Parenti: seduta 19
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Pagina 519 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI INDICE Pag. Audizione della dottoressa Antonella Giuliana Magnavita, magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro: Parenti Tiziana, Presidente................ 521, 522, 523 524 525, 526, 527, 529 Magnavita Antonella Giuliana, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro............ 521, 522 523, 524 525, 526, 527, 528, 529 Peruzzotti Luigi .................................... 529 Ramponi Luigi ........................................ 528 Rossi Luigi ............................... 526, 527, 528 Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli, dottor Salvatore Iovino: Parenti Tiziana, Presidente &&P 529, 531, 533,534 535, 537, 539,540 Iovino Salvatore, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli ...................... 529, 531, 533 534, 535, 536, 537, 538, 539, 540 Peruzzotti Luigi ............................... 539, 540 Scopelliti Francesca ............ 535, 537, 538, 539, 540 Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, dottor Antonio Maci: Parenti Tiziana, Presidente .................... 540, 544 545, 546, 547 Maci Antonio, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano ........................................ 540, 544 545, 546, 547 Scopelliti Francesca ....................... 545, 546, 547 Pagina 520 Pagina 521 La seduta comincia alle 16,15. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione della dottoressa Antonella Giuliana Magnavita, magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della dottoressa Antonella Giuliana Magnavita, magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. La dottoressa Magnavita è stata convocata per essere ascoltata sui problemi incontrati dal tribunale di sorveglianza di Catanzaro sull'attuazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, sulle problematiche che eventualmente si sono aperte, quindi in definitiva sull'attuale situazione dell'applicazione dell'articolo 41-bis. Do subito la parola alla dottoressa Magnavita. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Partirò dalla sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 1993 che, pur dichiarando infondata la questione di incostituzionalità che era stata proposta con più ordinanze dal tribunale di sorveglianza di Ancona, ha però dato delle direttive, ha fatto delle affermazioni di principio molto utili - almeno a parere del mio tribunale - per la risoluzione o comunque per la lettura dei decreti ministeriali che all'epoca erano stati emanati. Ho portato il testo di taluni provvedimenti (la cui lettura forse potrà essere utile), alcuni dei quali peraltro sono stati impugnati (è stato proposto ricorso per Cassazione) da parte della procura generale di Catanzaro. Proprio in questi giorni abbiamo avuto notizia che in data 27 ottobre scorso la suprema Corte ha rigettato il reclamo della procura. Naturalmente non abbiamo ancora la motivazione, essendo troppo presto, ma possiamo presumere legittimamente che la Corte abbia comunque condiviso, per lo meno in parte, le nostre considerazioni. Con la pronuncia di cui parlavo prima da parte della Corte costituzionale si è detto in particolare (si tratta di quella che noi abbiamo ritenuto traccia fondamentale) che la tutela costituzionale dei diritti fondamentali dell'uomo, ed in particolare la garanzia dell'inviolabilità della libertà personale, sancita dall'articolo 13 della Costituzione, opera anche nei confronti di chi è stato sottoposto a legittime restrizioni della libertà personale durante la fase esecutiva della pena e che la sanzione detentiva non può comportare una totale ed assoluta privazione della libertà della persona. La Corte costituzionale ha poi asserito che "l'adozione di eventuali provvedimenti suscettibili di introdurre ulteriori restrizioni di tale ambito, o che comunque comportino una sostanziale modificazione del grado di privazione della libertà personale, può avvenire soltanto con le garanzie (riserva di legge, riserva di giurisdizione) espressamente previste dall'articolo 13, secondo comma, della Costituzione. "Il potere di coazione personale di cui lo Stato è titolare al fine della difesa dei cittadini e dell'ordinamento giuridico, che durante l'espiazione della pena comporta l'assoggettamento alle regole previste dall'ordinamento penitenziario, trova pertanto limite nei diritti inviolabili Pagina 522 dell'uomo, tra cui quello della libertà personale, la cui limitazione o soppressione può avvenire esclusivamente nei casi e nei modi previsti dalla Costituzione e dalla legge". "Spetta, in sostanza, di regola all'amministrazione, e dunque al ministro di grazia e giustizia, anche se sotto vigilanza del magistrato di sorveglianza, o con possibilità di reclamo al tribunale di sorveglianza, l'applicazione delle modalità di trattamento, la determinazione di regole e di istituti secondo le previsioni dell'ordinamento penitenziario, che si riferiscono al regime di detenzione in senso stretto, salva sempre la facoltà di stabilire un regime differenziato in relazione a specifiche esigenze di rieducazione del ristretto, ad esigenze di ordine e di sicurezza interna dell'istituto carcerario". Preciso che questo di cui ho dato lettura non è il testo integrale della sentenza, bensì il tenore della nostra decisione. La Corte costituzionale, avendo ritenuto che il fatidico articolo 41-bis, secondo comma, pur essendo certamente di non felice formulazione, non consente comunque l'adozione di provvedimenti suscettibili di incidere sul grado di libertà personale del detenuto, quindi non viola l'articolo 13 della Costituzione, non ne ha dichiarato l'illegittimità. Ha però definito a chiare lettere alcuni principi: posto che il secondo comma dell'articolo 41-bis non consente l'adozione di provvedimenti suscettibili di incidere sul grado di libertà personale del detenuto, deve ritenersi implicito, anche in assenza di una previsione espressa nella norma, ma sulla base dei principi generali dell'ordinamento, che i provvedimenti ministeriali debbano comunque recare una puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono rivolti, in modo da consentire poi all'interessato una effettiva tutela giurisdizionale, che non possano disporre trattamenti contrari al senso di umanità ed infine che debbano dar conto dei motivi di una eventuale deroga del trattamento rispetto alle finalità rieducative della pena. Seguendo pertanto questa utile traccia che ci è stata fornita dalla Corte costituzionale, il tribunale di sorveglianza di Catanzaro, pur considerando naturalmente indiscutibili le motivazioni di ordine pubblico e di emergenza che viviamo ormai da qualche anno a questa parte (o forse anche da più tempo), ritiene che indubbiamente il provvedimento ministeriale, proprio perché fonte di eccezionale imposizione, di limitazione della libertà, per i generali principi sopraddetti, debba essere necessariamente fondato su particolareggiate argomentazioni, che, dopo una valutazione di circostanze rilevanti in ambito nazionale, debbano poi riferirsi nello specifico al singolo detenuto destinatario dell'intervento amministrativo, e non solo cumulativamente ad un numero notevole di ristretti. Vorrei precisare che i vari decreti che nel tempo sono stati emanati dal ministro hanno avuto diverse fasi, seppure a volte differenziate da pochi particolari. In una prima fase l'emissione è stata molto abbondante, riguardava moltissimi detenuti; non saprei indicare la cifra, ma erano certamente oltre il migliaio. Forse era stato fatto un lavoro affrettato, tant'è che il tribunale di sorveglianza di Catanzaro purtroppo, a volte, ha dovuto rilevare l'emissione di questi decreti anche in casi non consentiti, cioè in casi di detenuti imputati o condannati per reati che non erano compresi nell'articolo 41-bis. Successivamente il campo d'azione dei decreti è stato ristretto ad un minor numero di detenuti... PRESIDENTE. E' stato ristretto perché è stata maggiormente applicata la normativa, è stata fatta una cosa più meditata? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sì, credo che abbiano preso atto delle varie pronunce dei vari tribunali e quindi abbiano limitato l'emanazione dei decreti ai casi più eclatanti. Questa che io definirei la seconda fase, la seconda tornata di decreti, presentava come caratteristica - messa appunto in rilievo dal tribunale di Catanzaro - quella di avere una motivazione in ciclostile, Pagina 523 uguale per tutti e riguardante un numero indeterminato o comunque sempre notevole di imputati o di condannati, in genere dei maxi processi; era lo stesso decreto applicato a decine e decine di imputati. Abbiamo quindi ritenuto che un qualche elemento in più di motivazione specifica dovesse esserci. Preso atto evidentemente delle prime decisioni in questo senso, i decreti ministeriali della seconda fase effettivamente contenevano qualcosa in più, cioè dei richiami, seppure generici, a note provenienti da varie autorità di polizia, a vari livelli. Però abbiamo ritenuto anche questo non sufficiente; perché non può essere ritenuto sufficiente il semplice richiamo a segnalazioni e comunicazioni di una o più autorità giudiziarie o di polizia, non meglio precisate nel loro contenuto e nella loro portata, ma nonostante la loro astrattezza, elevate a parte integrante della discussa motivazione. Inammissibile, invero, risulta una motivazione per relationem, ove nel contempo non venga reso disponibile pure l'atto cui si faccia riferimento, nel caso specifico, atto interno all'amministrazione e non altrimenti reso pubblico o noto a questo giudice. Tanto meno la semplice valutazione del titolo di detenzione, se costituisce il presupposto primo per l'adozione del regime stesso, può però nello stesso tempo esserne nella sostanza unico fondamento per presunzione, con metodo inammissibile nel vigente sistema legislativo. Alla base delle consentite facoltative restrizioni del trattamento carcerario, espressione del potere discrezionale della pubblica amministrazione, deve sempre sussistere un contemperamento tra potestà punitiva, tutela della sicurezza pubblica e diritti soggettivi inviolabili oltre certi limiti, contemperamento del quale deve essere reso esatto conto. In realtà, all'epoca ritenevamo che l'esame da parte del giudice della fondatezza dell'adottato regime risultasse impedito e pregiudicato dai sottolineati difetti del deliberato ministeriale; ritenevamo quindi illegittimo il decreto per violazione di legge, in quanto viziato per carenza di motivazione, e ne disponevamo pertanto la disapplicazione. Peraltro, in alcuni casi specifici avevamo anche istruito ulteriormente la pratica, richiedendo le note che venivano richiamate nel decreto, ma anche queste note apparivano, a nostro avviso, insufficienti e generiche per motivare adeguatamente l'imposizione di questi ulteriori limiti al trattamento carcerario. PRESIDENTE. Quindi erano stati accolti i reclami? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Per lo meno per due dei casi che ho citato, abbiamo avuto in questi giorni notizia che, con pronuncia del 27 ottobre scorso, la suprema Corte ha rigettato il ricorso della procura generale. Aspettiamo la motivazione. Comunque, sensibili a quelle che sono le indubitabili esigenze di tutela e di sicurezza, abbiamo voluto approfondire ulteriormente l'istruzione dei reclami che ci sono stati presentati. Infatti, nel giugno 1994 (penso sia una delle ultime o forse l'ultima decisione in materia, si tratta del caso di Francesco Santapaola) con una motivazione che è entrata nel dettaglio, nel merito delle accuse, degli elementi di prova, acquisendo l'ordinanza di custodia cautelare abbiamo rigettato il reclamo. Con ciò intendo dire che il tribunale non ha impostato il suo operato nel senso di accogliere in tutti i casi il reclamo: a volte siamo riusciti ad acquisire elementi sufficienti, seppure sopperendo a quelle che indubbiamente sono delle carenze, e certo si noterà che le decisioni hanno composizioni anche diverse. Quindi abbiamo assunto varie possibilità. PRESIDENTE. E' nella competenza dei giudici di sorveglianza chiedere... ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Io ho sostenuto questo. Ovviamente vi sono altri tribunali che hanno sostenuto il contrario, in particolare quello di Perugia; anche essi hanno provveduto ad un'istruzione molto approfondita. Pagina 524 Al di fuori dei reclami presentati al tribunale di sorveglianza (attualmente non me ne risultano altri pendenti), le decisioni di cui ho parlato finora si riferiscono a decreti la cui efficacia terminava grosso modo a fine luglio scorso. Mi risulta però, per averlo accertato al di fuori dei reclami presentati a noi, che più recentemente sono stati emessi altri decreti, a firma del ministro Biondi, questa volta - devo dire - rispetto a quella che era precedentemente la formulazione di massa adeguatamente motivati. Ho qui la copia che riguarda Di Maggio Procopio, motivata nello specifico su elementi di fatto e di prova, su indizi. Anche le note della polizia o di altre autorità che accertavano la pericolosità dei detenuti sono richiamate in maniera specifica. Direi, quindi, che è stato compiuto un grosso passo avanti; evidentemente avranno tenuto conto dell'esito di queste procedure. Poi si dovrà eventualmente verificare nel merito se le varie limitazioni possano essere ritenute lesive o meno di diritti fondamentali. PRESIDENTE. Quanti decreti nuovi sono stati emanati per quanto riguarda Catanzaro? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Per quanto mi risulta, nessuno. Quanto ho esposto l'ho acquisito al di fuori. Non ho avuto il tempo di fare una ricerca più approfondita. L'istituto di Catanzaro ha senz'altro una sezione di detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis, però non so se, dopo la scadenza, alcuni decreti siano stati rinnovati nei confronti di detenuti. E' una ricerca che farò senz'altro con più calma, perché non ho avuto il tempo materiale. PRESIDENTE. Vorremmo sapere se siano intervenuti ancora decreti, quanti di quelli scaduti siano stati rinnovati, quanti riguardino detenuti che si trovano a Catanzaro istituzionalmente o in attesa di processo. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Probabilmente sono molto diminuiti, perché molti dei detenuti che all'epoca proposero reclamo erano da noi solamente per motivi di giustizia; hanno proposto il reclamo, nel momento della notifica, dove si trovavano, quindi a Catanzaro, poi sono stati trasferiti nei rispettivi istituti di assegnazione. E' pertanto probabile che per questo motivo siano notevolmente diminuiti. PRESIDENTE. A Catanzaro è prevista proprio una sezione apposita? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Vi è una parte dell'istituto, aperta abbastanza recentemente, in cui si trovano celle che ospitano questi detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis; però, ripeto, non so quanti ve ne siano attualmente. Diciamo che noi, come organo giurisdizionale, ci siamo attenuti al principio della motivazione, che ci sembra irrinunciabile: nel limitare ulteriormente la libertà della persona, una motivazione ci deve essere, e deve essere personalizzata, cioè deve rendere conto dei motivi per cui si fa eccezione ad uno scopo educativo e comunque ad un livello minimo di trattamento. Essendo noi organo di controllo giurisdizionale, sia pure in un ambito di discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria, non possiamo fare a meno di tener conto di alcune esigenze irrinunciabili. PRESIDENTE. Per quanto riguarda invece gli altri aspetti limitativi che sono compresi nei decreti? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Ripeto che, a parte il problema iniziale, noi non siamo andati nello specifico. Vi era un unico punto che la Corte costituzionale ha ritenuto lesivo di principi costituzionali, quello del visto sulla corrispondenza: esiste una riserva di giurisdizione per il magistrato di sorveglianza, il quale deve disporre il visto; Pagina 525 in origine questi decreti delegavano il visto sulla corrispondenza direttamente al direttore o al suo delegato, ma preso atto della decisione della Corte costituzionale, che in merito è stata esplicita, tale disposizione è stata subito revocata. Ho esaminato rapidamente queste ultime limitazioni. Nell'esprimere un parere al riguardo parlo a titolo personale, perché il tribunale non ha avuto modo di pronunciarsi su questi punti in quanto, avendo ritenuto pregiudiziale la carenza di motivazioni, non è entrato nello specifico delle varie limitazioni. In linea di massima, ritengo che le limitazioni determinate di recente risultino abbastanza adeguate, ma ripeto che si tratta di un'impressione personale. PRESIDENTE. Quanti reclami sono stati avanzati sia per la revoca che per la modifica dei provvedimenti adottati? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Credo che, per quanto riguarda la modifica dei provvedimenti, non sia stato presentato alcun reclamo, almeno stando a quello che mi risulta. Vi è stato un reclamo rigettato, ma la vicenda risale comunque all'epoca in cui la materia era, diciamo così, poco matura. Inoltre, si sono verificate situazioni per le quali è stato riscontrato un equivoco, nel senso cioè che le misure sono state inflitte a soggetti imputati per reati non riconducibili alla specifica normativa. Per il resto, dopo che è stato presentato il primo reclamo che ha avuto un certo esito, tutti si sono ispirati ad un criterio di critica totale, alla radice, di tutto il decreto. In definitiva, non credo vi siano state lagnanze specifiche, almeno per quanto riguarda il nostro tribunale. PRESIDENTE. Può dirci quanti decreti sono stati emanati e quanti di essi sono stati rigettati? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Mi riservo di informarvi su questo punto. Ripeto: non ho avuto il tempo materiale per poter approfondire determinati aspetti. Ho con me alcune fotocopie dalle quali risultano le motivazioni di decisioni adottate, che credo possano risultare utili per voi. PRESIDENTE. Sì, certo, si tratta comunque di documenti interessanti. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Non so se questa sia la sede per formulare qualche considerazione a livello di proposte. PRESIDENTE. Sì, certo. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Anche in questo caso, parlo a titolo personale, basandomi sulle impressioni che ho ricavato nel corso della mia esperienza. Come dicevo prima, l'ultima tipologia di decreti appare senz'altro più motivata ed apprezzabile e, quindi, molto più adeguata rispetto a quella precedente. Non sarebbe comunque inopportuno un intervento legislativo che specificasse meglio i limiti da tenere presenti, magari con riferimento ai limiti massimi oltre i quali non si deve andare. Ciò non tanto per vincolare la discrezionalità della pubblica amministrazione quanto, piuttosto... Noi continueremmo ad essere un organo di controllo giurisdizionale, ma non sarebbe inopportuno - ripeto - fissare limiti, così come sono previsti nell'ordinamento penitenziario con riguardo a ciascuna voce relativa al trattamento riservato al detenuto. E', questa, una proposta che lancio in questa sede, anche se mi rendo conto che è molto vaga, per attirare la vostra attenzione sull'opportunità di determinare limiti massimi o minimi, tanto per rendere più chiara la normativa. Debbo dire che ho molta fiducia e spero molto nella pronuncia della Corte di cassazione in merito ai ricorsi proposti dalla procura generale di Catanzaro. Spero che la pronuncia della Corte possa essere illuminante e che possa costituire un grande aiuto anche al fine di strutturare eventuali nuovi interventi legislativi. Pagina 526 Credo che, nelle more, i decreti siano tutti decaduti, per cui la pronuncia della Cassazione è intervenuta dopo che i termini di proroga erano spirati ed il fatto che non abbia dichiarato il non luogo a procedere mi induce a ritenere che la motivazione adottata possa risultare utile. PRESIDENTE. I detenuti sottoposti a regime speciale erano del luogo? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Non credo che i locali fossero molti. Per lo più, si trattava di detenuti di passaggio ristretti in altri istituti penitenziari. PRESIDENTE. Quanti erano quelli che lei ha definito "detenuti di passaggio"? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sinceramente, non sono preparata a rispondere sugli aspetti numerici. PRESIDENTE. Sarebbe molto interessante acquisire questo dato, con riguardo alla provenienza ed alla destinazione successiva dei detenuti. Il direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria ci ha riferito che spesso i detenuti sottoposti al particolare regime dell'articolo 41-bis chiedono di essere trasferiti in istituti di pena più vicini al luogo di residenza dei propri familiari. Si tratterebbe di sapere se sia concretizzabile una tale possibilità oppure se gli spostamenti possano avvenire soltanto in funzione dei luoghi dello svolgimento dei processi. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Mi sembra difficile, comunque non dipende da noi; noi non abbiamo competenze per quanto riguarda il trasferimento dei detenuti. Ripeto: ricordo che molti dei reclami sono stati proposti da detenuti assegnati ad altri istituti, i quali si trovavano da noi di passaggio o per lo svolgimento di colloqui. Non sono in grado di fornire dati numerici precisi, che tuttavia mi riservo di comunicare alla Commissione. PRESIDENTE. Si sono verificati problemi nel corso dei processi, magari a seguito della non applicazione dell'articolo 41-bis in carcere o anche fuori? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. No, non mi consta. PRESIDENTE. Cosa può dirci con riguardo alla possibilità di colloqui con esterni o con altri detenuti? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Non mi risulta, assolutamente, almeno stando a ciò che riguarda la nostra competenza. LUIGI ROSSI. Desidero chiedere al magistrato se sia al corrente che l'applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario sta suscitando notevoli discussioni. Per quanto mi riguarda, considero tale disposizione necessaria per combattere la criminalità organizzata. Sono rimasto perplesso, nel leggere alcune riviste giuridiche, quando ho appreso che alcuni magistrati hanno espresso perplessità ed hanno richiamato l'articolo 13 della Costituzione, nel quale è sancito il principio della inviolabilità della libertà personale. Anche sulla base dei miei studi, che ormai risalgono a molto tempo fa (si trattava, in particolare, della scuola positiva e, all'epoca, il mio maestro era Rocco), ritengo che effettivamente esistano individui di particolare pericolosità, rispetto ai quali la società deve difendersi. Ne consegue che il garantismo eccessivo espresso anche dai nostri codici deve essere revisionato. Chiedo a lei, come magistrato - e, quindi, come esperta della situazione (dal momento che lei viene da Catanzaro, dove mi pare che funzioni la 'ndrangheta) - se ritenga che l'articolo 41-bis possa essere, anche agli effetti di quelli che sono i principi fondamentali del diritto e della scuola positiva (della quale sono un assertore), uno strumento idoneo ad incidere sulla diminuzione Pagina 527 della criminalità oppure se pensi, come mi pare di aver intuito dal suo intervento, che tale disposizione sia in contrasto con l'articolo 13 della Costituzione. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Forse mi sono spiegata male. Sono convinta che il fenomeno debba essere arginato e che i soggetti che possono costituire un pericolo per la società debbano essere isolati nei loro contatti con l'esterno o con altri detenuti. Ripeto: forse mi sono spiegata male. Noi, come tribunale, ci siamo pregiudizialmente concentrati su un discorso prettamente giuridico: come organo di controllo giurisdizionale, abbiamo ritenuto che un provvedimento della pubblica amministrazione che limita ulteriormente una situazione che, per sua stessa definizione, è già di per sé limitante della libertà del detenuto, dovesse essere motivata in maniera tale da diventare indiscutibile. Sulla bontà dello scopo che si prefigge l'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario non ho alcuno dubbio. Si tratta di un aspetto che non mettiamo in discussione. E' probabile che non sia riuscita a chiarire questa posizione perché ho letto solo parzialmente il testo del nostro provvedimento. Il fatto che l'articolo 41-bis possa avere una sua validità ai fini della lotta alla criminalità e dell'isolamento di certi soggetti non lo abbiamo mai messo in dubbio. Superato il problema prettamente giuridico, rappresentato dalla necessità di motivare un provvedimento che limita diritti costituzionalmente garantiti... PRESIDENTE. Chiedete, insomma, di poter svolgere il vostro lavoro e di poter essere posti nelle condizioni di attendere al vostro compito istituzionale. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sì. LUIGI ROSSI. In sostanza, lei è favorevole al mantenimento dell'articolo 41-bis oppure no? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Sono favorevole, nei limiti garantiti dalla Costituzione sotto il profilo sia formale che sostanziale. LUIGI ROSSI. Non ritiene che la nostra Costituzione, considerato che rappresenta una risposta allo stato di costrizione del periodo fascista, sia troppo garantista e che questo carattere contribuisca all'incremento della criminalità? PRESIDENTE. Non mi pare che la Costituzione sia in discussione! LUIGI ROSSI. Scusi, ma fra l'articolo 41-bis e l'articolo 13 della Costituzione c'è un collegamento! PRESIDENTE. La dottoressa Magnavita non può esprimere un parere personale sulla Costituzione. LUIGI ROSSI. Ma io non ho chiesto questo! Io ho semplicemente domandato se, come magistrato, ritiene che... PRESIDENTE. Il magistrato è obbligato a rispettare le leggi della Repubblica e, prima di tutto, la Costituzione. LUIGI ROSSI. Ho chiesto solo se non ritenga che i nostri codici penale e di procedura penale siano troppo garantisti. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Mi sta chiedendo un'opinione personale? LUIGI ROSSI. Sì. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Forse, non è questa l'occasione... PRESIDENTE. Non mi pare il caso. LUIGI ROSSI. Se nella Commissione antimafia noi non poniamo i problemi che avvertiamo in merito al rapporto tra il legislativo e la magistratura, è chiaro e logico che la nostra funzione non viene... Io Pagina 528 ho posto una domanda e ho chiesto semplicemente se oggi non vi sia un eccessivo garantismo. Questo ho chiesto! ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Il problema meriterebbe un approfondimento diverso, da svolgersi, probabilmente, non in questa sede. Non me la sento, ora, di esprimere un'opinione personale. Io mi limito ad applicare i principi di legge. LUIGI ROSSI. Ne prendo atto. LUIGI RAMPONI. Vorrei sapere, dottoressa Magnavita, se i ricorsi ai quali ha fatto riferimento riguardino le modalità del regime al quale i detenuti erano stati sottoposti oppure l'applicabilità della norma. In sostanza, vorrei sapere se venga eccepita l'esclusione dall'applicazione della normativa, non essendo i reati commessi riconducibili alle norme che tutti conosciamo, oppure se si entri nel merito dell'applicabilità, cioè del rigore della disposizione (per esempio, sostenendo che una sola occasione di incontro al mese con i propri familiari non è sufficiente). ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Per entrambi i motivi. LUIGI RAMPONI. Si riscontra anche un sostanziale equilibrio, sotto il profilo percentuale, tra le due ipotesi? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Va considerato che molti dei reclami presentati sono predisposti dallo stesso detenuto, per cui risultano non bene impostati sotto il profilo tecnico. Nella maggior parte dei casi, chi propone il reclamo sostiene di non essere pericoloso ed eccepisce l'eccessivo carattere limitativo della restrizione. LUIGI RAMPONI. Se è vero che non si creano problemi per la prima forma di reclamo, cioè quella che sostiene la non pericolosità, vorrei sapere in che modo vi regoliate con riguardo alla seconda. Di fronte al ricorso di un soggetto che è indiscutibilmente sottoponibile alla normativa e che eccepisca l'insufficienza di un solo incontro mensile con i propri familiari (chiedendone, per esempio, almeno quattro), in che modo vi regolate, in che modo esprimete un giudizio? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Questo è il lato difficile del nostro compito, anche perché qualcuno sostiene che, forse, il magistrato di sorveglianza è il giudice più potente di tutti quelli previsti dal nostro ordinamento, dal momento che ha il potere di incidere sull'esecuzione, quindi su una pena che dovrebbe essere definitiva ma che spesso in concreto non lo è. Vi è tutto il discorso sulla nostra discrezionalità. Come dicevo prima, non abbiamo affrontato il problema nello specifico, perché ci siamo fermati, per così dire, a monte, ma presumo che effettueremmo una valutazione caso per caso. Con riferimento, per esempio, alle due ore d'aria giornaliere e non di più, a motivi di salute e così via, procederemmo ad una valutazione nello specifico. In generale, ritengo che ulteriori limitazioni possano essere considerate valide e giustificate proprio in virtù dell'esigenza di limitare al massimo le occasioni di contatto con l'esterno. Ho dato una risposta generica perché è molto difficile... LUIGI RAMPONI. E' effettivamente difficile: se, per esempio, si fa riferimento ad esigenze di salute, è evidente che non ha alcun senso il fatto che una persona possa respirare per due ore e un'altra per una sola ora a seconda della pericolosità; lo stesso vale per gli incontri con le famiglie. Quindi, mi rendo conto della difficoltà della situazione. ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. In concreto il discorso Pagina 529 è molto difficile, come lo è in generale nella materia del trattamento; tra l'altro, il magistrato di sorveglianza decide sui reclami relativi ai provvedimenti del direttore e dell'amministrazione penitenziaria in genere. Anche in questo campo il discorso è molto delicato, per cui deve intervenire l'equilibrio del collegio o del magistrato e comunque si deve procedere ad una valutazione caso per caso, personalizzata. In linea di massima, non metto in discussione la bontà degli scopi di questa normativa. PRESIDENTE. L'applicazione concreta è sempre difficile. Visto dall'esterno, sembra tutto facile, ma quando ci si trova ad applicare la normativa nascono tutti i problemi. LUIGI PERUZZOTTI. Le leggo uno stralcio di un rapporto dei carabinieri, datato 7 ottobre 1994, relativo ad un sequestro di armi effettuato in provincia di Catania, in cui figura il seguente elenco: 10 mitragliette, un mitra, 3 MAB, 18 fucili da caccia, un fucile Winchester, 2 moschetti, 17 pistole, ingente quantitativo di munizioni, 6 ricetrasmittenti sintonizzabili sulle frequenze delle forze di polizia, 3 bombe a mano, 1,2 chilogrammi di esplosivo, 39 detonatori, 6 cannocchiali di precisione. Contro gente che usa le armi e le munizioni che ho elencato come noi usiamo il fazzoletto per soffiarci il naso, non crede che l'articolo 41-bis sia forse un po' troppo poco? ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. L'articolo 41-bis è una norma larga, che va specificata; probabilmente in un caso del genere non scatterebbe... LUIGI PERUZZOTTI. Però queste armi e munizioni vengono chiaramente usate per commettere reati. Quindi, a reato concluso, quando uno di questi signori andrà... ANTONELLA GIULIANA MAGNAVITA, Magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Comunque, al di là dell'articolo 41-bis, esiste nel nostro ordinamento penitenziario la possibilità di prevedere un trattamento particolare per i detenuti pericolosi. E' quindi possibile graduare il trattamento. PRESIDENTE. La dottoressa Magnavita, che ringraziamo, potrà comunque inviarci in un momento successivo la documentazione relativa a ulteriori aspetti. Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli, dottor Salvatore Iovino. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli, dottor Salvatore Iovino. Tale audizione riguarda l'articolo 41-bis ed i problemi derivanti dalla sua applicazione dall'entrata in vigore ad oggi. Do la parola al dottor Iovino per la relazione illustrativa. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Non ho portato con me alcuna documentazione, ma farò pervenire alla Commissione tutti i dati che saranno ritenuti utili. Vorrei cominciare sottolineando che tutto quello che riguarda Napoli è sempre particolare: ovunque le carceri sono affollate, ma a Napoli vi è un affollamento peggiore che altrove; se la situazione nelle carceri di altre città è brutta, a Napoli è pessima. Abbiamo oltre 6 mila detenuti, 4.500 dei quali - più di due terzi - sono in attesa di giudizio; sono stati istituiti due nuovi tribunali, quelli di Nola e di Torre Annunziata, che non hanno carceri; in conclusione, vi è un numero di detenuti doppio rispetto ai posti disponibili. Tutto ciò evidentemente crea numerosi problemi in riferimento sia agli operatori sia ai detenuti. Per quanto riguarda gli operatori, si assiste ad un rifugio nell'azione custodiale (non si può parlare di trattamento poiché ci si deve preoccupare dell'attività primaria che è, appunto, la Pagina 530 custodia). In molti di essi, in particolar modo fra i giovani, vi è un'adesione al malumore popolare che considera la riforma penitenziaria una manifestazione di lassismo nei confronti della criminalità. In definitiva, all'interno del carcere si determina un blocco detenuti-amministrazione. Per quanto riguarda i detenuti, il primo inconveniente è rappresentato dal fatto che questa situazione danneggia i più deboli: non essendovi la possibilità di curare l'aspetto relativo al trattamento, i detenuti per reati bagattellari non possono usufruire delle misure alternative delle quali, invece, riesce a godere un detenuto per reati più gravi il quale, essendo condannato a una pena più lunga, ha il tempo di aspettare che vengano istruite le pratiche. Ciò crea promiscuità e, quel che è più grave, genera solidarietà nel carcere tra tutti i detenuti: con De Lorenzo è solidale anche il ladro di polli. Nel carcere si appianano quindi tutte le differenze di carattere sociale ed economico e, tranne che per i responsabili di violenza sessuale - che sono decisamente mal visti -, per quanto riguarda gli esecutori di altri reati in carcere sono tutti uguali. Questo favorisce anche l'aggregazione e l'emergere del carisma dei boss della malavita. A Napoli abbiamo vissuto purtroppo l'esperienza negativa della nuova camorra organizzata di Cutolo che si sviluppò proprio in carcere. Pandico, che poi è diventato il braccio destro di Cutolo, lo ha conosciuto in carcere e tutta la sua attività camorristica si è svolta esclusivamente in stato di detenzione. Il carcere, quindi, anziché frenare la delinquenza, finisce per diventare un centro di arruolamento; in un carcere come quello di Poggioreale, per esempio, dove da vent'anni vi sono problemi di sovraffollamento, questo diventa inevitabile: quando si è in venti o in trenta in una cella, non si discute dell'ultimo libro di Eco, ma probabilmente di come organizzare una rapina. In questo contesto, anche le limitazioni previste dall'articolo 41-bis, comma 2, che dovrebbero contrastare proprio l'affermazione della personalità dei delinquenti all'interno del carcere e la loro possibilità di comunicare con l'esterno, finiscono con il diventare velleitarie e qualche volta addirittura inutilmente rigorose. In alcuni casi, infatti, si potrebbe addirittura creare una solidarietà tra i mafiosi colpiti da questa norma, che perciò non riuscirebbe a raggiungere lo scopo che si prefigge. Ritengo che questa disposizione dovrebbe essere mantenuta e anzi diventare definitiva, però, secondo la mia esperienza, è necessario collegarla con l'articolo 14-bis, che prevede una sorveglianza particolare all'interno del carcere, perché solo così si riuscirà ad avere una graduazione delle norme a seconda della pericolosità del soggetto. Se si mette in una cella il detenuto che ha commesso una rapina o che commette abitualmente estorsioni con il giovane che ha commesso il reato di cui all'articolo 80 del codice della strada o con i detenuti per reati bagattellari (mi riferisco a quelli condannati ai famosi quattro mesi di reclusione per le musicassette false, ai contrabbandieri di sigarette, a quelli che vendono le borse con la griffe falsificata, a quelli che caricano il gas GPL delle bombole nelle macchine, eccetera; a tutte quelle persone che si arrangiano commettendo reati di poco conto, che poi consentono, purtroppo, a moltissime famiglie di vivere); se li mettiamo insieme con il delinquente più affermato - non necessariamente con il mafioso, ma con il rapinatore, con l'estorsore -, costoro finiscono per fare un salto di qualità, il che a volte diventa inevitabile. Noi siamo da una parte della barricata e forse notiamo alcune cose che ad altri sfuggono. Probabilmente, se un napoletano viene trovato a Milano o a Cuneo o nelle piccole città di provincia del nord a commettere un furto, sconta una pena che a Napoli non prende più neppure per una rapina. Pochi giorni fa è capitato il caso di un ragazzo che ha rubato una Cinquecento, che ha avuto una condanna a un anno e otto mesi di reclusione. Se questo ragazzo lo mettiamo in una cella dove ci sono i rapinatori, che prendono due anni e mezzo di reclusione, probabilmente la prossima volta non commetterà più un furto, ma andrà a fare direttamente una Pagina 531 rapina; non so se rendo l'idea. Quindi, secondo me, teniamo in piedi l'articolo 41-bis, perché mi sembra sia essenziale, però cerchiamo di collegarlo con l'articolo 14-bis che ci consente, attraverso la sorveglianza particolare, di introdurre una graduazione nel carcere. Ovviamente, tutto questo resta collegato al problema dei posti in carcere, che pare non ci siano. Ho l'impressione - devo dire la verità - che questo forse non sia il momento per sollevare la questione (anche se so che pendono davanti al Parlamento alcune proposte di legge per allargare le misure alternative), ma certamente 6 mila detenuti il carcere a Napoli non li può mantenere; bisogna vedere se vi sia la possibilità di prenderne una parte e di trasferirli sul territorio, attraverso le misure alternative. A questo punto, ovviamente, incorreremmo nelle ire di pubblica sicurezza e carabinieri, perché togliere centinaia di persone dal carcere significa portarle tra la popolazione e addossarne il controllo ai carabinieri. Ma questo è un problema politico, che ovviamente non posso risolvere né posso pretendere di farlo; è un problema che deve risolvere il Parlamento, che secondo me deve decidere se in Italia ci debbano essere 50, 60, 70 o 100 mila detenuti o se si debba tornare ai 30 mila di una volta. Questa è una scelta politica, che non compete a me o ad altri magistrati; però, credo che sia essenziale. Tenere 60 mila persone in una struttura che ne può ospitare solo 30 mila, evidentemente è una cosa che si può reggere per mesi, non può resistere per anni! Passo all'articolo 41-bis, comma 2, che interessa la Commissione. A Napoli, abbiamo pochissimi detenuti sottoposti al 41-bis, poco più di trenta: 32 o 33. Uno soltanto di questi ha assegnazione a Napoli, come sede. PRESIDENTE. Gli altri sono tutti di passaggio? SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Gli altri sono tutti di passaggio. Questi detenuti sono sempre di passaggio. Mi domando: ha un senso tenere al 41-bis- come si suol dire - un soggetto che per 10 mesi viaggia o sta a Napoli e per 2 mesi sta all'Asinara o a Pianosa, dove dovrebbe essere oggetto di determinate limitazioni? E' possibile che l'articolo 41-bis svolga la sua efficacia anche allorché il soggetto si trova fuori dal carcere di assegnazione? Finora sicuramente questo non è avvenuto: normalmente, i detenuti assegnati all'articolo 41-bis, cioè colpiti dal relativo decreto, venivano a Napoli in traduzioni collettive, magari erano alloggiati in celle collettive, venivano tenuti nelle camere di sicurezza dei tribunali unitamente a tanti altri. E' evidente che, arrivati a questo punto, per questi soggetti - che avevano la possibilità di parlare con decine di persone, magari compagni e amici di quartiere o di gang- limitare la possibilità di avere colloqui con la famiglia non aveva senso e non ha senso, secondo me. Ho visto, però, che ultimamente, da pochissimi giorni, è arrivata una circolare del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che ha preso in esame proprio questo problema e ha dato disposizioni ai direttori delle carceri di informare la scorta che il soggetto è sottoposto alle restrizioni dell'articolo 41-bis e quindi di effettuare traduzioni non collettive, ma singole. Tutto questo è possibile? Sarà possibile? E quante scorte ci vorranno per fare queste traduzioni? Anche nello stesso tribunale quando teniamo udienza la mattina magari abbiamo 40 o 50 detenuti; se ci fanno ricorso 10 di queste persone, ci vorranno 10 scorte speciali, ma non abbiamo le camere di sicurezza speciali per poterle tenere, non ci sono le celle singole per poter ospitare queste persone. Allora, il problema ritorna sempre, secondo me, al carcere perché, se il carcere metterà fuori i detenuti per reati bagattellari, allora potrà tenere con più cura e meglio quelli che meritano di restare in galera; mi sembra che il discorso alla fin fine potrebbe essere questo. Ci sono stati rivolti molti reclami avverso il 41-bis. Abbiamo applicato il principio dettato dalla sentenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto la nostra competenza in materia. Abbiamo avuto Pagina 532 circa 100 reclami; ne abbiamo accolti parzialmente 15, gli altri li abbiamo rigettati o dichiarati inammissibili. Perché abbiamo accolto questi 15 reclami? I primi perché il Ministero si riservava il visto sulla corrispondenza. Quello alla libertà della corrispondenza è un diritto costituzionalmente protetto; c'è bisogno di un provvedimento del giudice, tra l'altro motivato, per poterlo limitare. Lo ha ripetuto la Corte costituzionale nella sentenza con la quale respinse le eccezioni di illegittimità costituzionale dell'articolo 41-bis, rilevando che nella disposizione sicuramente non c'era il principio per cui l'amministrazione penitenziaria poteva controllare la corrispondenza. Allora, abbiamo accolto, limitatamente a questo problema del visto di corrispondenza, alcuni reclami, dicendo che il visto sulla corrispondenza spetta a noi e, in effetti, abbiamo poi accolto tutte le richieste di sottoposizione al visto della corrispondenza dei reclamanti (i provvedimenti emessi sono più o meno uguali a quelli reclamati; non ne abbiamo rigettato nessuno). Abbiamo poi dichiarato inapplicabili le limitazioni in ordine ad altre due questioni. La prima è quella dei colloqui. Il decreto stabilisce che le persone sottoposte a questo regime particolare non possono avere più di un colloquio al mese. Succedeva che si sommassero due limitazioni: quella di un colloquio al mese e quella di non più di due persone per colloquio. E' accaduto che un camorrista di Napoli, avendo 4 o 5 figli, per avere un colloquio con la moglie e i figli dovesse aspettare tre mesi. Abbiamo fatto presente che per lo meno il secondo limite non dovrebbe sussistere: quanto meno che abbia la possibilità di parlare con moglie e figli una volta al mese. Devo dire che l'amministrazione sul punto si è dimostrata sensibile e nei successivi decreti che ha emanato ha tenuto conto di questo nostro rilievo. L'ultima questione che abbiamo sollevato riguarda la biancheria. C'è la possibilità di inviare in carcere ai detenuti un solo pacco al mese che contenga biancheria, però con il limite di 5 chilogrammi. Ora, dato che l'amministrazione non riesce a fornire la biancheria (vestiti e altre cose del genere), specialmente nei cambi di stagione un pacco di 5 chili di biancheria finisce per essere del tutto insufficiente. Per la verità, abbiamo quasi rivolto un suggerimento all'amministrazione: dategli almeno la possibilità di cambiarsi i vestiti. Anche perché non riteniamo che cambiarsi una maglietta o un paio di calzini qualche volta in più possa influire sulla sicurezza degli istituti. Questo sostanzialmente è il nostro approccio all'articolo 41-bis. Però, se la presidente me lo consente, dovrei porre un problema alla Commissione; un problema che non è stato sollevato, ma che potrebbe scoppiare quanto prima. Si tratta del problema delle misure alternative ai pentiti e ai parenti dei pentiti che vengono protetti. Cos'è successo? I pentiti collaboratori della giustizia sicuramente danno una mano, sono utilissimi ai fini dell'accertamento dei reati. A queste persone è anche giusto dare un guiderdone, un compenso; però, non possiamo darlo noi, con le misure alternative. Mi spiego: la misura alternativa viene concessa in considerazione del trattamento di un soggetto; vediamo un soggetto che ha commesso un reato, facciamo (o dovremmo riuscire a fare) un'osservazione della sua personalità e, con la collaborazione degli educatori del carcere e con il servizio sociale, si può pensare di reimmetterlo nella società attraverso una misura alternativa. Quando ci dicono che possiamo immettere nella società i collaboratori di giustizia - e coloro che sono destinatari di un programma di protezione possono andare addirittura senza osservare alcun limite, in quanto a pena ed altro, per l'affidamento in prova al servizio sociale, eccetera - cosa succede? Succede che, se arriva la domanda di un signore che non è in carcere, ma in una struttura protetta, non lo conosciamo né abbiamo la possibilità di conoscerlo; possiamo forse vederlo se ci viene portato all'udienza. Non più di questo. Il centro di servizio sociale non può svolgere alcuna indagine. Non sappiamo dove andrà questo signore Pagina 533 né che cosa farà dopo né se manterrà ancora il cognome e il nome che ha. Dunque, questa forma alternativa di espiazione della pena, che non è il carcere, che avviene nel territorio e sotto il controllo del centro servizio sociale, del magistrato di sorveglianza, dei carabinieri, eccetera, non può essere attuata. Se si vuol dare un premio e soprattutto proteggere queste persone, bisogna seguire altre strade anziché utilizzare i criteri suddetti. A volte, ci siamo già trovati in difficoltà di fronte a persone che non conoscevamo perché, in quanto protette, stavano in una caserma dei carabinieri. In questi casi, nei confronti di costoro non potevamo fare assolutamente niente. Oltretutto, si tratta di provvedimenti giurisdizionali, per cui, anche se è probabile che il procuratore generale non ce li impugnerà, certo è che dobbiamo credere ciecamente a quanto ci riferiscono i pubblici ministeri o le forze dell'ordine che hanno in assistenza queste persone. E i provvedimenti che dobbiamo assumere in base a quanto ci viene detto, non sapremo mai come controllarli. A mio avviso, quindi, se si intende dare un premio, si deve prevedere un altro metodo, per esempio la grazia, il condono, eccetera, perché la strada delle misure alternative a me non sembra percorribile. Ciò che più è grave è che, nonostante l'accusa di lassismo che ci viene rivolta, in questo caso ci pioverà addosso l'accusa contraria, cioè di essere lassisti nei confronti dei delinquenti e restrittivi nei confronti dei collaboratori della giustizia. Già stiamo male così, non abbiamo bisogno di tirarci addosso un'altra accusa! PRESIDENTE. Come vi regolate in questi casi? SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Ultimamente, per esempio, una richiesta l'abbiamo rigettata. Lo abbiamo fatto perché verso le 13,30 o le 14, quando ormai l'udienza era chiusa, si è presentato, accompagnato dalle forze di polizia, un signore con un certificato medico dal quale risultava che aveva avuto un pregresso di ulcera duodenale. In circostanze simili, seguiamo la nostra giurisprudenza e, non avendo mai previsto la detenzione domiciliare per nessuno che soffrisse di ulcera duodenale, ovviamente non l'abbiamo fatto neanche in questo caso. Devo anche dire, in verità, che un sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia mi ha fatto subito presente che a favore di questo signore non avevamo previsto nulla. Va aggiunto, inoltre, che il signore in questione non era neanche un collaboratore, ma il familiare di un collaboratore da proteggere. Come magistrati di sorveglianza, per il collaboratore potremmo dire che disponiamo di un elemento di valutazione, cioè la sua rottura con la criminalità organizzata, la quale potrebbe essere intesa come una volontà di reinserimento sociale. Ma per il parente protetto non possiamo fare neanche questo discorso. Mi rendo conto che la procura della Repubblica abbia interesse a proteggere i parenti dei collaboratori, altrimenti essi non collaborano più, però pensare che si possano prevedere misure alternative, non solo per i collaboratori, ma anche per i loro parenti, a me sembra veramente impossibile, anche perché questi ultimi non li conosciamo né abbiamo la possibilità di controllarli prima o dopo. Chiedo scusa se sono andato fuori strada. PRESIDENTE. No, perché dobbiamo affrontare anche questo problema. Non avevamo mai affrontato la questione dal punto di vista dell'esecuzione della pena, nonostante i problemi comincino ad essere molti. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Sì, cominciano ad essere molti. Per usare una sorta di eufemismo, posso dire che finora siamo stati fortunati. Siamo stati sottratti a tutta questa problematica a seguito di un orientamento della Cassazione, che per la verità il tribunale di sorveglianza di Napoli non condivide, in base al quale è competente il foro di Roma per coloro che sono sottoposti al programma di protezione. Vi Pagina 534 è l'obbligo di elezione del domicilio, ma è una clausola che si usa nei contratti: evidentemente, nella parte contrattuale, il foro che si è voluto scegliere è quello di Roma. Per la parte penale, però, a mio avviso, il foro è quello stabilito dalle regole del codice di procedura penale, in quanto in quest'ultimo non vi è mai... PRESIDENTE. Non vi è mai una competenza territoriale esclusiva. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Sì, una competenza territoriale esclusiva e addirittura elettiva. La Cassazione ritiene che sia di competenza del foro di Roma perché la norma era stata interpretata estensivamente. Quindi, il problema si sta rovesciando, in buona parte, sul tribunale di sorveglianza di Roma, il che è meglio, per certi aspetti, perché se vi è un solo tribunale, non vi sono contrasti di giurisprudenza. PRESIDENTE. Invece, per i familiari protetti sono competenti tutti... SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Sono competenti tutti perché non hanno firmato il contratto... Non vi è l'obbligo di elezione del domicilio, per cui possiamo esserne interessati tutti. PRESIDENTE. Ritorniamo all'articolo 41-bis e alla situazione di Poggioreale, dove un detenuto è sottoposto al regime del 41-bis, mentre gli altri 30 sono invece di passaggio. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. No, uno è a Secondigliano. Gli altri sono tutti di passaggio. PRESIDENTE. Quanti sono stati in questi due anni? SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Secondo me, sono stati un centinaio, non di più. Non ho il dato preciso, ma credo siano stati un centinaio, sempre i soliti. Ho l'elenco di coloro che hanno proposto reclamo: in effetti, più o meno sono tutti camorristi arrestati nelle ultime tornate, circa un centinaio di persone. I provvedimenti nei loro confronti, notificati nel carcere in cui si trovavano (all'Asinara, a Spoleto, qualcuno a Cuneo, eccetera) li dichiaravamo poi inammissibili perché proposti fuori tempo. PRESIDENTE. Quindi, in questa situazione, le garanzie di effettiva applicazione dell'articolo 41-bis non ci sono. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Assolutamente no. A mio parere, l'articolo 41-bis vale se applicato, nei confronti di chi ne è colpito, 24 ore al giorno per tutto l'anno. Invece, ho l'impressione che negli otto, nove o dieci mesi all'anno in cui i soggetti sottoposti al suo regime girano per l'Italia, questi non siano sottoposti al regime dell'articolo 41-bis. Tra l'altro, di questo mi dà conferma l'ultima circolare - di pochi giorni fa - dell'amministrazione penitenziaria, la quale, evidentemente, a ciò non aveva fatto caso. PRESIDENTE. Ne avevamo parlato anche qui di questi problemi. Ma, per quanto riguarda la situazione del detenuto, la scorta... SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Normalmente, alle scorte viene dato un foglietto di accompagnamento con la fotografia, eccetera, ma adesso non vi è riportato neppure il reato. Si indica se quest'ultimo sia definitivo o meno. Se vi è la cartella biografica del carcere, gliela danno in busta chiusa da consegnare. Quindi, le scorte hanno un foglietto lungo... PRESIDENTE. Con la descrizione... che non deve comunicare... SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Ma è di adesso. Si tratta di una circolare del ministero, che mi è pervenuta il 21 ottobre... Pagina 535 PRESIDENTE. Però non credo che sia sempre stato così... SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Non era stato sempre così. Tant'è vero che feci presente quest'inconveniente già nel giugno o nel luglio scorso nel corso di un'audizione presso la Commissione giustizia della Camera. Nella circolare, pervenutami il 21 ottobre, è detto: "Il regime speciale, applicato ai sensi dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, prevede una serie di limitazioni che, per l'eventuale e completa attuazione, implicano, necessariamente, che i soggetti detenuti ad esso sottoposti non possano avere alcun tipo di contatti con i detenuti a regime ordinario. "Questa condizione primaria deve, ovviamente, essere rispettata in qualsiasi momento della vita detentiva, compresa la traduzione in udienza e quella da istituto a istituto, in modo tale che i detenuti sottoposti a regime speciale non vengano ad usufruire, nel corso della traduzione, durante la permanenza nelle aule di giustizia, di contatti di qualsiasi genere con altri, in deroga alle limitazioni previste dal trattamento penitenziale individuale". La circolare va benissimo, perché interpreta ciò che bisognerebbe fare. Mi chiedo se sia possibile farlo. Mi chiedo se abbiano gli uomini e locali per poterlo fare. Per esempio, quando arriva da noi qualche collaboratore di giustizia, se non vogliamo metterlo nella cella assieme ai detenuti normali, usiamo una stanza dei nostri uffici. Ma se un certo giorno dovessero arrivare cinque persone sottoposte all'articolo 41-bis, quante scorte dovrebbero essere utilizzate? Forse, dovremmo sfollare noi dai locali per tenerle separate le une dalle altre. PRESIDENTE. Durante il periodo di detenzione... SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Durante il periodo di detenzione, considerato che uno può fare lo scopino, l'altro può portare la spesa, eccetera, credo che contatti ve ne siano. L'articolo 41-bis rischia di essere inutilmente restrittivo. Se arrivano i camorristi e vengono appoggiati a Poggioreale, credo che da questo carcere essi facciano uscire tutte le notizie che vogliono. Essi hanno la possibilità di farlo. Pertanto, la limitazione del colloquio con la moglie è inutilmente punitiva. Ripeto, a me l'articolo 41-bis va benissimo e sarei del parere di lasciarlo definitivamente, magari calibrandolo meglio con l'articolo 14-bis. Potrebbe essere lasciato definitivamente nella nostra legge penitenziaria, perché non devono essere certo usati riguardi nei confronti del camorrista, però l'articolo 41-bis dovrebbe essere applicato seriamente. PRESIDENTE. Quindi, come si potrebbe fare, considerato che si parla di collegamenti a distanza, eccetera? SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Secondo me, soprattutto in grossi centri come Napoli, bisognerebbe creare padiglioni o reparti dove sia possibile applicare l'articolo 41-bis. Bisognerebbe poi individuare un sistema di collegamento fra la magistratura e il carcere ai fini delle udienze: bisognerebbe evitare i trasferimenti in collettività che frustrino l'applicazione dell'articolo 41-bis. Per esempio, che senso ha non far parlare con la moglie un soggetto che tutte le mattine incontra decine di persone per andare in carcere? PRESIDENTE. Certo, viene vanificata la norma. FRANCESCA SCOPELLITI. Mi permetto una battuta: secondo me, Poggioreale andrebbe proprio chiuso come carcere. Infatti, la situazione carceraria, che non è mai magnifica, a Napoli è il peggio del peggio, a Napoli rispecchia un degrado anche sociale. A proposito dei 6 mila detenuti di Poggioreale, mi piacerebbe sapere quanti siano napoletani. Non ho documenti alla mano per provare quanto dico, ma ho Pagina 536 l'impressione che, essendo Napoli una città dove la microcriminalità è molto diffusa, il carcere di Poggioreale sia uno dei pochi che ospiti criminali piccoli o grandi della stessa zona. Non vi è una deviazione su altre città. Napoli è una città decantata da tutti, meta di turisti e via dicendo, però non possiamo chiudere gli occhi davanti al suo degrado sociale, il quale peggiora con la situazione della giustizia - ahimè - e del carcere. Credo sia tutto concatenato: la situazione di Poggioreale è terribile, rispecchia il degrado sociale e provoca un difficile iter della giustizia. Allora, i 4.500 detenuti in attesa di giudizio, alcuni in attesa addirittura del primo giudizio, quanto tempo aspettano per essere processati e giudicati? Penso vi sia un turn over; o Poggioreale diventa esplosivo oppure questo turn over avviene a ritmi abbastanza rapidi. E' molto interessante la sua denuncia di questo grande cesto con mele più marce ed altre meno marce, dove le prime contaminano le seconde; proprio per questo dico che forse sarebbe necessario interrompere questo filo cancellando Poggioreale, che anche come struttura è fatiscente (la conosco, l'ho visitata e devo dire che non rispetta le garanzie di igiene e di vivibilità o un minimo dei diritti dell'uomo). In questo quadro, l'articolo 41-bis complica ulteriormente la situazione, perché è chiaro che manca la struttura per poterlo applicare. Non solo (anche qui parlo senza documenti alla mano), ma essendo Napoli - e questo per le cronache che abbiamo più volte sentito e letto - una città che, ahimè, vive sulle forme clientelari, nel carcere le pressioni dei boss mafiosi, di quelli che contano, diventano più incisive. Esiste il rischio che i boss mafiosi non solo comunichino con l'esterno, ma anche che contaminino chi invece è preposto all'ordine. Quindi, presidente Iovino, non sono una sostenitrice dell'articolo 41-bis; credo che un'applicazione molto più rigida dell'articolo 14-bis potrebbe andare incontro alle esigenze di sicurezza che hanno fatto nascere tale articolo. Però, dopo aver sentito lei, confermo il mio no a Napoli, intendendola in questo modo come una zona a rischio. In conclusione, vorrei fare un inciso: lei ha citato Pandico portandolo come un esempio della contaminazione esistente all'interno delle carceri, definendolo un cutoliano. Ho seguito dall'inizio alla fine il processo Tortora, dove Pandico era diventato il protagonista per eccellenza; non credo che avesse grande affidabilità come cutoliano e che fosse veramente quel segretario di Cutolo che voleva far credere. Ciò anche alla luce dei suoi interventi in altri processi: e non parlo del processo di appello Tortora, dove le parole di Pandico non sono state ritenute credibili (anche perché lo stesso Cutolo lo ha smentito). Ritengo quindi che vi sia un'autoconvinzione del camorrista che vuole a tutti i costi portarsi ad un livello di potere criminoso maggiore di quello che ha. Era solo un inciso per una mia conoscenza, però sono d'accordo con lei quando afferma che Poggioreale è una fucina di delinquenza, in cui il piccolo delinquente diventa grande. Forse sono stata confusa, ma spero che lei abbia recepito il mio messaggio. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Le posso dire di aver partecipato a riunioni nelle quali si parlava della destinazione da dare all'area di Poggioreale in prossimità dell'apertura di Secondigliano. Secondo le previsioni, infatti, quest'ultimo avrebbe dovuto sostituire il primo, quando in Italia i detenuti erano circa 27 mila; a Napoli vi era qualcuno che già si prendeva cura del problema. In effetti, è andato tutto storto, perché a Poggioreale sono rimasti ancora circa 3 mila detenuti e a Secondigliano ve ne sono circa 1.300. Questa è la situazione. Non vedo, inoltre, alcuna iniziativa adottata per Nola e per Torre Annunziata, che dovrebbero rappresentare dei polmoni di sfogo per la città di Napoli, e non vedo come il problema di Poggioreale potrà essere risolto. Lo chiudiamo? Sono perfettamente d'accordo con lei, ma come? Dove le mettiamo queste persone? Dove Pagina 537 andranno? Non credo che potranno essere messe in mezzo alla strada! Il problema resta questo. PRESIDENTE. Anzi, esiste il rischio che aumenti. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Vorrei ricordare che un sostituto o un GIP parte da Torre Annunziata o da Nola per recarsi a Napoli per fare un interrogatorio e poi torna indietro. Il rischio è di trascorrere mezza giornata o più nel traffico per andare a sentire una persona fermata che si trova a Poggioreale, magari per la convalida di un arresto, per una cosa da noi giudicata una stupidaggine; questo è uno dei problemi. Chiudiamo Poggioreale? Sono d'accordo, anche se le dico che i napoletani non sono favorevoli; vorrebbero chiudere invece Secondigliano. Poggioreale è il carcere di Napoli, è il carcere dove si vive, si gesticola, si parla come nei vicoli. In una cella vi sono dieci persone: uno cucina, fa bene il ragù, un altro fa le polpette, si parla dei figli, si fa una partita a carte, si leggono i giornaletti, si cerca di captare di notte una televisione privata. A Secondigliano vi sono stanzette a due posti, si vive molto più civilmente, ma per certe persone; chi va a Secondigliano vuole stare isolato, vuole leggere un libro, vuole starsene tranquillo e non stare in mezzo alla gente, non sentire l'odore degli altri. Chi non legge i libri, non legge i giornali, non fa niente e vuole chiacchierare preferisce Poggioreale. FRANCESCA SCOPELLITI. Devono scontare una pena; non è mica un albergo, che si può scegliere! Se le persone preposte all'ordine pubblico fanno una denuncia di questo tipo, non stanno a sentire i napoletani che vogliono andare a Poggioreale, altrimenti viene inteso come albergo dove fanno le polpette e il ragù buono! SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Concordo con lei sulla chiusura di Poggioreale, ma volevo illustrarle la realtà sociale nella quale viviamo. Non può neanche immaginare le segnalazioni e le richieste della gente che si trova a Secondigliano e che vuole essere trasferita! Tutti preferiscono Poggioreale a Secondigliano: è un dato di fatto. Stigmatizziamolo, parliamone come vogliamo, però è un dato di fatto che bisogna tener presente e valutare. Certo, il giorno in cui a Napoli dovesse esserci un altro carcere come Secondigliano, ordinato, sistemato e più sicuro di Poggioreale, quest'ultimo si potrebbe chiudere; la situazione può essere migliorata dal punto di vista ambientale, ma non da quello delle persone. C'è bisogno di un carcere per 3 mila persone, vanno costruiti altri due Secondigliano, e forse oggi come oggi non sarebbero neppure sufficienti. C'è anche un altro fatto: Nola e Torre Annunziata, su cui torno sempre, dovrebbero dare impulso ad una certa attività sul territorio che ineluttabilmente porterà ad un aumento dei detenuti, che non hanno altro posto che Poggioreale; infatti, per quello che le dicevo prima, in quest'ultimo - che potrebbe ospitare 1.200 persone - stanno 3.500 persone e potremmo mettercene anche 4 mila. Ciò è possibile per il modo in cui vivono, mentre non è possibile a Secondigliano, dove oltre un certo limite non si può andare. Poggioreale è un pozzo senza fine. Noi diciamo che devono starvi 1.200 persone, ma ce ne mettiamo 3 mila, e ci stanno bene. E' un paradosso, ma la situazione è questa. FRANCESCA SCOPELLITI. Mi preoccupa molto questa sua quasi accettazione della situazione. Mi viene voglia di dire: disinneschiamo la mina di Poggioreale, perché prima o poi scoppierà e, nel momento in cui ciò avverrà, non vi sarà più soluzione. Allora sì che tutti i detenuti staranno per strada, senza alcun controllo! SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Lei ha molto più potere di me, perché io non posso fare altro che segnalare certe cose. Sono il presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli da dieci anni; quando iniziai a fare questo lavoro, mi imbattei Pagina 538 nei famosi regolamenti di istituto. Ogni istituto carcerario deve avere un proprio regolamento: vi sono un regolamento generale ed uno particolare. Il mio predecessore aveva cercato in tutti i modi di farne uno, senza riuscirci, perché non andava mai bene all'amministrazione: come faceva qualcosa, l'amministrazione gliela correggeva. Arrivato a Napoli, ho aspettato di rendermi conto della situazione, ho studiato il problema e ho scritto poche righe al ministero per comunicare che il regolamento per Poggioreale non l'avrei fatto. Infatti, o scrivevo il libro dei sogni, oppure scrivevo un regolamento sapendo benissimo di non poterlo applicare. In questa situazione, mi sono rifiutato di scrivere l'uno e l'altro. Ho ripetuto più volte quest'affermazione, ma non ha interessato nessuno; Poggioreale, che è probabilmente il carcere più grande d'Italia come capienza, non ha un regolamento interno, per questi motivi. Non è che io non mi ribelli, ma non posso fare la rivoluzione, posso soltanto segnalare la situazione. Non è la prima volta che vengo in questa Commissione e mi sono recato varie volte presso le Commissioni giustizia della Camera e del Senato, dove ho fatto presente la situazione; inoltre, scriviamo lettere ai ministri ed al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. E' un problema politico, non è un problema dei magistrati di sorveglianza. Penso che il Parlamento si debba far carico della questione: come viene stabilito il numero dei posti letto ottimali in Italia, deve essere stabilito il numero dei detenuti. E' il primo dato dal quale partire. Poggioreale non mi sta bene, ma dicendo questo non ho risolto il problema; e lei non me ne può fare una colpa, quasi che io l'accetti. Io mostro la fotografia della situazione. Purtroppo è così, e onestamente non vedo come si possa venirne fuori. Chiunque sa cosa sia un tribunale e sa che insieme al tribunale debbono marciare altre cose, tra cui il carcere. Si sono dimenticati del carcere? Ancora adesso non ne parla nessuno! Come è possibile? FRANCESCA SCOPELLITI. Ciò risponde alla politica clientelare di Napoli; i napoletani vogliono Poggioreale. Presidente, credo che lei in questo caso possa fare una cosa, proprio per le competenze a lei attribuite nell'applicazione dell'articolo 41-bis, vale a dire affermare che Poggioreale non è in grado di ospitare dei detenuti in base a tale articolo. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. A Poggioreale ve n'è soltanto uno, gli altri stanno a Secondigliano. FRANCESCA SCOPELLITI. Quello di Poggioreale dev'essere il boss dei boss! SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. La situazione è quella che è. FRANCESCA SCOPELLITI. Possiamo sapere il nome di questa persona? SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. A Poggioreale c'è soltanto Ranieri Antonio, proveniente da Pianosa, che conosco bene perché è uno dei boss dei quartieri. Staccatosi dai Mariano, ha creato una sua banda che ha commesso parecchi omicidi, tra cui quello di un agente di pubblica sicurezza. E' uno degli scissionisti di palazzo Ammendola. FRANCESCA SCOPELLITI. Presidente Iovino, le sollecito la risposta sui tempi processuali. SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. A Napoli i tempi processuali non esistono. Quali tempi processuali vuole conoscere? Il Foro è quasi sempre in sciopero, si sono avuti quasi tre mesi di sciopero. Se si scorressero i dati nazionali relativi al numero dei detenuti, ci si accorgerebbe che a Napoli vi è un numero maggiore di detenuti in attesa di primo giudizio rispetto alla media nazionale. Il numero generale dei detenuti è aumentato da 26 mila unità a 55 mila circa - questi dati li ho appresi dagli organi di stampa, Pagina 539 ma sicuramente voi li conoscerete meglio di me -, di cui due terzi sono giudicabili e un terzo definitivi; all'epoca in cui i detenuti ammontavano a 26 mila unità circa, il rapporto tra reclusi definitivi e quelli in attesa di giudizio era pari al 50 per cento sull'intero territorio nazionale. Questi dati riflettono anche la realtà della Campania, sia pur con una lieve maggiorazione, dell'ordine del 5 per cento. L'aumento dei detenuti - cioè il raddoppio - registratosi negli ultimi anni è dovuto in buona parte alle carcerazioni cautelari: in altri termini, non si è verificato un aumento proporzionale tanto dei detenuti definitivi quanto di quelli in attesa di primo giudizio, ma si sono incrementati enormemente i secondi, mentre il numero dei definitivi è rimasto pressoché stazionario. PRESIDENTE. E' stato l'effetto "nuovo codice". SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. A Napoli il nuovo codice non funziona. E' il classico caso del cane che si morde la coda: per funzionare il nuovo codice avrebbe bisogno dell'applicazione dei riti alternativi ma, non riuscendo ad emettere sentenze, i riti alternativi a Napoli non allignano. Se una persona sa che dopo qualche mese il giudice celebrerà il processo ed emetterà una condanna ad un anno di carcere, chiederà il patteggiamento che comporta solo sei mesi di reclusione; ma se quella stessa persona sa che il giudice celebrerà il processo dopo tre anni e nel frattempo probabilmente sarà intervenuta anche un'amnistia - vi è sempre la speranza di un'amnistia o di un condono -, è naturale che il patteggiamento non verrà chiesto. Più gli uffici sono intasati, meno vengono risolti i problemi. PRESIDENTE. Prima vi era il giudice istruttore, ora vi è solo il pubblico ministero e la situazione è scompensata. FRANCESCA SCOPELLITI. Presidente Iovino, se continuo ad ascoltarla finirò per chiederle di chiudere la procura di Napoli oltreché Poggioreale! PRESIDENTE. Negli ultimi due anni i reati si sono rivelati ancor più numerosi anche per via di Tangentopoli? SALVATORE IOVINO, Presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Dal punto di vista carcerario ha influito poco. Per Tangentopoli a Napoli vi sono soltanto due o tre detenuti oltre De Lorenzo. LUIGI PERUZZOTTI. Presidente Iovino, il quadro della situazione da lei delineato è desolante. In particolare, sono stato colpito dall'assenza totale di iniziative nonostante questa realtà sia stata ripetutamente sottoposta all'attenzione di varie Commissioni parlamentari. Intendo essere propositivo e chiedo la collaborazione della presidente Parenti, la quale ha vissuto questa realtà da magistrato prima e da presidente della Commissione antimafia poi, affinché venga "data la sveglia" a queste persone! E' inutile fare i sopralluoghi! Chiedo quindi che la nostra Commissione si faccia portavoce presso il Presidente del Consiglio dei ministri, il ministro di grazia e giustizia, gli organi preposti all'amministrazione penitenziaria, i Presidenti delle Camere ed i presidenti delle Commissioni giustizia dei due rami del Parlamento affinché vengano assunte iniziative concrete ed idonee a risolvere il problema. PRESIDENTE. E' un problema di finanziamenti. LUIGI PERUZZOTTI. Ripeto, il quadro emerso è desolante. D'accordo, la situazione è sotto gli occhi di tutti e tutti ne parlano, ma nessuno ha avuto il coraggio di denunciare queste cose e smuovere l'indifferenza anche della classe politica. Se vogliamo essere diversi da chi c'era prima, dobbiamo cambiare effettivamente questo stato di cose! Lei ci ha parlato del carcere di Poggioreale, ma l'istituto dell'Ucciardone a Palermo e quello di Marassi a Genova sono nelle stesse condizioni. Io vivo a Varese ed Pagina 540 il carcere della mia città, piccolo e certamente non paragonabile a quello napoletano, è uno degli istituti carcerari più orrendi d'Italia: mi riferisco al carcere dei Mioni. Dunque, la situazione è comune a tutte le carceri d'Italia. Presidente Parenti, con la collaborazione dei presidenti dei tribunali di sorveglianza e dei direttori delle carceri - che, se vogliamo, possiamo incontrare - vediamo di fare qualcosa di concreto! PRESIDENTE. Ripeto, è una questione di finanziamenti. LUIGI PERUZZOTTI. Sono convinto che i finanziamenti si trovano, l'importante è avere la volontà di fare qualcosa. PRESIDENTE. La prego di trasmettere alla Commissione una relazione sull'applicabilità dell'articolo 41-bis e sulle prospettive future. Ringrazio nuovamente il dottor Iovino. Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, dottor Antonio Maci. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, dottor Antonio Maci. Nel ringraziare il dottor Maci della sua presenza, lo preghiamo di illustrarci lo stato di attuazione dell'articolo 41-bis nella realtà penitenziaria italiana con particolare riguardo ai problemi incontrati dal tribunale di sorveglianza di Milano, e gli chiediamo quali, a suo avviso, sono le prospettive normative dell'articolo stesso. ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Sono stato assegnato alla sorveglianza da circa quattro anni e sul problema dell'applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario ho preparato una relazione che consegnerò alla presidente dopo averla illustrata, come peraltro ho già fatto innanzi alla Commissione giustizia della Camera a proposito del sovraffollamento carcerario. Sulla valenza politica della norma e sulla sua efficacia nella lotta alla criminalità organizzata non ho veste per interloquire. Del resto, la mia opinione non sarebbe più attendibile di quella di un comune cittadino che legga i giornali e guardi la televisione. Sono però in grado di fare alcune considerazioni sul piano strettamente giuridico, ancorché l'articolo 41-bis abbia trovato scarsa applicazione nel tribunale di sorveglianza di Milano. Infatti, nell'area di competenza di tale tribunale i sottoposti attualmente al regime differenziato sono appena 18, di cui 14 a San Vittore (Milano) e 4 a Voghera, su un totale nazionale di circa 500 sottoposti a tale regime, secondo quanto dichiarato pochi giorni fa dal direttore Capriotti. Sono pendenti 12 reclami avverso altrettanti decreti ministeriali. Recentemente ne abbiamo rigettato uno, ma la Corte di cassazione ci ha annullato il provvedimento; siamo ora in sede di rinvio. Mi risulta che diversi tribunali omologhi del paese abbiano dichiarato l'illegittimità dei provvedimenti attuativi dell'articolo 41-bis. Quelli esaminati dal tribunale di Milano sono stati in parte respinti e in parte dichiarati non più ammissibili a seguito della rilevante rotazione dei detenuti nelle carceri; una volta spostati altrove, il problema non si pone più per Milano. L'iter processuale di questi provvedimenti mi ha confermato quanti e quali difficoltà la normativa di cui all'articolo 41-bis crea nei nostri uffici giudiziari. La Corte costituzionale - non dico cose che non vi siano note, ma evito di fare omissis per essere più chiaro - con la sentenza n. 349 definì questa norma di non felice formulazione perché la stessa identifica i detenuti destinatari del provvedimento per titoli di reato, in contrasto con il principio dell'individualizzazione della pena: verso determinate persone, e soltanto verso queste, si appunta l'attenzione. Dunque, la formulazione dell'articolo fu definita non felice, perché non in coerenza con l'individualizzazione del trattamento penitenziario. La Corte costituzionale affermò comunque che l'articolo 41-bis è costituzionalmente Pagina 541 legittimo, perché delimita esattamente e correttamente i limiti del potere attribuito al ministro, nel senso che riferisce quel potere alla sola sospensione di regole d'istituti che già nell'ordinamento penitenziario appartengono all'amministrazione penitenziaria. La Corte aggiunse che tale sospensione è legittima purché non incida sulla quantità e qualità della pena; entro questi limiti, la norma è costituzionalmente legittima, perché non si rinviene in essa l'attribuzione al ministro di competenza che superi quelle prerogative che già spettano all'autorità penitenziaria e quindi non incide su diritti costituzionalmente protetti. Pertanto, in quanto se ne faccia buona applicazione, va bene così. La Corte costituzionale disse che il controllo giurisdizionale va fatto non relativamente all'articolo 41-bis, ritenuto legittimo, ma ai singoli decreti ministeriali. Ecco perché disse: "Spetta al giudice ordinario accertare puntualmente se i provvedimenti ministeriali sono ben motivati, quanto alle ragioni della deroga al trattamento rispetto alla finalità rieducativa della pena". Entrando nel merito delle difficoltà che incontrano i nostri uffici, desidero rilevare che una delle prime sorse in molti tribunali, il nostro compreso, per il fatto che si dubitò dell'esistenza di un difetto di tutela giurisdizionale rispetto ai decreti ministeriali. Dicemmo, allora, che la norma di cui all'articolo 41-bis, nel silenzio della stessa, non sembrava impugnabile: quale controllo giurisdizionale avremmo potuto fare sui decreti ministeriali se la norma è priva di una possibilità in tal senso? Personalmente dubitammo e mandammo gli atti alla Corte costituzionale, la quale ha chiarito - ormai è giurisprudenza consolidata e solo a seguito di uno scambio di idee con il tribunale di Palermo furono sollevate ancora difficoltà - che avverso i decreti ministeriali in questione è possibile l'impugnativa dinanzi al tribunale di sorveglianza in analogia a ciò che accade per l'articolo 14-bis dell'ordinamento penitenziario, che riguarda i provvedimenti disciplinari particolari emanati in seno all'istituto carcerario. Secondo la Corte si trattava di regimi largamente coincidenti e che quindi era possibile estendere il sindacato giurisdizionale a questi provvedimenti applicando le norme relative all'articolo 14-bis o all'articolo 14-ter per ciò che riguarda l'impugnativa dinanzi al tribunale di sorveglianza avverso provvedimenti del consiglio di disciplina all'interno delle carceri. Dunque, il problema è ormai largamente superato; la sentenza è la n. 410 e risale al 1993. Quale tipo di sindacato può essere effettuato da parte del tribunale di sorveglianza? Un sindacato che ovviamente è limitato alla legittimità del provvedimento. La Corte insegnò - è ormai un principio pacifico in diritto - che il tribunale di sorveglianza è chiamato a verificare la sussistenza delle condizioni previste nel decreto ministeriale, cioè la congruità della motivazione, per stabilire che non si tratti di motivazione inesistente o di affermazioni non provate. Pertanto, il tribunale può sindacare, sia pure nei limiti della legittimità, queste considerazioni poste a fondamento del decreto emanato dal ministro stesso. I decreti ministeriali, in base all'articolo 41-bis, comma 2, devono motivare la sussistenza di gravi necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza pubblica ovvero di situazioni tali da determinare ripercussioni all'interno delle carceri. Inoltre, si accenna anche alla necessità che tutti coloro i quali risultino rivestire cariche direttive all'interno di associazioni criminali, o che abbiano fatto parte di gruppi di fuoco, siano impediti dal porre in essere attività direzionali o criminose attraverso i colloqui con i famigliari ovvero ogni altra possibile via. Ogni decreto reca queste considerazioni generali, sottolinea le emergenze storiche di notevole allarme nel paese, fa riferimento alla situazione di necessità che le persone aventi una alta carica criminogena vengano sottoposte ad un regime particolare. Il tribunale di sorveglianza deve verificare la congruità del provvedimento, con riferimento alla situazione personale dei soggetti, perché è vero che si prospetta una situazione di notevole allarme, e non Pagina 542 solo nelle quattro note regioni del paese, ma il sindacato del tribunale deve essere penetrante, per verificare se rientri in questa situazione il soggetto al quale il decreto è stato applicato, in virtù di quelle considerazioni generali. Orbene, nel nostro provvedimento a cui ho fatto cenno affermammo che il decreto era ben motivato e rigettammo il reclamo. La Corte di cassazione ha annullato il nostro provvedimento - ne parlo di sfuggita perché siamo sub iudice e, come ho detto, siamo in sede di rinvio; tra breve il problema dovrebbe essere risolto - ed ha stabilito dei punti di diritto ai quali non possiamo che inchinarci, affermando che "il decreto ministeriale in esame è totalmente carente di motivazione, in punto individualizzazione delle ragioni riferibili al ricorrente, poiché trae ragione per affermarne la pericolosità da un generico rinvio, a comunicazione di notizie raccolte da una serie di autorità, inibendo all'interessato l'instaurazione di un corretto contraddittorio". La Corte di cassazione disse anche che non bastava che questo decreto recasse, per relazione, le notizie raccolte; il giudice aveva il potere-dovere di acquisire tali informazioni, che costituivano parte integrante del provvedimento, e così si poteva anche sopperire alle lacune del decreto ministeriale. Tuttavia la Corte di cassazione, in questo contesto, ha affermato un altro principio, del quale sottolineo, tra virgolette, la gravità. Tale principio, infatti, rende assai arduo il sindacato del tribunale, che si trova in gravi difficoltà quando si tratta di chiedere le informative. Notiamo una certe resistenza nell'ottenere tempestivamente notizie, perché spesso sono raccolte per via confidenziale da collaboratori o da pentiti. Le procure non ignorano la gravità dei casi e la fonte da cui proviene la richiesta, ma ci dicono quello che possono dire. La mia, comunque, è un'impressione, perché non posso provare che una certa procura non mi abbia trasmesso determinate informazioni. Il fatto stesso che le notizie vengano mandate come riservate è comprensibile; però noi dobbiamo dar conto alla difesa, che deve leggerle, sapere di che si tratti e chi le abbia fornite, per poter instaurare un serio contraddittorio. Dunque, la prima difficoltà è quella di avere tempestivamente notizie che, in genere, sono trasmesse in via riservata, quasi che noi potessimo mantenerle tali; invece, dobbiamo inserirle nel fascicolo e ciò può creare problemi, anche di sicurezza, per la fonte da cui provengono queste notizie, che possono essere anche preziose. La Corte di cassazione ha inoltre affermato, nella sentenza di annullamento, che per stabilire la pericolosità dell'individuo, il tribunale, l'organo giudiziario, non può limitarsi a far proprie le informative, senza verificarne la fonte, o comunque a ripetere ciò che fu accertato in sede di cognizione allorquando - leggendo la sentenza - quell'individuo manifestò certamente una pericolosità tale da ricevere condanne pesanti. Per sottoporre ad un regime particolare quest'individuo la Corte di cassazione ha sostenuto che il medesimo debba continuare ad essere pericoloso; non si può applicare il regime di cui all'articolo 41-bis a persona già pericolosa, ma che attualmente non lo è. Questa, mi sia consentito, è una specie di probatio diabolica, perché - leggo testualmente questo pensiero - "questo ragionamento ineccepibile si scontra inesorabilmente con la realtà penitenziaria, essendo universalmente noto che proprio i detenuti del calibro di quelli raggiunti da un provvedimento ministeriale del genere mantengono in carcere una condotta formalmente ineccepibile, mai incorrendo in comportamenti suscettibili di sanzioni disciplinari ed anzi partecipando e sollecitando a significative iniziative finalizzate alla rieducazione dei detenuti". Proprio in virtù di questo comportamento in carcere può accadere, e difatti è accaduto - e la Cassazione lo ha confermato, stabilendone la compatibilità - che a persone di questo livello, già condannate a pena severa e ritenute non solo pericolose ma addirittura autori di efferati reati, si conceda il famoso sconto della pena: 45 giorni per ogni semestre di condotta ineccepibile. Alla Cassazione, per stabilire la pericolosità di una persona, non bastano le notizie Pagina 543 ed il comportamento ante acta, ma si vuole che il giudice motivi sulla attualità della pericolosità: questo è un problema che peraltro in altro provvedimento abbiamo superato. Parlo di questo ventaglio di proposizioni non per mascherare il mio pensiero, ma per darvi una fonte di informazione possibilmente completa; difatti in un altro provvedimento, che non è stato impugnato dalla Cassazione, abbiamo ritenuto di ragionare nei seguenti termini. Premesso dunque che la Cassazione chiede al giudice di chiarire le ragioni per cui ritiene attualmente pericoloso qualsiasi soggetto, dicemmo che una certa persona, in quanto condannata per associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio e sequestro di persona, in quanto appartenente ad associazione mafiosa - di lui si è occupata la nota sentenza ordinanza dell' 8 novembre 1985 emessa dal tribunale di Palermo - non poteva non essere attualmente pericoloso. E spiegammo perché: "La sentenza ordinanza del tribunale di Palermo rappresenta ancora oggi lo strumento idoneo per conoscere e comprendere la struttura e le modalità operative della mafia, perché solo attraverso la conoscenza dei comportamenti degli appartenenti a Cosa nostra si riesce a percepire che l'alto grado di pericolosità degli affiliati non deriva dalla pericolosità del singolo soggetto, ma dalla sua appartenenza alla struttura mafiosa, con un vincolo associativo che può recidersi solo con la morte o con l'estromissione dall'organizzazione". In tale ordinanza venivano evidenziate le regole del codice di uomo d'onore: una volta ottenuto, lo status di uomo d'onore non viene scalfito da altre vicende, come l'arresto o la detenzione. Diceva la sentenza, che noi abbiamo fatto nostra: "Neanche l'arresto spezza i vincoli con Cosa nostra, ma anzi attiva quell'indiscussa solidarietà fra gli stessi uomini d'onore"; infatti gli uomini d'onore durante la detenzione sono aiutati dalla famiglia ed è quindi possibile, attraverso i colloqui ed il resto, che avvengano contatti, che si mantengano i rapporti con i gruppi di fuoco e addirittura che si ordinino crimini. Aggiungemmo che si trattava di "elementi confermati dalle rivelazioni di tutti i collaboratori, i quali hanno riferito che nessuno si è mai dissociato da Cosa nostra". Vi è poi un elemento importante che fa ritenere non dico fondata ma almeno possibile una riflessione sull'equazione "associato alla mafia fino alla morte, quindi pericoloso": la Cassazione recentemente ha accettato che, una volta verificata l'adesione all'organizzazione mafiosa, non è necessario accertare in senso probatorio se vi siano comportamenti concreti addebitabili al detenuto, in quanto tali fatti potrebbero non esserci, pur restando il detenuto pienamente inserito nell'organizzazione. L'appartenenza all'associazione mafiosa di per sé è già un crimine, indipendentemente dall'azione di favoreggiamento: è questo il contenuto di una recente sentenza della Cassazione, che ha capovolto il principio precedente. E' stato infatti dimostrato che l'organizzazione mafiosa continua a perseguire il proprio programma associativo anche attraverso la condizione carceraria degli affiliati. Per quanto riguarda i rapporti intrattenuti fra i detenuti ed il mondo esterno hanno parlato chiaro - creduti o meno - Francesco Marino Mannoia, Giuseppe Marchese e Gaspare Mutolo; non si deve poi dimenticare che Cosa nostra si avvale dei vincoli di parentela, che consentono di mantenere i contatti con l'esterno e di far circolare messaggi ed ordini. Pertanto, vi è chi per l'attualità della pericolosità esige delle prove quanto meno ragionevoli e chi afferma, tout court, la pericolosità dei mafiosi in quanto tali. Comunque, una volta acquisita la prova dello stato di pericolosità, si deve verificare che la sospensione delle regole del trattamento rientri nell'economia del decreto. Non si deve trattare di sospensione pura e semplice, ma direttamente funzionale alle finalità dell'articolo 41-bis: con questa sospensione si vuole impedire al detenuto di mantenere contatti con la delinquenza organizzata, perché diversamente si tratterebbe di un'afflizione che non rientra nell'economia della pena. Pagina 544 Occorre quindi che il giudice verifichi - e questo lo facciamo - che queste sospensioni siano finalizzate ad evitare i contatti e che non comportino restrizioni della libertà personale di spessore tale da sopprimere quel residuo di libertà che, come la Corte costituzionale ha affermato, ogni detenuto legittimamente conserva. Certamente loro non ignorano che in ogni decreto sono previste sospensioni telefoniche, dei colloqui, della ricezione all'esterno, della attività artigianali e della permanenza all'aria aperta: per la verità alcune di esse sono veramente inutili perché, per esempio per la comunicazione telefonica, è già prevista la registrazione con il controllo auditivo da parte del personale, mentre per la corrispondenza epistolare e telegrafica si tratterebbe di una sospensione illegittima ed inammissibile, essendovi una riserva di legge costituzionale (l'articolo 18 del decreto presidenziale stabilisce che è il giudice ad apporre il visto di sorveglianza). Il tribunale di Firenze, pur convenendo sulla legittimità del programma ministeriale, lo ha in parte annullato a causa di queste restrizioni, che esulano dai poteri della pubblica amministrazione. Anche per quanto riguarda i colloqui, invece di quattro se ne fa uno: questo è opinabile, è stato detto, mentre per quanto riguarda le restrizioni all'acquisto di viveri alimentari si tratta di una vera e propria afflizione: ritorniamo al concetto della vendetta istituzionale. PRESIDENTE. Forse perché prima venivano ordinati dei veri e propri banchetti in carcere... ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. In quella misura, certo... ma addirittura la permanenza all'aria aperta... Dei 14 detenuti di San Vittore sottoposti a queste misura, 12 si trovano presso il centro clinico: sono così "sfasciati" nella salute che si pone il problema della compatibilità con il regime carcerario; c'è addirittura un recluso di 88 anni, ricoverato al centro clinico, il cui curriculum è impressionante. PRESIDENTE. Avvengono molti contatti? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Contatti all'interno ci sono, perché vi sono 14 letti nel centro clinico; checché ne pensi il direttore, è pacifico che fra di loro vi siano contatti; ma all'esterno assolutamente no. Personalmente ritengo opinabile che si limiti la partecipazione alle attività culturali e ricreative. In parecchi reclami che ho avuto modo di esaminare ho rilevato un linguaggio improntato ad una sorta di aggressività verbale; sembra quasi che vi sia sottaciuto un sentimento di odio e di violenza per questo regime e non mancano scritti disperati, denotanti sconforto e abbattimento per una vita di reclusione lontana da affetti e rapporti familiari. A San Vittore questi detenuti sono solo 14, ma immagino cosa possa accadere in un carcere dove sono più numerosi: il compito di educatori, assistenti sociali, cappellani e psicologi diventa ancora più difficile, e lo diventa anche il nostro lavoro. Bisogna convenire che lo stesso risultato dell'isolamento interno ed esterno si può ottenere anche per altra via, attraverso la sicura professionalità del personale penitenziario, adeguate strutture edilizie (capisco che costruire un carcere non è come costruire un condominio) e funzionali apparecchiature meccaniche ed elettroniche; esiste poi una circolare del Ministero di grazia e giustizia del 18 maggio 1992 che ha previsto vari circuiti carcerari legati alla diversa pericolosità dei detenuti. Sono convinto che un regime di circuiti diversi sia molto utile per evitare che il carcere diventi scuola di delinquenza; tale circolare (che è riservata, però la Commissione potrà sicuramente ottenerne copia) stabilisce diversi livelli di pericolosità. Secondo me l'articolo 41-bis della legge sull'ordinamento penitenziario può trovare ragioni o limiti soltanto in una situazione di emergenza ed anzi - con tutto il rispetto per il vostro lavoro, che in ugual misura credo abbiate nei confronti del nostro di magistrati di sorveglianza Pagina 545 - contraddice chiaramente lo spirito della riforma dell'ordinamento penitenziario introdotta con la legge Gozzini. Tale legge è in vigore e, se vi fossero adeguate risorse personali e materiali, potremmo anche applicarla con la dovuta ragionevolezza; invece è chiaro che, almeno per questi soggetti, il problema educativo non è proprio preso in considerazione, forse perché la famosa sentenza ordinanza del tribunale di Palermo macchiò gli appartenenti alla mafia come persone che costituiscono uno zoccolo duro irrecuperabile. Personalmente ritengo che ogni persona sia recuperabile; naturalmente occorre essere consapevoli che vi è una gradualità di pericolosità e che quindi occorrono risposte differenziate. PRESIDENTE. Ci sono sezioni speciali a San Vittore? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Presidente, come dicevo, si tratta di 14 detenuti, di cui 12 si trovano al centro clinico essendo malati irreversibili. Credo che il dottor Pagano possa dire qualcosa più di me, anche se, naturalmente, mi sono informato presso di lui, che mi ha anche comunicato i nomi di queste persone. I loro curriculum sono spaventosi. Il dottor Pagano mi ha anche detto - non confidenzialmente, lo ripeterebbe anche qui - che vi sono 14 letti: pertanto, anche se l'isolamento esterno è assoluto, non può assicurare che non conversino tra loro. PRESIDENTE. O che la posta segua vie diverse... ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. No, non credo; di questo mi farò carico. PRESIDENTE. Talvolta attraverso altri detenuti fanno passare... ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Deve considerare che chi vive in cattività escogita le cose più... FRANCESCA SCOPELLITI. Questi 12 del centro clinico sono tutti sotto il regime del 41-bis? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Sì. FRANCESCA SCOPELLITI. Quindi il controllo che c'è su uno è su tutti e 12... PRESIDENTE. Nel centro clinico ci saranno anche altri... ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Sono isolati però. Il direttore mi ha assicurato che non c'è possibilità di comunicare con l'esterno. Per quanto riguarda i colloqui, invece di quattro ne possiamo dare uno, ma è la stessa cosa! Si può anche andare fino in fondo e non dargliene nessuno, ma queste limitazioni sui colloqui... PRESIDENTE. Questo aspetto è molto contestato dalle procure perché si osserva che con un solo colloquio si riesce più difficilmente a far sì che certi comandi, certe indicazioni vengano dati, piuttosto che con quattro. ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Ho detto all'inizio che non so dire nulla sulla efficacia di tale isolamento nella lotta alla criminalità, ma pare che i risultati siano stati positivi (almeno leggendo sulla stampa). PRESIDENTE. Con quali criteri viene scelto il carcere di San Vittore piuttosto che quello di Pianosa? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Dipende dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, diretto dal dottor Capriotti. I trasferimenti di queste persone sono sottratti ad ogni sindacato della magistratura. Ce li vediamo arrivare a San Vittore o ad Opera, ma non sappiamo il perché. Questo è un potere dell'amministrazione penitenziaria, del ministero. PRESIDENTE. Transitano con una certa velocità? Pagina 546 ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Se devono rispondere a Palermo, se ne vanno a Palermo. Per esempio, un certo Carollo Antonino viaggia da San Vittore a San Gimignano, da San Gimignano a San Vittore. Ritengo che l'audizione per via televisiva sarebbe utile. I viaggi sono pericolosi perché per strada può succedere qualsiasi cosa; comportano dispersione ed incattiviscono gli avvocati perché magari un giorno devono essere qui e fra tre a San Gimignano per un altro reato. Sugli spostamenti non abbiamo alcun potere, anche se è meglio così perché l'interferenza sarebbe disastrosa. Il ministero ritiene di gestire direttamente queste persone e di destinarle nelle carceri giudicate più adeguate. Al di là del controllo sul trattamento, non possiamo decidere sulle strutture. PRESIDENTE. Sono sempre stati 14 o anche di più? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Non mi risulta. Come dicevo, ne abbiamo discussi 20 nel 1993; abbiamo sempre avuto numeri molto scarsi. A Milano, per la verità, l'applicazione è scarsa. PRESIDENTE. Quanti provvedimenti erano stati riformati? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Ne abbiamo avuti di inammissibili o respinti. Uno è stato annullato dalla Cassazione per "insufficienza di motivazione". Infatti abbiamo chiesto ed ottenuto le notizie evidenziate nei decreti, perché in sede di rinvio si possa dire quali sono gli elementi, sulla cui base... Ne dovremo discutere a giorni; ce l'ha annullato proprio in punto... PRESIDENTE. Per difetto di motivazione originario del decreto? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Sì, del decreto. Per la verità da un po' di tempo a questa parte il DAP non solo ha ridotto moltissimo, ma sta anche motivando assai più puntualmente. Lei ricorderà l'occasione dell'applicazione dell'articolo 41-bis: il carcere dell' Asinara e migliaia... ci fu indubbiamente qualche errore. Poi la questione è stata vagliata maggiormente e per la stessa persona è stato fatto un altro decreto motivato più ampiamente. Senza dubbio vi è da parte del ministero una tendenza alla riduzione e ad una motivazione più puntuale. PRESIDENTE. Come si potrebbe rendere questa norma più inserita nell'ordinamento penitenziario? ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. A mio avviso questa norma deve avere una vita transitoria. PRESIDENTE. Molti sostengono che bisogna introdurla come norma generale. ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Allora bisogna avere il coraggio di modificare la legge Gozzini. Il giudice è schiavo della legge: se una situazione di emergenza diventa una situazione di normalità, eliminiamo la legge Gozzini; non è mica il Vangelo! Certo il fenomeno che voi, che tutti combattiamo esiste e ha colpito anche zone dove prima era impensabile. Vivo a Milano da vent'anni, ma il mio paese è Campi Salentina, in provincia di Lecce, dove ora si ammazzano fra loro: è una tragedia che il fenomeno sia arrivato fin lì. Mi auguro tuttavia che sia una situazione di emergenza. Mi pare che la proroga sia di altri tre anni... FRANCESCA SCOPELLITI. Fino al dicembre del 1999. PRESIDENTE. Ancora cinque anni. ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Da quanto ho letto - domani la Commissione ascolterà il collega di Ancona, quello di Firenze ed in futuro altri - sembra che il tribunale Pagina 547 di Milano sia il più "feroce", nel senso che abbiamo respinto... PRESIDENTE. Li avete respinti tutti. ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Ma con molta responsabilità e motivando. So che i numerosi annullamenti espongono anche.... ma abbiamo scelto questo mestiere e accettiamo fino in fondo il nostro destino. Però attribuendo poteri discrezionali enormi si divide molto la magistratura di sorveglianza, perché può accadere che a Milano si faccia una cosa e ad Ancona se ne faccia un'altra. Questo determina anche problemi di spostamento perché i detenuti fanno di tutto per andare ad Ancona o a Milano (cito solo due esempi). Capisco la valenza politica della questione, per cui sopprimere oggi l'articolo 41-bis darebbe la sensazione che non si voglia più combattere la mafia. Sul piano politico posso esprimere come cittadino un'opinione: la lotta alla mafia in Italia si identifica con l'articolo 41-bis. Ma questo è pericolosissimo; capisco che decidendo di sopprimerlo sareste tacciati di non voler più combattere la mafia, ma come magistrato di sorveglianza che esprime un giudizio tecnico-giuridico devo dire che l'articolo 41-bis è al limite della costituzionalità. La Corte costituzionale lo salva (lascio alla presidenza una copia della relativa sentenza). PRESIDENTE. C'è il problema dell'effettiva applicazione che per adesso sembra un po'... ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Se come vedo il ministero sta riducendo drasticamente queste misure - pur rimanendo l'immagine dell'articolo 41-bis con cui si identifica la lotta alla mafia - e affinando la motivazione, entro questi limiti l'istituto è accettabile, perché si sta spegnendo e polarizzando verso quelle persone che hanno una certa origine. Allora non si può più fare il discorso secondo cui si fa di ogni erba un fascio... PRESIDENTE. L'applicazione è più selettiva. ANTONIO MACI, Presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Se si fa una selezione più rigorosa, allora l'applicazione è positiva; il giudice di sorveglianza, per garantista che sia, vede "su un piatto d'argento" che la persona in questione può creare problemi. Quindi, come magistrato di sorveglianza devo dire che a mio avviso la norma merita applicazione solo in casi di emergenza. In via subordinata, capisco la ragione di ordine politico che ne impone il mantenimento e noto che dal ministero si dà un messaggio di contenimento con provvedimenti ben motivati, in modo da "inchiodare" anche il giudice di sorveglianza su alcuni determinati casi. PRESIDENTE. La ringrazio. La seduta termina alle 19. |
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