo, da Cardillo a Tommaso Natale. Totò Riina là era! Non era in America! Ogni tanto, quando si sapeva che c'erano rastrellamenti forti, pigliava e se ne andava vicino a Marsala. PRESIDENTE. Questo era il massimo della lontananza. GASPARE MUTOLO. Ma per quindici giorni, dopo scendeva a Palermo! Non pensiamo che Totò Riina stava nel sotterraneo, era uno tranquillo, pacifico. PRESIDENTE. Che cosa lo rendeva così tranquillo e pacifico, visto che lo si ricercava? GASPARE MUTOLO. Pensava che, anche se arrivava una soffiata, poteva avere sempre l'intelligenza o l'intuito di capire e di spostarsi in tempo. PRESIDENTE. Si muoveva dentro una zona abbastanza ristretta... GASPARE MUTOLO. Se sale sul Monte Pellegrino, vede che Palermo è un piatto. Palermo non è come Roma o Milano; non è grande, è piccola. Proprio dentro Palermo non ci stava mai. Si è detto tantissime volte: andava sempre nelle perifierie. Ma queste cose già si sapevano nel 1972, non sono una novità. PRESIDENTE. La strage di Capaci... GASPARE MUTOLO. Scusi, gli altri, Cangemi ed altri personaggi, si immagina che sono in America oppure... sono là! Cangemi si è costruito una villa da sette miliardi; Brusca ogni sabato è a San Giuseppe Jato, tranquillo, pacifico. Magari sono persone che non si conoscono, sono cambiate fisicamente, ma sono là. PRESIDENTE. Sono a casa loro. GASPARE MUTOLO. La terra attira noi siciliani; latitanti o non latitanti stiamo là. PRESIDENTE. Tuttavia, c'è un punto sul quale non si può non concordare: è Pag. 1260 abbastanza scandaloso che tutti stanno lì, a casa loro e per tanti anni non è stato preso nessuno! GASPARE MUTOLO. Signor presidente, magari non stanno al numero 25, ma al 30! La polizia quando è andata al numero 25 ha fatto il suo dovere! Quando mi andavano a cercare andavano a via Catalano, mentre io non andavo più a via Catalano da vent'anni! Però ogni tanto la polizia passava da via Catalano; magari, se c'era qualche bambino si preoccupava perché vedeva delle armi. L'andamento di Palermo è questo. PRESIDENTE. Che indirizzo aveva dato alla scuola frequentata dai suoi figli? Quando ci si iscrive a scuola, si dà un indirizzo. Che indirizzo dava, quello di via Catalano o quello giusto? GASPARE MUTOLO. Quello giusto. Può controllare; quando ero latitante mia moglie andava a iscrivere i miei figli... anche perché se il bambino si sentiva male e la maestra doveva telefonare, dove chiamava? All'indirizzo sbagliato? PRESIDENTE. A nessuno negli uffici di polizia è venuto in mente che lei aveva dei figli, che probabilmente questi figli andavano a scuola, probabilmente nello stesso quartiere. GASPARE MUTOLO. Può darsi che non facessero questo tipo di indagini. PRESIDENTE. Non ci vuole una grande perspicacia per farlo! C'era un forte condizionamento da parte vostra sulle forze dell'ordine? GASPARE MUTOLO. Sono persone che abitavano là a Palermo e volevano stare tranquilli. PRESIDENTE. Ha già dato a questa domanda una parte di risposta. Ha già detto che Cosa nostra teme più di tutto che le vengano tolti i soldi. Al di là di questo, quali sono le cose che più possono darle fastidio? GASPARE MUTOLO. La libertà. PRESIDENTE. Quindi, i soldi, la cattura... GASPARE MUTOLO. Basta. PRESIDENTE. Queste operazioni fatte da Dalla Chiesa, apparentemente piccole, la questione dei pozzi, delle patenti, dei fogli rosa... GASPARE MUTOLO. Sembravano piccole ma erano... Fino a quando ero fuori Dalla Chiesa non era entrato nel discorso dei mafiosi. Ci andava così... Quelli che si lamentavano di più potevano essere questi personaggi puliti e non il mafioso; però si diceva che se lui pensava di fare con i mafiosi quello che aveva fatto con il terrorismo si uccideva subito... PRESIDENTE. Fino a quando è stato ucciso, fino a questo famoso 3 settembre, Dalla Chiesa non aveva fatto cose particolarmente pericolose contro di voi: i latitanti non erano stati arrestati, i soldi non erano stati tolti... GASPARE MUTOLO. Sì, però stava attuando tutta una politica; apparentemente non faceva niente, ma già si sapeva che, per esempio, andava da quello... non so se si trattasse di assessori, di cose comunali... Insomma, andavano da questi personaggi... PRESIDENTE. Da un amministratore. GASPARE MUTOLO. Per esempio dagli amministratori: c'era il problema dell'acqua? Allora egli cercava di requisire, ha requisito i problemi dell'acqua; andava a parlare con il responsabile dell'acquedotto e questo era un discorso che dava fastidio ai mafiosi. Non usciva sui giornali, ma si sapeva che era Dalla Chiesa. C'era il discorso delle patenti: lui richiamò tutti coloro che rilasciavano questi biglietti... Pag. 1261 PRESIDENTE. I fogli rosa. GASPARE MUTOLO. Non uscì sui giornali, ma si sapeva che si trattava di Dalla Chiesa. C'erano persone le quali dicevano che non si poteva più respirare... PRESIDENTE. Ho capito. GASPARE MUTOLO. ... e non certamente il mafioso perché, almeno fino ad allora, il mafioso non era stato toccato. PRESIDENTE. Quindi, Dalla Chiesa non aveva ancora toccato i mafiosi, ma alcuni ambienti attorno ad essi? GASPARE MUTOLO. Sì, dai discorsi che si sentivano e che si facevano si capiva che lui voleva cambiare, voleva più che altro far prendere coscienza alle persone che credevano nel fenomeno mafioso, che cioè vedevano il mafioso come colui che risolve i problemi, che non era così. Voleva cominciare dalle scuole, con i lavoratori. Era questo. Magari il mafioso non ci faceva caso perché non frequenta la scuola, ma erano cose che si sentivano. Quando è venuto a Palermo, Dalla Chiesa si è messo subito a lavorare su questi elementi; non abbiamo aspettato il 3 settembre, perché già a giugno si vociferava che se non la finiva, se fosse andato a implicarsi nelle costruzioni, che aveva queste licenze... PRESIDENTE. Sapevate che Dalla Chiesa aveva chiesto anche un rapporto alla polizia su Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Noi sappiamo questo, mentre sono fuori so... Non so se Dalla Chiesa, il giudice Chinnici, o Ninni Cassarà però, nel giugno 1982 sappiamo che c'erano due rapporti di polizia, uno che appartiene... da Michele Greco, dalla parte di là della città ed uno di qua, e che se questi rapporti arrivano al giudice istruttore Chinnici, quest'ultimo spicca i mandati di cattura. Quindi, se il giudice Chinnici o la polizia sono incoraggiati perché c'è Dalla Chiesa... Sono cose che pian piano vengono fuori, ma la realtà era quella. Non è che arriva Dalla Chiesa, fa un'associazione e quindi arrestano 100 persone, spiccando i mandati di cattura. Già si sapeva che c'erano questi rapporti. Non so ora come funziona: di solito, quando mi vedevo arrivare un mandato di cattura - e me ne arrivavano tanti - ... mi rendevo conto quando avevo il mandato di cattura. In quel periodo sapevamo che c'erano due rapporti della polizia - o dei carabinieri - per un totale... Sapevamo che uno era di 150-160 ed un altro di 80 persone. Queste erano notizie che sapevamo fuori, però non sapevamo che erano in preparazione, ma se li aveva in mano Chinnici, faceva i mandati di cattura. PRESIDENTE. Come facevate a sapere che erano in preparazione questi rapporti? Avevate persone che, dall'interno delle forze di polizia, vi informavano? GASPARE MUTOLO. Sì, certamente c'era qualche personaggio che informava. Non posso dire chi... PRESIDENTE. Non chiediamo i singoli nomi. GASPARE MUTOLO. Si sapeva, ma non solo dei rapporti. A volte sapevamo quando c'era un mandato di cattura nell'ufficio... PRESIDENTE. Nell'ufficio catturandi. GASPARE MUTOLO. ... nell'ufficio catturandi, sapevamo quando arrivavano... PRESIDENTE. Vi informavano. Questo è avvenuto anche recentemente o solo in tempi passati? GASPARE MUTOLO. Parlo per il passato. Ora non... PRESIDENTE. Certo, come sia adesso non può saperlo. Vorrei sapere, però, se si parli degli anni sessanta-settanta o... Pag. 1262 GASPARE MUTOLO. Fino al 1982 mi risulta che fosse così! PRESIDENTE. Risulta a lei direttamente. GASPARE MUTOLO. Dal 1982 in poi posso parlare per sentito dire, ma la cosa era... PRESIDENTE. Le sembra cioè che non ci siano stati cambiamenti nemmeno dopo il 1982, ma non lo sa direttamente perché dopo è stato in carcere? GASPARE MUTOLO. E' logico. Ora magari sarà più difficile perché la realtà è diversa oltre al fatto che con questi collaboratori che parlano - e parlano troppo - nessuno si sente più sicuro. PRESIDENTE. Certo. Quali contropartite avevano queste persone che, dall'interno, vi davano informazioni? Si trattava di soldi, regali, piaceri? GASPARE MUTOLO. A percepire soldi erano pochissime persone. Sapevo che un personaggio dell'ufficio catturandi percepiva regolarmente un mensile, un certo Spataro, e, in più, riceveva dei regalini quando si precipitava a portare informazioni. Qualche altro personaggio lo faceva magari perché voleva essere pagato, ma di solito non si fanno... Il pagamento è una cosa... Magari c'è una forma di regalo, ma la maggior parte - parlo sempre della polizia... E' volgare dire: "Ti do tanto"; si trova una forma diversa per chiedere un regalo. PRESIDENTE. A questo proposito, un membro della Commissione vorrebbe avere notizie sulla storia dei 15 milioni per Contrada. GASPARE MUTOLO. Ho specificato, c'è un verbale ormai pubblico... Nel Natale 1981, facendo della contabilità con Saro Riccobono, abbiamo detratto 15 milioni perché un amico del dottor Contrada ci disse che serviva ad una donna che aveva Contrada... PRESIDENTE. Questo amico era un uomo d'onore o un esterno? GASPARE MUTOLO. No, un amico del dottor Contrada. PRESIDENTE. Un amico delle forze di polizia od esterno ad esse? Non voglio conoscere il nome. GASPARE MUTOLO. No, non appartiene alla polizia, ma comunque è di qualche altra organizzazione non mafiosa. PRESIDENTE. Non vogliamo conoscere il nome, ma ci faccia capire. GASPARE MUTOLO. Era un medico che si sapeva avere molte amicizie nell'ambito... PRESIDENTE. Era massoneria? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Finora quali comportamenti dello Stato hanno recato più svantaggio a Cosa nostra? Glielo chiedo per evitare di compiere gli stessi errori. GASPARE MUTOLO. Vuole sapere che cosa dovrebbe fare lo Stato? PRESIDENTE. Sì. GASPARE MUTOLO. Il problema principale secondo me è quello dei tribunali, che è molto importante. Per esempio, se si fa un processo e ci sono giudici popolari siciliani, è logico che questi ultimi non possano rischiare la vita per un processo. Quindi, si dovrebbe cercare una forma di tribunale normale ma con persone che non corrano il rischio, come è successo con il giudice Saetta che, dopo aver pronunciato una sentenza, è stato ucciso. Questi sono fatti che un presidente non dimentica, che sono sempre vivi nei ricordi dei magistrati. Pag. 1263 Quindi, secondo me, si tratta principalmente di mettere le corti d'assise, i tribunali nelle condizioni di fare un certo lavoro e di poter contestare liberamente ad un mafioso un reato senza il pericolo di subire domani un attentato. Questa, secondo me, è la cosa principale e che mi ha indotto, anche se dolorosamente, a fare il nome di qualche magistrato, perché a me non interessa niente... E' un problema perché il tribunale è una sicurezza, aiuta: se sono un mafioso, un killer, e sono sicuro che, male che mi va, vengo arrestato ad un metro da chi ho ucciso e dopo il processo si aggiusta, logicamente non c'è freno; vi è, cioè, una certa sicurezza. Forse, la spavalderia di quei mafiosi - mi ci metto anch'io - era dovuta alla sicurezza di sapere tranquillamente che, se anche ci venivano imputati omicidi o stragi, male che si faceva... Era un detto: "Vabbé, va' a paga'". La procedura? Mi ricordo che quando fu ucciso Alfio Ferlito, dissi al mio amico Michele Micalizzi, con il quale conversai fino alle 8,30 sulla terrazza di casa mia in via Ammiraglio Cagni, che sicuramente mi avrebbero arrestato in quanto avevo avuto un fermo a Catania e alcune mie telefonate erano state intercettate. Inoltre, dopo aver visitato due persone al motel Agip, una macchina della polizia li seguì e dopo questi furono fermati. Ricordo inoltre che intorno alle 13,30 il maresciallo della borgata (l'omicidio avvenne intorno alle 11, mezzogiorno) venne a casa mia per chiedermi il nome della via. Chiesi: come che via è? Mi rispose: lo vogliono sapere i carabinieri. Quella visita del maresciallo a casa mia quel giorno dell'omicidio di Ferlito, mi fece pensare che da lì a poco mi avrebbero arrestato. PRESIDENTE. Non ho capito bene: lei sta a casa sua, arriva un maresciallo ... GASPARE MUTOLO. Il maresciallo di Pallavicino. PRESIDENTE. ... e le chiede che via è? GASPARE MUTOLO. Vuole solo sapere se il mio indirizzo è quello! La notizia interessava al nucleo centrale dei carabinieri. Questo maresciallo venne da me due volte. Avevo avuto la condizionale, ma fino alle 8,30 ero stato in terrazza a parlare con Michele Micalizzi perché volevo rendermi latitante. Egli mi consigliò di non farlo perché così facendo avrei dato l'impressione di aver paura; in ogni caso non avrei fatto più di sei mesi di galera, il tempo necessario per esaminare le carte processuali. PRESIDENTE. Vi sono uomini d'onore fuori della Sicilia? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. In quali regioni? GASPARE MUTOLO. Nel napoletano. PRESIDENTE. Napoletano o Campania? GASPARE MUTOLO. So di Napoli città e della provincia. Non so se Marano sia in provincia di Napoli, però in quella località vi sono due famiglie. Famiglie autorizzate dalla commissione di Palermo ve ne sono sia a Torino sia a Roma. PRESIDENTE. Sono mafiosi singoli o famiglie? GASPARE MUTOLO. A Roma vi è una decina, a Torino vi è un'altra decina, a Napoli vi sono due famiglie, in altre regioni d'Italia vi sono uomini dislocati ... PRESIDENTE. In Lombardia? GASPARE MUTOLO. Non ce ne sono. Tempo fa fu fatta una proposta al Bono, ma non accettò. PRESIDENTE. In Liguria? GASPARE MUTOLO. Gruppi autorizzati dalla commissione non ve ne sono. Io so che vi sono insediamenti a Roma, Napoli e Torino. I mafiosi sono comunque Pag. 1264 sparsi in tutt'Italia, sia perché in passato avevano il soggiorno obbligato sia perché magari si sono trovati bene. Non sono comunque a conoscenza di altri insediamenti mafiosi oltre a quelli. PRESIDENTE. In Toscana? GASPARE MUTOLO. Non so se la commissione di Palermo ha autorizzato qualche famiglia. Vi era qualche persona in Emilia Romagna, qualche persona in Toscana, ma non erano autorizzati dalla Commissione a formare gruppi. Si tratta comunque di persone che sono a disposizione di Cosa nostra. PRESIDENTE. In Puglia? GASPARE MUTOLO. No, comunque in Puglia vi è un'organizzazione molto consistente, ossia la Sacra corona unita. PRESIDENTE. Da quanto tempo in Puglia opera la Sacra corona? GASPARE MUTOLO. Le prime avvisaglie si hanno intorno al 1977-1978. PRESIDENTE. I gruppi autorizzati di Torino e di Roma che tipo di affari svolgono? Gli stessi che svolge Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Cercano di fare gli stessi affari che si fanno a Palermo: si cerca di assoggettare qualche commerciante, però queste piazze offrono di più. In Lombardia, per esempio, vi sono gruppi mafiosi, ma questi non sono autorizzati. Vi erano i Ciulla, i Bono, i Martelli, i Carollo, però costoro non hanno voluto unirsi a Cosa nostra perché se autorizzati i loro traffici sarebbero stati gestiti da Palermo. PRESIDENTE. Perché questi gruppi di Milano non erano stati autorizzati a costituirsi in famiglie? GASPARE MUTOLO. Loro non si sono voluti associare. PRESIDENTE. Hanno voluto mantenere una propria autonomia finanziaria? GASPARE MUTOLO. Certo, perché avevano in mano loro alcuni industriali e quindi non volevano che i proventi dei loro traffici fossero trasferiti a Palermo. PRESIDENTE. Che peso ha avuto, per quello che lei sa, il soggiorno obbligato per Cosa nostra? Il soggiorno obbligato è servito per estendere il controllo sul territorio nazionale? GASPARE MUTOLO. Per noi è stata una cosa buona in quanto ci ha dato modo di contattare altre persone, di conoscere luoghi diversi, altre città, zone incontaminate dalla delinquenza organizzata. PRESIDENTE. Danni non ne avete avuti dal soggiorno obbligato? GASPARE MUTOLO. Solo le isole davano fastidio perché erano difficili i contatti. Sono stato all'Asinara e quel luogo mi dava molto fastidio. Sono stato inoltre a Castiglione Messer Marino, in provincia di Chieti. Parlo del 1967-1968, però se mi volevo spostare mi spostavo. PRESIDENTE. Questo perché nessuno controllava, o perché era diventato amico di chi doveva controllarla? GASPARE MUTOLO. Ora se vedono arrivare un mafioso lo guardano come se fosse un appestato, ma allora non era così: neppure la polizia si rendeva esattamente conto del fenomeno. D'altronde il mafioso è una persona mite alla quale non piace farsi notare. PRESIDENTE. Mite proprio no, semmai cerca di nascondersi. GASPARE MUTOLO. Ricordo che alla scadenza dei termini di carcerazione sono andato a Gavorrano, un tranquillo paese di minatori. Quando è venuto Condorelli ho parlato con il maresciallo e gli ho chiesto di farlo sistemare da me perché Pag. 1265 lui non conosceva nessuno e l'unico che poteva offrirgli ospitalità ero io. Il maresciallo mi ha creduto. Allora non si pensava che anche in un paesino piccolo come Gavorrano si potessero organizzare attività mafiose. PRESIDENTE. Un commissario vuole sapere se il gruppo che risiede a Torino si occupi di appalti o di lavori relativi alle autostrade. GASPARE MUTOLO. So che a Torino vi sono mafiosi e persone appartenenti alla 'ndrangheta, però si tratta di una realtà che non conosco. Posso dire che poiché queste persone si trovano a Torino da molto tempo certamente avranno le loro amicizie. PRESIDENTE. Che rapporti vi sono tra Cosa nostra e la 'ndrangheta? GASPARE MUTOLO. Rapporti cordiali. Anzi i calabresi erano propensi ad essere affiliati alla mafia, però questa... PRESIDENTE. Qualche capo della 'ndrangheta è combinato? GASPARE MUTOLO. A quanto mi risulta no, anche se ho saputo da Condorelli, nel 1989, che erano state autorizzate delle famiglie mafiose a Napoli. Personalmente, però, non mi consta. Ho conosciuto diversi calabresi, tutti molto riverenti nei confronti dei palermitani e ricordo che un tempo si era iniziato ad affiliare calabresi alla mafia. Però un certo Arena di Reggio, fratello di Paolo, è stato ucciso; Paolo ne ha dato la colpa a La Barbera Angelo e ne è nato un conflitto per cui non se ne è fatto più nulla. In seguito, intorno al 1974-1975, alcuni personaggi si trovavano bene in Sicilia e si parlò di alcune famiglie (Inzerillo) ma qualcuno si opponeva perché in Calabria si uccidevano donne e si sparava in piazza, in altre parole vi era una mentalità che urtava con quella palermitana. PRESIDENTE. Quali sono i rapporti con la Sacra corona unita? Esistono capi di questa organizzazione combinati con Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. No. La mafia ha fatto una famiglia di napoletani perché le è convenuto (sia a Luciano Liggio sia a Salvatore Riina) però un romano o un napoletano, prima dell'esistenza della famiglia di Napoli, non potevano essere combinati: i combinati sono tutti palermitani. Una persona che fa parte della Sacra corona unita non può essere affiliata alla mafia, a meno che si combini e gli si dia l'ordine di fare un gruppo mafioso e di distruggere la Sacra corona unita perché la mafia non riconosce alcuna altra organizzazione. Con esse può anche avere un rapporto amichevole, ma non sono Cosa nostra. PRESIDENTE. Invece a Napoli vi è proprio una famiglia mafiosa. GASPARE MUTOLO. Sì, prima è stata fatta una famiglia e poi un'altra. PRESIDENTE. Quali? GASPARE MUTOLO. Quella di Lorenzo Nuvoletta e quella di Michele Zaza, una di Napoli e l'altra delle province. PRESIDENTE. E D'Alessandro? GASPARE MUTOLO. D'Alessandro era un capodecina della famiglia Zaza ma, con l'avvento dei cutoliani, i palermitani se ne sono andati da Napoli dopo che è stato ucciso un certo Mimmo Bruno e che a Napoli si è cominciato a dire che Cutolo voleva imporre le sue leggi ai mafiosi. Ora so che Michele D'Alessandro ha una sua famiglia a Castellammare. PRESIDENTE. E' una famiglia di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. No, ha una sua organizzazione. So che è entrato in conflitto con Imparato, uno dei suoi uomini Pag. 1266 più fidati (quando è uscito dalla galera ha trovato un po' di confusione). La famiglia di Napoli, dopo l'avvento di Cutolo, si è rotta, però, a quanto mi risulta, sono rimasti tre gruppi: quello di Napoli con Michele Zaza, anche se conta poco, quello di Lorenzo Nuvoletta e quello dei Gionta (non so se questo sia aggregato al primo o al secondo). Tutte le altre organizzazioni sono tipicamente camorriste, anche se si sono fatte furbe e stanno creando una struttura simile a quella nostra. PRESIDENTE. Bardellino? GASPARE MUTOLO. Bardellino era un uomo d'onore che dopo la scissione ruppe con Nuvoletta e formò una sua famiglia. E' rimasto sempre amico di Gaetano Badalamenti e, a quanto ci risulta, è morto. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare delle stidde? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare di cosa si tratti? GASPARE MUTOLO. Le stidde sono state create da un mafioso - del quale non ricordo il nome - che era stato messo fuori dalla famiglia. Egli non accettò il fatto di essere stato posato e costituì un'organizzazione che chiamò "stidda", parola che può rappresentare una stella luminosa ma anche la malasorte. Questi "stiddari" hanno una loro organizzazione, cercano in qualche modo di fare qualcosa ma sono sempre sopraffatti dalla mafia, la quale non li ha distrutti perché succede che in diverse famiglie di sangue c'è un componente mafioso e uno stiddaro: quindi, c'è stata questa, diciamo, tolleranza. Gli stiddari si focalizzano maggiormente nella zona di Agrigento, a Favara, ma non hanno mai creato problemi alla mafia; ogni tanto, quando qualcuno vuole alzare la testa, lo uccidono e il discorso finisce. PRESIDENTE. A Gela c'è stato questo tipo di contrasto? GASPARE MUTOLO. Per quanto riguarda queste zone dell'agrigentino, del catanese e di Gela, ho avuto amici mentre ero a Spoleto. Lì mi trovavo con una persona che era direttamente in contrasto con Madonia Giuseppe di Vallelunga; mentre tutti i giornali parlavano di una faida che coinvolgeva un certo Iacolano, il pastore, noi discutevamo invece su questo Iacolano e su questi ragazzi, che poi non sono stiddari, che avevano un fratello mafioso di un'organizzazione vicino a Gela alle dipendenze di Peppe Di Cristina e poi di Madonia; gli avevano ucciso uno e gli altri fratelli hanno cercato di controbattere per il problema della diga che stanno facendo. PRESIDENTE. La diga sul Desueri? GASPARE MUTOLO. Non so, vicino a Gela c'è una diga. Non vorrei che si facesse confusione fra gli stiddari e le varie organizzazioni che ci sono a Catania. In questa città c'è una famiglia e diversi mafiosi se ne sono andati ed hanno creato dei gruppi: per esempio, Ferlito, Pillera e qualche altro. Poi ci sono le altre organizzazioni, perché in ogni rione c'erano bande che cercavano di contrastare soltanto i mafiosi: però, non sono stiddari. Gli stiddari sono concretamente quelli dell'organizzazione che si chiama "degli stiddari" e stanno in quella provincia; Pillera, per esempio, non è stiddaro. Gli stiddari sono quelli nati nell'agrigentino, principalmente a Favara. PRESIDENTE. Sospendo brevemente l'audizione. La seduta, sospesa alle 14,5, è ripresa alle 14,40. PRESIDENTE. Proseguiamo con le domande. Signor Mutolo, ha mai conosciuto un tale Sciorio? Può dire chi è? Pag. 1267 GASPARE MUTOLO. Era uno della famiglia di Napoli ed abitava vicino Giugliano. PRESIDENTE. Quale peso aveva? GASPARE MUTOLO. Era un uomo d'onore di una famiglia. PRESIDENTE. Era uomo d'onore? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Circa il suo soggiorno a Teramo, può spiegare, come ha già fatto ai magistrati, questa sua estesa capacità di movimento da Teramo a Palermo? GASPARE MUTOLO. A Teramo mi trovavo in regime di semilibertà ed avevo un permesso di lavoro perché lavoravo in una fabbrica di mobili, presso un certo Carusi e Cellini. Dopo mi sono adoperato per questa fabbrica, perché prendevo le stanze e i mobili che facevano e che i loro rappresentanti non riuscivano a vendere e li portavo a Palermo dove li vendevo attraverso vari negozi. Glieli facevo prendere. Questo è stato un motivo di lavoro per fare al giudice una richiesta tranquilla che per motivi di lavoro avevo continuamente... PRESIDENTE. Aveva informato i giudici che lei andava a Palermo a vendere questi mobili? GASPARE MUTOLO. Ero in semilibertà: di giorno uscivo e alla sera rientravo. Dopo un po' di tempo ho fatto la richiesta al giudice, non ricordo se si chiamasse Casu. PRESIDENTE. Di Teramo? GASPARE MUTOLO. No, di Pescara perché il giudice di sorveglianza era di Pescara ed il presidente era a L'Aquila. Per i permessi quindi mi rivolgevo a Pescara. Ho fatto la richiesta specificando il tipo di lavoro che facevo e il fatto che dovevo piazzare questi mobili come rappresentante, e me l'hanno accordata. PRESIDENTE. Cosa faceva a Palermo? Vendeva solo mobili o faceva anche altro? GASPARE MUTOLO. La mia era una copertura perché non mi interessava molto vendere i mobili, però li vendevo perché era un interesse mio, cioè che il mio datore di lavoro avesse questo interesse. A me era facile attraverso i negozi perché anche se avevano già dieci, quindici o venti stanze... PRESIDENTE. Compravano la ventunesima. GASPARE MUTOLO. Mi facevo il giro e ad ogni persona che aveva bottega dicevo di prenderne una, due, tre; non avevo problemi. Logicamente non è che scendevo per i mobili, avevo i miei motivi. PRESIDENTE. Ho capito, aveva i suoi affari. Come ha trovato questa ditta di mobili? GASPARE MUTOLO. Poiché ero amico, avevo fatto un recupero ad un certo Bellavia Francesco. PRESIDENTE. Un recupero di credito? GASPARE MUTOLO. Sì. Ho conosciuto questo attraverso un mio cugino, Siragusa Vito, che ora è scomparso. Questi mi presentò Bellavia Francesco che aveva, se non sbaglio, quattro o cinque figli, due maschi e tre femmine; era un uomo buono che chiunque lo poteva fregare. Diverse altre persone si erano interessate per risolvere i problemi che aveva Ciccio Bellavia, però le persone che lui praticava per lo più gli fregavano i mobili, si inventavano botteghe; insomma era più il danno che gli facevano che altro. Successivamente Vito Siragusa ha ritenuto opportuno di presentarmi ma non Pag. 1268 era il mio lavoro perché non era mia abitudine fare lavoro di recupero. Dopo due o tre volte che sono andato a mangiare a casa sua, anche perché mi serviva una stanzetta per una "femminuccia" che avevo, questi mi chiese se potevo fare questo recupero perché era rovinato, aveva un sacco di assegni postergati. Quindi ne parlai a Saro Riccobono e gli dissi che siccome avevo conosciuto una persona se gentilmente mi autorizzava a fargli un po' di recupero. E quello rispose che andava bene. Comunque, noi non ne capivamo nulla di recuperi. Mi sono interessato sia nel catanese sia ... PRESIDENTE. Cosa faceva, andava dai creditori e diceva loro di pagare? GASPARE MUTOLO. Non sono andato dai creditori. Per esempio, a Trapani sono andato da Giuseppe Calderone, gli ho portato tutto il blocco per quanto concerneva Catania e gli ho detto che se la doveva sbrigare lui; sono andato da Di Cristina e si interessava nel ... PRESIDENTE. A Catania è andato da Calderone? GASPARE MUTOLO. Sissignore, poi anche nella zona di Agrigento, di Caltanissetta. PRESIDENTE. Questi soldi poi sono arrivati? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Senza problemi? GASPARE MUTOLO. Sì, sono arrivati i soldi e quelle persone che non avevano la possibilità ... si spiegava a Bellavia che erano... Dopo che ho fatto questo recupero, a volte partivo con lui o con il figlio per andare a Catania oppure da una persona che mi aveva indicato Peppe Di Cristina che aveva una taverna, Bellavia si immaginava che alla fine dovevo fare i conti e dirgli quanto avevo speso. Però, poiché non era un lavoro che facevo, spesso mi offendevo per il fatto che questo voleva pagarmi del lavoro che io avevo fatto. Quindi questo è rimasto molto obbligato con me e quando parlava di me lo faceva molto bene. Insomma, era a disposizione. Dopo che sono andato in galera ed avevo bisogno di uscire in semilibertà, questa persona, attraverso i suoi commercianti ed i suoi fornitori, mi aveva trovato questa ditta. PRESIDENTE. Lei ha poi raccontato che per andare a Palermo prendeva la sua macchina, una Ferrari, e andava all'aeroporto; com'è questa storia? GASPARE MUTOLO. Ad un certo punto vi è stato un certo Gasperini, e se non erro Koh Bak Kin... un giorno avevo un appuntamento perché dovevo parlare a Palermo con delle persone, con Riccobono ed altri. PRESIDENTE. Per il traffico di droga? GASPARE MUTOLO. Sì, si parlava di cinquecento chili di droga. PRESIDENTE. Droga e eroina? GASPARE MUTOLO. Sì; in un giorno dovevo fare il "saliscendi" con Roma perché alla mattina uscivo alle sette e alla sera rientravo. Ovviamente, questo discorso non è che l'ho tirato io, l'hanno tirato loro che dopo si sono messi a collaborare. Infatti, ho detto al giudice: questi sono pazzi perché è impossibile che io in un giorno potessi andare a Palermo e ritornare. Invece, l'altra volta in tribunale, purtroppo l'ho dovuto dire con l'avvocato Clementi che diceva: come mai? Lei quante volte...? Guardi, a Palermo andavo quando volevo io, a parte che ci andavo regolarmente ogni settimana per la storia dei mobili. Comunque, altri dicono ed hanno accertato, attraverso i biglietti dell'aereo, che però non erano a nome nostro, ma quelli sapevano a quale nome erano... Pag. 1269 PRESIDENTE. Spieghi bene: lei usciva alle sette dal carcere... GASPARE MUTOLO. Io uscivo alle sette, prendevo la macchina. PRESIDENTE. Che macchina? GASPARE MUTOLO. Io avevo o un Dino Ferrari oppure un GTV 2000 Alfa. Mi mettevo in macchina e cercavo di arrivare al più presto possibile all'aeroporto dove c'erano già i biglietti pronti. PRESIDENTE. Chi preparava i biglietti? GASPARE MUTOLO. C'era il Gasperini che aveva qui a Roma un'agenzia, una sua ditta. PRESIDENTE. Quindi, lei trovava la persona con il biglietto pronto. GASPARE MUTOLO. Sissignore. Una volta è sceso pure questo Gasperini e questo Ko Bak Kin ed abbiamo fatto sali e scendi. PRESIDENTE. Quindi, lei prendeva l'aereo ed andava a Palermo. GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Faceva i suoi affari a Palermo. GASPARE MUTOLO. Di pomeriggio salivo con l'aereo delle tre e mezza, non ricordo più gli orari precisi. PRESIDENTE. Non ci interessano gli orari precisi. GASPARE MUTOLO. Prendevo l'aereo intorno alle quattro; alle cinque, cinque e un quarto ero a Roma e poi in un'ora, un'ora e mezza ... PRESIDENTE. Arrivava su. Non le facevano mai qualche controllo nella ditta? GASPARE MUTOLO. Veda, nella ditta mi facevano qualche controllo. Però - sa com'è? - erano tranquilli e pacifici che io lavoravo. Quindi per i controlli io ho visto soltanto una volta i carabinieri che sono venuti, però io già lo sapevo perché... PRESIDENTE. Quindi, anche a Teramo lo sapevano, non solo a Palermo? GASPARE MUTOLO. Lo sapevano perché siccome io là mi stavo facendo dei cataloghi perché c'erano altri negozi, per cui io avevo fatto la richiesta tramite l'assistenza sociale che avevo motivo di girare in quei paesini dove ci sono diversi mobilifici, può darsi che venissero magari i carabinieri proprio quando io non c'ero perché ero uscito per contattare qualche fabbrica di mobili. I carabinieri gentilmente - che sono venuti soltanto una volta - mi hanno trovato là nell'ufficio, alla scrivania. PRESIDENTE. Lei prima ha detto un'altra cosa e cioè: "Poiché lo sapevo..." GASPARE MUTOLO. Che dovevano venire. PRESIDENTE. Come sapeva che dovevano venire? GASPARE MUTOLO. Siccome ogni mese, oppure ogni quindici giorni, l'assistenza sociale fa delle relazioni, preoccupandosi che passavano di là e non mi vedevano, mi telefonava la sera o un giorno prima. PRESIDENTE. Le dicevano: guarda che domani verranno a fare il controllo. GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Dovrebbe essere ora più preciso su un punto, cioè sulla questione delle latitanze, che rientra nello specifico lavoro della Commissione. Abbiamo infatti il compito, tra gli altri, di verificare se tutti gli organi dello Stato Pag. 1270 svolgano il loro lavoro. Poi, l'eventuale punizione, se c'è, spetta ai giudici mentre a noi spetta proporre cambiamenti per evitare che certi fatti continuino a riproporsi. Lei, con grande chiarezza, ha detto: noi latitanti non ci pigliava nessuno, eravamo lì tranquilli nel nostro quartiere, nella nostra zona. Questo esigeva, però, una copertura abbastanza vasta. Lei ha fatto il nome del dottor Contrada - e della vicenda, che ci interessa solo per certi aspetti, si occuperanno i giudici - ma non può certo essere stata una sola persona a bloccare tutti: polizia, carabinieri, Guardia di finanza. GASPARE MUTOLO. Guardi, quando parlo di latitanti mi riferisco, almeno per la zona di Palermo, al fatto che ci sono paesini dove c'è il maresciallo dei carabinieri. Ci può essere pure il commissariato di Palermo. Per un discorso ambientale, noi i carabinieri non li toccavamo perché erano persone che abitavano là, cioè vivevano con i nostri amici e parenti. A noi non ci conoscevano, non è che noi li salutavamo. Se io incontravo il maresciallo non gli dicevo: "Buongiorno", voltavo la faccia e il discorso era chiuso. L'unica preoccupazione poteva essere la polizia di Palermo, se qualche pattuglia sprovvedutamente si allontanava, passava da una certa zona e magari ci incontravamo con le macchine. Anche in questo caso, prima di tutto era difficile conoscerci e poi si trattava sempre di zone dove, anche se venivano tre poliziotti a fare un certo pattugliamento e vedevano una macchina con delle persone a bordo, pure se vedevano che era un latitante non è che si fermassero. E' capitato proprio a me, in una strada parallela alla via Regione siciliana, mentre stavamo andando a uccidere una persona - dopo l'abbiamo uccisa - e quindi avevamo due macchine tutte cariche di armi. Eravamo in una strada parallela alla via Regione siciliana: noi da Passo di Rigo entravamo dentro, facevamo Cruillas, arrivavamo dopo la Casa del sole, e poi c'era una strada mezza asfaltata e si usciva dopo il Sigros. Pensi che in questa strada parallela abbiamo incrociato - li abbiamo visti da lontano noi a loro e credo anche loro a noi - una 128 giallina, si trattava cioè della "catturante", una delle macchine più pericolose: pensi che si sono messi sopra un montarozzo di terra - e stavano quasi per cappottare - per farci passare. Questo per dire che purtroppo la realtà era questa. Può sembrare assurdo, può sembrare un discorso... PRESIDENTE. Quindi, nelle forze dell'ordine c'era una paura diffusa? GASPARE MUTOLO. Sì, c'era una paura diffusa. PRESIDENTE. E c'era anche un problema di corruzione ed intimidazione? GASPARE MUTOLO. C'era tutto un complesso di cose. Quando si sapeva che c'era qualche personaggio scomodo, si cercava di eliminarlo, si eliminava. Non è che in polizia erano tutti bravi o tutti cattivi. In polizia purtroppo, l'ambiente di Palermo era quello: se c'era uno che accedeva nelle indagini e nella ricerca dei latitanti, si sapeva e si eliminava. Ci fu un certo Aparo che per esempio è stato ucciso perché lo chiamavano il "segugio" perché andava sempre cercando i latitanti. Ed è stato ucciso. PRESIDENTE. Voi riuscivate ad ottenere anche il trasferimento di persone capaci? Se c'erano un funzionario di polizia o un sottufficiale dei carabinieri bravi...? GASPARE MUTOLO. Questi erano compiti che si prendeva Roma. PRESIDENTE. Si prendeva Roma? GASPARE MUTOLO. Cioè, noi sapevamo che c'erano persone importanti tipo Ignazio Salvo, Nino Salvo, Lima o qualche altro, ma non so come facevano... PRESIDENTE. Non era questo il suo livello. Pag. 1271 GASPARE MUTOLO. Tramite Roma facevano questi trasferimenti. PRESIDENTE. A lei risulta di gente trasferita per questo? GASPARE MUTOLO. Sì, non è che a me risulti, non è che posso ricordare i personaggi che sono stati trasferiti. Ricordo però che quando c'erano personaggi scomodi a volte si diceva: a chistu videmu si sinni pò fari iri, ma sinnò s'ammazza. Era così, con facilità, ma se se ne andava era la cosa migliore che poteva succedere. PRESIDENTE. Vuol riferire alla Commissione la vicenda di Salomone, quello che si andò a costituire? GASPARE MUTOLO. Questo Salomone, siccome si era un po' impelagato perché gli aveva telefonato il Bono Alfredo perché in quel periodo si cercava di uccidere Buscetta, non lo so quali abbiano potuto essere gli interessi... PRESIDENTE. A Salomone era stato detto che doveva uccidere Buscetta? GASPARE MUTOLO. Alfredo Bono era incaricato... siccome questo Antonino Salomone era apparentemente il rappresentante, il capo mandamento della famiglia di San Giuseppe Jato. Però era stato già scalzato da Bernardo Brusca. PRESIDENTE. Antonino Salomone era andato in Venezuela? Dov'era andato? GASPARE MUTOLO. Il Salomone stava sempre in Brasile; quindi, in quel periodo si cercava di avere le "battute" con diverse persone. PRESIDENTE. La "battuta" vuol dire l'informazione. GASPARE MUTOLO. L'informazione dove si poteva andare ad uccidere, perché, ripeto, l'unico problema per la mafia è individuare dove abita l'individuo; una volta individuato, il resto è più facile. Alfredo Bono aveva ripetutamente telefonato a Salomone che voleva un appoggio là (qualche appartamento); però il Salomone se ne fregava. Dopo, non so quale sia stato il motivo - forse avrà visto qualche persona - ... Insomma, lui è venuto in Italia, è andato in Calabria e si è presentato ai carabinieri. PRESIDENTE. Ai carabinieri del suo paese, di Africo? GASPARE MUTOLO. Lui però è siciliano. PRESIDENTE. Perché allora si presentò ai carabinieri di Africo? GASPARE MUTOLO. Non glielo so dire di preciso; probabilmente lui là aveva qualche appoggio; qualche persona non si è voluta coinvolgere e gli avrà detto: "Vattene, non mi mettere in questi pasticci". Fatto sta, ed è inspiegabile, che il Salomone - non l'ha detto a me o a qualche altro il perché - andò ad Africo nella caserma dei carabinieri; anzi, lui aveva pregato un brigadiere, o un maresciallo, il quale l'ha testimoniato anche nel maxiprocesso, di far finta che lui l'aveva arrestato, e di non dire che mi sono... PRESIDENTE. Costituito. GASPARE MUTOLO. Forse lui, con la sua entrata in galera, voleva giustificare questo suo atteggiamento. PRESIDENTE. E voleva tirarsi fuori dall'incarico? GASPARE MUTOLO. Esatto; secondo me lui pensava di non essere molto bene aggiornato su quello che effettivamente era Totò Riina, e la potenza che aveva. Anche perché c'era un discorso che gli si era "ingarbugliato", perché Pietro Marchese e Giovanni Lo Greco erano stati fermati al confine francese, svizzero, mentre stavano andando in Brasile. Quindi, già si sapeva che Gaetano Badalamenti e Buscetta erano in Brasile, e anche questi Pag. 1272 due stavano andando in Brasile, al quale si guardava come un obiettivo di possibile covo di persone che potevano avere contro la mafia. PRESIDENTE. Ho capito. Lei andò da solo in caserma ad Africo, o fu accompagnato da qualcuno? GASPARE MUTOLO. No, ero solo. PRESIDENTE. Lei sa chi era l'eventuale persona che gli aveva suggerito di andare ad Africo? Vi erano vostri uomini, vostre persone o conoscenti ad Africo? GASPARE MUTOLO. Non conosco personaggi; so che vi erano personaggi importanti della 'ndrangheta calabrese; so che là vicino c'era pure un prete, non so... PRESIDENTE. Ricorda il nome? Don Stilo... GASPARE MUTOLO. Don Stilo. Però di preciso non so niente. PRESIDENTE. Questi i nomi che si facevano, ma di preciso lei non sa nulla. GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Di Nino Buffa, sa qualcosa? GASPARE MUTOLO. Nino Buffa è stato condannato a trent'anni... PRESIDENTE. Pare che anche lui era rifugiato in sud America. GASPARE MUTOLO. Sì, in Venezuela. Quando è stato condannato è stato fatto partire, perché il presidente glielo aveva consigliato, il quale, aveva fatto sapere a Saro Riccobono che per questo non c'era niente da fare, sicuramente non ... PRESIDENTE. Il presidente di che cosa? GASPARE MUTOLO. Del tribunale, dell'assise. PRESIDENTE. Aveva fatto sapere a Riccobono che per Buffa non c'era niente da fare. GASPARE MUTOLO. Che non c'era speranza, che quello che avevano già fatto nel processo, di assolvere, anche dalla semplice associazione, me, Riccobono, e a Michele zi' Salvatore era un fatto molto buono; che al Micalizzi Michele gli avevano fatto dare il favoreggiamento reale, cioè tutte le attenuanti... PRESIDENTE. Cioè avevano "aggiustato" il processo. GASPARE MUTOLO. Cioè, più di quello non poteva avere. Quindi, si è ritenuto opportuno farlo partire, mandandolo in Venezuela, che allora Pippo Bono, con Antonino Salomone facevano i costruttori di interi quartieri. PRESIDENTE. Grandi lavori. GASPARE MUTOLO. Nel tempo ho saputo che questo Nino si è sposato là, ha figli e fa il costruttore. PRESIDENTE. Dovrebbe ora spiegare alla Commissione i rapporti tra Cosa nostra siciliana e Cosa nostra americana in relazione alla visita di John Gambino in Sicilia. GASPARE MUTOLO. Dopo l'omicidio di Bontate e di Inzerillo sono venuti a Partanna Mondello un certo Naimo Rosario e John Gambino. Sono venuti da Saro Riccobono, perché questo Naimo, che accompagnava John Gambino, è un uomo d'onore della famiglia di Tommaso Natale; quindi, come sua competenza, ha dovuto andare da Tommaso Natale, ha dovuto informare Lino Spatola, che è il suo rappresentante, e, come mandamento, Saro Riccobono. Sono venuti là - peccato, mi ci trovavo anch'io - ed abbiamo parlato, anche perché conoscevo molto bene a Naimo. Erano venuti perché un Pag. 1273 pochino preoccupati di quello che stava succedendo in Sicilia, e Paolo Castellano, con questi due omicidi eccellenti nell'ambito di Cosa nostra, voleva delle direttive. Cioè Paolo Castellano voleva le direttive. PRESIDENTE. Mi scusi, direttive vuol dire che voleva informazioni, o voleva sapere cosa fare? GASPARE MUTOLO. Che cosa fare. PRESIDENTE. Perché Cosa nostra americana dipende da Cosa nostra di Palermo? GASPARE MUTOLO. No, ma siccome ci sono dei personaggi che attraverso le persone che comandano hanno debolissimi rapporti, c'è uno scambio di commercio... PRESIDENTE. Ho capito, non si tratta di un rapporto gerarchico. GASPARE MUTOLO. Dipende, perché a volte la corrente che c'è in Sicilia, a Palermo, può influire molto sull'andamento americano, perché vi sono molti italo-americani, siculi-americani che sono uomini d'onore. Questa persona voleva sapere che direttive prendere, si chiedeva che cosa stava succedendo e se poteva essere utile; non aspettava un ordine, ma si chiedeva se noi potevamo fare qualcosa. Io e Saro Riccobono siamo andati da Michele Greco, l'abbiamo informato che c'erano queste persone; il Greco si è preso uno o due giorni di tempo, nel frattempo gli avevano accennato che siccome tra il Gambino e l'Inzerillo c'è una parentela, se si poteva fare qualcosa per Giuseppe Inzerillo, che noi conoscevamo come persona buona, non cattiva. La sera abbiamo telefonato a questo Inzerillo Giuseppe da una specie di cabina che c'era sulla montagna, prima di fare tutti... PRESIDENTE. Una cabina dell'ENEL. GASPARE MUTOLO. Era una cabina dell'ENEL però tutta di cemento armato, e dentro vi era un telefono e Saro Riccobono aveva... PRESIDENTE. E chi voleva entrava... GASPARE MUTOLO. E Saro Riccobono aveva le chiavi, e forse quelli che erano addetti ai lavori della luce, non so... PRESIDENTE. Ma Saro Riccobono non era addetto ai lavori! GASPARE MUTOLO. Saro Riccobono è là, abita ed è latitante là, tranquillo, pacifico. PRESIDENTE. Sì, questo l'abbiamo capito. GASPARE MUTOLO. Saro Riccobono telefonò in America a John Gambino, dopo gli hanno passato... Insomma, Saro Riccobono gli diceva che si faceva quello che si poteva, però quello che interessava a Palermo era che lui desse qualche "battuta" per fregare Buscetta. Questo disse che il Buscetta, negli ultimi tempi, era più guardingo, però era a disposizione. Dopo uno, due giorni abbiamo dato la risposta a John Gambino; Riccobono ritornò da Michele Greco e ci ha detto che si dovevano uccidere tutti quelli alloggiati, scappati in America. Dopo un giorno ancora abbiamo fatto una specie di tavolata sulla montagna dell'Anzerra, e dopo non so se sono partiti o meno. PRESIDENTE. Può spiegare... GASPARE MUTOLO. Parlò un po' della possibilità di fare qualche traffico di droga... PRESIDENTE. Con gli americani? GASPARE MUTOLO. Dato che le strade che c'erano s'erano da poco interrotte e quindi era un momento di... Pag. 1274 PRESIDENTE. Perché si erano interrotte? GASPARE MUTOLO. Perché Inzerillo era notorio che era uno... PRESIDENTE. Degli anelli. GASPARE MUTOLO. ... che portava più droga in America. PRESIDENTE. La droga si raffinava in Sicilia e si portava in America? GASPARE MUTOLO. Sì, alcune partite di droga si facevano in Sicilia. Per alcune partite arrivava la droga... Dopo, io stavo mettendo in piedi un grande commercio di droga tra la Tailandia, che in qualche modo è andato avanti per un po'... PRESIDENTE. Quando è entrato in contatto con Koh Bak Kin. GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Ne parleremo tra un attimo. I rapporti tra Cosa nostra siciliana e Cosa nostra americana quali sono? Sono indipendenti, però si sentono e si ascoltano: è così? GASPARE MUTOLO. Sono indipendenti, sì. PRESIDENTE. Ma una delle due è gerarchicamente più forte dell'altra? GASPARE MUTOLO. Sono due cose distinte e separate. Loro erano più ricchi, fino al 1975, quando io ne sentivo parlare. Loro intelligentemente erano più avanzati, gli americani. Si faceva il confronto tra la mafia palermitana e quella americana, osservando che gli americani erano già entrati nelle società; avevano scoperto che il denaro pulito rende di più di quello sporco e quindi già da un pezzo avevano preso questa strada, non tralasciando anche quello sporco. PRESIDENTE. Facevano una cosa e l'altra? GASPARE MUTOLO. Però le attività pulite coprivano quelle sporche. PRESIDENTE. Cosa vuol dire che il denaro pulito rendeva di più di quello sporco? GASPARE MUTOLO. Una persona che apparentemente non ha un esercizio, un'industria o un'attività, domani, se riceve un controllo (questo può avvenire ora; allora era più difficile che accadesse) riesce più difficilmente a giustificare. Come mai tu hai 100 milioni o 1 miliardo? Invece avendo un'attività... Si diceva che Cosa nostra, per sfuggire un pochino a questi controlli che potevano essere fatti, tra i tanti stratagemmi adottava anche quello di pagare IVA o altre tasse in più per far vedere che vi erano guadagni. Invece di dichiarare di aver guadagnato 100 milioni puliti, si dichiara di aver guadagnato 1 miliardo, anche a costo di pagare 100 milioni di tasse in più. PRESIDENTE. Quindi gli americani avevano scoperto che si poteva usare... GASPARE MUTOLO. Questo discorso gli americani lo avevano fatto già da molto tempo. PRESIDENTE. Voi lo avete fatto solo dopo, però. GASPARE MUTOLO. E' esatto, dopo ci si è messi a copiare anche a Palermo, specialmente con l'edilizia. PRESIDENTE. Lei stava spiegando che il rapporto non è di comando tra le due Cosa nostra. GASPARE MUTOLO. Esatto, c'è la differenza che loro sono più moderni, però Cosa nostra è Palermo: loro anche riconoscono che il mafioso palermitano è più educato. Educato... cioè in tutte le manifestazioni di mafia che assume... Pag. 1275 proprio perché forse la sente di più, perché fin da bambino è abituato ad avere una disciplina. Vi è una differenza tra i mafiosi americani e quelli siciliani. PRESIDENTE. Una cosa semplice: lei ha parlato, nei suoi interrogatori, distinguendo i casi in cui c'era lo strangolamento da quelli in cui c'era l'omicidio con l'arma da fuoco. C'era una ragione di queste distinzioni o era casuale? GASPARE MUTOLO. Il discorso era casuale: se si poteva evitare di sparare, si evitava. PRESIDENTE. Per il rumore? GASPARE MUTOLO. Esatto. Anche perché, quando avviene lo strangolamento, la famiglia per un certo periodo pensa che il figlio è partito o il marito è assente, la polizia non può fare rapporto o, se lo fa, è più difficile che la magistratura possa condannare, perché manca il corpo del reato. Addirittura ci fu un periodo in cui per gli scomparsi nemmeno imputavano. Se non c'era il corpo del reato, non si poteva... PRESIDENTE. Perché non c'è il corpo del reato quando c'è lo strangolamento? GASPARE MUTOLO. Perché viene fatto scomparire. O viene bruciato o viene squagliato negli acidi o viene sotterrato con dei prodotti chimici per i quali nel giro di due mesi o tre mesi, anche se lo trovano e gli fanno una perizia, non riescono... PRESIDENTE. Però, questo può succedere anche con una persona uccisa con un'arma da fuoco. Anche in questo caso possono mettere il corpo nell'acido... GASPARE MUTOLO. Ma è più difficile. Che discorso è che io gli debba sparare per buttarlo nell'acido. Io parlo di strangolamento, quando non si vuol far trovare il cadavere. Se c'è la possibilità, dovendo sopprimere uno, di solito non si arriva mai al punto di sparargli, perché le persone sono in numero sufficiente quando vanno a strangolare qualcuno. Non c'è motivo di sparare prima ad una persona e poi metterla nell'acido. Di solito, si strangola e basta. PRESIDENTE. Non ho capito, mi scusi. GASPARE MUTOLO. Può darsi che io non abbia capito... PRESIDENTE. No, no, lei sta spiegando molto bene. Il punto è questo: quando si spara forse si lascia un proiettile, si lascia il bossolo, questo vuol dire? GASPARE MUTOLO. No, sparando a una persona rimane innanzi tutto il cadavere e quindi inizia un procedimento verso persone. PRESIDENTE. Ma questo cadavere non si può mettere nel famoso bidone con l'acido? GASPARE MUTOLO. Non ho capito la domanda. Intendo dire che quando uno va a sparare è perché non c'è la possibilità di attirare una persona in un luogo sicuro dove afferrarla. PRESIDENTE. Ecco, questa cosa non veniva fuori! GASPARE MUTOLO. Io non capivo... PRESIDENTE. Quindi, si cerca sempre di attirare la persona? GASPARE MUTOLO. Sissignore, in modo che non si fa rumore. PRESIDENTE. Si strangola e il corpo sparisce. Altrimenti, quando non è possibile far questo, si spara. GASPARE MUTOLO. Quando la vittima è un pochettino guardinga, allora si spara. Pag. 1276 PRESIDENTE. Come si passa dal triumvirato Liggio-Bontate-Badalamenti alla ricostituzione delle famiglie? GASPARE MUTOLO. Si passa piano piano, non si passa improvvisamente. Dopo il triumvirato mi ricordo che, ad esempio, tra le prime famiglie costituite vi furono quella di Saro Riccobono, quella di Michele Greco, quella di Pippo Bono e poi quella di Passo di Rigo, con Sariddu Di Maglio e poi Salvatore Inzerillo, e così via nei vari paesi. Dopo per un certo periodo la situazione è rimasta bloccata. Saro Riccobono aveva quasi mezza città di Palermo; dopo venne fatta la famiglia a Ciccio Madonìa, nel momento in cui fu dato il mandamento a Saro Riccobono. Dopo, Saro Riccobono "ci sconsa" la famiglia al Madonìa e creano un altro mandamento. Così nel tempo... PRESIDENTE. Ho capito, lentamente. Quali erano le differenze principali tra il gruppo di Bontate e di Inzerillo e quello dei Corleonesi? Le principali differenze tra questi due gruppi dentro Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Diciamo che quello Bontate-Inzerillo, che era della linea di Badalamenti, era composto da persone che cercavano di fare andare avanti a Palermo delle regole in una maniera democratica. Quello di Salvatore Riina si caratterizzava perché lui voleva girare in una maniera che gli consentisse di comandare personalmente. PRESIDENTE. Questo per quanto riguarda l'aspetto interno a Cosa nostra. Per quanto riguarda invece l'aspetto del rapporto con le istituzioni, con la politica, con la polizia, con assessori, eccetera, che cosa cambiava? GASPARE MUTOLO. Niente. Mentre Riina (e quando dico Riina mi riferisco anche a Provenzano ed agli altri corleonesi) e Luciano Liggio erano latitanti perché avevano avuto delle disavventure e si erano abituati a questa latitanza campagnola, in città da latitanti erano come in villeggiatura; quando Salvatore Riina era latitante a Palermo per la guerra tra Navarra e gli altri di Corleone, anche se stavano in un pagliaio si sentivano come se fossero in villeggiatura. Per cui per quello che avevano subito avevano un atteggiamento più aggressivo verso le istituzioni, mentre Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti erano più moderati: se si trovava un accordo erano per l'accordo, ma non volevano arrivare allo sfascio di insanguinare... PRESIDENTE. Avevano anche riferimenti politici diversi? GASPARE MUTOLO. Riina, a quanto si sapeva, ha sempre avuto Ciancimino; Stefano Bontate quelli palermitani, cioè Gioia e Lima. A Partanna Mondello c'era anche l'onorevole Matta; anche questo era un grande personaggio e Saro Riccobono ci andava quando voleva. PRESIDENTE. Saro Riccobono ci andava a parlare spesso? GASPARE MUTOLO. Quando voleva ci andava; era una cosa normale, anche perché queste persone non erano guardate come criminali, ma come persone che si adoperavano a fin di bene. Una delle ultime discussioni che ho sentito tra Saro Riccobono, Totuccio Lopiccolo e l'onorevole Matta riguardava la squadra del Palermo: vi erano questioni, uno aveva un mafioso, l'altro un altro e bisognava trovare un accordo pacifico. Agli occhi di questi personaggi erano dei pacieri e non degli assassini. PRESIDENTE. A proposito di cose che hanno un significato un po' storico ed un po' politico, lei ha spiegato ai magistrati che, per quanto le risulta, la strage di Portella delle Ginestre non fu deliberata ma fu accidentale. GASPARE MUTOLO. A parte che ne ho sentito parlare in maniera specifica e Pag. 1277 mi appassionava perché riguardava il discorso di Giuliano... Però, dopo, nel tempo... PRESIDENTE. Giuliano era un uomo d'onore? GASPARE MUTOLO. Sì. Nel tempo ho avuto modo di parlarne in maniera accademica, non perché vi fosse ormai un interesse. La strage avvenne non perché si voleva fare una strage, come ho spiegato ai giudici, almeno secondo quanto dicevano quelli. Quella sparatina, quei colpi di mitra provenivano da due mitra che si trovavano tra due valloni; vi era un punto in cui si trovavano tutte le persone che dovevano parlare, con bandiere e controbandiere e più avanti vi erano muli, bambini e vecchi. Allora, questi, per intimidirli... si dovevano fare scappare... perché allora, non solo là ma in tutto l'entroterra del palermitano si cercava di assoggettare questi comunisti, queste persone delle sinistre che si affacciavano all'orizzonte. Pare che ad uno, nello sparare in aria, gli scappò il mitra, ma non andò verso la folla dove erano tutti i partecipanti riuniti, ma dove si trovavano i muli, i vecchi ed i bambini che giocavano; dalle perizie, infatti, si può vedere che rimasero uccisi muli, vecchi e bambini e non persone giovani, come sarebbe accaduto se si fosse sparato nel mucchio. Era un discorso fatto dai politici... insomma, da quelle persone che non volevano che il comunismo prendesse corpo in queste manifestazioni di massa; si diceva infatti che nei paesi di Partinico e San Giuseppe facevano manifestazioni a cavallo e per intimorire i comunisti sparavano. Giuliano era l'unico uomo d'onore della banda... PRESIDENTE. Scusi, lei ha già riferito su questo, e dovrebbe riferire anche alla Commissione. Lei ha detto che l'intimidazione che poi è diventata la strage di Portella delle Ginestre, anche se non era nata come tale, era frutto di un accordo fra i politici e Giuliano. GASPARE MUTOLO. Sì, ma non per fare una strage. PRESIDENTE. No, per intimidazione. GASPARE MUTOLO. Sì, per fare un'intimidazione. PRESIDENTE. Con quali politici era avvenuta l'intesa? GASPARE MUTOLO. Sono quelli subito dopo il separatismo: Mattarella, Finocchiaro Aprile ed altri. PRESIDENTE. Questa è storia, quindi può parlare tranquillamente. GASPARE MUTOLO. Vi erano anche principi che accarezzavano quel progetto passato; queste però erano persone che venivano considerate come partito dell'avvenire, come partito buono, anche perché allora se lei guarda tutti i sindaci e vicesindaci della Sicilia sono quasi tutti mafiosi. Erano persone che purtroppo gli americani avevano lasciato come eredità e che la DC continuava a... Era questo l'andamento delle cose. PRESIDENTE. Lei prima ha parlato dell'omicidio del giudice Saetta; Saetta è l'unico presidente ucciso, perché gli altri uccisi sono stati procuratori della Repubblica o giudici istruttori. Come mai viene ucciso Saetta? GASPARE MUTOLO. Per quello che ho sentito da qualcuno, perché il giudice Saetta ha fatto il processo dei Madonìa e gli ha confermato l'ergastolo: a Madonìa Giuseppe, a Puccio... PRESIDENTE. Il processo per l'omicidio di Basile? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Ma allora avevano cercato di condizionare in qualche modo il processo e non c'erano riusciti? GASPARE MUTOLO. L'avevano condizionato fin dall'inizio, perché vi era una sentenza di primo grado con un'assoluzione un po' tormentata, tanto che i Pag. 1278 coimputati, dopo poco tempo, si buttarono tutti latitanti; mentre nel 1987 mi trovo con Giuseppe Madonìa a commentare il fatto che loro sono preoccupati, che la Cassazione l'aveva cassato e non si riusciva... PRESIDENTE. La Cassazione aveva già annullato una volta? GASPARE MUTOLO. Se non sbaglio o la Cassazione aveva già annullato la prima volta o c'era addirittura l'appello, non ricordo bene. Quindi rinfacciai a questo che l'avevano complicato loro, perché si erano buttati latitanti; infatti, quando c'è una sentenza con la quale un imputato "esce" di un omicidio, in qualche modo la sentenza è scritta a favore del detenuto, invece quando c'è la condanna... Lui in maniera pacifica disse che gli avevano mandato a dire di andare via, perché il presidente aveva detto che in appello la loro situazione non avrebbe retto e vi sarebbe stata una possibile condanna. PRESIDENTE. Quale presidente aveva detto che in appello non reggeva? GASPARE MUTOLO. Il presidente del primo grado. PRESIDENTE. A chi l'aveva detto il presidente del primo grado? GASPARE MUTOLO. Non lo so. PRESIDENTE. A voi era arrivata la voce che il presidente del primo grado... GASPARE MUTOLO. Questa conversazione l'ebbi direttamente con uno degli imputati, con Madonìa Giuseppe... Vedo eccessiva questa preoccupazione, queste lamentele, perché si sapeva che c'era un altro presidente, uno di Bagheria, un certo Carlo Ajello, che doveva fare l'appello. Fra di noi si parlava e si diceva: "Ora questo, appena li condanna, muore". Infatti, l'appello non fu fatto da Carlo Ajello, ma da un altro presidente di Palermo, che lo rinviò per delle perizie. Dopo subentrò il giudice Saetta. PRESIDENTE. Quello condotto da Ajello probabilmente fu il processo di primo grado? GASPARE MUTOLO. No, quello d'appello! PRESIDENTE. Questo Ajello chiese una perizia? GASPARE MUTOLO. Si, lo rinviò per un discorso di perizie su un terreno. Ma fu tutta una scusa per liberarsene. PRESIDENTE. In sostanza, il presidente del tribunale che aveva pronunciato la sentenza di primo grado, giunto in appello... GASPARE MUTOLO. Avevano consigliato non di "buttarsi" latitanti, per poi ammazzare qualche altro presidente che li avesse condannati ma, poichè erano dei giovani, di andare all'estero. Questo era il significato! La sentenza non "regge"... andate via! Loro erano tranquilli e pacifici. Ma la forza e la sicurezza dei magistrati era forte, fortissima, a Palermo, perché non c'erano processi che non si "aggiustavano"... Il disastro cominciò con l'inizio del maxiprocesso e i vari pool antimafia. PRESIDENTE. Non è che avete ammazzato tutti coloro che hanno condannato? GASPARE MUTOLO. Mi scusi, ma lei mi può dire qualche personaggio importante che sia stato condannato all'ergastolo? PRESIDENTE. Non è mai accaduto? GASPARE MUTOLO. Lei può dirmi un personaggio importante? PRESIDENTE. Effettivamente, la sua è una buona domanda. Pag. 1279 GASPARE MUTOLO. E' giusto che le dica che in galera ci sono diverse persone innocenti, condannate all'ergastolo, che stanno pagando per omicidi di personaggi dello Stato. Ma sono persone completamente innocenti e fanno pena soltanto a guardarle. Eppure, sono state condannate all'ergastolo e sono da più di dieci anni in galera per reati assurdi. Mi riferisco all'omicidio del colonnello Russo, all'omicidio dell'appuntato Abaro e ad altri che adesso non ricordo. PRESIDENTE. Ci sono stati dunque omicidi di questo tipo per i quali sono stati condannati all'ergastolo... GASPARE MUTOLO. ...personaggi completamente innocenti. PRESIDENTE. Infatti, credo che probabilmente sia in corso la revisione del processo relativo all'omicidio del colonnello Russo. GASPARE MUTOLO. C'è anche quello dell'appuntato Abaro. Quello è un'altra vittima! PRESIDENTE. Si era parlato della possibilità che Saetta presiedesse il processo d'appello del maxiprocesso? GASPARE MUTOLO. Non so a che punto siano arrivate queste voci. Lui poteva essere uno dei probabili presidenti; ma non era tassativo che dovesse farlo lui. Comunque, anche se c'erano delle probabilità che Saetta potesse fare il maxiprocesso, il discorso scatenante è stato che non gli hanno perdonato che lui abbia condannato. PRESIDENTE. Il giudice Saetta era stato avvicinato? GASPARE MUTOLO. E' una prassi che si fa con tutti. E' logico, non tutti accettano di morire; ce ne sono tanti, infatti, che accampano scuse. Ma era un processo così delicato e si voleva avere una sicurezza, perché questi purtroppo erano i rampolli! Allora c'erano Puccio, intimo amico di Greco e Scarpa Giuseppe, molto legato allora a Salvatore Riina; Giuseppe Madonìa, compare di Salvatore Riina; Bonanno, un altro membro della famiglia di Resuttano, pure coinvolto in questo omicidio. Quindi, c'era un interessamento ma era pacifico che loro non dovessero pagare per questo reato! Se c'era una preoccupazione di dover pagare per questo omicidio, loro sarebbero andati via. Anche se vi fossero state prove schiaccianti, non rientrava nella mentalità che uno dovesse pagare per un omicidio. PRESIDENTE. La sentenza di Saetta è stata anche annullata? GASPARE MUTOLO. So che questo processo è stato annullato per due volte in Cassazione. PRESIDENTE. Chi c'era in Cassazione, per annullarlo? GASPARE MUTOLO. Intende chiedermi chi era il presidente? PRESIDENTE. Sì. GASPARE MUTOLO. Il dottor Carnevale. PRESIDENTE. Questo voi lo sapevate? GASPARE MUTOLO. Lo so perché se ne parlava. PRESIDENTE. Senta, lei ha spiegato che De Mauro fu ucciso per gli articoli che scriveva su L'Ora. E' così? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. E Terranova fu ucciso perché tornava a fare il capo consigliere istruttore. Di Chinnici lei ha già detto. Senta, può dirci perché Montana e Cassarà furono uccisi? GASPARE MUTOLO. Per quanto ho sentito dire all'interno di Cosa nostra, Montana e Cassarà sono stati uccisi perché Pag. 1280 erano persone che cercavano di fare le cose in maniera abbastanza seria. Per questo sono stati eliminati. PRESIDENTE. Arrivò una soffiata dalla questura quando Cassarà uscì di casa? GASPARE MUTOLO. Questo non lo posso dire, non mi risulta. PRESIDENTE. Non ne avete sentito parlare? GASPARE MUTOLO. So che i giornali hanno parlato di questa soffiata, che addirittura era Natale Mondo. Invece, dopo, parlando con altri detenuti, si è detto che, se si pensava che questo fosse vivo, si sarebbe andati là per sparargli un colpo in testa. Il fatto che si sia salvato è stato un caso. Come si fa in mezzo a 250 proiettili a salvarsi? Come può essere che uno, dentro la macchina, e al quale venga sparata una raffica di mitra, due colpi di "scopetta", rimanga vivo? Purtroppo, sono fatalità della vita... PRESIDENTE. Beh, meno male che ci sono queste fatalità! Non mi riferivo a Natale Mondo sul quale siamo perfettamente d'accordo con lei. Cassarà era rimasto per alcuni giorni a dormire in questura e poi improvvisamente, quel giorno, era andato via. Il problema è vedere come questo lo si era saputo, tenendo presente che tante persone e collaboratori, compreso lei, avevano notizie dall'interno della questura. GASPARE MUTOLO. Non lo posso dire. Vede, io conosco delle persone che portavano qualche notizia. Le posso dire che fin quando il poliziotto, il commissario o il maresciallo mi dicono: "Stai attento che c'è un mandato di cattura" oppure "Stai attento che stasera debbono controllare la zona. Dalle 6 alle 10 c'è l'operazione zeta", si tratta allora di discorsi tranquilli, pacifici, che si fanno per un certo quieto vivere, per qualche favore che si è fatto. Ma, nel momento in cui vengo a sapere che un poliziotto mi dà la soffiata ma dopo nasce una strage, e per questo io, mafioso, o noi, mafiosi, abbiamo la preoccupazione che quello che ha fatto la soffiata è "sapitore" di una strage, è difficile... Fino a quando si tratta di discorsi lievi, senza che io debba andare a rischiare l'ergastolo, lo può sapere un poliziotto o l'usciere, a me non interessa nulla; però, se vengo a sapere che domani un poliziotto sa un mio segreto e parla e io rischio di prendere l'ergastolo, io lo ammazzo cinquanta volte. PRESIDENTE. A meno che non si decida di uccidere dopo il poliziotto. GASPARE MUTOLO. Esatto. PRESIDENTE. Perché Mondo viene ucciso? GASPARE MUTOLO. Mondo viene ucciso perché era sempre nell'ufficio di Cassarà, anche se aveva avuto delle disavventure per i soliti conflitti tra polizia e carabinieri. Mondo aveva contatti con un certo Duca, se ne è parlato sui giornali ma abbiamo chiacchierato anche fra di noi. Mondo, autorizzato da Ninni Cassarà, si voleva infiltrare perché allora non esisteva ancora la legge per cui si possono fare compravendite simulate; però i carabinieri avevano intercettato una telefonata ed erano all'oscuro che Mondo fosse d'accordo con la polizia e con Duca di fare... e pensavano che il poliziotto fosse immischiato nel traffico... Nel momento in cui rimane vivo nell'agguato al dottor Ninni Cassarà queste cose escono fuori e vengono divulgate dalla stampa. PRESIDENTE. L'omicidio è stato commesso perché Mondo si era infiltrato? GASPARE MUTOLO. Dopo Mondo viene messo sotto inchiesta e trasferito; in seguito ritorna e si vede molto spesso all'Arenella, che è la località dove l'hanno ucciso. Nel frattempo, qui era latitante un certo Salvatore Madonìa... questo mi viene raccontato da un certo Galato, che Pag. 1281 gli aveva dato il suo appartamento. Un motivo di preoccupazione era che questo Mondo conosceva tutto l'ambienta mafioso, almeno tutti quelli schedati. L'hanno ucciso perché era uno che sapeva delle investigazioni che aveva fatto il dottor Ninni Cassarà. PRESIDENTE. Quindi viene ucciso perché poteva essere pericoloso, perché sapeva determinate cose? GASPARE MUTOLO. Perché poteva essere pericoloso se facevano qualche rapporto, qualche associazione, dei collegamenti. Quando la polizia lavora e scrive ricorda sempre a mente qualche cosa. PRESIDENTE. Ha mai sentito di qualche cerimonia a cui erano presenti mafiosi? Per esempio un battesimo o un matrimonio a cui la polizia o i carabinieri non sono intervenuti per consentirne lo svolgimento? GASPARE MUTOLO. Questo discorso l'ho sentito ma in una maniera... so che c'era qualche latitante che se ne è andato per via mare. Ora non posso dire chi ci fosse o chi fosse. PRESIDENTE. Non ho capito bene. GASPARE MUTOLO. So che mentre c'era un matrimonio, mentre si stavano divertendo è arrivata la polizia. Nel frattempo, non so se qualcuno vede passare le macchine della polizia, comunque sanno che stanno per fare quest'irruzione nel ristorante. So che c'erano diversi latitanti e qualcuno se ne è andato sui motopescherecci. PRESIDENTE. Dove è avvenuto questo matrimonio? A Palermo? GASPARE MUTOLO. No, fuori Palermo. PRESIDENTE. Vicino Palermo? GASPARE MUTOLO. In provincia di Palermo. PRESIDENTE. A Termini Imerese, per esempio? GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare e non sono riuscito a focalizzare bene se fosse Cefalù o la Zagarella, poiché in tutte e due i luoghi... A me consta che la Zagarella fosse un punto dove si facevano i nostri matrimoni, perché c'era una certa tranquillità. PRESIDENTE. A matrimoni o a battesimi di questo genere erano a volte invitati anche appartenenti alle forze di polizia o carabinieri? GASPARE MUTOLO. Invitati? PRESIDENTE. Sì. GASPARE MUTOLO. No; che mi risulti, quando c'era un matrimonio, non si invitavano personaggi della polizia. PRESIDENTE. E ad un battesimo? GASPARE MUTOLO. Nemmeno. PRESIDENTE. Non le risulta? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Ha saputo nulla dell'omicidio Scopelliti? GASPARE MUTOLO. Mi scusi, non ho capito bene; mi ha chiesto se quando c'era un matrimonio o un battesimo si invitavano... PRESIDENTE. Che le risulti, è accaduto che ad un battesimo, in particolare ad un matrimonio tra gli ospiti ci fosse qualcuno di questi? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Passiamo all'omicidio Scopelliti. Pag. 1282 GASPARE MUTOLO. Dalle chiacchiere che si sono fatte con diversi detenuti, persone anche calabresi, l'omicidio è stato fatto perché si sapeva che Scopelliti, già prima di essere assegnato ufficialmente alla Cassazione come procuratore per istruire il maxiprocesso, si sapeva che stava studiando privatamente tutti gli atti perché non c'era il tempo materiale per farlo. Può darsi che il discorso per questo giudice Scopelliti sia stato semplice e regolare ma per l'ambiente mafioso è stato un segnale, nel senso che egli aveva un interesse particolare a studiare le cose. Prima che morisse si sapeva che era rigido e soprattutto contrario a questa linea dei mafiosi e, quindi, c'erano delle titubanze. Si pensò che uccidendo Scopelliti e con la nomina di un nuovo procuratore generale che doveva studiare tutti gli incartamenti, considerato il tempo delle scadenze e quello necessario per qualsiasi altro pubblico ministero, le persone dovevano uscire dal maxiprocesso. Poi c'era quella famosa promessa o speranza che a Roma si dovesse buttare tutto a terra. PRESIDENTE. Ho capito. Ha mai sentito parlare dell'omicidio Fava? GASPARE MUTOLO. Sì, ma non posso dare alcuna indicazione. Di solito, si tratta di omicidi di carattere mafioso verso personaggi che danno fastidio ad un certo ambiente; altre persone non si permettono di toccare questi personaggi. Di concreto non so niente. PRESIDENTE. Ha mai conosciuto in Toscana Michelangelo Fedele? GASPARE MUTOLO. Con Michelangelo Fedele, un calabrese, eravamo vicini ma non ho avuto rapporti di conoscenza o, quanto meno, non ricordo di averlo conosciuto fisicamente, anche se so che ha delle agenzie dove lavorano dei suoi nipoti, se non sbaglio vicino a San Vincenzo. Comunque, cose specifiche non ne so. PRESIDENTE. Quando è stato in Toscana, dov'era? GASPARE MUTOLO. A Gavorrano, in provincia di Grosseto. PRESIDENTE. Dove poi è stato ucciso Condorelli? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Per il sequestro Lenzi a Pistoia vi furono contatti tra mafia e terroristi, che lei sappia? GASPARE MUTOLO. Non lo so. PRESIDENTE. Prima lei ha spiegato come si svolse la vicenda quando, verso la metà degli anni settanta vi fu il progetto di assoggettare... Bontate si avvalse di qualcuno in particolare e Badalamenti di qualcun'altro per svolgere questo progetto? GASPARE MUTOLO. Il progetto era che Bontate, tramite... anche perché il conte Cassina Arturo aveva là vicino, nella zona di Villa Grazia, il villino dove lui abitava; ci lavorava questo personaggio Teresi Giovanni detto "il pacchione", che era sottocapo della... PRESIDENTE. Dovendo ora porre una questione delicata, propongo di proseguire i nostri lavori in seduta segreta. (La Commissione procede in seduta segreta). PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Perché si scelse proprio Cassina? GASPARE MUTOLO. Non è che si scelse Cassina per dire Cassina, magari si sono scelti diversi personaggi. PRESIDENTE. Quali furono le persone che vennero scelte? Una è Cassina, poi? Pag. 1283 GASPARE MUTOLO. Guardi si facevano tanti, cioè c'era...come si può dire? PRESIDENTE. L'onorevole Gioia venne contattato anche lui, venne utilizzato anche lui come Cassina? GASPARE MUTOLO. Non lo se venne utilizzato. Però, che si facevano questi avvicinamenti, sia l'onorevole Gioia... anche perché tra i diversi mafiosi c'era chi diceva: io sono compare dell'onorevole Restivo; io ho in mano l'onorevole Gioia oppure Ciancimino. Chiunque poteva avere un personaggio che poteva evitare uno scontro. In fin dei conti, se queste persone si adoperavano, lo facevano a fin di bene e non di male: Infatti, il discorso era che, se non si trovava il modo di farli accordare, di essere più elastici e morbidi, sicuramente si uccidevano tutti, come qualcuno è stato ucciso. PRESIDENTE. All'inizio degli anni sessanta Lima e Ciancimino andavano d'accordo. Dopo la metà degli anni settanta si apre un litigio, si creano dei contrasti politici e di interesse. Può spiegare come le differenze all'interno di Cosa nostra si riproducano nei contrasti tra queste due persone? GASPARE MUTOLO. Si tratta della storia della mafia fatta da un lato, con tutti i supporti di alcuni personaggi, tra cui ve ne sono alcuni che ci stanno molto bene, che seguono gli orientamenti dei mafiosi. Ciancimino, almeno per quello che si è sentito dire, era molto amico anche dell'onorevole Mattarella. Non è che non erano amici, addirittura erano amici anche del padre. Dobbiamo però inquadrare questi personaggi nella mentalità e nell'ottica della Sicilia degli anni quaranta-cinquanta. Io mi vergognerei se dovessi fare un paragone ora, magari nominando il padre dell'onorevole Mattarella, tra quella che è la mafia di oggi e quella che si concepiva negli anni trenta. Questo è bene che si tenga presente. PRESIDENTE. Questo è chiaro. GASPARE MUTOLO. I mafiosi erano "campieri", ma sicuramente c'era qualche nobile, come ancora oggi c'è. Allora ce n'erano molti di più. Questi personaggi a cosa servivano? Per dare ospitalità. In Sicilia che cosa c'era? C'erano feudi, quindi le persone che comandavano erano questi nobili e i mafiosi. Non è che ci fossero distinzioni. Con la spaccatura che avviene all'interno di Cosa nostra, automaticamente ognuno si va portando i suoi personaggi. PRESIDENTE. I suoi alleati. GASPARE MUTOLO. Esatto, anche se la mentalità tra il Bontate e il Riina è diversa, anche se la mentalità tra l'onorevole Lima e Ciancimino è diversa. Perché anche Ciancimino è una persona... io non lo conosco personalmente, però è anche lui un corleonese, cioè ha vissuto più di noi questa realtà con questi personaggi. Quindi, quando avviene questa spaccatura che Gaetano Badalamenti dice che è amico di Gioia, Stefano Bontate è amico di Lima, Saro Riccobono è amico di Matta, Antonio Mineo addirittura - se non sbaglio, allora il ministro Franco Restivo aveva una carica ... PRESIDENTE. Era ministro dell'interno. GASPARE MUTOLO. Appunto, si dovevano interessare per togliere il confino, queste cose ... PRESIDENTE. Di Insalaco avete mai sentito parlare in questo contesto? GASPARE MUTOLO. Di Insalaco ho sentito parlare anche quando lui si portò come personaggio politico, e c'erano persone che erano d'accordo e altre no perché il padre era un poliziotto o un commissario. PRESIDENTE. Insalaco era uomo d'onore? Pag. 1284 GASPARE MUTOLO. No, da quanto risulta a me. PRESIDENTE. Ma in questo lavoro che lei sostiene facesse un po' anche Restivo per eliminare il confino ed il soggiorno obbligato, Insalaco aveva un qualche ruolo oppure no? Mi pare che allora fosse segretario. GASPARE MUTOLO. Insalaco era uno che dopo hanno scoperto, per esempio, che lui proponeva o aveva la possibilità di far togliere il confino. Però prima lo faceva dare o lo proponeva, non so a chi. Quindi, faceva questa specie di doppio gioco per avere i voti, un certo consenso. PRESIDENTE. Per avere più credito. Lei ha spiegato che le rotture che si verificavano dentro Cosa nostra poi si riportavano all'interno del mondo politico. E' così? GASPARE MUTOLO. Non è... PRESIDENTE. Non automaticamente. GASPARE MUTOLO. Non siamo a questo livello. Io intendo dire che, se l'onorevole Gioia oppure Ciancimino, oppure Lima, oppure un'altra persona... cioè, se prima per le questioni riguardanti le votazioni l'onorevole Lima interessava Stefano Bontate e dopo, per territorio, questi sapeva che in quella zona poteva parlare con l'amico suo Bernardo Brusca, o con Michele Greco, c'era questa cordata. Quindi, quando dopo c'erano le votazioni e queste persone non portavano più i voti, logicamente si diceva: in queste zone io non posso andarci più. Quindi, anche loro insomma erano... però non c'entra niente. Il discorso che è mafioso è una cosa, altra cosa è il discorso della politica. PRESIDENTE. E' chiaro. Visto che lei ha affrontato questo tema che ci interessa, vuol spiegare come andava la vicenda dei voti? GASPARE MUTOLO. Noi avevamo tassativamente l'ordine di votare per la DC perché era l'unico partito buono; erano le uniche persone che almeno a Palermo si sentiva che potevano fare qualche favore a livello... non è che io fossi uno che andava... Erano questi, insomma. Oggi io non so distinguere che differenza passi fra il Tizio ed il Caio, per me era DC; mi davano i facsimile con i numeri ed io, per quello che potevo fare fra i miei familiari e la mia borgata, lo facevo in maniera pacifica. PRESIDENTE. Quanti voti controllava più o meno la sua borgata? E' in grado di dirlo? GASPARE MUTOLO. Non è che mi interessassi tanto di politica. PRESIDENTE. Però la campagna elettorale la faceva. GASPARE MUTOLO. Per i miei parenti. Questi, ancora oggi anche se sono al confino e sanno che gli devono dare il mensile e c'è una certa disfunzione e magari passano otto mesi e si ritarda bene, per cui a volte queste persone non mangiano - mi scusi se passo da un discorso all'altro - se io telefono mi dicono: "Gaspare, vedi che i soldi non sono arrivati, come dobbiamo fare?". Questo rapporto con i miei parenti l'ho avuto sempre; quindi ero tranquillo che se gli dicevo di votare un numero - sempre DC - lo facevano, forse perché la DC dà un'immagine di sicurezza, o perché abbiamo sempre sentito parlare di DC. PRESIDENTE. Le ragioni non ci interessano molto; ci interessa invece capire meglio l'orientamento del voto. Lei riferisce dei suoi parenti, però non credo che il voto venisse chiesto soltanto a loro. GASPARE MUTOLO. Ai miei parenti, tutti quelli che votavano, sì... PRESIDENTE. E gli altri? Pag. 1285 GASPARE MUTOLO. Se vi era qualche persona che abitava nella mia scala, o che conoscevo, perché ci salutavamo, o perché gli avevo fatto qualche favore, gli davo questi facsimile e gli dicevo di votare... Quello non mi chiedeva se il candidato era buono o cattivo, non gli interessava, perché la politica a Palermo, almeno fino a poco tempo fa, non era sentita. PRESIDENTE. Come facevate a sapere che effettivamente tutti facevano quello che avevate chiesto? GASPARE MUTOLO. Per esempio, se un mio amico mi diceva fai questo, ed io gli facevo il favore, se dopo questo amico piano piano arrivava fino all'onorevole... ma io non conosco i meccanismi... Però lei sa che ci sono le sezioni, e persone che giocano a carte nei circoli (ci sono sempre nelle borgate quelli che si conoscono); per esempio, c'era il padre di Micalizzi, un certo Giuseppe, che è ancora in vita, per la zona di Pallavicino, che era quello più addentrato, che conosceva, ma a noi non interessava chi era. PRESIDENTE. Vi era qualcuno che il giorno del voto, davanti ai seggi, in qualche modo, cercava di convincere le persone a votare nel modo richiesto da voi? GASPARE MUTOLO. Io, di queste cose almeno, non... PRESIDENTE. Voi no! GASPARE MUTOLO. Non si doveva controllare il personaggio se dava o meno... C'era fiducia. PRESIDENTE. Però facevate una brutta figura se vi eravate impegnati per qualcuno che poi non otteneva i voti. GASPARE MUTOLO. Questo rischio... PRESIDENTE. Il rischio non c'era... GASPARE MUTOLO. Questo rischio non c'era, nella maniera più pacifica. Ricordo che una volta a Palermo, di fronte alla Standa, c'era un negozio di parrucchierìa (parlo di tanti anni fa, quando ancora lavoravo nel garage). Uno dei figli di questo signore che aveva il negozio di parrucchierìa si era sposato con un onorevole - non so che cosa fosse - ed era comunista. Siccome noi avevamo il garage, dove si vendevano macchine, conoscevamo questa persona da tanti anni, e voleva un po' di aiuto nelle elezioni. Quello che ho detto prima, un certo Salvatore Veterani, chiese di che partito era: "Comunista! Ti vai a scegliere il partito di cui noi non ci possiamo interessare". Questo per dire che non si guardava chi era o meno la persona, a noi interessava che fosse DC, che non era mai, mai, comunista e neanche fascista. Tutti gli altri partiti, bene o male... Ripeto, quelli che noi sentivamo erano della DC. PRESIDENTE. Le risulta di politici che erano, o sono uomini d'onore? GASPARE MUTOLO. Scusi, non ho capito. PRESIDENTE. Ci sono stati o ci sono politici che sono uomini d'onore? GASPARE MUTOLO. Ho sentito dire che ci sono stati in passato; personalmente non mi consta che ci siano ora. PRESIDENTE. Questo appoggio alla DC vale ancora oggi, oppure la situazione ora è diversa? GASPARE MUTOLO. Ora la realtà è un po' diversa; comunque, se dico a mia moglie di votare comunista, lei lo fa, perché non ne capisce niente di politica, ma se le dico di votare democristiano, lei vota DC. PRESIDENTE. Oggi quindi i rapporti fra Cosa nostra ed i partiti sono gli stessi o è cambiato qualcosa? Pag. 1286 GASPARE MUTOLO. Credo che ora, rispetto ad allora, sia cambiato molto. PRESIDENTE. Che cosa? GASPARE MUTOLO. Sempre a causa di questo benedetto maxiprocesso e di tutti i vari decreti-legge che si sono susseguiti, anche attraverso esponenti della DC. Per quanto concerne Cosa nostra, un primo segnale... PRESIDENTE. Di critica. GASPARE MUTOLO. Di critica (quasi a dire: "Vedete che ora ci arrabbiamo"), è stato dato nel periodo in cui il socialista (se non sbaglio, l'onorevole Martelli) ha preso tutti quei voti a Palermo. Se non ricordo male, l'onorevole Vassalli, che era ministro di grazia e giustizia, doveva varare un nuovo codice di procedura penale (noi detenuti seguiamo molto queste cose); si parlava degli onorevoli Martelli e Pannella, che si erano interessati tanto del caso Tortora, e della campagna elettorale per una legge più giusta, per una giustizia più giusta. Fra noi abbiamo detto: "Ma insomma questi della DC sono quasi quattro anni che prendono sempre..." A parte che era sentito già da prima ma abbiamo pensato che le cose, in un anno, diciotto mesi, sarebbero cambiate, ed abbiamo voluto dare un chiaro segnale per far capire che se vogliamo noi, campagna o non campagna, volantini, pubblicità, insomma... Infatti, ci è venuto l'ordine (non so da chi), e si è discusso, tra noi detenuti e tra le persone della commissione, per chiarire che se questo partito si interessa meglio della DC, non vi è motivo per andare dietro a questi "mammasantissima", che da quarant'anni ci mandano al confine. Scusi onorevole! (Rivolto all'onorevole Scotti). (Si ride). Che ci prendono in giro... A volte si faceva il paragone tra il fascismo e la DC e si diceva che anche Mussolini, in merito ai mafiosi, si era comportato certamente meglio dei democristiani, poiché almeno fece un'associazione e una "imbarcata" di confini ad Ustica, però dopo sono ritornati, anche perché è durato poco. Invece la DC continuava e dopo, per un certo periodo, erano sempre gli stessi, sperimentando isole e isolette; addirittura l'onorevole Cesare Terranova aveva pensato di prendere una portaerei, disarmarla, buttarla a mare e portare il mangiare ai mafiosi con l'elicottero, lasciandoci senza telefono o altro. Temevamo che fosse pazzo, che, approvata questa legge, ci avrebbero buttato veramente a mare! Quindi, i rapporti piano piano si sono allentati perché, anche se io non non ne capisco niente, capisco però che per un certo periodo in Sicilia, a Palermo, erano tutti della DC: assessori, sindaci, vicesindaci, tanto che hanno costituito un'associazione ed hanno arrestato tutti i sindaci e vicesindaci dei paesi che erano tutti DC. La realtà è un po' cambiata, e penso che oramai questa rottura con la mafia c'è stata e c'è. PRESIDENTE. Da quando? GASPARE MUTOLO. La rottura completa è avvenuta quando c'è stata la conferma della Cassazione, ma ancora prima, quando il ministro Scotti emanò quel decreto... PRESIDENTE. Che vi ha dato qualche fastidio. GASPARE MUTOLO. E' stata una mazzata in testa che ha fatto tornare tutti i mafiosi in carcere. Quelle sono state cose che la mafia effettivamente ha sentito molto. PRESIDENTE. Quando ha parlato di Lima, lei ha detto che Lima si rivolgeva a persone della sua stessa corrente politica. Vuole chiarire questo concetto alla Commissione? Per quanto sapeva lei, naturalmente. GASPARE MUTOLO. Vado per logica e per quello che avevo sentito dire. Non so se è giusto... Lui si rivolgeva a personaggi a Roma che erano onorevoli, Pag. 1287 non so chi, della sua stessa corrente. Lui era nella corrente andreottiana. Non so a chi si rivolgesse. PRESIDENTE. Ma si rivolgeva a uomini politici siciliani o non siciliani? GASPARE MUTOLO. No, penso che, anche se c'era qualche siciliano, il discorso valeva... PRESIDENTE. Non erano uomini politici siciliani della sua corrente. In Cosa nostra si facevano dei nomi di uomini politici non siciliani ai quali si poteva fare riferimento tramite Lima? GASPARE MUTOLO. Guardi, non ricordo e non lo posso dire, perché non sono sicuro. Qualche nome c'era, però... PRESIDENTE. Quali erano questi nomi che si facevano? GASPARE MUTOLO. Non me li ricordo. PRESIDENTE. Lei non si ricorda o non intende dirli? Sono due concetti diversi. GASPARE MUTOLO. Siccome non sono sicuro, potrei cadere in qualche errore e quindi non ritengo giusto dire una cosa di cui non sono sicuro. PRESIDENTE. Non è sicuro nel senso che non ricorda o non è sicuro nel senso che non è sicuro che quelli dicessero la verità, quelli che hanno parlato a lei? GASPARE MUTOLO. Sì, è logico, non è che si tratti di una cosa che mi consta personalmente e quindi non è che possa parlare di una persona per discorsi che si facevano, sì in una maniera pacifica, ma sempre... Se noi parliamo di corrente, non so... Se fossi pratico di politica, allora potrei dire che uno, quando mi parla di corrente, si riferisce al capo corrente. Ma io non so di questo riferimento. Che Lima avesse dei personaggi importanti a Roma della sua corrente nella quale lui, in maniera pacifica, si era assunta questa responsabilità di aggiustare, in una maniera pacifica, questo maxiprocesso, di stare calmi... Ma questo discorso è durato quasi cinque anni, sei anni, è stato fatto, ma non posso essere più preciso. PRESIDENTE. Comunque un nome si è fatto, questo è il punto, nel vostro giro? GASPARE MUTOLO. Di nomi uno se ne faceva sicuramente, ma non è che posso ricordarmi ora quale fosse. PRESIDENTE. Non se lo ricorda! Lei può anche rispondere dicendo: non intendo dirlo. Sono due concetti diversi. GASPARE MUTOLO. Non intendo dirlo, perché non ritengo sia giusto... PRESIDENTE. Va bene, questa è una risposta. Senta, per quali motivi un uomo politico che non è eletto in Sicilia dovrebbe aiutare voi? GASPARE MUTOLO. Certo, se gli interessa quello che viene eletto in Sicilia, è come se fosse eletto lui. Almeno credo che sia così. Se ho un amico che fa il politico - faccio il paragone - e lo eleggono è lo stesso che eleggano me. PRESIDENTE. Quindi, se si tratta, di un suo amico viene rafforzato? GASPARE MUTOLO. Logico. Non capisco niente di politica e non vorrei fare qualche sbaglio... PRESIDENTE. No, questi sono ragionamenti comuni. E voi votavate Lima? GASPARE MUTOLO. Quando Lima si portava, noi avevamo le direttive di votare Lima, quella corrente che era la più forte, degli andreottiani. PRESIDENTE. La più forte no, perché vi erano altre correnti più forti. Pag. 1288 GASPARE MUTOLO. Prima c'era quella fanfaniana, poi quella... Almeno, per quanto ne so io. PRESIDENTE. Quali utilità concrete ricavava Cosa nostra dal rapporto con questi politici? Questi favori di cui stava parlando adesso? GASPARE MUTOLO. Non è che io fossi ad un livello di Cosa nostra tale da occuparmi di questi discorsi politici. Le posso dire che in Cosa nostra non avevamo problemi di alcun genere sia in Sicilia sia a Roma, perché c'erano persone che si interessavano. Certo, io non essendo una persona che si interessava di queste cose, ma più che altro uno che si interessava di più se si dovesse uccidere uno rispetto a chi facesse il ministro... Per Cosa nostra, però, si arrivò ad un punto che problemi non c'erano, sia a Palermo sia a Roma, in una maniera tranquilla e pacifica. PRESIDENTE. Un uomo politico che è vicino a voi e che vi sostiene e vi appoggia può fare una legge contro di voi o delle leggi contro di voi? GASPARE MUTOLO. In politica tante leggi si fanno e dopo, magari, passano 40 o 60 giorni e non si va mai... Ad esempio, ci fu un periodo in cui venimmo a sapere che la DC si trovava in difficoltà perché le sinistre... Ora io, dicendo sinistre, non è che capisca... PRESIDENTE. Va bene, le sinistre in generale. GASPARE MUTOLO. Le sinistre avevano preso forza e quindi, se non ci fossimo messi bene in testa di prendere voti... Infatti, stando almeno a quello che mi dicevano, se non fosse stato per la Sicilia e per la bassa Italia, la DC non avrebbe nemmeno preso la maggioranza. Queste cose me le dicevano per dire: "Appena la DC si rafforza, si cambia quello che c'è da cambiare, si fa". A me, però, o che si dovesse fare, una strada, un ponte o qualche altra cosa... a me interessava nel caso di un processo importante che si doveva aggiustare. Si aggiustava e chi vi provvedesse non mi interessava niente, l'importante era che si aggiustasse. PRESIDENTE. Quindi la legge non vi interessava, era il processo che vi interessava. Questo vuol dire? GASPARE MUTOLO. La legge perché attraverso essa stavamo bene o stavamo male. Fino a quando non c'erano associazioni, si stava bene. Dal momento in cui hanno cominciato con queste associazioni, si è arrivati ad una rottura e ad uno sgretolamento. PRESIDENTE. Perché la legge è stata applicata! GASPARE MUTOLO. Le legge piano piano viene applicata, anche se in maniera lenta. La legge è stata applicata ora, perché fino al 1983, al 1984 o al 1985... Abituati a come si stava nel 1977, nel 1978 o nel 1979, ci si trovava male. Ma se ora si dicesse ai mafiosi: "Volete stare come si stava nel 1983 o nel 1984?". Direbbero: "Logico!". Adesso è molto peggio. PRESIDENTE. Quali sono le ragioni dell'omicidio di Salvo Lima? GASPARE MUTOLO. Le ragioni dell'omicidio di Salvo Lima sono state proprio perché le garanzie prese a Palermo o non le ha mantenute o non gliele hanno fatte mantenere. Salvo Lima, almeno secondo quello che ho sentito dire, per un certo periodo esortava a non preoccuparsi perché in appello o in Cassazione... La sentenza della Cassazione, quando è arrivata, è stata più disastrosa del previsto. PRESIDENTE. Lei ha partecipato o ha saputo della riunione di Cosa nostra in cui si decise l'omicidio Lima? GASPARE MUTOLO. No. Pag. 1289 PRESIDENTE. Non aveva sentito parlare prima di questo? GASPARE MUTOLO. Ero nel carcere di Spoleto la prima volta che ho sentito che il processo andava male. E parlo con un certo Gambino... PRESIDENTE. Nel novembre 1991? GASPARE MUTOLO. Sì. Era in corso il processo ed io avevo saputo che il giudice Carnevale era stato sostituito perché vi erano delle critiche. Tuttavia, pensavo che dopo tanti anni Carnevale avrebbe avuto qualche amico al quale raccomandare il processo. Però, quando fanno il decreto che fa ritornare in carcere tutti i mafiosi, i quali si trovavano quasi tutti agli arresti domiciliari, viene Giacomo Giuseppe Gambino, che in quel periodo era capomandamento anche della mia zona. Ci troviamo a parlare del maxiprocesso: "Speriamo che si finisca bene"; "Ma quale bene, le cose vanno male, però chissà se all'ultimo si riuscirà...". Comunque, c'era sempre qualche speranza, perché la speranza è l'ultima a morire. PRESIDENTE. Non c'è dubbio. GASPARE MUTOLO. Si sperava che all'ultimo momento ci sarebbe stato un ripensamento. Il giudice Falcone ed i giudici di Palermo capivano che questa sentenza sarebbe stata decisiva per l'andamento degli altri processi e per tutto l'inquadramento della struttura mafiosa. PRESIDENTE. Dopo la sentenza di condanna - la mazzata arriva a gennaio -... GASPARE MUTOLO. Mentre parliamo di queste cose e commentiamo il decreto-legge, in base al quale sono rientrati in carcere i mafiosi, tutti i tentativi che si erano fatti con il discorso del procuratore Scopelliti... Tutti i tentativi li abbiamo fatti, dice: l'unico tentativo è un miracolo. Però le cose, almeno quelle che sappiamo noi, vanno male. Perciò loro già sapevano, dopo un certo periodo, quando il giudice Carnevale non voleva presiedere più, o per libera scelta o perché glielo avevano imposto, che le cose sarebbero andate peggio di come avrebbero dovuto. Infatti, non si sono sbagliati perché nella sentenza... PRESIDENTE. Dopo la sentenza, si pensò in carcere... GASPARE MUTOLO. In carcere eravamo un po' frastornati, perché eravamo latitanti o arrestati per altri processi, ma tutti avevamo sulle spalle condanne non indifferenti: chi aveva dieci anni, chi ne aveva otto, ma tutti eravamo preoccupati per quello che poteva avvenire con quella sentenza. La cosa che mi |P'stranizzò|P' fu che a Spoleto si presentarono nel giro di qualche mese sette persone. PRESIDENTE. Cioè si costituirono in carcere? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Addirittura ci siamo messi a ridere perché a Palermo un certo Corrado Giovanni al momento della sentenza si era presentato in questura dicendo della sentenza di Roma, ma gli era stato risposto che lì ancora non era arrivato niente. PRESIDENTE. Avete parlato in carcere con qualcuno di quelli che si erano costituiti per chiedergli che cosa gli era venuto in mente? GASPARE MUTOLO. Sì, ho parlato con un certo Michelangelo Pedone. Siccome avevo saputo che si era fidanzato con la sorella di Giacomo Giuseppe Gambino, mi meravigliai perché doveva scontare più di otto anni. Gli chiesi perché si era presentato e mi rispose perché lì c'era Pippo e perché doveva scontare ancora otto anni; la cosa non lo |P'stranizzava|P', però ognuno non parlava. Dopo, quando è successo l'omicidio Lima, mi sono trovato a parlare con un certo Montalto: "Accominciamo". Pag. 1290 PRESIDENTE. E l'omicidio di Ignazio Salvo? GASPARE MUTOLO. Anche se non è scritto nei verbali l'avevo preannunciata questa morte, innanzitutto per questioni personali che aveva avuto con suo cognato Lo Presti... PRESIDENTE. Lo Presti era legato ai corleonesi? GASPARE MUTOLO. Si capiva che anche questi erano legati con Inzerillo ed inoltre per la sua posizione in Cosa nostra anche lui era uno dei referenti che si interessava e non si interessava con questi politici ed attraverso i tribunali. Era anche lui, insomma, una persona a rischio. PRESIDENTE. Aveva previsto la fine di Salvo prima della sentenza della Cassazione? GASPARE MUTOLO. Dopo la sentenza. PRESIDENTE. Ho capito, dopo Lima aveva previsto che sarebbe capitato anche a quell'altro. Il fatto che Salvo fu condannato ad un pena molto bassa al maxiprocesso vi colpì? GASPARE MUTOLO. No, anzi pensavamo che dovesse andare assolto ed invece era stato condannato; i giudici erano stati cattivi. PRESIDENTE. Lima aveva in particolare un rapporto con Bontate all'interno di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Sì, aveva dei rapporti amichevoli. PRESIDENTE. E Contrada con chi aveva rapporti dentro Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. I rapporti più stretti, per quello che io sapevo, li aveva con Saro Riccobono, ma li aveva anche con Stefano Bontate ed altre persone. PRESIDENTE. In che cosa consistevano questi rapporti? GASPARE MUTOLO. Riccobono mi venne a raccontare che, mentre abitava in via Guido Jung, diverse volte l'avevano avvisato che la polizia lo doveva arrestare; un giorno, un po' esasperato, dà l'appuntamento a questo Contrada dall'avvocato, da un avvocato e gli chiede: "Chi ti porta la notizia che mi trovo in quell'appartamento?". E Contrada risponde: "Non te lo dico perché, se ti dico chi mi ha detto queste cose, tu dopo dieci minuti lo ammazzi". Però Riccobono pensava ad una persona di via Montalto. PRESIDENTE. Praticamente Contrada andò dall'avvocato di Riccobono? GASPARE MUTOLO. No, era un altro avvocato. PRESIDENTE. Non voglio sapere il nome. Era un uomo d'onore? GASPARE MUTOLO. A me non risulta che fosse uomo d'onore, mentre da quando me lo ricordo io da sempre era vicino ad ambienti mafiosi. PRESIDENTE. Dovendo ora porre una domanda delicata, propongo di proseguire i nostri lavori in seduta segreta. (La Commissione procede in seduta segreta). PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Quali uomini della magistratura avevano con voi questo tipo di rapporto? GASPARE MUTOLO. Della magistratura, a parte il nome di qualche altro, ho già fatto quello del giudice Signorino. PRESIDENTE. L'ha già fatto ai magistrati? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Pag. 1291 PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione la vicenda del processo relativo all'omicidio dell'agente Cappiello, di cui lei era imputato? GASPARE MUTOLO. C'è stato questo omicidio dell'agente Cappiello. So che ci fu un primo rapporto della polizia in cui accusavano me di aver sparato. C'è stato poi un secondo rapporto di polizia in cui questo omicidio viene "fatto" su un certo Nino Buffa, un certo Davì Salvatore, un certo Michele Micalizzi. Successivamente ho saputo dai miei parenti che dopo due ore avevano già fatto questo primo mandato di cattura, magari perché si trattava del primo omicidio di un agente verificatosi dopo l'approvazione della legge Reale. Spesso la polizia si recava dalle donne. Magari qualche mia parente avrà detto: "Guardate che Gaspare era ricoverato all'ospedale". Ma di questo io non sono certo perché dopo mi sono giustificato col giudice istruttore dicendo che quella sera ero ricoverato in ospedale operato di ernia del disco e quindi non potevo essere... PRESIDENTE. Era vero questo? GASPARE MUTOLO. Sissignore, era vero. Questo processo va avanti con tre persone imputate per omicidio e tre per associazione, e con le varie fasi di "interessamento" nel processo. Quando c'è stata la sentenza abbiamo avuto tre assoluzioni, una condanna a trent'anni, una a ventotto e una, mi sembra, a quindici, sedici anni. Se non ricordo male, questo processo mi sembra che fu fatto dal presidente Michele Agrifoglio; un giudice a latere era allora Ingabbiola. Abbiamo saputo che questo giudice Ingabbiola, mentre stava uscendo, ebbe un ripensamento e battè un pugno sul tavolo e disse: "A costo che mi ammazzano, io...". Forse il giudice popolare o il presidente facevano pressione al fine di far assolvere Michele Micalizzi. C'è stata quindi, come si dice in gergo, una battaglia tra il presidente e il giudice a latere. Prima di questo avevo avuto un abboccamento proprio con l'interessato, con il professionista Randazzo perché non fosse "messa" la parte civile... PRESIDENTE. Aveva parlato con Randazzo? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Con la vittima dell'estorsione? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. E gli aveva detto di non costituirsi parte civile? GASPARE MUTOLO. E con altri personaggi, ma non so se sia il caso di... PRESIDENTE. Si tratta di personaggi istituzionali, cioè di magistrati, polizia, carabinieri? GASPARE MUTOLO. No, erano avvocati e qualche persona cui interessava Randazzo, per via di una certa parentela. Ci siamo accordati ... perché io volevo uccidere questo Randazzo... che loro non avrebbero "messo" la parte civile. Si era trovato un accordo, e anche loro avrebbero dato una mano per parlare con il presidente... PRESIDENTE. Poi com'è finita per lei? GASPARE MUTOLO. Io, Saro Riccobono e Salvatore Micalizzi fummo assolti. Furono invece condannati Davì, Buffa e Michele Micalizzi. E' quella sentenza in cui l'avvocato nel fare l'arringa ci interroga se noi ancora oggigiorno portiamo i bambini a passeggiare... PRESIDENTE. In Cassazione com'è andata? GASPARE MUTOLO. La prima volta, il processo è stato passato in Cassazione; po in appello sono stati tutti assolti. Pag. 1292 C'era l'interessamento di questo Ignazio Salvo e in Cassazione andò bene. Dopo il 1982, in galera, ci trovammo assieme, ne parlai con il Davì e gli dissi: "Guarda, parla con Gambino... e gli dici che per questo processo si era interessato Ignazio Salvo, che conosce tutta la situazione. Poiché però ci troviamo in una fase dove Saro Riccobono non c'è più, queste persone quindi o si lasciano in galera o escono e vengono uccise". PRESIDENTE. A cosa intende alludere quando parla di strategia processuale discussa con Badalamenti, Buscetta, Fidanzati e Alberti, in relazione al processo dei 114? GASPARE MUTOLO. Mi ricordo che Gaetano Badalamenti mi venne a trovare all'Ucciardone, perché era ritornato da uno dei viaggi che faceva e mi chiese di raccontargli quello che avevo fatto a Cinisi. Poiché capivo che avrei potuto mettere un po' in difficoltà il cugino Nino Badalamenti, al quale ero molto legato, risposi che ero stato a disposizione a Cinisi dove avevo fatto tante cose. Gli dissi di parlare con Saro Riccobono perché lui sapeva tutto quello che io avevo fatto a Cinisi. Ricordo perfettamente che lui chiamò Buscetta, Gerlando Alberti, Gaetano Fidanzati; c'era pure Erasmo Valenza, ma non ricordo se si trovasse in infermeria o in qualche altra sezione. Comunque, ci siamo trovati tutti all'interno di una stanzetta, dentro la matricola, dove ci sono scaffali con i registri. Lui ci parlò di questo, dicendoci che stava facendo un giro. Poiché c'era il processo d'appello dei 114, Totò Riina voleva "fare" questo processo perché sosteneva che il presidente meglio di così non poteva essere (erano dunque tranquilli e pacifici), invece lui... ALFREDO BIONDI. A Catanzaro? GASPARE MUTOLO. A Palermo! Sto parlando del processo dei 114. PRESIDENTE. In che epoca siamo? GASPARE MUTOLO. Siamo nel 1977. Dice che lui non si fida di questo presidente; invece ha l'assicurazione di Salvatore Riina che questo è un presidente tranquillo e pacifico. Comunque, poiché come ho detto non si fidava e gradiva un presidente di cui fosse sicuro, voleva raccogliere consensi presso i vari imputati per poter rinviare il processo. Invece, se ben ricordo, Buscetta, Badalamenti, Gerlando Alberti, Fidanzati gli hanno detto che per loro bastava che ci fosse l'interessamento. So che poi il processo andò bene. PRESIDENTE. Come si poteva far cambiare il presidente del processo? GASPARE MUTOLO. Il presidente si può cambiare chiedendo una perizia ed il processo viene rinviato a nuovo ruolo. PRESIDENTE. Questa può essere una forma. GASPARE MUTOLO. Sì, la forma più democratica perché il presidente non può decidere di rinviare il processo perché qualcuno vuole così. PRESIDENTE. Avete mai influito sui piani regolatori o sulle licenze? GASPARE MUTOLO. Sapevo che la persona a cui interessavano questi discorsi era Michele Reina, che dopo è stato ucciso. PRESIDENTE. Questo non ci interessa. GASPARE MUTOLO. Quanto ai piani regolatori, non riesco... perché non sono molto pratico. PRESIDENTE. So che quella dove lei era insediato era una zona dove c'erano state molte costruzioni. GASPARE MUTOLO. Ho capito. Non so a chi spetti il piano regolatore, se al comune, al sindaco o alla giunta. Ci sono dei giardini e delle persone che sanno che Pag. 1293 quella zona deve essere edificabile e quindi trovano i personaggi di comodo, chiamati prestanome, ai quali intestano il terreno agricolo... glielo fanno vendere perché il terreno agricolo non si vende. Dopo otto mesi, un anno quella zona diventa edificabile e crescono i palazzoni. In quella zona c'era un certo D'Agostino Giovanni, figlioccio di Saro Riccobono (almeno così si chiamavano fra loro), che ha fatto diversi fabbricati con altri costruttori e si sapeva che dietro di lui... c'era Ciancimino. PRESIDENTE. Ha conosciuto casi di magistrati che avevano interessi in comune con costruttori? GASPARE MUTOLO. Magistrati? PRESIDENTE. Sì. GASPARE MUTOLO. No, no. PRESIDENTE. Per la costruzione di cabine da spiaggia o di stabilimenti balneari? GASPARE MUTOLO. Ah, sì: il giudice Urso. PRESIDENTE. Cos'è questa storia? GASPARE MUTOLO. Siccome all'Addaura ogni anno mettono le cabine, c'era un trapanese di cui non conosco il nome, forse Lucio, il quale vedendo che cominciano a fare i lavori per il ristorante, per la sala da ballo disse di fare qualche danno per pagare... PRESIDENTE. Sì, per far pagare la tangente. GASPARE MUTOLO. Si vede che interessò qualche persona... insomma, da noi si presentò un certo Masino Spataro che con molta premura ci disse che quella zona apparteneva al giudice Urso, un amico, uno a disposizione. PRESIDENTE. Urso era di Palermo o di un'altra città? GASPARE MUTOLO. Era di Termini Imerese o di un paese lì vicino; comunque, io so che era terminese. Quindi, siamo entrati in contatto, lui era lì tranquillo e pacifico. Dopo ho avuto bisogno di un favore e me lo ha fatto. PRESIDENTE. Che tipo di favore? GASPARE MUTOLO. Ero imputato di una rapina che avevo fatto sull'autostrada a Buonfornello, quindi nel territorio di Termini Imerese; lui telefonò al pubblico ministero dicendogli di prosciogliermi perché, in caso contrario, l'avrebbe fatto lui. PRESIDENTE. E lei fu prosciolto? GASPARE MUTOLO. Andavo dal giudice... non ci sono stati problemi. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come faceva a fare gli investimenti nelle lottizzazioni, nelle costruzioni? Lei ha spiegato, quando è stato interrogato dai magistrati, di aver investito parte del suo denaro in costruzioni, vero? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. A chi erano intestate le sue quote? Come faceva a fidarsi degli intestatari? GASPARE MUTOLO. Purtroppo su questi discorsi non ci sono documenti e nessuno può mai provare nulla perché mai si era verificato all'interno di Cosa nostra che persone si potessero approfittare di altri mafiosi; questa è una novità che ha avuto inizio a partire dal 1980. Tutte le società che si facevano (la cosa non riguarda solo me ma anche Saro Riccobono, Micalizzi, Inzerillo)... c'erano persone che potevano costituire le società per azioni, e le facevano, ma la cosa più semplice e più normale poteva essere che, per esempio, io conoscevo lei che fabbricava nella mia borgata dove si doveva costruire un palazzo. Inizialmente si sapeva la spesa perché si sa, più o meno, Pag. 1294 quanto un palazzo viene a costare e, man mano che occorrevano, i soldi venivano messi nella quota. Dopo mi sono trovato di fronte al fatto che Saro Riccobono è morto e mi hanno chiesto i documenti non per prendere tempo ma, più che altro, perché questi signori volevano che io scendessi a Palermo a discutere. Avevo una società con i costruttori Caravella, altro terreno sulla montagna Raffo, altro terreno sulla discesa di Valdese in zona Regina Margherita, qualche piccola cosa l'ho racimolata perché qualche persona si preoccupava di quando sarei uscito, mentre qualche altra ha detto di no, rinviando i conti a quando sarei uscito. C'era un tacito accordo perché pensavano che, essendo io senza soldi, fossi più portato a vedermi con queste persone a Palermo e ... PRESIDENTE. E quindi l'avrebbero fatta fuori? GASPARE MUTOLO. E' logico, questa è stata la mia... PRESIDENTE. Il suo timore? GASPARE MUTOLO. La mia maturazione, perché questi discorsi li ho avuti a Palermo con vari personaggi che non hanno bisogno di approfittarsi del mezzo miliardo o del miliardo di un'altra persona; per esempio, questi discorsi li ho avuti con Pippo Calò, con un certo Pino Leggio, con Mariano Agate, con un certo Savoca, con Pippo Gambino, Giovanni Pilo. Abbiamo discusso ma tutte le volte dicevano: quando esci stai tranquillo perché quello che ti tocca è conservato. Rispondevo: è vero, è conservato ma non è meglio che li tenga io? Un giorno siamo arrivati alle grosse con Pino Savoca perché gli chiedevo altri soldi di una partita di droga che lui doveva dare quando c'è stata quella sparatina in via La Marmora dove c'era un mio fratello con un certo Palestini che gli dovevano pagare quattro chili e mezzo di eroina. Riccobono è morto, quello è morto, mio fratello se ne andò con Palestini e io questi soldi non li ho visti più. Dopo anzi consigliai a mio fratello, che era venuto a trovarmi a colloquio, di non chiedere soldi a nessuno, di non andare in nessun posto se non glielo avessi detto io. Questo per vedere qual era l'orientamento. Infatti, dopo mio fratello mi ha detto che erano scomparse persone, che altre persone lo avevano incaricato di dirmi che per me era tutto a posto, però io non ho toccato il discorso dei soldi, anche perché non è che avessi tanto bisogno. Dopo a Palermo, trovandomi a parlare di questi argomenti, gli ho detto che mi doveva dare questi soldi e lui mi rispondeva: io ti posso mettere la firma che quando esci ti do questi soldi. Io gli ho detto: io ti posso mettere la firma col sangue che a me corde al collo non me ne mettete. A me mi dovete sparare e sapete che io sparo pure. Io, prima di comprarmi le scarpe, mi compro le armi, quindi ci possiamo sparare. PRESIDENTE. Lei voleva dire: non mi attirerete mai in un agguato. GASPARE MUTOLO. Sissignore. Infatti, subito un certo Savoca andò all'ospedale di Palermo, si fece ricoverare, e rientrò Gambino Giuseppe - facendo finta di non sapere niente - per vedere che cosa io avevo da lamentarmi. Io gli ho detto: a me dispiace ed a volte mi arrabbio per questi motivi, però non capisco perché mi dicono che quando uscirò mi daranno i soldi. Mi disse: calma, che cosa ti occorre? Risposi: a me niente. Se avessi chiesto una macchina, al limite andavano da un concessionario e me la davano, non era certo un problema, però il discorso era che non mi davano i soldi perché pensavano: uscendo, questo viene a recuperare i soldi e per discutere. Io ho preferito rinunciare a tutto. PRESIDENTE. Dopo la famosa sentenza della Cassazione la credibilità di Lima diminuisce presso di voi? GASPARE MUTOLO. Non è che diminuisce soltanto la credibilità di Lima. In me, che non ne capisco niente ma che ho sentito quello che ho sentito dire, nasce Pag. 1295 una rabbia contro questi personaggi politici che si interessavano per questo processo, che ci avevano presi in giro, che ci avevano illusi per tanto tempo. Una cosa diversa è dire "non si può fare niente perché i tempi sono quelli che sono". Io non avevo una responsabilità verso gli altri per aver detto "state tranquilli". C'è stato solo un momento nel quale mi volevo interessare di questo processo, prima che si facesse il primo grado. Volevo intercedere - lo mandai a dire a Salvatore Riina - perché ne avevo la possibilità tramite un pubblico ministero - però mi hanno mandato a dire: no, tu fatti "u carceratieddu" che ci pensiamo noi da fuori. PRESIDENTE. Chi era questo pubblico ministero? GASPARE MUTOLO. Quello che è morto, il giudice Signorino. Purtroppo era ... dopo non è che io mi sono assunto altre responsabilità. PRESIDENTE. Le avevano detto: fatti i fatti tuoi. GASPARE MUTOLO. No, non "fatti i fatti tuoi", però la rabbia era in me... avevo qualche cosa contro questa DC e quelle persone che avevano detto che si sarebbero interessate e dopo, per motivi ics, non avevano potuto far niente. PRESIDENTE. Lei ha mai conosciuto l'imprenditore Farinella? GASPARE MUTOLO. Non mi ricordo. Me l'ha chiesto anche qualche giudice, ma so soltanto che è una personalità molto vicina al Greco. Non ho un ricordo visivo, è un nome che conosco, molto noto, molto tranquillo. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di rapporti di Cosa nostra con i cavalieri del lavoro di Catania e, se sì, con quali? GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare da Condorelli, da Santapaola, da Calderone Giuseppe. PRESIDENTE. Di quali? GASPARE MUTOLO. Quello con cui sentivo che c'erano contatti era Carmelo Costanzo. PRESIDENTE. Con gli altri? GASPARE MUTOLO. Non lo so, non sono di Catania. Prima di fare loro quelle tre torri allo stadio, ho portato un messaggio a Santapaola per far dire a Carmelo Costanzo che le escavatrici le voleva mettere Saro Riccobono. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di manovre sugli appalti del comune, della regione? GASPARE MUTOLO. "Appalti" cosa significa? Fare palazzi? PRESIDENTE. No, lavori pubblici: strade, ponti, scuole. GASPARE MUTOLO. Guardi... PRESIDENTE. Di queste cose no? Lei nella sua zona, questa roba... GASPARE MUTOLO. Una volta sono stata interessato e mi hanno trovato anche il numero di telefono di Lodigiani che stava costruendo l'autostrada. Si pagava, pagano tutti, ma per come vengono suddivisi questi appalti... PRESIDENTE. Non sa. Il sistema delle estorsioni, invece, lo conosce? GASPARE MUTOLO. Le estorsioni sono una cosa che va benissimo a Palermo. Le persone sono molto educate nel pagare, nel non fare storie. PRESIDENTE. Le avete educate voi, non è che si sono educate da sole! Pag. 1296 GASPARE MUTOLO. Intendo dire "educate" non perché... hanno quella mentalità per stare tranquilli. Pagano quasi tutti. Quando sento dire di qualche industriale, di qualche imprenditore che non paga, mi stranizzo, capisco però che è giusto che dicano di non pagare. Si dovrebbe studiare il modo per coinvolgere un industriale e dare indicazioni e non tentare soltanto di fare il processo; cioè il modo per rompere questo fenomeno. Il discorso delle estorsioni più che altro è un prestigio. Vent'anni fa potevano servire quei venti, trenta milioni che entravano per ogni borgata mentre oggi è ormai una questione di prestigio perché con le estorsioni si entra in un circuito di persone con le quali si può entrare in contatto solo se hanno delle botteghe. Se lei è una persona perbene e non ha nessun esercizio, io non ho nessun motivo per disturbarla; se invece ha una bottega o una fabbrica, questo è un motivo per entrare in contatto con lei. Dopo che l'ho conosciuta come persona, può avvenire, a livello in cui è lei, che può farmi qualche favore. Io lo faccio a lei e lei lo fa a me. Altrimenti, si romperebbe questo rapporto che è molto importante. PRESIDENTE. Come sono stabilite le quote delle estorsioni? In base a cosa stabilite che Tizio paghi una cifra e Caio un'altra? GASPARE MUTOLO. Non c'è una quota fissa per le estorsioni. C'è il costruttore, il capofamiglia, i componenti della famiglia: oltre la quota che paga il costruttore, si può intercedere con l'amico che mette le porte, quello che mette le mattonelle e quello che mette la calce. E' un discorso molto complesso. Per esempio, quella di Francesco Madonìa era l'unica zona in cui sapevo che c'era la quota fissa di un milione e mezzo ad appartamento. A volte lui voleva entrare in società per alcuni palazzi. Logicamente, se io dico ad un costruttore che voglio entrare in società per un palazzo che viene costruito nella mia zona, non è che mi dice di no. Magari non mi farà mettere il 50 per cento, ma solo il 20 o il 30, ma non mi fa la scortesia di dirmi di no perché sa che io posso sempre dirgli: tu qui non costruisci e te ne puoi andare perché costruisco io. PRESIDENTE. Può dire alla Commissione quello che sa sull'omicidio di Libero Grassi? GASPARE MUTOLO. Posso dire che l'ho commentato con un certo Galatolo; questo omicidio è successo in un momento in cui a Palermo cominciavano ad essere applicati i decreti-legge, e c'era quindi un momento di confusione. Mi sono trovato a commentare questo omicidio direttamente con Galatolo a Pisa; Madonìa Francesco, in quel periodo, si trovava ricoverato a Pisa (era guardato a vista e non gli potevamo mandare neanche un saluto), dove c'è un normale reparto d'infermeria ed uno più piccolo con circa 10-12 celle speciali. Fra le varie chiacchiere con il Galatolo ci domandammo perché non avessero aspettato: quale motivo c'era? Anche lui era meravigliato perché non pensavamo che nascesse questa baraonda, poiché in passato, quando si è ucciso un industriale... PRESIDENTE. Finiva lì! GASPARE MUTOLO. Non vi era stata una presa di posizione, manifestazioni, comizi; trattandosi di un industriale, se non c'è l'ordine della commissione, io, o il capofamiglia, non posso... Perché per alcuni personaggi ci sono ordini ben precisi, e se ne deve interessare la commissione o questa deve saperlo. PRESIDENTE. Il movimento antiracket, contro le estorsioni, presente in alcune zone della Sicilia ed anche in altri luoghi d'Italia, vi dà fastidio o vi è indifferente? GASPARE MUTOLO. Tutte le manifestazioni che una persona o un movimento possono fare danno fastidio, ma è limitato, perché in fin dei conti queste organizzazioni antiracket, anche se fanno Pag. 1297 tante manifestazioni e poi costituiscono un'associazione, non danno fastidio, se poi le persone vengono tutte assolte. Il fastidio lo danno... PRESIDENTE. Quando le persone sono condannate! GASPARE MUTOLO. Il fastidio lo danno se coinvolgono il presidente e, quindi, si potrebbe arrivare ad una condanna, perché ci potrebbe essere un'influenza sulla corte. Le manifestazioni non interessano... PRESIDENTE. L'onorevole Biondi le chiede di sapere come avvenga, in caso di estorsione, la ripartizione delle quote delle singole famiglie. GASPARE MUTOLO. Se per esempio lei viene a costruire un palazzo nel mio territorio ci mettiamo d'accordo; le altre famiglie non c'entrano niente. ALFREDO BIONDI. Ma la famiglia ripartisce il frutto dell'estorsione o lo tiene per sé? GASPARE MUTOLO. No, è ripartito tra tutta la famiglia; certamente se io, come capofamiglia, prendo 100 milioni, e siamo dieci persone a dividere, posso dare sette milioni a testa; a me spettano sette milioni, più altri trenta perché, essendo capofamiglia, ho delle spese. ALFREDO BIONDI. Non dipende dall'iniziativa privata del singolo? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Anzi, il signor Mutolo ha spiegato che con i sequestri di persona la ripartizione dei fondi era disuguale, perché i corleonesi prendevano una quota maggiore. E' così? GASPARE MUTOLO. Non è proprio così, il discorso è che ci fu un periodo in cui ci siamo spostati dalla Sicilia; almeno per quanto mi riguarda, mi sono spostato in Lombardia, dove ho compiuto due sequestri. Il ricavato non si divideva solo tra chi partecipava al sequestro di persona ma si pensava anche alle famiglie che non partecipavano. Si ripartiva in quote uguali, anche perché in quel periodo si voleva portare avanti in Sicilia il discorso di non fare sequestri. Quindi Gaetano Badalamenti voleva controllare di persona anche i sequestri fuori della Sicilia. Però per i sequestri che abbiamo fatto noi abbiamo diviso il ricavato, mentre quelli che ha fatto Luciano Liggio se li dividevano fra loro stretti stretti. Solo in un caso abbiamo visto un regalino, perché ci fu il discorso che poteva uscire fuori. Allora Pippo Calò mandò ad ogni famiglia cinque milioni... PRESIDENTE. Una miseria! GASPARE MUTOLO. Come regalo. PRESIDENTE. Quando nell'ottobre del 1990 ci fu la scarcerazione dei boss disposta dal giudice Carnevale, quale fu la vostra valutazione? GASPARE MUTOLO. Scusi, quale...? PRESIDENTE. Quando ci fu la scarcerazione dei boss e poi fu emanato un decreto-legge per rimetterli tutti dentro. GASPARE MUTOLO. Che io ricordi si usciva piano piano (quelli che sono usciti erano pochissimi), perché era una preoccupazione probabilmente degli avvocati, i quali ci dicevano di non avere fretta, poiché se avessimo presentato venti istanze quelli si sarebbero allarmati; bisogna presentarne una alla volta: esce uno, poi un altro. Quando quelle persone uscirono e due giorni dopo furono arrestate, l'impressione è stata negativa. I ministri Scotti e Martelli fecero il gioco delle tre carte: segretamente fecero revocare quelle norme; però è stata un'impressione negativa, non l'hanno assorbita bene. PRESIDENTE. Lei conosce quale fu la posizione dell'onorevole Lima in quell'occasione? Pag. 1298 GASPARE MUTOLO. La posizione di quelle persone che fino all'ultimo continuavano (non so quello che è successo di preciso a Roma)... Fino a quando il giudice Carnevale non ha lasciato la sezione, era pacifico... PRESIDENTE. Perché poi comunque se ne sarebbe occupato lui? GASPARE MUTOLO. Era pacifico che le cose comunque andavano bene; si vede che le cose hanno preso una piega negativa, ma non so quali siano i motivi. PRESIDENTE. Da quello che ho capito, confidavate molto nel dottor Carnevale? GASPARE MUTOLO. Moltissimo. PRESIDENTE. Vi siete mai chiesti per quale motivo il dottor Carnevale arrivava a sentenze che vi aprivano il cuore alla fiducia? GASPARE MUTOLO. Per noi era una persona intelligentissima, alla quale andava tutta la nostra ammirazione; c'era anche qualche movimento di avvocato che consigliava gli altri sulla linea da adottare. In noi prevaleva principalmente l'idea che egli fosse una persona molto intelligente, scaltra e furba, in cui un avvocato - non l'onorevole Biondi, un altro! - amico del giudice Carnevale poteva ascoltare, "assorbire" chiarimenti sul processo. PRESIDENTE. Gli interventi di Lima e di Salvo sul dottor Carnevale si rivolgevano sempre tramite i loro collegamenti romani? GASPARE MUTOLO. Non posso dire se dopo finivano direttamente da questo Carnevale, e chi ci andava; però ci arrivavano in una maniera pacifica, e chi ci arrivava io non lo so. Era un discorso tranquillo e pacifico; Carnevale per noi in Cassazione era una marca ed una garanzia. PRESIDENTE. Senta, passiamo a un altro tema. Altri collaboratori ci hanno parlato dei rapporti tra uomini di Cosa nostra e la massoneria. Lei, nella prima parte dell'audizione, ha fatto un accenno a questa vicenda. Riina è massone, che lei sappia? GASPARE MUTOLO. Io non lo so. Però noi guardiamo a quest'associazione massonica come ad una struttura molto importante per i posti chiave che occupa nelle varie città d'Italia. Ci fu un periodo in cui si guardava ad essa con una certa rivalità e con una sorta di invidia, ma, con il passare degli anni, si è scoperto che in fondo in fondo i massoni non sono cattivi e quindi si può avere un dialogo molto socievole con loro. Mi ricordo che tra i massoni molti importanti che io avevo sentito nominare vi era l'avvocato Paolo Seminara. In occasione del discorso del giudice Urso, mi sono trovato a mangiare all'hotel Palace a Baldesi con un certo Glorioso (anche se questa persona non era mafiosa, noi sapevamo che apparteneva alla stella di Agrigento e che aveva amici là) che ci disse che era una persona molto disponibile; dopo ce lo raccomandò anche Tommaso Spataro, dicendo: "Questo è uno di quelli che, se domani gli facciamo un favore, rispettando il giudice Urso, non se lo dimentica". Sono questi i favori che intervengono tra la mafia e alcuni personaggi della massoneria. PRESIDENTE. Alcuni mafiosi, uomini d'onore, sono anche massoni? GASPARE MUTOLO. Di preciso non lo so, ma il discorso non mi stranisce perché negli ultimi tempi questo discorso dei massoni interessava all'ambiente mafioso, in quanto tutti i punti chiave, sia commercialmente sia nelle istituzioni, si sa che sono occupati per la maggior parte da massoni. Per noi l'ordine era che un mafioso non si può aggregare ad altre associazioni ma sapevamo che molti erano vicinissimi. Non so se fossero massoni o no. Ad esempio, c'era il cognato di Stefano Bontate, un certo Vitale, che Pag. 1299 aveva delle conoscenze, e il fratello di Michele Greco, oltre ad essere mafioso, era introdotto nell'ambiente della massoneria e della politica. Questo era un discorso pacifico. Però non posso dire con certezza che personaggi mafiosi... A me non consta. Ma che in un modo o in un altro siano rapporti abbastanza amichevoli... PRESIDENTE. I massoni sono stati utilizzati, ad esempio, per aggiustare i processi, qualche volta, che lei sappia? GASPARE MUTOLO. Certo, se un giudice è massone, con facilità ci va a parlare un altro massone. PRESIDENTE. Quindi, voi vi informate se quel giudice è massone? GASPARE MUTOLO. Si fa un'investigazione. Guardi, una volta abbiamo scoperto un omicidio di un certo Tonino Di Natale, un uomo d'onore della famiglia della Noce. Questo venne inspiegabilmente ucciso. Di rimpetto alla Favorita c'è un deposito della Vaselli dove i capizona prendevano i sacchettini e davano delle disposizioni e vi fu un periodo che questi capizona della Vaselli erano a Palermo tutti mafiosi. Inspiegabilmente viene ucciso questo Tonino Di Natale; arrestano uno ma noi, conoscendo questa persona che era stata imputata, facciamo un'investigazione e scopriamo chi aveva ucciso ed il motivo dell'uccisione (il Di Natale gli aveva insidiato la moglie, anche se bisogna dire che alla moglie piaceva, perché era un bel giovane) ed allora abbiamo fatto opera di convincimento verso il presidente per far sapere che la persona era innocente. Non è che gli abbiamo detto che quello era colpevole ma a quello che aveva ucciso gli abbiamo detto che non avrebbe dovuto permettersi più di uccidere e che, se gli fosse successo qualcosa del genere, avrebbe dovuto farcelo sapere e ci avremmo pensato noi. PRESIDENTE. Fu assolta quella persona, quello che era imputato? GASPARE MUTOLO. Logico! PRESIDENTE. Logico? Giusto, perché non c'entrava! GASPARE MUTOLO. Era innocente! PRESIDENTE. Pino Mandalari è un uomo d'onore? GASPARE MUTOLO. No, non lo conosco personalmente. PRESIDENTE. Non lo sa. Sa se appartiene alla massoneria? GASPARE MUTOLO. So che è un commercialista, ma non so se sia o no un massone. PRESIDENTE. Su Riina poi non mi ha risposto. La domanda era se Riina, per quello che lei può sapere, sia aderente anche alla massoneria. GASPARE MUTOLO. Posso dirle, lo ripeto, che tra i massoni e alcuni mafiosi c'era un rapporto molto cordiale ma se vi sia stata questa affiliazione non lo so. Se è avvenuta, si è trattato di una cosa molto segreta. Non posso dirlo. E' probabile che qualche persona importante entri in massoneria, perché il mafioso può sapere del massone, mentre il massone non può sapere del mafioso. Possono essere autorizzate due o tre persone per avere strade aperte ad un certo livello. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare dell'arrivo di Sindona in Sicilia nel 1979? GASPARE MUTOLO. Sì, ne ho sentito parlare. PRESIDENTE. Che cosa ha sentito dire? GASPARE MUTOLO. Che aveva dei grattacapi sia in Italia sia in America avendo fatto una bancarotta. Non so di preciso né so delle persone coinvolte. In quel periodo ero in galera e quindi ho Pag. 1300 sentito le cose in una maniera... perché mi interessava e non mi interessava, mi interessava come personaggio. Sindona viene a Palermo e viene appoggiato da Salvatore Inzerillo, perché viene accompagnato da un certo John Gambino. In galera ho avuto modo di conoscere un certo Miceli Crimi, essendo in quel periodo alla nona con lui, passeggiavamo assieme, e mi ricordo un elemento specifico, cioè che questo si fece trovare in una perquisizione degli appunti con i quali mandava dei messaggi fuori ai suoi affiliati. PRESIDENTE. In che periodo questo? GASPARE MUTOLO. Il periodo preciso non me lo ricordo. Credo sia nel 1978, 1979. Il periodo preciso non lo ricordo. Io ero alla nona sezione con questo Miceli Crimi, che mi aveva detto di essere un chirurgo. Commentavamo ridendo con altri mafiosi, perché c'erano quelli che avevano compiuto l'omicidio Costa, che nella perquisizione a questo Crimi gli avevano trovato degli appunti. Quello che si è saputo in giro... Il motivo specifico non si è saputo, perché questo era impelagato, aveva fatto operazioni sbagliate e quindi era in difficoltà con alcuni personaggi. PRESIDENTE. Con Sindona? GASPARE MUTOLO. Sì. Dopo ci fu il discorso del fratello di Spatola, che fu arrestato a Roma con quella lista... PRESIDENTE. Per quale motivo Sindona venne proprio in Sicilia? GASPARE MUTOLO. Innanzitutto perché era siciliano. PRESIDENTE. Era un uomo d'onore Sindona? GASPARE MUTOLO. No. So che era uno dei massoni più quotati, era un cervellone nel campo finanziario. PRESIDENTE. Ha mai saputo perché Sindona interruppe improvvisamente... GASPARE MUTOLO. Dopo che manda questa lista di 500 nomi con il fratello di Rosario Spatola le cose diventano per lui ingarbugliate; entravano personaggi politici, che chiedeva soldi ad un sacco di politici e quindi questa figura si è messa a scottare. Hanno fatto finta che l'avevano rapito, che si era ferito e poi se ne era andato in America con la speranza che credessero alla versione del rapimento. PRESIDENTE. E' stata la stessa Cosa nostra a mandare indietro Sindona per timore che la sua presenza lì potesse diventare motivo di fastidio? GASPARE MUTOLO. Non lo so di preciso, ma so che comunque i mafiosi non hanno mai rifiutato ospitalità a nessuno: tenere un latitante in più od in meno non faceva differenza. Poteva interessare ai mafiosi se Sindona, attraverso altre persone, dovesse dare soldi ai siciliani ed era un motivo per dirgli di andare a cercare i soldi e di riportarli... PRESIDENTE. Aveva sentito dire che Sindona aveva utilizzato soldi di siciliani senza restituirli? GASPARE MUTOLO. Ho sentito dire, quando ci fu il discorso di Calvi, che con Flavio Carboni c'erano i siciliani che avevano investito diversi miliardi in Sardegna, che avevano comprato terreni in cui erano implicati gli Spataro, Riina... Però di preciso... PRESIDENTE. Vi era un giro di affari, insomma. GASPARE MUTOLO. Vi era un giro di affari di diversi miliardi, acquisto di terreni, però cose più precise... PRESIDENTE. Non ho capito se Cosa nostra chiedeva a Sindona di darsi da fare perché Cosa nostra rientrasse in possesso di questo denaro. Pag. 1301 GASPARE MUTOLO. Logico. La giustificazione della lista che lui fa e chiede ad alcuni politici 500 milioni a persona, anche se non è uscito sui giornali, è che in quella famosa lista vi erano personaggi dai quali Sindona voleva soldi. PRESIDENTE. Per darli a voi? GASPARE MUTOLO. A me no ma certamente a qualche importante personaggio siciliano e l'unico che ruotava su Roma era Pippo Calò. PRESIDENTE. Perché poi se ne torna indietro? GASPARE MUTOLO. Perché quando manda questa lettera viene preso, non so se perché quello che la portò chiamò la polizia. PRESIDENTE. Era Inzerillo, vero? GASPARE MUTOLO. No, Spatola. Il discorso quindi si ingarbugliò e non era più un discorso dove potevano entrare tutti questi milioni. PRESIDENTE. Mi faccia capire una cosa: Sindona venne in Sicilia perché Cosa nostra gli disse di farlo al fine di sistemare queste questioni? GASPARE MUTOLO. Non so se glielo disse Cosa nostra oppure se era un desiderio di Sindona. Certamente, andando in America e venendo qui con John Gambino, logicamente in America non era appoggiato all'hotel Palace ma era appoggiato da personaggi della malavita americana; se è venuto in Sicilia e appoggiò in altro territorio con mafiosi... PRESIDENTE. Ed anche massoni? GASPARE MUTOLO. Logico, massoni e mafiosi, ma principalmente ai mafiosi interessavano i soldi. Quando parlai con Rosario Spatola - non quello che collabora, l'altro - disse che in quella lista c'erano politici che dovevano "uscire" ognuno mezzo miliardo. Allora erano tanti soldi. PRESIDENTE. Anche adesso. C'è un rapporto tra l'omicidio di Terranova e la presenza di Sindona in Sicilia? GASPARE MUTOLO. Che io sappia no. PRESIDENTE. Si discusse in quel periodo, quando Sindona era in Sicilia, di un progetto politico di Sindona di separare la Sicilia con un tentativo di colpo di Stato separatista? GASPARE MUTOLO. Il colpo di Stato del quale avevo sentito parlare era molto più serio, era successo nel periodo 1969-70. PRESIDENTE. Quello Borghese? GASPARE MUTOLO. Quello Borghese. Addirittura so che i mafiosi non hanno acconsentito perché volevano che si desse una lista di tutti quelli che partecipavano; è un discorso pacifico, da noi si commentava che era una trappola della polizia e dei carabinieri per conoscere tutti gli affiliati di Cosa nostra. A Napoli addirittura mi dicono che avevano magazzini di armi. Dopo ho sentito parlare sempre che vi erano negli anni dopo Sindona... C'è un partito, se non ricordo male, ma sono cose che non prendono mai corpo... Fino a quando c'erano gli americani che ci appoggiavano... perché i siciliani il colpo di Stato lo volevano fare soltanto se c'era l'appoggio degli americani. PRESIDENTE. In che periodo? GASPARE MUTOLO. Prima sentivo parlare spesso di queste associazioni, però era un discorso che doveva avere il consenso popolare e non soltanto quello della mafia, sempre però se c'era il presupposto di appoggiarsi sugli americani. Pag. 1302 PRESIDENTE. Passiamo ad un altro tema. Sa qualcosa dell'attentato al dottor Palermo? GASPARE MUTOLO. Di preciso non so niente, però circolava in Cosa nostra che era un attentato fatto da Cosa nostra. PRESIDENTE. Della commissione provinciale o di Palermo? GASPARE MUTOLO. I palermitani lo sapevano, ma siccome era un discorso di Trapani senz'altro ne avrà parlato anche la commissione. In quel periodo ero in galera, però avevo sentito che era un omicidio di Cosa nostra e che c'era un certo dispiacere perché era morta quella donna con i bambini. PRESIDENTE. Nelle carceri qual era la condizione degli uomini di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Buona. Dove si andava, si andava. Se c'era un periodo in cui si stava male c'era un po' di prevenzione, però dopo un po' di tempo si riusciva a stare bene, anche perché per temperamento il mafioso in galera non litiga e non è sgarbato con la custodia o con il direttore. E' pacifico e tranquillo. PRESIDENTE. Le è capitato di avere in carcere colloqui con latitanti? GASPARE MUTOLO. A Palermo, sì. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come ciò fosse possibile? GASPARE MUTOLO. Questo periodo lo iniziò Buscetta con il direttore Di Cesare. Dopo la partenza di Buscetta, io mi sono trovato... PRESIDENTE. Di Cesare era massone? GASPARE MUTOLO. Sentivo dire là che era un massone, una persona importante. Sono entrate tante persone. Dopo la partenza di Buscetta, vengo coinvolto in un processo perché le guardie avevano scritto una lettera alla procura. Succede insomma una baraonda, in cui io venni denunciato con i dottori, il direttore, gli assistenti sociali, con tutti... Era una cosa molto facile fare i colloqui. PRESIDENTE. Ma come avvenivano? GASPARE MUTOLO. Prima c'era un autista di questo direttore Di Cesare, che di tanto in tanto passava nella sezione dell'infermeria dove noi eravamo. Gli davamo le nostre richieste, tipo: per tale giorno voglio il colloquio. Parliamo di colloquio "matricola", senza essere controllati. Le famiglie si presentavano in portineria; c'era un certo Buonincontro... PRESIDENTE. Chi era questo Buonincontro? GASPARE MUTOLO. Era un brigadiere che da tanti anni stava a Palermo e che conosceva tutti. Dopo la sua morte, ci fu un certo La Rosa. Io non so se le direttive le dava il direttore. I sottufficiali sapevano ormai le abitudini di queste persone che potevano avere il colloquio quando volevano. Quando una famiglia si presentava dinnanzi alla portineria, se uno avvisava prima la "matricola", cioè Buonincontro o La Rosa... PRESIDENTE. Uno di voi? Dicevate cioè: guarda che sta arrivando quella famiglia! GASPARE MUTOLO. Questo brigadiere telefonava in portineria e diceva: guarda che tra dieci minuti arriva la famiglia...di Tizio. Dall'infermeria noi eravamo in condizione di vedere le famiglie da due posti: da una finestra che dava su una strada (anche se era un po' lontana)... PRESIDENTE. Avevate un binocolo? GASPARE MUTOLO. Là avevamo tutto! Pag. 1303 PRESIDENTE. Dunque anche un binocolo? GASPARE MUTOLO. Guardi, è venuta un'inchiesta da parte di Roma ed è stato trovato un magazzino in cui c'era tutto quello che lei può immaginare: soldi, whisky, champagne... Avevamo un magazzino del quale, guarda caso, io avevo dimenticato la chiave in tasca. Ho passato anche coltelli... ALFREDO BIONDI. C'era anche della droga? GASPARE MUTOLO. La droga era l'unica cosa che noi non consumavamo. PRESIDENTE. Nel magazzino potevate andarci solamente voi? Era un vostro magazzino? GASPARE MUTOLO. Era una cella fatta a magazzino. PRESIDENTE. Lì c'era solo roba vostra? GASPARE MUTOLO. C'era solo il mangiare nostro. PRESIDENTE. Che anno era? GASPARE MUTOLO. Era il 1978-79. Dopo hanno fatto l'inchiesta, ci sono dei processi nati da inchieste del Ministero. PRESIDENTE. Quindi voi guardando con il binocolo... GASPARE MUTOLO. Non c'era bisogno del binocolo. Si parlava e si diceva: vieni di là... Allora uno scendeva giù e diceva: fammi chiamare in "matricola". A volte andavamo da soli, a volte ci accompagnava la guardia, altre volte mandavano una guardia. Quindi il brigadiere o il maresciallo poteva telefonare in portineria per dire: sta arrivando la famiglia di Mutolo! Se io non la vedevo e si presentava mia moglie, per esempio, in portineria, dicendo alla guardia: debbo fare il colloquio speciale... PRESIDENTE. Si chiamava così, "colloquio speciale"? GASPARE MUTOLO. Loro sapevano del colloquio. Oppure si diceva: telefona a Buonincontro e dì che c'è la famiglia Mutolo. Quello telefonava e diceva: falla entrare. PRESIDENTE. I colloqui erano registrati? GASPARE MUTOLO. No. Io, dopo, ho avuto delle conseguenze perché la guardia della portineria scriveva, per esempio, Bellavia più 5 o Mutolo più 4... Era una cosa abituale, in quel periodo. PRESIDENTE. Tra quei quattro c'erano dei latitanti che venivano a parlarvi? GASPARE MUTOLO. In quel periodo, purtroppo, sono entrati Saro Riccobono, Badalamenti. PRESIDENTE. Entravano con documenti falsi oppure non li mostravano? GASPARE MUTOLO. Penso che nemmeno glieli chiedessero! ALTERO MATTEOLI. Anche Michele Greco venne a trovarla? GASPARE MUTOLO. Michele Greco non mi è venuto a trovare. Diverse persone sono venute a trovarmi: Gaetano Badalamenti, Saro Riccobono che era un latitante importante; sono venuti un certo Vernengo, un certo Gangi, un certo Scaglione. Non mi posso ora ricordare tutti quelli che venivano. PRESIDENTE. Ma questo accadeva solo nel carcere di Palermo oppure anche in qualche altro carcere? GASPARE MUTOLO. Forse non solo a Palermo c'era questo andazzo. Fu il periodo in cui arrivò la riforma carceraria e quindi ci fu una ventata diciamo di libertà nelle carceri. Pag. 1304 PRESIDENTE. Non è che ne avevate bisogno, visto che già prima... GASPARE MUTOLO. In quel periodo, anche in altre carceri, grazie alla riforma carceraria, le cose si erano un po' "allentate". PRESIDENTE. Quindi, con la riforma c'era più elasticità? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Ciò è capitato allora anche in qualche altro carcere? GASPARE MUTOLO. Con me no, però so che a Trapani e a Marsala si entrava lo stesso. PRESIDENTE. E nelle carceri non siciliane? GASPARE MUTOLO. So che in quel periodo a Procida c'era pure un carcere molto "aperto". PRESIDENTE. Per pranzo mangiavate quello che veniva da fuori oppure ciò che vi dava l'amministrazione? GASPARE MUTOLO. Di solito mangiavamo tutto quello che veniva da fuori. PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato che per quanto riguarda polizia, carabinieri e via dicendo, c'era l'intimidazione o la familiarità, quest'ultima soprattutto con i carabinieri che venivano lì... GASPARE MUTOLO. Non è che davamo molta importanza ai carabinieri, perché era un fatto scontato che il carabiniere non desse fastidio. PRESIDENTE. Come si manifestavano le connivenze nei confronti del personale carcerario? Voi davate dei soldi, dei regali? GASPARE MUTOLO. Deve pensare che le guardie carcerarie sono forse le persone che stanno più a contatto con i detenuti. E' un rapporto, dunque, che si crea e dopo mesi e mesi, anni ed anni, questo rapporto , questa convivenza purtroppo avviene. E' difficile trovare una guardia carceraria che non sia brava e che non si presti a qualche favore. Ora forse no, perché... PRESIDENTE. Certo, ora è più complicato. GASPARE MUTOLO. Parlo di quel periodo, quando le guardie erano in balìa dei detenuti che comandavano più di loro. PRESIDENTE. Lei è stato anche nel manicomio di Barcellona Pozzo di Gotto, vero? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Avevate trattamenti di favore anche lì? GASPARE MUTOLO. Sì, anzi là si stava ancora meglio di Palermo; ci andavamo proprio per questo! PRESIDENTE. Stesso tipo di trattamento, bevande, viveri, entrate, uscite? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Anche le uscite o solo le entrate? GASPARE MUTOLO. No, solo le entrate. PRESIDENTE. Come arrivò la notizia che Ferlito doveva essere trasferito da Enna a Trapani nel maggio 1982? GASPARE MUTOLO. Non le so parlare di questo. PRESIDENTE. Glielo chiedo perché vi dovettero informare anche dell'ora. GASPARE MUTOLO. Come ho detto, di questo discorso non ne so nulla... Pag. 1305 PRESIDENTE. Lei poi non entra in questa storia. GASPARE MUTOLO. ... però allora non era difficile... Ho letto quello che si dice che cioè qualcuno abbia avvisato ma in quel periodo era normale sapere in anticipo quando un detenuto doveva partire. Era un fatto pacifico. Io andavo in matricola, mi rivolgevo a quello che la comandava e gli domandavo: "Quando parte Tizio? Tizio è in partenza? Vedi se puoi fare andare Tizio in quel carcere". Questo era facile farlo. PRESIDENTE. Era facile anche lo spostamento di cella? GASPARE MUTOLO. Lo spostamento di cella era una cosa insignificante. PRESIDENTE. Non credo tanto insignificante; a voi non serviva? GASPARE MUTOLO. Parlare di celle è un modo di dire perché c'era un corridoio su cui si affacciavano a destra e a sinistra le celle; per entrare nel corridoio c'era un portone di ferro, al quale si arrivava dall'androne con un ascensore. Le celle che davano sul corridoio erano tutte aperte e le chiudevamo solo la sera quando andavamo a dormire. PRESIDENTE. Erano sempre aperte le celle? GASPARE MUTOLO. Sì. PRESIDENTE. Ho capito, era un anticipo di riforma. GASPARE MUTOLO. Quella era un'infermeria e c'era chi soffriva di cuore, chi d'asma, chi di ernia. C'erano delle persone ammalate. PRESIDENTE. Non credo che fossero tutti ammalati. GASPARE MUTOLO. Apparentemente eravamo tutti ammalati, anche se là si giocava a pallone. PRESIDENTE. Ho capito, era per la terapia. GASPARE MUTOLO. Avevamo tutti la cartella clinica, quindi eravamo tutti ammalati. PRESIDENTE. Chi faceva i certificati? I medici del carcere o medici esterni vostri amici? GASPARE MUTOLO. C'era il professor Salmeri che è stato licenziato in tronco, poverino! PRESIDENTE. Poverino non direi! GASPARE MUTOLO. Poi c'erano le relazioni di qualche dottore... PRESIDENTE. Esterno? GASPARE MUTOLO. ...poi venivano i vari specialisti e rafforzavano... PRESIDENTE. Anche questi erano amici vostri? GASPARE MUTOLO. Qualcuno sì perché nel tempo si diventava anche amici. Là si conviveva: chi ci portava il caffè e chi i biscotti. PRESIDENTE. Chi vi suggerì di prendere come proprio consulente il professor Ferracuti? Come mai le viene in testa di prenderlo come consulente? GASPARE MUTOLO. Oltre che in quello di Barcellona Pozzo di Gotto sono stato nel manicomio criminale di Aversa, dove mi trovavo quale indiziato per la strage di Ferlito; in più, avevo un mandato di cattura per droga. Poiché sapevo che grazie alle perizie vi sono dei tetti, cioè che con dodici anni di condanna ve ne sono due prosciolti, con venticinque anni cinque, mentre con l'ergastolo c'è il massimo di dieci anni di proscioglimento... poi si sa che la metà del reato... PRESIDENTE. Perché si avvalse di Ferracuti? Pag. 1306 GASPARE MUTOLO. Ne ho sentito parlare come uno dei periti più forti dopo Semerari. PRESIDENTE. Semerari era molto quotato ad Aversa? GASPARE MUTOLO. Sì, però in quel periodo Semerari è morto... PRESIDENTE. E' morto non volontariamente. GASPARE MUTOLO. ...perché gli avevano tagliato la testa. L'unico che poteva avere quelle amicizie e quel supporto sugli altri giudici poteva essere Ferracuti. PRESIDENTE. Ferracuti fu scelto non solo per la sua bravura ma anche per la sua capacità di avere rapporti con altri magistrati? GASPARE MUTOLO. I periti li scegliamo per la loro capacità... e non... PRESIDENTE. Quale capacità? GASPARE MUTOLO. Non è che ero ammalato. Se sono ammalato ho un buon medico che mi deve curare; il perito c'era perché dovevano venire altri tre periti per dire: questo è schizofrenico, questo è ammalato. PRESIDENTE. Voi sceglievate i periti non sulla base della capacità professionale di medici ma su quella di avere rapporti con la magistratura? GASPARE MUTOLO. I periti di fama potevano coinvolgere i periti d'ufficio mandati dal magistrato. Se è un grosso professore può facilmente dire che il detenuto è malato. PRESIDENTE. La simulazione della pazzia era contraria ai principi di Cosa nostra o no? GASPARE MUTOLO. Ah, la pazzia! Se uno deve prendere trenta o venti anni di galera e c'è un modo per prenderne solo otto o cinque... PRESIDENTE. Le avevano detto che Ferracuti era iscritto alla massoneria, alla P2? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Chi le aveva detto che Ferracuti era uno che aveva questi rapporti per cui era facile far passare le sue perizie? GASPARE MUTOLO. Sapevo che Semerari era quello a cui a Roma si rivolgevano tutti gli psichiatri, tutti quelli che dovevano essere promossi (anche nei medici c'è una certa scala), quelli che dovevano fare un corso per il quale era molto importante il parere di Semerari. Le sue perizie erano indiscusse tanto che ricordo che Martinazzoli, allora ministro di grazia e giustizia, le annullò tutte e ne fece fare di nuove. Ci fu un discorso del genere perché là si prendevano i periti a seconda della gravità del reato e non perché uno era ammalato, in quanto l'ammalato non aveva certo bisogno del perito di parte. PRESIDENTE. Durante il regime di semilibertà ha avuto permessi di otto giorni; era normale? GASPARE MUTOLO. Per me era normale perché scendevo a Palermo per motivi di lavoro. PRESIDENTE. Questo era comodo e non normale, sono due concetti diversi. GASPARE MUTOLO. Ora le potrei dire che era comodo ma, per come andavano le cose, devo dire che era normale perché non c'è stato un interessamento. PRESIDENTE. Ho capito, è andata liscia. GASPARE MUTOLO. Era soltanto per motivi di lavoro. Pag. 1307 PRESIDENTE. Quali erano le dimensioni del traffico di stupefacenti di cui lei si occupava? GASPARE MUTOLO. Cominciai con un traffico di poco conto, di tre, quattro o cinque chili, poi ho fatto il traffico più importante che Cosa nostra abbia mai fatto e la previsione era quella di prendere la morfina base in Thailandia e farla raffinare durante il suo trasporto in mare. PRESIDENTE. E' andato in porto questo progetto? GASPARE MUTOLO. Sì, per due volte; la terza volta è andata male. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione quanto si guadagna investendo soldi in questi affari? GASPARE MUTOLO. Ci possono essere diversi traffici di droga. Per esempio, quando compravo qui la droga a due, tre o cinque chili portata dai cinesi, la pagavo 50 milioni, mentre sulla piazza di Roma era 100-110 milioni. Parlo della droga thailandese, quella bianca, venduta a chilo o a mezzo chilo. Siccome non ero tanto pratico e non avevo tempo, perché entravo e uscivo dalla semilibertà, trovai un accordo con il Pino Savoca che me la pagava 5 milioni in più rispetto al mercato che facevano i palermitani; cioè, io la compravo a 50 milioni, il mercato a Palermo era a 74-75 milioni e loro me la pagavano a 80. Perché? Siccome si sapeva che per questa droga gli americani quando la vedevano impazzivano perché era bellissima, forse la tagliavano in un modo diverso, a me per un certo periodo mi è stato più facile, senza toccarla... PRESIDENTE. Quindi, loro la vendevano agli americani? GASPARE MUTOLO. I palermitani. PRESIDENTE. I palermitani la vendevano agli americani questa droga? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Siccome io conoscevo anche questa strada perché poco tempo prima avevo mandato due chili della droga che il Koh Bak Kin mi portò a Palermo quando ancora Inzerillo era vivo, addirittura me la volevano pagare 140 mila dollari, ma noi sapevamo che la piazza era a 160 mila, quindi era più del doppio. Quando ho avuto la semilibertà ho cercato di dire a Koh Bak Kin: mandami tutta la droga che vuoi perché io la do tranquillamente; dopo ho pensato: perché non la devo portare io in America? In occasione della venuta di John Gambino - e già era aperto questo discorso della droga - gli ho detto che avevo la possibilità di avere questa droga e di portarla direttamente in America. Lui mi ha detto: va bene, però dobbiamo mettere le cose a posto. Il guadagno della droga qual è? La possibilità che avevo io era di comprare la droga fatta a 13 mila dollari il chilo, per carichi di 400-500 chili, e si poteva venderla a 120-130 mila dollari. PRESIDENTE. Lei la comprava a 13 mila e la vendeva a 130 mila? GASPARE MUTOLO. Tredicimila. Logicamente parlo di comprarla in questa maniera. Se uno compra 5 chili di droga e la vuole vendere al minuto - mezzo chilo o un chilo - ai vari spacciatori e commercianti, della thailandese ne può fare da un chilo tre chili. Quindi avevamo una piazza su Roma di 110 milioni, quindi un chilo rapportato a tre chili, per 300 milioni, con la spesa di 13 mila dollari. Quello che noi addirittura volevamo fare era comprare la morfina base in Thailandia e con i chimici raffinarla nel tragitto, anche perché non ci vuole molto a raffinarla. Più che altro, è un fatto di praticità. PRESIDENTE. E la consegnavate negli Stati Uniti? GASPARE MUTOLO. Questo era un progetto che non è stato più portato avanti perché dopo sono successe quelle Pag. 1308 cose... I due carichi che abbiamo fatto sono stati mandati a John Gambino in America. PRESIDENTE. Sono arrivati in America? GASPARE MUTOLO. Sì, due volte 400 chili sia ai Gambino sia ai Cuntrera che se la dividevano, nella prospettiva che questo traffico dovesse ingrandirsi. PRESIDENTE. In questo traffico intervenivano tutte le famiglie? GASPARE MUTOLO. Esatto. In questo traffico sono intervenute quasi tutte le famiglie. Almeno per quello che so io, si può dire quasi tutte ad eccezione di qualcuna. Ho manifestato l'idea di mandarla direttamente io in America, però giustamente sia Totò Riina, sia il Savoca, sia il Gaetano Carollo, sia altre persone come Gambino e Franco De Carlo, ma soprattutto Salvatore Riina mi fa capire: senti Gaspare, non è che mandi dieci chili di droga in America... il lavoro che vuoi fare tu significa rompere completamente la piazza ai palermitani, e questo non è possibile anche perché come prodotto è migliore quello thailandese. Quindi aggiunge: quale problema c'è? Tanto in America si prendono, assorbono tutta quella che mandiamo; tra il Canada e l'America non ci sono problemi, per cui organizziamo e facciamo in modo che lavoriamo tutti tranquillamente e pacificamente. Parlando con Pino Savoca e con altri personaggi, si doveva portare avanti questo progetto: cominciamo con l'eroina e dopo ci facciamo addirittura raccogliere la morfina - anche perché a loro in Thailandia interessava forse di più vendere la morfina che l'eroina perché avevano problemi per l'acetone - in attesa di fare un bel discorso importante. Nei due lavori che abbiamo fatto, le quote sono state fissate a 300 mila dollari. PRESIDENTE. Trecentomila a famiglia? GASPARE MUTOLO. Noi, per esempio, abbiamo messo 600 mila dollari, però eravamo tre famiglie. L'ha messi Riccobono, però comprendeva Partanna Mondello, Sferracavallo, Cardillo, Tommaso Natale ed altri personaggi vicini a Saro Riccobono e si facevano dei regali, però le parti si facevano in quota. PRESIDENTE. Se Saro Riccobono voleva fare un favore ad un amico, gli diceva: dammi dei soldi che poi... GASPARE MUTOLO. No, in quel discorso specifico abbiamo fatto le quote perché sono stati carichi di preparazione. Le quote erano fisse e siccome erano i primi carichi non si poteva sapere se andavano bene o male. Quindi la quota minima era di 300 mila dollari. Per esempio, se dietro di me c'erano dieci o venti persone, a lei non interessava; io comunque portavo 300 mila dollari e dicevo: qui c'è la mia quota. Dopo lei a me dà il guadagno sui 300 mila dollari ed io me lo divido con i miei amici. Abbiamo partecipato quasi tutti, anche Santapaola e Ferrera. PRESIDENTE. Investendo questi 300 mila dollari, quanto vi è ritornato? GASPARE MUTOLO. Su questi 300 mila dollari la mia parte è stata di quasi 50-55 milioni ed ho ricavato un utile di 200 milioni, poi abbiamo fatto quasi 70 milioni di regali. Ripeto però che non si guardava tanto al guadagno per le prime volte, perché erano lavori grossi per i quali si doveva patteggiare un certo prezzo con altri paesi, perché dovevamo rompere un mercato che c'era anche con altri personaggi. Per cui, anche se si dava a 10 mila dollari in meno, o si facevano dei regali.... PRESIDENTE. Voi insomma dovevate entrare in un mercato? Vuol dire questo? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Quindi dovevate essere competitivi con altri? Pag. 1309 GASPARE MUTOLO. Competitivi proprio con tutte le nazioni, noi praticamente volevamo prendere tutto il mercato... PRESIDENTE. Lei ha mai trafficato in cocaina? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Perché? C'è una ragione oppure non è mai capitato? GASPARE MUTOLO. Ultimamente, mi ero interessato della cocaina, però il mercato della cocaina lo avevano in mano i catanesi e i calabresi. Per quello che interessava a me, avevo avuto l'occasione dell'eroina. PRESIDENTE. Tramite Koh Bak Kin? GASPARE MUTOLO. Sì. Tutti quelli che conoscevo io a Palermo trafficavano in eroina. PRESIDENTE. Ci sono raffinerie adesso in Sicilia? GASPARE MUTOLO. Ci sono state, se ci sono adesso non lo so ma credo che ve ne sia qualcuna. PRESIDENTE. Fino a quando ci sono state sicuramente? GASPARE MUTOLO. Questo non lo posso dire. PRESIDENTE. Ricorda se erano gli anni settanta, ottanta o novanta? GASPARE MUTOLO. Fino a quella che è stata presa a Trapani, ad Alcamo; dopo si è sentito che ce ne era qualche altra. PRESIDENTE. Secondo lei potrebbero esserci raffinerie anche a Palermo città o nelle campagne limitrofe? GASPARE MUTOLO. A Palermo città non è possibile, perché si sprigiona un cattivo odore e bisogna essere un po' isolati; a Palermo centro non è possibile ma, ripeto, in qualsiasi punto della città è sempre facile, basta che la raffineria sia situata in un posto dove vi sia aria, sia al mare, sia in campagna. PRESIDENTE. Dove finisce il denaro che si ricava dal traffico di stupefacenti? GASPARE MUTOLO. C'è chi lo investe nell'edilizia, chi lo deposita nelle banche svizzere e chi acquista proprietà all'estero. PRESIDENTE. Supponiamo che io o lei dobbiamo fare un investimento all'estero: lei agisce direttamente o si rivolge a qualcuno? GASPARE MUTOLO. Ci sono persone addentrate che conoscono i canali: io proprio non lo so. Ho sentito dire, per esempio, che una persona li può portare direttamente nelle banche, dove gli danno dei numeri e dei nominativi; poi vi sono le famose società per azioni (si acquista sempre con delle società), che non si sa di chi sono, però nel tribunale esiste una registrazione anche se, quando c'è qualche notaio compiacente, è facile fare "sparire" una società. PRESIDENTE. Vuole parlare alla Commissione dell'invito di Nino Madonìa ad investire in Germania? GASPARE MUTOLO. Quando si parlava della legge di Pio La Torre - siamo nei primi mesi del 1982 - Madonìa ci consigliò, a me e a Micalizzi, poiché sapeva che lavoravamo a pieno ritmo con l'eroina, di non correre rischi. Ci disse che, se avessero approvato questa legge, ci avrebbero tolti i soldi e ci propose di investirli in Germania dove c'era tranquillità. PRESIDENTE. Che tipo di investimenti consigliava Madonìa? GASPARE MUTOLO. La maggior parte degli investimenti consiste nell'acquisto di terreni; per noi l'investimento Pag. 1310 più sicuro sono i terreni, perché non vengono mai svalutati ma acquistano sempre valore. Quindi, l'investimento sicuro è il terreno; poi, una persona pratica può comprare una fabbrica, qualsiasi esercizio. Ripeto, a colpo sicuro si investe su terreni. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di investimenti in borsa o in società finanziarie? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Come si rifornisce Cosa nostra di armi? GASPARE MUTOLO. Le persone che vanno a prendere l'hascisc o l'eroina a volte portano armi da fuori; altre volte, quando si ha bisogno, si rapina qualche armeria ma di solito ci sono persone addette che non hanno problemi a svolgere traffico di armi. PRESIDENTE. Da dove provengono queste armi? GASPARE MUTOLO. Da dove vengono di preciso non lo so, però si possono avere a Ventimiglia; qualsiasi tipo di arma viene dall'estero: danno dei cataloghi e lei può scegliere, in Italia, su questi cataloghi. Se va per esempio in Francia, in Svizzera o in qualsiasi paese estero le compra con facilità. PRESIDENTE. Quello delle armi non è mai stato un problema per Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. No, le armi non sono un problema. PRESIDENTE. E' capitato qualche volta di uccidere con pistole di piccolo calibro piuttosto che con armi pesanti? GASPARE MUTOLO. L'uso delle pistole a volte serve per deviare le tracce, oppure perché a volte sono armi che sono state conservate, ma sempre utilizzabili. Se deve essere un omicidio in cui si vuole far capire che non è stata la mafia, perché i giornalisti e i poliziotti pensano che la mafia esegue sempre gli omicidi con una calibro 38, oppure con la 45 magnum, allora si usano queste 7,65, che vanno a ruba. PRESIDENTE. Mi pare che l'onorevole Lima sia stato ucciso con una pistola di piccolo calibro. GASPARE MUTOLO. Non so con quale pistola ma, ripeto, non è... PRESIDENTE. E' stata usata una 7,65? GASPARE MUTOLO. Ripeto, questo non è ... Anzi, un omicidio del genere è anche giusto che si faccia con un'arma diversa dalla P38. PRESIDENTE. Perché? GASPARE MUTOLO. Per depistare almeno per qualche periodo la polizia, le forze dell'ordine; dopo lo sanno... PRESIDENTE. Mi pare che anche Boris Giuliano sia stato ucciso con una pistola di piccolo calibro. GASPARE MUTOLO. Sì, ma ripeto non è... A volte non succede che fanno delle telefonate dicendo: "Siamo la falange armata..."? Sanno dire soltanto: "Siamo della falange armata, colpiremo ancora" e stop. PRESIDENTE. Queste telefonate, a volte, le ha fatte qualcuno di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Io penso di sì. PRESIDENTE. Lei pensa di sì. Per deviare? Ho capito! GASPARE MUTOLO. Un momento: quando succedono omicidi a Palermo. PRESIDENTE. Certo. Pag. 1311 GASPARE MUTOLO. Allora sì! PRESIDENTE. Le armi tipo Kalaschnikov o i mitra UZI (mi pare israeliani) da dove provengono? Anche questi sono scelti su catalogo? GASPARE MUTOLO. No, queste armi si trovano pure su catalogo, però ormai ce ne sono tante. Io ho fatto trovare due UZI israeliani, tipo militare, che ho consegnato... PRESIDENTE. Quando lei ha deciso... GASPARE MUTOLO. Poi sono stato arrestato. Ripeto, sui cataloghi si può scegliere qualsiasi tipo di arma, non di pistole; se lei vuole, anche un lanciamissili: l'importante è che paghi in contante. PRESIDENTE. Poiché Cosa nostra disponeva anche di lanciamissili, perché non li ha utilizzati per uccidere Giovanni Falcone, che è "saltato" insieme a persone estranee? Secondo lei, vi è una ragione? GASPARE MUTOLO. Si sapeva, perché se ne era parlato tante volte, che Cosa nostra aveva diversi lanciamissili, i piccoli Katyuscia, o qualcosa del genere. Si sapeva che c'erano a Palermo e a Catania, ma il discorso della strage non è che... Quella di Chinnici è uguale a quella di Falcone. PRESIDENTE. Beh, no! GASPARE MUTOLO. Se noi ponderiamo bene, come modalità, che cosa cambia tra la strage di Chinnici e quella di Falcone? Una è in movimento, l'altra... PRESIDENTE. L'avvocato Biondi rileva... GASPARE MUTOLO. In quella di Chinnici hanno imbottito la macchina con cinquanta chili. In quella di Falcone lei conosce quella strada, tra quella che va al mare e quella che porta alle ville, ogni cento metri c'è un sottopassaggio. Per essere sicuri, invece di trecento, metto seicento chili, tanto... PRESIDENTE. Non è quello il problema. L'assassinio di Falcone è stato affidato ad una squadra, ad un gruppo particolarmente attrezzato, oppure no? GASPARE MUTOLO. C'è poco da attrezzarsi. Può sembrare una cosa difficile ma ognuno ha il suo compito. C'è il più giovane che ha il compito di prendere la dinamite e metterla nel cunicolo; c'è quello più intelligente ed esperto che avrà il compito di schiacciare il comando. L'importante è sapere quando arriva e quando parte la persona. Poi, se si ha la visuale... Certo, non è che lo ha fatto uno sprovveduto che non lo aveva mai fatto: sicuramente avranno fatto un gran numero di prove. ALFREDO BIONDI. Quindi, è più facile di quanto non appaia ad uno che legge il giornale? GASPARE MUTOLO. Conoscendo un po' il meccanismo di questi telecomandi, so che in una frazione di secondo si dà l'impulso. Certo, se pensiamo che la cosa può essere... E' più difficile indovinare quando viene che non schiacciare il bottone. A colpo d'occhio, se lei guarda una macchina e la vede arrivare, già calcola quanti metri fa, venti, quaranta o sessanta. Non è che si conti metro per metro; si contano cinquanta metri, cento metri. Quindi è facile. PRESIDENTE. Falcone con la sua scorta erano visibili, oppure qualcuno ha dato l'imbeccata a Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Certo, la macchina era visibile per chi ha schiacciato il pulsante. PRESIDENTE. Scusi, mi sono spiegato male. Qualcuno vi ha avvertito, ha avvertito Cosa nostra che Falcone sarebbe arrivato? Pag. 1312 GASPARE MUTOLO. Avvertito me no, perché ero in galera. PRESIDENTE. No, non lei. GASPARE MUTOLO. Sicuramente li avranno avvertiti. C'era probabilmente il "postiglione" a Punta Raisi. Sapevano forse che, se non fosse arrivato oggi, sarebbe arrivato domani. Le abitudini! A Palermo si fanno fregare perché hanno sempre le stesse abitudini. Totò Riina è stato tanto tempo latitante perché non diceva a nessuno a che ora usciva. Si vede che si è confidato con questo Di Maggio e si è fatto fregare. Penso che il bottone che è stato schiacciato per Falcone è stato usato da uno che non era così bravo bravo, perché hanno sbagliato l'obiettivo, avendo fatto saltare un'altra macchina. PRESIDENTE. E' saltata la macchina davanti. GASPARE MUTOLO. Se ci fosse stata questa precisione, questo tecnico venuto dalla Germania o dalla Colombia, doveva saltare la macchina di Falcone e non quella della scorta. Certo, sono persone ed essendo umane possono sbagliare ma, se Falcone si fosse messo dietro e se due o tre persone si fossero messe dietro e la macchina avesse proceduto senza altre macchine, sarebbero rimasti tutti e tre vivi. Solo che c'era tanto esplosivo che, anche se vi fossero state quattro macchine nel giro di cinquanta metri, sarebbero saltate tutte. Quella precisione di cui parlano i giornali... PRESIDENTE. Ha avuto rapporti con i terroristi per consegna di armi? GASPARE MUTOLO. No, no, mai. PRESIDENTE. In un caso? Per la consegna di un mitra ad un terrorista? GASPARE MUTOLO. Non ho fatto mai consegne di un mitra... PRESIDENTE. Una proposta di consegna di un mitra? GASPARE MUTOLO. Non ho avuto mai rapporti con i terroristi, perché non conosco i terroristi. Questo discorso si trascina da diversi anni con una persona dei servizi segreti. Si tratta di questo... PRESIDENTE. Vorrei informarla che il direttore del SISDE ci ha raccontato questo episodio, facendo anche il nome della persona. GASPARE MUTOLO. Voglio raccontare nuovamente la cosa per com'è. Non avrei alcun motivo di negare di aver dovuto dare un mitra ad un terrorista. Anche perché questo discorso è stato chiarito molto bene a Palermo dall'avvocato Inzirillo. Effettivamente ho conosciuto questo signor dottor Fabbri, che non so cosa sia ma che è una persona dei servizi segreti. L'ho saputo mentre ero in galera. Ho conosciuto questa persona come ho conosciuto altre persone dei servizi segreti e per me erano persone gentilissime. Forse avevano avuto un'indicazione sbagliata su di me. Siccome avevano rapporti con un certo Franco Gasperini e questo ogni tanto fregava soldi ai servizi dicendogli che doveva fargli arrestare qualche terrorista, questo Gasperini per tenersi ancora buoni i servizi gli disse che aveva un amico suo mafioso. Quindi mi venne a trovare in carcere Gasperini (benedette queste carceri!) e mi dice: "Senti, c'è una persona del ministero che io posso contattare per aiutarti". "Dimmi che ci vuole; a disposizione". In quel periodo a L'Aquila c'era un presidente, che dopo mi ha concesso la semilibertà, che aveva ricevuto dei rapporti secondo i quali io sarei appartenuto a bande criminali soprannominate mafia e era indeciso se darmela o non darmela. "Va bene, parla con queste persone del ministero". "Sai sono persone che hanno conoscenze; se ti chiedono un colloquio, tu ci vuoi parlare?". "Falle venire e che fa, mi mangiano? Io sono in galera, se c'è qualche persona che mi vuole aiutare...". Queste persone non sono venute a colloquio. Pag. 1313 Fatto sta che si sono interessate, o almeno così mi dicono. Io so che il presidente de L'Aquila prima mi rigetta la semilibertà perché ero mafioso ma poi mi danno un permesso di cinque giorni perché mia mamma era in coma in ospedale e, esistendo una disposizione di legge, avendo io già scontato quattordici anni e dovendo fare ancora due anni, due anni e mezzo (stavo quasi per essere liberato), mi danno cinque giorni di permesso. Vado a vedere mia mamma in coma all'ospedale e rientro tranquillamente. Quindi cade questa pericolosità ed anzi, prima di rientrare a Teramo, passo da L'Aquila e vado a ringraziare il presidente. Gli ho detto: "Grazie di avermi dato la possibilità di andare a vedere mia mamma all'ospedale". E lui mi fa, tutto tranquillo: "Mutolo, lei non sa il bene che ci ha fatto che lei sia rientrato, perché io ero sicuro che, appena lei avesse messo i piedi fuori, si sarebbe dato latitante". "Ma, ora, con i bambini, mi sono messo la testa a posto". Dopo quindici giorni, mia mamma muore; mi danno altri cinque o sei giorni di permesso, non mi ricordo quanti; vado a farmi i funerali di mia mamma e rientro di nuovo. Cade quindi questa mia pericolosità. Però interviene questo Gasperini e mi dice che ci sono persone del ministero. Io esco, ho modo di incontrare questo signor Fabbri ed altre persone. Lui stesso ha detto di non avermi mai dato soldi. Anzi dice che questo Gasperini gli fregava qualche soldo, mentre io non gli ho chiesto mai soldi. Io, pensando che fossero persone del ministero che guadagnavano lo stipendio, tutte le volte che salivo da Palermo portavo dei pesci speciali per questi signori, portavo delle cassate e delle volte che andavamo a mangiare al ristorante ci litigavo perché volevo pagare io, perché mi sembrava assurdo che una persona mi portasse al ristorante e dovesse pagare due o trecentomila lire. Io mi alzavo prima e andavo lì a pagare, gli lasciavo i soldi. Questo lui lo dice ma, per giustificare questo rapporto che si era creato con il Gasperini, a un certo punto, essendo avvenuto il sequestro del generale Dozier, mentre salgo da Palermo vedo questo Fabbri per portargli delle cassate, un contenitore di pesce, le solite cose, e questo dice: "Siamo rovinati!". "Che è successo?". "Dobbiamo cercare di liberare questo Dozier". "Guardi che siamo fuori campo completamente! Se lei si vuole interessare perché c'è Saro Riccobono latitante e lei mi dice quanto tempo ci vuole per ottenere la domanda di grazia o se lei ha qualche persona che vuole fare il politico a Palermo e vuole i voti per farlo diventare onorevole, lei deve dirmelo, ma sul terrorismo... Io a Teramo conosco solo zingari." Non lo so com'è nato, so solo che il dottor Falcone, quando mi arrestano nel 1984 o nel 1985, un giorno viene a Roma e mi fa questo discorso: "Tu con il dottor Mario Fabbri...". "Io conosco tanti Mario" - gli dissi - "e se lei mi fa fare un confronto, vedremo". "E' uno del ministero che ha detto che lei gli doveva far trovare un mitra AK7", che è lo stesso mitra che aveva ucciso a Calabritto Dalla Chiesa. Era questo lo spunto che tira fuori questa novità. Io spiego al giudice Falcone: "Non le voglio dire perché conosco questo signor Mario Fabbri, le posso dire semplicemente che per me era un impiegato del ministero però, se lei me lo porta a confronto e lui dice che effettivamente io gli ho fatto sapere che avevo questo mitra, io le dico la ragione per la quale l'ho conosciuto". Non ho fatto mai un confronto. Dopo l'avvocato Inzerillo ha cercato di specificare il discorso in aula e cioè che questo Fabbri, per non avere fatto la brutta figura che Gasperini gli fregava i soldi perché doveva far arrestare questo o quello, lo ha presentato a me. PRESIDENTE. Le risulta che Riina fu avvertito da Contrada che stavano per arrestarlo? GASPARE MUTOLO. Non lo so. PRESIDENTE. Non le risulta o preferisce non dirlo? GASPARE MUTOLO. So che Contrada aveva contatti con il mondo di Cosa Pag. 1314 nostra, però non posso dire se abbia avvisato. Se lei mi fa la domanda in modo diverso, cioè se Riina aveva contatti con qualche persona, io le posso dire di sì. PRESIDENTE. Riina aveva contatti con Contrada? GASPARE MUTOLO. Sì, e per quello che mi risulta non solo Riina ma anche altri personaggi. PRESIDENTE. Quali altri? GASPARE MUTOLO. Michele Greco, Totò Scaglione, Salvatore Inzerillo. PRESIDENTE. Contrada era il punto di riferimento più importante in questura? GASPARE MUTOLO. Per quello che mi risulta e per quello che mi diceva Saro Riccobono, sì. PRESIDENTE. Sempre da Riccobono ha saputo dei contatti con gli altri? GASPARE MUTOLO. Sì, erano conversazioni pacifiche. PRESIDENTE. Nella prefettura di Palermo avevate qualche riferimento? GASPARE MUTOLO. La prefettura? PRESIDENTE. Sì, dove sta il prefetto. GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Gasperini ha dichiarato di aver partecipato presso una villa di Partanna Mondello ad una riunione di mafia, avvenuta nel periodo tra l'omicidio di Bontate e quello di Inzerillo. Lei per caso ha partecipato con Gasperini a questa riunione? GASPARE MUTOLO. Me lo portavo diverse volte a Palermo. Per me partecipare a quelle che per Gasperini potevano sembrare riunioni era soltanto andare a "mangiate" normali alle quali non davo troppa importanza. PRESIDENTE. Si discusse in quella sede del fatto che era stato ucciso Bontate e che si sarebbe ucciso Inzerillo? GASPARE MUTOLO. Con me personalmente no. PRESIDENTE. In Sardegna esiste una famiglia di Cosa nostra o uomini d'onore? GASPARE MUTOLO. Su questo non posso essere preciso. Nel 1989 sono stato avvisato da Condorelli, che mi aveva detto di stare attento perché vi era qualche famiglia in Sardegna ed in Calabria, però non posso dire nulla con certezza. PRESIDENTE. Signor Mutolo, la prego di allontanarsi dall'aula. La richiameremo tra breve. (Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene accompagnato fuori dall'aula). PRESIDENTE. Il quadro tracciato dal signor Mutolo riguarda il sistema dell'impunità relativo a polizia e carabinieri oltre alle cose che ha detto per il livello politico. Vorrei sapere se i colleghi intendano porre altre questioni. Vi è inoltre la necessità di decidere se sia o meno il caso di rendere pubblica la seduta; infatti, Mutolo ha fatto nomi di persone, all'interno degli uffici di polizia, nei confronti dei quali credo vi siano procedimenti in corso, la cui identità non è ancora trapelata all'esterno. Ritengo doveroso fare una rapida telefonata a Palermo per sapere se vi siano procedimenti e se, nel rendere pubblici certi nomi, si potrebbe arrecare danno. Invito i colleghi a valutare l'opportunità che tali nomi non vengano resi noti. ALTERO MATTEOLI. Preferirei che venisse fatta una telefonata a Palermo, Pag. 1315 perché, se rendiamo pubblica l'intera audizione, ci sgraviamo da ogni responsabilità. Anche l'altro giorno, in occasione dell'audizione della signora Antiochia, i giornali ne hanno scritto. Poiché siamo tutti imputabili, preferisco che sia chiarito quell'aspetto. E' stata un'audizione lunga, dalla quale abbiamo ricavato molte informazioni; proprio all'inizio è emerso l'aspetto più inquietante, quando sono intervenuto a proposito della vicenda Di Gennaro. Bisognerebbe sapere quanto tempo sia passato dalla richiesta di colloquio al colloquio con il magistrato; egli ha parlato prima con Vigna e poi con Falcone; quest'ultimo fa il nome del questore Di Gennaro e non di un magistrato. Questo aspetto a mio avviso andrebbe chiarito meglio perché, dal momento in cui ha dichiarato di pentirsi, la magistratura si è fatta viva dopo 5 o 6 mesi. PRESIDENTE. Collega Matteoli, non è che tutti quelli che dicono di pentirsi... ALTERO MATTEOLI. Sì, lo so. PRESIDENTE. Vi è anche un problema di rispetto dei tempi. ALTERO MATTEOLI. Ma qui siamo di fronte a Mutolo! Di tutti coloro che abbiamo ascoltato - per carità, non voglio esprimere giudizi perché questo sarà compito della magistratura - Mutolo è l'unico, finora, ad aver ammesso chi sia. Questi ha commesso i peggiori crimini del mondo! ALFREDO BIONDI. Sarebbe interessante appurare come personaggi di livello culturale, professionale e di esperienza specifica così limitati siano riusciti a vederlo (a parte l'abilità nascosta dietro la sua immagine), ad amministrare, a controllare nonché ad avere la possibilità di riciclare del denaro e di accedere con facilità alle banche. Mi pare abbastanza strano che un'amministrazione così vasta ed eterogenea, anche come proventi, possa essere stata canalizzata in questo modo. PRESIDENTE. Onorevole Biondi, potremo senz'altro rivolgere tale quesito a Mutolo con la speranza che ci risponda. MARIO BORGHEZIO. Mutolo ha fatto un cenno alla famosa lista di Sindona. Mi pare che questa sia una buona occasione per fare il punto conclusivo su una questione che è emersa oggi, quella relativa alla richiesta di 500 milioni ad ognuno dei personaggi eccellenti. In particolare, potremmo chiedergli se qualcuno di questi abbia pagato e chi sia. Per quanto riguarda l'Italia a nord di Roma, sembra che a Torino vi sia l'unica decina autorizzata dalla Cupola. Sarebbe interessante sapere da Mutolo a quali personaggi essa faccia capo. ERMINIO ENZO BOSO. Presidente, Mutolo ha parlato di posti di lavoro. In proposito, vorrei che gli fosse chiesto se esista un legame con le multinazionali presenti sul territorio della Puglia, della Calabria, della Sicilia ed in quale maniera i personaggi, a livello direttivo, possano essere in contatto con Cosa nostra. Da ultimo, si potrebbe chiedere a Mutolo se Cosa nostra sia abbastanza interessata alla ristrutturazione alberghiera e degli impianti di risalita nella zona di Cortina. MASSIMO BRUTTI. Mutolo ha parlato di difficoltà nel commettere omicidi al di fuori della Sicilia. Potremmo riprendere il discorso relativo all'omicidio di Condorelli e chiedergli se esso sia stato possibile grazie ad appoggi in Toscana. Sarebbe inoltre opportuno riprendere anche il discorso relativo alla rete logistica di Cosa nostra nell'Italia centrale (mi riferisco ai rapporti con Giacomo Riina a Budrio, situato tra la Toscana e l'Emilia e Romagna). In proposito, come certamente ricorderete, il dottor Vigna ci ha parlato di uno stretto rapporto tra Mutolo, trafficante di droga, e questa rete. Da qui l'opportunità di porgli questo specifico quesito. PRESIDENTE. Chi c'era a Budrio? Pag. 1316 MASSIMO BRUTTI. Giacomo Riina e Piero Leggio. Potremmo ancora chiedere a Mutolo se, a suo avviso, la dichiarazione dell'avvocato Fileccia a proposito della presenza di Riina a Palermo, avesse un preciso significato in quel momento. Mutolo, infatti, ha parlato di segnali nel comportamento che Riinaterrà nelle prossime settimane. Mutolo ci ha anche detto che Scopelliti stava studiando le carte in anticipo, prima ancora, cioè, che gli venisse assegnato il processo. Mi chiedo in quale modo i mafiosi ne fossero a conoscenza. ALFREDO GALASSO. Presidente, credo che vi sia una domanda tra quelle che erano state preparate che non sia stata rivolta a Mutolo. Non mi risulta infatti che gli sia stato chiesto perché alla fine degli anni ottanta siano stati uccisi a Palermo alcuni imprenditori. Desidererei poi che fosse chiesto a Mutolo quale sia il motivo dell'assassinio di Giovanni Bontate, il cosiddetto avvocato, ucciso dopo la fine del maxiprocesso. Infine, vorrei che gli fosse chiesto perché e da chi fu ucciso il colonnello Russo, a proposito del quale abbiamo già acquisito le informazioni di Calderone. PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Tripodi, vorrei fargli presente che non ho chiesto a Mutolo quali valutazioni si facessero all'interno di Cosa nostra a proposito dell'inchiesta sulla massoneria a Palmi perché quando l'inchiesta iniziò egli era già uscito da Cosa nostra. GIROLAMO TRIPODI. Poiché si parlava di rapporti tra mafia e massoneria, avrei voluto sapere se, a seguito di quell'inchiesta, Mutolo fosse a conoscenza di qualche elemento che dimostrasse una certa preoccupazione da parte delle organizzazioni mafiose. A Mutolo potremmo chiedere anche quale sia stato il giudizio di Cosa nostra sull'azione degli alti commissari ed in particolare su quella del dottor De Francesco. In ordine ai grandi traffici di droga, Mutolo ha parlato di rapporti con i trafficanti calabresi. Ebbene, vorrei sapere qualcosa di più preciso in proposito e, possibilmente, anche chi siano questi grandi trafficanti calabresi. Mutolo ci ha detto che Scopelliti sarebbe stato ucciso perché non si "piegava" alle richieste della mafia relativamente al maxiprocesso (un punto, questo, sul quale abbiamo già acquisito le dichiarazioni di Messina). Vorrei che gli venisse chiesto se a suo avviso Scopelliti sia stato eliminato direttamente dai palermitani oppure dalla 'ndrangheta calabrese. PIETRO FOLENA. Vorrei sapere se conosca gli imprenditori Sansone arrestati in questi giorni e se sapesse che erano uomini d'onore. Nei rapporti con i politici non si è parlato di Gunnella; vorrei sapere se, a sua conoscenza, fosse persona con cui c'erano rapporti. L'ultima domanda riguarda i ricoveri facili dei carcerati. E' uno scandalo esploso a più riprese, in modo particolare all'ospedale Civico. Vorrei sapere se tra le funzioni dell'onorevole Lima vi fosse anche quella relativa al ruolo svolto da suo fratello, che per lungo tempo è stato amministratore dell'ospedale Civico. VITO RIGGIO. Poiché quella in cui Mutolo operava è stata una zona di espansione edilizia non solo privata ma anche pubblica, vorrei capire il rapporto con il comune di Palermo, se Mutolo lo conosce. Si parla sempre di Lima ma negli anni in cui Mutolo è entrato ed uscito di galera si sono svolte tre campagne elettorali. GIOVANNI CARLO ACCIARO. Vorrei chiedere se Flavio Carboni fosse comunque un utilizzatore dei fondi della mafia per reinvestire in Sardegna. Faccio il nome di Carboni perché Mutolo lo ha già nominato collegandolo a Pippo Calò. ANTONIO BARGONE. Il signor Mutolo ha parlato del riferimento romano Pag. 1317 dell'onorevole Lima; in particolare, ha parlato di colloqui in cui è stato fatto un nome preciso, quello del capocorrente. Poiché su questa parte Mutolo non è stato preciso, vorrei sapere in quale occasione se ne sia parlato e a proposito di cosa, se cioè il rapporto di scambio di favori tra l'onorevole Lima e Cosa nostra avesse trovato un riferimento in quell'occasione sulla sponda romana. ANTONINO BUTTITTA. Ad un certo punto dell'audizione abbiamo sentito, a proposito della riutilizzazione o riciclaggio del danaro, un preciso riferimento al ruolo di professionisti, comunque di gente specializzata in quest'opera, soprattutto in quella di trasferimento in istituti bancari non italiani. Sarebbe utile che Mutolo fosse più preciso, magari indicando chi siano i professionisti che si prestano a questo lavoro per loro molto utile. PRESIDENTE. Le domande sono numerose e cercherò di rivolgerle al signor Mutolo tenendo maggiormente presente la sostanza delle cose, perché il quadro generale è chiaro. Se la Commissione concorda, sospendo brevemente la seduta per accertarmi, presso la procura di Palermo, se su alcuni nomi fatti oggi dal collaboratore Mutolo siano in corso accertamenti. Ciò al fine di decidere se rendere totalmente o parzialmente pubblica l'audizione. La seduta sospesa alle 18,45 è ripresa alle 18,55. PRESIDENTE. Com'era prevedibile, la procura di Palermo ha confermato che su alcuni nomi emersi durante l'audizione sono in corso accertamenti e pertanto su di essi dovrà essere mantenuto il segreto, quale che sia la decisione che assumeremo in ordine all'audizione nel suo complesso. (Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene reintrodotto in aula). PRESIDENTE. Signor Mutolo, le rivolgerò adesso delle domande alle quali la prego di rispondere sinteticamente, visto che ormai il quadro della situazione è abbastanza chiaro. A proposito della sua decisione di collaborare, lei ha detto di aver chiamato il dottor Falcone il quale ha delegato un'altra persona di cui lei non ricorda il nome. Il dottor Falcone le dice poi di far riferimento a qualcuno, nel caso in cui voglia mantenere ferma la sua decisione? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Mi dice che lui non può perché è impegnato su altri fronti. PRESIDENTE. E quindi? GASPARE MUTOLO. Quindi io ho una titubanza e voglio riflettere. PRESIDENTE. E' lei che deve riflettere, per cui la cosa si tronca. GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Quando riprende? GASPARE MUTOLO. A maggio, forse giugno o luglio, non ricordo. A luglio. PRESIDENTE. Prende contatto con Vigna per parlare? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Dopo arrivano i giudici di Palermo? GASPARE MUTOLO. Sissignore. Dopo arriva il dottor Borsellino. PRESIDENTE. Da solo o con altri? GASPARE MUTOLO. Mi sembra con il procuratore Aliquò. PRESIDENTE. Una domanda che molti di noi si pongono è questa: come fanno a riciclare tutta questa grande quantità di denaro? Si servono di professionisti, di specialisti particolari? Pag. 1318 GASPARE MUTOLO. Certamente, si servono di specialisti che fanno delle società o mandano i soldi all'estero. PRESIDENTE. Questi specialisti stanno a Palermo o fuori? GASPARE MUTOLO. Di solito stanno a Palermo. PRESIDENTE. Sono loro che curano tutto il volume degli affari? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. I soldi poi ritornano in Sicilia o restano all'estero? GASPARE MUTOLO. Arrivano attraverso società, attraverso azioni. Non è che arrivino soldi liquidi. PRESIDENTE. L'onorevole Biondi chiede se lei conosca il nome di qualcuno dei professionisti che svolgono questo lavoro. GASPARE MUTOLO. I professionisti che svolgono questo lavoro sono per la maggior parte notai. Specificamente non lo so; so che qualcuno era molto vicino a questo gruppo di mafiosi, a Totò Riina, a Scaglione, a Riccobono che creavano delle società in cui era difficile risalire ai titolari. Facevano queste società ma non conosco attraverso quale meccanismo. PRESIDENTE. I notai sapevano chi erano le persone con cui avevano a che fare? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Intende fare i nomi di questi notai? Li conosce, li ricorda? GASPARE MUTOLO. Non vorrei fare confusione. C'è più di un notaio che fa queste cose a Palermo, non è uno solo. Magari dopo aver riflettuto... PRESIDENTE. Li dirà poi ai giudici. A proposito della notizia che ci ha dato in ordine allo Spatola che viene trovato con l'elenco dei politici che dovrebbero versare 500 milioni ciascuno, le risulta se qualcuno di essi pagò? GASPARE MUTOLO. Non lo so, perché ho fatto questi discorsi con Rosario Spatola mentre eravamo in galera a Palermo. Mi raccontava che il fratello era andato da questo avvocato - non so se era un politico che però svolgeva anche le mansioni di avvocato - il quale (ed è riscontrabile chi era perché è stato preso con quella lettera) doveva far avere questa richiesta. PRESIDENTE. Questi soldi dovevano andare a Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Logicamente. Erano parte dei soldi - almeno per come ho capito... PRESIDENTE. Spesi male. GASPARE MUTOLO... spesi male nel famoso crack del Banco Ambrosiano. PRESIDENTE. Che lei sappia, nella zona di Cortina d'Ampezzo ci sono investimenti di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. A Cortina d'Ampezzo non lo so. Per la Sardegna lo so sicuramente perché fu oggetto di discussione. Però ci sono in tutti i posti, dove c'è un po' di tranquillità. PRESIDENTE. Nel nord della Sardegna? GASPARE MUTOLO. Si diceva che dovevano fare villaggi, complessi alberghieri. PRESIDENTE. Quelli in cui c'era Carboni di mezzo? GASPARE MUTOLO. Sissignore, c'era anche Carboni. Pag. 1319 PRESIDENTE. Nella penisola sorrentina, a Castellamare? GASPARE MUTOLO. Sul napoletano so che ha interessi Liggio; altri mafiosi no. So che Liggio e Riina da molto tempo avevano delle società con Lorenzo Nuvoletta. PRESIDENTE. Gli interventi nei confronti delle imprese e per i posti di lavoro si fanno anche quando l'impresa è straniera? GASPARE MUTOLO. Sì, perché anche se l'impresa è straniera il capo cantiere è del luogo. Non si ha direttamente contatto con la persona straniera, ma con la persona di fiducia che è responsabile, che cura sia le tangenti sia... PRESIDENTE. Chi ha ucciso Condorelli a Gavorrano aveva sostegni in Toscana? Lei ha detto che, in genere, non si commettono omicidi fuori della Sicilia, mentre in questo caso l'omicidio è stato commesso. GASPARE MUTOLO. Certamente queste persone che sono venute dalla Sicilia avevano dei sostegni in Toscana, però non ho potuto essere preciso anche quando ne ho parlato... PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di un paese che si chiama Budrio dove c'era Giacomo Riina? GASPARE MUTOLO. Sì, lo conosco. PRESIDENTE. Che tipo di insediamento c'era lì? GASPARE MUTOLO. A Budrio, vicino a Bologna, andavo a trovare... PRESIDENTE. Giacomo Riina? GASPARE MUTOLO. No, Giacomo Riina io lo vedevo in casa di Giuseppe Leggio che è a cinque o sei chilometri da Villa Fontana. So che lui è inserito lì. PRESIDENTE. In Emilia Romagna ci sono molte presenze di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Questo non lo so, ma in qualsiasi punto dell'Italia ci sono mafiosi che stanno lì da tanti anni e che hanno quasi tutti contatti con Palermo. Difficilmente qualcuno non li ha. PRESIDENTE. L'avvocato Fileccia disse al telegiornale che Riina era in Sicilia e che lui lo incontrava: qual era il significato di questa dichiarazione? GASPARE MUTOLO. Effettivamente il Fileccia l'ha detto perché è l'avvocato di Salvatore Riina. Ha girato sempre intorno all'ambiente mafioso, me lo ricordo da sempre. Certo, ha dovuto smentire quella notizia perché magari... PRESIDENTE. Secondo lei, anche sulla base dei vostri criteri, che tipo di messaggio voleva dare? GASPARE MUTOLO. Voleva dare qualche segnale a qualcuno, dire che lui è là e se vuole può colpire; non è che è all'estero, è come morto. PRESIDENTE. Come eravate riusciti a sapere che Scopelliti stava leggendo le carte del processo? GASPARE MUTOLO. Io l'ho saputo da altri detenuti; non so se questi l'hanno saputo dagli avvocati o da qualche giudice che l'ha fatto poi sapere a qualche avvocato. Non posso essere più preciso. PRESIDENTE. Scopelliti fu ucciso da Cosa nostra o dalla 'ndrangheta? GASPARE MUTOLO. No, per quello che mi risulta è stato ucciso dalla 'ndrangheta. PRESIDENTE. Su richiesta di Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Questo è possibile? Pag. 1320 GASPARE MUTOLO. E' possibile; è una questione di cortesia. PRESIDENTE. E' una questione di cortesia! GASPARE MUTOLO. Sì, anche perché si è saputo - ho parlato con un calabrese - che in quel periodo, siccome c'erano tutti questi clan della 'ndrangheta nel reggino che si combattevano fra loro, c'era stata una specie di "paciata"; erano tornati cioè calmi e tranquilli, e questo lo so attraverso un certo Tonino; ho detto a qualche giudice, quando ero a Pisa, che si erano serviti dell'intervento dei siciliani per fare questa "paciata". PRESIDENTE. Perché alla fine degli anni ottanta, a Palermo, vengono uccisi tanti imprenditori, come per esempio Parisi e più tardi Ranieri? GASPARE MUTOLO. Si vede che erano personaggi i quali, oltre a fare gli appaltatori, avevano interessi nell'opera pubblica. Quindi, qualche cosa tra questi personaggi che si accaparrano le opere pubbliche sicuramente... PRESIDENTE. Non vi siete mai chiesti come mai in quel periodo venivano uccisi tutti questi imprenditori? GASPARE MUTOLO. Quando viene ucciso un imprenditore, sappiamo che la linea di fondo della mafia è che per uccidere c'è un motivo. La mafia non si sogna da un giorno all'altro di uccidere un imprenditore, specialmente se non è in contatto. La disgrazia di un personaggio, la morte di un imprenditore è dovuta a certe lamentele tra le persone che gestiscono appalti pubblici. Per esempio, se qualche persona dà fastidio e l'altra si lamenta con le persone vicine, poi quelle, a titolo di favore... Non sono i personaggi che dicono di uccidere, no! Dicono: quello non ci fa vivere più, quello... Sono messaggi che... PRESIDENTE. Perché fu ucciso Giovanni Bontate? GASPARE MUTOLO. Giovanni Bontate è stato ucciso principalmente perché era una persona scomoda, in quanto fratello di Stefano e, quindi, poteva avere nel tempo il carisma e la capacità di raggruppare persone per fare qualche azione contro quelli che gli avevano ucciso il fratello. PRESIDENTE. Dopo che fu ucciso il bambino Claudio Domino, durante il maxiprocesso Giovanni Bontate lesse un documento; la lettura di tale documento fu in qualche modo criticata al vostro interno? GASPARE MUTOLO. E' stata un po' criticata e un po' giustificata, perché Giovanni Bontate si era consigliato con qualche persona prima di leggerlo. Altri l'hanno criticato perché lui, nel leggere quel messaggio, in qualche modo aveva fatto capire che Cosa nostra (noi tutti ci chiedevamo che cos'è Cosa nostra, chi è il mafioso?) aveva voluto dare una paternità a delle persone che non avevano commesso quel reato. PRESIDENTE. Questa può essere una delle ragioni del suo omicidio, oppure no? GASPARE MUTOLO. No, no. PRESIDENTE. Cosa nostra si avvale mai di anonimi, di lettere anonime, se vuole screditare una persona? GASPARE MUTOLO. Questo concetto non rientra nella mia mentalità; le lettere anonime le abbiamo sempre considerate come un atto non buono, da personaggi... PRESIDENTE. Se per esempio dovete attaccare un politico, un giudice che vi dà fastidio e screditarlo, può contribuire ad isolarlo l'invio di lettere anonime ai giornali, dicendo di questa persona determinate cose? GASPARE MUTOLO. Si sa che un giudice viene criticato quando arriva Pag. 1321 qualche telefonata o lettera anonima, però di solito la mafia non fa queste cose. PRESIDENTE. Quando ci fu l'attentato all'Addaura contro il dottor Falcone vi siete chiesti chi l'aveva preparato? GASPARE MUTOLO. No, in quel periodo io ero a Gavorrano; non è stato un... PRESIDENTE. L'Addaura in quale territorio rientrava? GASPARE MUTOLO. Nel territorio di Partanna Mondello. PRESIDENTE. Quindi, nel suo! GASPARE MUTOLO. Però in quel periodo c'era già, come capo mandamento, Salvatore Gambino, molto legato a Salvatore Riina. PRESIDENTE. Il colonnello Russo da chi fu ucciso? GASPARE MUTOLO. Da Bagarella, da Greco "scarpa"... PRESIDENTE. Bagarella era quell'uomo con gli occhiali scuri? GASPARE MUTOLO. Sì, il cognato di Salvatore Riina. PRESIDENTE. Le ho rivolto questa domanda perché sotto il corpo del colonnello Russo è stato rinvenuto un paio di occhiali. Le è mai capitato in carcere di parlare dell'inchiesta avviata dalla procura di Palmi sui rapporti mafia-massoneria? GASPARE MUTOLO. No. PRESIDENTE. Che giudizio dava Cosa nostra dell'alto commissario De Francesco? GASPARE MUTOLO. L'alto commissario e le inchieste parlamentari che si sono succedute non spaventavano tanto i mafiosi, perché erano orientative e non si fondavano su basi precise; anzi, si pensava che più organi c'erano, più confusione si faceva. PRESIDENTE. Questo giudizio riguardava anche De Francesco quando era alto commissario antimafia? GASPARE MUTOLO. Non so se c'era De Francesco o altri... PRESIDENTE. Ho capito, non vi siete posti il problema. GASPARE MUTOLO. Non erano problemi che impensierivano Cosa nostra; né l'alto commissario né altri, anche perché le azioni contro la mafia da parte di questi alti commissari non erano avvertite. PRESIDENTE. Ma dopo il 1982 molti di voi - Greco, Calò - vennero arrestati. GASPARE MUTOLO. Ma sono stati arrestati soprattutto perché avevano mandati di cattura del 1982, non perché erano nate nuove indagini. PRESIDENTE. Esistevano rapporti con i trafficanti di droga calabresi? GASPARE MUTOLO. Questo interscambio a volte succede... PRESIDENTE. Chi erano i trafficanti di droga calabresi? GASPARE MUTOLO. Di preciso non lo so; posso parlare del traffico di sigarette: per esempio, scaricavamo delle navi in Calabria, appoggiati dai calabresi; però, essendo in carcere, ho avuto modo di sapere che molti personaggi in Calabria trattano la cocaina e l'eroina. PRESIDENTE. Chi sono questi personaggi? GASPARE MUTOLO. Quella persona di cui ora mi ricordo il nome, anche perché sono un po' stanco, abita ad Africo Nuovo, un calabrese molto importante; so Pag. 1322 che là è un punto di riferimento dove si trova sempre eroina e cocaina. PRESIDENTE. Poiché dobbiamo trattare una questione delicata, propongo di passare in seduta segreta. (La Commissione procede in seduta segreta). PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Ha mai conosciuto gli imprenditori Sansone? GASPARE MUTOLO. Gli imprenditori Sansone di Palermo? PRESIDENTE. Sì. GASPARE MUTOLO. Conosco i Sansone, però non so se sono diventati imprenditori; se sono quelli di Passo di Rigano, li conosco. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare dei rapporti tra Cosa nostra e l'onorevole Gunnella? GASPARE MUTOLO. Stando a quanto si sentiva dire quando è stato ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, l'onorevole Gunnella diceva in televisione che era in guerra con la mafia e noi commentavamo un pochettino che anche all'onorevole Gunnella c'erano delle persone che gli stavano bene. A che livello non lo so. PRESIDENTE. Che vuol dire? C'erano dei rapporti, cioè, tra alcuni esponenti di Cosa nostra e l'onorevole Gunnella, questo vuol dire? GASPARE MUTOLO. Sissignore. PRESIDENTE. Il fratello di Lima era direttore amministrativo dell'ospedale... GASPARE MUTOLO. Non lo conosco e non ne ho sentito mai parlare. PRESIDENTE. Un deputato vuol sapere se il rapporto con l'amministrazione comunale passasse solo attraverso Lima e Ciancimino o anche attraverso altri uomini politici. GASPARE MUTOLO. Non conosco i contatti, ma certamente esistevano altri contatti a qualsiasi livello. PRESIDENTE. Quelli di cui si parlava erano quei due? GASPARE MUTOLO. Quei due mi sono rimasti in mente perché erano i personaggi più importanti. Però anche tutti gli altri amministratori... PRESIDENTE. Ci sono varie campagne elettorali a Palermo e in Sicilia: ricorda quali candidati ha sostenuto lei o le hanno detto di sostenere nella sua zona? GASPARE MUTOLO. Posso dire che una volta ho detto alla mia famiglia di votare il socialismo e per Martelli; tutte le altre volte ho detto sempre a mia moglie di votare DC e lo stesso ai miei familiari. PRESIDENTE. Ma dicendo anche chi della DC o no? GASPARE MUTOLO. Quando abbiamo i facsimile, abbiamo anche le crocette come indicazione. Se ci dicono il nome con facilità non... PRESIDENTE. Ci sono i nomi sui... GASPARE MUTOLO. Ci sono anche i nominativi, sissignore. PRESIDENTE. La scelta di votare partito socialista, allora, fu una scelta spontanea di Cosa nostra o contrattata col partito? GASPARE MUTOLO. Per quanto mi risulta ed in base alle mie deduzioni posso dire che, anche se vi fu molta Pag. 1323 discussione, è stata una scelta presa perché si votava per una giustizia più giusta e in quel momento era conveniente. PRESIDENTE. Era utile, certo. Di Flavio Carboni e degli investimenti in Sardegna lei ha detto che c'erano degli investimenti immobiliari: Flavio Carboni era il tramite, uno dei tramiti di questi investimenti? GASPARE MUTOLO. Sì, con Spataro, con Calò. PRESIDENTE. Poiché lei, quando io ho chiesto chi fosse il riferimento romano dell'onorevole Lima, non ha fatto nomi ed ha detto che si faceva un nome abbastanza insistentemente in giro, un deputato vuol sapere se si faceva il nome del capocorrente nazionale di Lima. GASPARE MUTOLO. Questo non lo posso dire. Posso dire soltanto che Lima - stando almeno a quanto sentivo dire - andava a Roma da personaggi che erano della sua corrente e la corrente era andreottiana. Però io non posso dire... PRESIDENTE. In quale occasione ed a quale proposito si parlava di questo lavoro che faceva Lima venendo a Roma? GASPARE MUTOLO. Mentre c'era il maxiprocesso. PRESIDENTE. Era sempre questione di processi o anche questione di investimenti, di spese per la Sicilia, per Palermo? GASPARE MUTOLO. No, il discorso ha preso corpo quando eravamo in un bel numero di personaggi ad essere in galera. Si parlava e queste persone prendevano tempo dicendo: "Tra due anni le cose cambiano, fra diciotto mesi le cose cambiano". Insomma, prendevano tempo. PRESIDENTE. E' possibile che un collaboratore della giustizia, dicendo una serie di verità, utilizzi però questo suo ruolo anche per accusare ingiustamente i suoi avversari e i suoi nemici dentro Cosa nostra? GASPARE MUTOLO. Non lo so. Io almeno di questi rancori non ne ho. E' un problema accertarlo. Dipende dal tipo di cultura e di intelligenza del collaboratore: se il collaboratore si fa prendere perché magari ha dei morti in famiglia... Ma non è che lo faccia per cattiveria. Uno non può odiare personalmente tutte le persone. Uno odia Cosa nostra perché qualsiasi persona anche buona, facendo parte di Cosa nostra, è un cattivo, quindi, se si convince... PRESIDENTE. Questo può indurre anche a dire una bugia, a dire il falso? GASPARE MUTOLO. Bugia no. Uno si può convincere, sapendo che in una certa borgata comanda una tale persona, pur non essendoci le prove, in maniera tranquilla e pacifica che è stata quella persona, anche se non può provarlo. Se però sa che una certa persona non c'entra niente, il collaboratore non ha alcun interesse ad indicarla. PRESIDENTE. I gruppi di fuoco che funzione hanno? GASPARE MUTOLO. Periodicamente, a seconda dell'importanza delle famiglie e delle alleanze che hanno in Cosa nostra, i gruppi di fuoco variano; non sono sempre gli stessi. PRESIDENTE. Si può dare un colpo molto duro a Cosa nostra colpendo i gruppi di fuoco? Pag. 1324 GASPARE MUTOLO. Secondo me, l'unica cosa che effettivamente si potrebbe fare per colpire in una maniera molto forte la mafia è non tanto concentrarsi su persone già note e latitanti, che sono difficili a prendersi, ma cercare di colpire in ogni modo questi collaboratori, questi affiliati di Cosa nostra che rappresentano un rinnovamento sempre pronto per la mafia. Per fare questo ci vuole la collaborazione degli industriali e dei commercianti di Palermo. Bisogna fare opera di persuasione nei confronti di questi personaggi importanti di Palermo, che cacciano tanti soldi e vivono nella paura di essere uccisi se non fanno quello che gli dice la mafia. Queste persone sono in grado periodicamente di indicare le persone che vanno a riscuotere le tangenti, in modo che con una scusa la polizia, sotto forma di associazione o di altro, spazzi via questo vivaio di persone. Fin quando non si riesce a far capire questo discorso a questi uomini tranquilli, pacifici e laboriosi che lavorano in Sicilia ed hanno questo problema (perché per loro è un problema essere sia dalla parte dei giudici sia da quella dei mafiosi), la mafia avrà purtroppo sempre un certo ricambio di persone, potendo inserire in qualsiasi momento 20, 30, 50, 100 persone. Se invece c'è la collaborazione di questi personaggi, poiché quelli che ruotano in questo giro sono per la maggior parte puliti... Io posso andarci una volta da un costruttore o da un imprenditore che già mi conosce: ci vado con un mio amico e gli dico: "Ogni mese viene lui a riscuotere". Quindi è lui che deve essere eliminato. Però nella città di Palermo ruotano minimo cento persone che fanno questo lavoro e, se si pensa che esso si svolge tre o quattro volte l'anno, già si tratta di tre o quattrocento persone affiliate. E sarebbe opportuno che prendesse corpo la consapevolezza che anche essere affiliati è un pericolo. Non deve essere soltanto un pericolo per il mafioso, perché con l'andare del tempo ci saranno molti mafiosi che non presenteranno più nessuno. E saranno conosciuti da quelli che appartengono alla famiglia. PRESIDENTE. Abbiamo terminato. La ringraziamo molto: lei ha collaborato con noi per circa dieci ore. Ha qualcosa da dire alla Commissione? Vuole aggiungere una dichiarazione? GASPARE MUTOLO. Ringrazio lei e tutta la Commissione per avermi fatto parlare così tranquillamente, anche se non mi so esprimere tanto bene. Spero che, dopo quello che ho fatto, altri collaboratori seguano il mio esempio e dicano tutto quello che hanno fatto. A me non interessa di stare in galera o in uno scantinato con altre dieci persone; quello che a me, come ad altre persone, interessa è che lo Stato effettivamente aiuti i nostri figli ad avere un avvenire, non attraverso l'assistenza ma con una professione, con un posto. Noi collaboratori, anche se siamo considerati pestiferi, tutti i sacrifici che abbiamo fatto li abbiamo fatti per i figli e nella nostra decisione di collaborare vi è il desiderio di far avere loro un avvenire, certamente con l'aiuto del Governo. Non è vero che un collaboratore può avere interesse a parlare male di un politico, di un magistrato o di un poliziotto; in me, e credo anche negli altri, non ci può essere un risentimento verso qualsiasi persona. Ho fatto il delinquente per cinquant'anni e, se lo Stato avesse dovuto punirmi per tutto quello che ho fatto, avrebbe dovuto darmi tremila anni di carcere! Ho pagato quello che pagato e, in confronto con quello ho fatto, me la sono cavata sempre bene. A chi non si rende conto delle ramificazioni della mafia può sembrare assurdo che un magistrato od un politico possa avere contatti con i mafiosi, però bisogna tener presente che la mafia fino a quindici anni fa non era guardata come la mafia di oggi. A Palermo qualsiasi persona, quando Pag. 1325 aveva a che fare con un mafioso, aveva un senso di rispetto e di ossequio; questo cambiamento lo ha prodotto Totò Riina con i corleonesi ed io spero di potermi andare a prendere un gelato a Mondello tranquillo e pacifico senza che nessuno venga e mi tiri un colpo in testa. PRESIDENTE. Grazie di nuovo e grazie anche alle persone che l'accompagnano. (Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo viene accompagnato fuori dall'aula). Dobbiamo decidere se rendere o meno pubblica la seduta, eliminando anche il nome del trafficante di droga calabrese, perché non so se su di esso vi siano indagini. ALFREDO BIONDI. Sono anch'io in linea di massima favorevole alla pubblicazione di quello che è avvenuto. Mi chiedo, sul piano del mio noto garantismo, se sia giusto che, mentre pende una procedura che riguarda Contrada, cioè la persona di cui il pentito ha parlato con maggiore frequenza anche in relazione alle domande che gli sono state rivolte, si rendano note dichiarazioni attinenti ad un'istruttoria ancora in corso, che può avere riflessi sulle valutazioni e sui diritti della difesa e dell'accusa in relazione ad ulteriori notizie che dessimo di quello che è stato dichiarato. Mi chiedo se ciò sia opportuno, tenuto conto che è in corso un procedimento ancora in fase istruttoria; è un dubbio che pongo a voce alta in relazione all'imperativo della mia coscienza, che mi pone sempre i problemi dal punto di vista degli altri e non del mio o dei miei interessi politici. PRESIDENTE. Onorevole Biondi, se non sbaglio la sua proposta sarebbe di stralciare anche questa parte? ALFREDO BIONDI. E' di stralciare tutta la parte che si riferisce alle dichiarazioni su Contrada. FERDINANDO IMPOSIMATO. Comprendo la preoccupazione del collega Biondi, alla quale ne aggiungo un'altra. Se decidiamo di non consentire la pubblicità delle dichiarazioni di Mutolo su questa vicenda, certamente vi saranno dichiarazioni che in parte riferiranno questa storia in maniera alterata e quindi sarà molto peggio. Purtroppo, non vi è la possibilità di evitarlo. ANTONIO BARGONE. Vorrei aggiungere a quanto ha detto l'onorevole Imposimato che non mi pare che Mutolo abbia detto cose diverse da quelle che risultano a verbale. Comprendo la preoccupazione dell'onorevole Biondi ma mi pare che le dichiarazioni di questa sera - credo possa confortarmi il giudizio di altri colleghi - siano state già fatte al magistrato e quindi risultino a verbale. Non credo che ciò possa aggiungere o togliere qualcosa alle indagini. PRESIDENTE. Inevitabilmente ci siamo occupati di una serie di questioni sulle quali vi è un processo penale in corso, come nel caso dell'assassinio di Lima. Dal punto di vista astratto, pertanto, il problema si pone negli stessi termini sia per gli uni sia per gli altri. Non so cosa ne pensi il collega Biondi. ALFREDO BIONDI. Ho espresso una mia preoccupazione, forse per deformazione professionale. Vi sono cose che fuoriescono e che lasciano un alone su cui la valutazione dei fatti, che invece è rigorosamente ancorata al valore probatorio di alcuni accertamenti ancora in corso, può essere un elemento che pregiudica nel senso letterale del termine, cioè stabilisce un giudizio anticipato. Poiché su questo ho una mia vecchia filosofia, mantengo la mia posizione; però, se i colleghi preferiscono Pag. 1326 la pubblicizzazione, mi rimetto alla loro valutazione. ALTERO MATTEOLI. Capisco la preoccupazione del collega Biondi, ma le cose che Mutolo ha detto sono già state pubblicate su tutti i giornali. PRESIDENTE. Dobbiamo ora decidere, come abbiamo previsto all'inizio, se rendere pubblica quest'audizione. Pongo in votazione la proposta di rendere pubblica l'audizione testé terminata, ad eccezione delle parti che la Commissione ha già stabilito di mantenere segrete. (E' approvata) La seduta termina alle 19,35. |
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