E' un grande poeta comico greco (524 circa - 435 circa a.C.), il
principale autore della commedia dorica, molto probabilmente ne è il fondatore, secondo
la testimonianza di Aristotele:
"Perciò i Dori rivendicano a sé la tragedia e la commedia - la commedia i
Megaresi, quelli di qui per l'affermarsi da loro della democrazia, quelli di Sicilia
perché di lì era Epicarmo; la tragedia alcuni del Peloponneso - pretendendo che i nomi
siano un segno". (Poetica, BUR, 1987).
"Poiché come il poeta Siracusano afferma: 'Ciò che prima di me per esser detto
abbisognava di due uomini, io lo posso replicare bene da solo'". (Ateneo; 362,
d; op. cit.).
"Tutte queste cose io faccio perché costretto. Nessuno, io credo,
volontariamente soffre e si dà pena". (I Presocratici, testimonianze e
frammenti; op.cit.).
Detto di Megara Sicula visse a Siracusa sin da bambino alle corti di Gelone e
Gerone. Diodoro asserisce che nacque a Coo e la sua famiglia, il padre si
chiamava Elotale, si trasferì in Sicilia quando egli aveva appena tre
mesi.
Si sa molto poco di ciò che fosse la commedia prima di Epicarmo, di certo col
siciliano venne strutturata e offerta agli altri autori dotata di maggiori peculiarità
comiche. Sappiamo che essa, come la tragedia, era nata dalla trasposizione scenica dei
culti di Dionisio, espressione di un culto prevalentemente agrario, poi prestato alle
città col prevalere delle democrazie sulle aristocrazie, e si compivano inizialmente a
Corinto e a Sicione.
Dalla Vita di Pitagora, di Giamblico, apprendiamo che il
nostro era anche filosofo seguace del pitagorismo, e Diogene Laerzio lo annovera tra i
sette sapienti. Qualcuno ha rintracciato nel suo pensiero anche motivi eraclitei e
senofanei.
E Diogene Laerzio, che riprende uno scritto di Alcino, dà il merito a
Epicarmo di aver dato con la sua opera insegnamenti allo stesso Platone, come
l'ispirazione per la composizione della teoria delle idee. Non abbiamo però nessun lavoro
del nostro di tipo filosofico; anche se Diogene Laerzio ci riferisce di sue opere di
fisica e medicina.
" (...) come dice Alcimo nei libri Ad Aminta, che sono
quattro. Nel primo di quest'opera egli dice:
'E' evidente che anche Platone dica molte cose epicarmee. Si consideri: Platone
definisce il sensibile ciò che mai permane né nella qualità né nella quantità, ma
sempre scorre e muta; qualora si tolga il numero, le cose sensibili perdono identità,
quiddità, quantità, qualità: e del sensibile è eterno il divenire, nulla l'essenza.
L'intelligibile è ciò che nulla perde e nulla acquista. Questa è la natura delle cose
eterne che è sempre uguale e sempre la stessa. Pertanto Epicarmo si è espresso
chiaramente intorno al sensibile e all'intelligibile:
A. Sempre gli dei furono e mai vennero meno, ciò che è eterno è uguale e lo
stesso sempre.
B. Eppure si dice che Caos degli dei fu il primo.
A. Come può essere? Non può come primo essere venuto di là o là venire.
B. Dunque nulla venne per primo.
A. Né secondo, per Zeus, almeno di ciò di cui qui ora parliamo in questo modo, ma sempre
ciò era. (...).
A. Se ad un numero dispari, o se vuoi pari, una pietruzza aggiungasi ovvero anche si
tolga, ti sembra esso ancora rimanere il medesimo?
B. No, certo.
A. E così se alla misura di un cubito aggiungere tu vuoi o ritagliare altra lunghezza da
quel che prima era, rimarrebbe ancora quella misura?
B. No.
A. E bada ora anche agli uomini: l'uno cresce, l'altro scema: tutti sempre in mutamento.
Ciò che per natura muta e rimane nello stesso luogo sarebbe, certo, già qualcosa di
diverso da ciò che è mutato. Anche tu ed io, altri ieri, ed oggi altri noi siamo, e di
nuovo altri nel futuro, e mai gli stessi secondo la stessa legge --'". (Diogene
Laerzio, Vite dei filosofi, III, 10, 11 ; op cit.).
Platone, nel Teeteto, lo fa degno di Omero
nel creare commedie. Avrebbe scritto secondo la Suda 52
"drammi" raccolti e catalogati da Apollodoro in 10 libri, ma sono giunti sino a
noi 35 titoli e 300 frammenti. Le commedie di Epicarmo erano di argomento per lo più
mitico (per esempio del ciclo di Ulisse: Odisseo disertore,
Odisseo naufrago, Sirene, e del vasto ciclo di Eracle: Nozze di Ebe, Eracle e Folo, Pircha e Prometeo,
Ciclope, l' Amico) ed altre di argomento umano (Il contadino, Terra
e mare, I furti, La Megarese, Visitatori del tempio, Speranza o ricchezza, Discorso e discorsa, I pellegrini). Ed
ancora, Dionisio, La sfinge, Commiati e le Baccanti.
In Sirene abbiamo la variante, rispetto a Omero che tali mostri attiravano
sugli scogli i marinai non con canti, ma con offerte di cibo prelibato. Ercole viene
ritratto come personaggio ingordo e ubriacone e Ulisse (detto Ipsipilo) come astuto ma
vigliacco. Altra commedia è Le Muse che Ateneo (110, b)
riferisce essere una revisione delle Nozze di Ebe. Ed ancora citiamo il Filottete.
In Ateneo abbiamo un riferimento a Periallus: "Egli (Epicarmo) si ripete in
Periallus" (139; b). E alle commedie Vacanza
(detta anche Orya o Eorta) e Isole (160; d).
Epicarmo padroneggia bene la sua lingua, crea neologismi, e versifica con maestria: con
lui la commedia ottiene la contemporanea presenza di più di un personaggio sulla scena
per le sue opere. Brevi opere, di 300 - 400 versi, e prive del coro avevano struttura
semplice, erano talvolta un acceso ma fine contrasto tra due personaggi, molto
distinguendosi per la vivacità dell'azione e la messa in scena di tipi. Altri testi sono:
Repubblica, Chirone, Sentenze, Canone; pur se contestate nell'autenticità sin
dall'antichità. Ne' I pellegrini troviamo una parola, 'ballismos' (Ateneo; 362,
c) che indica con altri gli odierni termini di 'ballo' e 'balletto'. Per dirimere la
questione viene tirato in gioco Epicarmo, che ne' I pellegrini appunto usa il
termine a noi più vicino. Quel che a noi però interessa è che Ateneo cita una delle
formule votive del culto di Delfi; in tali occasioni uomini
venivano inviati da uno stato all'altro in occasioni di tali feste, come per una
ambasciata attestante il reciproco rispetto dei culti. I pellegrini usavano ispezionare i
doni offerti ad Apollo, e li enumeravano catalogandoli; dicevano ad esempio:
"Calderoni di bronzo, coppe miscelatorie (krateres), spiedi (odeloi);
guardate! Sui palchi fanciulli danzano: che realizzazione splendida!". (362; b).
Frammenti
LA MORTE
-- Si congiunsero e si separarono, tornando onde erano venute, la terra nella
terra, l'aria nell'alto. Che c'è di male in questo? Nulla.
-- Se tu sei pio, nessun male ti causerà la morte, perché lo spirito vive alto nei
cieli.
-- Morire, che mai non sia: d'esser morto, non m'importa nulla. La migliore cosa per un
uomo è, io credo, la sanità.
LA PIETA'
-- Il miglior viatico per i mortali è una vita pia. se hai pura la mente, tutto il
corpo hai puro.
SCHERZI
-- Non già che tu sia generoso, ma ti diverti a donare.
-- Non già che tu sappia parlare, ma incapace di tacere tu sei.
-- Se tu lo vedi mangiare, muori: freme la gola, scrosciano le mascelle, scricchiolano i
molari, cricchiano i canini, soffiano le nari, s'agitano le orecchie.
-- Da un sacrificio venne fuori un convito, da un convito uno sposo - Bello davvero! -
Dallo sposo uno scherzo, dallo sherzo una contesa, dalla contesa un processo, dal processo
una condanna, dalla condanna prigionia e ammenda.
A Che è questo? Un tripode certo.
B E perché mai ha quattro piedi? non è un tripode ma un tetrapode, se non ho le
traveggole.
A Si chiama tripode, però ha quattro piedi.
B Caspita, l'enigma di Edipo!
VANA SUPERBIA UMANA
-- Nulla di strano che noi diciamo così e siamo soddisfatti di noi stessi, e
crediamo di avere gran pregi da natura, perché anche il cane crede che la cosa più bella
sia il cane, e il bue il bue, e l'asino l'asino, e il porco il porco.
-- Che cos'è questa natura degli uomini? Sono otri gonfiati.
(Maddalena, La lett. greca, Laterza, 1960, Bari)
I QUATTRO BENI
-- Un corpo sano è il sommo bene che ci vien dato; viene poi per secondo il dono
della bellezza; ed esser ricco senza infamie è il terzo; infine trovi il goder con amici
la tua giovinezza.
(Tale canto conviviale - detto anche scolio - viene anche attribuito a Simonide di Ceo.
Trad. Schiavone).
Ateneo cita numerose volte Epicarmo, riportando frasi da suoi lavori, per dare spessore
alla sua riunione conviviale, zeppa di discussioni su vari argomenti, principalmente
quello gastronomico, nei seguenti frammenti:
-- "Tu sei tale e quale i funghi: asciugherai il mio sangue sino a darmi la
morte" (60, e).
-- Io negozierò tutta questa roba per una cavalletta, e per cozze io prenderò la lumaca.
-- Ma vedi di andare al diavolo! (63, c)
-- "Il cactus (carciofo, n.d.A.), come viene chiamato, cresce solo in Sicilia, e non
esiste in Grecia. Se lo si serve ben condito, è una piacevole portata; ma da solo
giammai!" (70, e, f)
-- Diodoro cita i versi di Epicarmo: 'E per bere doppiamente più tiepida acqua, due
heminai (usa; n.d.A.)'. E pur Sofrone ripete: 'Getta via l'hemina, figliolo, e cin-cin!'.
(479; a).
Con 'hemina' si indica una specie di coppa. Leggi la scheda su Stesicoro
a tal proposito. Vedremo nei frammenti scovati innumerevoli riferimenti al cibo marino; le
trame delle commedie sono andate smarrite, ma i millenni forse non ci nascondono un
aspetto importante dei plot dei drammi del nostro: il continuo riferimento al nutrimento,
inserito nei dialoghi con fine secondario certamente, mostra chiaro che l'autore sa così
facendo di piacere al suo pubblico. Ci vengono in mente molti passaggi delle famose opere
teatrali partenopee di Edoardo Scarpetta e di Edoardo De Filippo. Possiamo tracciare un
parallelo tra il popolo, il 'populace', di ogni era, attratto da semplici cose per via
degli immortali problemi legati alla vita da affrontare con pochi mezzi.
Nella commedia Le Muse si fa riferimento ad una musica suonata con flauti da
Athena, con ritmo marziale, dedicato ai Dioscuri: 'enoplic'. (184; f). Visto che siamo in
pieno argomento agreste, inseriamo qui la annotazione che vuole Epicarmo riferire che un
tale siciliano di nome Diomo - un mandriano - creò un tipo di canzone bucolica detta
boukoliasmos. (619; b).
Ed indirettamente si cita Alcimo su Epicarmo. "Dicono
i sapienti che l'anima alcune cose senta per mezzo del corpo in quanto sente e in quanto
vede, altre da se stessa discerne, per nulla servendosi del corpo: perciò le cose che
sono si distinguono in sensibili ed intelligibili. Onde anche Platone diceva che quanti
desiderano comprendere i princìpi del tutto devono prima discernere le idee per se
stesse, come uguaglianza, unità, molteplicità, grandezza, stasi, movimento; in secondo
luogo devono stabilire per se stesso il bello, il buono, il giusto e simili; in terzo
luogo devono intendere quante delle idee sono relative ad altre idee, come scienza o
grandezza o signoria (considerando che le nostre cose sono omonime delle idee per il fatto
che ne partecipano: dico che sono giuste le cose che partecipano del giusto, belle le cose
che partecipano del bello). E ciascuna delle idee è eterna, è una nozione, inoltre è
imperturbabilità. Perciò dice pure che nella natura le idee stanno come archetipi e le
cose del nostro mondo in quanto loro copie sono simili alle idee.
Orbene Epicarmo intorno al bene e alle idee si esprime così
A. Suonare il flauto è una cosa?
B. Senz'altro.
A. Ma il suonare il flauto è anche un uomo?
B. Nient'affatto.
A. Ed ecco, che cosa è suonare un flauto? Chi par d'essere? Un uomo? O non è vero?
B. Sì appunto.
A. Non ti sembra che così sia anche del bene? Il bene cioè è la cosa in sé stessa; chi
l'abbia appreso e lo sa, questo già diventa buono. Com'è suonatore di flauto chi ha
appreso a suonarlo, e ballerino chi ha appreso la danza e tessitore chi ha appreso l'arte
di intrecciare e similmente se ha appreso qualsiasi cosa che tu voglia; egli non sarà
l'arte, ma l'artista naturalmente.
(I Presocratici; testim. e frammenti; Laterza, 1994).
"Platone nella concezione delle idee dice che se vi è memoria, le idee
esistono nelle cose che sono, perché la memoria è solo di una cosa che sia in quiete e
permanente e nulla è permanente fuorché le idee. 'In che modo, infatti dice, potrebbero
conservarsi gli esseri viventi se non avessero appreso l' idea ed inoltre non avessero
preso l'intelligenza dalla natura? Ora si ricordano della simiglianza (delle bevande) e
del nutrimento, qualunque a loro sia, mostrando perciò che tutti gli animali hanno innata
la facoltà di discernere ciò che è simile: perciò percepiscono anche i loro simili'.
Come dunque (si esprime) Epicarmo?
-- Eumeo, la saggezza non è in un solo individuo, ma tutte le creature viventi
hanno anche l'intelligenza. Ed infatti la razza femminile delle galline, se vuoi
intensamente osservare, figli non genera che già vivono, ma cova e fa che abbiano
un'anima. E come si verifichi questa saggezza solo la natura lo sa, perché da se stessa
si è educata. (...).
-- Nessuna meraviglia che noi così parliamo e che noi a noi stessi piacciamo e ci
crediamo bellamente fatti: e infatti il cane sembra di essere la creatura più bella al
cane, e un bue al bue, un asino all'asino, un porco al porco, senza dubbio. (...).
-- Come io credo, e infatti credo, questo io so chiaramente, che un giorno sarà il
ricordo di queste mie parole, ancora. Uno le prenderà, le priverà del metro che hanno
ora, darà loro una veste purpurea, conferirà il vario ornamento di miti; egli che
è invincibile mostrerà gli altri facilmente vincibili . (Diogene Laerzio; Vite dei
filosofi; III, 12, 17; a cura di M.Gigante, Laterza, 1976)
E dalla stessa fonte abbiamo riportata la iscrizione alla sua statua che era posta in
Siracusa:
"Se il grande sole splendente supera gli astri ed il mare ha una potenza
maggiore dei fiumi, io dico che tanto è preminente in sapienza Epicarmo che questa patria
dei Siracusani cinse di corona". (VIII, 78).
Ma concludiamo con delle sue splendide frasi educative:
"Sii sobrio e diffida sempre: questo è ciò che tiene ben connessa la
mente".
"Non già che tu sia abile a dire, ma incapace di tacere sei".
" O sciagurato, non cercare vita facile, se non vuoi averla dura". (I
presocratici, testimonianze e frammenti; op. cit.).
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