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Gorgia di Lentini

Gorgia di Lentini
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Gorgia di Lentini era il figlio di Carmantide e nipote del famoso medico Erodico e lo ricordiamo come il più notevole rappresentante della antica sofistica dopo Protagora, e, insieme al suo maestro Tisia, il creatore dell'arte retorica. Così lo ricorda già Cicerone, come colui che volle:

"dichiararsi pronto a rispondere a tutte le domande, che ciascuno volesse fargli".

(I, 103; De Oratore, a cura di G. Norcio, UTET, 1976).

Come date di nascita e morte possono essere assunte orientativamente quelle del 483 e del 375 a. C., morendo quindi ultra centenario. Con l'esercizio e con l'insegnamento dell'arte oratoria, una novità anche per il mondo greco, diventò ricco al punto da poter dedicare, a Delfi, una statua d'oro al dio Apollo. Nel 427 andò ad Atene come ambasciatore di Leontini, in cerca di alleanze contro lo scomodo potere siracusano, e lì si fece apprezzare come retore finissimo trovando imitatori: famoso il suo Epitafio, per commemorare dei soldati ateniesi morti in guerra.

Dello stesso avviso non pare Platone che, nel suo Gorgia, lo pone in contrasto critico con Socrate (447, c):

"Ma vorrà poi Gorgia discutere con noi? Perché io vorrei sapere da lui quale è la virtù propria di quest'arte che egli professa e insegna e in che cosa precisamente consista".

E più avanti (449, a):

Socrate - 'Piuttosto, Gorgia, dicci tu stesso come dobbiamo chiamarti e che arte è la tua'.
Gorgia - 'La mia arte è la retorica'.

E ancora, dove Platone crea il dialogo tra Socrate e Gorgia in modo che questi si contraddica, quasi a rivelare una latente rivalità per l' espressione culturale - confronta con la scheda su Tisia - proveniente da una ex terra colonica che diventa sempre più sede di potenti città, usando pure lo stratagemma di "chiedere" a Gorgia risposte concise, mentre il suo Socrate articola domande molto meglio costruite (454/455):

Socrate - Ti sembra che sapere e credere, ossia 'scienza' e 'opinione', siano la stessa cosa?
Gorgia - No; direi che son cose distinte.
Socrate - E diresti bene. Infatti se uno ti domandasse: 'Gorgia v'è una opi nione falsa e una vera?' tu risponderesti di si, credo.
Gorgia - Di si, certo.
Socrate - Ma la scienza può essere falsa e vera?
Gorgia - Assolutamente no.
Socrate - E' proprio vero, quindi, che scienza e opinione non sono la stessa cosa.
Gorgia - Infatti.
Socrate - Eppure vi ha persuasione sia in quelli che hanno scienza che in quelli che hanno solo opinione.
Gorgia - Lo credo bene.
Socrate - Dobbiamo stabilire, pertanto, due specie di persuasione: quella che produce opinione senza il sapere, l'altra che produce scienza.
Gorgia - Hai ben ragione.
Socrate - E allora dimmi, o Gorgia, quale delle due persuasioni produce nei tribunali e nelle altre adunanze la retorica intorno al giusto e all'ingiusto? Quella, cioè, da cui deriva opinione senza sapere, oppure l'altra da cui deriva il sapere?
Gorgia - Evidentemente quella da cui deriva opinione senza sapere.
Socrate - Dunque la retorica, a quanto pare, è produttrice di quella persua sione che induce all'opinione senza il sapere, e non alla scienza del giusto e dell'ingiusto.
Gorgia - Così è.
Socrate - Di conseguenza il retore non insegna nei tribunali e nelle altre adunanze nulla intorno al giusto e all'ingiusto, ma suscita soltanto una semplice credenza. Ed infatti, come potrebbe in così breve tempo insegnare ad una moltitudine di gente cose di così grande importanza?
Gorgia - Sarebbe effettivamente impossibile.

(Platone, Gorgia, trad. Vito Stazzone, Ed. APE, Catania, 1944)

Tale dialogo di Platone induce a riflettere: l'autore ambienta l'incontro nel 427 a.C, cioè quando Gorgia andò in Atene, ma parrebbe composto intorno al 395, dopo cioè l'avvenuta condanna a morte di Socrate; condanna ottenuta dal potere suggestionante della retorica, a danno del giusto: a danno del giusto Socrate. E il dialogo sopra riprodotto - che andrebbe letto per intero - è colmo di giusto rancore: "Quando dicesti che il retore avrebbe potuto servirsi della retorica anche ingiustamente, io rimasi perplesso (...)". L'animo di Gorgia si risentì dello scritto dell'allievo di Socrate che lo vedeva protagonista: il siciliano non avrebbe consentito che la nuova scienza venisse applicata malamente. Fanno fede i suoi componimenti ulteriori.


I lavori di Gorgia, oltre l'Epitafio, sono di tematica mitica: l'Elogio di Elena, La difesa di Palamede, e filosofica: Sul non ente o della natura; l' Olimpico e il Pitico sono andati perduti; del Discorso agli Elei abbiamo ben poco.

Tra gli altri suoi viaggi vi sono quelli a Fere in Beozia e in Tessaglia, e fu altre volte in Atene. La sua dottrina contiene un intendimento dell'arte oratoria come produttrice di persuasione: non occorre cioè che chi ascolta si convinca che ciò che ode è la verità, bensì è più utile che questi si convinca praticamente, piegandosi alla causa sostenuta dall'oratore. Nell'Elogio di Elena alla parola viene dato il potere di dominare la vita, influenzandone le scelte anche affettive, per cui la donna non ha colpa per quel che è accaduto tra i Greci e i Troiani perché fu spinta dagli dei o dalle parole.

E saper accostare parola a parola può determinare la modellatura dell'animo del singolo, come del carattere della folla. La parola può modificare l'anima di chi la ode, e tramite la poesia può anche indurre nuove esperienze (concezione di cui è evidente la parentela col relativismo gnoseologico di Protagora). E le due opere prima citate, dedicate a Elena e Palamede, sono saggi tipici di tale abilità retorica, nata con Gorgia. Nell'opera Sul non ente Gorgia sostiene tre tesi: nulla esiste, se esiste non è conoscibile dall'uomo, se è conoscibile non la si può comunicare ad alcuno, specialmente col solo uso della parola.

"La critica più recente ha chiarito, sopratutto mediante l'analisi comparativa delle due esposizioni che ci restano dello scritto gorgiano (quella di Sesto Empirico e quella dello Pseudo-Aristotele), come l'esposizione di Sesto, da cui deriva l'immagine del Gorgia effettivamente scettico e nichilista, sia in realtà deformata dalla sua intenzione di dossografo dello scetticismo, e debba quindi cedere il passo all'esposizione dello Pseudo-Aristotele, nella quale l'intenzione di ironia antieleatica dello scritto di Gorgia appare concretamente connessa al suo relativismo sofistico" (Dizionario Enciclopedico Italiano, ed. Treccani).

Rileggiamo la conclusione dell'Elogio di Elena:

"Così con le parole ho liberato la donna dalla sua cattiva fama secondo la premessa del mio discorso: e sforzandomi di distruggere l'ingiustizia di un'infamia e l'ignoranza di una opinione, questo discorso ho voluto scrivere, non solo per elogiare Elena, ma perché fosse a me di passatempo". (trad. Maddalena, La lett. greca, op. cit.).

Sul valore che Gorgia attribuisce al passatempo, allo scherzo, abbiamo una nota di Aristotele, inquadrata con altre e che forse sono traccia di una seconda trattazione sulla Poetica, a noi non pervenuta:

"Su ciò che fa ridere, dal momento che esso sembra avere una sua utilità nei dibattiti, e che Gorgia ha detto, e ha detto bene, che occorre distruggere la serietà degli avversari con il riso e il riso con la serietà, quante siano le forme del comico si è detto negli scritti sulla poetica: di queste l'una si adatta all'uomo libero, l'altra no, e si deve scegliere quel che meglio si adatta" (BUR, app.A).

La lezione di Gorgia è tra quelle immortali dei classici, ed in generale è tra le più alte lezioni dell'ingegno umano. Per noi immortale vuol dire davvero rileggere Gorgia con attenzione; pare oggi un esercizio nuovo l'ascoltare, a saper meglio valutare la enorme mole di informazioni - che in molti hanno interesse a che venga intesa tutta come cultura - che ci circonda.


Ricordiamo un aneddoto grazioso che si narra a proposito del famoso viaggio di Gorgia in Atene. Lì egli arringò a lungo la folla, facendo risaltare la differenza di temperamento che sussisteva tra gli abitanti della Sicilia e della Magna Grecia, e tutti gli altri, definiti barbari. I barbari, diceva Gorgia, vivono nella discordia perché vivono tra loro senza armonia. L'armonia sarebbe stata, secondo l'oratore, il segno distintivo della superiorità greca sui nemici, e ciò avrebbe accresciuto la stima ed il timore dei barbari nei confronti dei greci. A questo punto uno della folla, un anonimo saccente, volle appuntare a Gorgia una annotazione sulla sua situazione familiare.

"Noi siamo in tanti, Gorgia", disse l'uomo, "e ci suggerisci di andare d'accordo e in armonia; tutti sanno però che a casa tua siete in tre, tu tua moglie ed il servo, e litigate da mane a sera. Non credi che avrebbero più effetto i tuoi discorsi se si sapesse che voi tre non recate molestia ai vicini?"

Frammento:

da ORAZIONE OLIMPICA
Degni dell'ammirazione universale, o Greci (...). Ed alla nostra gara
sono necessarie due virtù: audacia e sapienza, per svelare l'enigma;
perché la parola come il bando dell'araldo in Olimpia chiama chi si
offre, ma incorona chi riesce.

(Clemente Aless.;in I Presocratici, testimonianze e frammenti; Laterza; 1994)

Gorgia fu tra i maestri di Antistene (con Socrate); questi poi fondò con altri la scuola detta Cinica.

 

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