"E quel poeta di Citera, il quale le nutrici di Bacco educarono, e le Muse
insegnarono ad essere il più fedele servitore del flauto: Filosseno. Tu sai bene come
egli fu torturato dal dolore, ed attraversò la nostra città sino ad Ortigia; poiché tu
hai udito di tale potente struggimento, che Galatea stimò persino meno di un ciuffo
d'erica". (Ateneo; 598, e; op. cit.)
Il poeta di Citera nacque nel 435 a.C. e morì ad Efeso nel 380 circa, e lo inseriamo
nella nostra trattazione in quanto visse a lungo in Sicilia, in qualità di schiavo, e
allievo, di Mananippide. La sua produzione constava di 25 ditirambi, uno intitolato Il Ciclope, del
quale abbiamo ritrovato solo poche frasi dimezzate. Su di lui si narra qualche aneddoto,
spezzoni di vita che hanno anche loro un valore, per non renderci dimentichi che questi
poeti, o spesso, questi nomi d'uomini vissero affrontando le asperità inevitabili
dell'ospite bisognoso. Filosseno visse molto alla corte di Dionisio,
e questi per temperamento vedeva riflessi negli altri quelli che erano i propri difetti,
quali la sospettosità e la crudeltà. Ma a suo modo, così appare dall'aneddoto, si beava
di considerarsi amante ed estimatore delle altrui arguzie e prove di intelligenza,
sognando di aver lui stesso tali doti. Un giorno, quindi, Filosseno si trovò a tavola col
tiranno; venne offerto del pesce, e Dionisio ebbe servito il più grande. A Filosseno
toccò un pesce alquanto piccolo sul piatto; per tal motivo egli avvicinò il capo,
chinandolo, al piatto: come ad udire dei sussurri dalla bocca del pesce.
A Dionigi che chiese sul perché di tale atteggiamento, il poeta rispose che siccome
egli era al lavoro per un componimento (il Ciclope), aveva chiesto all'animale
notizie su Galatea e Polifemo, però il pesce non aveva saputo rispondergli
esaurientemente in quanto era giovane, piccolo, e non aveva fatto in tempo a conoscere
molte cose del mondo marino.
"Il vostro, mio signore, ha invece molto a lungo vissuto, e potrebbe rivelarmi
molte più cose",
rispose più o meno Filosseno, suscitando le risa del tiranno, ed ottenendo una portata
più consistente. Tra parentesi notiamo che il suo nome è simile al termime greco
'ospitare' (filoxenò).
Anche di un altro azzardoso fatto è stato protagonista il nostro, sopranominato
'formica' dai comici attici nei loro spettacoli parodistici; Dionisio, abbiamo detto, come
altri tiranni vanesi, tentava di comporre dei versi. Ovviamente a corte nessuno
s'arrischiava a dirne altro che bene, e un po' consapevole di ciò, un po' per capriccioso
bisogno di imporre il potere suo a quello dell'arte, volle che si pronunciasse Filosseno
sui suoi componimenti e glieli recitò innanzi. Dopo averlo udito decantare dei versi
certamente bolsi, Filosseno si espresse secondo libertà di pensiero. Si ritrovò in un
fiat nelle latomie, e gli si fece intendere che ne sarebbe uscito solo se avesse cambiato
parere sulle doti poetiche e canore di Dionisio. Dopo alcuni giorni Filosseno venne
condotto a corte, e Dionigi gli si presentò nuovamente nelle vesti di poeta, pronto ad
esibirsi. Lo fece, ed attese un nuovo parere dall'esperto Filosseno; questi invece si
alzò, e fece per andare, dicendo pressappoco: 'è miglior cosa dei tuoi versi restar
al riparo nella latomia'. E il tiranno, nuovamente, trovò brillante ed ammirevole la
franchezza del suo colto e baldanzoso ospite. La Suida considera
proverbiale la risposta del poeta: "Abduc me in lapidicinas".
Ateneo affianca al nostro Filosseno di Citera, il suo omonimo
di Leuca, l' autore de' Il banchetto, a detta del poeta Plauto:
"A suo riguardo Crisippo racconta: 'Io ricordo un gran goloso, che era così
sfrontato davanti ai suoi amici, che ai bagni pubblici egli era avvezzo scaldarsi la mano
immergendola nell'acqua calda, e gorgheggiare con l'acqua bollente, cosicché non avrebbe
indietreggiato quando ci sarebbe stato da mangiare cibo che scottava. Si era soliti dire,
quindi, che egli aveva realmente vinto i cuochi, sfidandoli a servirgli portate molto
calde, con l'obbiettivo di lasciare indietro chiunque iniziasse a seguire il suo esempio.
La stessa storia è narrata da Filosseno da Citera e Archita (...). (5, e; op. cit.)
A seguire la citazione giocosa de' Il banchetto si ha riporta il parere di
Antifane, il quale loda Filosseno come poeta di gran lunga superiore agli altri. "Poichè,
in primo luogo, usò le novelle e neologismi un po' ovunque. E come graziosa è la sua
lirica, temperata da varietà di colori! Egli fu un dio tra gli uomini, conoscitore della
vera poesia". (643; d).
E questo e quanto riferisce su Filosseno il poeta comico Macone:
"Si narra che Filosseno, il poeta ditirambico, era eccessivamente amante del
pesce, Come conseguenza avvenne che, una volta, egli comprò in Siracusa un polpo lungo un
metro, e dopo averlo preparato lo mangiò quasi per intero, fatta eccezione per la testa.
Una dispepsia lo buttò a terra, riducendolo in pessime condizioni. Venne convocato un
medico al suo capezzale, che al vederlo in quelle misere condizioni gli disse: 'Se hai in
sospeso degli affari, fa che in fretta si disponga come è nelle tue volontà, Filosseno.
Tu non avrai più vita per la settima ora'.
E Filosseno rispose: 'Ogni mio impegno è sistemato, dottore, e ciò è stato fatto da
tempo. Affido alla benedizione degli dei i miei ditirambi, che abbandono in piena
maturità, ognuno onorato da corone. Tutti li dedico alle mie sorelle nutrici, le Muse.
(...) Ed Afrodite e Dionisio saranno i miei custodi. Le mie volontà sono così espresse
chiaramente. Però adesso, Caronte di Timoteo (quello della sua Niobe) non mi permetterà
di sprecare tempo, ma con gran voce mi ordina di salire sulla sua barca; l'oscuro fato mi
chiama, e non ho altra scelta che udirlo. E per essere certi che io abbia con me tutti i
miei beni quando andrò via, ridatemi quel che rimane del mio polpo!'
Ed in un altro passaggio Macone afferma:
"Filosseno di Citera, così si sente dire, una volta pregò perchè potesse
avere una gola lunga tre cubiti. 'I desidererei', esclamò, 'che ogni boccone inghiottito
impiegasse tanto più tempo a finire; ed ottenere tutti insieme in una volta i cibi che mi
deliziano'.
Diogene il Cinico pure morì quando il suo stomaco si gonfiò
dopo che ebbe mangiato un polipo crudo.
Parlando di Filosseno, il parodista Sopater pur dice: 'Poiché
egli siede al centro di due porzioni di pesce, con lo sguardo attento diretto proprio
sull'Etna IMG'". (Ateneo; 341; a, b, c, d,
e; op. cit.).
E qui lasciamo l'animo candido del poeta, caduco nei riguardi dei buoni sapori, ma dal
carattere fiero e dall'occhio esploratore degli animi e delle cose umane; un vero uomo pur
se bisognoso della protezione regale, col suo immancabile difetto, degno di ammirare il
perenne vapore che ricorda ad ogni siciliano o turista che la terra è viva ed è vita. |