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Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions Cause di scioglimento della società per azioni e rimuovibilità delle stesse - Capitolo I

Capitolo I - Nozioni Generali

 

Scioglimento, liquidazione e cancellazione

Effetti dello scioglimento

Le cause di scioglimento

La determinazione del momento in cui ha effetto lo scioglimento e l'accertamento dell'avvenuto scioglimento

Inderogabilità della liquidazione

Cancellazione della società dal registro delle imprese

 

Scioglimento, liquidazione e cancellazione

La cessazione della vita di una società di capitali è un fenomeno complesso che si realizza al termine di un procedimento articolato in tre distinte fasi. Fasi che il legislatore ha previsto abbiano necessariamente luogo in sequenza. Esse sono: il verificarsi della causa di scioglimento, la liquidazione delle attività e delle passività, la cancellazione della società dal registro delle imprese (la c. d. estinzione della società).

Il tracciato obbligato che deve essere seguito, per arrivare all'eliminazione dalla vita giuridica di una società, inizia quindi col verificarsi di una delle cause di scioglimento, previste dalla legge o dallo statuto sociale, che pongono la società in stato di liquidazione. Segue la nomina dei liquidatori che hanno il compito di provvedere alla liquidazione delle attività e al pagamento dei debiti sociali. Si procede, quindi, alla redazione del bilancio finale di liquidazione e alla sua approvazione (che può essere anche tacita), e solo quando questa operazione sia conclusa sarà possibile chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Atto, quest'ultimo, che segna la definitiva estinzione del soggetto società.

Per poter meglio procedere nel delineare le varie fasi sopra indicate, occorre anzitutto chiarire la differenza tra stato di liquidazione e procedimento di liquidazione:

lo stato di liquidazione è la situazione giuridica nella quale l'ente società si viene a trovare in seguito al verificarsi di una qualunque delle cause di scioglimento; tale stato, da contrapporre allo stato di normale funzionamento, implica una serie di limitazioni ai poteri degli organi sociali e li obbliga al compimento di una serie di atti previsti dalla legge; il procedimento di liquidazione è invece quel complesso di operazioni che un organo appositamente nominato dai soci in sostituzione degli amministratori (i liquidatori) deve compiere allo scopo di risolvere tutti i rapporti pendenti, attribuire ai soci il residuo attivo e poter chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Perché possa instaurarsi ed attuarsi il procedimento di liquidazione deve necessariamente verificarsi una causa di scioglimento che ponga la società in stato di liquidazione. Ma può anche accadere che la società esca dallo stato di liquidazione prima che ne sia avviato il procedimento.

Nel linguaggio giuridico, scioglimento ed estinzione di una società, nonostante nel comune parlare abbiano una valenza affine, sono due momenti concettualmente divisi e distanti; li separa lo svolgersi del procedimento di liquidazione: uno precede necessariamente l'attività di liquidazione e ne segna l'inizio, l'altro segue e ne rappresenta la fine.

È pur vero che nella pratica, di fronte a fasi di liquidazione talmente dilatate da durare anni, i pochi giorni necessari agli atti di cancellazione o di ricognizione dell'attuarsi della causa di scioglimento possono passare quasi inosservati, tuttavia ragionando per categorie giuridiche astratte non si può non considerare tutte le diverse fasi che portano all'estinzione dell'ente societario su un medesimo piano, concatenate in un rapporto di causa ed effetto reciproco.

In verità, come nella fase di costituzione la sola stipulazione del contratto sociale non coincide con il sorgere della persona giuridica, così nella fase finale lo scioglimento del contratto non determina di per sé l'estinzione della persona giuridica. Occorre che si provveda alla definizione di tutti i rapporti giuridici che alla persona società fanno capo. Ciò perché non è prevista la possibilità che la persona giuridica si possa giovare di una figura analoga all'erede della persona fisica ovvero di un soggetto che, venuto a mancare il cosiddetto "de cuius", assuma su di sé la titolarità universale dei rapporti giuridici pendenti.

L'analogia tra scioglimento della persona giuridica e morte della persona fisica, sebbene possa apparire accattivante e abbia per alcuni aspetti una consistente valenza didattica, è, da un punto di vista giuridico, non proponibile. Infatti la società non può "morire" fino al momento in cui non abbia chiuso ogni rapporto pendente, oppure si sia provveduto affinché a tale effetto sia possibile giungere agevolmente (e un simile privilegio alle persone fisiche, purtroppo, non è concesso).

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Effetti dello scioglimento

Lo scioglimento della società è visto da alcuni autori, che pongono il contratto sociale alla base del proprio schema interpretativo, essenzialmente come un riflesso dello scioglimento del contratto stesso. Tale visione riportando lo scioglimento della società allo scioglimento del contratto sottostante si spinge a ritenere che tutto il contenuto del contratto resti caducato dal suo scioglimento, con la conseguente cessazione di tutti i suoi effetti per il futuro. In realtà, come altri autori non hanno mancato di osservare, rispetto ai drastici effetti che comporta la visione di stretta osservanza contrattualista, si trova a cessare solo la causa (da alcuni indicata come scopo-fine del contratto), e cioè la creazione e la divisione di utili attraverso lo svolgimento di un'attività economica comune. Ma tutti gli altri elementi contrattuali (in particolare quelli di tipo organizzativo) permangano fino al momento della definitiva estinzione dell'ente.

In ogni caso, comunque, lo scioglimento del contratto sociale, rispetto al verificarsi della causa di scioglimento, opera ex nunc e non ex tunc e comporta che fermi restando gli effetti prodotti fino al momento dell'avvenuto scioglimento, il contratto non produca effetti ulteriori. Deve quindi terminare l'esercizio dell'attività sociale, con effetto vincolante per i soci, ma non si realizza l'eliminazione dei rapporti già sorti in precedenza che anzi devono essere portati a compimento e in ogni caso chiusi.

Il verificarsi di una delle cause di scioglimento modifica lo scopo della società: da lucrativo (ovvero dall'esercizio in comune di una attività economica a scopo di lucro) a liquidativo (ovvero diretto alla liquidazione del patrimonio al fine di pagare i creditori sociali e ripartire tra i soci l'eventuale residuo attivo). Non solo, esso produce effetti anche nei confronti degli amministratori, del collegio sindacale e dell'assemblea.

Gli amministratori restano in carica fino alla nomina dei liquidatori e sono responsabili della conservazione dei beni sociali fin quando non li abbiano consegnati ai liquidatori (art. 2449 c.c.); non possono intraprendere nuove operazioni e, contravvenendo a questo divieto, per gli affari sociali intrapresi assumono nei confronti dei terzi e della società responsabilità illimitata e solidale tra loro (e secondo l'opinione prevalente, con la società); devono entro trenta giorni da quel momento convocare l'assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione. Il collegio sindacale resta in carica e continua ad operare anche nei confronti dei liquidatori. L'assemblea conserva le sue competenze, nei limiti però della compatibilità con lo scopo della liquidazione (art. 2451 c.c.).

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Le cause di scioglimento.

La legge prescrive che la società di capitali si sciolga solo per il verificarsi di una delle cause tassative previste dal codice.

Risalgono all'antica societas medioevale la gran parte delle cause di scioglimento della società che sono legate ad una manifestazione della volontà dei soci di interrompere il proprio sodalizio; sono invece di epoca recente quelle che originano dalla constatazione dell'impossibilità di proseguire la gestione a causa della violazione di norme di legge o della non rispondenza a determinati parametri stabiliti dalla legge. Tuttavia non manca chi ha osservato che anche queste cause di scioglimento possono a loro volta essere nuovamente ricondotte alla volontà dei soci, o meglio alla manifestazione implicita della loro volontà di non far sopravvivere la società.

La legge elenca le cause di scioglimento, ed esse appaiono a prima vista un numero chiuso. Tuttavia poiché fra le cause di scioglimento rientrano anche quelle previste dallo statuto, il loro numero può essere assai più ampio di quelle specificamente indicate dal codice. È sufficiente che i soci all'atto della costituzione della società ne fissino di ulteriori. Non è però esatto affermare che il loro numero sia indefinito. Infatti dal momento in cui lo statuto è approvato, in esso rimangono cristallizzate tutte le possibili cause di scioglimento ipotizzate dai soci. Quindi sicuramente ogni società avrà dal momento del suo venire ad esistenza un numero di cause di scioglimento peculiare sì, ma comunque e sempre ben definito.

Le cause di scioglimento come indicate dal codice civile e da altre disposizioni normative restano così identificate:

  1. il decorso del termine (art. 2448 c.c. c. 1 n. 1);
  2. il conseguimento dell'oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo (art. 2448 c.c. c. 1 n. 2);
  3. l'impossibilità di funzionamento dell'assemblea o la continuata inattività dell'assemblea (art. 2448 c.c. c. 1 n. 3);
  4. la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dall'art. 2447 c.c. (art. 2448 c.c. c. 1 n. 4);
  5. la deliberazione dell'assemblea (art. 2448 c.c. c. 1 n. 5);
  6. le altre cause esplicitamente previste dall'atto costitutivo (art. 2448 c.c. c. 1 n. 6);
  7. il provvedimento dell'autorità governativa (art. 2448 c.c. c. 2);
  8. la dichiarazione di fallimento (art. 2448 c.c. c. 2);
  9. il mancato ripristino del rapporto minimo obbligatorio tra azioni ordinarie e azioni di risparmio o a voto limitato, se alterato in seguito a riduzione del capitale per perdite (art. 1/15 c. 8 e 9 l. 216/1974);
  10. la dichiarazione di nullità dell'atto costitutivo ex art. 2332 c.c. (art. 2332 c.c. art 2448 c.c. c. 2 ).

Durante la vigenza delle specifiche norme sono stati cause di scioglimento della società:

  1. il provvedimento giudiziario, richiesto da una federazione sportiva, che determina lo scioglimento delle società sportive professionistiche (art. 13 l. 23 marzo 1981 n. 91);
  2. il mancato adeguamento ai nuovi minimi del capitale sociale in caso la legge preveda un loro innalzamento.

Per l'origine e il modo di operare, le cause di scioglimento appaiono raggruppabili in tre classi:

  • Cause che derivano dall'espressione della volontà assembleare (es. lo scioglimento anticipato)
  • Cause che hanno origine interna alla società e operano autonomamente (es. la riduzione del capitale al di sotto del minimo)
  • Cause che hanno origine esterna alla società (es. la dichiarazione di fallimento).

Le elencate cause di scioglimento sono peculiari della società per azioni. Non tutte trovano applicazione nelle società di persone (nn. 3, 4, 5, 10, 11 e 12). Per queste ultime ve ne sono però altre ad essa proprie, simili ma condizionate dal differente modello organizzativo (la volontà di tutti i soci; il venir meno della pluralità dei soci, non ricostituita entro sei mesi; la perdita di una categoria di soci nelle società in accomandita).

Ovviamente, non è causa di scioglimento della società il provvedimento che dispone la procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi, sebbene l'articolo 1 della legge istitutiva di tale procedura equipari tale provvedimento al decreto che ordina la liquidazione coatta amministrativa. Infatti lo scopo dell'amministrazione straordinaria non è quello di eliminare la società liquidandone il patrimonio ma tentare il risanamento delle imprese.

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La determinazione del momento in cui ha effetto lo scioglimento e l'accertamento dell'avvenuto scioglimento

La questione se nell'attuale ordinamento sopravviva la distinzione tra cause di scioglimento operanti di diritto e cause cosiddette facoltative (operanti cioè a seguito di delibera assembleare o pronuncia giudiziale) è ormai da tempo risolta in senso negativo con la chiara affermazione che tutte le cause di scioglimento, per il solo fatto di essersi verificate, producono l'effetto di sciogliere la società e di porla in stato di liquidazione. Le cause di scioglimento operano quindi di diritto. La dottrina, un tempo divisa, appare oggi decisamente concorde, assieme alla giurisprudenza, nell'affermare che la società si trova in stato di liquidazione dal momento stesso in cui la causa di scioglimento si verifica.

Assodato che ogni causa di scioglimento prevista dall'ordinamento produce effetto immediato e identico, ci si può legittimamente chiedere se, invece, esistano delle differenze per ciò che riguarda il modo di procedere all'accertamento del suo verificarsi e all'individuazione del momento in cui essa può dirsi esistente.

Per quanto riguarda la prima questione, le specifiche disposizioni per l'accertamento e la pubblicità delle cause di scioglimento sono disciplinate dall'art. 2449 c.c.. Lasciando ad una successiva trattazione le particolarità legate a ciascuna delle cause di scioglimento, in via generale possiamo osservare che l'atto formale di accertamento della causa di scioglimento ha carattere esclusivamente dichiarativo e non influisce in alcun modo sull'efficacia automatica dello scioglimento stesso.

Anche la pubblicità legale dell'atto di accertamento ha natura semplicemente dichiarativa: l'eventuale omissione impedisce solo che lo scioglimento della società possa essere opposto ai terzi che non ne erano a conoscenza.

La seconda questione, viceversa, si rivela di grande importanza pratica, perché se è dal momento in cui la causa viene ad essere, (e non da quello il più delle volte successivo del suo accertamento) che si producono gli effetti che l'ordinamento ricollega allo scioglimento della società, diventa di rilevanza decisiva tracciare il chiaro confine temporale tra lo stato di normale attività e quello di liquidazione in tutte quelle situazioni nelle quali ci si debba confrontare con il divieto per gli amministratori di intraprendere nuove operazioni e con la conseguente esposizione degli stessi a responsabilità illimitata e solidale ex art. 2449, 1° comma, c.c., ove a tale divieto contravvengano.

Tuttavia pur essendo, come si è visto, fatto di estrema importanza determinare con esattezza il momento in cui la causa di scioglimento si verifica, non sempre tale determinazione è agevole, dato il diverso grado di evidenza che le cause di scioglimento possiedono, soprattutto con riferimento alla situazione di scioglimento dovuta alla perdita di una parte qualificata del capitale sociale.

Individuare il momento in cui una società entra in stato di liquidazione non sempre è facile. Infatti, a parte i casi di solare evidenza in cui il verificarsi della causa di scioglimento e il suo accertamento sono necessariamente coevi, come quando lo scioglimento avviene per deliberazione dell'assemblea; negli altri casi può essere estremamente difficile individuare il momento esatto del suo venire ad esistenza prima che un atto formale ne accerti il verificarsi. Ciò accade, in particolare, per lo scioglimento dovuto ad impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale o ad impossibilità di funzionamento dell'assemblea.

Inoltre può anche accadere che ci sia disaccordo tra i soci circa il verificarsi o meno della causa di scioglimento. In tal caso, per la dottrina dominante, diventa indispensabile procedere ad accertamento giudiziale in sede contenziosa con evidente dilatazione dei tempi d'incertezza sull'an e sul quandum dell'instaurarsi dello stato di liquidazione.

Per quanto riguarda poi la decorrenza dello scioglimento per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, lo stesso dato normativo solleva problemi, in quanto l'art. 2448, n. 4, c.c. stabilisce che resta "salvo quanto disposto dall'art. 2447". L'interrogativo è perciò se la società debba ritenersi sciolta dal momento stesso in cui la perdita ha ridotto il capitale al di sotto del minimo, oppure dal successivo momento in cui l'assemblea, convocata in base alla norma dell'art. 2447 c.c., abbia omesso di provvedere alla reintegrazione del capitale o alla trasformazione della società.

Su questo tema, per il momento (la questione sarà esaminata più avanti), ci limitiamo a sottolineare che la dottrina è divisa. Alcuni propendono per la tesi dell'immediato scioglimento al ridursi del capitale al disotto del minimo legale; altri spostano lo scioglimento al momento successivo della mancata adozione dei provvedimenti di cui all'art. 2447 c.c.. In giurisprudenza pare prevalere la prima soluzione, forse perché considerata più rigorosa, ma con l'importante precisazione, nelle decisioni più recenti, che la reintegrazione del capitale o la trasformazione operano come condizioni risolutive ex tunc dell'intervenuto scioglimento.

Determinare con esattezza il momento dal quale decorre lo stato di liquidazione della società è sempre questione di non poco conto, in quanto, decorrendo da tale momento la responsabilità personale degli amministratori ex art. 2449 per le "nuove operazioni" compiute, tale responsabilità può assumere differenti connotati e ampiezza (soprattutto in caso di successivo fallimento della società), a secondo di quale interpretazione venga data alle norme (ed in particolare all'art. 2447 c.c.).

In ogni caso, verificatasi una causa di scioglimento incombe sugli amministratori anche l'obbligo di convocare entro trenta giorni l'assemblea straordinaria (art. 2449, 2° comma, c.c.) per le deliberazioni relative alla liquidazione (art. 2365 c.c.).

Nel caso gli amministratori non provvedano, sarà compito del collegio sindacale convocare l'assemblea ex art. 2406 c.c.. L'omissione di entrambi gli organi costituisce grave irregolarità denunciabile al Tribunale dai soci che rappresentano almeno un decimo del capitale sociale ex art. 2409 c.c.. Si ritiene, in conformità alla regola generale dettata dall'art. 2367 c.c., che la convocazione dell'assemblea possa comunque essere chiesta al Presidente del Tribunale dai soci che rappresentano almeno un quinto del capitale sociale.

L'assemblea deve provvedere alla nomina dei liquidatori. Qualora non venga raggiunta la maggioranza prescritta per la validità delle deliberazioni, ovvero nel caso in cui lo scioglimento sia dovuto all'impossibilità di funzionamento o all'inattività dell'assemblea stessa, la nomina dei liquidatori dovrà essere fatta con decreto (non soggetto a reclamo) dal Presidente del Tribunale su istanza dei soci, degli amministratori o dei sindaci.

È da osservare che nell'ipotesi di giudizio ordinario per l'accertamento dell'esistenza di una causa di scioglimento, il Tribunale non può anche procedere alla nomina dei liquidatori che deve essere rimessa all'assemblea della società e solo ove questa non provveda o non sia in grado di provvedere, sarà possibile procedere alla nomina con decreto. A questo principio generale fa eccezione il caso di scioglimento ex art. 2332 c.c. per nullità della società già iscritta, caso in cui i liquidatori sono nominati direttamente da Tribunale con la sentenza che dichiara la nullità.

La delibera che fissa la composizione dell'organo liquidatorio è, ai sensi degli art. 2365 e 2450 c. 2 c.c., una delibera di competenza dell'assemblea straordinaria, tuttavia il 1° comma dell'art. 2450 fa salva la "diversa disposizione dell'atto costitutivo". Appare quindi condivisibile l'opinione che ipotizza la validità della clausola statutaria che attribuisca la nomina dei liquidatori all'assemblea ordinaria o ad altri organi sociali.

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Inderogabilità della liquidazione

L'art. 2452, 2° comma, stabilisce che l'assemblea può deliberare sui poteri dei liquidatori. Tale intervento è certamente da ritenere eventuale e non necessario, in quanto in mancanza si applicano le

disposizioni che la legge prevede per la liquidazione delle società di persone contenute negli artt. 2278 e successivi. Per il resto i limiti alla competenza dell'assemblea non sono indicati dalla legge, ma debbono essere desunti dal criterio di compatibilità con lo scopo di liquidazione fissato dall'art. 2451 c.c.

Le norme che disciplinano il procedimento di liquidazione delle società di capitale sono inderogabili dalla volontà dei soci, quand'anche essa fosse unanime, perché dettate dal legislatore a tutela degli interessi dei creditori sociali.

In conseguenza di ciò sono nulle tutte le clausole dell'atto costitutivo e le deliberazioni assembleari con le quali i soci abbiano inteso eliminare la libertà d'azione del liquidatore o limitarla alla mera esecuzione di piani di liquidazione preordinati.

Lo scopo che il procedimento di liquidazione si propone di raggiungere, una volta instaurato, è la chiusura di tutte le pendenze della società con la trasformazione in denaro dei beni, l'esazione dei crediti, il pagamento dei debiti e la ripartizione tra i soci del residuo attivo. Tutti gli atti che vengono compiuti senza avere questo fine specifico risultano incompatibili con lo stato di liquidazione e pertanto generano responsabilità dei liquidatori sia nei confronti dei creditori sociali, sia nei confronti dei soci (rimanendo in ogni caso la società impegnata dall'operato dei propri organi gestori).

L'instaurarsi della procedura liquidativa quando si verifica una causa di scioglimento ha carattere di inderogabilità. Il principio che può apparire dubbio per le società di persone, data l'incerta dizione dell'art. 2275 c.c. (per le società personali la nomina dei liquidatori è necessaria solo nel caso il contratto sociale non preveda il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non siano d'accordo nel determinarlo) è assolutamente fuori discussione per le società di capitali. Uno stato di liquidazione senza liquidazione è una evidente contraddizione in termini e non logicamente ipotizzabile. Infatti anche le società nelle quali già prima del verificarsi della causa di scioglimento non esistano più debiti da pagare, crediti da esigere o beni da liquidare, sono inevitabilmente soggette alle formalità del procedimento di liquidazione previste dalla legge. In esse lo scioglimento, la liquidazione, e la richiesta di cancellazione potrebbero anche compiersi in un solo giorno, ma comunque le tre fasi, ognuna e distintamente, dovranno necessariamente compiersi come richiesto dalla legge.

Tutto ciò perché la legge non prevede alcuna possibilità di deroga al principio secondo il quale con il verificarsi della causa di scioglimento della società i soci debbano provvedere in merito alla liquidazione; quand'anche tali provvedimenti si limitino al mero accertamento di situazioni già definite e alla nomina dei liquidatori. Infatti, anche se non ci fosse assolutamente alcuna attività che i liquidatori devono compiere in relazione al patrimonio sociale, è tassativamente previsto che solo ed esclusivamente i liquidatori possono porre in essere la serie degli atti necessari per ottenere la cancellazione della società.

In tal senso si è espresso più volte il Tribunale di Roma secondo il quale "Non è omologabile la deliberazione assembleare che abbia "deciso lo scioglimento della S.r.l. senza adottare alcun provvedimento "in ordine alla necessaria fase di liquidazione" .

La delibera che prevedesse la deroga, anche solo per una delle fasi essenziali del processo di liquidazione, sarebbe certamente nulla per illiceità dell'oggetto. Da ciò discende che i liquidatori non solo hanno il potere di liquidare, ma ne hanno il dovere ed i singoli soci hanno diritto alla regolarità del procedimento.

Non è neanche nel potere dell'assemblea deliberare un modo di liquidare il patrimonio sociale diverso dal procedimento legale previsto o addirittura deliberare di non procedere alla formale liquidazione provvedendo direttamente alla cancellazione della società.

Ciò si desume, anche per via interpretativa, dal carattere imperativo dell'art. 2450 c.c.; dal mancato richiamo dell'art. 2275 c.c. che per le società di persone rimette all'autonomia contrattuale dei soci "il modo di liquidare" la società; dall'articolazione dell'intera disciplina normativa che nel meccanismo liquidativo non prevede deroga di sorta; dal fatto che ex art. 2456 c.c. è riservato ai soli liquidatori l'accertamento dell'avvenuto compimento della liquidazione e la conseguente possibilità di richiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Infine solo i liquidatori sono indicati come direttamente responsabili verso i creditori che siano rimasti insoddisfatti a causa di una irregolare liquidazione.

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Cancellazione della società dal registro delle imprese

Come si è accennato, la cancellazione è un evento distinto e solo conseguente allo scioglimento della società. Il verificarsi della causa di scioglimento comporta l'arresto della germinazione di nuovi rapporti giuridici intorno alla società per il conseguimento dello scopo comune e l'inizio della risoluzione e dissoluzione di quelli in precedenza già intrecciati. Per estinzione invece si intende il consolidato risultato dell'attività di liquidazione con il completamento dell'opera di elisione della personalità giuridica dell'ente e la sua definitiva scomparsa dalla scena giuridica ed economica.

Salvo che nella società semplice, quindi, la ripartizione tra i soci del residuo attivo della liquidazione (ovvero l'ultima delle operazioni di liquidazione) non coincide con il momento estintivo della società. Occorre un ulteriore atto formale da parte del liquidatore, ovvero la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese, il conseguente deposito dei libri contabili presso l'ufficio del registro delle imprese e la cancellazione effettiva.

Dopo la cancellazione, la società dovrebbe cessare di esistere, così come era venuta ad esistenza con l'iscrizione. Ciò che accade nella pratica è lievemente differente in quanto una costante giurisprudenza ritiene correttamente che ove la liquidazione non si sia compiuta nel completo rispetto di tutti gli elementi formali e sostanziali del procedimento la società continua ad esistere malgrado la cancellazione e può essere ancora chiamata a rispondere delle proprie obbligazioni fino ad una possibile dichiarazione di fallimento . La cancellazione della società dal registro delle imprese è dunque operazione necessaria ma non sufficiente ai fini dell'estinzione.

Notiamo da ultimo che la previsione legislativa che sia solo il liquidatore a poter presentare la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese viene interpretata come una conferma dell'inderogabilità della procedura liquidativa nelle società registrate.

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