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Violante: seduta 69
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                        Pagina  2969
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
Comunicazioni del presidente:
Violante Luciano, Presidente                            2978
Seguito della discussione della relazione annuale:
Violante Luciano, Presidente, Relatore            2971, 2972
                                            2973, 2977, 2978
                                2989, 2990, 2991, 2993, 2994
                          2996, 2997, 2999, 3000, 3001, 3002
Biscardi Luigi                                          2997
Borghezio Mario                       2998, 2999, 3000, 3001
Brutti Massimo                        3001, 3002, 3005, 3006
Buttitta Antonino               2977, 2994, 2996, 3001, 3005
Cappuzzo Umberto                                        2984
Galasso Alfredo                       2978, 3001, 3005, 3006
Matteoli Altero                             2973, 2977, 2978
Montini Walter                                    2971, 2972
Robol Alberto                                           2978
Scalia Massimo                              2990, 2991, 2993
Tripodi Girolamo                            2986, 2989, 2991
                        Pagina  2970
Sui lavori della Commissione:
Violante Luciano, Presidente                3008, 3009, 3010
Bargone Antonio                                         3010
Buttitta Antonino                                       3009
Galasso Alfredo                                         3009
Smuraglia Carlo                                         3009
                        Pagina  2971
La seduta comincia alle 15,15.
                Seguito della discussione
                 della relazione annuale.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della
discussione della relazione annuale.
  WALTER MONTINI. Premetto che non avrò la presunzione di
riassumere, in questo mio intervento, la posizione del partito
che rappresento, in quanto ciascun commissario, in un contesto
delicato qual è quello della Commissione antimafia, ha piena e
completa autonomia di pensiero e, quindi, di conseguente
comportamento.
   Dico subito che, condividendo in ogni suo punto la
relazione annuale presentata dal presidente, trattandosi di
una puntuale rassegna dell'attività svolta dalla Commissione
dalla sua ricostituzione ad oggi, mi limiterò a svolgere
alcune osservazioni che giudico importanti per il prosieguo
del nostro lavoro.
   Come ha scritto anche il presidente nella presentazione
del libro che ci ha fatto recapitare in questi giorni, la
mafia è un fenomeno complesso che va combattuto su diversi
fronti. Mi sembra che sul versante culturale, quello che a me
interessa maggiormente, la Commissione abbia compiuto - ed è
evidente nella relazione - un notevole sforzo nella direzione
di far maturare, crescere e rafforzare una nuova coscienza
civica nella lotta contro la mafia che avvolge le istituzioni
e la gente complessivamente. Ciò è tanto vero che a pagina 39
viene affermato che il paese attraversa una fase positiva
nella lotta contro la mafia.
   Su questo versante, va accolta con favore la proposta,
contenuta a pagina 22, che individua nella scuola il canale di
collegamento e di trasmissione - in questa accezione comprendo
anche il Forum sulla scuola già deliberato dalla
Commissione - di un nuovo modo di pensare e di agire. Mi pare
che sia doveroso ringraziare il ministro della pubblica
istruzione, onorevole Jervolino, per la sensibilità e per la
volontà dimostrate circa l'opportunità di istituzionalizzare
un momento formativo antimafia nella scuola, inteso come fatto
culturale e non di propaganda politica.
   Del resto, come viene detto a pagina 11 della relazione,
anche il potenziamento del settore documentazione va in questa
direzione e va valutato in termini positivi.
   Passando dal versante culturale a quello
istituzionale-sociale, ritengo opportuno che la Commissione
continui a seguire le situazioni locali con visite e
sopralluoghi condotti sul posto per controllare il
funzionamento delle istituzioni anche tramite le audizioni di
amministratori e di rappresentanti di organi di controllo.
   Nell'ambito della lotta alla mafia e alle altre
associazioni criminali similari si sta facendo ricorso, sempre
più frequentemente, allo scioglimento dei consigli comunali (è
questo il tema su cui mi vorrei soffermare un attimo) sospetti
di infiltrazioni e di condizionamenti mafiosi e al successivo
commissariamento straordinario degli stessi.
   Il ricorso al commissariamento, che dura 18 mesi e che
avviene soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia ed in comuni in
cui si riscontra una cronica e grave disfunzione della
macchina burocratica
                        Pagina  2972
comunale, con una costante evasione fiscale, fa sì che nel
settore urbanistico, a causa della mancanza di piani
regolatori generali, si verifichino fenomeni di selvaggia
speculazione edilizia. Sottolineata l'esistenza di questo
problema, va evidenziato che la legge n. 142 attribuisce ampi
poteri alla burocrazia comunale (è questo il tema che mi
interessa sottolineare) e che il ricorso al commissariamento
dei comuni attraverso l'utilizzazione di funzionari
part-time da parte delle prefetture avviene solo per
alcune ore e per alcuni giorni settimanali, con elementi, come
alcune volte si è riscontrato, non dotati di specifica
competenza amministrativa o comunque raramente esperti in
materia tecnico-urbanistica.
   Inoltre, tra i motivi di scioglimento di molti consigli
comunali, vengono indicate presunte collusioni non solo di
politici ma anche di funzionari pubblici, di dipendenti
comunali, senza, però, che nei riguardi di questi sia stato
attuato oppure previsto alcun provvedimento di tipo
cautelativo, come la sospensione dal lavoro, il trasferimento,
eccetera.
   Al termine dei 18 mesi di commissariamento, alla luce
delle considerazioni esposte, è prevedibile che non saranno
stati ottenuti concreti e stabili risultati né alla lotta per
eliminare l'eventuale collusione e i condizionamenti mafiosi
dalle amministrazioni locali, né alla modernizzazione,
efficientizzazione - per usare un brutto termine, che però
rende l'idea - e trasparenza di queste ultime.
   Ritengo opportuno che la Commissione spinga il Governo
verso urgenti e completi correttivi al decreto-legge del 31
maggio 1991, n. 164, tali da poter favorire la trasparenza e
la correttezza degli amministratori dei comuni - obiettivo
giustissimo e sacrosanto -, nonché quelle della classe
burocratica. Credo che ciò sia possibile prevedendo indagini
patrimoniali sui dipendenti sospetti dei comuni. Inoltre,
bisognerà ovviare alla lacuna dei funzionari della prefettura
non specializzati nel settore.
   L'ultima annotazione che voglio svolgere è relativa ai
gruppi di lavoro di cui si parla nella relazione.
  PRESIDENTE. Senatore Montini, a proposito della
burocrazia, che rappresenta un problema importante, stando a
quanto abbiamo potuto constatare, nella bozza di relazione si
fa riferimento alla possibilità che i funzionari dei comuni
disciolti, laddove emergano necessità particolari, possano
essere spostati nel raggio di una cinquantina di chilometri al
fine di consentire...
  WALTER MONTINI. Sì, ma questo non è mai avvenuto!
  PRESIDENTE. Infatti, si tratta di una proposta. Lei
l'accetta?
  WALTER MONTINI. Senz'altro, perché rappresenterebbe già
un passo avanti rispetto a questa situazione.
   Dicevo, avendo parlato del versante culturale, di quello
istituzionale e sociale e del problema dello scioglimento dei
comuni, che un'ultima annotazione vorrei farla sui gruppi di
lavoro, di cui si parla nella relazione, costituiti
all'interno della Commissione. Premesso che alcuni di essi
sono già operativi, mentre altri non hanno ancora iniziato ad
operare o sono comunque agli inizi, a mio parere è opportuno
che in sede plenaria o ristretta venga approfondito non solo
il fenomeno mafioso ma anche il suo collegamento con i canali
esteri, soprattutto in materia di droga e di riciclaggio di
denaro sporco legato ad affari internazionali (se ne parla
alle pagine 27 e 34 della relazione). Da questo punto di
vista, sono stati conseguiti risultati significativi, come si
evince anche dal libro sul Forum che il presidente ci ha
inviato, dove vengono indicati alcuni risultati positivi
ottenuti grazie all'attività di coordinamento tra le varie
forze di polizia (se ne parla anche a pagina 34 della
relazione) in un quadro più ampio di riorganizzazione e
potenziamento delle strutture a presidio del territorio.
Difatti, basta analizzare i dati
                        Pagina  2973
riportati nella relazione a proposito della flessione degli
omicidi, delle rapine eccetera, nelle regioni più flagellate
dalla criminalità organizzata per constatare come questo
coordinamento in effetti funzioni ma sia ancora lontano, a mio
parere, dall'essere presente in maniera incisiva nel nostro
panorama.
   Sono queste le osservazioni che ho voluto svolgere; chiedo
scusa se non sono state del tutto esaurienti, ma credo che di
ciò vogliate giustificarmi tenendo conto del fatto che sono
stato nominato da poco membro della Commissione e che questo è
il primo intervento che svolgo in questa sede.
   In conclusione, ribadisco che condivido ed apprezzo la
relazione e che su di essa il mio gruppo è intenzionato a
lavorare.
  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Matteoli.
  ALTERO MATTEOLI. A mio avviso, la relazione non vuole -
e lo ha detto il presidente - apparire impegnata più di tanto.
Risulta pertanto come una specie di scopiazzatura delle tante
cose che sono state dette in Commissione, come una sintesi di
tutto, come una sorta di puntuale rassegna. Insomma, la
relazione è stata presentata volutamente, da parte del
presidente, non in pompa magna: non ha voluto affrontare gli
aspetti politici preferendo farlo al termine della replica, a
conclusione della quale ha altresì rinviato la possibilità di
eventuali aggiustamenti e modifiche.
   Ma se questa è l'apparenza della relazione, nella
sostanza, quando si va a leggerla, si trovano sei o sette
punti - sui quali desidero soffermarmi, seppur sinteticamente
- che invece mirano, a mio parere, a qualificare in un modo
anziché in un altro la relazione stessa.
   Premetto che per dimostrare le mie osservazioni seguirò la
traccia della relazione.
   Quando diciamo che tra i compiti della Commissione c'era
quello di controllare il funzionamento delle leggi esistenti,
uno dei compiti che la Commissione si era prefisso e verso il
quale era indirizzata anche dalla legge istitutiva, dobbiamo
constatare che su questo fronte, nonostante il lavoro svolto,
siamo stati non del tutto efficienti e che vi è stata anche
una carenza. A mio avviso, pertanto, di questo dobbiamo
occuparci con un lavoro più approfondito. Le commissioni,
sottocommissioni e i comitati di lavoro istituiti, per colpa
di chi ne fa parte - ed io sono tra loro, per cui sono
ugualmente responsabile - non hanno svolto un lavoro
comparato, non sono andati a constatare se le leggi esistenti
fossero sufficienti e tutte applicate nel modo giusto.
Infatti, la filosofia della relazione è quella supportata
dall'affermazione fatta dal presidente fin dalle prime
riunioni, quando ha detto che a suo avviso non si trattava di
emanare nuove leggi ma di rendere operative quelle esistenti.
   Concordo con la relazione dove sottolinea che la lotta
contro la mafia non può fondarsi soltanto sull'azione
repressiva, però nella filosofia della relazione stessa si
tenta di attribuire la colpa alla mancanza di servizi, nel
senso che sarebbe stata questa carenza a favorire la mafia.
Indubbiamente, questo è uno dei punti su cui tutti ci siamo
soffermati in questo anno di lavoro. Però, a mio avviso, è
riduttivo incentrare sul fenomeno della mancanza di servizi la
responsabilità del dilagare della mafia. Gli italiani sono
stanchi di leggere i soliti trattati a sfondo sociologico, che
evidenziano il male e ne denunciano le cause ma in tema di
responsabilità preferiscono non approfondire più di tanto. Se
c'è una caratteristica soprattutto degli anni settanta è
quella di avere affrontato tutto da un punto di vista
sociologico. In quegli anni dilagava una cultura che io
definisco di sinistra - e lo era - e che mirava ad affrontare
tutto sotto questo aspetto. Se c'è un merito, però, di questa
Commissione, seppure tra tante difficoltà e a volte tra alcune
reticenze, anche per il mutato clima politico dovuto a
Tangentopoli, è quello di aver parlato di collusione
politico-affaristico-mafiosa:
                        Pagina  2974
è la prima volta e noi lo abbiamo detto.
Anche se non ho condiviso la relazione che è stata presentata,
nelle prime pagine vi è la storia dei lavori delle precedenti
Commissioni: mai era stata redatta una relazione come quella
predisposta nel febbraio 1976 da un parlamentare scomparso -
non dico questo per citare una persona che mi è cara anche da
un punto di vista famigliare - l'onorevole Niccolai, che
affrontava questo aspetto. Quindi, rivendico a questa
Commissione un merito che addirittura mi sembra sia sfumato,
non so se volutamente in attesa delle conclusioni che
trarremo, per non urtare la solita suscettibilità di gruppi
politici che poi, all'ultimo momento, si presentano in
Commissione e minacciano di non votare le relazioni; per cui
questa volta il presidente, forte dell'esperienza precedente,
ha usato toni soft per non dover poi modificare alcuni
aspetti, come è accaduto in precedenti occasioni.
   Intendo dire con questo che dobbiamo approfondire
ulteriormente e non tornare a trincerarci dietro gli aspetti
sociologici. Gli italiani sono stati governati da formule, o
meglio, da slogan: arco costituzionale, centro sinistra,
compromesso storico, antifascismo; ci siamo riempiti la bocca
di democrazia, libertà, consociativismo ma dietro a tutto ciò
si è annidata la corruzione, la mafia, la P2, i servizi
segreti deviati, eccetera. Tutto questo deve essere affrontato
in una relazione che riproponga aspetti anche importanti
emersi in questo anno di lavoro e che, a mio avviso, dovrebbe
essere più marcata di quanto sia.
   L'aspetto sociologico si ritrova anche ai punti 27 e 28,
dove si chiama in causa il ministro Jervolino e quindi la
pubblica istruzione. Si dice nella relazione che gli
insegnanti parteciperanno in aree pilota a corsi di formazione
sullo specifico tema della mafia. Con una battuta posso dire
che in questo modo nasce nelle scuole il "mafiologo". Per
carità, non che io sia contrario ad un'iniziativa di questo
genere, però anche qui bisogna essere chiari: la mafia non è
dilagata perché la società civile non ha una coscienza
antimafia; sono altri i motivi. La società civile ha subìto la
mafia, mentre i politici, pezzi dello Stato, sono stati
collusi - auspichiamo che non lo siano più - con la
criminalità organizzata.
   La proposta del ministro della pubblica istruzione, che è
stata sponsorizzata con tanta veemenza dall'onorevole
Violante, ci sembra un po' improvvisata. Non siamo stati
capaci di operare in tal senso, ad esempio, per il fenomeno
della droga che è molto più attinente al mondo giovanile e
quindi al mondo della scuola; ora si improvvisa - come io
credo - un'iniziativa alla quale non sono contrario
aprioristicamente, anche se ritengo che tutto questo non possa
mettere a posto le nostre coscienze, perché affronta un
aspetto molto marginale di quello che ha rappresentato il
fenomeno. Dirò sempre, fino alla noia, che quello della mafia
è un problema non di ordine giudiziario o di coscienza dei
cittadini ma di ordine politico. Se siamo d'accordo su questo
assunto, è chiaro che si scrivono relazioni diverse da quella
predisposta - correttamente dal suo punto di vista -
dall'onorevole Violante.
   Nel punto 30 si dà un giudizio positivo, attraverso la
valutazione della congruità dell'azione dei pubblici poteri e
della proposta di idonee misure amministrative. Si dà atto che
il presidente del Consiglio, i ministri dell'interno, di
grazia e giustizia e gli altri ministri che sono stati via via
interessati dal lavoro della Commissione, hanno collaborato
con essa. Qui, pongo una domanda ai commissari e a me stesso:
siamo certi che abbiano collaborato? Quanti problemi sono
stati risolti rispetto a quello che la Commissione ha
evidenziato e segnalato? Ne voglio citare alcuni: molti
tribunali sono ancora a corto di magistrati, molte questure e
commissariati non sono stati integrati e si è provveduto ad
inviare personale, trascurando il fatto che era privo di
esperienza specifica. Alcuni commissariati o questure che sono
stati sicuramente potenziati dal punto di vista numerico non
hanno avuto personale
                        Pagina  2975
specificamente qualificato. La Commissione ha segnalato
l'inadeguatezza di alcuni commissari straordinari inviati nei
comuni disciolti, senza che siano stati presi apprezzabili
provvedimenti; è stata dimostrata la carenza degli uffici
giudiziari e delle strutture connesse che limita
l'applicazione e la gestione delle normative di natura
patrimoniale nei confronti della criminalità; il controllo del
territorio in vaste plaghe della Calabria (lo abbiamo visto
quando abbiamo affrontato la relativa relazione) è ancora
insufficiente.
   Nel punto 39 della relazione si legge: "La Commissione
ritiene che in questa situazione il criterio politico
assolutamente prioritario debba essere costituito
dall'utilizzazione delle risorse esistenti". Non è
sufficiente. Sempre nella relazione, si parla di un momento di
crisi dal punto di vista economico che rende necessario far
fronte alle varie esigenze con ciò che si ha. Non siamo
d'accordo, perché uno sforzo deve essere fatto; eventualmente
si deve tagliare da altre parti indirizzando verso la lotta
alla criminalità organizzata personale e strutture più
efficienti di quelle che si hanno attualmente.
   Uno dei problemi di fondo della lotta alla criminalità
comune ed organizzata resta quello dell'inadeguatezza degli
organici della magistratura, sia nei distretti della corte
d'appello, sia in alcune procure; mancano i GIP la cui carenza
fa svanire il lavoro del pubblico ministero. Non sono
un'operatore del diritto ma mi rendo conto che per un pubblico
ministero è sufficiente mezza giornata per istruire un
processo mentre ad un GIP o a un tribunale occorrono giorni e
mesi, però dobbiamo fare in modo che il lavoro del pubblico
ministero arrivi al processo. Nei collegi giudicanti è diffusa
la preoccupazione (basta ricordare ciò che abbiamo appreso a
Reggio Calabria e a Palmi) di fronte a ponderosi processi che
aspettano di essere celebrati. Qualcosa indubbiamente è stato
fatto: possiamo dire, come si legge nella relazione, che "la
cooperazione realizzata rappresenta un significativo esempio
di corretta sinergia tra soggetti istituzionali" ma non che il
lavoro svolto abbia inciso più di quanto doveva. Insomma, tra
ciò che abbiamo notato essere carente e ciò che è stato
realizzato c'è ancora una megadistanza.
   Al capitolo 5, punto 31, la relazione insiste sul teorema
mafia-massoneria-servizi segreti-terrorismo nero. Questo è il
solito teorema che non ha consentito di individuare i
colpevoli delle stragi dal 1969 ad oggi o lo ha fatto soltanto
in rarissimi casi. E noi insistiamo su questo teorema! Per
carità, può darsi che sia giusto e che la magistratura e le
forze dell'ordine non siano state capaci di trovare le prove,
però non si è mai tentato di mettere in un cassetto questo
teorema e di cercare altre strade. Gli attentati della
primavera-estate sembrano provenire da Cosa nostra - si dice
nella relazione - e da suoi alleati tradizionali e si fa
capire che questi sono i servizi segreti deviati, la
massoneria deviata, il terrorismo nero, eccetera. Non credo ai
servizi segreti deviati, così come non credo alla massoneria
deviata: esistono in Italia purtroppo i servizi segreti che
sono tutti o nessuno deviato; non esistono i buoni o i cattivi
ma i servizi segreti che sono stati al servizio dei partiti
politici anziché dello Stato e hanno partorito tutto questo.
Affronteremo tale aspetto quando discuteremo sul capitolo che
abbiamo aperto.
   Si è sposata in toto, insomma, la tesi - anche con
quella del pentito Annacondia - che gli attentati mirassero ad
ammorbidire l'applicazione dell'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario. Di tutti i pentiti ascoltati
Annacondia, a mio avviso, è stato il più fumoso; vi pare
possibile che gli attentati di Roma, Firenze e Milano siano
stati pensati e realizzati esclusivamente per l'articolo
41-bis dell'ordinamento penitenziario? Non credo che
questo sia stato il motivo degli attentati; credo che vi sia
stato qualcosa di più importante di un articolo
dell'ordinamento penitenziario, che poi abbiamo compreso,
ascoltando i pentiti,
                        Pagina  2976
che non viene rispettato quasi mai quando si tratta di
mafiosi o di camorristi.
   Al punto 33 della relazione si sostiene che "l'azione di
contrasto si sta dispiegando in tutti i settori
istituzionali". Considerando questo con i successivi punti 34
e 35 mi è sorto il dubbio che vi siano, da parte
dell'estensore, delle incoerenze, perché mentre afferma che lo
Stato si sta muovendo, tanto che nel punto 34 vi è l'elenco
dei catturati - per la verità notevole -, al punto 35
leggiamo: "La cattura di Riina e Santapaola non sembra abbia
causato un riassetto degli equilibri interni a Cosa nostra, né
sono emersi sino ad ora segni evidenti di un disagio interno
all'organizzazione. Ciò dimostra la notevole capacità di
autoriproduzione del gruppo mafioso, anche dopo la cattura dei
suoi capi storici". Da una parte si dice che lo Stato si è
mosso e che l'azione di contrasto si sta dispiegando e
dall'altra si afferma che non si è inciso più di tanto,
nonostante gli arresti, nell'organizzazione mafiosa. Manca,
quindi, un'analisi del perché Cosa nostra è capace di
riciclarsi tanto celermente. Questa analisi in una relazione
del genere va fatta; se non la facciamo, viene meno il motivo
principale della relazione stessa che, tra l'altro - come è
emerso nel corso della precedente seduta - è stata richiesta
da parte di chi certamente non conosceva la normativa che
rende obbligatorio per la Commissione predisporre e dibattere
una relazione di questo tipo.
   Anche l'esaltazione della nascita delle associazioni
antiracket la leggo in maniera diversa da come è spiegata
nella relazione, perché tali associazioni sono state
costituite da privati che si organizzano perché non hanno
fiducia nello Stato; se l'avessero, andrebbero alla caserma
dei carabinieri o al commissariato a denunciare il racket e
non si costituirebbero in associazioni, perché lo Stato
penserebbe a risolvere il problema.
   Al punto 37 meritava un approfondimento anche la tesi
secondo cui in Calabria "il numero dei collaboratori è
obiettivamente inferiore". Infatti, ad una distanza di 10
chilometri vi sono pentiti a decine mentre in Calabria non ve
ne sono (apprezzo il fatto che nella relazione si sia voluto
affrontare questo capitolo). Ciò è spiegato con il fatto che
in Calabria non esiste una struttura verticistica simile a
Cosa nostra. E' una tesi sulla quale possiamo dibattere, che
comunque ci permette di ragionarci sopra, ed è importante
farlo.
   Ho l'impressione (ma l'argomento merita un ragionamento
più completo di quello che possiamo fare in sede di esame di
questa relazione) che in Calabria gli uomini delle istituzioni
si attrezzino nell'azione di contrasto della criminalità con
una mentalità vecchia, ossia che essi continuino a seguire,
stando a quello che abbiamo visto nei nostri sopralluoghi, la
cultura del confidente, che andava bene per il ladro di polli,
ma non certamente per un'azione ponderosa contro la
criminalità organizzata. In Calabria come in Puglia non hanno
avuto uomini e mezzi del calibro di Borsellino o di Falcone,
che hanno fatto quello che hanno fatto nella lotta a Cosa
nostra, della quale avevano fatto una ragione di vita e quindi
avevano studiato il fenomeno nei minimi particolari, per cui
oggi conseguiamo qualche risultato nell'azione di contrasto
grazie a questi personaggi.
   In Calabria si ha l'impressione che tutto questo non ci
sia stato, che quella che abbiamo avuto di fronte sia una
magistratura non del livello che abbiamo riscontrato da altre
parti e sicuramente non del livello di questi due personaggi
che hanno pagato con la vita.
   Sicuramente, quindi, può andare bene anche la tesi secondo
cui non esiste una struttura verticistica perché essa è più
"familiare", ma c'è anche questo fenomeno. Per essere ancora
più chiaro, voglio dire che se è vera la nostra tesi,
sostenuta nella relazione di minoranza sulla mafia e la
politica (ossia in quello che io ho scritto), cioè che i
pentiti, nonostante l'alto grado di affidabilità dimostrato,
restano uomini d'onore e che quello che cambia è la natura di
protezione verso lo Stato, ciò significa che il
                        Pagina  2977
pentito vuole le stesse cose che vuole la mafia, ma con
metodi diversi. Il pentito resta mafioso anche da pentito:
egli continua infatti a volere protezione dallo Stato e si è
avuta l'impressione che in Calabria le istituzioni operanti
non disponessero di una mentalità adeguata alle necessità e
ovviamente neanche di strutture adeguate ad incoraggiare il
pentitismo prima e la protezione del pentito dopo. Per tale
ragione vi sono anche meno pentiti.
   E' prevalsa la mentalità che ha visto i pentiti come
semplici confidenti ed una lotta alla mafia condotta con
strumenti, per così dire, di bassa polizia (in Calabria ho
avuto questa impressione).
  PRESIDENTE. Non adeguati.
  ALTERO MATTEOLI. Sì, non adeguati. Si mira ancora a
trovare il piccolo confidente, che magari la sera ha bevuto un
bicchiere di più e ci si appella a lui per svolgere le
indagini, cosa che in Sicilia mi sembra superata.
   Questo sistema ha inficiato molto anche i servizi segreti,
perché anch'essi hanno operato in questo modo, ossia
avvalendosi del confidente più che dello specialista, per
usare termini certamente impropri.
   Le ultime considerazioni che desidero svolgere fanno
riferimento al punto 39 della relazione, in cui si afferma che
vi sono stati 22 sostituti che hanno polemizzato pesantemente
con il dottor Bruno Siclari. Allo stesso punto 39 della
relazione viene affrontato questo argomento, anche se non
specificatamente tale polemica. Violante sposa la tesi "niente
gerarchie", sostenendo che le procure distrettuali antimafia
devono trasmettere alla direzione nazionale antimafia i
risultati, elaborarli e poi redistribuirli alla periferia.
Questo è, in larghissima sintesi, quanto sostiene il
presidente.
   Io la penso in modo contrario, perché a nostro avviso
occorre unità di comando: se infatti quest'ultima manca, si
verificano queste discrasie. Voglio sperare che il dibattito
dedichi qualche considerazione a tale aspetto.
   Desidero svolgere un'ultima considerazione su un argomento
che è stato anche motivo di polemica sulla stampa, io ritengo
garbata, ma comunque anche con il presidente. Le ultime pagine
della relazione sono dedicate ai nostri interventi fuori
d'Italia e forse nella polemica, per colpa mia, non sono stato
sufficientemente chiaro. C'è una frase che dimostra onestà
intellettuale da parte del presidente, laddove egli parla
dell'incontro con il presidente della Commissione antimafia
russa e afferma che in Russia "è tutto in vendita". Si legge
inoltre: "Manifestano, per ragioni storiche ben note, un
particolare fastidio per ogni forma di controllo dello Stato
sull'attività dei cittadini". Qui c'è evidentemente
un'allusione ad un sistema...
  PRESIDENTE. E' più di un'allusione.
  ALTERO MATTEOLI. Ciò dimostra, considerando la tessera
che il presidente che ha in tasca, onestà intellettuale.
  PRESIDENTE. Se lei permette, più per quella che ho avuto
che per quella che ho adesso.
  ALTERO MATTEOLI. Comunque, il fatto che lei abbia
scritto una frase di quel tenore è come se io scrivessi
qualcosa del genere sul periodo fascista; c'è quindi onestà
intellettuale.
  ANTONINO BUTTITTA. Ma la scriverai mai una cosa del
genere?
  ALTERO MATTEOLI. L'associazione per delinquere mafiosa è
presente, come reato, solo in Italia (così si dice nella
relazione). Ma la mafia che troviamo negli altri paesi
europei, compresa la Russia, non può essere paragonata alla
mafia che é presente in Italia (dirò poi una frase che
sintetizza bene, a mio avviso, quello che intendo dire). In
Italia la mafia ha sempre cercato l'accordo con il potere
politico ed in casa nostra ci è quasi sempre riuscita. Diversa
è l'attività mafiosa negli altri paesi europei. Voglio
                        Pagina  2978
citare un esempio: Kohl, in Germania, non ha ricevuto un
avviso di garanzia per collusione ai sensi dell'articolo
416-bis, ma Andreotti l'ha ricevuto. Evidentemente
allora in Italia vi è una situazione completamente diversa
rispetto a quella degli altri paesi europei.
  ALBERTO ROBOL. Kohl è ancora al governo.
  ALTERO MATTEOLI. Ho parlato di Andreotti perché è il
caso più eclatante, ma vi sono anche altri personaggi. Voglio
dire che più o meno questa collusione è stata sufficientemente
acclarata.
   In conclusione (mi rendo conto che mi sono dilungato
troppo ma a mio avviso la relazione lo meritava), al punto 50
della relazione si afferma che, dopo le stragi della
primavera-estate del 1992 non si sono manifestate, come altre
volte, lacerazioni istituzionali. Questa è un'affermazione
importante e penso che, anche se non è del tutto vera, vi è
comunque in essa un fondamento di verità.
   Se quanto il presidente afferma nelle ultime pagine della
relazione è vero, ciò significa che esiste un margine per
trovare un punto di incontro anche tra di noi per affrontare
la questione in maniera unitaria, soprattutto se ci
convinciamo che quelle lacerazioni istituzionali che, di
fronte ad una strage, hanno caratterizzato per anni il
dibattito politico oggi sono venute meno (nella relazione si
dice che non ve ne sono state per nulla; a mio avviso ve ne
sono state meno, ma comunque posso dire che siamo sulla strada
giusta da questo punto di vista). Attendo quindi la
conclusione di questo dibattito e la relazione, come verrà
integrata o modificata anche alla luce dello stesso dibattito,
per poi esprimere il mio voto sulla relazione.
              Comunicazioni del presidente.
  PRESIDENTE. Informo i colleghi che è stata avanzata la
proposta di rinviare la visita a Milano (ricorderete che sono
state mosse obiezioni da alcuni colleghi), prevista per il 18
e 19 ottobre, a venerdì 22 e sabato 23 ottobre, ossia alla
fine anziché all'inizio della prossima settimana.
   Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
   (Così rimane stabilito).
               Si riprende la discussione.
  PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulla relazione
annuale con l'intervento dell'onorevole Galasso.
  ALFREDO GALASSO. Vorrei sapere quanto tempo ho a
disposizione, non per impressionarvi ma per regolarmi.
  PRESIDENTE. Il regolamento della Camera prevede 30
minuti di tempo.
  ALFREDO GALASSO. Mi riserverò eventualmente la
trattazione di un'altra parte per un momento successivo.
   Parto dal presupposto, dichiarato dal presidente, che in
questa relazione è stata volutamente omessa una valutazione,
una ricostruzione di carattere politico da porre alla fine
della discussione. Quindi, le osservazioni che svolgerò sono
in gran parte in linea con questa indicazione del presidente.
Lo dico per evitare che tali osservazioni possano essere
assunte come note critiche o polemiche rispetto alla
relazione.
   Vi è tuttavia un dato di fondo che mi pare di cogliere e
che voglio mettere in evidenza, che del resto si riflette -
posso dirlo anche in questa sede - nell'antico dibattito con
il presidente, e quindi non è una novità; voglio esplicitarlo
subito perché questa mi sembra la sede opportuna nella quale
sottoporlo ad un confronto anche con gli altri colleghi. La
divergenza sta nella considerazione, che mi pare di cogliere
nuovamente nelle note di questa bozza di relazione, secondo
cui fondamentalmente la mafia è un'organizzazione criminale,
denominata Cosa nostra in Sicilia e in qualche altro modo in
                        Pagina  2979
Calabria, in Puglia e in Campania, con tutta una serie di
ramificazioni, collegamenti, intrecci e così via, mentre io
sono convinto - voglio dirlo all'inizio di questo intervento -
che la mafia sia principalmente un sistema di potere
all'interno del quale agiscono organizzazioni criminali
potenti e ferocissimi, e innanzitutto Cosa nostra.
   Questa non mi pare una divergenza di poco conto, perché ne
discendono anche conseguenze diverse di ordine pratico e
politico, a seconda della concezione, dell'idea che
ragionevolmente si riesce ad esprimere rispetto a questo
fenomeno.
   Svolgerò una serie di osservazioni puntuali partendo dalla
sequenza delle Commissioni antimafia.
  Questa Commissione antimafia si è segnalata per
un'iniziativa ed una concezione del fenomeno mafioso di gran
lunga più avanzata rispetto alle precedenti Commissioni,
collegandosi caso mai alla prima delle Commissioni antimafia.
I casi allora sono due (lo dico molto schematicamente,
presidente, colleghi, perché non voglio farla lunga, anche
perché sappiamo di che cosa stiamo parlando); come si suol
dire, delle due l'una: o non ne parliamo o, se ne parliamo,
credo che non sia giusto evidenziare una sorta di larvata,
"scivolosa" continuità tra questa Commissione e quelle
precedenti. Questo ha a che fare con la mia premessa.
   Questa Commissione ha percepito - io credo - nei suoi
comportamenti e nelle sue analisi una specificità pregnante
del rapporto tra mafia e politica che le altre Commissioni non
hanno espresso; mi riferisco non tanto alla massa dei
documenti acquisiti, quanto al taglio dato al proprio lavoro.
   Per quanto riguarda la ricognizione del lavoro svolto, vi
è un'elencazione puntuale, ma in questa relazione occorre
mettere in evidenza che cosa ha rappresentato il nucleo
essenziale e determinante di questo lavoro della Commissione.
Non trovo, per esempio, l'importantissima relazione su mafia e
politica neanche tra gli allegati. Pur avendo io stesso
contribuito, credo, a dare rilievo alla relazione
sull'edilizia scolastica a Palermo, mi pare che tuttavia non
sia possibile un paragone fra queste due relazioni. Come per
quella su mafia e politica, mi riferisco anche alla relazione
sulla Puglia e a quella - da me non condivisa - sulla
Calabria. Tutto questo mi sembra un punto di partenza della
ricognizione del lavoro, non una delle tante cose fatte.
   Terzo punto: il sistema informatico, le esigenze di ordine
tecnico, e via dicendo. Inizialmente, quando cominciò il
lavoro della Commissione, posi un problema: la necessità di
raccogliere, catalogare, ordinare il materiale esistente. Non
si tratta solo di un lavoro tecnico-pratico da svolgere. Qui
si tratta di dare un orientamento politico, nel senso che sono
convinto che noi abbiamo ormai in questo Parlamento - non dico
neanche negli archivi della Commissione antimafia - una mole
di documenti, di informazioni, di notizie (in larga parte
sconosciute all'opinione pubblica, in larga parte prive di
adeguata elaborazione anche all'interno della Commissione
antimafia), che ci permetterebbe di ricostruire, con maggiore
puntualità di quanto non abbiamo fatto finora, il quadro di
ciò che è successo in questi anni tragici.
   Anche questo ha a che fare con quel che dicevo
inizialmente, perché si tratta di partire da un presupposto
piuttosto che da un altro. Partire dal presupposto che la
mafia è un sistema di potere significa mettere insieme,
ricostruire un quadro di informazioni e di notizie con un
raggio di ricerca e di accumulazione del materiale più ampio
che se si ponesse come presupposto il fatto che comunque,
prevalentemente, la mafia è un'organizzazione criminale
denominata Cosa nostra o altrimenti.
   C'è un passaggio - che mi pare francamente quello meno
condivisibile di questa relazione - in cui si mette in
evidenza il successo dello Stato, in particolare dell'azione
repressiva, che in questi ultimi anni è indubbio. Ma ciò che
una relazione antimafia credo debba mettere in evidenza, con
grande coraggio e
                        Pagina  2980
con grande incisività, per evitare che questo successo sia
effimero, è la messa in luce - cruda, dolorosa, se si vuole -
delle ragioni dell'insuccesso e del ritardo trascorso.
Rispetto a questo, non credo che possiamo affidarci alla
consolante valutazione di alcuni governanti di questo paese o
di alcuni poliziotti di questo paese, secondo la quale
finalmente la gente si è svegliata, ha deciso di collaborare,
di rompere il muro dell'omertà o ad un certo punto ci sono
stati i pentiti che hanno cominciato a rivelare dall'interno
notizie ed informazioni e dunque si è sviluppato questo
successo dello Stato. Questo è stato detto e ripetuto.
Considero sbagliato e deviante tale atteggiamento. Le ragioni
dell'insuccesso e del ritardo trascorso e anche
dell'addormentamento delle coscienze per un lungo periodo di
tempo sono dovute al fatto che lo Stato non ha svolto fino in
fondo la propria azione di lotta alla criminalità organizzata
e alle cosche mafiose. Lo dico sommariamente ma si possono
fare una serie di esempi, che pure sono sotto gli occhi di
questa Commissione.
   In un altro punto della relazione si sostiene l'esigenza
della trasparenza delle logge massoniche. Il fenomeno della
massoneria, se si parte dall'idea che la mafia è un sistema di
potere e non solo un'organizzazione criminale, non è un
aspetto collaterale, marginale del fenomeno mafioso.
Naturalmente, se si parte dal presupposto che la mafia è
prevalentemente Cosa nostra, mi rendo conto che si tratta di
vedere quali siano le logge massoniche deviate o "opache"
all'interno delle quali si sia realizzata una qualche
complicità. Se, viceversa, pensiamo a quella bellissima
prolusione svolta a Bologna dal professor Spagna Musso sul
fatto che la massoneria e questo genere di associazioni
riservate o segrete rappresenta un potenziale pericolo per la
democrazia, proprio per questo carattere di segretezza, ci si
rende conto che la questione e la valutazione di essa cambia.
Non intendo con questo, presidente e colleghi, dire che da qui
deve partire un'anatema verso la massoneria. Sto dicendo però
che mi sembra del tutto insoddisfacente, rispetto alle analisi
che abbiamo compiuto e alle cose che sappiamo della mafia,
limitarsi a dire che qui si tratta, sentiti i "grandi
maestri", di sollecitare la trasparenza delle logge
massoniche.
   Lo stesso discorso vale per i cosiddetti servizi deviati.
Anche qui, per quello che è successo in questi anni e se la
mafia è un sistema di potere, non mi contento di sentire, come
ancora recentemente, che alla base delle stragi ultime di
Roma, Firenze e Milano c'è Cosa nostra innanzi tutto - questo
lo si ripete nella relazione - e poi collegamenti di Cosa
nostra con frammenti dei servizi segreti, pezzi di terrorismo
nero e via dicendo. A parte il fatto che da un capo della DIA
mi aspetterei elementi di riferimento un poco più precisi, non
solo delle ipotesi, che normalmente sono dovute agli studiosi.
Ma a parte questo - che non è il punto - a me pare che, in
realtà, abbiamo elementi per poter esprimere un giudizio
politico molto più netto sulla funzione che in questi anni
hanno svolto, rispetto al sistema di potere mafioso, i servizi
(cosiddetti "di sicurezza", non cosiddetti deviati!) e i
personaggi che si sono succeduti.
   Presidente e colleghi, noi qui abbiamo ascoltato - almeno
io - con una dose notevole di inquietudine la difesa di Bruno
Contrada da parte del capo della polizia e del capo del SISDE,
quando agli atti - e sono andato a rileggermi queste carte -
ci sono da tempo elementi di grave preoccupazione nei
confronti dell'operato di questo personaggio! Mi domando se
questo non sia un esempio per poter mettere in discussione...
Cosa è accaduto? Perché questo personaggio continua ad essere
difeso, nonostante un'azione giudiziaria insistente,
documentata, convincente? Sto parlando di un giudizio
politico, non sto dicendo che da qui deve venire la condanna
di Bruno Contrada. Ma sappiamo tutti che Bruno Contrada non
era un personaggio casualmente deviato nella questura o nei
servizi di sicurezza. E' stato un esempio la cui
                        Pagina  2981
difesa rappresenta un elemento di preoccupazione, perché
dimostra la permanenza di questo genere di soggetti e di
azioni.
   Venendo ad un altro punto, non credo, presidente, che
abbiamo inventato qui l'antimafia dei diritti. Abbiamo
scoperto che è diversa! Abbiamo scoperto che la mafia,
l'azione mafiosa, l'azione dei poteri di marca mafiosa - che
sono poteri criminali ma anche economici, finanziari, sociali,
politici, amministrativi - ha determinato la violazione
sistematica di diritti e di libertà fondamentali! Ha
compromesso la realizzazione di servizi pubblici essenziali
nel nostro paese! Mi sembra - se mi è consentito, presidente -
che il modo come tale questione è stata posta dia credito a
chi, in maniera strumentale, spesso becera, in questi anni ha
sostenuto che non bisognava limitarsi all'azione repressiva
della criminalità organizzata, che bisognava costruire,
invece, condizioni sociali ed economiche: polemica strumentale
e becera! Non esiste un "prima" ed un "dopo" tra l'azione di
repressione e l'azione di ricostruzione morale, sociale e
politica: le due cose vanno insieme! Perché la mafia non è il
prodotto del sottosviluppo; la mafia è protagonista della
creazione di condizioni di sottosviluppo economico, sociale,
culturale e politico! E dunque questo sistema di potere è
naturalmente protagonista della violazione sistematica di
diritti e di libertà fondamentali! Ecco perché poi scopriamo,
giustamente, il problema dell'edilizia scolastica a Palermo.
Non abbiamo incontrato Totò Riina nell'edilizia scolastica a
Palermo ma abbiamo incontrato quel sistema di potere; un
sistema di potere che ha violato diritti e libertà
fondamentali, a cominciare da quello dei bambini, delle
bambine e degli insegnanti rispetto all'istruzione.
   Anche il riferimento alle lacerazioni istituzionali,
presidente, vorrei che fosse esplicitato con molta chiarezza.
Mi limito a fare questa osservazione. Non riesco ad immaginare
a quali lacerazioni istituzionali il presidente si riferiva.
Vorrei che fossero esplicitate, perché ci sono state
lacerazioni istituzionali ma ci sono stati anche contrasti che
originavano non solo da una concezione diversa della mafia -
che è cosa dialetticamente e democraticamente legittima - ma
anche dal fatto che c'era chi stava da una parte e chi
dall'altra; chi era complice della mafia e agiva dentro le
istituzioni, dentro la politica, dentro la magistratura e la
polizia e chi stava dall'altra parte! Queste non sono
lacerazioni istituzionali! Non si possono liquidare così.
Bisogna dunque indicare di quali lacerazioni si tratti, in
quali periodi si sarebbero verificate e su quali questioni, se
no è meglio non parlarne.
   Vorrei affrontare una questione che mi consente di
arrivare a conclusioni di carattere più generale, come mi ero
ripromesso inizialmente di fare: il rapporto mafia-politica.
Un'altra parte cruciale di questa relazione è quella di pagina
24, dove si dice in sostanza che i rapporti tra mafia e
politica negli ultimi tempi si sono allentati, si sono rotti.
Non sono sicuro di questo. Non sono affatto sicuro che la
mafia - in questo senso, intendo Cosa nostra o la Sacra corona
unita o la 'ndrangheta calabrese o la camorra napoletana nelle
varie famiglie e articolazioni attuali - abbia definitivamente
rotto i suoi legami con i vecchi padrini politici di
riferimento. Presidente, non sono affatto sicuro - per
intenderci - che un personaggio come Andreotti - ne cito uno
ma potrei citarne molti altri - dopo il delitto Lima non sia
più il padrino politico, come sembra voglia dire la nota in
questa pagina della relazione. Non sono sicuro, perché non lo
so, non ho gli elementi per dirlo. Trovo abbastanza
significativo che Giulio Andreotti non abbia mai in alcun
momento avuto un ripensamento circa il ruolo e l'azione di
Salvo Lima, né prima né dopo la sua morte. Dunque già questo
mi induce ad essere prudente.
   Ma soprattutto io non sono affatto sicuro, presidente, che
ai vecchi padrini politici non si siano sostituiti nuovi
padrini politici, nuovi riferimenti politici.
                        Pagina  2982
Abbiamo avuto notevoli indicazioni in questo senso. Certo,
non prove giudiziariamente rilevanti e non è detto che ne
dovessimo avere, né possiamo aspettare di averne prima di
esprimere un giudizio, anche perché di giudizi basati non su
prove giudiziarie ma su convinzioni di questa Commissione ve
ne sono parecchi nella relazione.
   Io credo che la mafia come sistema di potere non sia
affatto sconfitta, non sia affatto in crisi. Può darsi che sia
in crisi in questo momento il piano militare, il piano
organizzativo di Cosa nostra. Certo - e questo nella relazione
è detto - che fenomeni come l'assassinio indotto, il suicidio
procurato di Gioé in carcere dimostrano che c'è ancora una
potenza guidatrice di non poco conto, però mi preoccuperei
meno di questo e molto di più della ricostruzione di un
sistema di potere. Ricostruzione di un sistema di potere alla
quale bisogna prestare estrema attenzione, perché credo sia
caratterizzata da tre o quattro elementi che sono agli atti
della Commissione. Il primo è costituito dalla
mondializzazione del sistema di potere mafioso, che non è
soltanto, presidente e colleghi, l'inserirsi di Cosa nostra e
della 'ndrangheta - che pure c'è - dentro un circuito di
grande criminalità organizzata nella dimensione planetaria; né
è soltanto l'occupazione di mercati, come quello della Russia
o dei paesi dell'Est dopo la caduta del muro di Berlino. E'
qualcosa che ha a che fare, come sappiamo, con circuiti
economici e finanziari, con multinazionali dell'economia e
della finanza che agiscono non soltanto sul piano criminale ma
anche sul piano della formazione delle politiche di Governo.
Dunque, il sistema di potere sta assumendo questa dimensione
ed il problema non dico che non sia quello, ma non è solo
quello di stabilire una migliore cooperazione a livello
internazionale tra le polizie e le magistrature, cosa di cui
parliamo da decenni e che si è almeno in parte realizzata,
senza che si sia però ottenuto il risultato sperato. Il
riciclaggio di denaro, gli appalti illeciti e quanto altro
vanno infatti proliferando, non sono affatto scomparsi; la
cooperazione internazionale fa sì che dalla Svizzera ci si
sposti al Liechtenstein, all'Austria o alla Germania, ma
dobbiamo individuare quali siano i circuiti del potere
economico e politico, oltre che criminale, che si muovono.
   Una seconda caratteristica sta nel fatto che la mafia (e
qui mi riferisco a Cosa nostra) sta diventando sempre più,
nelle sue articolazioni italiane e straniere, integrata in un
sistema di potere, cioè ha assunto una strategia politica
molto più evidente di quanto non lo fosse in precedenza,
persino pagando da questo punto di vista dei costi in termini
di autonomia della propria organizzazione. Ritengo dunque che
essa sia pronta a prestare le proprie armi micidiali, la
propria organizzazione al servizio di obiettivi politici nei
quali si riconosce ma che non sono soltanto suoi. C'è, come
dire, una compenetrazione in questa strategia politica di Cosa
nostra rispetto ad una autonomia; per intenderci, credo che
fino a qualche tempo fa potevamo considerare i padrini
politici della mafia ed i governanti, che erano complici della
mafia nel nostro ed in altri paesi, come soggetti che
stabilivano degli accordi con i capi di Cosa nostra ciascuno
però - il capo di Cosa nostra ed il padrino politico -
mantenendo la propria autonomia. Torno all'esempio di
Andreotti: sono convinto che egli abbia svolto la sua azione
di governante in larga misura in maniera indipendente dalla
suggestione o dagli interessi di Cosa nostra, salvo
naturalmente mettersi d'accordo, di volta in volta, quando
arrivavano il piano elettorale, il piano degli appalti e via
dicendo. Oggi, invece, credo che l'unificazione formidabile
della strategia politica faccia sì che i nuovi padrini
politici della mafia siano coloro che contemporaneamente
decidono le azioni militari, le azioni economiche e
finanziarie e le azioni politiche. Quindi non si tratta,
presidente, di condizionamento dei pubblici poteri; non si
tratta di inquinamento dell'economia e della finanza; non si
tratta di complicità all'interno degli apparati dello Stato o
                        Pagina  2983
di deviazione dei servizi; non si tratta di
internazionalizzazione del crimine: si tratta di vastità e
profondità di un sistema di potere, che è mutato e all'interno
del quale è mutata anche la collocazione di ciascuno dei
protagonisti - il protagonista criminale, il capo mafia, il
protagonista politico, il governante, il protagonista
istituzionale, il magistrato o il poliziotto corrotto di volta
in volta -. Tanto è vero che, in questi anni, si è determinato
il condizionamento non dei singoli soggetti, bensì della
stessa azione di contrasto complessivo dello Stato.
   Ecco perché le ragioni vanno messe in evidenza e non ci
possiamo contentare di dire che qualche successo si è
determinato. Sappiamo che con una strategia che in questi anni
si è via via raffinata, l'indipendenza e l'autonomia della
magistratura non sono state attaccate soltanto dai capi mafia,
ma sono state attaccate sul piano politico, sono state
attaccate sul piano dell'opinione pubblica da giornali
compiacenti, insomma da tutti i protagonisti di un sistema di
potere che, pur non essendo direttamente mafiosi, avevano
comunque una convergenza reale di interessi con la mafia.
   La corruzione della magistratura non ha determinato
soltanto il fenomeno eclatante di Corrado Carnevale, ma anche
il fatto che questi all'interno della magistratura non è mai
stato allontanato dalla sua funzione e dal suo incarico. Ha
fatto sì che Curtò a Milano avesse complici che non erano
quelli che prendevano la valigetta direttamente o tramite la
propria moglie, ma coloro che comunque convivevano dentro
questo sistema. Dunque, il condizionamento è stato all'interno
delle istituzioni rispetto all'esercizio di funzioni
essenziali. Ho già fatto l'esempio di Contrada per quanto
riguarda l'azione della polizia, che ancora qui abbiamo visto
vincolata, condizionata da questo genere di giudizi.
   E' per questa ragione che credo nella relazione manchi il
riferimento ad una valutazione dei delitti politici che si
sono tragicamente susseguiti in questi anni, compresi quelli
di Falcone e di Borsellino. Non credo che abbiamo bisogno, in
questa Commissione, di commemorare eroi che sono ormai
consegnati alla coscienza collettiva come tali. Abbiamo
bisogno di capire cosa sia successo e perché; di andare anche
oltre il livello degli autori materiali o dei mandanti di Cosa
nostra degli assassini di Falcone e Borsellino, per capire in
quale contesto ed in quale scenario tutto ciò sia maturato.
Per ciascuno di questi, naturalmente, si potrebbe fare un
discorso specifico ampio; io cito però l'esigenza di parlarne,
di non limitarsi sicuramente e semplicemente ad attribuire a
Cosa nostra l'esecuzione materiale (nella quale pure io credo)
di questi delitti.
   Così, per quanto riguarda le stragi del 1992 e del 1993,
non voglio accreditare all'opinione pubblica più che tanto, ma
non credo che nel senso comune sia condiviso un giudizio così
netto, comunque non lo condivido io; intendo dire che io credo
che c'entri Cosa nostra, che probabilmente abbiano detto la
verità i pentiti che hanno parlato dell'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario e di altro, ma che mai i capi
di Cosa nostra o chi, comunque, attualmente comanda
all'interno di Cosa nostra, della camorra e della 'ndrangheta
avrebbe compiuto stragi di questo genere se non fosse entrato
in un circuito di interessi e di convenienze che si muovono ad
un livello molto più elevato e che hanno a che fare - io credo
- con le sorti della democrazia e del sistema politico in
questo paese.
   Quindi concludo tornando alla mia considerazione iniziale.
Mi rendo conto che le mie sono valutazioni ancora molto
approssimative, che costituiscono un riepilogo di osservazioni
più che una riflessione approfondita; credo però di dover
confermare, presidente e colleghi, quello che ho detto
inizialmente ed in alcune occasioni ho avuto modo di ripetere
in questa sede. La mia convinzione è che questa Commissione
debba lasciare al Parlamento ed al paese un'analisi aggiornata
(e lo sta facendo) ma anche una ricostruzione, se volete uso
questa espressione, allarmante, cioè che determini un
                        Pagina  2984
allarme nella coscienza collettiva circa la natura profonda
della mafia come sistema di potere e circa la sua capacità di
essere permanentemente o di atteggiarsi permanentemente come
protagonista di un'azione di contrasto alla democrazia ed allo
sviluppo di tutti i diritti e di tutte le libertà
fondamentali.
   Se non muoviamo la nostra analisi puntuale, la
ricostruzione dei documenti e degli atti a questo livello,
faremo un utilissimo lavoro di aggiornamento dell'analisi, che
potrà servire alla magistratura ed alla polizia e potrà
rappresentare anche elemento di informazione per l'opinione
pubblica e sarà dunque comunque apprezzabile, ma resteremo al
di sotto della natura e della gravità di questo fenomeno.
Poiché il presidente ha scritto e ripetuto che la valutazione
di ordine politico, che è quella che determina il succo di una
relazione annuale, è rinviata all'esito della discussione, mi
auguro che queste mie osservazioni, insieme alle altre che
altri colleghi hanno fatto e faranno, potranno essere utili
per quella ricostruzione. Dichiaro fin d'ora, tuttavia, che di
questa idea, di questa valutazione, che è più che un'ipotesi,
del fenomeno mafioso come sistema di potere sono sempre più
convinto, per cui intendo mantenere questa convinzione agli
atti della Commissione.
  UMBERTO CAPPUZZO. Signor presidente, innanzi tutto
desidero esprimere vivo apprezzamento per questa relazione che
tratta in maniera completa tutti gli aspetti del nostro
impegno in questa legislatura. Fatto questo apprezzamento,
devo però osservare che la relazione, così ricca di dati, a
volte manca di incisività. Sarebbe forse stato opportuno
estrapolare tutta la parte che si riferisce alla
documentazione e metterla in allegato, in modo da avere
soltanto valutazioni che abbiano pregnanza politica.
   A tale riguardo, presidente, vorrei anche richiamare la
sua attenzione su problemi di carattere terminologico. Si
parla delle quattro Commissioni facendo riferimento a volte ai
poteri, alle funzioni, alle potestà, ai compiti: per evitare
confusioni sarebbe opportuno precisare meglio questo aspetto.
   Le quattro fasi sono descritte in maniera molto
esauriente, completa ed interessante, perché si riesce a
comprendere la differenza tra le varie Commissioni nel tempo:
dall'idea dell'informazione, della ricognizione, all'idea
dell'intervento sul piano legislativo, alla presa d'atto di
quanto realizzato sul piano legislativo e quindi alla
possibilità di verificare l'incidenza della legislazione
sull'attuazione pratica. Sono cose molto interessanti, che ho
veramente molto apprezzato.
   Fatto questo riferimento generale, mi chiedo se non fosse
stato opportuno inserire, a premessa, una considerazione sul
momento che stiamo vivendo. Siamo in presenza di un'autentica
svolta e tale svolta, a mio avviso, è data non soltanto dai
successi ottenuti, ma dal fatto che misteriosamente, in questa
fase, abbiamo avuto la possibilità di catturare dei latitanti;
abbiamo avuto un fenomeno del pentitismo che ha raggiunto
livelli notevoli; abbiamo visto in azione nuove forme di
strategia: i delitti politici e gli attentati. Siamo in
presenza di un'espansione territoriale, perché le zone a
rischio non sono più quelle tradizionali; siamo in presenza
anche di un fenomeno di internazionalizzazione e di
globalizzazione, che l'onorevole Galasso ha accortamente messo
in evidenza.
   Dobbiamo valutare il momento storico: perché solo adesso
sono stati catturati i latitanti? Perché in passato ci sono
state omissioni e carenze? Come mai il pentitismo si è
manifestato soltanto adesso? Come mai le vecchie strategie
sono state abbandonate, e per che cosa? Sarebbe stata
interessante una valutazione della svolta alla quale abbiamo
assistito, anche per poter comprendere quello che ci resta da
fare.
   Mi ha colpito un tema affrontato nella relazione, cioè che
l'attività delle multinazionali si basa su una strategia che
va
                        Pagina  2985
oltre il nostro paese. Forse sarebbe stato interessante
soffermarsi su queste ipotesi.   Rilevo poi che, per quanto
riguarda le classiche manifestazioni della mafia (droga,
estorsioni, usura, appalti, riciclaggio) una più puntuale
ricostruzione avrebbe consentito al lettore di questo ampio
documento di comprendere con più facilità in quale momento
viviamo. Da tempo andiamo ripetendo - mi spiace che non sia
presente il collega Taradash - quale sia stato il ruolo
centrale della droga, ma nella relazione questa affermazione
si attenua e viene in un certo senso ammorbidita, poiché si
giunge subito a trattare della fase finale, importantissima
anche sul piano internazionale, del riciclaggio; manca una
ricostruzione puntuale delle nuove manifestazioni del traffico
di droga e cosa esso significhi ai fini dell'individuazione
dei flussi di riciclaggio.
   Sono rimasto favorevolmente colpito dall'accento posto
sulla razionalizzazione del lavoro; mi riferisco al processo
di informatizzazione della documentazione. Mi chiedo, però, se
un capitolo così interessante non possa essere messo in
allegato, per non appesantire troppo la relazione e consentire
al lettore di soffermarsi sugli aspetti della lotta alla mafia
sotto il profilo legislativo e amministrativo della
repressione.
   Quanto a quest'ultimo aspetto ed allo scioglimento dei
consigli comunali, forse sarebbe stata opportuna una
riflessione sulle eventuali modifiche che la Commissione
potrebbe proporre per questi istituti. In passato è stato
messo più volte in evidenza come l'intervento indiscriminato
nei riguardi di un consiglio comunale, senza la chiara
indicazione dei colpevoli da allontanare definitivamente dalla
vita politica, faccia sì che questi riescano a mascherarsi nel
complesso dell'attività amministrativa ed a riciclarsi; è
successo che, alle elezioni successive, soggetti del genere
siano risultati addirittura eletti. A poco serve il codice di
comportamento etico dei partiti perché, nelle sedi in cui si è
intervenuti, i partiti sono in condizione di "sonno" e non
partecipano attivamente; alcune persone si riciclano grazie
alle clientele da loro stessi create.
   Il relatore ha opportunamente ricordato il lavoro svolto
nel corso della X legislatura dalla Commissione antimafia
presieduta dal senatore Chiaromonte, caratterizzato dalla
traduzione in legge di un complesso di esigenze; questa
Commissione vuole invece agire sul versante delle istituzioni
e sull'applicazione delle leggi. Il relatore ha svolto
considerazioni molto sagge sulla scarsa applicabilità delle
norme. Sarebbe stata forse opportuna una maggiore
puntualizzazione degli aspetti particolari, per vedere quale
legge si sia rivelata non adatta o abbia fatto addirittura
perseguire lo scopo opposto.
   Un altro aspetto al quale è stato fatto solo un rapido
cenno riguarda l'intervento sul piano sociale e formativo.
Dalla visita a Palermo ed al quartiere Brancaccio è emerso un
forte degrado. Un capitolo dedicato alla vulnerabilità del
sistema democratico rispetto agli attacchi del potere mafioso
ed al rapporto tra il degrado e la manifestazione di quel
potere (degrado voluto perché favorisce la criminalità
organizzata di stampo mafioso) forse sarebbe stato opportuno.
   Quanto al problema dell'internazionalizzazione, finora
abbiamo avuto collegamenti sul piano internazionale tra
istituzioni repressive, informative e legislative per
addivenire ad un fronte comune. Mi chiedo se non possa essere
data una dimensione parlamentare alla lotta contro la mafia.
Proporrei addirittura il coinvolgimento di esponenti del
Parlamento per affrontare il tema della criminalità
organizzata, a simiglianza di quanto avviene per l'Assemblea
dell'Atlantico del Nord. Mi riferisco all'esigenza di
inserire, nella lotta contro la mafia, la componente
democratica popolare, sia pure attraverso i suoi
rappresentanti, affinché questo fenomeno, nel momento in cui
assume connotazioni particolarmente pericolose, non
costituisca più soltanto elemento di dibattito e valutazioni
all'interno delle istituzioni bensì spunto per l'intervento
                        Pagina  2986
delle varie forze politiche con proposte sul piano
parlamentare e quindi elemento di una democrazia di tipo
diverso attraverso l'azione convergente di esponenti politici
di tutti i paesi che sono a rischio o che possono diventarlo.
Mi permetto di sottoporre questa proposta all'attenzione del
presidente.
   Procedendo ad una sintesi, ribadisco l'opportunità di
alleggerire la relazione, collocando in allegato le parti
relative alla documentazione. Rinnovo anche la proposta di
dare una dimensione democratica alla lotta contro la mafia.
Come il presidente ha preannunciato nella lettera, manca la
parte relativa alla valutazione complessiva di carattere
politico; vedremo cosa dovrà essere inserito dopo la
conclusione del dibattito. Ritengo, però, sin d'ora che debba
essere individuata una nuova linea strategica, che sia
vincente a fronte di una mafia che ha mutato la sua linea
strategica rispetto a pochi anni fa. Oggi siamo di fronte ad
un fenomeno completamente nuovo rispetto al passato, di fronte
a metodi nuovi ed a nuove estensioni territoriali. Tutto ciò
esige una strategia diversa rispetto alla quale la componente
italiana può avanzare proposte anche a livello internazionale.
Dunque, nella sintesi finale dovrebbero essere date
indicazioni su tale strategia, sul piano preventivo, sul piano
repressivo e su quello amministrativo, per evitare di
limitarci alla cronistoria di quanto è avvenuto.
   In conclusione, desidero brevemente tornare su un
argomento che avevo tralasciato. Mi riferisco alle valutazioni
sugli interventi dei commissari nei comuni di cui sono state
sciolte le amministrazioni. Queste valutazioni sono velate di
un certo ottimismo; mi risulta che talvolta i commissari siano
stati soltanto dei burocrati mentre, non avendo problemi di
consenso, avrebbero potuto approfittare per vincere connivenze
e collusioni: purtroppo non l'hanno fatto. Il commissario non
deve soltanto mandare avanti il sistema a livello burocratico;
deve eliminare tutte le contiguità e le connessioni esistenti
negli apparati amministrativi. Non esiste soltanto la
burocrazia. Naturalmente, bisogna porre l'accento sulla
vulnerabilità dei nostri sistemi, sull'inefficienza diffusa
degli apparati, sul ben noto sistema degli appalti.
   Se in futuro volessimo fare un lavoro di maggior pregio,
non disdegnerei di procedere ad un'analisi del voto nei bacini
territoriali nei quali è maggiore l'impronta mafiosa, per
verificare eventuali spostamenti di voti, su chi vengano
diretti e se i mafiosi abbiano veramente la capacità di
convogliare il consumo. Sarebbe interessante un'analisi, anche
a campione, svolta nelle zone più esposte.
   Infine, vorrei chiedere al presidente se non sia il caso,
a seguito delle notizie che abbiamo appreso poche ore fa dagli
organi di informazione, di dedicare attenzione a questi nuovi
sviluppi. Si tratta di fatti che possono avere notevole
incidenza anche su giudizi che finora abbiamo formulato e per
la definizione delle linee strategiche per il futuro. Se le
notizie diffuse sono vere, siamo in presenza di elementi di
seria preoccupazione che si collocano sulla stessa linea di
quelli che l'onorevole Galasso ha voluto evidenziare per il
caso Contrada. Mi domando, perciò, se sia il caso di approvare
subito la relazione ovvero sia preferibile aspettare, per
inserire elementi di valutazione alla luce degli ultimi
sviluppi, di grande importanza.
  GIROLAMO TRIPODI. Desidero confermare il giudizio già
espresso in altre occasioni circa la validità della strategia
che questa Commissione ha seguito sin dal suo insediamento.
L'intenso lavoro compiuto - per molti aspetti eccessivo - ha
prodotto risultati importanti che hanno consentito di
delineare un quadro più limpido della delinquenza organizzata
sia a livello regionale sia a livello più generale, nelle sue
diramazioni territoriali e nei suoi collegamenti di livello
internazionale, con riferimento ai grandi traffici di droga e
armi ed ad interventi che possono essere ricondotti a rapporti
politici.
   Questo lavoro ha favorito lo svilupparsi degli eventi,
cioè l'emergere in
                        Pagina  2987
quest'ultimo anno del rapporto tra mafia e politica; questo è
stato l'elemento fondamentale che ha caratterizzato l'azione
portata avanti in particolare dalle forze dell'opposizione;
mentre le forze di Governo negavano questa possibilità o
evidenza, noi, invece, abbiamo agito in questo modo, come è
stato confermato nella relazione sui rapporti tra mafia (Cosa
nostra) e politica. Ma non lo abbiamo fatto solo noi, perché
una serie di inchieste giudiziarie ha messo in evidenza qual è
il rapporto stretto tra potere politico e potere criminale.
   Credo che, senza esagerare, dobbiamo affermare che in
certe zone del paese - grazie alla conoscenza dell'attività
giudiziaria e a quello che abbiamo scritto nella relazione -
abbiamo potuto riscontrare che la mafia, per i rapporti
politici, per i collegamenti con la pubblica amministrazione,
per i rapporti con gli apparati dello Stato, per il controllo
dell'economia, degli affari, degli appalti e del territorio è
diventata un'organizzazione statale. Dobbiamo dire che non ci
troviamo di fronte ad un antistato ma che ci siamo trovati e
ci troviamo di fronte ad uno Stato vero e proprio. Se non lo
facessimo, non andremmo fino in fondo, non scaveremmo nel modo
giusto.
   Ritengo, perciò, che si debba dire qualcosa in più. Se
questo è il tipo di organizzazione criminale cresciuto nel
nostro paese negli anni, come lo è (come risulta dai fatti
oggi appresi dalla televisione circa un'operazione in grande
stile, condotta dalla DIA, che coinvolge oltre 200 persone a
livello nazionale, ed anche - si dice - un generale dei
carabinieri e 4 magistrati a livello nazionale ed uno a
livello locale - non so chi possa essere, perché il nome non è
ancora noto -), questa è la dimostrazione che la delinquenza
organizzata, proprio per i rapporti che è riuscita a
determinare è diventata anche un'organizzazione eversiva. Se
consideriamo che la democrazia nelle zone dove opera la mafia
praticamente non esiste oppure che è vietato esercitarla e che
la libertà individuale dei cittadini non è garantita, se
consideriamo che in molte zone la scelta libera del voto non è
assolutamente possibile, è evidente che dobbiamo definirla
un'organizzazione eversiva, anche per i collegamenti che ha
avuto. Mi riferisco anche alle stragi dovute a terrorismo
politico-mafioso, che hanno visto coinvolte anche forze di
destra. Mi pare che anche in questi giorni emergano ancora,
anche se sotto forme diverse, disegni autoritari che vedono
coinvolte anche parti delle forze armate.
   Ritengo, allora, che dobbiamo affermare queste cose nella
relazione. Pensavo che la relazione sarebbe stata un resoconto
di quello che abbiamo fatto, perché io ritengo giusto che sia
corredata dall'elenco dei risultati conseguiti. Altrimenti, si
potrebbe dire che abbiamo svolto soltanto riunioni, compiuto
sopralluoghi, ascoltato responsabili politici, della
magistratura e dei corpi dello Stato o eletti nelle varie
istituzioni. Credo invece che dobbiamo aggiungere qualcosa.
Bisogna affermare - come osservava molto bene il collega
Galasso - che un rapporto non solo tra mafia e politica ma
anche tra mafia e poteri esiste non soltanto nelle zone in
questione. Anche se qualche volta si è esagerato, abbiamo
visto che la mafia è riuscita a tenere rapporti con i massimi
poteri dello Stato, con il potere politico, con il Governo:
abbiamo visto coinvolti un Presidente del Consiglio, diversi
ex ministri, in particolare dell'interno. Questi sono fatti
gravissimi sui quali non possiamo sorvolare. E' giusto che vi
sia il massimo equilibrio, ma queste sono cose che la gente da
noi attende, perché vuole che diciamo le cose senza mettere
alcun velo. Non dobbiamo avere alcuna ambiguità, perché questo
non sarebbe utile a nessuno.
   Un'altra questione che dovremmo approfondire è quella
relativa al rapporto che la mafia ha instaurato con corpi
separati dello Stato; si dice qualcosa sui servizi segreti.
Credo che occorra citare, per esempio, il caso Contrada, che è
uno dei casi: ancora non sono emersi, ma ve ne sono altri.
Parte della magistratura è coinvolta. Credo allora che
dobbiamo precisare. Ancora non abbiamo le sentenze,
                        Pagina  2988
ma è stato detto che, se la mafia è cresciuta in questo
modo, arrivando a creare legami in ogni modo, a determinare
decisioni a livello del potere politico, non vi è dubbio che
vi sono state responsabilità, responsabilità politiche. Credo
che bisogna rompere, perché se si lasciano ancora elementi di
ambiguità è evidente che, anche se il rapporto viene tagliato
con alcuni, si riproduce con altri. La mafia ha alzato il tiro
con gli ultimi attentati, che certamente non sono stati opera
soltanto sua, anche se un giorno si dice che è stata la
camorra, un giorno che è stata la mafia e poi si smentisce,
poi si dice che sono collegate a questa strategia del terrore
anche altre organizzazioni.
   Se le cose stanno così dobbiamo dire con molta chiarezza
che è evidente che la mafia ha potuto crescere perché vi sono
state responsabilità politiche precise. Per quanto riguarda la
situazione attuale, non è che la mafia, avendo subito colpi
con l'arresto di capi storici, di capi indiscussi, anche se
nella relazione sono indicati dati che possono indicare una
caduta, sia sbandata: credo, anzi, che stia ricostruendo il
suo tessuto di dominio e di capacità di imporre la sua forza e
le sue regole. Dobbiamo dire il nostro parere senza esprimere
un giudizio secondo il quale siamo di fronte ad un fenomeno
decrescente, perché questo non si può assolutamente affermare.
   Circa i rapporti mafia-poteri e mafia-politica, a pagina
10 della relazione si parla dei rapporti tra organizzazioni
mafiose e massoneria. Credo che anche su questo dobbiamo dire
di più. Non si comprendono, infatti, i motivi che hanno spinto
la Commissione antimafia ad approfondire questi collegamenti e
quali siano, allo stato attuale, i riscontri acquisiti in
merito. Non si parla, insomma, della natura dei rapporti posti
in essere tra mafiosi e massoni nell'ambito di affari di varia
natura, in primo luogo negli appalti, nell'ambito
dell'aggiustamento dei processi, di una comune strategia della
tensione, nell'ambito del separatismo e così via. Queste cose,
viceversa, devono essere dette nel modo più chiaro e
circostanziato possibile, così come si deve dire che il lavoro
della Commissione antimafia deve proseguire al fine di
appurare la natura di identici collegamenti in tutte le altre
regioni, non soltanto in Sicilia, ivi comprese quelle che
definiamo le regioni dove è più infiltrata la mafia, per
esempio, in Toscana (come sta emergendo in questi giorni).
   Deve essere inoltre valorizzato il patrimonio di notizie
portate avanti e a conoscenza della Commissione antimafia.
L'inchiesta aperta dal procuratore della Repubblica di Palmi
Cordova ha potu-to scoperchiare il pentolone esistente.
Quindi, bisogna dire che, su questa questione, ci troviamo di
fronte all'inchiesta più delicata e più importante degli
ultimi tempi nel nostro paese. Basti pensare a quello che
accade sul piano nazionale: si dice che vi sono 26 comunioni
massoniche, la maggior parte delle quali fungono da stimolo
per la presenza di strutture occulte. A questo riguardo è
doveroso riflettere, così come lo è sulla presenza, ancora,
della P2. Il collegamento che l'altro giorno abbiamo
individuato è inserito nella relazione sulla Calabria. Le
inchieste della magistratura di Palmi, che vedono coinvolto
Gelli, sono la dimostrazione che questa organizzazione ancora
esiste.
   A questo riguardo, bisogna sottolineare che, di fronte ad
un'inchiesta così importante e decisiva anche per la nostra
democrazia, vi è il rischio che vada in porto la strategia
volta a sabotarne ed ostacolarne la conclusione. A parte il
fatto che nei giornali abbiamo letto che una parte del
Consiglio superiore della magistratura ritiene che questa
inchiesta segni il passo, credo che nella relazione non
possiamo non ricordare gli ostacoli di ogni tipo che ad essa
sono stati frapposti: vi sono stati sabotaggi portati avanti
persino dall'ex ministro di grazia e giustizia, il quale sin
dall'inizio ha cercato di mettere i bastoni fra le ruote per
impedire che l'inchiesta potesse andare in porto. Eppure essa,
stando anche alla definizione che le ha dato il procuratore,
                        Pagina  2989
riguarda un'organizzazione che "rappresenta" il tessuto
connettivo del potere esistente in Italia.
   Credo, quindi, che certe cose vadano dette, aggiungendo
che bisogna mettere a disposizione tutti i mezzi necessari per
sconfiggere qualsiasi operazione di sabotaggio, di ostacolo e
di freno allo sviluppo dell'inchiesta, altrimenti lasceremo un
vuoto significativo. Considerando che non concluderemo questa
sera la discussione, preannuncio la presentazione di un
emendamento da parte del mio gruppo...
  PRESIDENTE. L'accordo che avevamo preso era che si
concludesse questa sera la discussione, e dopo di che mi sarei
riservato di...
  GIROLAMO TRIPODI. No, io mi riferivo alla conclusione
con un voto. Quindi, credo che avremo il tempo per presentare
un emendamento su questa parte della relazione, a meno che,
sulla base di questo dibattito, da parte sua, signor
presidente, vi sia una riflessione circa la necessità di dire
di più su questa questione, specificando come si è sviluppata,
sottolineandone gli ostacoli, nonché le soluzioni, i sostegni
e gli aiuti necessari.
   Credo debba essere evidenziato anche un altro aspetto, e
cioè che il Governo e le varie amministrazioni pubbliche,
nonostante sia stata scoperta l'appartenenza alla massoneria
di molti funzionari, magistrati, esponenti delle forze armate,
delle forze dell'ordine e dei servizi segreti, non hanno
ancora assunto nessuna iniziativa a proposito
dell'incompatibilità tra il giuramento di fedeltà prestato
alla Repubblica e quello del rispetto e dell'esercizio della
fede massonica. Credo che questo fatto debba essere
richiamato, altrimenti può accadere che queste forze, che sono
all'interno degli stessi apparati dello Stato, passino al
contrattacco.
   Nella relazione vi è un richiamo all'incontro con gli
esponenti delle due organizzazioni massoniche. Per quanto mi
riguarda, quello che dicono loro a noi non interessa, anche se
è bene che collaborino per smascherare chi non fa il proprio
dovere. Ho sottolineato la necessità di stare attenti, sia in
considerazione delle applicazioni richieste dal ministro Conso
presso la procura di Palmi per poter portare avanti questa
inchiesta, sia del fatto che rispetto a dodici richieste sono
state cinque quelle dichiarate accettabili e che nei confronti
di una di queste vi è un certo ostracismo; mi riferisco a
quello esercitato, con la ricerca di mille cavilli - non
capisco perché si cerchino per lui e non, per esempio, per un
altro magistrato di una delle sedi della giustizia romana -
nei riguardi di un magistrato che ha molta esperienza. Mi
riferisco al sostituto procuratore della Repubblica di Bologna
Libero Mancuso, la cui nomina ha subito un'ulteriore
bocciatura. Si tratta di un fatto che evidentemente non può
essere giustificato sul piano tecnico e che ha, invece, un
valore ed una valenza politica. Infatti, questo magistrato
paga l'impegno profuso in passato nella lotta alla massoneria
deviata. Credo che questo dimostri il disegno destabilizzante
che si intende portare avanti anche per impedire che questa
inchiesta vada in porto.
   Qualche parola va spesa sull'organizzazione della
giustizia, cioè sulle carenze degli organici, sul fatto che
alcune fasce della magistratura ancora non svolgono il loro
dovere - per cui vanno individuate - e che anche i mezzi messi
a disposizione dallo Stato non vengono dati alla magistratura.
La stessa situazione carceraria deve essere messa in evidenza.
Tutte le questioni che ho adesso elencate, credo che debbano
essere oggetto di opportuni interventi non solo in termini di
giudizio ma di proposte concrete.
   Qualche considerazione sulla superprocura, sulla DNA.
Ricordo che a suo tempo sulla costituenda superprocura non ci
siamo limitati ad esprimere delle riserve ma ci siamo opposti.
Comunque, visto che oggi è una realtà, dobbiamo sottolineare
il rischio che la superprocura faccia la fine dell'Alto
commissario. Mi rendo conto che esistono difficoltà nei
rapporti tra superprocura e procura distrettuale, ma credo che
allo stesso tempo ve ne siano altre che vanno ricercate
                        Pagina  2990
all'origine dell'istituzione di questo organismo e nel modo
in cui viene gestito. Dopo otto mesi dalla sua costituzione
non abbiamo avuto alcun risultato, o meglio, ne abbiamo avuto
uno, che però non è un aiuto ma un danno: il documento
pubblicato giorni fa e sottoscritto da 18 sostituti su 20. Si
trattava di una critica, anche se poi hanno cercato di porla
in termini positivi.
   Per quanto mi riguarda, si tratta di un'istituzione che
oggi conferma il giudizio che esprimemmo a suo tempo, in
quanto continuo a ritenere che le forze e le risorse che essa
ha sottratto potevano essere utilizzate diversamente. Non è
sufficiente che Siclari partecipi alle conferenze dopo le
grandi retate! Bisogna cambiare, bisogna esprimere un
giudizio, nonché proporre soluzioni. Ripeto, per quanto mi
riguarda, non serve, però, visto che esiste, vediamo se è
possibile trovare altre soluzioni, le quali non pregiudichino
i poteri periferici, né diventino sovrapposizioni di compiti e
di ruoli. Deve essere riaffermato il principio della
distinzione dei compiti e del loro coordinamento.
   In conclusione, ritengo che la relazione debba essere
completata con i suggerimenti dati, perché se non li recepisse
esprimendo un giudizio più generale, resterebbe soltanto un
elenco di ciò che abbiamo fatto. Per evitare che la relazione
sia monca, dobbiamo essere più precisi possibile. Quando
abbiamo redatto il documento sui rapporti tra mafia e
politica, abbiamo discusso, cercando di contribuire ognuno per
la sua parte, e siamo giunti ad una conclusione fornendo un
documento che credo fosse più corrispondente alla realtà.
   La relazione di cui discutiamo è più importante di quella
che riguardava una parte dell'attività da noi svolta, perché
attiene al lavoro che abbiamo compiuto in un anno e perché di
essa devono tenerne conto il Governo ed il Parlamento per
quanto riguarda le dovute e, a mio avviso, doverose decisioni.
   In conclusione, valuteremo gli aspetti di cui ho detto e
che a me sembrano rilevanti per completare il documento al
nostro esame e non per aggiungervi qualcosa al fine di
stravolgere certe posizioni o affermarne di particolari.
Riteniamo che la realtà debba essere recuperata e fotografata
con i fatti che abbiamo riscontrato nel nostro lavoro e con i
suggerimenti da avanzare all'Esecutivo e al Parlamento per gli
ulteriori provvedimenti da assumere. E' necessario che gli
stessi apparati dello Stato tengano conto del fatto che oggi
siamo in un'altra fase e che bisogna cominciare a fare
pulizia, anche all'interno degli apparati preposti alla lotta
alla criminalità. Iniziative come quelle assunte ieri dal
ministro nei confronti di un generale sono importanti e non
vorremmo che si ripetessero circostanze nelle quali ministri o
responsabili della polizia difendono coloro che sono o sono
stati collusi con la mafia ai danni della democrazia e della
Repubblica.
  MASSIMO SCALIA. Vorrei dedicare pochi istanti del mio
intervento ad una questione che riguarda l'ordine dei lavori.
Il presidente confermerà se - come ritengo di aver capito -
chiuderemo entro oggi la discussione sul documento e
definiremo alcune sedute nelle quali sarà possibile proporre
emendamenti non al testo in esame ma a quello che a seguito di
questa discussione il presidente vorrà predisporre, un testo
dotato di una premessa e, ancor più significativamente, di
conclusioni che diano il risalto politico che, come molti
colleghi hanno sottolineato, deve avere un documento del
genere.
  PRESIDENTE. Questo rischia di diventare un lavoro
infinito. Suggerisco, quindi, di porre come termine per la
presentazione degli emendamenti lunedì sera, in modo che io
abbia la possibilità di risistemare il testo.
  MASSIMO SCALIA. Questa è un'ipotesi che può andare
benissimo per la parte che ella ha già presentato. Però, come
è istanza di molti colleghi e come sarà mia istanza, è
importante, proprio per il risalto politico del documento,
                        Pagina  2991
avere anche il testo definitivo, perché una cosa sono gli
emendamenti correttivi e aggiuntivi di alcuni aspetti
riportati, altro è il taglio politico generale della relazione
che, come ella ci ha detto nel momento in cui l'affidava alla
discussione, è presente molto limitatamente, mentre invece
sembra essere - e lo è sicuramente per me e per altri colleghi
- un elemento fondante l'approvazione del documento stesso.
Per questo la prego di stabilire dei tempi emendatizi per
quello che riguarda il testo a disposizione, prevedendo anche
la possibilità di procedere ad una discussione finale, con la
possibilità di presentare emendamenti su quelle che possono
essere anche poche pagine di conclusioni e valutazioni
politiche generali. Non sarei soddisfatto di emendare questo
testo che può anche essere modificato dal presidente sulla
base di una serie di considerazioni eminentemente aggiuntive
che sono state fatte. Invece le sottolineature politiche credo
che difficilmente potrebbero avere corso rispetto al testo
dato perché attengono ad una valutazione generale che può
essere allegata in conclusione al documento. Sarebbe un lavoro
improbo anche per noi emendare in modo prevalentemente
aggiuntivo il testo, senza avere mai l'occasione di dire
quello che pensiamo - se non in sede di dichiarazione di voto
- sul segno politico complessivo del documento.
  PRESIDENTE. Alla fine della seduta decideremo cosa fare.
  GIROLAMO TRIPODI. Desidero aggiungere una
considerazione. Nel documento vi è una notizia non vera
relativa agli appalti.
  PRESIDENTE. No, quello approvato dalla Camera certo che
è vero ed io ho parlato del testo approvato dalla Camera e non
di quello del Senato.
  MASSIMO SCALIA. Ho fatto questa premessa sull'ordine dei
lavori perché volevo sottolineare, come hanno già fatto altri
membri della Commissione, l'aspetto politico del documento.
Intendo dire che il presidente ci ha dato - e noi apprezziamo
la fatica e il lavoro svolto - una sinossi dell'attività
attuale della Commissione antimafia (ovviamente nessuna
sinossi è completamente neutra e anodina, né peraltro sarebbe
corretto che lo fosse) che però, pur essendo suscettibile di
alcune modifiche, correzioni e aggiunte - che sono state
suggerite e sulle quali interverrò anche io -, lascia in
pregiudicato quello che deve essere il taglio politico della
relazione. Il collega Galasso, intervenendo prima, temeva che
questa potesse essere l'ossatura non solo espositiva ma anche
politica della relazione, per cui ha approfondito esigenze di
carattere politico che io in larga misura condivido da un
punto di vista meno impegnativo di quello che egli proponeva,
seppure come ipotesi. Anche io appartengo alla scuola di
pensiero di coloro che ritengono, sulla base di una serie di
dati, documentazioni e valutazioni politiche, che la mafia
vada trattata come sistema di potere che ostacola in maniera
consapevole la possibilità di ogni forma di espansione, da
quella economica a quella della libertà, dei diritti dei
cittadini. Quindi, sono alieno dal ritenerla o ridurla a fatto
di criminalità organizzata, a fatto di Cosa nostra o altro.
Però, non ritengo che sia necessario aderire a questa scuola
di pensiero per richiedere che le valutazioni e le conclusioni
politiche del documento abbiano un aggetto molto più forte ed
un livello politico molto più elevato e responsabile di una
sinossi. Questo oltre tutto - senza dover chiedere ad alcuno
di condividere i miei punti di vista - sulla base di una
notazione che nella relazione stessa viene fatta quando si
ricorda che la Commissione d'inchiesta ha gli stessi poteri
dell'autorità giudiziaria ma che questa Commissione ha
limitato le proprie competenze all'accertamento di fatti
idonei a promuovere un giudizio di responsabilità politica.
Cioè, si riconosce esplicitamente che, essendo accaduto per
questa Commissione (come anche per altre) e cioè che la
materia d'indagine veniva a coincidere con materia su cui
                        Pagina  2992
erano aperte indagini della magistratura, questa Commissione
ha preferito limitarsi - come viene detto esplicitamente -
alle valutazioni di responsabilità politica. Allora, proprio
perché la Commissione sceglie questa linea, questo modo di
essere e questi comportamenti, diventa tanto più importante
che, sul piano della responsabilità politica, essa sia in
grado di fornire valutazioni. Altrimenti, da un lato c'è la
magistratura e ci pensa lei e dall'altro vi è una
responsabilità politica che però non viene "riempita" da
questa Commissione, che si troverebbe in una situazione
neutra, a mio modo di vedere, inaccettabile. Proprio per
questo motivo dico che la valutazione politica del lavoro
della Commissione è fondamentale.
   Ritengo che, anche in termini brutalmente quantitativi e
materiali, ciò che ha occupato di più, in senso relativo, il
lavoro e l'attenzione della Commissione sia stata la sessione
mafia e politica. Allora, è ovvio che nell'andare alla sinossi
non può esservi la famosa notte hegeliana in cui tutte le
vacche sono nere ma ci deve essere un principio che guida
nella gerarchia dell'importanza dell'impegno che la
Commissione ha avuto. Dico questo perché, a proposito di
responsabilità politica - il presidente me lo consenta - se
all'epoca votai a favore del documento proposto dal presidente
Violante su mafia e politica, non celai la sofferenza di
questo voto a favore, la cui natura oggi ritengo opportuno
esplicitare: mi sono chiesto più volte se, per i motivi
politici che poi portarono anche me ad esprimere un voto
favorevole, non abbiamo perso allora un'occasione molto
importante dal punto di vista politico, etico e storico, che
era quella di individuare - lo dico con grande nettezza - la
responsabilità politica del senatore Andreotti - quella
giudiziaria è altra cosa e non ci riguardava - in ordine alla
degenerazione di un sistema di potere che era politico e che
aveva avuto, a partire dalla Sicilia e poi in tutto il paese,
ampie compenetrazioni col sistema di potere mafioso,
responsabilità politica che andava attribuita al senatore
Andreotti per il fatto di essere stato uno dei massimi
dirigenti della democrazia cristiana, sette volte capo del
Governo, per cui non poteva ignorare il tipo di degrado e
degenerazione che la politica stava assumendo. Abbiamo perso -
secondo me - quell'occasione rimandando molto astrattamente al
Parlamento una pronuncia in merito. Credo che questo
Parlamento non avrà realisticamente occasione di potersi
pronunciare e guardo con rammarico al fatto che una sede che
aveva la piena legittimità ad esprimersi a livello di
responsabilità politica, in qualche modo non lo ha fatto,
anche con il mio contributo.
   L'understatement che va benissimo nei club inglesi e
probabilmente va anche molto bene nella vita ordinaria
politica (se si strillasse un po' meno e si usassero toni e
locuzioni molto più ragionevoli tutti ne trarrebbero
vantaggio) non è più accettabile in questa Commissione: si
tratta di un possibile understatement sulla pregnanza
politica di alcuni lavori che questa Commissione ha svolto;
intendo dire che non è accettabile che la sessione di lavoro
su mafia e politica abbia a patire un'elencazione che sta al
pari delle altre cose.
   Per lo stesso motivo ritengo che, sottolineata la
modalità, si debba anche essere molto precisi su due cose,
vale a dire sul prima e sul dopo. Credo che non si possa
ritenere - lo hanno già detto altri colleghi - di vedere, in
sede di valutazione e conclusioni politiche, la storia dei
pentiti e della repressione come elemento centrale, anche se
importantissimo, nella lotta contro il fenomeno mafioso.
Ritengo che dobbiamo essere in grado di valutare il perché per
anni, per decenni non si sia riusciti ad intervenire. Mi
dispiace, a questo punto, dover nominare di nuovo il senatore
Andreotti che all'epoca del famoso documento, in varie
interviste televisive, sostanzialmente sosteneva di essere
stato il primo capo del Governo ad intraprendere iniziative di
carattere legislativo su questo terreno, cosa in linea di
massima vera col peccato che, essendo stato lui al suo sesto o
settimo Governo, tali iniziative avrebbero potuto essere
meglio "targate", usando come misura
                        Pagina  2993
del tempo gli anni di Riina latitante, perché venivano prese
nel ventesimo, ventunesimo anno della latitanza di Riina.
   Non possiamo avere una visione completamente appiattita e
senza una diacronia di responsabilità.
  PRESIDENTE. Ma queste cose non le abbiamo già scritte
nella relazione mafia-politica? E' scritto lì perché prima non
si è proceduto: dobbiamo riscriverlo anche qui? Allora
dovremmo riscrivere tutto di tutto. Dico questo per capire
cosa dobbiamo fare.
  MASSIMO SCALIA. Questa è una mia idea: vedevo una
premessa, se necessario, un corpo di relazione e poi delle
conclusioni politiche nelle quali, assumendo sempre - visto
che sto citando molto dall'anglosassone - la proverbiale
capacità sintetico-pragmatica degli anglosassoni, se io
ritengo e se la Commissione ritiene che il lavoro su mafia e
politica debba avere una posizione centrale nell'illustrare al
Parlamento cosa ha fatto quest'anno la Commissione antimafia,
forse - anche questo è un understatement- sarà del
tutto opportuno che nella relazione vengano riportate in modo
sintetico le valutazioni politiche forti che possono essere
tratte. Credo di restare entro un limite di ragionevolezza,
perché si tratta non di rifare la relazione ma di dare ad essa
risalto politico, ricordando, appunto, queste cose.
   Analogamente, con riferimento agli esiti (questo aspetto
era già presente nel documento su mafia e politica ma credo
che vada ripetuto, come altri colleghi hanno detto), occorre
rilevare l'esigenza di battere qualsiasi illusione o
tentazione di dire (ma onestamente non l'ha detto nessuno) che
bene o male la mafia è stata sconfitta o può essere sconfitta,
ed invece sottolineare ancora l'esistenza di questo sistema di
potere (si scelgano altre locuzioni se questa non piace),
mantenendo comunque molto ferma e alta la vigilanza nei
confronti degli esiti di questa battaglia.
   In questo senso - il collega Galasso me lo consenta - è
molto interessante e probabilmente va sottolineato il problema
della mondializzazione della mafia. Sappiamo, tanto per citare
un esempio, che la mafia russa è entrata pesantemente in scena
ed esercita la sua presenza e il suo controllo dal
narcotraffico fino al mercato di materiale fissile e nucleare,
il che non può non destare una grave preoccupazione a livello
della proliferazione connessa a questa torbida presenza.
   Detto questo, mi trovo un po', per così dire, "sconvolto"
nello scenario che il collega Galasso delinea, nel momento in
cui questa mondializzazione della mafia diventa (vi sono
certamente elementi in questo senso) una sorta di pania
inglobante tutte le attività sociali, perché dal mondo della
finanza a quello della grande impresa e delle multinazionali,
in qualche modo tutto recita mafia. E' possibile che vi siano
elementi preoccupanti di realizzazione di questo scenario, ma
ho qualche dubbio che sia utile che noi proponiamo una visione
del genere, perché mi ricorda un po' troppo una critica che
talvolta viene mossa giustamente agli ambientalisti a
proposito del catastrofismo: se noi diciamo che nel 2020 il
mondo andrà a farsi benedire perché a causa dell'effetto
"serra" si scioglieranno i ghiacci polari perché i livelli di
inquinamento saranno tali per cui la crosta terrestre sarà
invivibile, probabilmente diciamo cose che forse non sono
neanche troppo lontane dalla realtà ma che non danno né forza
né coraggio a coloro i quali, invece, stanno cercando di
combattere per evitare questo tipo di catastrofi.
   La mia non era comunque una critica rivolta al collega
Galasso, il quale ragionava soltanto in termini di scenario e
di ipotesi, ma dal punto di vista delle conclusioni politiche
di questo documento, credo vada senz'altro sottolineato un
aspetto di mondializzazione, oltre agli aspetti di connessione
e compenetrazione nei diversi cicli, circuiti e sistemi,
sempre però con una certa moderazione.
   Soffermandomi molto brevemente su temi già evidenziati o
forse ancora non
                        Pagina  2994
sottolineati, la sinossi mi sembra carente laddove, pur
menzionando il tema, non si dice poi che cosa fare per
misurare l'impatto della legislazione antimafia sul fenomeno
mafioso. Ma forse più che la relazione è stato carente il
lavoro, anche se un'affermazione del genere suona quasi come
una bestemmia, perché questa Commissione ha lavorato
sicuramente moltissimo. Credo comunque che non disponiamo di
molti elementi per effettuare una valutazione dell'impatto
legislativo sul fenomeno mafioso. Vi sono state alcune
presunzioni che ritengo corrette, secondo cui probabilmente è
il momento non tanto di continuare a legiferare quanto di
valutare l'efficacia delle leggi già approvate (su questo
atteggiamento concordo); credo però che manchi, o sia carente,
quello che potrebbe essere definito un'osservatorio
dell'impatto legislativo sul fenomeno mafioso.
   Sottolineo anch'io l'esigenza di "stressare" maggiormente
gli aspetti relativi al rafforzamento della magistratura, del
sistema giudiziario, agli interventi che questa Commissione
può suggerire anche sul piano del sistema carcerario, con
particolare attenzione - mi sia consentito -, secondo
l'esperienza di questa Commissione, al problema della
riabilitazione minorile rispetto al sistema carcerario.
   In conclusione, concordo con il collega Tripodi nel
momento in cui sottolinea la necessità di pervenire in questo
documento a delle prime valutazioni che, pur nell'autonomia e
nel rispetto di tutti, si pronuncino anche in maniera più
definitiva sulla direzione nazionale antimafia.
   Vorrei esprimere conclusivamente e in modo non diplomatico
esattamente ciò che penso: credo che quel tipo di struttura
della direzione nazionale antimafia (lo sanno tutti coloro che
hanno seguito questa vicenda ed io ebbi per altro la ventura
di parlarne direttamente con l'allora protagonista, in un
momento molto delicato della sua vita, cioè con Giovanni
Falcone) era concepita e costruita, se mi è permesso dirlo,
molto a immagine e somiglianza dell'esperienza e delle
capacità che aveva Giovanni Falcone. Il fatto che questa
organizzazione sia stata posta in essere può essere anche
positivo, ma non è affatto irrilevante la considerazione,
peraltro anche banale, che esistono strutture pensate e volute
in funzione di determinati uomini e che non ci sono più, non è
affatto vero che quella struttura funzioni lo stesso o allo
stesso livello di efficienza e di efficacia per il quale era
stata pensata.
   Desidero aggiungere, sempre per non essere diplomatico,
che ho qualche garbato dubbio circa l'efficienza e l'efficacia
dell'azione del procuratore capo (non so esattamente come
chiamarlo) Siclari, che vedo sorridere dalla televisione ma
che (magari sbaglio e vorrò essere corretto) non mi ha dato
l'immagine di una capacità di coordinamento efficiente ed
efficace di una struttura che certo veniva posta in essere,
che certo era complessa, ma la cui azione pone, non solo a me
ma anche ad altri colleghi, dei dubbi.
   Credo che uno spazio per recepire questo tipo di
riflessioni debba essere individuato nella parte, che ritengo
conclusiva, di valutazioni politiche, che chiedo al presidente
di proporre alla Commissione per effettuare poi una
valutazione completa.
  ANTONINO BUTTITTA. Vorrei sdrammatizzare...
  PRESIDENTE. Non c'è nulla di drammatico, mi pare. E' la
situazione che è drammatica.
  ANTONINO BUTTITTA. Il tema che stiamo trattando lo è
sicuramente.
   Tra tanti esperti, che hanno legittimo spazio in questo
mondo, è giusto che ne abbiano anche coloro i quali hanno
esperienza delle tinture, soprattutto quando queste tinture
afferiscono alla capigliatura, che è una cosa importante. A
parte questa boutade, ritorno alla notte hegeliana: ho
la sensazione che viviamo in un tempo in cui tutte le mucche
sono nere, tutto si appiattisce e si spegne nell'indifferenza.
Dico questo perché ho la sensazione
                        Pagina  2995
che non si attribuisca a questa relazione annuale
l'importanza dovuta, ed ha ragione il collega Tripodi a
segnalarlo.
   La relazione non è, a mio avviso, una rassegna notarile di
quanto si è fatto fino a questo momento, ma é anzi, in un
certo senso, un compendio critico del lavoro svolto, che può
offrire l'occasione sia di una migliore valutazione del
fenomeno di cui stiamo parlando sia anche di una migliore
organizzazione del lavoro che in futuro dovremo svolgere.
   Per quanto riguarda il lavoro già svolto, dalla relazione
emerge sicuramente un'attività intensa, organica e, a mio
giudizio, intelligente, anche se, come è naturale che sia, si
tratta di un'attività non del tutto esaustiva.
   Intanto la relazione, a mio avviso (la penso diversamente
da altri colleghi), fa bene a ricordare il lavoro delle
precedenti Commissioni, soprattutto della penultima, in ordine
alla quale giustamente si dice che l'impianto legislativo
mediante il quale le forze dell'ordine e la magistratura
operano oggi nasce proprio da proposte di quella Commissione,
dal suo lavoro.
   Secondo me (questa è la lettura che ho fatto della
relazione), dalla relazione stessa emergono tre direttrici
lungo le quali si è mosso il lavoro della Commissione. La
prima è l'accrescimento del patrimonio conoscitivo delle
strutture criminali e delle loro connessioni. I risultati, da
un punto di vista conoscitivo, sono sicuramente buoni e
avrebbero potuto essere migliori se tutte le strutture
chiamate a collaborare l'avessero fatto con lo stesso impegno,
mentre così non è stato.
   La seconda direttrice è la valutazione dei risultati
conseguiti nel settore della repressione del fenomeno mafioso.
Tali risultati farebbero ipotizzare un indebolimento della
criminalità mafiosa; sappiamo però che la realtà non
corrisponde ai numeri, sappiamo cioè che il fenomeno mafioso,
anziché indebolito, risulta attualmente semmai rafforzato,
potenziato, ampliato, esteso anche su territori non
tradizionali.
   Secondo me, la spiegazione di questo fatto può dedursi
dalla stessa relazione, riflettendo su quella che considero la
terza direttrice del lavoro della Commissione, che consiste
nell'affiancare all'antimafia dei delitti, come la stessa
relazione segnala, l'antimafia dei diritti. Si tratta, a mio
avviso, di un percorso che ha dato risultati sicuramente
positivi: penso, per esempio, ai problemi connessi
all'edilizia scolastica a Palermo. Ma proprio questi risultati
devono farci riflettere meglio su che cosa è la mafia e su
come si deve battere. La mafia non nasce direttamente (dico
una cosa ovvia) da condizioni di malessere sociale;
l'equazione mafia-povertà è sicuramente sbagliata. Certamente
la criminalità ha radici immediate nel malessere sociale, ma
la mafia non è solo criminalità, è un fenomeno più complesso
(in questo senso il collega Galasso, a mio avviso, ha ragione
ed ha colto perfettamente nel segno), ed è anche un sistema di
interessi, cioè di potere, di interessi illegalmente
costituiti e illegalmente protetti, un sistema sostenuto da
una cultura, cioè da una ideologia, da regole, da soggetti che
questa ideologia e queste regole rappresentano.
   Il problema è allora quello di determinare un radicale
mutamento culturale, e quindi ideologico, un mutamento del
sistema delle regole.
   In tal senso (questo è almeno il mio parere, diverso,
stando a quando ho sentito, da quello di altri colleghi),
avere chiamato la scuola a farsi soggetto attivo della lotta
alla mafia è un fatto positivo. Molto più importante - ma i
due fatti sono collegati - è determinare un mutamento delle
regole sociali. I soggetti di queste regole possono essere,
nel territorio in cui operiamo, o la mafia, cioè
l'organizzazione mafiosa, oppure lo Stato; tertium non
datur: i detentori delle regole sociali sono infatti
soltanto questi due, relativamente all'orizzonte territoriale
nel quale ci muoviamo.
   Accrescere dunque la presenza dello Stato, il suo migliore
funzionamento, sia nel senso dell'adeguatezza dei servizi
                        Pagina  2996
sociali (al riguardo la penso diversamente rispetto ad altri
colleghi) sia in direzione della lotta razionale a tutti i
fenomeni di devianza, soprattutto, nel nostro caso, alla
criminalità mafiosa, è, a mio avviso, un fattore decisivo.
   Il lavoro che hanno svolto la Commissione ed il Governo
per "presentificare" lo Stato nel territorio è sicuramente
positivo, però non è - altrettanto sicuramente - adeguato
rispetto alla richiesta che la risoluzione del fenomeno
comportava. Le iniziative fino a questo momento messe in opera
non sono del tutto positive. Non possono essere assunte tutte
come funzionali alla risoluzione del problema di cui stiamo
parlando.
   Relativamente a questo aspetto, ci sono due questioni su
cui vale la pena in questa sede soffermarsi. Sulla prima di
esse più volte si è discusso senza riuscire mai a trovare una
soluzione. Mi riferisco all'irrazionalità dell'azione delle
molteplici, forse troppe, strutture chiamate a combattere la
mafia.
  PRESIDENTE. Sì.
  ANTONINO BUTTITTA. Penso in particolare a quel che è
stato più volte denunciato, cioè all'assenza di un impegno
unitario dello Stato relativamente a questa lotta. L'esistenza
di diversi soggetti tra loro spesso in conflitto è una cosa
paradossale, lasciatemelo dire: un fatto dissennato, che
costituisce non solo uno spreco di risorse umane e finanziarie
ma soprattutto un fattore di debolezza, che impedisce - come
di fatto ancora dobbiamo constatare - di colpire la mafia nei
suoi veri centri di potere. Voglio essere molto chiaro ed
esplicito: non sono fra coloro che pensano che catturando
Riina e Santapaola si sia colpita la mafia al cuore, semmai al
braccio! Su questo aspetto occorre riflettere e soffermarsi,
perché è il nodo cruciale che siamo chiamati a sciogliere.
   Altro fatto su cui occorre una riflessione più attenta è
lo scioglimento di alcuni consigli comunali. Una decisione che
andava presa; un provvedimento dunque che andava adottato.
Però, a mio giudizio, andava adottato in modo diverso; così
come è stato assunto ha penalizzato colpevoli ed innocenti, ha
danneggiato anche l'azione di coloro che la mafia l'avevano da
sempre combattuta e che ancora la combattono. Qual è il
risultato? La stessa relazione lo indica: in alcuni casi si è
spenta completamente la vita politica dei centri interessati e
questo ha finito con l'aiutare la mafia non con il
danneggiarla. Questo è proprio quello che la mafia vuole!
   In sostanza, voglio dire una cosa estremamente semplice,
del tutto banale, addirittura scolastica: l'unico vero modo
per battere la mafia è quello di far funzionare lo Stato a
tutti i suoi livelli. Secondo me, questa Commissione, che ha
già dato un serio contributo in tale direzione, può darne
ancora uno maggiore: può potenziare il suo impegno ed ampliare
la propria attività in direzione di quanto ho detto.
   La Commissione fino a questo momento, in ordine
all'osservazione del fenomeno, si è mossa nel senso di un suo
esame per linee orizzontali; penso che sia venuto il momento
di passare dall'analisi orizzontale all'analisi verticale.
Ritengo che sia venuto il momento di osservare, studiare,
scavare ed elaborare relazioni di carattere tematico. Per
esempio, abbiamo analizzato con qualche attenzione le
connessioni tra mafia e politica ma con minore attenzione
quelle tra mafia e finanza. Io ed altri colleghi abbiamo
sottolineato l'importanza di un'analisi di questo settore.
Troppe banche sono improvvisamente fiorite nel nostro paese ed
altre altrettanto rapidamente sono scomparse. In tale settore,
poiché - ritorno a quanto diceva il collega Galasso - il
potere è denaro e il denaro è potere, secondo me la
Commissione deve lavorare di più.
  PRESIDENTE. La prendiamo in parola, senatore Buttitta!
(Si ride).
  ANTONINO BUTTITTA. Altro tema su cui la Commissione deve
lavorare di più
                        Pagina  2997
è la connessione - visto che il tema delle connessioni è uno
dei compiti affidati dal legislatore - tra mafia e Stato.
Quando dico "Stato" intendo riferirmi alla pubblica
amministrazione - ho visto che nella relazione già c'è
un'attenzione in questo senso - ma anche alle forze
dell'ordine e soprattutto alla magistratura. Le connessioni
con pubblica amministrazione, forze dell'ordine, magistratura
- alle quali più volte si è accennato nel corso dei dibattiti
all'interno della Commissione - non sono state ancora
considerate nella loro giusta misura, in rapporto
all'importanza che almeno la loro conoscenza ha per
ricostruire tutto il sistema del potere mafioso nel nostro
paese. A mio giudizio, bisogna proseguire su questa strada,
allo scopo di elevare il livello di produttività del lavoro
della Commissione, che, in questa fase, come viene
rappresentato dalla relazione, ritengo di poter giudicare in
termini del tutto positivi.
  LUIGI BISCARDI. Signor presidente, innanzi tutto
ringrazio i colleghi Borghezio e Brutti che mi hanno ceduto il
turno a causa di un mio impegno. Li ringrazierò soprattutto
essendo breve nel mio intervento, nel quale voglio esprimere
un giudizio, un compiacimento e qualche osservazione.
   Il giudizio che do della relazione è nettamente positivo,
sia per il suo equilibrio sia per un aspetto che intendo
sempre sottolineare, cioè la sobrietà e direi anche
l'antiretorica del suo dettato. Non è cosa da poco nelle
relazioni parlamentari ed in genere in tutta la vita politica
italiana.
   Il compiacimento riguarda il rilievo che è dato nella
relazione alla necessità di investire del problema della
mafia, in fase di assoluta prevenzione, la scuola. In questa
Commissione, credo di aver rappresentato in qualche misura
l'esigenza di dare al rapporto scuola-Commissione antimafia un
segno di rilevante importanza. Credo che l'opinione pubblica
abbia risposto positivamente. Recentemente, il presidente ha
sottolineato questo particolare e si è avuta l'impressione che
la stampa abbia accolto quasi con un certo stupore, come
novità assoluta, questo fatto. Credo che occorra non limitarsi
soltanto a qualche rapporto - ma ci sono già iniziative
ulteriori - e che questo punto debba essere sempre
all'attenzione costante della Commissione.
   Per quanto riguarda le osservazioni, credo che due punti
debbano essere particolarmente approfonditi, soprattutto come
indicazione per il futuro lavoro della Commissione. Il primo
punto è quello dell'amministrazione pubblica in generale.
Questo aspetto è presente nella relazione ma credo che
l'analisi debba essere molto più approfondita e che debbano
essere indicate...
  PRESIDENTE. Scusi, su quale punto?
  LUIGI BISCARDI. Sull'amministrazione pubblica in
generale. Dicevo che credo debbano essere indicati anche
rimedi particolari, suggerimenti da dare all'amministrazione
pubblica, tanto più che nelle norme collegate alla finanziaria
vi è anche il riordinamento dei ministeri e si prefigura una
riforma dell'amministrazione pubblica. Credo che possano
essere fornite indicazioni, proprio perché è in gestazione la
delega sul riordinamento e sulla riforma dei ministeri.
   Una parte che per la verità mi ha un po' sorpreso, non
perché manchi ma in quanto forse non è stato sottolineata
abbastanza - ma sollevo la questione soprattutto come
approfondimento per il futuro -, è quella sul rapporto tra
mafia e potere politico, che pure è stato affrontato nella
relazione fondamentale di questa Commissione. La Commissione
ha raggiunto la convinzione che il salto di quantità e di
qualità - ovviamente, si fa per dire - della mafia sia
avvenuto attraverso questa compenetrazione; da momenti isolati
e circoscritti, come alcuni anni fa, i rapporti sono diventati
strettissimi e determinanti.
   Quindi, credo che questi due punti - dell'amministrazione
nel suo complesso, senza escludere alcuna zona, e del
                        Pagina  2998
rapporto mafia e politica - possano costituire le linee
principali degli approfondimenti per il futuro lavoro della
Commissione.
  MARIO BORGHEZIO. Anch'io cercherò di essere sintetico,
pur non dovendo trascurare, nel quadro di un giudizio
complessivamente abbastanza positivo del documento sottoposto
alla nostra attenzione, tutta una serie di rilievi che mi pare
necessario formulare, anche come valutazione del risultato di
un anno di lavoro, che in alcuni settori è stato
sostanzialmente nuovo per la Commissione.
   Nel nuovo vorrei subito indicare - anche per l'interesse
specifico che il nostro gruppo ha per questa tematica
particolare, che dovrebbe essere affrontata in maniera
sistematica - la penetrazione mafiosa nelle regioni non
tradizionalmente note per la rilevanza, appunto,
dell'infiltrazione mafiosa, in particolare quelle del nord. La
Commissione si appresta a compiere in Lombardia una missione
che sicuramente è la più importante tra quelle riguardanti le
regioni non tradizionali e dobbiamo riflettere sugli elementi
che abbiamo raccolto e sull'adeguatezza dell'intervento che la
Commissione sta svolgendo in questo settore. Intervento che ha
importanza anche storica, perché mi pare che rappresenti
qualcosa di nuovo rispetto all'indagine che le forze politiche
e le autorità preposte all'azione di contrasto hanno svolto
riguardo ad un problema così importante.
   Nella relazione si fa cenno alla decisione, che ad un
certo punto sarebbe stata assunta dai capi della mafia, di
investire in Germania. Ritengo che dobbiamo riflettere sul
fatto che ciò sicuramente è avvenuto qualche anno prima,
quando si è deciso di investire al nord, di scegliere i rifugi
del nord, quando, probabilmente, a seguito della scelta
scellerata del soggiorno obbligato - e la relazione deve dare
atto delle conclusioni alle quali siamo giunti sentendo le
autorità competenti dell'azione di contrasto, le quali hanno
espresso un giudizio unanime di condanna di tale nefando e
pericolosissimo istituto - attraverso i comodi canali aperti
da queste prime strutture di penetrazione si è deciso, ad un
certo punto, di partire all'assalto del nord. Io ritengo che
sia il momento di tirare una serie di conclusioni che credo
possano essere preziose nel momento in cui ci apprestiamo ad
andare in Lombardia.
   La prima è che, molto spesso, noi riceviamo dalle autorità
costituite pareri che sono in stridente contrasto tra loro -
prefetti che ci dicono che va tutto bene, questori che parlano
di un allarme in vari settori - sia tra autorità dello stesso
ordine sia tra livelli diversi delle varie autorità. Spesse
volte abbiamo sentito livelli diversi di magistratura
esprimere opinioni notevolmente divergenti sulla realtà della
presenza mafiosa. Ricordo che ciò è avvenuto a Genova come
anche in Piemonte.
   Vi sono, inoltre, vuoti di intervento. Certi prefetti -
come a Torino - si sono dimostrati interventisti in ordine, ad
esempio, al ruolo importante che l'autorità prefettizia ha
riguardo al rilascio delle licenze di pubblici esercizi ed al
controllo sulle compravendite di queste, che sono determinanti
nella penetrazione mafiosa al nord; altri sembrano ignorare
totalmente il problema. Mi domando quindi se non sia
necessario richiedere a tutte le prefetture anche del nord un
monitoraggio costante, magari inviando una relazione
trimestrale alla Commissione in modo che questa possa avere un
quadro aggiornato della situazione. Dovendo relazionare alla
Commissione, è facile immaginare che anche i prefetti meno
sensibilizzati al problema possano utilmente essere invogliati
ad una più attenta azione di controllo.
   Altro punto è quello riguardante l'informazione
giornalistica. Le conferenze stampa che hanno fatto seguito
alle nostre missioni mi hanno sostanzialmente deluso;
raramente al nord ho trovato giornalisti preparati su questi
problemi. C'è un'informazione molto superficiale,
esclusivamente sensazionalistica: sui giornali che vengono
pubblicati al nord il tema della mafia è trattato a livello
                        Pagina  2999
ANSA, a livello di notizie quali che ci giungono stasera, con
estrema superficialità si indica il fatto del giorno senza
approfondire nulla. Forse non è un caso che non esista neanche
una bibliografia aggiornata ed approfondita sull'argomento
mafia al nord; non c'è documentazione tranne quella che si
trova nei nostri archivi, che non sono molto frequentati dagli
operatori dell'informazione, fatta eccezione per gli stretti
addetti ai lavori. Anche sotto questo aspetto, dunque, sarebbe
molto importante sensibilizzare maggiormente, con iniziative
specifiche, affinché l'occasione di una presenza importante
qual è quella di un organo istituzionalmente rilevante come la
Commissione, che raccoglie documentazione e crea impulsi di
intervento in aree così importanti e pericolose per la
penetrazione mafiosa, produca anche messaggi giornalistici
adeguati, cioè atti ad approfondire i temi ed a sottolineare i
problemi effettivamente rilevanti ai fini dell'efficienza e
dell'efficacia dell'azione di contrasto.
   Mi sembra, inoltre, che sia stata sostanzialmente
trascurata una serie di segnali che ci sono stati dati - in
Piemonte ed in particolare a Genova, quando la missione della
Commissione coincise purtroppo con il verificarsi di fatti di
ordine pubblico abbastanza rilevanti - sui legami indubbi che
esistono tra mafia, immigrazione irregolare e spaccio di
droga. Si tratta di un'attività che nelle grandi metropoli del
nord - Milano, Torino, Genova, Venezia, Verona - è sotto gli
occhi di tutti e pare strano che gli unici a non accorgersene
ufficialmente siamo noi della Commissione antimafia.
Naturalmente trattando la questione con la delicatezza che
merita ed in maniera totalmente lontana da qualsivoglia
intento di natura razzistica, ritengo che di questo grave
problema vada dato atto. Anche perché è a tutti evidente che
l'equazione immigrazione-spaccio di droga-mafia è tale da
creare, essa sì, il razzismo. Segnali allarmanti sono giunti
da varie autorità e ritengo che particolare attenzione vada
riservata a quelli relativi alla moltiplicazione di società
finanziarie, improvvisamente spuntate come funghi. Gli esperti
del settore ci dicono che ciò è profondamente anomalo rispetto
al tessuto normale dell'attività: non è pensabile che
improvvisamente sul quotidiano di una città compaiano colonne
e colonne di annunci economici di società finanziarie che
prestano denaro a tutti. Pare che questo fenomeno ora si sia
attenuato nelle grandi città del nord; non così a Roma ed in
molte città del sud, dove i maggiori utilizzatori del
messaggio pubblicitario economico pare siano gli usurai. Come
ho detto, nel nord ciò è avvenuto per molto tempo, c'è stato
uno sviluppo anomalo e di questo bisogna dare atto.
Evidentemente queste attività hanno per lungo tempo drenato il
denaro sporco.
   Non mi pare che siano emersi elementi sufficienti su
un'altra realtà che esiste e riguardo alla quale nel corso
delle missioni che abbiamo concluso abbiamo riscontrato una
strana omertà; mi riferisco alla realtà del voto mafioso al
nord. Il voto mafioso al nord esiste e come: noi che lì
facciamo politica lo vediamo attorno a noi. Stranamente,
quando incontriamo le delegazioni dei consiglieri comunali e
regionali (ricordo sotto questo aspetto lo spettacolo poco
edificante dei consiglieri regionali del Piemonte) sentiamo
parlare genericamente di tutto un po' ma non della realtà del
voto mafioso al nord che, al contrario, chi vive e lavora
politicamente in quelle regioni dovrebbe conoscere molto bene,
almeno se ha qualche amico in Val di Susa...
  PRESIDENTE. Anche nella cintura di Torino.
  MARIO BORGHEZIO. Sì, nelle varie zone di penetrazione.
Tutto questo contrasta, tra l'altro, con le mappature che
altre autorità ci hanno dato.
   Lo stesso dicasi del rapporto tra mafia e contrabbando.
Anche questo è un tema che è stato trascurato, mentre mi pare
che le associazioni categoriali vi insistano. Tutti noi
riceviamo puntualmente in casella la Voce del tabaccaio
e leggiamo di allarmi, indicazioni, segnalazioni...
                        Pagina  3000
  PRESIDENTE. Non credo tutti!
  MARIO BORGHEZIO. Intendevo dire che tutti la riceviamo,
non che la leggiamo. Comunque, in essa sono contenuti allarmi
continui ed indicazioni molto specifiche su questa realtà, che
pare trascurata. Sembra incredibile, ma basterebbe un
intervento legislativo puntuale, soprattutto al fine di
snellire tutte quelle norme di carattere burocratico-operativo
che impediscono i sequestri e le azioni per contrastare
efficacemente tale fenomeno. Basti pensare a come in una città
come Roma, nella quale evidentemente la presenza di autorità
centrali rende molto più difficile lo svolgimento di questa
attività, non si vedano per le strade venditori abusivi di
generi di monopolio di contrabbando, a differenza di quanto
avviene in tutte le grandi città del nord.
   Sempre con riferimento alle missioni al nord, in
particolare a quella che stiamo per compiere in Lombardia,
vorrei raccomandare alla Commissione, che ha avuto attenzione
giusta ed encomiabile per le vittime delle azioni di
racket, di non dimenticare i parenti delle vittime dei
vecchi sequestri, alcuni dei quali sono ancora in atto. Spero,
ad esempio, che riusciremo a sentire i genitori di Andrea
Cortellezzi, che ancora non sanno nulla su quanto sia avvenuto
al loro caro.
   Infine, al nord sono concentrati i quattro casinò italiani
e mi pare che anche su di essi l'azione di controllo della
Commissione non debba mancare. I rappresentanti sindacali dei
dipendenti, che ho incontrato in questi giorni, rilevano, ad
esempio (e su questo ho presentato un'interrogazione
parlamentare) come non vi sia trasparenza nella composizione
societaria della società di gestione di alcuni di essi. Sono
molti i problemi legati a questa attività e quindi anche un
controllo attraverso la direzione degli affari civili del
Ministero degli interni sarebbe opportuno. In Italia non
esiste una polizia specializzata al riguardo, a differenza di
quanto avviene negli altri paesi europei e segnatamente in
Francia.
   Ma quello che soprattutto mi preoccupa è il risultato
sconcertante, direi addirittura - se mi consente il termine -
risibile delle audizioni che abbiamo fatto con le cosiddette
autorità di controllo per quanto riguarda l'attività
finanziaria bancaria. Il riflesso è molto grave dal momento
che conosciamo la centralità del problema del riciclaggio del
denaro sporco. Sotto questo aspetto soltanto il giudice
Colombo è recentemente riuscito - nel corso di una conferenza
molto importante - a fornire il senso della gravità del
fenomeno nel settore dell'alta finanza, in quanto è riuscito a
delineare i canali veri di riciclaggio e la pericolosità del
fenomeno in un momento come quello attuale, che è molto
particolare per la nostra economia e nel quale intere
strutture imprenditoriali stanno cambiando proprietà sotto i
nostri occhi, passando forse anche nelle mani di soggetti
mafiosi attraverso società fantasma coperte dall'anonimato e
comode localizzazioni nei paradisi fiscali. E non mi si venga
a dire che ci sono le azioni di controllo, perché la recente
vicenda della Ferruzzi-Montedison ha dimostrato molto bene
quanto valgano i controlli. Approfondendo in sede CONSOB,
insieme al collega senatore Pagliarini, quanto avvenuto,
abbiamo scoperto quale sia l'incidenza dei controlli CONSOB:
se tutte l'enorme attività di back to back che ha
consentito alla banda di Ravenna di dilapidare centinaia e
centinaia di miliardi in barba ai piccoli azionisti e comunque
al mercato è potuta avvenire, il motivo è che i sistemi di
controllo non hanno mai funzionato. I sistemi di controllo
vigenti nel paese non hanno consentito di rilevare dati
segnaletici che pure erano contenuti nei bollettini CONSOB.
L'attuale legislazione impone la pubblicazione di tutte le
movimentazioni attinenti quote societarie che superano il 2
per cento della composizione sociale per le società quotate in
borsa (nel caso Ferruzzi queste operazioni di estero su estero
in nero erano quindi evidenziate da un'affollarsi improvviso,
in alcuni mesi se non in pochissimi anni, di operazioni
                        Pagina  3001
ingentissime); accanto a queste indicazioni, nel bollettino
CONSOB non è previsto che vengano indicati né i nomi dei
destinatari, quindi i titolari dei conti correnti, né gli
estremi bancari dei pagamenti relativi allo scostamento di
quote, per cui questa pubblicazione non serve a niente e non
consente a chi di dovere di andare fino in fondo.
  PRESIDENTE. Sarebbe utile che lei scrivesse un appunto
su questa materia, affinché se ne possa tenere conto nella
relazione.
  MARIO BORGHEZIO. Anche in sede di bilancio l'ordinamento
consente in realtà l'elusione di determinati controlli, perché
la CONSOB spiega che quando le partecipazioni riguardano
società aventi sedi nei paradisi fiscali - me l'ha detto pochi
giorni fa il presidente Pagliarini - ci si deve arrendere di
fronte a bilanci presentati secondo la legislazione di quei
paesi. E' inutile precisare che negli Stati Uniti per la
certificazione dei bilanci nei quali siano contenute
partecipazioni a società aventi sede all'estero si esige il
rispetto della legislazione vigente negli Stati Uniti. Questo
è quanto dovrebbe avvenire anche nel nostro paese se non
vogliamo farci prendere in giro da chi viene dinanzi a questa
Commissione e ci dice che i sistemi funzionano, che il
controllo esiste. Questo abbiamo sentito dai rappresentanti
della Banca d'Italia.
   A tale proposito, vorrei esprimere i più fondati dubbi,
anche tenendo conto del clima di non giustificata riservatezza
con cui vengono coperti alcuni episodi molto importanti. Basti
pensare a quelli recenti, riguardanti attività di riciclaggio,
di cui abbiamo sentito parlare nel corso della missione a
Genova; guarda caso, riguardavano una banca di interesse
nazionale, la stessa presso la quale noi deputati apriamo un
conto corrente agevolato.
  ANTONINO BUTTITTA. Qual è?
  PRESIDENTE. Si tratta del Banco di Napoli.
  ALFREDO GALASSO. La stessa che ha venduto alla Camera un
palazzo senza averlo mai consegnato!
  MARIO BORGHEZIO. Basti pensare al fatto che della Banca
di Girgenti e della collegata società Dominion non abbiamo
neppure un foglio. Di sua iniziativa, la Banca d'Italia
avrebbe dovuto sentire l'esigenza, nel momento in cui ha avuto
contezza della nostra attenzione a questi problemi, di
trasferire tutto quanto, al di là delle norme sul segreto
bancario, fosse possibile trasferire; quanto meno i verbali di
iscrizione in tutti i casi in cui contengono elementi
segnaletici. Lo stesso è avvenuto in una banca del Piemonte
dove si sono verificati notevoli episodi di riciclaggio: era
stato promesso l'invio di documenti che non sono arrivati.
   L'archivio andrebbe integrato anche con adeguata
documentazione fonica e di videocassette per costituire, in
una prospettiva anche internazionale, dati gli sviluppi che
questa documentazione può avere in una società globale, una
centrale di documentazione adeguata alla gravità dei problemi
e al tipo di risposta che uno Stato serio e civile deve dare
al pericolo-mafia.
   Concludendo, vorrei che nella relazione fosse contenuta
qualche preoccupazione in ordine a due grandi problemi. Mi
riferisco in primo luogo alla realizzazione di importanti
stabilimenti al sud. La società politica e civile deve
pretendere che essi vengano realizzati rispettando le
normative antimafia, anche nei subappalti; il che risulta non
avvenire, stando alle puntuali denunce delle organizzazioni
sindacali operanti in quelle regioni. In secondo luogo, mi
riferisco alle privatizzazioni, per le quali è evidente che
l'authority che dovrà controllare la trasparenza delle
operazioni dovrà tener conto del pericolo-mafia.
  MASSIMO BRUTTI. Lo scopo della relazione annuale è
essenzialmente quello di fornire un rendiconto di ciò che si è
fatto e gli elementi di previsione e le direttive di lavoro
che possano ricavarsi
                        Pagina  3002
da questo rendiconto. La relazione non deve affrontare il
merito dell'analisi o definire proposte; questo è il compito
delle relazioni di settore, che nascono da un lavoro
istruttorio e nelle quali si consolida il risultato
dell'attività d'inchiesta.
   Abbiamo di fronte agli occhi il bilancio del lavoro svolto
in quest'anno, un bilancio che ha in sé un significato
politico che deve essere esplicitato e condotto essenzialmente
a formulazioni nette che valgano anche per il futuro; questa
la funzione dell'ultima parte: esplicitare quanto già risulta
dalla relazione e fissare dei punti che possano servire per il
lavoro futuro.
   Il significato politico non sta soltanto nella grande mole
delle attività compiute, che costituisce un dato positivo, né
soltanto nei Forum realizzati, che hanno fatto della
Commissione antimafia un interlocutore di settori rilevanti
della società italiana; non sta neppure nella classificazione
e memorizzazione delle informazioni, che pure rappresenta un
fatto nuovo e rilevantissimo. Anche la ricerca che abbiamo
avviato, le audizioni, le relazioni sulle aree di insediamento
non tradizionale, per il modo in cui il problema viene
affrontato rappresentano una novità. Il significato politico
nuovo non si esaurisce in questi elementi; c'è qualcosa di
più.
   La Commissione antimafia dell'XI legislatura ha affrontato
con una nitidezza senza precedenti, che non c'era neppure nel
lavoro della vecchia Commissione Carraro, il rapporto tra
poteri criminali e poteri politici.
   I poteri criminali sono i centri militari che dirigono le
organizzazioni mafiose; sono i poteri finanziari che ne
garantiscono l'espansione, che rendono possibile il
riciclaggio, che favoriscono la penetrazione nella sfera
dell'economia legale. Il settore militare di questi poteri
criminali ha una sua forza e, nell'ambito dell'organizzazione
criminale, come è emerso nella prima relazione sui rapporti
tra Cosa nostra e sistema politico, conserva un vero e proprio
primato. Un'organizzazione segreta e clandestina, che per
decenni affida tutta la sua forza al monopolio della violenza
che riesce ad esercitare in aree geografiche determinate, non
può non vedere in posizione di comando e di direzione il
potere militare.
   Sono convinto che questo primato del potere militare nelle
grandi organizzazioni mafiose sia storicamente simile al
primato del potere militare negli Stati che per intere
generazioni hanno avuto come attività fondamentale la guerra.
Chi ricorda le vicende del Vietnam del nord ricorderà che
l'elite di capi militari che guidava il paese era il
prodotto raffinatissimo di generazioni e generazioni di lotta
armata e di guerra; questo è un esempio storico di come il
potere militare di un'organizzazione che si è forgiata nella
guerra sia più rilevante di tutti gli altri, abbia più forza.
   Quindi, non dobbiamo sottovalutare il peso che nelle
grandi organizzazioni criminali italiane hanno i centri di
potere militare, i centri di amministrazione della violenza.
Accanto ad essi, vi sono altri centri che fanno anch'essi
parte, a pieno titolo, del tessuto dei poteri criminali e che
non hanno una funzione militare; tra questi vi sono certamente
i gruppi finanziari, i riciclatori, i professionisti, i
partecipi più diretti.
  PRESIDENTE. Tant'è vero quello che lei dice, senatore
Brutti, che in tutti i sistemi autoritari c'è un'elite
militare che detiene il potere. La mafia è un sistema
autoritario.
  MASSIMO BRUTTI. Di più: è un sistema autoritario che
vive in una situazione di guerra permanente da tempo. Tutto
ciò dà maggiore forza al potere militare.
   Credo che la Commissione abbia affrontato il problema dei
rapporti tra poteri criminali e poteri politici con una
chiarezza senza precedenti. Non è questa la sola novità delle
indagini svolte e delle relazioni finora consegnate. Balza
agli occhi un altro aspetto della vicenda storica dei poteri
mafiosi nel nostro paese,
                        Pagina  3003
un aspetto che in passato non era mai stato messo a fuoco con
questa chiarezza. Una delle ragioni fondamentali per le quali
si stabiliscono le amicizie, si apre un negoziato con ampi
settori del mondo politico non necessariamente compromessi
fino al collo nell'organizzazione mafiosa è l'aggiustamento
dei processi. Abbiamo messo a fuoco questo problema ed
individuato la tecnicità della parola "aggiustamento", che io
non avevo ben chiara in precedenza. Tutto ciò implica una
ricaduta sulla magistratura; questo è un altro aspetto emerso
dal nostro lavoro.
   E' evidente il significato politico dell'aver messo a
fuoco questo problema e l'esigenza che ne deriva di affermare
nei fatti principi e regole di rigore nella tutela della
credibilità della magistratura: scacciare gli uomini
compromessi e togliere di mezzo le ombre. Credo che siamo
all'inizio del percorso e che dobbiamo andare avanti con
decisione.
   La Commissione ha avuto un alto senso di responsabilità
nell'affrontare la questione della Puglia. Rilevo però che in
quel caso il problema è rimasto aperto; su di esso voglio
richiamare l'attenzione dei colleghi perché vi sono ombre che
permangono e pesano sull'intera amministrazione della
giustizia quando un procuratore della Repubblica continua ad
occuparsi di procedimenti nell'ambito dei quali il suo nome ed
il suo ruolo vengono chiamati in causa.
   La terza questione nuova emersa in questi mesi, dopo
quella riguardante i rapporti tra i poteri criminali e i
poteri politici e l'aggiustamento dei processi, è costituita
dal ruolo della massoneria, come luogo di incontro, e la
grande proliferazione delle logge massoniche coperte. Non vi
sono soltanto, quindi, una distorsione, un'inquinamento, una
tendenza a comportamenti criminali di queste associazioni
particolarmente riservate, ma si pone un problema più
generale. E' un problema che credo debba essere posto con
chiarezza anche agli ambienti della massoneria e alle
personalità e ai gruppi dirigenti che oggi intendono
riflettere seriamente. Il problema è come il modello
massoneria, la forma massoneria, si sia prestato nei decenni
passati a divenire luogo di incontro di interessi criminali ed
eversivi. La storia della P2 è questa, è la storia di una
loggia massonica di cui ad un certo momento si impadronisce un
gruppo che ha interessi affaristici ed eversivi, sia pure di
una eversione che cammina per linee interne, che si traveste
da stabilità, di una eversione che può andare bene a settori
ampi delle classi dominanti. Ma questo è possibile perché il
gruppo dirigente che occupa questa loggia massonica e che la
fa diventare uno strumento di affari e di eversione riesce a
condizionare l'insieme della massoneria, a cominciare dai suoi
vertici. La storia di Gelli è la storia del capo di un settore
della massoneria, di una loggia particolare, che viene
coperto, protetto, tutelato e che comunque è in grado di
condizionare e di intimidire anche i vertici della massoneria
ufficiale. Questo ci deve indurre ad una riflessione su come
la forma, il modello massoneria, l'organizzazione storica sia
diventata una specie di colabrodo attraverso il quale sono
passati i disegni più diversi ed anche disegni di gruppi
criminali ed eversivi. Quando parliamo di poteri occulti,
parliamo del costituirsi di centri di comando, di centri di
governo invisibili rispondenti ad interessi diversi, che però
hanno trovato nella massoneria il luogo più favorevole per
crescere e svilupparsi.
   Ora, su questi temi si è realizzato nel nostro lavoro uno
scambio di idee, un confronto, con punte di dialettica, di
contrapposizione. Ma quello che io voglio sottolineare è che,
dal confronto, è emerso nella relazione del presidente
Violante su mafia e politica, nella relazione del senatore
Robol sulle organizzazioni mafiose in Puglia, nella relazione
sui comuni sciolti del senatore Cabras, nella relazione sulla
Calabria sempre del senatore Cabras, nel lavoro che è stato
avviato in tema di appalti, con il contributo utile,
determinante, in tutta una prima fase, del senatore Cutrera,
nella relazione che io stesso ho elaborato a seguito del
Forum con le procure distrettuali, e che ha
                        Pagina  3004
ottenuto un amplissimo consenso da parte dei colleghi, un
accordo, una convergenza, un incontro, che è il fatto politico
del lavoro di questa Commissione durante questo anno e che non
va sottovalutato. Pensiamo un momento a quale valore ha avuto
la relazione sui rapporti Cosa nostra-politica, a che cosa
hanno significato le pagine sul ruolo di garante svolto in
Sicilia e a Roma da Salvo Lima ed anche le pagine relative
alla responsabilità politica del senatore Giulio Andreotti,
capocorrente per molti anni, tutore della posizione politica
di Salvo Lima. Lo stesso Giulio Andreotti, nel suo intervento
al Senato, quando si discuteva della richiesta di
autorizzazione a procedere in relazione alle vicende
siciliane, ha dovuto prendere atto della novità rappresentata
dal fatto che, per la prima volta, in un atto parlamentare
sorretto da un consenso amplissimo, venivano analiticamente
segnalati i collegamenti tra Salvo Lima e i gruppi mafiosi in
Sicilia. E ne ha preso atto correttamente dicendo che non si
trattava più di una denuncia dell'opposizione, e questo poneva
un problema. E', anche rispetto a quanto affermava il collega
Galasso, un elemento di novità, nel senso che per la prima
volta non dico che vi sia una presa di distanze, però il
senatore Andreotti ha preso atto che in un atto
politico-parlamentare approvato quasi all'unanimità venivano
dette cose che mai eravamo riusciti a dire, che erano sempre
state patrimonio dell'opposizione o di alcuni giudici, come il
giudice Terranova che nel 1964 aveva segnalato in una sentenza
i legami tra Lima e la mafia; ma poi non era successo niente,
anzi, l'unica cosa che è successa è che quindici anni dopo
Terranova è stato assassinato.
   Esiste quindi un fatto nuovo, rilevantissimo, nel lavoro
di questa Commissione, che non è patrimonio degli uni o degli
altri, è patrimonio di tutti. Ho volutamente elencato i nomi
degli estensori delle relazioni più rilevanti perché
appartengono a forze politiche diverse, o di quelli che hanno
dato un contributo rilevante al lavoro. Potrei citare anche
gli autori delle note integrative, tra cui quella lunga e
corposa del collega Galasso. Insomma, il fatto nuovo è che in
questa Commissione vi è una spinta unitaria, uno sforzo di
rinnovamento che è il tema politico che credo debba
accompagnare il suo lavoro per la parte rimanente di
legislatura, che auspichiamo sia breve. Il rifiuto della
coabitazione con la mafia, la messa a fuoco lucida ed
impietosa dei rapporti esistenti tra settori del sistema
politico e i poteri criminali e mafiosi è un terreno sul quale
i soggetti della politica oggi devono misurarsi, si
qualificano e costruiscono un'identità, un rinnovamento vero e
non a parole.
   Ho seguito con molta attenzione l'intervento del senatore
Martinazzoli nell'assemblea del Senato, qualche settimana fa,
nel quale egli proponeva temi di riflessione relativi al
lavoro della Commissione antimafia e anche al rapporto tra
Commissione e lavoro della magistratura. E' certo che la
Commissione antimafia ha poteri identici a quelli della
magistratura inquirente, ma i suoi scopi, le sue finalità sono
diverse. La riflessione che Martinazzoli proponeva era seria
purché si tenga presente la necessaria distinzione tra
responsabilità politica e responsabilità penale ed anche la
necessaria autonomia della questione della responsabilità
politica. Questa viene definita secondo criteri diversi da
quelli che regolano l'accertamento della responsabilità penale
e può anche essere discussa e definita prima di qualsivoglia
accertamento di responsabilità penale: non c'è bisogno di
aspettare sentenze definitive per individuare una
responsabilità politica. Esiste un'autonomia della
responsabilità politica rispetto a quella penale. Il tema
della responsabilità politica è di grande rilievo nel lavoro
della Commissione, come si è visto nelle relazioni fin qui
approvate. I soggetti di una politica nuova, coloro che
dovranno porre mano alla fondazione di un nuovo sistema
politico sulla base di nuove regole elettorali ed anche in un
clima morale rinnovato (che è quello che il paese chiede) si
misurano e costruiscono la propria identità anche
e soprattutto,
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in questo momento, su questo terreno: il rifiuto della
coabitazione con i poteri criminali e la capacità e la volontà
di andare fino in fondo nella denuncia delle responsabilità
politiche di questa coabitazione, perché è con questo che noi
facciamo i conti, con un lungo e duraturo compromesso che è
dentro il potere clientelare tradizionale in una parte del
paese, ha fatto avanzare la presenza e la forza dei gruppi
criminali. Via via, è entrata in crisi la capacità di
elaborazione programmatica e di partecipazione democratica dei
partiti: e la storia degli anni ottanta è questa, un
progressivo deperimento dei partiti come soggetti di sviluppo
di vita democratica. Forse dopo il fallimento della
solidarietà nazionale comincia questo deperimento, arriva la
manovra politica pura e fine a se stessa, arrivano i rampanti,
comincia il deperimento dei grandi partiti democratici.
All'interno di questo deperimento viene avanti il
clientelismo, viene avanti anche il potere mafioso, con forme
diverse di raccordo con la politica: da una parte i garanti,
coloro che garantiscono dall'esterno i poteri criminali,
aiutano ad aggiustare i processi, fanno favori; dall'altra
quelli che invece entrano in un rapporto di osmosi più diretta
con i poteri criminali, diventano interlocutori forti.
Ascoltando le dichiarazione di Pasquale Galasso, cercando di
esaminare e capire lo scenario della camorra napoletana, ho
avuto l'impressione che là i gruppi politici sono qualcosa di
più che garanti o alleati, diventano interlocutori, e a volte
interlocutori che hanno anche maggiore peso nella trattativa
con i gruppi criminali puri. Questo è documentato, ormai,
anche a livello locale, da relazioni prefettizie poste a base
dello scioglimento dei consigli comunali.
  ANTONINO BUTTITTA. Questo è in contraddizione con quello
che hai detto all'inizio a proposito di potere militare e
poteri finanziari.
  MASSIMO BRUTTI. Perché in certi settori i gruppi
politici diventano interlocutori forti. Ma non è questo il
caso di Cosa nostra, ho l'impressione che questo avvenga di
più in Campania, nell'ambito delle organizzazioni
camorristiche. Cosa nostra che abbiamo conosciuto ci appare
ancora adesso con connotati che sono di continuità con il
passato. Quando sento parlare di una cosa che mi sembra ovvia,
per certi aspetti, e cioè del carattere di sistema di potere
che hanno le organizzazioni mafiose, e in particolare Cosa
nostra, temo la costruzione di una struttura unica,
piramidale, nella quale non tutti gli elementi di
funzionamento sono chiari, nella quale vi è una costruzione
concettuale che non trova rispondenza e verifica nei fatti
concreti.
  ALFREDO GALASSO. E' esattamente ciò che hai detto tu.
Quello si chiama sistema: non saprei definirlo altrimenti.
  MASSIMO BRUTTI. Se noi intendiamo il sistema di potere
come una serie di relazioni di poteri che però sono mobili e
che bisogna di volta in volta individuare, allora certamente
possiamo parlare di un sistema di potere. Quando vedo questo
concetto di sistema di potere messo accanto all'idea della
mondializzazione, vedo anche il fantasma di una sorta di
piramide di cui non so bene quale possa essere il vertice.
Insomma, temo una rincorsa di astrazioni che ci impedisce di
cogliere, di volta in volta, concretamente, quali sono i
collegamenti e le strutture, qual è l'intreccio di poteri.
   Faccio un esempio. Si è detto nel dibattito odierno: ma
possibile che mettano le bombe soltanto per l'articolo
41-bis dell'ordinamento penitenziario? Andiamo a vedere
concretamente che cosa questo significa. L'articolo
41-bis indica una serie di restrizioni il cui effetto si
riflette su masse, su moltitudini di persone. Si tratta di
intere comunità familiari, è una struttura di collegamenti che
dal regime carcerario più duro viene colpita e viene messa in
discussione. E' evidente che i gruppi dirigenti
dell'organizzazione mafiosa, per mantenere la presa di massa
su questo mondo complesso
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fatto di famiglie, e non soltanto costituito dai detenuti,
che pure sono tanti, hanno bisogno di dimostrare che qualcosa
riescono ad ottenere. Per questo l'articolo 41-bis, cioè
un regime carcerario più duro e più severo per i mafiosi,
diventa un fatto rilevante, perché ha una incidenza a livello
di massa.
  ALFREDO GALASSO. Questo è il movente sicuramente
specifico di Cosa nostra, ma non c'è solo quello. Non vorrei
che si facciano polemiche su elementi inesistenti.
  MASSIMO BRUTTI. Su questo sono d'accordo. L'importante è
mettere a fuoco che esiste questa motivazione specifica, dopo
di che, accanto alla motivazione specifica con la quale si
muove Cosa nostra, ve ne sono altre, probabilmente, e vi sono
anche altri gruppi che partecipano, come del resto è sempre
accaduto, alle azioni più eclatanti di Cosa nostra.
  ALFREDO GALASSO. L'omicidio Dalla Chiesa è
significativo.
  MASSIMO BRUTTI. Ci sono altri gruppi e c'è probabilmente
la presenza di soggetti e di gruppi che hanno svolto un ruolo
in vicende passate. Credo che non si debba prendere sotto
gamba questa presenza costante delle rivendicazioni
telefoniche o comunque degli interventi del sedicente gruppo
Falange armata. Si tratta di una sorta di agenzia di
informazione che fa capo a soggetti e ad ambienti
probabilmente collocati all'interno di servizi segreti o che
di essi hanno fatto parte. Se noi riuscissimo a portare alla
luce tutte le azioni clandestine, tutto quello che in nero e
fuori controllo è stato fatto nei servizi di informazione e di
sicurezza, per lo meno da un ventennio a questa parte, avremmo
elementi in più per capire il senso degli interventi e delle
rivendicazioni della Falange armata, e forse anche per capire
la logica di chi collabora con Cosa nostra e con le altre
organizzazioni criminali alla strategia degli attentati e
degli avvertimenti.
   Ma, per tornare a ciò che dicevo prima, nelle relazioni
dei prefetti abbiamo una fotografia di come molecolarmente si
strutturino e si costituiscano il rapporto e la relazione fra
sistemi politici e gruppi criminali. In questo fa bene la
relazione a richiamare il valore che hanno avuto nella
Commissione della passata legislatura sia il tentativo e lo
sforzo di mettere a fuoco il problema mafia-politica, sia
l'importanza della legge che disponeva lo scioglimento dei
consigli comunali per mafia.
   Nella relazione vi è un punto di cui voglio sottolineare
l'opportunità, perché credo che un segno debba restare anche
nelle conclusioni politiche. Dobbiamo andare avanti sulla
strada intrapresa, non basta sciogliere i consigli comunali.
Vi è un problema che riguarda gli uffici, le amministrazioni,
gli apparati. Dicevo prima al collega Buttitta che una
settimana fa sono stato a Bagheria. Ebbene, lì c'è un
paradosso che dimostra, probabilmente, la necessità di un
nuovo intervento legislativo. Il paradosso è conseguente a ciò
che è avvenuto quando, disciolto il consiglio comunale di
Bagheria per infiltrazioni mafiose, gli assessori ed i
consiglieri comunali sono stati mandati a casa: resta infatti
una struttura amministrativa, nella quale vi era un capo
dell'ufficio tecnico che, essendo a sua volta interessato da
una vicenda giudiziaria pesante, in quanto inquisito in base
all'articolo 416-bis, dopo essere stato sottoposto a
custodia cautelare per un certo periodo, al termine della
medesima si ripresenta per riassumere la funzione che
esercitava prima (mi riferisco all'ingegner Giammanco). I
commissari straordinari lo sospendono in via cautelare, per
cui il ruolo di capo dell'ufficio tecnico viene affidato ad un
altro ingegnere, cioè al più anziano. Singolarmente, questo
ingegnere anziano, che assume il ruolo di capo dell'ufficio
tecnico, è appena stato scacciato dal posto che occupava come
assessore al comune di Caccamo (ciò è accaduto quando questo
consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose).
Dunque, si verifica che questo
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soggetto può essere scacciato come assessore, mentre come
ingegnere anziano può divenire capo dell'ufficio tecnico del
comune di Bagheria. C'è qualcosa che non funziona. C'è la
necessità di intervenire con norme che consentano di fare
piazza pulita anche nell'amministrazione.
   Voglio ancora sottolineare due punti sui quali nonostante
tanto si sia discusso ancora devono essere raggiunti risultati
positivi. Il primo è quello relativo alle audizioni dei
collaboratori di giustizia. Esse non rappresentano una novità
per le Commissioni parlamentari, essendovi già state nella
Commissione d'inchiesta sul terrorismo, tuttavia a me sembra
che su questo punto vi sia un nervo scoperto, nel senso che a
volte recepisco malumori da parte di colleghi o nell'ambito
delle forze politiche. Lo stesso intervento del senatore
Martinazzoli partiva proprio dall'audizione di un
collaboratore di giustizia.
   Credo che noi abbiamo affrontato correttamente il problema
e che esistano tutte le garanzie per fa sì che agli occhi
dell'opinione pubblica non si emettano, sulla base di queste
audizioni, giudizi sommari. Le garanzie sono rappresentate dal
fatto che là dove si creino rischi di interferenza con
attività giudiziarie in corso resta un vincolo di riservatezza
e soprattutto dal fatto che tutte le audizioni, tutto il
rapporto che viene a stabilirsi tra noi e i collaboratori di
giustizia è accompagnato passo passo da una consultazione con
le autorità giudiziarie, cioè quelle che ascoltano questi
collaboratori nell'ambito delle inchieste che esse conducono.
Quindi, vi è uno sforzo continuo per evitare qualsiasi
disturbo al lavoro giudiziario, qualsiasi interferenza,
qualsiasi giudizio sommario.
   Accanto a questo sforzo, che finora mi sembra
sostanzialmente coronato da successo, abbiamo realizzato un
fatto politico di grande rilevanza, cioè l'ascolto, davanti
agli occhi dell'opinione pubblica, di uomini che non solo
illustrano la composizione, l'organizzazione, lo stile delle
organizzazioni criminali alle quali appartenevano, offrendoci
quindi uno scenario ed uno spaccato insostituibile, ma
manifestando davanti agli occhi di tutti il fatto della
defezione e dicendo i motivi per cui ad essa sono stati
indotti, rappresentano un elemento di delegittimazione del
potere mafioso, dei gruppi dirigenti della mafia, rispetto a
quella base di massa su cui le organizzazioni mafiose contano.
E' senza precedenti questo fatto. Soprattutto quando abbiamo
disposto le prime due audizioni, quella di Calderone e quella
di Buscetta, credo che l'effetto sia stato notevolissimo. E lo
stesso si è avuto con l'audizione di Mutolo, il quale aveva
abbandonato l'organizzazione da poco tempo ed era anche molto
vicino ai vertici.
   Credo sia senza precedenti questo colpo inferto ai
dirigenti delle organizzazioni mafiose mettendo davanti agli
occhi di tutti il fenomeno della defezione, perché essa
significa debolezza e perdita di potere per i gruppi
dirigenti. Un precedente in questo senso può riscontrarsi
nelle audizioni di Joe Valachi che si tennero negli Stati
Uniti davanti alla commissione anticrimine del Congresso USA:
in questo caso, forse, non si può parlare di audizioni
pubbliche, ma è indubbio che esse ebbero ugualmente una grande
eco.
   L'altro punto sul quale voglio brevemente richiamare
l'attenzione, e che nella relazione è messo in luce, in quanto
se ne ripercorrono le tappe, è relativo al risveglio della
società civile, all'emergere di soggetti e di potenzialità
nuove, a cominciare dalle iniziative che si sono svolte in
Sicilia dopo le stragi del 1992. La Commissione parlamentare
antimafia è diventata e deve ancor più diventare il punto di
riferimento di questo risveglio, dando ad esso e al movimento
sorto nel paese un canale istituzionale, cioè quello
parlamentare. In un momento in cui tutti avvertiamo che il
Parlamento è lontano, lontanissimo dal paese, dobbiamo
valorizzare il carattere pluralistico di questo sforzo, il
quale non può essere di una sola parte, ma delle diverse,
autorevoli componenti appartenenti a parti politiche diverse.
Esse si muovono, anche con uno sforzo di rinnovamento
all'interno della
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propria parte politica, per portare avanti questo lavoro
difficile e per garantire che, all'interno delle istituzioni,
vi sia un punto di riferimento parlamentare alla domanda di
pulizia e di rinnovamento che viene dalla gente e che si è
espressa in questo risveglio della società civile.
   Vorrei concludere con un altro punto affrontato dalla
relazione e sul quale abbiamo discusso più volte, cioè quello
relativo al concetto di sinergia tra le istituzioni. Sono
d'accordo con il collega Galasso, nel senso che il significato
di sinergia è molto preciso, non è un invito generico alla
concordia o all'embrasson nous: sinergia tra le
istituzioni significa lavorare, facendo leva sulle forze
coerenti, leali e pulite che esistono all'interno delle
istituzioni stesse, per neutralizzare i traditori, il che
significa far funzionare i normali strumenti di controllo;
significa anche lavorare per neutralizzare gli inerti, e anche
qui c'è una funzione di controllo che deve essere esercitata.
Ebbene, a Palermo la sinergia tra le istituzioni diventa
possibile quando se ne va Giammanco, questo deve essere
chiaro. La sinergia tra le istituzioni diventa possibile
quando si riesce a togliere Carnevale dalla presidenza della
prima sezione penale della Cassazione, anche questo deve
essere chiaro.
   Quindi, sinergia fra le istituzioni significa
neutralizzare anche gli indifferenti ed emarginare i
professionalmente incapaci, perché nella lotta contro la mafia
abbiamo bisogno di mettere a frutto il massimo delle
competenze e della professionalità. Ma per questo credo giusto
che la Commissione antimafia nel suo complesso, al di là delle
divergenze di opinione che vi sono state all'inizio, quando la
superprocura è stata varata, compia uno sforzo per far
funzionare la direzione nazionale antimafia, dove oggi vi sono
competenze e forze. C'è un'istituzione e smobilitarla sarebbe
comunque un segnale negativo usato e rivenduto dai capi
dell'organizzazione mafiosa per riacquistare quella
riconquista di potere di cui dicevamo: possono presentarsi ai
loro accoliti dicendo: "Vedete, abbiamo ottenuto di cancellare
la superprocura!". Per loro questo sarebbe un successo. E'
dunque per evitare che ciò accada che dobbiamo farla
funzionare, assumendo, anche in riferimento a questo istituto
ibrido, una posizione costruttiva che tenda ad individuare le
linee lungo le quali può recare un contributo utile al
circuito complessivo costituito dalle procure distrettuali e,
aggiungo personalmente, dalle procure ordinarie delle zone a
più alta densità mafiosa, che occorre integrare di più nel
circuito. Rispetto a tutti questi organismi, la procura
nazionale antimafia può svolgere un'utile funzione di
coordinamento, di raccolta delle informazioni e di
elaborazione delle medesime. Dobbiamo impegnare il Governo a
rendere possibile questa attività e questa funzione anzitutto
tramite una informatizzazione attuata in tempi ragionevoli e
non rinviata all'infinito.
   Sono questi i punti che mi sembravano più rilevanti nella
relazione presentata dal presidente della Commissione. Credo
che su di essa debba articolarsi una conclusione agile e ferma
che individui i punti nuovi del lavoro svolto durante questo
anno e che soprattutto segnali il fatto politico emerso dal
nostro lavoro, cioè uno sforzo comune per fare della
istituzione parlamentare, in questo delicato momento che vive
il paese, il punto di riferimento della volontà di
rinnovamento, di pulizia e di risveglio della società civile
contro quella che è stata una delle più pesanti ipoteche che
hanno gravato sul sistema politico italiano e che è diventata
mortale nell'ultimo quindicennio, vale a dire la coabitazione
con i poteri criminali e mafiosi.
              Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. A questo punto avremmo terminato la
discussione generale. Però devo informarvi che mi è giunta una
lettera del senatore Frasca che vi leggo: "Poiché sono
febbricitante ed il medico mi ha consigliato di raggiungere
                        Pagina  3009
casa, la pregherei di differire il mio intervento di oggi ad
altro giorno utile".
   Se i colleghi sono d'accordo, potremmo chiedere al
senatore Frasca di intervenire martedì.
   Per quanto riguarda il prosieguo dei lavori, premesso che
in base alle cose dette sistemerò il testo apportandovi le
correzioni necessarie, farò in modo che lo abbiate un'ora
prima della seduta di martedì, così che possiate prendere
visione delle parti nuove che avrò aggiunto (magari potrebbero
essere scritte con caratteri diversi rispetto a quelli del
testo, in modo che sarebbe più facile evidenziarle).
   Credo che sulla base del testo corretto vi sarà una
seconda, rapida discussione, la quale può comportare,
eventualmente, ulteriori piccoli aggiustamenti.
  ALFREDO GALASSO. In linea di massima sono d'accordo,
signor presidente. Vorrei soltanto preannunciare che su alcuni
punti specifici, peraltro toccati dai colleghi Brutti e
Tripodi, che volutamente non sono stati oggetto del mio
intervento, farò pervenire al presidente, in tempo
ragionevole, non tanto emendamenti quanto una segnalazione
integrativa rispetto all'intervento generale che ho svolto.
  PRESIDENTE. In modo che io possa utilizzarli per il
testo che presenterò martedì?
  ALFREDO GALASSO. Sì, penso di riuscire a farglieli avere
nella giornata di domani. Del resto, riguardano alcuni punti
significativi che, per chi se ne intende come lei, non
necessitano di una grande spiegazione.
   Per esempio, sulla questione della direzione nazionale
antimafia, avrei delle osservazioni ma è chiaro che rimetto
alla sua valutazione l'opportunità o meno di tenerne conto.
Invece, per quanto riguarda la parte attinente alla
valutazione politica, approfitto di questo intervento
sull'ordine dei lavori per dire qui, formalmente ed
ufficialmente, che mi ritrovo integralmente nelle cose dette
dal collega Brutti, ad eccezione dell'ultima parte riguardante
la direzione nazionale antimafia, e che considero questo il
senso vero, a proposito del riferimento che ho fatto agli atti
della nostra Commissione, di ciò che considero sistema.
Siccome non amo le parole vuote, non tengo particolarmente
all'espressione ma alla sostanza delle cose. Quindi, voglio
dire che intendevo esattamente questo, che mi pare davvero un
non insignificante e neanche tiepido modo di presentare il
lavoro di questa Commissione.
  PRESIDENTE. Possiamo fissare la prossima seduta per
martedì alle 16,30. Alle 15 dello stesso giorno sarà
disponibile il testo con le correzioni.
   Vi è il rischio di una scorrettezza nei confronti del
senatore Frasca che troverà un testo già corretto, per cui, se
i colleghi ritengono, dopo che egli avrà parlato, vedrò come
riprendere alcune delle cose dette.
  CARLO SMURAGLIA. Più volte si è parlato delle indagini e
dei lavori in corso di svolgimento: vorrei sottoporre al
presidente e ai colleghi un'esigenza relativa al lavoro cui ha
fatto riferimento ampiamente il collega Borghezio, cioè
all'indagine, che stiamo concludendo, sulle zone non
tradizionalmente interessate dal fenomeno della mafia. Vi è un
punto che rischia di rimanere oscuro: i rapporti eventuali tra
forme di criminalità organizzata, mafia, infiltrazioni in zone
non tradizionali e altri tipi di organizzazioni fra cui, ad
esempio, la massoneria. Mi pare che siano stati acquisiti gli
elenchi relativi alle zone tradizionali e credo che potrebbe
esserci utile acquisire anche quelli relativi alle altre zone,
almeno quelle che abbiamo visitato, perché da lì potremmo
ricavare qualche ulteriore elemento di completezza, anche
rispetto ad accenni fatti che non abbiamo potuto approfondire.
  ANTONINO BUTTITTA. Premesso che voterò a favore della
relazione, vorrei
                        Pagina  3010
sapere se il presidente abbia intenzione di raccogliere
alcuni suggerimenti, avanzati da me e da altri colleghi,
relativi ad una futura attenzione da prestare ai rapporti tra
mafia e finanza e tra mafia e magistratura.
  PRESIDENTE. Sì, senz'altro; sono due punti un po'
deboli.
  ANTONIO BARGONE. Vorrei avanzare la richiesta di
completare l'indagine sulla Campania con una visita a
Castellammare di Stabia, dove, sulla base di notizie che ci
sono state fornite anche dal Ministero dell'interno, pare vi
sia una situazione di particolare delicatezza che merita di
essere approfondita dalla Commissione in modo da poter offrire
un quadro complessivo della situazione campana.
  PRESIDENTE. Credo non vi siano obiezioni su questo. Le
chiedo, onorevole Bargone, visto che ha formulato la proposta,
di assumersi l'onere di concordare con gli uffici la data
nella quale effettuare la visita.
La seduta termina alle 19,05.

 


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