Quattr'ore al lido
Schizzo dal vero
L'acqua era tiepida, il mare uno specchio. Nuotando ora lesto, ora
tardo, m'ero allontanato bene dalla riva, sicché la barca di salvamento
mi veniva dietro, e i barcaiuoli gridavano che gli Avvisi proibiscono di
scostarsi troppo dai Bagni. Uomo avvisato, mezzo salvato. Vedendo che
non davo retta alla legge, i barcaiuoli se ne tornarono indietro, e mi
lasciarono solo. Nell'acqua profonda sentivo di quando in quando una
corrente fresca, e mi scorreva sulla pelle un leggiero brivido; poi
tornavo nel tepore quieto e beato. Quella libertà delle membra in mezzo
a quella immensità di mare è un conforto ineffabile, un'allegria
sublime. Non un'onda, non una voce. L'edificio dei Bagni era diventato
piccino. Mi pareva di entrare nell'infinito. Cacciavo sotto il capo con
gli occhi aperti per vedere il verde diafano, di una gradazione così
delicata, così gentile, che avrei voluto sprofondarmici dentro, sicuro
di trovare al fondo del colore smeraldino una sirena bionda. Bevevo
l'acqua salata. Tornavo fuori con la testa, quando mi mancava tutta
l'aria nel petto, e aspiravo in furia, e sbruffavo, e in ogni boccata
d'aria c'era qualche goccia di sale. Ma l'istante in cui si esce
dall'incanto del gorgo è terribile. Non si vede più nulla: sembra di
entrare, asfitici, nelle tenebre della morte. I capelli si appiccicano
sugli occhi, l'acqua che sgocciola dal fronte impedisce alle palpebre di
aprirsi. Si respira con ansia, ma si è ciechi, d'una cecità
spaventosa, che dura meno di un minuto secondo.
Quand'ero un po' stanco, facevo il morto. Mi coricavo sul mare come
sopra il più morbido dei cuscini, immobile, con le braccia aperte e con
le gambe unite. Il mare mi dondolava placidamente, cantandomi la ninna
nanna. Sull'orizzonte non vedevo dinanzi a me altro che le punte dei
miei piedi; ma di contro al mio viso si apriva la grandezza dei cieli.
Guardavo le nubi in faccia. Come nelle carrozze della ferrovia accade
spesso di credere che si vada in direzione opposta a quella nella quale
corre il treno, e si sbalza, e si guarda esterrefatti; così a me
sembrò per un istante di essere in piedi, e di vedere l'abisso azzurro
al di sopra e al di sotto. Mi pareva di stare appoggiato ad una parete
verticale interminabile, nel mezzo ad una immensità vertiginosa di
colori strani. Lo splendore del tramonto prendeva figura come di fuoco
diffuso, di oro liquefatto, di vapore celeste misteriosissimo, di brune
macchie minacciose e di bizzarri luccicori d'argento: l'atmosfera del
sole vista nel sole non può essere diversa. Ma una ondetta, passandomi
sul fronte, mi richiamava alla realtà; e allora io mi gustavo di nuovo
la dolcezza di quel giaciglio soffice e fresco. E di botto mi rivoltavo,
e coi remi delle braccia e delle gambe, andando rapido, ma in giusta
simmetria e senza fatica, vogavo un pezzo; poi sbattevo le mani e i
piedi sull'acqua, alzando una spuma candida di perlette, che subito si
scioglieva nell'ampio verde.
Il verde nel mare è di una verità, che gl'impasti dei più
raffinati colori e le più sottili velature non possono imitare neanche
di lontano. Non parlo delle spiagge e dei mari diversi; lo stesso mare,
la stessa spiaggia nella stessa stagione non ha mai la stessa tinta l'un
giorno e l'altro. Ad ogni moto dell'acqua corrisponde una gradazione
differente di verde, di azzurro, di tinte neutre, e i moti dell'acqua
sono innumerevoli, dalla impassibile calma ai furori ciechi della
tempesta. Anche senza andare fino allo spavento dei cavalloni, il
nuotatore lo sa. Conosce le ondette piccole, che, come il passo rapido e
breve di una crestaina, si seguono l'una all'altra senza romore: sono
verdoline con un pizzico di giallo. Conosce le ondette larghe, lente,
ancora graziose e leggermente azzurrognole, indizio di una bufera
lontana. E poi le onde maestose, quasi direi di stile classico, nelle
quali il nuotatore si lascia calare all'avvallamento e portare al colmo
con il viso e con i capelli asciutti, basta premere le mani e incurvare
la persona in forma di sirena, mentre il flutto s'innalza; e dall'alto
si vedono le creste regolari, allineate delle altre onde, che sembrano i
solchi di un immenso campo; e nel basso si crede di essere caduti al
fondo di un fosso, tanto i marosi, che chiudono la vista, somigliano a
sponde erbose e ripide. In mare il tempo s'allunga. L'allegria o la
tristezza, l'ardire o la paura fermano l'attimo; e si pensa in un minuto
più e meglio di quel che in terra si penserebbe in un'ora. E un altro
dì ci sono le onde pettegole, che scherzano intorno sgarbate, vi
spruzzano, ciarlando, la loro saliva in volto, non vi lasciano
respirare, vi tirano di qua, vi premono di là, vi gridano nelle
orecchie con un fracasso assordante ed impertinente, come le donne delle
Baruffe chioggiotte. Ma Dio vi salvi dalle onde matte, uscite dai
manicomii del gorgo, coperte della loro densa bava bianca, nelle quali,
a un tratto, vi sentite sommerso, arrovesciato, travolto, e quando
finalmente mettete fuori la testa, un'altra onda vi si sbatte in faccia
e vi spezza il respiro; poi, diventato sospettoso, guardate in giro con
tanto d'occhi, e vi apprestate a ricevere degnamente sul petto una
ondata minacciosa, che vedete precipitarsi contro di voi, e già quasi
vi seppellisce, ma ecco invece che si spiana e si risolve in nulla; gli
assalti vi vengono vigliaccamente dai fianchi e dalle spalle,
senz'ordine, senza ragione; vi stancate, vi spossate, cominciate a
disperare; date quasi un addio alla terra, e toccate dopo sovrumani
sforzi la riva, uscendo da quell'acqua sciaguattata da tutti i venti,
nera, orlata di certe frange e certi fiocchi d'argento sudicio, che le
dànno aspetto di uno sconfinato drappo funereo.
Eppure nel mare quieto o nel mare agitato l'uomo si sente pieno di
vigoria. La sua buona vanità gli fa credere o di dominar la natura, o
di essere tanto grande, che Dio, per ischiacciarlo, debba scatenargli
contro tutte le furie degli abissi. Svaniscono le noie mortali, il cuore
si ritempra, si fa provvisione di coraggio e di forza. Un'ora in mare è
un'ora bene impiegata: in quella salsedine c'è un po' di ferro per
l'anima.
Uscendo dall'acqua si diventa Greci. Dopo essere saliti le lunghe
scale di legno, dove sui gradini viscidi s'arrischia di sdrucciolare e
le alghe fanno talvolta dei brevi taglietti ai piedi, si entra nel
proprio camerino e si avvolge il corpo nudo in un ampio lenzuolo; poi si
esce così drappeggiati sul ballatoio, che guarda il mare. Alcuni
bagnanti stanno ancora in acqua presso la riva, tenendosi - disgraziati!
- alle corde, e piantati sull'arena, dove passeggiano i granchi.
L'immobilità li intirizzisce, li raggricchia: paiono ranocchie umane. E
quant'è difficile trovare il corpo bello di un uomo! Nella donna la
bellezza delle membra è men rara: basta l'armonia delle parti, una
certa rotondità gentile, una certa bianchezza trasparente e rosea, e
forse il desiderio ci fa meno difficili. Ma nell'uomo la vigoria sana
deve accoppiarsi alla snellezza morbida; le membra sciolte, giuste, né
troppo asciutte, né pesanti di polpa; una espressione generale di
ardire elegante. Gli antichi volevano la grazia persino sui campi di
battaglia. In Tessaglia la iscrizione di una statua diceva: Ad Elatione,
che ben ballò la battaglia, questa statua il popolo. La sproporzione,
da noi moderni tollerata con indifferenza, era insopportabile agli
antichi. Un dì ad un mimo tarchiato e grasso il pubblico vociò
ridendo: Non isfondare il palco; un altro dì ad un mimo pallido e
mingherlino mandò ironicamente questo saluto: Fa' di star sano, e
un'altra volta ad uno di troppo alta statura, figurante Capaneo che si
avventa alle mura di Tebe, gridò indispettito: Scavalca il muro, non
hai bisogno di scale.
Sul ballatoio, verso il mare, si atteggiavano dunque dieci o dodici
uomini panneggiati di bianco. Avevano messo sul capo l'asciugamano in
forma di Palliolum, e si avvolgevano il corpo con il lenzuolo a modo di
Pallium, nelle diverse fogge, che piacevano meglio a quella naturale
affettazione, da cui l'uomo coperto di un gran manto non si sa quasi mai
liberare. I Greci avevano venti modi di acconciarsi il pallio:
affibbiato al petto, affibbiato alle spalle, senza ripiegatura,
addoppiato, con le mani nascoste, con un braccio fuori dalla spaccatura
di destra, con un lembo sopra una spalla corto, con un lembo sopra una
spalla lungo, stretto alle anche con pieghettine trite, ondeggiante in
gonfi svolazzi o libero di cadere in larghi piani ed in ampie curve.
Ogni maniera aveva il suo proprio nome, conveniente ai zerbinotti, ai
filosofi ai viaggiatori, ad ogni classe di persone. Tacito si lagnava
già delle vesticciuole misere degli oratori romani, e che le portassero
male. Figuratevi noi la bella figura che facciamo, usciti dall'acqua, in
quei pallii bagnati e appiccicaticci!
L'aria salata e la ginnastica del nuoto mettono in corpo una gran
fame. Andai sul terrazzo de' Bagni, e ordinai da pranzare. L'edificio,
che si distende in una lunghissima linea retta, è tutto di legno e
piantato su alte palafitte, le quali lasciano sfogo ai marosi quando il
mare è grosso, e quando è tranquillo rompono a' loro piedi le onde
placide, che pure mandano romore a intervalli misurato e grave, quasi
battute sorde di un maestro di cappella. Il coro, l'armonia di quell'ora
non si può descrivere. Tutto si fonde in un accordo pieno e gaio,
profondo e vago: arpa eolia dell'infinito. Il sole baciava quasi
l'orizzonte, e scendeva dalla parte opposta al mare, dietro al Lido,
dietro alla laguna, dietro a Venezia. I suoi raggi orizzontali non
toccavano più la superficie della marina, che era diventata scura e
azzurrastra; ma andavano a ferire dritti due vele lontane di due barche
da pescatori, facendole brillare d'un colore giallo dorato, fiammelle
fantastiche. Il piano immenso del mare nudo; non uno scoglio, non una
lingua di terra per quanto l'occhio cercasse: pareva di navigare sopra
un vascello fatato nell'Oceano a mille miglia da terra. E le due vele
splendevano; e il cielo pigliava una tinta brunetta ancora cilestra, qua
e là rallegrata da qualche nuvola mezza in ombra e mezza in luce, la
quale vagava lenta e a poco a poco s'impiccioliva e svaniva.
L'appetito mi faceva parere squisite le vivande, e la salsedine, che
mi restava in bocca, dava al vino una dolcezza inebbriante. Il ventre si
confortava, e gli occhi s'incantavano; e questi e quello mi riempivano
l'anima di una felicità solenne, la quale porta il riso sulle labbra e
le lagrime sul ciglio. V'era poca gente. La banda cominciò a suonare. A
sinistra, intorno ad una tavola, stava un gruppo d'Inglesi. Una delle
signore, vestita di seta cruda con grandi nastri rossi sull'abito e sul
cappello, parlava allegra, faceva mille graziose smorfiette col viso
strano e piacente. L'altra alta di statura, snella, flessuosa, con il
collo un po' lungo, come le Diarie antiche, il volto regolare, delicato,
d'un rosa pallido, gli occhi di un fine azzurro marino, le mani troppo
affilate, ma nobilissime e dello stesso candore di quel po' di pelle,
che il modesto squarcio dell'abito lasciava vedere sotto la gola. Si
alzava di tratto in tratto per correre dietro ad un bambino di due anni,
biondo, paffuto, il quale alla sua volta correva dietro ad un grosso
cane nero - un bel cane, che nuotava meglio di me, e che, mentre facevo
il mio bagno in alto mare, era venuto a salutarmi con molta grazia. La
signora vestiva di seta colore perlino, col cappello a larghe tese della
medesima stoffa; e mi ricordo che il tono neutro e chiarissimo faceva,
come dicono i pittori, un buco sul cielo, pareva cioè più lontano del
fondo. Ma da questo errore di tavolozza veniva nella gentile persona un
non so che di aereo, un non so che di ammaliante. Non era una donna: era
una fata. E il putto continuava a scapparle via ad ogni momento, e
voleva vedere tutto, toccare tutto; sghignazzava di un riso da
angioletto, pestava i piedi e batteva le mani; si metteva a sedere sulle
ginocchia della gente, e la mamma andava allora a pigliarlo, dicendogli
qualche parola con una severità tutta soave, e carezzandogli con la
mano sottile i lunghi ricci d'oro. Ella era la regina del terrazzo: una
regina dolce, sicura di sé, com'è sicura l'innocenza, e disinvolta,
com'è disinvolto il pudore. Codesta madre pareva il simbolo della
verginità: credetti in quel momento al mistero della Immacolata
Concezione. Ma la soave creatura principesca stava in compagnia di un
signore, che sembrava vecchio se si badava a' suoi capelli grigi e alla
sua barba mezza bianca, ma che sembrava giovine se si guardava ai
lineamenti e all'espressione del volto. Era il padre, era il marito?
Questo problema mi torturò il cervello per una buona mezz'ora.
Più lontani, sparsi a gruppi di due, di tre, di quattro o solitarii,
stavano degli altri forestieri e qualche raro veneziano, la più parte
immobili, ascoltando la musica, guardando in giro o discorrendo sotto
voce senza gesticolare. Il mare tranquillo innamora e sgomenta. Quei
flutti, che si frangono perennemente alla riva e mandano sempre
l'identico suono; quell'aria quieta e fresca, che si aspira con lunga
voluttà; quell'orizzonte sconfinato, che pare nello stesso tempo una
linea retta infinita ed un cerchio infinito: tutto contribuisce a
produrre l'impressione maestosa di un tempio enorme, in cui ci si toglie
reverenti il cappello e ci si sprofonda nella propria coscienza. Non ho
mai visto nessuno, per quanto fosse povero di fantasia, d'ingegno e di
cuore, il quale nel mettere i piedi sulla soglia di una cattedrale
bisantina o gotica non si sentisse invaso da un arcano senso di
rispetto, e non interrompesse le parole che stava pronunciando; ma la
vera chiesa di Dio è l'immensità. Lo stato naturale dell'uomo in
faccia al mare è il silenzio.
Quei gruppi di persone staccavano bizzarramente sul campo del cielo,
il quale diventava sempre più fosco: erano tinte intiere, senza
ombreggiatura, che non trovavano nel tono del fondo nessuna maniera di
fusione; e già i colori perdevano la loro vivacità nell'oscurarsi
crescente della sera, mentre il contorno si distingueva tuttavia preciso
e un po' secco. A destra si muoveva una macchia nera di camerieri, i
quali, non sapendo che cosa fare, discorrevano tra loro. Io intanto,
assottigliando quanto più potevo la vista, fissavo ancora quelle due
vele lontane, le quali, da fiammeggianti che erano quando il sole
mandava loro gli ultimi suoi raggi, diventarono grigie, e poi via via
più scure, finché si dipinsero nere sull'aria già lugubre, e a poco a
poco mi sfuggivano dallo sguardo. Già si riducevano ad una pennellata
quasi impercettibile. Un minuto dopo non si discernevano più. Mi
rincrebbe. In ogni veduta v'è un punto, al quale l'occhio si ferma con
tenace predilezione; e quando sparisce ci si sente come strappare
qualcosa, e si piglia quel caso semplice e inevitabile per un segno di
cattivo augurio. In faccia al mare l'animo si riempie di pregiudizii.
I camerieri accendevano le lampade. Il cielo si era lentamente
annuvolato: non brillava neanche una fetta di luna, non luccicava
neanche una stella. L'aria e il mare si confondevano nel buio. Solo a
guardare giù dal parapetto del terrazzo si scopriva a intervalli un po'
del bianco della spuma sulle onde, le quali mandavano più forte, più
frequente e quasi minaccioso il loro muggito.
Uscii dallo Stabilimento e, traversando a piedi il breve spazio che
divide il mare dalla laguna, sospirai per la prima volta: avrei voluto
sentire sul mio braccio il peso leggiero di un altro braccio, e udire
accanto, dopo il fruscìo del mare, quello di un vestito di donna. Il
vaporetto mandò il suo fischio, e si partì per Venezia. La notte era
nera, la laguna era cupa. Non si vedeva altro che il fanale rosso di un
piccolo vapore, che veniva, sbuffando, incontro a noi, e lontano i lumi
della città, che parevano una costellazione piombata in terra e mezzo
spenta. Si passò la punta del Giardino, poi si costeggiò la Riva degli
Schiavoni. Il campanile di San Marco usciva dai palazzi che lo
circondavano e, illuminato dai fanali della Piazza, si alzava gigante,
sfumandosi nella oscurità verso la cima e cacciando la sua punta nelle
tenebre delle nubi.
La luce della Piazza mi abbagliò. I musaici della chiesa avevano
sull'orlo delle strisce scintillanti. Le finestre spalancate delle
Procuratie Vecchie lasciavano vedere le allegre sale illuminate. La
loggia del Palazzo Ducale si perdeva in un'ombra opaca. Mezz'ora dopo,
la mia madonnina inglese, sorridente, svelta, correva dietro al suo
putto biondo fra le seggiole del Caffè Florian.
Fine
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