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SCARPE MILITARI
Mi riapparvero l'altra notte in sogno. Dapprima non le riconobbi,
tanto erano malandate. Poi improvvisamente si illuminarono come in un
sorriso e divennero nuove, così come me le aveva consegnate il sergente
furiere in una lontana mattina di settembre, a Pola.
Ero giunto alla scuola allievi ufficiali dei bersaglieri con un paio
di scarpe ai piedi da far pietà. Per quanto avessi fatto, perorando
presso il mio comandante di compagnia la causa delle mie estremità
straziate da quelle scarpe orrende, non ero riuscito ad averne un paio
in cambio. Non era cosa facile allora. Ma, da allievo ufficiale, fui
ammesso a tanto onore e mi parve quello uno dei più grandi avvenimenti
della mia vita militare.
- Certo che vi conosco - dissi - mi siete state fedeli compagne per
sei mesi. Vi ho voluto bene, sapete, e poi non potreste dire che non vi
abbia trattato coi dovuti modi.
- Sì - risposero - in fondo... salvo quando, tornato
dall'istruzione, ti seccavi a ripulirci, per la fretta d'andare in
libera uscita, e dovevi, per non essere bloccato al portone
dall'ufficiale di picchetto, scavalcare un muro e calarti per uno
strapiombo di circa dieci metri. Evidentemente ti sembrava operazione
più facile e breve che pulire un paio di scarpe.
- Sapete bene - obiettai - che non ero il solo di questo parere. A
venti anni, che volete, le cose si misurano con un metro speciale.
Sorrisero.
- E' vero - aggiunsero un po' ci hai voluto bene e quando ci hai
riconsegnato alla fine del corso, insieme con tutto il corredo, ci
accorgemmo che ci hai guardate un ultima volta quasi con rimpianto. Ma
noi restammo inebetite dal dolore. C'erano con noi, in uno stanzone,
tante altre paia di scarpe, abbandonate dai loro primi padroni; esse li
guardavano, angosciate da un pianto silenzioso, partire, volare anzi,
fiduciosi e ignari verso l'ignoto.
Vi fu un attimo di silenzio.
- Quanti ne siete tornati - mi chiesero poco dopo - dì la verità.
- Non so - risposi.
Per un momento mi parve di essere coricato nella mia branda di allora
e di guardare le due brande che mi stavano accanto… Entrambe vuote.
Dormono lontani i miei vicini di branda: quello di destra ad Agedabia,
l'altro nell'immensa pianura del Don. E tanti vuoti ancora nella stessa
camerata. E chissà quanti nelle altre. - Ma voi - dissi cambiando
discorso - che ne è di voi? sempre a Pola?
- Sì - risposero - vicino Pola, in riva al mare. Siamo a riposo,
come dire?... in pensione.
- E Pola? E' ancora bella come prima? Se avessi saputo, come l'avrei
guardata meglio, come avrei riposto gelosamente nel cuore ogni suo
angolo, ogni sua via, ogni sua piazza!
- Eh, camminavi troppo svelto tu, da bersagliere. Ed eri distratto
poi: pensavi alla tua città, alla tua mamma, alla tua fidanzata
lontane. Forse è il torto di tutta l'umanità di oggi. Vivete troppo in
fretta, non sapete vivere insomma.
- Ma dite, la città pullula di vita come allora? e tutte quelle
insegne e quelle scritte italiane? e la via Decia, dal bel nome romano,
che nome ha? e il cielo è ancora stupendamente e italicamente azzurro
come prima o anche quello han saputo mutare?
Non risposero.
Dopo un po':
- Non per parlarti della Pola di oggi - dissero - siamo venute a
trovarti, ma per riportarti il ricordo di quella di allora. Che devi
tenerti nel cuore. E vorremmo che tu lo dicessi, se puoi, ad altri
italiani: che se Pola è fuori dal confini della Repubblica, non esca
almeno dal cuore degli italiani. Noi ritorniamo nel nostro cantuccio, in
mezzo agli scogli. Dopo tante e tante peripezie, quando, vecchissime e
irriconoscibili, non eravamo che inutile peso, l'ultimo proprietario, un
italiano assai povero, che fuggiva per non perdere l'unico tesoro: la
sua italianità, ci ha abbandonate in riva al mare. Non ci spiace:
uscite da mani italiane, dopo aver calcato il suolo italiano, ci pesava
morire sconsolatamente straniere. Così la vista dell'Adriatico ci
conforta. Perché l'Amarissimo non sa, non può credere che quelle
sponde, dove suona il caro idioma coll'accento dolcissimo della sua
Regina e Sposa, non sono più italiane. Un giorno a un'onda, che si era
spinta fino a noi, glielo sussurrammo; non credette e fuggì ridendo con
un lungo gorgoglio.
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