Parenti: seduta 18
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Pagina 495 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI INDICE Pag. Audizione del direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Adalberto Capriotti: Parenti Tiziana, Presidente ............... 497, 504, 505 514, 515, 516, 517 Bertoni Raffaele ..................... 500, 503, 504, 505 506, 507, 509, 514, 516, 517 Caccavale Michele .................................... 502 Capriotti Adalberto, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria .......... 497, 498, 500 501, 502, 503, 504, 505 507, 508, 509, 510, 512, 513, 514, 515, 517 Del Prete Antonio .............................. 498, 513 Ramponi Luigi ........................................ 501 Scopelliti Francesca ...................... 504, 505, 508 509, 510, 512, 514 Tripodi Girolamo ..................... 504, 506, 507, 508 Pagina 496 Pagina 497 La seduta comincia alle 12,10. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Adalberto Capriotti. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Adalberto Capriotti, al quale do subito la parola perché riferisca alla Commissione sui problemi connessi all'applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Ringrazio il presidente e tutti i commissari per l'accoglienza riservatami. L'invito della Commissione rappresenta per me un'esperienza nuova ed inaspettata: considero un privilegio essere stato chiamato a riferire su alcuni aspetti della mia nuova attività. Il regime speciale previsto dall'articolo 41-bis è stato introdotto nel nostro ordinamento nel periodo immediatamente successivo alla strage di Capaci, perpetrata nel luglio 1992. All'atto dell'entrata in vigore, la disposizione fu immediatamente applicata a 367 detenuti di spicco e di grande pericolosità. Ciò avvenne su richiesta del Ministero dell'interno, cui seguì l'emanazione di provvedimenti multipli. Nel corso del 1992 il numero dei detenuti sottoposti al regime carcerario speciale si incrementò fino a giungere, nel mese di dicembre, a 522. Anche in questo caso i relativi provvedimenti furono emanati con decreto del ministro. Nel settembre del 1992 lo stesso ministro - non sappiamo per quale ragione ed in base a quali accordi - delegò il direttore ed il vicedirettore generale dell'epoca ad emanare provvedimenti di questa natura. Ne conseguì l'emanazione di ulteriori 567 decreti, tanto che nel periodo compreso tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993 il totale dei detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis era pari a 1.089. I detenuti sottoposti a particolare trattamento sulla base di un decreto del direttore generale - che, come dicevo prima, erano 567 - sono stati sottratti al trattamento stesso: il dipartimento, dopo aver ascoltato le autorità investigative e giudiziarie competenti, non ha proceduto a rinnovare le misure originariamente adottate nei confronti di queste persone. Sono stati invece rinnovati nel tempo altri provvedimenti, che si sono affiancati ad iniziative ex novo, tanto da arrivare ad una situazione che, progressivamente smorzatasi per effetto di una più oculata distribuzione, vede oggi soltanto 436 detenuti sottoposti al particolare regime. Con il passar del tempo i decreti sono stati emessi nominativamente e, dopo le pronunce della Corte costituzionale e di alcune magistrature di sorveglianza, hanno cominciato ad essere motivati, tanto che attualmente un decreto nominativo riguardante un solo detenuto ha pressapoco la stessa consistenza di una sentenza: si tratta di "papiri" di otto, dieci o dodici pagine nelle quali sono menzionate tutte le malefatte, i precedenti, le sentenze ed i provvedimenti di custodia cautelare. I decreti emessi dai ministri di grazia e giustizia succedutisi dall'epoca dell'entrata in vigore della nuova normativa (Martelli, Conso e Biondi) sono stati, complessivamente, 767. Attualmente, negli istituti di pena vi sono 436 detenuti sottoposti al trattamento carcerario previsto dall'articolo 41-bis. Pagina 498 Lo scorso anno, nel momento in cui assunsi il nuovo incarico, ebbi uno scambio di idee con il ministro di grazia e giustizia dell'epoca, al quale erano già stati rivolti numerosi reclami sul nuovo regime carcerario. In quell'occasione convenimmo anzitutto sull'opportunità di non attribuire alcuna delega al direttore generale, così come io avevo chiesto. Da quel momento, i decreti dovevano essere emanati esclusivamente dal ministro, non dal direttore generale (io, per esempio, non ne ho emanato alcuno) o dai sottosegretari. In secondo luogo, sottolineai l'opportunità di ridurre il periodo del rinnovo della validità di ciascuna misura a sei mesi, ove si consideri che l'articolo 41-bis prevede un trattamento che, se applicato con rigore e con coerenza rispetto alla norma, appare particolarmente duro da sopportare. Pertanto, sotto il profilo umano e dell'educazione civica, la previsione di una proroga di sei mesi avrebbe rappresentato una sanzione già abbastanza pesante. I ministri che si sono succeduti hanno accettato il mio consiglio, tanto che oggi i rinnovi possono essere disposti soltanto per sei mesi, restando fissato ad un anno il limite temporale per le nuove applicazioni. Come ho già detto, i detenuti attualmente sottoposti al regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis sono 436; tra questi, ve ne sono alcuni per i quali i decreti sono stati emanati ex novo. Per altri, invece, tali provvedimenti sono stati caducati: ciò o perché vi è stato un mutamento della rubrica - mi esprimo in termini tecnici - nel senso cioè che si trattava di persone non più imputati dei reati di cui agli articoli 416-bis e 630 del codice penale, nonché di quello previsto dall'articolo 74 della legge sugli stupefacenti, oppure perché gli interessati erano diventati nel frattempo collaboratori di giustizia, o perché venivano scarcerati o, infine, per altre ragioni obiettive. Attualmente l'applicazione dell'articolo 41-bis riguarda 436 uomini; storicamente vi è stata qualche donna sottoposta alla misura ma oggi non ve ne sono più. Le misure che hanno riguardato detenuti donne (complessivamente 8 o 9) sono state emanate non dal ministro ma dal direttore generale dell'epoca. Quanto alla classificazione dei detenuti sottoposti a questo regime abbastanza rigoroso (in questo momento, da un lato si sente dire che l'istituto si sarebbe ormai svuotato perché non applicato rigorosamente e, dall'altro, che l'amministrazione e la legge sarebbero troppo severe: probabilmente l'equilibrio sta nel mezzo perché si tratta di un regime serio che ci auguriamo non venga applicato ad alcuno di noi), vi sono 131 aderenti a Cosa nostra; 144 facenti parte di altre cosche mafiose, tra cui la stidda (in questo caso si tratta di persone inserite in famiglie unite tra di loro da matrimoni o da alleanze che spesso finiscono in continue e reciproche uccisioni); 41 della 'ndrangheta; 98 della camorra. Dobbiamo considerare che la camorra si esprime attraverso la Nuova camorra organizzata, che fa capo al detenuto Cutolo, la Nuova famiglia (comprendente tutti i camorristi schierati contro Cutolo), l'Associazione camorristica riformata che, almeno per me, rappresenta una novità. ANTONIO DEL PRETE. E' una nuova costellazione! ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, una costellazione che sorge... Abbiamo contatti con la procura di Palermo che funge anche da "storico" di questo tipo di criminalità, con riguardo alle modalità di ingresso nell'organizzazione, all'effettuazione dei primi passi, in particolare in Sicilia ma anche nel napoletano, alle scalate ed alle promozioni. In questa realtà non vi è pensionamento: se non interviene la morte, naturale o non naturale, si rimane sempre inseriti nell'organizzazione dalla quale non si può uscire. Naturalmente, tra i personaggi nei cui confronti è stato applicato l'articolo 41-bis ve ne sono alcuni anche anziani. Penso, per esempio ad un certo Riina (che mi pare si chiami Salvatore), zio del più famoso Pagina 499 Riina, il quale ha 86 anni. Nonostante il Riina proclami la sua estraneità a qualsiasi addebito, sta di fatto che lo stesso è imputato di molti reati, fra cui un certo numero di omicidi, che inducono a ritenere che sia ancora uno dei capi. Mi si dice che, quando i detenuti entrano all'Asinara, gli si rivolgono baciandogli la mano, come consuetudine in questi ambienti (lo abbiamo visto in molti film). Dalla scheda di Riina risulta che le prime condanne sono state riportate nel 1929, per fatti che, a suo dire, sono stati casuali, per vicende d'onore e così via. In questo momento vi sono ben 7.688 persone indagate od imputate a vario titolo per i reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale e che quindi ipoteticamente avrebbero potuto essere sottoposte al regime dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Di queste 7.688 persone, oggi solo 436 (pari al 5,67 per cento) sono sottoposte alla misura. A me pare quindi che l'amministrazione, soprattutto il nostro ministro, non abbiano esagerato nell'applicazione della norma, tanto che dagli oltre 1.200 provvedimenti in vigore nel periodo compreso tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993 si è giunti agli attuali 436. Le segnalazioni relative all'applicazione del provvedimento sono oggi molto più chiare di un tempo. Dico questo perché i primi 320 provvedimenti emanati subito dopo la strage di Capaci furono tutti presentati e richiesti dal Ministero dell'interno: si trattava quindi di provvedimenti cumulativi e succinti, come forse le circostanze di quel tragico momento richiedevano. Successivamente, invece, l'emanazione di questi provvedimenti è stata notevolmente soppesata. Innanzitutto, essi possono riguardare tanto l'imputato quanto il condannato in via definitiva. In secondo luogo, va considerato che in genere l'applicazione della misura viene richiesta dall'autorità giudiziaria, dall'Arma dei carabinieri, dall'ufficio speciale dei carabinieri istituito presso il dipartimento, dalla polizia, dalla Criminalpol, dalla Guardia di finanza. Escludo nel modo più assoluto che siano venute richieste in questo senso dagli organi di sicurezza come il SISMI o il SISDE o da altre fonti improprie. Quanto alle segnalazioni dell'autorità giudiziaria, esse sono, diciamo così, particolarmente gradite. L'autorità giudiziaria si basa in modo particolare su provvedimenti di custodia cautelare (che rappresentano di per sé una traccia ben fondata di pesanti indizi) oppure, come è accaduto per la strage di Capaci e per quella di via D'Amelio, su sentenze definitive (come quelle che hanno concluso il maxiprocesso) dalle quali si evincono prove che, dal punto di vista della genesi del diritto, sono inconfutabili, trattandosi di sentenze definitive. Su queste segnalazioni compiamo sempre e necessariamente un'istruttoria, nel senso che, se la segnalazione proviene da una certa parte, chiediamo a tutti gli altri organi interessati, soprattutto alla Direzione nazionale antimafia ed alla Direzione investigativa antimafia, che sono anche ben attrezzate, nonché all'Arma dei carabinieri. In sostanza, con questo metodo le segnalazioni vengono sottoposte a controlli incrociati e, in base a questi, tiriamo le somme e decidiamo se rinnovare o applicare ex novo l'articolo 41-bis. Ho detto prima che oggi il decreto è molto motivato e che quasi assomiglia ad una sentenza. Ciò innanzitutto perché la Corte costituzionale, con due decisioni, ha ritenuto il provvedimento del ministro reclamabile ma, nello stabilire questo, non ha precisato entro quali limiti ed in che modo ciò possa avvenire, né le staccionate che si debbono seguire da una parte e dall'altra. Quindi, la nostra preoccupazione è quella di motivare ampiamente sui presupposti d'ordine obiettivo (mi riferisco al punto territoriale, nel senso che quelli di Palermo, Catanzaro, Palmi, Castrovillari sono territori da sempre pervasi dalle organizzazioni criminali). Dal punto di vista soggettivo, si fa tesoro dell'istruttoria che si è raccolta sul soggetto, sui suoi interessi, su ciò che ha accumulato, sui suoi familiari, sul tipo di imputazione che grava su di lui e così via. Dopo i primi provvedimenti della magistratura di sorveglianza, con la quale vi Pagina 500 sono buoni rapporti ma vi è anche una tensione su questo punto, ci siamo sempre più affinati perché tale magistratura ha accolto i reclami e in parecchi casi ci ha dato torto, assumendo provvedimenti che, a nostro avviso, non avrebbe dovuto assumere. Abbiamo avuto 88 provvedimenti di inefficacia totale e 96 di inefficacia parziale. Per quanto riguarda i primi, che equivalgono ad un annullamento, trattandosi di un atto dell'autorità giudiziaria, ad essi bisogna sottostare, anche se in taluni casi il ministro ha rinnovato la propria richiesta portando nuove prove e nuovi elementi, cosa che fa ripartire dall'inizio la procedura. Richiamo la vostra attenzione per quello che dirò alla fine sul fatto che l'autorità giudiziaria (o meglio, gli stessi magistrati di sorveglianza, sempre gli stessi, poi dirò il perché) trova da ridire non sulla forma ed il tipo di detenzione (perché su questo non credo possano dire niente, essendo prevista da una legge approvata dal Parlamento), ma sulle prescrizioni che, come sapete, riguardano le telefonate, i pacchi, le visite che vengono per lo più autorizzate nella misura di una al mese, e poi la vita in comune, l'ora d'aria ed altre cose del genere. I magistrati di sorveglianza nei loro provvedimenti di inefficacia parziale hanno annullato queste prescrizioni e, al posto di un colloquio, ne hanno previsti quattro; lo stesso per i pacchi e per le visite, sicché oltre alla moglie il detenuto potrà vedere anche la nonna e la zia. Richiamiamo l'attenzione sul fatto che in questo caso l'autorità giudiziaria invade in parte il campo dell'amministrazione. Poiché è ancora vigente la legge del 1865 sulla suddivisione delle competenze e della giurisdizione, se noi non dobbiamo assolutamente invadere le prerogative della magistratura, anche quest'ultima, nell'assumere simili provvedimenti, non dovrebbe invadere le nostre. RAFFAELE BERTONI. Ma la Cassazione si è pronunciata in questo senso. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Su questi decreti abbiamo interessato i procuratori generali, perché ricorrano in Cassazione. Questa non si è mai pronunziata ad eccezione di una pronuncia con la quale ha rimandato il tutto dichiarando di voler acquisire ulteriori elementi e documentazione, e ci siamo fermati lì. Si tratta, però, di reclami e ricorsi riguardanti sempre i primi succinti e quasi immotivati decreti del ministro, mentre sui decreti più recenti non abbiamo ancora assolutamente nulla. Il ragionamento della magistratura di sorveglianza è che, se si autorizza il detenuto a ricevere un pacco, tanto vale autorizzarlo a riceverne quattro e lo stesso per i colloqui, perché per passare una notizia è sufficiente una sola volta, per cui sarebbe disumano applicare simili misure. La risposta dell'amministrazione è stata che in questo caso il legislatore ha voluto limitare i contatti proprio per il tipo di pericolosità del soggetto, in rapporto anche al territorio da cui proviene, allo scopo di interrompere i contatti e di evitare che dal carcere partano ordini e, viceversa che dal territorio di provenienza giungano avvertimenti all'interessato. Torno a dire che da questo tipo di organizzazione in linea di massima non si esce mai se non morti. Quindi, a nostro avviso, il ragionamento è capzioso: guarda caso, si tratta sempre degli stessi magistrati di sorveglianza. Ciò in parte per ragioni di carattere naturale: il magistrato di Firenze ha giurisdizione su Pianosa, quello di Sassari sull'Asinara. Richiamo, comunque, la vostra attenzione su questo modo di agire: in sostanza, l'esecuzione della pena è sempre affidata al magistrato che ha dato l'ultima pronunzia e che ha su di sé la necessità di fare i cumuli di legge (ed io che sono stato procuratore generale so bene quanto sia faticoso); inoltre si è radicata l'esecuzione presso una determinata procura o procura generale ed essa per la vita sarà l'occhio vigile sul detenuto, anche in senso buono, in quanto è l'occhio attraverso il quale dovrà guardare il detenuto che abbia delle aspirazioni, e viceversa. Pagina 501 In questo caso, invece, guardate bene, l'ordinamento penitenziario deroga (ed è l'unica gravissima deroga) stabilendo la competenza del magistrato del territorio in cui in quel momento si trova il detenuto. Stiamo parlando di qualcosa di serio qual è l'articolo 41-bis, ma anche per altre misure alternative - quali, ad esempio, i permessi-premio - guarda caso il detenuto che è mobile (e, se non lo è, lo si fa muovere perché commette qualcosa a seguito della quale viene spostato), viene indirizzato sempre presso magistrature che la pensano in un certo modo. Vi sono, invece, magistrature come quelle di Trento o dell'Aquila che sono irremovibili, anche a costo di gravi pericoli per i magistrati; ma ve ne sono altre che hanno una giurisprudenza del tutto contraria: a Firenze, Livorno, Sassari, Napoli, Bari e soprattutto ad Ancona la pensano diversamente. Il detenuto può compiere attività disciplinarmente censurabili per cui non può più rimanere in quel carcere e viene avviato ad altro istituto penitenziario; spesso è egli stesso a chiedere di essere mandato in un determinato carcere, dove magari è già stato o dove amici gli hanno detto che si sta bene. Tenete conto che siamo in presenza di oltre 7 mila detenuti pericolosissimi; di questi, solo 436 si sono visti applicare il 41-bis, però, a cominciare da Riina e da Cutolo, sono tutti mobili, perché sottoposti a sette, otto, dieci processi in corso e, se così non fosse, oltraggerebbero una guardia per essere spostati immediatamente. Pertanto, poiché si è chiesta la mia opinione sull'articolo 41-bis, osservo che se esso è applicato in casi eccezionali, con oculatezza e soprattutto con l'equilibrio che deve avere non solo il magistrato, ma anche l'amministrazione, ritengo che possa essere considerato uno strumento correttivo, specie in momenti delicatissimi come gli attuali in cui sono stati celebrati, sono in corso e si celebreranno processi di straordinaria gravità. Tale articolo deve essere applicato con oculatezza, nel senso che dobbiamo porci come persone illuminate. In questo senso, l'articolo in questione può essere senz'altro prorogato (cosa che peraltro il Senato ha già fatto). Si può altresì osservare che, in quest'ambito, il Parlamento dovrebbe rivedere la posizione di due isole che si è parlato di restituire alla cittadinanza: non è il momento, perché non sapremmo dove collocare questi detenuti. Il problema è delicatissimo proprio per lo scopo che la norma si propone, quello cioè di tagliare i fili tra un certo tipo di detenuti e coloro che sono tuttora liberi e che possono commettere gravissimi atti illeciti. Si potrebbe dire che le isole dell'Asinara e di Pianosa sono un po' come le basi di La Spezia e di Taranto per la marina militare. Se togliessimo tali basi alla marina militare, senatore Ramponi, si comprende cosa rimarrebbe della nostra marina ed altrettanto vale per noi; in questo momento l'Asinara e Pianosa sono estremamente importanti. LUIGI RAMPONI. Noi riattivammo Pianosa. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, è stata riattivata ed ha un'importante diramazione, l'Agrippa. Sarà nostra cura - almeno è questo il mio pensiero geloso della nostra indipendenza - fare in modo che, con l'andar del tempo, determinati supporti che ci vengono forniti da altre amministrazioni vengano meno, lasciando queste isole soltanto alla nostra giurisdizione. Il Ministero di grazia e giustizia ha, d'altronde, una nobile tradizione in tal senso; lo stesso corpo di polizia penitenziaria, rafforzato in un determinato modo, potrebbe reggere e reggerà la situazione. Quindi, al mio parere favorevole sull'articolo e sul mantenimento delle due isole aggiungo che sarebbe opportuno che il Parlamento formulasse meglio l'articolo in oggetto, stabilendo l'ambito delle competenze - è questa la questione essenziale -, soprattutto quelle dell'amministrazione, nonché le prescrizioni, dalle quali tuttavia non si possa decampare per cui, con la discrezionalità propria dell'amministrazione, una volta date, non si possa consentire che Pagina 502 il magistrato di sorveglianza cambi i termini della prescrizione a suo piacimento. Ciò anche perché le varie direzioni si trovano molto a malpartito quando nello stesso istituto sono ristretti vari detenuti, alcuni dei quali godono di grossi benefici, mentre altri, cui è stato applicato lo stesso regime carcerario, sono sottoposti a privazioni maggiori, ad esempio un solo colloquio con la moglie. Vi ringrazio e sono a disposizione per ogni chiarimento. MICHELE CACCAVALE. Vorrei intanto soddisfare una curiosità e chiedere al presidente Capriotti chi fosse il ministro che ha delegato al direttore generale la possibilità di emanare decreti e perché, tra i decreti emanati dal direttore generale, 567 non siano stati rinnovati: sono mutate le condizioni o sono stati riconosciuti inopportuni? Il dottor Capriotti ha parlato di applicazione dell'articolo 41-bis definendolo strumento correttivo. Ma lo spirito non era quello di evitare un'azione preventiva? ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, per prevenire e per far cessare. Rispondendo alle sue richieste, onorevole Caccavale, dico che, effettivamente, i decreti delegati sono stati 567 e che il guardasigilli fu Martelli. Le ragioni per le quali sono stati delegati le ignoro né sono scritte. Non dico che in quel momento lo Stato abbia perduto la testa, però vi era apprensione per certi territori, dove si diceva che lo Stato aveva perduto la propria forza (ho detto, per esempio, che furono emanati - anche se poi vennero meno - in certe province della Sicilia, nel Catanzarese e, soprattutto, nel Napoletano). Per i provvedimenti subito emessi su delega, scaduti nel novembre del 1993, questo dipartimento provvide ad interessare i consueti organi di polizia per acquisire notizie aggiornate sui singoli nominativi, sotto il profilo sia processuale sia investigativo, allo scopo di proporre all'onorevole ministro l'emissione di provvedimenti di rinnovo nell'ambito della criminalità organizzata. Sulla base degli elementi pervenuti, non si è ritenuto che sussistessero le condizioni per il rinnovo del regime. A questo va aggiunto che verso la fine del 1993 avevo già preso possesso del mio incarico. Come ho già detto, onorevole Caccavale, è mia ferma intenzione non emettere mai alcun provvedimento: in primo luogo perché non vi è delega, in secondo luogo perché desidero che questi provvedimenti, come previsto dalla legge, siano emesso, proprio per la loro gravità, soltanto dal guardasigilli, quindi senza possibilità di delega né al sottosegretario né, tanto meno, ad organi amministrativi, sia pur di alto livello, come il direttore generale. Effettivamente, lo spirito della legge è quello che a prima vista abbiamo tutti riconosciuto, cioè di interrompere il cordone ombelicale - brutto termine -, il filo che potrebbe esservi e che talvolta esiste, perché è del tutto escluso che le carceri siano una città d'inferno o una città del sole: il cosiddetto radio-carcere funziona e tra i detenuti vi sono amici, coimputati, correi e si svolgono passeggiate in comune. Dicevo, con spirito di grande lealtà e con onestà, che il provvedimento mira a questi fini, ma ripeto dinanzi a voi che si tratta di un regime severo e duro per chi lo subisce. E' questo ciò che penso. Chiamiamola come volete, ma credo si tratti di un'opera che indirettamente si afflosci addosso alla psiche del soggetto, tant'è vero che non abbiamo parlato dei cosiddetti pentiti. Ho detto, esprimendo un mio parere, che questo tipo d'applicazione deve essere previsto in modo oculato e deve avere un termine. Ciò sotto il profilo della nostra organizzazione e della nostra civiltà giuridica. Quindi, mentre da un lato le dico che a mio parere quest'articolo va applicato ancora, perché viviamo brutti momenti, aggiungo che va fatto in modo molto oculato e secondo schemi che il Parlamento dovrebbe definire in modo più preciso per non creare equivoci. Pagina 503 Sapete anche voi che, alla fine, sia per gli uomini sia per le donne, il regime del carcere, del manicomio e quello della clausura porta a mutamenti di carattere, a deviazioni: se abbandoniamo i testi moderni e riprendiamo in mano quelli vecchi, vi leggiamo che quindici anni di carcere piegano la schiena a chiunque. Credo di averle risposto molto francamente, onorevole Caccavale. A mio giudizio, l'articolo in questione va applicato riportandolo a misure eccezionali, tant'è che ne sono interessati 436 detenuti. Credo che questo dato rappresenti quasi un vanto di civiltà. Però, allo stesso tempo, si deve essere severi e mettere l'amministrazione al riparo. Per i 30 o 32 collaboratori di grosso calibro, che ci aiutano molto a far chiarezza, credo che quel regime faccia mutare il loro pensiero e, a volte, anche la loro vita. Sembra, per esempio, che il famoso Malpassotu, di Catania, abbia finora confessato l'omicidio di circa 80 persone. In pratica, costui, con una sorta di proclama, non so se vero e reale, ha detto che ormai bisogna pentirsi, collaborare e basta. RAFFAELE BERTONI. I 436 detenuti cui lei si è riferito, rispetto ai 7.688 cui sarebbe applicabile l'articolo 41-bis sono pochi, rappresentando appena il 5 per cento. E' così perché non arrivano segnalazioni che consentano un'applicazione più consistente o perché il ministro di grazia e giustizia non delega l'atto? Giuridicamente, si tratta di un atto non delegabile da parte del ministro di grazia e giustizia - ma spesso i responsabili di questo dicastero non conoscono la legge -, per cui chiedo se questa percentuale sia così bassa perché molte richieste vengono respinte o perché molte di esse non vengono adottate. Chiedo al presidente Capriotti se sia a conoscenza di richieste del ministro dell'interno, in tema di applicazione dell'articolo 41-bis respinte dal ministro Biondi (non mi interessano i suoi predecessori). Vorrei infine sapere che fine abbia fatto il vicedirettore Di Maggio. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Posso rispondere con molta franchezza al senatore e amico Bertoni. Torno a dire che con me l'articolo 41-bis viene applicato con una certa severità. Non sono in grado di dire quante richieste siano state respinte, però credo che non siano molte. Il fatto è che il sistema che lo stesso Ministero dell'interno ha voluto è da noi applicato a maglia, per cui non basta una segnalazione della Criminalpol, né dell'Arma dei carabinieri né di una procura. Si tratta di istruttorie incrociate, anche se sarebbe troppo definire univoche. Amico Bertoni, mi fai dire ciò che non vorrei dire. RAFFAELE BERTONI. Devi dirlo. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. A proposito dei 567 decreti delegati, i segnalatori possono essere anche le direzioni, che a volte hanno importanti notizie. Su quei decreti non ho visto molta trasparenza. Sono stato avvertito. Infatti, attuando un riscontro per un rinnovo o per un'applicazione, ci siamo trovati di fronte a casi che non sono passati, che non dovevano passare e che il ministro ha condiviso. Si trattava di casi non chiari: possono esservi sentenze dove, per tagliare corto, tutti indicano una persona come il presunto mostro o chissà che altro. Non deve essere così: le sentenze devono essere tutte riscontrabili. Così è accaduto per questi 567 decreti, a proposito dei quali le richieste partivano quasi tutte dalle carceri. E' per questo che siamo stati molto attenti, amico Bertoni. Necessita infatti il suffragio anche degli altri organi investigativi. Ci sono molto vicini la Direzione nazionale antimafia, le direzioni distrettuali, nonché l'Arma dei carabinieri, la Guardia di finanza, la Polizia di Stato e la Criminalpol. Ripeto, dobbiamo essere sicuri di questi provvedimenti, e devo dire che i 436 applicati pesano sulle persone in modo sicuro, saldo e pesante, al punto che per Pagina 504 esse è difficile scrollarseli di dosso. Con molta schiettezza devo dire che il ministro Biondi non interferisce su questo e lo stesso posso dire per Conso, almeno per il periodo in cui mi sono trovato ad operare quando era ministro di grazia e giustizia. Naturalmente, il ministro valuta ciò che gli sottoponiamo, ma devo dire che finora ho avuto, da parte sua, la massima collaborazione. RAFFAELE BERTONI. Sono stati firmati? ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, sono stati firmati. RAFFAELE BERTONI. Chiedo scusa, ma ho dimenticato di formulare una domanda importante. Il dottor Capriotti faceva riferimento al fatto che il giudice di sorveglianza del tribunale competente a sorvegliare sull'attuazione di questi provvedimenti è quello del luogo in cui si trova il detenuto. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, in quel momento. RAFFAELE BERTONI. Quindi, il dottor Capriotti faceva riferimento agli spostamenti continui... ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, agli spostamenti continui. RAFFAELE BERTONI. Questo lo so, vengo anch'io dal carcere... GIROLAMO TRIPODI. Certamente non come Riina! RAFFAELE BERTONI. Non come detenuto ma come un osservatore. Volevo dire che la norma dell'ordinamento penitenziario che fissa quella competenza ha una sua giustificazione. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Certo. RAFFAELE BERTONI. E' una norma che ha una sua giustificazione perché consente, all'unico tribunale di sorveglianza che ha questa possibilità, se il detenuto è nelle sue carceri, quell'osservazione che poi permette ad esso o al giudice di sorveglianza di adottare i provvedimenti di loro competenza. Perché non proponete una cosa facilissima, cioè che intanto è competente il tribunale di sorveglianza del luogo in cui si trova in quel momento il detenuto, in quanto quest'ultimo vi si trovi da un certo periodo di tempo? A mio avviso, ciò eviterebbe gli inconvenienti indiscutibili di cui lei ha parlato. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Credo che questa sia una via di mezzo che potrebbe essere sperimentata. Ma, ripeto, abbiamo tutti contro. In passato, altri hanno tentato, però si è rivoltata la magistratura di sorveglianza, che ha un grande peso, e non si sa perché. RAFFAELE BERTONI. Si sa. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. All'interno della magistratura di sorveglianza non vi è gerarchia né dipendenza, per cui sono legibus soluti. Quindi, dipendo da Dio, se ci credo, altrimenti ... RAFFAELE BERTONI. Sei sottoposto alla legge come tutti i giudici! PRESIDENTE. Comunque, come parlamentari si possono presentare proposte. RAFFAELE BERTONI. L'ho presentata sull'articolo 41-bis e sono contento che sia stata approvata. FRANCESCA SCOPELLITI. La proposta è stata avanzata dal Governo e presentata dal senatore Gualtieri. Non si può continuare con queste bugie! Pagina 505 RAFFAELE BERTONI. La prima proposta è stata la mia: reca il numero 869. FRANCESCA SCOPELLITI. E' stata una proposta del Governo. PRESIDENTE. La competenza può essere modificata soltanto a seguito di una norma ad hoc, che deve essere approvata dal Parlamento; non è quindi il ministro a poter stabilire la competenza. Non è pertanto necessario parlare di questo con il ministro, dal momento che possiamo presentare una proposta che il Parlamento potrà approvare o meno. Non occorre fare conversazioni personali. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Nel rispondere al senatore e amico Bertoni, devo rilevare che in effetti l'organico del dipartimento prevede un direttore generale e un vicedirettore generale. Negli ultimi tempi il cambiamento del guardasigilli e il mutamento di indirizzo politico hanno messo in grave difficoltà questo vicedirettore generale, il quale non è più un magistrato né può essere considerato un funzionario dell'amministrazione penitenziaria, ma è un dirigente della Presidenza del Consiglio. RAFFAELE BERTONI. Non è più al Ministero? ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Rispondo subito. Il suddetto vicedirettore generale è stato incaricato, insieme ad altra persona, di gestire e di approntare un congresso che si terrà a Napoli tra il 21 e il 23 novembre, al quale affluiranno i ministri della giustizia di moltissimi paesi; si tratta di un congresso a livello mondiale, visto che finora si prevede la partecipazione di 180 delegazioni (saranno presenti alcuni ministri dell'interno e forse qualche primo ministro). Ho fatto rilevare che, mentre per il suddetto vicedirettore generale era intervenuto un provvedimento di nomina, non ne è stato emanato uno di revoca, di guisa che egli è sempre formalmente il vicedirettore generale. Posso affermare che ogni tanto si fa vivo, viene presso il dipartimento, ma in realtà sono completamente solo: ho sulle spalle (lo dico perché in sostanza mi è stato chiesto) un'azienda di 106-107 mila persone, oltre ad altri aggregati (parenti e familiari, medici e tante altre categorie). Oltre tutto, tale azienda è in attività per 24 ore su 24, come un ospedale: basti pensare, per esempio, al fatto che un detenuto può avere bisogno di qualsiasi cosa anche di notte, può pensare alla moglie o ai figli, chiedere un confessore, avere l'intenzione di impiccarsi; è necessario, quindi, essere sempre attenti. Si tratta di una gestione difficile, tanto più che attualmente, a differenza di quanto avveniva un tempo, nel carcere entrano tutti. Mentre vi sto parlando, a Verona o in altri istituti entrano delegazioni, insieme a giornalisti e troupe televisive, eppure ciò non dovrebbe accadere. Vi sono tuttavia leggi in base alle quali nelle carceri possono entrare, anche senza autorizzazione, non solo i parlamentari, come si è sempre verificato, ma anche tutta un'altra serie di personaggi, che però si portano dietro giornalisti, accompagnatori, inviati di vari telegiornali e così via; poi, mentre si trovano all'interno del carcere, cambiano destinazione chiedendo di vedere anche altri padiglioni, com'è accaduto a Napoli, con tutto ciò che ne è derivato. Si tratta - lo ripeto - di un'azienda in attività 24 ore su 24, per cui si avverte la necessità di un ausilio e di una particolare attenzione da parte di tutti, soprattutto in vista di un traguardo imposto dalla legge: mi riferisco all'assunzione delle traduzioni dal 1^ gennaio 1996. In ordine a tale questione abbiamo avanzato richieste ed elaborato studi su come dovrà essere strutturata in futuro questa organizzazione che per più di 120 anni è stata di competenza dell'Arma dei carabinieri, per cui si struttura attualmente secondo quest'ultima: vi è la necessità di effettuare interventi, tra l'altro, sul parco macchine e ricordo, per esempio, che ho previsto anche un traghetto nuovo per i detenuti. Vi è quindi tutta una vita che pulsa ma è necessario che ci si resti vicino. Pagina 506 Tornando alla questione di cui stavo parlando, il dottor Di Maggio si trova ufficialmente presso il dipartimento, ma di fatto non è esattamente così: per esempio, è passato ieri pomeriggio, poi egli si reca presso la Presidenza del Consiglio e così via. Lo dico perché il dottor Di Maggio, al quale viene imputato un certo carattere, è un uomo che, anche se va un po' frenato, è capace di lavorare continuativamente per dieci-dodici ore al giorno; occorre quindi riconoscere i suoi aspetti positivi oltre a quelli negativi. Ho detto tutto? RAFFAELE BERTONI. Molto più di quanto pensassi. GIROLAMO TRIPODI. E' stato dato grande risalto all'aspetto relativo all'attenzione verso i detenuti sul piano umano; anche se ritengo che ciò sia giusto in linea generale, non possiamo dimenticare che ci troviamo qui a discutere su come vadano applicate le misure di sicurezza previste dall'articolo 41-bis nei confronti di persone pericolose e nocive per la società, per la stragrande maggioranza della popolazione. E' noto, infatti, che se si prevede la loro permanenza in stato di detenzione in istituti, per così dire, normali, tali persone continuano a dirigere l'azione di sopraffazione e di violenza nei confronti della maggioranza del popolo. Insisto ancora su questo aspetto, anche perché sono originario della provincia di Reggio Calabria, ossia di una zona in cui la mafia minaccia il cittadino qualsiasi, l'imprenditore e persino il barbiere, arrivando ad uccidere in caso di mancato pagamento della tangente (si è giunti a questo livello). Ho con me alcune delle migliaia di lettere che arrivano tutti i giorni, anche a qualche persona che mi è cara (mi riferisco a mio fratello), oltre che a me: nell'ultima che è arrivata si fa riferimento alla denuncia di vili attentati fatta da mio fratello e gli si chiede di pagare 50 milioni in più per il fatto che ha denunciato; in un'altra gli si chiede di pagare ancora 100 milioni in più (ma non pagherà, a costo di essere ucciso) per il fatto di essere il fratello di un componente della Commissione antimafia. Ho citato un esempio, senza volerne fare un caso personale, perché migliaia di lettere arrivano tutti i giorni a cittadini onesti che fanno il loro dovere, rischiano investendo capitali e, in generale, cercano di operare liberamente, ma in quelle zone tale libertà non esiste. Sorge allora un problema, già posto da altri, in ordine al fatto che, di fronte a 7.438 esponenti della mafia, l'applicazione della misura di cui all'articolo 41-bis riguarda soltanto 436 detenuti, 275 dei quali soltanto in Sicilia; si tratta di un fatto molto grave soprattutto con riferimento alla 'ndrangheta, tra i cui componenti vi sono migliaia di detenuti e di cui sono stati scoperti fino a questo momento circa 5.600 affiliati su 2 milioni di abitanti; si tratta dell'indice più alto anche rispetto ad altre regioni caratterizzate da una grande presenza mafiosa. Tra l'altro, in Calabria vi sono 157 cosche, per cui mi sorprende che l'articolo 41-bis è stato applicato solo in 41 casi). Di fronte a fatti del genere, esiste certamente una responsabilità, anche se in questo momento non sono in grado di dire se sia di tipo politico, né so quali siano le coperture. Vorrei comunque acquisire elementi di dettaglio in ordine a tali questioni (non credo che il direttore generale possa darci una risposta subito, ma può farci pervenire i relativi dati): infatti, anche se al Senato è già stata approvata in Commissione la proroga dell'articolo 41-bis, è necessario procedere ad un approfondimento maggiore in vista dell'eventuale adozione di misure che consentano di applicare meglio l'articolo 41-bis; mi riallaccio, da questo punto di vista, a quanto sosteneva il senatore Bertoni. Vorrei inoltre sapere quanti siano attualmente i detenuti soggetti a misure di sicurezza ospitati negli istituti di pena dell'Asinara e di Pianosa (si tratta di un fatto importante), nonché il numero dei detenuti soggetti alle misure di cui all'articolo 41-bis che girano per l'Italia da un carcere all'altro. Inoltre, il direttore generale potrebbe farci sapere in modo dettagliato (forse la soluzione migliore sarebbe quella di inviarci successivamente una nota al Pagina 507 riguardo) quali siano i tribunali di sorveglianza cui ci si rivolge maggiormente per ottenere revoche. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Questo l'ho detto. GIROLAMO TRIPODI. Ritengo però opportuno acquisire dati dettagliati, dal momento che lei ha citato alcuni casi a titolo di esempio. Al riguardo, so che possono esservi certamente aperture mentali, ma anche pressioni e collegamenti di altro tipo, che provocano, in alcune situazioni, atteggiamenti e comportamenti diversi rispetto ad altre realtà. In conclusione, ritengo che l'articolo 41-bis debba essere applicato nei confronti di coloro che sono nocivi per la società, senza che il suo contenuto sia svuotato di efficacia. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Quanto lei ha detto in modo accorato è stato molto efficace, anche perché, a parte l'onere del suo impegno di parlamentare, tali questioni la toccano molto da vicino dal punto di vista dell'ambiente in cui lei è nato e vive. Al riguardo, ricordo che in magistratura si dice che a Palmi e a Locri, pur trattandosi di due piccoli centri, la corte d'assise lavora continuamente tutto l'anno, compresa l'estate. Per quanto riguarda le sue osservazioni circa il fatto che sono soltanto 41 i casi di applicazione dell'articolo 41-bis nei confronti di detenuti appartenenti alla 'ndrangheta, se avrò la possibilità di intervenire in una successiva occasione (se preferisce posso scriverle), approfondirò la questione. Come ho detto, il regime carcerario di cui all'articolo 41-bis non nasce semplicemente dal fatto che qualcuno di noi, recandosi la mattina in ufficio, pensa di prendere 100 o 200 detenuti condannati da quella magistratura e di applicare nei loro confronti l'articolo 41-bis. Sono il frutto di richieste, di approfondimenti, ma ciò non toglie che la sua domanda sia giusta e legittima. Ripeto, oggi i casi sono 41. In sostanza il detenuto ha una specie di residenza assimilabile al nostro domicilio; tuttavia, se si seguisse il canone dell'esecuzione della pena, al detenuto si dovrebbe attribuire la residenza che fin dal primo momento è stata applicata. In altri termini, un ergastolano, al quale non sia stato applicato l'articolo 41-bis, deve essere inviato a Porto Azzurro perché quell'istituto ospita i detenuti ai quali è stato comminato l'ergastolo. Coloro che sia nella fase del giudizio sia in quella definitiva provengono da Catanzaro o Palmi, vengono inviati al carcere di Palmi, perché è un istituto forte... GIROLAMO TRIPODI. E' il cuore. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, è il cuore. Vi sono poi istituzioni penitenziarie costruite in modo da ospitare solo detenuti ai quali sia stato applicato l'articolo 41-bis, secondo il quale si deve passeggiare da soli, senza vedersi, ed avere contatti con i familiari e con gli avvocati seguendo determinate modalità. Gli istituti di questo tipo sono cinque: le case di reclusione dell'Asinara, di Pianosa e di Spoleto, la casa circondariale di Ascoli e quella di Cuneo. Ripeto, questi cinque istituti ospitano, e potrebbero ospitare, un numero quasi doppio dell'attuale. RAFFAELE BERTONI. Qual è questo numero? ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Quattrocentotrentasei. Bisogna stare attenti però, perché l'eccessiva concentrazione di tali soggetti così diversi e così pericolosi potrebbe porre di fronte a fatti e responsabilità gravi l'amministrazione penitenziaria. E' bene perciò non diminuire il numero delle case di reclusione e circondariali idonee ad ospitare questi detenuti, semmai si potrebbe aumentarle a sei o sette. Non va dimenticato poi che per circostanze obiettive, i soggetti hanno magari Pagina 508 sette od otto processi in corso e una o due condanne definitive. A volte succede, come è il caso di Riina, che siano chiamati a testimoniare. Ebbene, Riina, chiamato a testimoniare, è stato trasferito a Padova, ma sapete che cosa significa un'operazione del genere? Vuol dire muovere un aereoplano per l'andata ed il ritorno... GIROLAMO TRIPODI. E il giorno dopo Riina era a Reggio Calabria. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Certo. Riuscite ad immaginare cosa costa allo Stato un detenuto in questa situazione? Un'altra questione delicata che si profila dal punto di vista giuridico concerne la possibilità di celebrare il processo o di svolgere l'audizione di questi soggetti da lontano, ricorrendo a strumenti speciali. Tutto ciò per rendere la situazione di queste persone più stabile; più questi detenuti vengono trasferiti, più pericoli si corrono per le possibili fughe ed attacchi, sempre immanenti ed imminenti. Sotto questo profilo il Parlamento deve considerare questa realtà che non è ritenuta ortodossa dagli studiosi del diritto: infatti, devono essere applicate le medesime regole, senza che a qualcuno venga applicata una norma differente da quella applicata ad un altro, nel senso che ad un detenuto è permesso il colloquio diretto mentre ad un altro il colloquio avviene a distanza. Vi sono poi tre detenuti assegnati ad altri istituti per motivi sanitari. Così come vi sono trasferimenti temporanei per motivi di giustizia e di salute, rispetto ai quali vengono utilizzate apposite sezioni di determinati istituti. E' il caso di Pisa, centro clinico; della casa circondariale di Cagliari, di Napoli Secondigliano, di Termini Imerese, della casa circondariale di Palermo (città in cui inaugureremo, probabilmente a marzo, un nuovo istituto che si aggiunge all'Ucciardone che risulta gonfio, per così dire), della Bicocca a Catania, di San Vittore a Milano, di Livorno - che rappresenta lo snodo per le isole -, di Rebibbia a Roma (mi riferisco al nuovo complesso dotato di buone attrezzature), di Trani, di Reggio Calabria che - concordo con il senatore Tripodi - è un istituto pessimo, in cui si vive molto male; tuttavia, mi hanno riferito che molti detenuti, essendo reggini e stando vicini alla famiglia, riescono a vivere una vita non dico normale ma tollerabile anche sotto il profilo della disciplina. A questi vanno aggiunti gli istituti di Caltanissetta, di Palmi, di Nuoro, di Voghera (un istituto che ospita anche le detenute) di Augusta, di Padova, di Porto Azzurro e di Paliano. Tenete presente che vi sono anche i pentiti di vario genere da controllare, i quali non si devono incontrare; vi sono poi i semipentiti, gli irriducibili e quelli appartenenti all'antico terrorismo che sono circa 300, i quali sono definiti "freddi". In termini investigativi e carcerari i soggetti "freddi" sono quelli che non interessano più; quello che hanno fatto è solo un "sogno", sono i soggetti fermi che attendono, forse, qualcosa di valido dallo Stato. In sostanza, sono soggetti che non interessano più né gli organi investigativi né la magistratura; insomma sono fuori circuito. Questi detenuti vengono trasferiti continuamente. Considerate che in questo momento lo zio di Riina si trova a Padova perché deve essere interrogato. A questa persona è stata applicata la misura del 41-bis; lui sostiene - sorridendo - di non aver fatto nulla e di avere 86 anni, ma in realtà vi sono elementi a suo carico, tant'è che quando sbarcò all'Asinara, gli baciarono la mano. FRANCESCA SCOPELLITI. Dottor Capriotti, a differenza dei colleghi che mi hanno preceduto non sono una convinta sostenitrice dell'articolo 41-bis e le sue parole mi hanno confortato non poco per l'onestà intellettuale con la quale ha trattato della normativa. Tuttavia non avverso questa norma, se la sua applicazione, eseguita con l'oculatezza a cui lei ha fatto riferimento, serve per isolare i capi della criminalità organizzata, che rappresenta una iattura nel nostro paese. Pagina 509 Sono un componente la Commissione giustizia del Senato, in cui due giorni fa è stata votata la proroga dell'articolo 41-bis, facendo nostre le perplessità del Governo, il quale dovendo rinnovarla ogni sei mesi si dichiarava soggetto a pressioni, minacce, a molestie per sé e per le famiglie dei componenti. Ben venga, dunque, l'emergenza allungata di quattro anni, con l'augurio che per quella data non sia necessaria un'ulteriore proroga! Nel momento in cui ho espresso il mio voto favorevole alla proposta, ho anche chiesto - e spero di ottenerlo - il monitoraggio sull'applicazione dell'articolo 41-bis. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. In che senso, senatore Scopelliti? FRANCESCA SCOPELLITI. Debbo dire che in parte lei ha già risposto a questa mia necessità, in parte ho ricevuto dei chiarimenti dal contenuto della sua relazione. Tuttavia mi interesserebbe avere il monitoraggio elaborato dal Ministero di grazia e giustizia sull'applicazione e sulle prescrizioni differenziate da carcere a carcere, in quanto, in base alle notizie che possiedo, vi sarebbero differenze comportamentali nei confronti dei detenuti, dipendenti dalla discrezione di questo o di quel direttore di carcere, di questo o di quel tribunale di sorveglianza. E la disparità di comportamento non è una garanzia per la certezza del diritto o la conferma che la legge è uguale per tutti. Questa, pur essendo una bella frase che troneggia in tutte le aule dei tribunali italiani, dovrebbe trovare una reale applicazione nella vita. Purtroppo oggi siamo di fronte ad una situazione - lo dico con dolore, vantandomi di essere in prima persona una garantista - in cui essere garantista, o comunque il termine garantismo, significa essere dalla parte della mafia. Ciò emerge non solo dalle conversazioni salottiere, ma ahimé - cosa ancor più grave - anche in una costruzione democratica e politica. Ho apprezzato l'utilizzo del termine "oculatezza" in ordine all'applicazione dell'articolo 41-bis. Lei ha affermato addirittura - il che mi piace ancor di più - che occorre essere delle persone illuminate. Ma ahimé, dottor Capriotti, Voltaire è molto lontano dal nostro stato di diritto e dalle nostre istituzioni politiche! Ci si preoccupa non poco del numero dei detenuti soggetti alle misure previste dall'articolo 41-bis, quasi che questo articolo sia la panacea di tutti i mali. Allora, sottoponiamo tutti al regime di rigore previsto dal 41-bis e avremo salvato l'Italia, calpestando in tal modo qualsiasi briciola del diritto dell'uomo. Troppo spesso si dimentica che le leggi emergenziali e, quindi, il loro rigore e la loro rigidità, rischiano - è successo molte volte in Italia, troppe in un paese definito la culla del diritto - di colpire l'innocente. E' vero che molti magistrati sono morti per mano della malavita organizzata, ma ben più grave in uno Stato di diritto è far morire un innocente per mano della cattiva giustizia! L'applicazione a 567 detenuti, nonostante le perplessità sulla chiarezza e sulla trasparenza, dovrebbe rappresentare la norma per chi è delegato ad assolvere questi incarichi. Comunque l'esempio da lei citato conferma la mancanza di certezza del diritto; mancanza ancor più grave quando si parla di normative più restrittive. Il carcere non fa bene a nessuno; ha ragione lei quando afferma che 15 anni di carcere piegano la schiena a tutti! Dunque, oculatezza nell'applicazione e nelle prescrizioni. Collegata a questo, vi è la questione degli istituti dell'Asinara e di Pianosa, le cosiddette carceri speciali, dove i detenuti sottoposti alle misure dell'articolo 41-bis sono soggetti a molti spostamenti, a situazioni territoriali poco felici, poco comode, con servizi e infrastrutture poco agibili, che mettono in pericolo sia le forze dell'ordine addette alla traduzione dei soggetti per i pericoli di fuga, in quanto non esistono gli estremi per una custodia più efficace, sia i giudici che davvero sono in prima linea, come Falcone e Borsellino. Pagina 510 Giorni fa abbiamo ascoltato il dottor Margara; non vorrei aver capito male, ma lei ha sostenuto che vi è una sorta di interesse personale nell'assunzione di certi atteggiamenti in quanto il suo tribunale... ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Senatore, mi consenta, parli di una sorta di ideologia. FRANCESCA SCOPELLITI. La mia considerazione non voleva essere cattiva, assolutamente. Il dottor Margara ha accentuato questa preoccupazione, che mi sento di condividere, proponendo una soluzione alternativa molto valida, cioè di distribuire i detenuti soggetti alle misure ex articolo 41-bis nelle varie carceri localizzate sul territorio nazionale, costituendo delle sezioni apposite. Perché la proposta sarebbe una soluzione intelligente? Perché riporterebbe l'applicazione della normativa alla competenza del ministro guardasigilli (non ci sarebbe più una zona territoriale di competenza ma a quel punto l'intero territorio nazionale, per cui la competenza, come lei giustamente osservava, spetterebbe al guardasigilli) e riporterebbe le prescrizioni ad una omogeneità di valutazione - cioè non sarebbero più affidate al singolo individuo, al singolo giudice delegato a decidere - e quindi ad una maggiore correttezza dello Stato di diritto. La settimana prossima al Senato discuteremo i disegni di legge su Pianosa e l'Asinara e so che, probabilmente, sarò una voce nel deserto, quindi sono già pronta alla sconfitta. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Perché alla sconfitta? FRANCESCA SCOPELLITI. Perché si insiste affinché quelli di Pianosa e dell'Asinara rimangano carceri speciali, vestendo abiti che sono di pregiudizio e non di giudizio, per cui deve essere così. Sono neofita della politica, dottor Capriotti, è la mia prima esperienza ma cerco di usare sempre il buon senso e non la faziosità dell'appartenenza a questo o a quel gruppo politico. Allora, una proposta che mi aiuta a risolvere il problema da qualunque parte provenga per me è sempre bene accetta. Vorrei affrontare un ultimo argomento, che esula dal discorso del 41-bis, ma che desidero trattare approfittando della sua presenza. L'attenzione che stiamo ponendo sui problemi emergenziali rischia - anzi, non è un rischio, è una realtà - di distrarre dai detenuti comuni, cioè da quei 53 mila uomini e donne che occupano le carceri italiane. Mi occupo di giustizia, anche fuori dalle istituzioni, da molto tempo. Faccio puntualmente le mie visite nelle carceri, anche se limitate a quelle della Lombardia, e visitando queste carceri ci si accorge come addirittura rischi di mancare il pane quotidiano e intendo il rispetto minimo dei diritti anche di un detenuto. Per esempio, comune a molte carceri è la mancanza numerica di assistenti sociali, che rappresentano il trait d'union tra il detenuto e il tribunale di sorveglianza. Allora, nel momento in cui l'assistente sociale - parlo del pane quotidiano inteso come briciole dei problemi - non riesce a fare la sua relazione (la definisco così impropriamente, non ricordando il termine ufficiale) e poi a trasmetterla al tribunale di sorveglianza, che decide se concedere o meno piccoli vantaggi che la legge prevede, non c'è la possibilità di applicare ai detenuti comuni quegli stessi benefici. Senza poi dire della mancanza di organico nei tribunali di sorveglianza: la situazione di Milano è drammatica, solo 5 o 6 giudici di sorveglianza operano con il presidente Mace. Allora, vorrei sapere cosa intenda fare l'amministrazione penitenziaria - augurandomi che risolva quanto prima il problema della vicedirezione, che mi rendo conto essere fondamentale per il prosieguo del suo lavoro - anche per i "poveri" detenuti normali, comuni, senza badare ai grandi boss. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Ringrazio il senatore Scopelliti per queste domande ma anche per il modo molto garbato con cui le ha Pagina 511 poste, che mi aiuta a rispondere e che è stato per me assai lusinghiero. Il monitoraggio sul 41-bis si farà; vedremo se tornerò qui ad illustrarlo oppure se ve lo invierò. In effetti, con le mie parole nella relazione sulla diversità dei comportamenti tra questo e quell'istituto, ho cercato di farvi capire le varie situazioni. Oggettivamente, ci sono istituti nuovi, come Opera a Milano, dove fra l'altro abbiamo creato cento posti nell'ospedale, che però non si può aprire perché, pur essendoci i medici, le sale operatorie e tutto l'occorrente, mancano gli infermieri, che non si riesce a reperire. Una cosa è essere ristretti in un istituto nuovo, bello, come Sollicciano a Firenze, dove ci sono campi da gioco per gli agenti e per i detenuti e asili nido per le mamme; altra è essere ristretti in istituti vecchi e fatiscenti, come quello di Reggio Calabria (una cosa paurosa!) o quello di Volterra, che pur essendo stato ammodernato fa abbastanza paura. Il passaggio di un detenuto dall'una all'altra struttura, o perché richiesto dalla magistratura, o su richiesta dell'interessato, dipende da varie circostanze. Certamente, l'amministrazione guarda a questo problema. Talvolta questi spostamenti - disposti in buona fede - sono diretti proprio ad avere mano libera su certe cose. Ha ragione il senatore Tripodi quando accenna alla necessità di alcuni di non interrompere questa specie di feeling con altri soggetti, altri consociati che hanno la fortuna di stare fuori, proprio per portare avanti certe attività, come ultimamente si è visto in Sicilia sulla questione degli appalti pubblici: dal di fuori avevano degli input e costoro si avvicinavano ad altri personaggi per dare alcune istruzioni e alcuni moniti. A questo proposito, ho detto che l'amministrazione ha 220 istituti con 53 mila detenuti: è un'azienda che vive 24 ore su 24. Abbiamo mille problemi e non vi è dubbio che non ci sia un trattamento eguale per tutti; lo dico, lo riconosco, non solo come magistrato ma anche come uomo. E' un po' come chi proviene da un liceo famoso e rinomato e chi invece da un istituto meno prestigioso; ho avuto insegnanti che ancora si ricordano di me, mentre altri studenti non hanno avuto questa fortuna, anche se può darsi che fossero più bravi di me. Effettivamente, c'è questa situazione e faremo in modo di evitarla. Per quanto riguarda l'Asinara e Pianosa, ho espresso il mio pensiero. E' necessario anche il suo voto e il suo apporto, senatore Scopelliti. Modifichi in questo senso la sua posizione e dica: "Va bene, quel che mi preme è l'amministrazione: mantenga queste isole ma ne faccia istituti normali, cioè istituti per coloro i quali vogliono lavorare all'aperto". A Pianosa possiamo ospitare benissimo 1.200 persone; prima della guerra c'era un sanatorio che ospitava 1.200-1.300 persone; lo stesso vale per l'Asinara. L'importante, senatore, è che l'Asinara non vada in mani altrui, ripeto non vada in mani altrui perché scomparirebbero nel giro di due anni! Si può fare anche questo, anche se credo che il ministro risponda ad altri dicendo: "Se mi date alternative si può vedere il tutto". Non possiamo elevare il numero, come dice il senatore Tripodi, perché elevando il numero dobbiamo trovare altri istituti che ospitino queste persone. Ma se ci limitiamo a questo numero - però, tutto questo è improbabile, ragioniamo per ipotesi - l'amministrazione potrebbe mantenere per ragioni di sicurezza, di ordine pubblico, di monito, di necessità queste due isole. Peraltro, è bene che i detenuti sottoposti al 41-bis siano portati in altre sezioni. Potrebbe esprimersi così e questo per me rappresenterebbe molto, veramente molto. Certo, potremmo creare sezioni all'interno dei vari istituti. In effetti, questi detenuti girano parecchio e ho letto l'elenco di una ventina di istituti ai quali in genere questi detenuti sono appoggiati. Ogni volta che si muovono bisogna sostenere spese immani: Riina ha sempre 30 persone appresso, ferma restando la scorta dei carabinieri; 30 persone che lo guardano, lo vigilano notte e giorno. Lei non sa quali spese ci sono. Talvolta questi agenti devono anticipare le spese per andare a Pagina 512 Palermo dall'Asinara e per il ritorno e su questo ora pendono dei reclami. E' giusto tutto questo? Abbiamo molti "buchi rossi", molti debiti, non ce la facciamo. Il mantenimento dei detenuti - che poi adesso si fa con cibi precotti (sui quali a volte abbiamo lodi e a volte lagnanze) - ci porta a spese immani, che non potete immaginare. Abbiamo debiti persino con l'aviazione militare che reclama da noi 3 o 4 miliardi per questi viaggi, che sono effettuati per necessità, disposti dal magistrato o richiesti dai carabinieri, pena pericoli di incolumità per il soggetto che viene spostato o di evasione. Le segnalazioni di possibili interventi esterni sono continue. Si celebra un processo e riceviamo la segnalazione che durante la traduzione potrebbe avvenire un tentativo di evasione o che durante l'ora d'aria Tizio o Caio potrebbe essere "cecchinato" (questo successe una volta a Palmi), da qui la necessità di spostamenti vari. Quindi, i nostri problemi sono immani. Non si tratta solo di sostituire Di Maggio con qualcuno, perché me ne occorrerebbero dieci. Senatore Bertoni, le vecchie istituzioni come i carabinieri e la polizia vivono da 100 e più anni, ma accanto al capo della polizia ci sono tre vicecapi e numerosi prefetti, ognuno dei quali sa cosa deve fare. Nell'Arma, al solo vestiario provvedono tanti ufficiali: chi si occupa delle scarpe, chi delle divise, eccetera. Da noi tutto questo non c'è. C'è un continuo affinamento; è un'amministrazione che, proprio in questi momenti di presunzione, si è ingrandita terribilmente: direzioni di qua, promozioni di là, ma sotto c'è un vuoto, al quale bisogna provvedere con nuovi arruolamenti, con la formazione, con le scuole (ne ho chieste almeno una o due all'esercito - dato che le dismettono - soprattutto dove si trova il corpo di armata alpino). E' un problema serio. Mi premeva sottolineare questi problemi non solo per guardare ad essi con una certa oculatezza ma anche perché - ma non è tema di nostra competenza - bisogna guardare con la massima attenzione alle confessioni, ai pentimenti, per il rischio di vendette trasversali, vere o false che siano. FRANCESCA SCOPELLITI. Sulla situazione degli altri detenuti, sulla mancanza degli assistenti sociali? ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Gli assistenti sociali sono nati come un supporto, come un trait d'union tra il detenuto, la famiglia, il posto di lavoro da cui veniva strappato, giustamente o ingiustamente. La figura dell'assistente sociale e anche quella dell'educatore sono quanto mai sane e sante, anche oggi. Senonché sulle spalle dell'assistente sociale si sono rovesciate tutte le misure alternative. Costoro non solo devono lavorare per noi ma anche per i magistrati di sorveglianza, obbligatoriamente. Tra noi e i magistrati c'è una specie di amore-odio, anche perché gli assistenti sociali devono continuamente presentare relazioni su varie questioni a noi e ai magistrati. Perciò, la loro situazione è diventata drammatica. Si spostano all'interno del loro territorio e naturalmente oggi esigono la macchina, per cui sono necessari gli autisti, che - guarda caso - devono essere sempre forniti dalla mia direzione generale. Perché devo dare i miei agenti? Gli agenti di custodia devono fare gli agenti di custodia e basta! Naturalmente, sono considerato un cerbero e molti non vedono l'ora che me ne vada...! Ultimamente ho partecipato ad un congresso a Firenze (due giorni fa se ne è tenuto uno anche a Roma) e, recependo queste richieste, ho presentato al ministro una proposta di allargamento dell'organico di mille unità. Per loro sono poche, ma sarebbe già molto se da subito se ne potessero ottenere 500. Un'altra mia proposta, che il ministro ha approvato, è quella di sopperire alle attuali carenze reperendo assistenti sociali - naturalmente iscritti agli albi - sul posto e da pagarsi o con parcella o con convenzione trimestrale. Mi premeva dirlo, perché sono notizie non negative né, come altri direbbero, positive: il bambino per crescere ha bisogno di tempo. Comunque, mi sono mosso in Pagina 513 questa direzione ed il ministro, in parte ha accolto le mie richieste; l'altra parte dipende dallo stesso ministro, dal bilancio, dal Parlamento. ANTONIO DEL PRETE. Presidente Capriotti, grazie per l'umanità e la puntualità che ha avuto nell'esprimere il suo punto di vista in questo nostro incontro; grazie per non aver usato termini declamatori, ma per aver fatto programmi e suggerito idee praticabili che possono migliorare la situazione di un'amministrazione che, come lei ha detto, è affetta da elefantiasi. Porrò una domanda alla quale non so se lei potrà rispondere dando un chiarimento. Il tema è quello della nuova costellazione criminale e il territorio questa volta è l'Italia del nord: mi riferisco ad un'evasione che mesi fa fece molto chiasso e che assurse agli onori della cronaca con grande rumore per certi suoi aspetti che parvero inquietanti. Tale rumore è andato man mano spegnendosi. Le chiedo notizie in proposito. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. In questo ultimo anno, come ho detto - e non è tanto merito mio quanto dell'amministrazione, che regge (a differenza di quello che si dice fuori) - non si sono verificate sommosse né evasioni, però è accaduto ciò che lei ha detto: è stato preso d'assalto, con le modalità che si conoscono... ANTONIO DEL PRETE. Mi riferivo proprio a quello quando ho detto "per certi aspetti inquietanti". ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. E' stato detto, da fuori, che l'evasione era stata segnalata. In realtà lo era stata a Vicenza, dove il soggetto si trovava prima; comunque, le segnalazioni sono continue, quasi giornaliere, di "pezzi grossi". La realtà però la accettiamo: quella mattina di giugno è stato preso d'assalto il carcere - così mi hanno detto quando mi hanno svegliato alle cinque e mezza - e 4 persone travestite, dopo aver fermato la macchina, sono entrate e hanno preso in ostaggio un agente che si è fatto aprire i 7 passaggi andando direttamente là dove si trovavano il soggetto e gli altri accoliti, che sono stati portati via. Sono state avviate una procedura disciplinare e una giudiziaria che seguo con molta attenzione, anche perché il procuratore generale di Padova (che è stato mio procuratore a Rovereto, quando lavoravo a Trento e Bolzano) è una persona molto esperta; il sostituto proviene dalla magistratura militare ed è molto serio. Dei detenuti fuggitivi, il vice di Maniero è stato agguantato poco tempo fa nel frusinate. Poiché altri due sono già stati raggiunti, ne resta ancora la metà, compreso il Maniero. Non seguo le investigazioni di carattere materiale ma so che vi sono buone speranze che anche Maniero venga preso in Italia o all'estero, dato che si seguono varie piste. Ciò che è grave è che lui era già fuggito una volta da Fossombrone. Alla vicenda seguirà un processo; il direttore Velleca su cui si sono riversate le ire è stato sospeso; sono stati altresì sospesi il comandante del reparto, forte di otre 350 uomini, e 9 guardie ed è stato arrestato l'ostaggio, cioè la guardia Erbì. Il processo disciplinare è in corso e il direttore dovrà rispondere, indipendentemente dal processo penale (vi è una deroga nel nostro codice per cui il direttore può essere comunque sottoposto a procedimento disciplinare). In verità ho avuto pressioni per farlo riammettere. Sono in contatto con la magistratura e se avrò il via potrò rivedere la posizione di Velleca, naturalmente non a Padova ma altrove, perché il generale deve sempre pagare: se qualcosa è accaduto, il generale deve pagare per gli altri, perché la vittoria ha tanti padri ma la sconfitta ne ha uno solo. Ho mandato sul posto un nuovo, ottimo, direttore che proviene da Potenza e un nuovo comandante di reparto. Però ciò che è successo a Padova potrebbe succedere questa notte da un'altra parte, attenzione. Quello di cui parliamo è stato un esempio clamoroso perché Maniero è un soggetto Pagina 514 che si dice legato alla camorra, alla mafia del Brenta. In effetti i suoi accoliti erano tutti meridionali. Tenga presente che Maniero è persona di grandi facoltà economiche, perché in quel di Portorose (ex Iugoslavia) gestiva un casinò. A suo tempo, ha sempre vissuto in yacht, in mezzo alle donne; infatti, la prima volta è stato ripreso in uno yacht a Capri. Quindi, non è escluso, senatore Scopelliti, che le gonne ci aiutino anche questa volta (di più non dico). PRESIDENTE. Ognuno ha i suoi punti deboli. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Ci vuole un pizzico di fortuna. Naturalmente la sua cattura potrebbe farci scoprire tante cose, anche perché oltre ad Erbì è stata arrestata una settima persona, il detentore di uno spaccio di pezzi di ricambio per automobili che, guarda caso, aveva un arsenale dal quale sono state prelevate le armi che servirono ai 4 per prelevare Maniero e gli altri dal carcere. Grazie all'istruttoria che sto facendo sommariamente e a quello che so - altro non so e non devo sapere - spero di venirne a capo. Però il fatto di per sé resta, così come la necessità di essere severi. Quello che è già accaduto potrebbe accadere di nuovo, anche se nel corso di quest'anno l'amministrazione, pur avendo sopportato momenti durissimi, ha resistito, esternamente ed internamente. Voglio dire a lei e a tutti i presenti che registriamo un numero soverchio di suicidi. Statisticamente, e ragionando - se è possibile - molto freddamente, siamo quasi nella norma. RAFFAELE BERTONI. Quanti sono? ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Non siamo arrivati a 100 nel 1993. FRANCESCA SCOPELLITI. Il carcere di Monza sta diventando tristemente famoso per i suicidi, tanto che viene definito "il carcere dei suicidi". ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Torno a dire che il carcere è una realtà necessaria ma durissima: è duro essere rinchiusi con soggetti non della stessa educazione e subire prepotenze, come nelle caserme. Eppure nel complesso la vita militare ci deve essere e deve essere improntata a quella disciplina; lo stesso può dirsi per il carcere. L'episodio Maniero è seguito giorno per giorno a Padova e qui. Non infieriremo su coloro che si sono resi colpevoli, ma ho emanato una circolare fondamentale sulla gestione del corpo degli agenti di custodia in tutti gli istituti. Mi ero accorto, dopo il fatto, che nessuno degli oltre 350 uomini ed oltre 20 sottufficiali faceva la notte, non un maresciallo, non un sottufficiale; vi erano solo capoposto, mentre loro andavano a dormire a casa propria. Questo non è possibile, per cui ho stabilito che in ogni istituto di notte debba essere assicurata la presenza permanente di uno o due sottufficiali, se non altro per motivi di stile e di forma a cui questa amministrazione deve essere portata, volente o nolente. Si tratta di un'amministrazione importante dello Stato, che deve adempiere un onere, affidato, dall'epoca di Mussolini, all'amministrazione della giustizia. Quando il collega e amico Bertoni mi venne a trovare in tempo di terrorismo, c'erano 26 magistrati, che anche oggi occorrono perché formano l'equilibrio. Intendo dire che vi sono assistenti sociali, direttivi, ragionieri, educatori e chi più ne ha più ne metta: fra questi vi è un conflitto terribile, come avviene ovunque. Come dicevo, allora vi erano 26 magistrati, mentre oggi sono solo, con 4 o 5 colleghi che hanno 2 o 3 anni di carriera alle spalle e che sono qui soltanto perché desideravano venire a Roma, per poi andarsene. Questa è la situazione. RAFFAELE BERTONI. Chi è il capo della tua segreteria? Pagina 515 ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. La dottoressa Di Paolo che ha già una certa esperienza avendo trascorso 14 anni come vicedirettrice di carcere a Regina Coeli. Anche io non sono sempre stato al ministero, avendo prestato servizio per 10 anni a Genova: ho fatto 10 anni in frontiera (da Trento a Bolzano, fino a Verona). Dico per ultimo che ho subito un altro attentato, il cui autore è ancora in carcere; ma non dirò il nome e non lo dirò mai: da quando sono in carica (ma anche prima) non desidero sapere dove sta, cosa fa, se è impazzito o meno. Basta, quelle pagine si sono chiuse per sempre. PRESIDENTE. Vorrei rivolgerle una domanda perché mi pare siano stati messi in discussione i giudici di sorveglianza; e quindi anche le pressioni politiche per il dottor Margara non penso si possano ipotizzare da parte della maggioranza. La storia certamente esemplare ma anche molto connotata del dottor Margara induce ad escluderlo. Non conosco personalmente gli altri giudici di sorveglianza, però se un'autonomia deve esserci nella magistratura, deve riguardare anche i magistrati di sorveglianza, perché, se si comincia a sospettare anche in modo molto vago, come è stato fatto, di una magistratura che ha gravissimi compiti come quelli di sorveglianza, una magistratura non diciamo di serie B ma addirittura vista con notevole sprezzo talvolta anche dalla categoria stessa - per quanto abbia una funzione fondamentale che purtroppo non è sufficientemente intesa - bisogna cominciare a riflettere. Sappiamo che la magistratura di sorveglianza soffre di grandissime carenze di personale - nessuno vuole fare il magistrato di sorveglianza - ed è sovraccarica di richieste che non riesce ad evadere. Mi sembra molto ingeneroso pensare che il magistrato di sorveglianza, che ha una responsabilità eguale a quella di tutti gli altri magistrati, voglia in qualche modo boicottare l'applicazione dell'articolo 41-bis per pressioni - si è fatto capire dal senatore Tripodi - in qualche modo politiche. Trovo tale affermazione assolutamente ingiusta, a meno che si provi che quanto ipotizzato sia effettivamente accaduto. Personalmente, dal momento che lo conosco da molti anni, non ritengo possibile che il dottor Margara assuma le sue decisioni sotto la spinta di condizionamenti politici. Peraltro, ho raccolto da vari magistrati di sorveglianza indicazioni circa le motivazioni ed il numero delle richieste che sono state accolte, in tutto o in parte. Per quanto ci ha detto il dottor Margara e soprattutto per quanto afferma la magistratura di sorveglianza di Ancona, molti dei ricorsi che sono stati accolti, e che mi pare siano in numero abbastanza limitato, lo sono stati per carenza di motivazione legittimante il provvedimento; gli altri riguardavano modifiche di scarsissimo spessore. Così come ha detto il dottor Margara, come leggo dal documento della magistratura di sorveglianza di Ancona e come mi pare di capire ritenga anche la magistratura di Sassari, è a causa della pochezza di documentazione ed anche di motivazione che, se è vero che ciascuno deve fare il proprio mestiere, inevitabilmente poi i decreti vengano revocati. E' vero che in quest'articolo c'è ambiguità, perché non si capisce se si tratti di un provvedimento solo amministrativo o anche giudiziario. Certamente, se ha entrambi questi caratteri, l'amministrazione deve rendersi conto che poi avrà una valutazione anche dalla magistratura, che ha le sue competenze e responsabilità. Peraltro, sempre i magistrati di sorveglianza di Ancona - che poi ascolteremo personalmente - fanno rilevare che gli spostamenti non derivano - come tutti sappiamo - dal magistrato di sorveglianza, ma lamentano di non esserne, talvolta, neppure avvisati. E' infatti il dipartimento amministrativo che dispone i trasferimenti: il magistrato di sorveglianza, così come i sostituti, segnala che a suo avviso una tal persona starebbe meglio in un istituto piuttosto che in un altro, ma, sostanzialmente, chi decide è l'amministrazione. Io non credo che per una malattia leggera o per il fatto di aver rivolto una parolaccia Pagina 516 all'agente di custodia qualcuno possa essere allontanato dall'Asinara; mi sembrerebbe incredibile che ciò avvenisse ma, d'altra parte, non sarebbe nella responsabilità della magistratura di sorveglianza, bensì in quella dell'amministrazione. Ho sentito con preoccupazione che per cause non attinenti ai processi - perché in questo caso non può farci niente nessuno - ma per motivi anche di scarsa rilevanza, addirittura per vedere i familiari - cosa che sappiamo essere vietata dall'articolo 41-bis-, è possibile spostarsi facilmente, anche andandosi a cercare - come si dice tendenziosamente - il magistrato di sorveglianza che accoglierà il reclamo. Dovrebbe, dunque, esserci maggiore oggettività in tutto questo e bisognerebbe stabilire quali siano le competenze e, di conseguenza, quali le responsabilità; nello spostamento di detenuti i magistrati di sorveglianza non c'entrano affatto e talvolta non sanno nemmeno che qualcuno è stato trasferito, perché la responsabilità di tale decisione è del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. D'altra parte, se viene sostenuta per due isole una spesa tanto forte, allora adoperiamole. Nel documento che ho davanti si fa presente che i detenuti sottoposti al regime del 41-bis sono ad Ascoli Piceno, a Fossombrone, ad Ancona ed a Pesaro; o le isole servono, ed allora li mettiamo tutti in un posto, o, come qui c'è scritto, con la creazione di una sezione apposita si determina gravissimo disagio per tutto il resto della popolazione carceraria (e soprattutto per i detenuti comuni, che vengono sottoposti a restrizioni alle quali, diversamente, non sarebbero sottoposti). Allora, decidiamo: o facciamo carceri speciali in ciascuna regione, oppure, visto che ci sono le strutture, adoperiamo le isole. Ma se continuiamo con questa situazione, adoperando parzialmente un po' tutte le strutture, ciò va effettivamente a gravare su tutto il sistema penitenziario, con disparità di trattamento che sono inevitabili se non si applica effettivamente il nostro intendimento, cioè quello che questo tipo di detenuti stia all'Asinara, a Pianosa o in altra isola tranne per il tempo necessario per le traduzioni. Peraltro, ho spesso verificato che vi è molta disattenzione - senza voler recriminare nei confronti di nessuno - da parte dell'amministrazione dei transiti. Bisogna verificare se un detenuto il cui processo si sia concluso rimanga o resti ancora: ci si accorge che a distanza di due mesi, senza che ve ne sia alcun motivo, sta ancora là. Capisco che nell'amministrazione penitenziaria ci sono tanti problemi, ma tra quelli che hanno priorità bisogna annoverare anche il problema della sicurezza, che è anche sicurezza interna, perché avere un certo soggetto in un istituto carcerario che non sia sufficientemente dotato di strumenti reca grave pregiudizio a tutti gli altri detenuti. Queste lentezze sono poco spiegabili e non dipendono né dai magistrati né dalla magistratura di sorveglianza; talvolta è il magistrato che si fa parte attiva per sapere come mai un detenuto non sia ancora stato portato via, ma questo non è di sua competenza e, considerata la quantità di compiti cui deve far fronte, può accadere che gli sfugga di effettuare tale controllo. Bisognerebbe, dunque, fare più chiarezza, in modo oggettivo e concreto, senza puntare l'indice contro nessuno né sospettare malafede o altro da parte di alcuno: bisognerebbe dividere le competenze, affinché ciascuno si attenga, poi, alle proprie ed abbia da parte degli altri il rispetto dell'autonomia delle stesse. RAFFAELE BERTONI. Ringrazio il presidente per quanto ha detto a proposito della magistratura di sorveglianza ed in particolare su Margara, che merita grande rispetto e che per una vita è stato detenuto fra i detenuti. PRESIDENTE. Tutti i magistrati di sorveglianza fanno una pessima vita, dovendosi sobbarcare un lavoro veramente ingrato. RAFFAELE BERTONI. Nessuno vuole farlo e chi fa il magistrato di sorveglianza resta sotto il peso del suo lavoro, che la gente non conosce. Per questo la ringrazio, presidente, per tutti i colleghi e per Margara Pagina 517 in particolare. E' importante che il presidente della Commissione antimafia renda una simile dichiarazione. PRESIDENTE. E' un dovere. Solo conoscendo la situazione dal di dentro si sa cosa abbiano fatto sia Margara sia gli altri. Ritengo, infatti, che non si debba mettere in dubbio nessuno, se non c'è un motivo concreto per farlo. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Abbiamo nominato i magistrati di sorveglianza che hanno inciso nel nostro discorso, ma lungi da noi... PRESIDENTE. C'è stata questa deviazione riguardo alla quale, per rispetto, ho ritenuto opportuno fare una precisazione. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Anzi, abbiamo parlato di correggere la permanente competenza dei soliti quattro o cinque, che poi sono delle vittime, come lo è il povero Margara. Credo di interpretare il pensiero di tutti nel dire che il nostro intendimento non era questo. Le traduzioni che avvengono su nostra iniziativa - quelle disciplinari, oppure quelle disposte per andare incontro ad esigenze del detenuto - riguardano il detenuto definitivo. Della partenza di alcuni detenuti a volte non sappiamo nulla, perché essa può dipendere dal fatto che sono chiamati da questo o quel giudice. La corte d'assise di Palmi, ad esempio, si riunisce improvvisamente ed il presidente fa la citazione, passandola a noi che la trasmettiamo ai carabinieri. Eventuali lentezze dipendono dal fatto che i carabinieri hanno, a loro volta, un lavoro tale... RAFFAELE BERTONI. Quando la polizia penitenziaria sostituirà i carabinieri nelle traduzioni, come la legge prevede, la situazione potrà essere diversa. ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Come ho già detto, quella per le traduzioni è una struttura enorme e, se dovrà essere assunta dalla nostra amministrazione, questa dovrà essere pronta in tutto e per tutto. Non è uno scherzo! Vi sono detenuti che rappresentano un pericolo, quelli che si devono presentare davanti al magistrato, quelli da ricoverare in centri clinici per essere sottoposti a cure mediche, quelli trasferiti temporaneamente per avere dei colloqui: è un lavoro enorme. Senza contraddire il presidente, dico che la nostra parte di responsabilità l'abbiamo, ma, in realtà, concorrono tante cose perché - torno a dirlo, onorevole Del Prete - nel nostro mondo ci sono, purtroppo, troppe competenze e troppe mani. Forse, che queste mani siano molte è bene per la chiarezza, ma ciò dà luogo a tanti malintesi e disguidi. PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Capriotti per l'audizione che si è testé con- clusa e per i documenti che, se ritiene opportuno, potrà lasciare alla Commissione. Poiché giovedì mattina sono previste votazioni al Senato, la Commissione è convocata giovedì 3 novembre, alle 16, per proseguire nell'audizione dei giudici di sorveglianza. La seduta termina alle 14,10. |
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