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CAPITOLO IV
Il sole non era ancor tutto apparso sull'orizzonte, quando il padre
Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta
dov'era aspettato. È Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra
dell'Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di
case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di
reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste
tuttavia) al di fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la
strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in
mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità
de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendìi, e
nella valle. Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite del
gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e a
sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a
varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi
di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. La scena era lieta; ma ogni
figura d'uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il pensiero. Ogni
tanto, s'incontravano mendichi laceri e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o
spinti allora dalla necessità a tender la mano. Passavano zitti accanto al
padre Cristoforo, lo guardavano pietosamente, e, benché non avesser nulla a
sperar da lui, giacché un cappuccino non toccava mai moneta, gli facevano un
inchino di ringraziamento, per l'elemosina che avevan ricevuta, o che andavano a
cercare al convento. Lo spettacolo de' lavoratori sparsi ne' campi, aveva
qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade,
con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme;
altri spingevan la vanga come a stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla.
La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vaccherella magra
stecchita, guardava innanzi, e si chinava in fretta, a rubarle, per cibo della
famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini
potevan vivere. Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo, la mestizia del
frate, il quale camminava già col tristo presentimento in cuore, d'andar a
sentire qualche sciagura.
"Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al primo
avviso, s'era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padre
provinciale? E chi era questo padre Cristoforo?" Bisogna soddisfare a
tutte queste domande.
Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai
cinquant'anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi
girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s'alzava di tempo in tempo, con
un movimento che lasciava trasparire un non so che d'altero e d'inquieto; e
subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà. La barba bianca e lunga, che gli
copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate
della parte superiore del volto, alle quali un'astinenza, già da gran pezzo
abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d'espressione. Due
occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con
vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere,
col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo
in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso.
Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato
Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo d'un mercante
di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo) che,
ne' suoi ultim'anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell'unico
figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s'era dato a viver da signore.
Nel suo nuovo ozio, cominciò a entrargli in corpo una gran vergogna di tutto
quel tempo che aveva speso a far qualcosa in questo mondo. Predominato da una
tal fantasia, studiava tutte le maniere di far dimenticare ch'era stato
mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui. Ma il fondaco, le balle,
il libro, il braccio, gli comparivan sempre nella memoria, come l'ombra di Banco
a Macbeth, anche tra la pompa delle mense, e il sorriso de' parassiti. E non si
potrebbe dire la cura che dovevano aver que' poveretti, per schivare ogni parola
che potesse parere allusiva all'antica condizione del convitante. Un giorno, per
raccontarne una, un giorno, sul finir della tavola, ne' momenti della più viva
e schietta allegria, che non si sarebbe potuto dire chi più godesse, o la
brigata di sparecchiare, o il padrone d'aver apparecchiato, andava stuzzicando,
con superiorità amichevole, uno di que' commensali, il più onesto mangiatore
del mondo. Questo, per corrispondere alla celia, senza la minima ombra di
malizia, proprio col candore d'un bambino, rispose: - eh! io fo l'orecchio del
mercante -. Egli stesso fu subito colpito dal suono della parola che gli era
uscita di bocca: guardò, con faccia incerta, alla faccia del padrone, che s'era
rannuvolata: l'uno e l'altro avrebber voluto riprender quella di prima; ma non
era possibile. Gli altri convitati pensavano, ognun da sé, al modo di sopire il
piccolo scandolo, e di fare una diversione; ma, pensando, tacevano, e, in quel
silenzio, lo scandolo era più manifesto. Ognuno scansava d'incontrar gli occhi
degli altri; ognuno sentiva che tutti eran occupati del pensiero che tutti
volevan dissimulare. La gioia, per quel giorno, se n'andò; e l'imprudente o,
per parlar con più giustizia, lo sfortunato, non ricevette più invito. Così
il padre di Lodovico passò gli ultimi suoi anni in angustie continue, temendo
sempre d'essere schernito, e non riflettendo mai che il vendere non è cosa più
ridicola che il comprare, e che quella professione di cui allora si vergognava,
l'aveva pure esercitata per tant'anni, in presenza del pubblico, e senza
rimorso. Fece educare il figlio nobilmente, secondo la condizione de' tempi, e
per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consuetudini; gli diede maestri
di lettere e d'esercizi cavallereschi; e morì, lasciandolo ricco e giovinetto.
Lodovico aveva contratte abitudini signorili; e gli adulatori, tra i quali
era cresciuto, l'avevano avvezzato ad esser trattato con molto rispetto. Ma,
quando volle mischiarsi coi principali della sua città, trovò un fare ben
diverso da quello a cui era accostumato; e vide che, a voler esser della lor
compagnia, come avrebbe desiderato, gli conveniva fare una nuova scuola di
pazienza e di sommissione, star sempre al di sotto, e ingozzarne una, ogni
momento. Una tal maniera di vivere non s'accordava, né con l'educazione, né
con la natura di Lodovico. S'allontanò da essi indispettito. Ma poi ne stava
lontano con rammarico; perché gli pareva che questi veramente avrebber dovuto
essere i suoi compagni; soltanto gli avrebbe voluti più trattabili. Con questo
misto d'inclinazione e di rancore, non potendo frequentarli famigliarmente, e
volendo pure aver che far con loro in qualche modo, s'era dato a competer con
loro di sfoggi e di magnificenza, comprandosi così a contanti inimicizie,
invidie e ridicolo. La sua indole, onesta insieme e violenta, l'aveva poi
imbarcato per tempo in altre gare più serie. Sentiva un orrore spontaneo e
sincero per l'angherie e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla
qualità delle persone che più ne commettevano alla giornata; ch'erano appunto
coloro coi quali aveva più di quella ruggine. Per acquietare, o per esercitare
tutte queste passioni in una volta, prendeva volentieri le parti d'un debole
sopraffatto, si piccava di farci stare un soverchiatore, s'intrometteva in una
briga, se ne tirava addosso un'altra; tanto che, a poco a poco, venne a
costituirsi come un protettor degli oppressi, e un vendicatore de' torti.
L'impiego era gravoso; e non è da domandare se il povero Lodovico avesse
nemici, impegni e pensieri. Oltre la guerra esterna, era poi tribolato
continuamente da contrasti interni; perché, a spuntarla in un impegno (senza
parlare di quelli in cui restava al di sotto), doveva anche lui adoperar raggiri
e violenze, che la sua coscienza non poteva poi approvare. Doveva tenersi
intorno un buon numero di bravacci; e, così per la sua sicurezza, come per
averne un aiuto più vigoroso, doveva scegliere i più arrischiati, cioè i più
ribaldi; e vivere co' birboni, per amor della giustizia. Tanto che, più d'una
volta, o scoraggito, dopo una trista riuscita, o inquieto per un pericolo
imminente, annoiato del continuo guardarsi, stomacato della sua compagnia, in
pensiero dell'avvenire, per le sue sostanze che se n'andavan, di giorno in
giorno, in opere buone e in braverie, più d'una volta gli era saltata la
fantasia di farsi frate; che, a que' tempi, era il ripiego più comune, per
uscir d'impicci. Ma questa, che sarebbe forse stata una fantasia per tutta la
sua vita, divenne una risoluzione, a causa d'un accidente, il più serio che gli
fosse ancor capitato.
Andava un giorno per una strada della sua città, seguito da due bravi, e
accompagnato da un tal Cristoforo, altre volte giovine di bottega e, dopo chiusa
questa, diventato maestro di casa. Era un uomo di circa cinquant'anni,
affezionato, dalla gioventù, a Lodovico, che aveva veduto nascere, e che, tra
salario e regali, gli dava non solo da vivere, ma di che mantenere e tirar su
una numerosa famiglia. Vide Lodovico spuntar da lontano un signor tale,
arrogante e soverchiatore di professione, col quale non aveva mai parlato in
vita sua, ma che gli era cordiale nemico, e al quale rendeva, pur di cuore, il
contraccambio: giacché è uno de' vantaggi di questo mondo, quello di poter
odiare ed esser odiati, senza conoscersi. Costui, seguito da quattro bravi,
s'avanzava diritto, con passo superbo, con la testa alta, con la bocca composta
all'alterigia e allo sprezzo. Tutt'e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico
(notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine,
gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal
detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale allora si faceva gran
caso. L'altro pretendeva, all'opposto, che quel diritto competesse a lui, come a
nobile, e che a Lodovico toccasse d'andar nel mezzo; e ciò in forza d'un'altra
consuetudine. Perocché, in questo, come accade in molti altri affari, erano in
vigore due consuetudini contrarie, senza che fosse deciso qual delle due fosse
la buona; il che dava opportunità di fare una guerra, ogni volta che una testa
dura s'abbattesse in un'altra della stessa tempra. Que' due si venivano
incontro, ristretti alla muraglia, come due figure di basso rilievo ambulanti.
Quando si trovarono a viso a viso, il signor tale, squadrando Lodovico, a capo
alto, col cipiglio imperioso, gli disse, in un tono corrispondente di voce: -
fate luogo.
- Fate luogo voi, - rispose Lodovico. - La diritta è mia.
- Co' vostri pari, è sempre mia.
- Sì, se l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i pari miei. I bravi
dell'uno e dell'altro eran rimasti fermi, ciascuno dietro il suo padrone,
guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe, preparati alla battaglia. La
gente che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza, a osservare il fatto;
e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio de'
contendenti.
- Nel mezzo, vile meccanico; o ch'io t'insegno una volta come si tratta co'
gentiluomini.
- Voi mentite ch'io sia vile.
- Tu menti ch'io abbia mentito -. Questa risposta era di prammatica. - E, se
tu fossi cavaliere, come son io, - aggiunse quel signore, - ti vorrei far
vedere, con la spada e con la cappa, che il mentitore sei tu.
- E un buon pretesto per dispensarvi di sostener co' fatti l'insolenza delle
vostre parole.
- Gettate nel fango questo ribaldo, - disse il gentiluomo, voltandosi a'
suoi.
- Vediamo! - disse Lodovico, dando subitamente un passo indietro, e mettendo
mano alla spada.
- Temerario! - gridò l'altro, sfoderando la sua: - io spezzerò questa,
quando sarà macchiata del tuo vil sangue.
Così s'avventarono l'uno all'altro; i servitori delle due parti si
slanciarono alla difesa de' loro padroni. Il combattimento era disuguale, e per
il numero, e anche perché Lodovico mirava piùttosto a scansare i colpi, e a
disarmare il nemico, che ad ucciderlo; ma questo voleva la morte di lui, a ogni
costo. Lodovico aveva già ricevuta al braccio sinistro una pugnalata d'un
bravo, e una sgraffiatura leggiera in una guancia, e il nemico principale gli
piombava addosso per finirlo; quando Cristoforo, vedendo il suo padrone
nell'estremo pericolo, andò col pugnale addosso al signore. Questo, rivolta
tutta la sua ira contro di lui, lo passò con la spada. A quella vista,
Lodovico, come fuor di sé, cacciò la sua nel ventre del feritore, il quale
cadde moribondo, quasi a un punto col povero Cristoforo. I bravi del gentiluomo,
visto ch'era finita, si diedero alla fuga, malconci: quelli di Lodovico,
tartassati e sfregiati anche loro, non essendovi più a chi dare, e non volendo
trovarsi impicciati nella gente, che già accorreva, scantonarono dall'altra
parte: e Lodovico si trovò solo, con que' due funesti compagni ai piedi, in
mezzo a una folla.
- Com'è andata? - È uno. - Son due. - Gli ha fatto un occhiello nel ventre.
- Chi è stato ammazzato? - Quel prepotente. - Oh santa Maria, che sconquasso! -
Chi cerca trova. - Una le paga tutte. - Ha finito anche lui. - Che colpo! - Vuol
essere una faccenda seria. - E quell'altro disgraziato! - Misericordia! che
spettacolo! - Salvatelo, salvatelo. - Sta fresco anche lui. - Vedete com'è
concio! butta sangue da tutte le parti. - Scappi, scappi. Non si lasci prendere.
Queste parole, che più di tutte si facevan sentire nel frastono confuso di
quella folla, esprimevano il voto comune; e, col consiglio, venne anche l'aiuto.
Il fatto era accaduto vicino a una chiesa di cappuccini, asilo, come ognun sa,
impenetrabile allora a' birri, e a tutto quel complesso di cose e di persone,
che si chiamava la giustizia. L'uccisore ferito fu quivi condotto o portato
dalla folla, quasi fuor di sentimento; e i frati lo ricevettero dalle mani del
popolo, che glielo raccomandava, dicendo: - è un uomo dabbene che ha freddato
un birbone superbo: l'ha fatto per sua difesa: c'è stato tirato per i capelli.
Lodovico non aveva mai, prima d'allora, sparso sangue; e, benché l'omicidio
fosse, a que' tempi, cosa tanto comune, che gli orecchi d'ognuno erano avvezzi a
sentirlo raccontare, e gli occhi a vederlo, pure l'impressione ch'egli ricevette
dal veder l'uomo morto per lui, e l'uomo morto da lui, fu nuova e indicibile; fu
una rivelazione di sentimenti ancora sconosciuti. Il cadere del suo nemico,
l'alterazione di quel volto, che passava, in un momento, dalla minaccia e dal
furore, all'abbattimento e alla quiete solenne della morte, fu una vista che
cambiò, in un punto, l'animo dell'uccisore. Strascinato al convento, non sapeva
quasi dove si fosse, né cosa si facesse; e, quando fu tornato in sé, si trovò
in un letto dell'infermeria, nelle mani del frate chirurgo (i cappuccini ne
avevano ordinariamente uno in ogni convento), che accomodava faldelle e fasce
sulle due ferite ch'egli aveva ricevute nello scontro. Un padre, il cui impiego
particolare era d'assistere i moribondi, e che aveva spesso avuto a render
questo servizio sulla strada, fu chiamato subito al luogo del combattimento.
Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell'infermeria, e, avvicinatosi al letto
dove Lodovico giaceva, - consolatevi - gli disse: - almeno è morto bene, e m'ha
incaricato di chiedere il vostro perdono, e di portarvi il suo -. Questa parola
fece rinvenire affatto il povero Lodovico, e gli risvegliò più vivamente e
più distintamente i sentimenti ch'eran confusi e affollati nel suo animo:
dolore dell'amico, sgomento e rimorso del colpo che gli era uscito di mano, e,
nello stesso tempo, un'angosciosa compassione dell'uomo che aveva ucciso. - E
l'altro? - domandò ansiosamente al frate.
- L'altro era spirato, quand'io arrivai. Frattanto, gli accessi e i contorni
del convento formicolavan di popolo curioso: ma, giunta la sbirraglia, fece
smaltir la folla, e si postò a una certa distanza dalla porta, in modo però
che nessuno potesse uscirne inosservato. Un fratello del morto, due suoi cugini
e un vecchio zio, vennero pure, armati da capo a piedi, con grande
accompagnamento di bravi; e si misero a far la ronda intorno, guardando, con
aria e con atti di dispetto minaccioso, que' curiosi, che non osavan dire: gli
sta bene; ma l'avevano scritto in viso.
Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensieri, chiamato un frate
confessore, lo pregò che cercasse della vedova di Cristoforo, le chiedesse in
suo nome perdono d'essere stato lui la cagione, quantunque ben certo
involontaria, di quella desolazione, e, nello stesso tempo, l'assicurasse
ch'egli prendeva la famiglia sopra di sé. Riflettendo quindi a' casi suoi,
sentì rinascere più che mai vivo e serio quel pensiero di farsi frate, che
altre volte gli era passato per la mente: gli parve che Dio medesimo l'avesse
messo sulla strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo capitare in un
convento, in quella congiuntura; e il partito fu preso. Fece chiamare il
guardiano, e gli manifestò il suo desiderio. N'ebbe in risposta, che bisognava
guardarsi dalle risoluzioni precipitate; ma che, se persisteva, non sarebbe
rifiutato. Allora, fatto venire un notaro, dettò una donazione di tutto ciò
che gli rimaneva (ch'era tuttavia un bel patrimonio) alla famiglia di
Cristoforo: una somma alla vedova, come se le costituisse una contraddote, e il
resto a otto figliuoli che Cristoforo aveva lasciati.
La risoluzione di Lodovico veniva molto a proposito per i suoi ospiti, i
quali, per cagion sua, erano in un bell'intrigo. Rimandarlo dal convento, ed
esporlo così alla giustizia, cioè alla vendetta de' suoi nemici, non era
partito da metter neppure in consulta. Sarebbe stato lo stesso che rinunziare a'
propri privilegi, screditare il convento presso il popolo, attirarsi il biasimo
di tutti i cappuccini dell'universo, per aver lasciato violare il diritto di
tutti, concitarsi contro tutte l'autorità ecclesiastiche, le quali si
consideravan come tutrici di questo diritto. Dall'altra parte, la famiglia
dell'ucciso, potente assai, e per sé, e per le sue aderenze, s'era messa al
punto di voler vendetta; e dichiarava suo nemico chiunque s'attentasse di
mettervi ostacolo. La storia non dice che a loro dolesse molto dell'ucciso, e
nemmeno che una lagrima fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado: dice
soltanto ch'eran tutti smaniosi d'aver nell'unghie l'uccisore, o vivo o morto.
Ora questo, vestendo l'abito di cappuccino, accomodava ogni cosa. Faceva, in
certa maniera, un'emenda, s'imponeva una penitenza, si chiamava implicitamente
in colpa, si ritirava da ogni gara; era in somma un nemico che depon l'armi. I
parenti del morto potevan poi anche, se loro piacesse, credere e vantarsi che
s'era fatto frate per disperazione, e per terrore del loro sdegno. E, ad ogni
modo, ridurre un uomo a spropriarsi del suo, a tosarsi la testa, a camminare a
piedi nudi, a dormir sur un saccone, a viver d'elemosina, poteva parere una
punizione competente, anche all'offeso il più borioso.
Il padre guardiano si presentò, con un'umiltà disinvolta, al fratello del
morto, e, dopo mille proteste di rispetto per l'illustrissima casa, e di
desiderio di compiacere ad essa in tutto ciò che fosse fattibile, parlò del
pentimento di Lodovico, e della sua risoluzione, facendo garbatamente sentire
che la casa poteva esserne contenta, e insinuando poi soavemente, e con maniera
ancor più destra, che, piacesse o non piacesse, la cosa doveva essere. Il
fratello diede in ismanie, che il cappuccino lasciò svaporare, dicendo di tempo
in tempo: - è un troppo giusto dolore -. Fece intendere che, in ogni caso, la
sua famiglia avrebbe saputo prendersi una soddisfazione: e il cappuccino,
qualunque cosa ne pensasse, non disse di no. Finalmente richiese, impose come
una condizione, che l'uccisor di suo fratello partirebbe subito da quella
città. Il guardiano, che aveva già deliberato che questo fosse fatto, disse
che si farebbe, lasciando che l'altro credesse, se gli piaceva, esser questo un
atto d'ubbidienza: e tutto fu concluso. Contenta la famiglia, che ne usciva con
onore; contenti i frati, che salvavano un uomo e i loro privilegi, senza farsi
alcun nemico; contenti i dilettanti di cavalleria, che vedevano un affare
terminarsi lodevolmente; contento il popolo, che vedeva fuor d'impiccio un uomo
ben voluto, e che, nello stesso tempo, ammirava una conversione; contento
finalmente, e più di tutti, in mezzo al dolore, il nostro Lodovico, il quale
cominciava una vita d'espiazione e di servizio, che potesse, se non riparare,
pagare almeno il mal fatto, e rintuzzare il pungolo intollerabile del rimorso.
Il sospetto che la sua risoluzione fosse attribuita alla paura, l'afflisse un
momento; ma si consolò subito, col pensiero che anche quell'ingiusto giudizio
sarebbe un gastigo per lui, e un mezzo d'espiazione. Così, a trent'anni, si
ravvolse nel sacco; e, dovendo, secondo l'uso, lasciare il suo nome, e prenderne
un altro, ne scelse uno che gli rammentasse, ogni momento, ciò che aveva da
espiare: e si chiamò fra Cristoforo.
Appena compita la cerimonia della vestizione, il guardiano gl'intimò che
sarebbe andato a fare il suo noviziato a ***, sessanta miglia lontano, e che
partirebbe all'indomani. Il novizio s'inchinò profondamente, e chiese una
grazia. - Permettetemi, padre, - disse, - che, prima di partir da questa città,
dove ho sparso il sangue d'un uomo, dove lascio una famiglia crudelmente offesa,
io la ristori almeno dell'affronto, ch'io mostri almeno il mio rammarico di non
poter risarcire il danno, col chiedere scusa al fratello dell'ucciso, e gli
levi, se Dio benedice la mia intenzione, il rancore dall'animo -. Al guardiano
parve che un tal passo, oltre all'esser buono in sé, servirebbe a riconciliar
sempre più la famiglia col convento; e andò diviato da quel signor fratello,
ad esporgli la domanda di fra Cristoforo. A proposta così inaspettata, colui
sentì, insieme con la maraviglia, un ribollimento di sdegno, non però senza
qualche compiacenza. Dopo aver pensato un momento, - venga domani, - disse; e
assegnò l'ora. Il guardiano tornò, a portare al novizio il consenso
desiderato.
Il gentiluomo pensò subito che, quanto più quella soddisfazione fosse
solenne e clamorosa, tanto più accrescerebbe il suo credito presso tutta la
parentela, e presso il pubblico; e sarebbe (per dirla con un'eleganza moderna)
una bella pagina nella storia della famiglia. Fece avvertire in fretta tutti i
parenti che, all'indomani, a mezzogiorno, restassero serviti (così si diceva
allora) di venir da lui, a ricevere una soddisfazione comune. A mezzogiorno, il
palazzo brulicava di signori d'ogni età e d'ogni sesso: era un girare, un
rimescolarsi di gran cappe, d'alte penne, di durlindane pendenti, un moversi
librato di gorgiere inamidate e crespe, uno strascico intralciato di rabescate
zimarre. Le anticamere, il cortile e la strada formicolavan di servitori, di
paggi, di bravi e di curiosi. Fra Cristoforo vide quell'apparecchio, ne
indovinò il motivo, e provò un leggier turbamento; ma, dopo un istante, disse
tra sé: "sta bene: l'ho ucciso in pubblico, alla presenza di tanti suoi
nemici: quello fu scandalo, questa è riparazione". Così, con gli occhi
bassi, col padre compagno al fianco, passò la porta di quella casa, attraversò
il cortile, tra una folla che lo squadrava con una curiosità poco cerimoniosa;
salì le scale, e, di mezzo all'altra folla signorile, che fece ala al suo
passaggio, seguito da cento sguardi, giunse alla presenza del padron di casa; il
quale, circondato da' parenti più prossimi, stava ritto nel mezzo della sala,
con lo sguardo a terra, e il mento in aria, impugnando, con la mano sinistra, il
pomo della spada, e stringendo con la destra il bavero della cappa sul petto.
C'è talvolta, nel volto e nel contegno d'un uomo, un'espressione così
immediata, si direbbe quasi un'effusione dell'animo interno, che, in una folla
di spettatori, il giudizio sopra quell'animo sarà un solo. Il volto e il
contegno di fra Cristoforo disser chiaro agli astanti, che non s'era fatto
frate, né veniva a quell'umiliazione per timore umano: e questo cominciò a
concigliarglieli tutti. Quando vide l'offeso, affrettò il passo, gli si pose
inginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chinando la testa rasa,
disse queste parole: - io sono l'omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei
restituirglielo a costo del mio sangue; ma, non potendo altro che farle
inefficaci e tarde scuse, la supplico d'accettarle per l'amor di Dio -. Tutti
gli occhi erano immobili sul novizio, e sul personaggio a cui egli parlava;
tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s'alzò, per tutta la
sala, un mormorìo di pietà e di rispetto. Il gentiluomo, che stava in atto di
degnazione forzata, e d'ira compressa, fu turbato da quelle parole; e,
chinandosi verso l'inginocchiato, - alzatevi, - disse, con voce alterata: -
l'offesa... il fatto veramente... ma l'abito che portate... non solo questo, ma
anche per voi... S'alzi, padre... Mio fratello... non lo posso negare... era un
cavaliere... era un uomo... un po' impetuoso... un po' vivo. Ma tutto accade per
disposizion di Dio. Non se ne parli più... Ma, padre, lei non deve stare in
codesta positura -. E, presolo per le braccia, lo sollevò. Fra Cristoforo, in
piedi, ma col capo chino, rispose: - io posso dunque sperare che lei m'abbia
concesso il suo perdono! E se l'ottengo da lei, da chi non devo sperarlo? Oh!
s'io potessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono!
- Perdono? - disse il gentiluomo. - Lei non ne ha più bisogno. Ma pure,
poiché lo desidera, certo, certo, io le perdono di cuore, e tutti...
- Tutti! tutti! - gridarono, a una voce, gli astanti. Il volto del frate
s'aprì a una gioia riconoscente, sotto la quale traspariva però ancora
un'umile e profonda compunzione del male a cui la remissione degli uomini non
poteva riparare. Il gentiluomo, vinto da quell'aspetto, e trasportato dalla
commozione generale, gli gettò le braccia al collo, e gli diede e ne ricevette
il bacio di pace. Un - bravo! bene! - scoppiò da tutte le parti della sala;
tutti si mossero, e si strinsero intorno al frate. Intanto vennero servitori,
con gran copia di rinfreschi. Il gentiluomo si raccostò al nostro Cristoforo,
il quale faceva segno di volersi licenziare, e gli disse: - padre, gradisca
qualche cosa; mi dia questa prova d'amicizia -. E si mise per servirlo prima
d'ogni altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale, - queste
cose, - disse, - non fanno più per me; ma non sarà mai ch'io rifiuti i suoi
doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché
io possa dire d'aver goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane, e avuto
un segno del suo perdono -. Il gentiluomo, commosso, ordinò che così si
facesse; e venne subito un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un
piatto d'argento, e lo presentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo
mise nella sporta. Chiese quindi licenza; e, abbracciato di nuovo il padron di
casa, e tutti quelli che, trovandosi più vicini a lui, poterono impadronirsene
un momento, si liberò da essi a fatica; ebbe a combatter nell'anticamere, per
isbrigarsi da' servitori, e anche da' bravi, che gli baciavano il lembo
dell'abito, il cordone, il cappuccio; e si trovò nella strada, portato come in
trionfo, e accompagnato da una folla di popolo, fino a una porta della città;
d'onde uscì, cominciando il suo pedestre viaggio, verso il luogo del suo
noviziato.
Il fratello dell'ucciso, e il parentado, che s'erano aspettati d'assaporare
in quel giorno la trista gioia dell'orgoglio, si trovarono in vece ripieni della
gioia serena del perdono e della benevolenza. La compagnia si trattenne ancor
qualche tempo, con una bonarietà e con una cordialità insolita, in
ragionamenti ai quali nessuno era preparato, andando là. In vece di
soddisfazioni prese, di soprusi vendicati, d'impegni spuntati, le lodi del
novizio, la riconciliazione, la mansuetudine furono i temi della conversazione.
E taluno, che, per la cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il conte
Muzio suo padre aveva saputo, in quella famosa congiuntura, far stare a dovere
il marchese Stanislao, ch'era quel rodomonte che ognun sa, parlò in vece delle
penitenze e della pazienza mirabile d'un fra Simone, morto molt'anni prima.
Partita la compagnia, il padrone, ancor tutto commosso, riandava tra sé, con
maraviglia, ciò che aveva in teso, ciò ch'egli medesimo aveva detto; e
borbottava tra i denti: - diavolo d'un frate! - (bisogna bene che noi
trascriviamo le sue precise parole) - diavolo d'un frate! se rimaneva lì in
ginocchio, ancora per qualche momento, quasi quasi gli chiedevo scusa io, che
m'abbia ammazzato il fratello -. La nostra storia nota espressamente che, da
quel giorno in poi, quel signore fu un po' men precipitoso, e un po' più alla
mano.
Il padre Cristoforo camminava, con una consolazione che non aveva mai più
provata, dopo quel giorno terribile, ad espiare il quale tutta la sua vita
doveva esser consacrata. Il silenzio ch'era imposto a' novizi, l'osservava,
senza avvedersene, assorto com'era, nel pensiero delle fatiche, delle privazioni
e dell'umiliazioni che avrebbe sofferte, per iscontare il suo fallo. Fermandosi,
all'ora della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una specie di
voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò un pezzo, e lo ripose nella sporta,
per tenerlo, come un ricordo perpetuo.
Non è nostro disegno di far la storia della sua vita claustrale: diremo
soltanto che, adempiendo, sempre con gran voglia, e con gran cura, gli ufizi che
gli venivano ordinariamente assegnati, di predicare e d'assistere i moribondi,
non lasciava mai sfuggire un'occasione d'esercitarne due altri, che s'era
imposti da sé: accomodar differenze, e proteggere oppressi. In questo genio
entrava, per qualche parte, senza ch'egli se n'avvedesse, quella sua vecchia
abitudine, e un resticciolo di spiriti guerreschi, che l'umiliazioni e le
macerazioni non avevan potuto spegner del tutto. Il suo linguaggio era
abitualmente umile e posato; ma, quando si trattasse di giustizia o di verità
combattuta, l'uomo s'animava, a un tratto, dell'impeto antico, che, secondato e
modificato da un'enfasi solenne, venutagli dall'uso del predicare, dava a quel
linguaggio un carattere singolare. Tutto il suo contegno, come l'aspetto,
annunziava una lunga guerra, tra un'indole focosa, risentita, e una volontà
opposta, abitualmente vittoriosa, sempre all'erta, e diretta da motivi e da
ispirazioni superiori. Un suo confratello ed amico, che lo conosceva bene,
l'aveva una volta paragonato a quelle parole troppo espressive nella loro forma
naturale, che alcuni, anche ben educati, pronunziano, quando la passione
trabocca, smozzicate, con qualche lettera mutata; parole che, in quel
travisamento, fanno però ricordare della loro energia primitiva.
Se una poverella sconosciuta, nel tristo caso di Lucia, avesse chiesto
l'aiuto del padre Cristoforo, egli sarebbe corso immediatamente. Trattandosi poi
di Lucia, accorse con tanta più sollecitudine, in quanto conosceva e ammirava
l'innocenza di lei, era già in pensiero per i suoi pericoli, e sentiva
un'indegnazione santa, per la turpe persecuzione della quale era divenuta
l'oggetto. Oltre di ciò, avendola consigliata, per il meno male, di non palesar
nulla, e di starsene quieta, temeva ora che il consiglio potesse aver prodotto
qualche tristo effetto; e alla sollecitudine di carità, ch'era in lui come
ingenita, s'aggiungeva, in questo caso, quell'angustia scrupolosa che spesso
tormenta i buoni.
Ma, intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padre Cristoforo, è
arrivato, s'è affacciato all'uscio; e le donne, lasciando il manico dell'aspo
che facevan girare e stridere, si sono alzate, dicendo, a una voce: - oh padre
Cristoforo! sia benedetto!
CAPITOLO V
Il qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e, appena ebbe data
un'occhiata alle donne, dovette accorgersi che i suoi presentimenti non eran
falsi. Onde, con quel tono d'interrogazione che va incontro a una trista
risposta, alzando la barba con un moto leggiero della testa all'indietro, disse:
- ebbene? - Lucia rispose con uno scoppio di pianto. La madre cominciava a far
le scuse d'aver osato... ma il frate s'avanzò, e, messosi a sedere sur un
panchetto a tre piedi, troncò i complimenti, dicendo a Lucia: - quietatevi,
povera figliuola. E voi, - disse poi ad Agnese, - raccontatemi cosa c'è! -
Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa relazione, il frate
diventava di mille colori, e ora alzava gli occhi al cielo, ora batteva i piedi.
Terminata la storia, si coprì il volto con le mani, ed esclamò: - o Dio
benedetto! fino a quando...! - Ma, senza compir la frase, voltandosi di nuovo
alle donne: - poverette! - disse: - Dio vi ha visitate. Povera Lucia!
- Non ci abbandonerà, padre? - disse questa, singhiozzando.
- Abbandonarvi! - rispose. - E con che faccia potrei io chieder a Dio
qualcosa per me, quando v'avessi abbandonata? voi in questo stato! voi, ch'Egli
mi confida! Non vi perdete d'animo: Egli v'assisterà: Egli vede tutto: Egli
può servirsi anche d'un uomo da nulla come son io, per confondere un...
Vediamo, pensiamo quel che si possa fare.
Così dicendo, appoggiò il gomito sinistro sul ginocchio, chinò la fronte
nella palma, e con la destra strinse la barba e il mento, come per tener ferme e
unite tutte le potenze dell'animo. Ma la più attenta considerazione non serviva
che a fargli scorgere più distintamente quanto il caso fosse pressante e
intrigato, e quanto scarsi, quanto incerti e pericolosi i ripieghi. "Mettere un po' di vergogna a don Abbondio, e fargli sentire quanto manchi al suo
dovere? Vergogna e dovere sono un nulla per lui, quando ha paura. E fargli
paura? Che mezzi ho io mai di fargliene una che superi quella che ha d'una
schioppettata? Informar di tutto il cardinale arcivescovo, e invocar la sua
autorità? Ci vuol tempo: e intanto? e poi? Quand'anche questa povera innocente
fosse maritata, sarebbe questo un freno per quell'uomo? Chi sa a qual segno
possa arrivare?... E resistergli? Come? Ah! se potessi, pensava il povero frate,
se potessi tirar dalla mia i miei frati di qui, que' di Milano! Ma! non è un
affare comune; sarei abbandonato. Costui fa l'amico del convento, si spaccia per
partigiano de' cappuccini: e i suoi bravi non son venuti più d'una volta a
ricoverarsi da noi? Sarei solo in ballo; mi buscherei anche dell'inquieto,
dell'imbroglione, dell'accattabrighe; e, quel ch'è più, potrei fors'anche, con
un tentativo fuor di tempo, peggiorar la condizione di questa poveretta".
Contrappesato il pro e il contro di questo e di quel partito, il migliore gli
parve d'affrontar don Rodrigo stesso, tentar di smoverlo dal suo infame
proposito, con le preghiere, coi terrori dell'altra vita, anche di questa, se
fosse possibile. Alla peggio, si potrebbe almeno conoscere, per questa via, più
distintamente quanto colui fosse ostinato nel suo sporco impegno, scoprir di
più le sue intenzioni, e prender consiglio da ciò.
Mentre il frate stava così meditando, Renzo, il quale, per tutte le ragioni
che ognun può indovinare, non sapeva star lontano da quella casa, era comparso
sull'uscio; ma, visto il padre sopra pensiero, e le donne che facevan cenno di
non disturbarlo, si fermò sulla soglia, in silenzio. Alzando la faccia, per
comunicare alle donne il suo progetto, il frate s'accorse di lui, e lo salutò
in un modo ch'esprimeva un'affezione consueta, resa più intensa dalla pietà.
- Le hanno detto..., padre? - gli domandò Renzo, con voce commossa.
- Pur troppo; e per questo son qui.
Che dice di quel birbone...?
- Che vuoi ch'io dica di lui? Non è qui a sentire: che gioverebbero le mie
parole? Dico a te, il mio Renzo, che tu confidi in Dio, e che Dio non
t'abbandonerà.
- Benedette le sue parole! - esclamò il giovane. - Lei non è di quelli che
dan sempre torto a' poveri. Ma il signor curato, e quel signor dottor delle
cause perse...
- Non rivangare quello che non può servire ad altro che a inquietarti
inutilmente. Io sono un povero frate; ma ti ripeto quel che ho detto a queste
donne: per quel poco che posso, non v'abbandonerò.
- Oh, lei non è come gli amici del mondo! Ciarloni! Chi avesse creduto alle
proteste che mi facevan costoro, nel buon tempo; eh eh! Eran pronti a dare il
sangue per me; m'avrebbero sostenuto contro il diavolo. S'io avessi avuto un
nemico?... bastava che mi lasciassi intendere; avrebbe finito presto di mangiar
pane. E ora, se vedesse come si ritirano... - A questo punto, alzando gli occhi
al volto del padre, vide che s'era tutto rannuvolato, e s'accorse d'aver detto
ciò che conveniva tacere. Ma volendo raccomodarla, s'andava intrigando e
imbrogliando: - volevo dire... non intendo dire... cioè, volevo dire...
- Cosa volevi dire? E che? tu avevi dunque cominciato a guastar l'opera mia,
prima che fosse intrapresa! Buon per te che sei stato disingannato in tempo.
Che! tu andavi in cerca d'amici... quali amici!... che non t'avrebber potuto
aiutare, neppur volendo! E cercavi di perder Quel solo che lo può e lo vuole!
Non sai tu che Dio è l'amico de' tribolati, che confidano in Lui? Non sai tu
che, a metter fuori l'unghie, il debole non ci guadagna? E quando pure... - A
questo punto, afferrò fortemente il braccio di Renzo: il suo aspetto, senza
perder d'autorità, s'atteggiò d'una compunzione solenne, gli occhi
s'abbassarono, la voce divenne lenta e come sotterranea: - quando pure... è un
terribile guadagno! Renzo! vuoi tu confidare in me?... che dico in me,
omiciattolo, fraticello? Vuoi tu confidare in Dio?
- Oh sì! - rispose Renzo. - Quello è il Signore davvero.
- Ebbene; prometti che non affronterai, che non provocherai nessuno, che ti
lascerai guidar da me.
- Lo prometto. Lucia fece un gran respiro, come se le avesser levato un peso
d'addosso; e Agnese disse: - bravo figliuolo.
- Sentite, figliuoli, - riprese fra Cristoforo: - io anderò oggi a parlare a
quell'uomo. Se Dio gli tocca il cuore, e dà forza alle mie parole, bene: se no,
Egli ci farà trovare qualche altro rimedio. Voi intanto, statevi quieti,
ritirati, scansate le ciarle, non vi fate vedere. Stasera, o domattina al più
tardi, mi rivedrete -. Detto questo, troncò tutti i ringraziamenti e le
benedizioni, e partì. S'avviò al convento, arrivò a tempo d'andare in coro a
cantar sesta, desinò, e si mise subito in cammino, verso il covile della fiera
che voleva provarsi d'ammansare.
Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d'una bicocca,
sulla cima d'uno de' poggi ond'è sparsa e rilevata quella costiera. A questa
indicazione l'anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne
alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo
forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che
guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole,
abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo
piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de'
costumi del paese. Dando un'occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio
fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe,
rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa.
La gente che vi s'incontrava erano omacci tarchiati e arcigni, con un gran
ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella; vecchi che, perdute le
zanne, parevan sempre pronti, chi nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive;
donne con certe facce maschie, e con certe braccia nerborute, buone da venire in
aiuto della lingua, quando questa non bastasse: ne' sembianti e nelle mosse de'
fanciulli stessi, che giocavan per la strada, si vedeva un non so che di
petulante e di provocativo.
Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e
pervenne su una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa,
segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e
piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte
dagli anni, eran però difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno
tant'alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d'un altro.
Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che
fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate
in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d'abitanti. Due
grand'avoltoi, con l'ali spalancate, e co' teschi penzoloni, l'uno spennacchiato
e mezzo roso dal tempo, l'altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati,
ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una
delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d'esser
chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore. Il padre si fermò ritto,
in atto di chi si dispone ad aspettare; ma un de' bravi s'alzò, e gli disse: -
padre, padre, venga pure avanti: qui non si fanno aspettare i cappuccini: noi
siamo amici del convento: e io ci sono stato in certi momenti che fuori non era
troppo buon'aria per me; e se mi avesser tenuta la porta chiusa, la sarebbe
andata male -. Così dicendo, diede due picchi col martello. A quel suono
risposer subito di dentro gli urli e le strida di mastini e di cagnolini; e,
pochi momenti dopo, giunse borbottando un vecchio servitore; ma, veduto il
padre, gli fece un grand'inchino, acquietò le bestie, con le mani e con la
voce, introdusse l'ospite in un angusto cortile, e richiuse la porta.
Accompagnatolo poi in un salotto, e guardandolo con una cert'aria di maraviglia
e di rispetto, disse: - non è lei... il padre Cristoforo di Pescarenico?
- Per l'appunto.
- Lei qui?
- Come vedete, buon uomo.
- Sarà per far del bene. Del bene, - continuò mormorando tra i denti, e
rincamminandosi, - se ne può far per tutto -. Attraversati due o tre altri
salotti oscuri, arrivarono all'uscio della sala del convito. Quivi un gran
frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra
tutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi. Il frate voleva
ritirarsi, e stava contrastando dietro l'uscio col servitore, per ottenere
d'essere lasciato in qualche canto della casa, fin che il pranzo fosse
terminato; quando l'uscio s'aprì. Un certo conte Attilio, che stava seduto in
faccia (era un cugino del padron di casa; e abbiam già fatta menzione di lui,
senza nominarlo), veduta una testa rasa e una tonaca, e accortosi
dell'intenzione modesta del buon frate, - ehi! ehi! - gridò: - non ci scappi,
padre riverito: avanti, avanti -. Don Rodrigo, senza indovinar precisamente il
soggetto di quella visita, pure, per non so qual presentimento confuso,
n'avrebbe fatto di meno. Ma, poiché lo spensierato d'Attilio aveva fatta quella
gran chiamata, non conveniva a lui di tirarsene indietro; e disse: - venga,
padre, venga -. Il padre s'avanzò, inchinandosi al padrone, e rispondendo, a
due mani, ai saluti de' commensali.
L'uomo onesto in faccia al malvagio, piace generalmente (non dico a tutti)
immaginarselo con la fronte alta, con lo sguardo sicuro, col petto rilevato, con
lo scilinguagnolo bene sciolto. Nel fatto però, per fargli prender
quell'attitudine, si richiedon molte circostanze, le quali ben di rado si
riscontrano insieme. Perciò, non vi maravigliate se fra Cristoforo, col buon
testimonio della sua coscienza, col sentimento fermissimo della giustizia della
causa che veniva a sostenere, con un sentimento misto d'orrore e di compassione
per don Rodrigo, stesse con una cert'aria di suggezione e di rispetto, alla
presenza di quello stesso don Rodrigo, ch'era lì in capo di tavola, in casa
sua, nel suo regno, circondato d'amici, d'omaggi, di tanti segni della sua
potenza, con un viso da far morire in bocca a chi si sia una preghiera, non che
un consiglio, non che una correzione, non che un rimprovero. Alla sua destra
sedeva quel conte Attilio suo cugino, e, se fa bisogno di dirlo, suo collega di
libertinaggio e di soverchieria, il quale era venuto da Milano a villeggiare,
per alcuni giorni, con lui. A sinistra, e a un altro lato della tavola, stava,
con gran rispetto, temperato però d'una certa sicurezza, e d'una certa
saccenteria, il signor podestà, quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato
a far giustizia a Renzo Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo, come
s'è visto di sopra. In faccia al podestà, in atto d'un rispetto il più puro,
il più sviscerato, sedeva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e
col naso più rubicondo del solito: in faccia ai due cugini, due convitati
oscuri, de' quali la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che
mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un
commensale, e a cui un altro non contraddicesse.
- Da sedere al padre, - disse don Rodrigo. Un servitore presentò una sedia,
sulla quale si mise il padre Cristoforo, facendo qualche scusa al signore,
d'esser venuto in ora inopportuna. - Bramerei di parlarle da solo a solo, con
suo comodo, per un affare d'importanza, - soggiunse poi, con voce più sommessa,
all'orecchio di don Rodrigo.
- Bene, bene, parleremo; - rispose questo: - ma intanto si porti da bere al
padre. Il padre voleva schermirsi; ma don Rodrigo, alzando la voce, in mezzo al
trambusto ch'era ricominciato, gridava: - no, per bacco, non mi farà questo
torto; non sarà mai vero che un cappuccino vada via da questa casa, senza aver
gustato del mio vino, né un creditore insolente, senza aver assaggiate le legna
de' miei boschi -. Queste parole eccitarono un riso universale, e interruppero
un momento la questione che s'agitava caldamente tra i commensali. Un servitore,
portando sur una sottocoppa un'ampolla di vino, e un lungo bicchiere in forma di
calice, lo presentò al padre; il quale, non volendo resistere a un invito tanto
pressante dell'uomo che gli premeva tanto di farsi propizio, non esitò a
mescere, e si mise a sorbir lentamente il vino.
- L'autorità del Tasso non serve al suo assunto, signor podestà riverito;
anzi è contro di lei; - riprese a urlare il conte Attilio: - perché quell'uomo
erudito, quell'uomo grande, che sapeva a menadito tutte le regole della
cavalleria, ha fatto che il messo d'Argante, prima d'esporre la sfida ai
cavalieri cristiani, chieda licenza al pio Buglione...
- Ma questo - replicava, non meno urlando, il podestà, - questo è un di
più, un mero di più, un ornamento poetico, giacché il messaggiero è di sua
natura inviolabile, per diritto delle genti, jure gentium: e, senza andar
tanto a cercare, lo dice anche il proverbio: ambasciator non porta pena. E, i
proverbi, signor conte, sono la sapienza del genere umano. E, non avendo il
messaggiero detto nulla in suo proprio nome, ma solamente presentata la sfida in
iscritto...
- Ma quando vorrà capire che quel messaggiero era un asino temerario, che
non conosceva le prime...?
- Con buona licenza di lor signori, - interruppe don Rodrigo, il quale non
avrebbe voluto che la questione andasse troppo avanti: - rimettiamola nel padre
Cristoforo; e si stia alla sua sentenza.
- Bene, benissimo, - disse il conte Attilio, al quale parve cosa molto
garbata di far decidere un punto di cavalleria da un cappuccino; mentre il
podestà, più infervorato di cuore nella questione, si chetava a stento, e con
un certo viso, che pareva volesse dire: ragazzate.
- Ma, da quel che mi pare d'aver capito, - disse il padre, - non son cose di
cui io mi deva intendere.
- Solite scuse di modestia di loro padri; - disse don Rodrigo: - ma non mi
scapperà. Eh via! sappiam bene che lei non è venuta al mondo col cappuccio in
capo, e che il mondo l'ha conosciuto. Via, via: ecco la questione.
- Il fatto è questo, - cominciava a gridare il conte Attilio.
- Lasciate dir a me, che son neutrale, cugino, - riprese don Rodrigo. - Ecco
la storia. Un cavaliere spagnolo manda una sfida a un cavalier milanese: il
portatore, non trovando il provocato in casa, consegna il cartello a un fratello
del cavaliere; il qual fratello legge la sfida, e in risposta dà alcune
bastonate al portatore. Si tratta...
- Ben date, ben applicate, - gridò il conte Attilio. - Fu una vera
ispirazione.
- Del demonio, - soggiunse il podestà. - Battere un ambasciatore! persona
sacra! Anche lei, padre, mi dirà se questa è azione da cavaliere.
- Sì, signore, da cavaliere, - gridò il conte: - e lo lasci dire a me, che
devo intendermi di ciò che conviene a un cavaliere. Oh, se fossero stati pugni,
sarebbe un'altra faccenda; ma il bastone non isporca le mani a nessuno. Quello
che non posso capire è perché le premano tanto le spalle d'un mascalzone.
- Chi le ha parlato delle spalle, signor conte mio? Lei mi fa dire spropositi
che non mi son mai passati per la mente. Ho parlato del carattere, e non di
spalle, io. Parlo sopra tutto del diritto delle genti. Mi dica un poco, di
grazia, se i feciali che gli antichi Romani mandavano a intimar le sfide agli
altri popoli, chiedevan licenza d'esporre l'ambasciata: e mi trovi un poco uno
scrittore che faccia menzione che un feciale sia mai stato bastonato.
- Che hanno a far con noi gli ufiziali degli antichi Romani? gente che andava
alla buona, e che, in queste cose, era indietro, indietro. Ma, secondo le leggi
della cavalleria moderna, ch'è la vera, dico e sostengo che un messo il quale
ardisce di porre in mano a un cavaliere una sfida, senza avergliene chiesta
licenza, è un temerario, violabile violabilissimo, bastonabile
bastonabilissimo...
- Risponda un poco a questo sillogismo.
- Niente, niente, niente.
- Ma ascolti, ma ascolti, ma ascolti. Percotere un disarmato è atto
proditorio; atqui il messo de quo era senz'arme; ergo...
- Piano, piano, signor podestà.
- Che piano?
- Piano, le dico: cosa mi viene a dire? Atto proditorio è ferire uno con la
spada, per di dietro, o dargli una schioppettata nella schiena: e, anche per
questo, si posson dar certi casi... ma stiamo nella questione. Concedo che
questo generalmente possa chiamarsi atto proditorio; ma appoggiar quattro
bastonate a un mascalzone! Sarebbe bella che si dovesse dirgli: guarda che ti
bastono: come si direbbe a un galantuomo: mano alla spada. E lei, signor dottor
riverito, in vece di farmi de' sogghigni, per farmi capire ch'è del mio parere,
perché non sostiene le mie ragioni, con la sua buona tabella, per aiutarmi a
persuader questo signore?
- Io... - rispose confusetto il dottore: - io godo di questa dotta disputa; e
ringrazio il bell'accidente che ha dato occasione a una guerra d'ingegni così
graziosa. E poi, a me non compete di dar sentenza: sua signoria illustrissima ha
già delegato un giudice... qui il padre...
- È vero; - disse don Rodrigo: - ma come volete che il giudice parli, quando
i litiganti non vogliono stare zitti?
- Ammutolisco, - disse il conte Attilio. Il podestà strinse le labbra, e
alzò la mano, come in atto di rassegnazione.
- Ah sia ringraziato il cielo! A lei, padre, - disse don Rodrigo, con una
serietà mezzo canzonatoria.
- Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n'intendo, - rispose fra
Cristoforo, rendendo il bicchiere a un servitore.
- Scuse magre: - gridarono i due cugini: - vogliamo la sentenza!
- Quand'è così, - riprese il frate, - il mio debole parere sarebbe che non
vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate.
I commensali si guardarono l'un con l'altro maravigliati.
- Oh questa è grossa! - disse il conte Attilio. - Mi perdoni, padre, ma è
grossa. Si vede che lei non conosce il mondo.
- Lui? - disse don Rodrigo: - me lo volete far ridire: lo conosce, cugino
mio, quanto voi: non è vero, padre? Dica, dica, se non ha fatta la sua
carovana?
In vece di rispondere a quest'amorevole domanda, il padre disse una parolina
in segreto a sé medesimo: "queste vengono a te; ma ricordati, frate, che
non sei qui per te, e che tutto ciò che tocca te solo, non entra nel conto".
- Sarà, - disse il cugino: - ma il padre... come si chiama il padre?
- Padre Cristoforo - rispose più d'uno.
- Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con queste sue massime, lei
vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza sfide! Senza bastonate! Addio il
punto d'onore: impunità per tutti i mascalzoni. Per buona sorte che il supposto
è impossibile.
- Animo, dottore, - scappò fuori don Rodrigo, che voleva sempre più
divertire la disputa dai due primi contendenti, - animo, a voi, che, per dar
ragione a tutti, siete un uomo. Vediamo un poco come farete per dar ragione in
questo al padre Cristoforo.
- In verità, - rispose il dottore, tenendo brandita in aria la forchetta, e
rivolgendosi al padre, - in verità io non so intendere come il padre
Cristoforo, il quale è insieme il perfetto religioso e l'uomo di mondo, non
abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sul pulpito,
non val niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa cavalleresca. Ma
il padre sa, meglio di me, che ogni cosa è buona a suo luogo; e io credo che,
questa volta, abbia voluto cavarsi, con una celia, dall'impiccio di proferire
una sentenza.
Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza così
antica, e sempre nuova? Niente: e così fece il nostro frate.
Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne venne a suscitare
un'altra. - A proposito, - disse, - ho sentito che a Milano correvan voci
d'accomodamento.
Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al ducato di
Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole
legittima, era entrato in possesso il duca di Nevers, suo parente più prossimo.
Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu, sosteneva quel principe, suo ben
affetto, e naturalizzato francese: Filippo IV, ossia il conte d'Olivares,
comunemente chiamato il conte duca, non lo voleva lì, per le stesse ragioni; e
gli aveva mosso guerra. Siccome poi quel ducato era feudo dell'impero, così le
due parti s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con minacce, presso
l'imperator Ferdinando II, la prima perché accordasse l'investitura al nuovo
duca; la seconda perché gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo da quello
stato.
- Non son lontano dal credere, - disse il conte Attilio, - che le cose si
possano accomodare. Ho certi indizi...
- Non creda, signor conte, non creda, - interruppe il podestà. - Io, in
questo cantuccio, posso saperle le cose; perché il signor castellano spagnolo,
che, per sua bontà, mi vuole un po' di bene, e per esser figliuolo d'un creato
del conte duca, è informato d'ogni cosa...
- Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in Milano con ben altri
personaggi; e so di buon luogo che il papa, interessatissimo, com'è, per la
pace, ha fatto proposizioni...
- Così dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa il suo dovere; un
papa deve sempre metter bene tra i principi cristiani; ma il conte duca ha la
sua politica, e...
- E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'imperatore, in questo momento?
Crede lei che non ci sia altro che Mantova a questo mondo? le cose a cui si deve
pensare son molte, signor mio. Sa lei, per esempio, fino a che segno
l'imperatore possa ora fidarsi di quel suo principe di Valdistano o di
Vallistai, o come lo chiamano, e se...
- Il nome legittimo in lingua alemanna, - interruppe ancora il podestà, - è
Vagliensteino, come l'ho sentito proferir più volte dal nostro signor
castellano spagnolo. Ma stia pur di buon animo, che...
- Mi vuole insegnare...? - riprendeva il conte; ma don Rodrigo gli dié
d'occhio, per fargli intendere che, per amor suo, cessasse di contraddire. Il
conte tacque, e il podestà, come un bastimento disimbrogliato da una secca,
continuò, a vele gonfie, il corso della sua eloquenza. - Vagliensteino mi dà
poco fastidio; perché il conte duca ha l'occhio a tutto, e per tutto; e se
Vagliensteino vorrà fare il bell'umore, saprà ben lui farlo rigar diritto, con
le buone, o con le cattive. Ha l'occhio per tutto, dico, e le mani lunghe; e, se
ha fisso il chiodo, come l'ha fisso, e giustamente, da quel gran politico che
è, che il signor duca di Nivers non metta le radici in Mantova, il signor duca
di Nivers non ce le metterà; e il signor cardinale di Riciliù farà un buco
nell'acqua. Mi fa pur ridere quel caro signor cardinale, a voler cozzare con un
conte duca, con un Olivares. Dico il vero, che vorrei rinascere di qui a
dugent'anni, per sentir cosa diranno i posteri, di questa bella pretensione. Ci
vuol altro che invidia; testa vuol esser: e teste come la testa d'un conte duca,
ce n'è una sola al mondo. Il conte duca, signori miei, - proseguiva il
podestà, sempre col vento in poppa, e un po' maravigliato anche lui di non
incontrar mai uno scoglio: - il conte duca è una volpe vecchia, parlando col
dovuto rispetto, che farebbe perder la traccia a chi si sia: e, quando accenna a
destra, si può esser sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno può
mai vantarsi di conoscere i suoi disegni; e quegli stessi che devon metterli in
esecuzione, quegli stessi che scrivono i dispacci, non ne capiscon niente. Io
posso parlare con qualche cognizion di causa; perché quel brav'uomo del signor
castellano si degna di trattenersi meco, con qualche confidenza. Il conte duca,
viceversa, sa appuntino cosa bolle in pentola di tutte l'altre corti; e tutti
que' politiconi (che ce n'è di diritti assai, non si può negare) hanno appena
immaginato un disegno, che il conte duca te l'ha già indovinato, con quella sua
testa, con quelle sue strade coperte, con que' suoi fili tesi per tutto. Quel
pover'uomo del cardinale di Riciliù tenta di qua, fiuta di là, suda,
s'ingegna: e poi? quando gli è riuscito di scavare una mina, trova la
contrammina già bell'e fatta dal conte duca...
Sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma don Rodrigo, stimolato
anche da' versacci che faceva il cugino, si voltò all'improvviso, come se gli
venisse un'ispirazione, a un servitore, e gli accennò che portasse un certo
fiasco.
- Signor podestà, e signori miei! - disse poi: - un brindisi al conte duca;
e mi sapranno dire se il vino sia degno del personaggio -. Il podestà rispose
con un inchino, nel quale traspariva un sentimento di riconoscenza particolare;
perché tutto ciò che si faceva o si diceva in onore del conte duca, lo
riteneva in parte come fatto a sé.
- Viva mill'anni don Gasparo Guzman, conte d'Olivares, duca di san Lucar,
gran privato del re don Filippo il grande, nostro signore! - esclamò, alzando
il bicchiere.
Privato, chi non lo sapesse, era il termine in uso, a que' tempi, per
significare il favorito d'un principe.
- Viva mill'anni! - risposer tutti.
- Servite il padre, - disse don Rodrigo.
- Mi perdoni; - rispose il padre: - ma ho già fatto un disordine, e non
potrei...
- Come! - disse don Rodrigo: - si tratta d'un brindisi al conte duca. Vuol
dunque far credere ch'ella tenga dai navarrini?
Così si chiamavano allora, per ischerno, i Francesi, dai principi di
Navarra, che avevan cominciato, con Enrico IV, a regnar sopra di loro.
A tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali proruppero in
esclamazioni, e in elogi del vino; fuor che il dottore, il quale, col capo
alzato, con gli occhi fissi, con le labbra strette, esprimeva molto più che non
avrebbe potuto far con parole.
- Che ne dite eh, dottore? - domandò don Rodrigo. Tirato fuor del bicchiere
un naso più vermiglio e più lucente di quello, il dottore rispose, battendo
con enfasi ogni sillaba: - dico, proferisco, e sentenzio che questo è
l'Olivares de' vini: censui, et in eam ivi sententiam, che un liquor
simile non si trova in tutti i ventidue regni del re nostro signore, che Dio
guardi: dichiaro e definisco che i pranzi dell'illustrissimo signor don Rodrigo
vincono le cene d'Eliogabalo; e che la carestia è bandita e confinata in
perpetuo da questo palazzo, dove siede e regna la splendidezza.
- Ben detto! ben definito! - gridarono, a una voce, i commensali: ma quella
parola, carestia, che il dottore aveva buttata fuori a caso, rivolse in un punto
tutte le menti a quel tristo soggetto; e tutti parlarono della carestia. Qui
andavan tutti d'accordo, almeno nel principale; ma il fracasso era forse più
grande che se ci fosse stato disparere. Parlavan tutti insieme. - Non c'è
carestia, - diceva uno: - sono gl'incettatori...
- E i fornai, - diceva un altro: - che nascondono il grano. Impiccarli.
- Appunto; impiccarli, senza misericordia.
- De' buoni processi, - gridava il podestà.
- Che processi? - gridava più forte il conte Attilio: - giustizia sommaria.
Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son
conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli.
- Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla.
- Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parti. Chi,
passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa una compagnia di
cantambanchi, quando, tra una sonata e l'altra, ognuno accorda il suo stromento,
facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo
al rumore degli altri, s'immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si
può dire, discorsi. S'andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e
le lodi di esso venivano, com'era giusto, frammischiate alle sentenze di
giurisprudenza economica; sicché le parole che s'udivan più sonore e più
frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli.
Don Rodrigo intanto dava dell'occhiate al solo che stava zitto; e lo vedeva
sempre lì fermo, senza dar segno d'impazienza né di fretta, senza far atto che
tendesse a ricordare che stava aspettando; ma in aria di non voler andarsene,
prima d'essere stato ascoltato. L'avrebbe mandato a spasso volentieri, e fatto
di meno di quel colloquio; ma congedare un cappuccino, senza avergli dato
udienza, non era secondo le regole della sua politica. Poiché la seccatura non
si poteva scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene;
s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il
chiasso. Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al
frate, che s'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi a' suoi
comandi -; e lo condusse in un'altra sala.
CAPITOLO VI
- In che posso ubbidirla? - disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo
della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui eran proferite,
voleva dir chiaramente: bada a chi sei davanti, pesa le parole, e sbrigati.
Per dar coraggio al nostro fra Cristoforo, non c'era mezzo più sicuro e più
spedito, che prenderlo con maniera arrogante. Egli che stava sospeso, cercando
le parole, e facendo scorrere tra le dita le ave marie della corona che teneva a
cintola, come se in qualcheduna di quelle sperasse di trovare il suo esordio; a
quel fare di don Rodrigo, si sentì subito venir sulle labbra più parole del
bisogno. Ma pensando quanto importasse di non guastare i fatti suoi o, ciò
ch'era assai più, i fatti altrui, corresse e temperò le frasi che gli si eran
presentate alla mente, e disse, con guardinga umiltà: - vengo a proporle un
atto di giustizia, a pregarla d'una carità. Cert'uomini di mal affare hanno
messo innanzi il nome di vossignoria illustrissima, per far paura a un povero
curato, e impedirgli di compire il suo dovere, e per soverchiare due innocenti.
Lei può, con una parola, confonder coloro, restituire al diritto la sua forza,
e sollevar quelli a cui è fatta una così crudel violenza. Lo può; e
potendolo... la coscienza, l'onore...
- Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a confessarmi da lei. In
quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son io, e io solo; e che
chiunque ardisce entrare a parte con me di questa cura, lo riguardo come il
temerario che l'offende.
Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel signore cercava di tirare
al peggio le sue, per volgere il discorso in contesa, e non dargli luogo di
venire alle strette, s'impegnò tanto più alla sofferenza, risolvette di mandar
giù qualunque cosa piacesse all'altro di dire, e rispose subito, con un tono
sommesso: - se ho detto cosa che le dispiaccia, è stato certamente contro la
mia intenzione. Mi corregga pure, mi riprenda, se non so parlare come si
conviene; ma si degni ascoltarmi. Per amor del cielo, per quel Dio, al cui
cospetto dobbiam tutti comparire... - e, così dicendo, aveva preso tra le dita,
e metteva davanti agli occhi del suo accigliato ascoltatore il teschietto di
legno attaccato alla sua corona, - non s'ostini a negare una giustizia così
facile, e così dovuta a de' poverelli. Pensi che Dio ha sempre gli occhi sopra
di loro, e che le loro grida, i loro gemiti sono ascoltati lassù. L'innocenza
è potente al suo...
- Eh, padre! - interruppe bruscamente don Rodrigo: - il rispetto ch'io porto
al suo abito è grande: ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe
il vederlo indosso a uno che ardisse di venire a farmi la spia in casa.
Questa parola fece venir le fiamme sul viso del frate: il quale però, col
sembiante di chi inghiottisce una medicina molto amara, riprese: - lei non crede
che un tal titolo mi si convenga. Lei sente in cuor suo, che il passo ch'io fo
ora qui, non è né vile né spregevole. M'ascolti, signor don Rodrigo; e voglia
il cielo che non venga un giorno in cui si penta di non avermi ascoltato. Non
voglia metter la sua gloria... qual gloria, signor don Rodrigo! qual gloria
dinanzi agli uomini! E dinanzi a Dio! Lei può molto quaggiù; ma...
- Sa lei, - disse don Rodrigo, interrompendo, con istizza, ma non senza
qualche raccapriccio, - sa lei che, quando mi viene lo schiribizzo di sentire
una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli altri? Ma in casa
mia! Oh! - e continuò, con un sorriso forzato di scherno: - lei mi tratta da
più di quel che sono. Il predicatore in casa! Non l'hanno che i principi.
- E quel Dio che chiede conto ai principi della parola che fa loro sentire,
nelle loro regge; quel Dio le usa ora un tratto di misericordia, mandando un suo
ministro, indegno e miserabile, ma un suo ministro, a pregar per una
innocente...
- In somma, padre, - disse don Rodrigo, facendo atto d'andarsene, - io non so
quel che lei voglia dire: non capisco altro se non che ci dev'essere qualche
fanciulla che le preme molto. Vada a far le sue confidenze a chi le piace; e non
si prenda la libertà d'infastidir più a lungo un gentiluomo.
Al moversi di don Rodrigo, il nostro frate gli s'era messo davanti, ma con
gran rispetto; e, alzate le mani, come per supplicare e per trattenerlo ad un
punto, rispose ancora: - la mi preme, è vero, ma non più di lei; son due anime
che, l'una e l'altra, mi premon più del mio sangue. Don Rodrigo! io non posso
far altro per lei, che pregar Dio; ma lo farò ben di cuore. Non mi dica di no:
non voglia tener nell'angoscia e nel terrore una povera innocente. Una parola di
lei può far tutto.
- Ebbene, - disse don Rodrigo, - giacché lei crede ch'io possa far molto per
questa persona; giacché questa persona le sta tanto a cuore...
- Ebbene? - riprese ansiosamente il padre Cristoforo, al quale l'atto e il
contegno di don Rodrigo non permettevano d'abbandonarsi alla speranza che
parevano annunziare quelle parole.
- Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Non le
mancherà più nulla, e nessuno ardirà d'inquietarla, o ch'io non son
cavaliere.
A siffatta proposta, l'indegnazione del frate, rattenuta a stento fin allora,
traboccò. Tutti que' bei proponimenti di prudenza e di pazienza andarono in
fumo: l'uomo vecchio si trovò d'accordo col nuovo; e, in que' casi, fra
Cristoforo valeva veramente per due.
- La vostra protezione! - esclamò, dando indietro due passi, postandosi
fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra
con l'indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi
infiammati: - la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che
abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo
più.
- Come parli, frate?...
- Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura.
La vostra protezione! Sapevo bene che quella innocente è sotto la protezione di
Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora, con tanta certezza, che non ho più
bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo
nome con la fronte alta, e con gli occhi immobili.
- Come! in questa casa...!
- Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa. State a
vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro pietre, e suggezione di
quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua
immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non
saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il
cuore di Faraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia
è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene
quel ch'io vi prometto. Verrà un giorno...
Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia, attonito,
non trovando parole; ma, quando sentì intonare una predizione, s'aggiunse alla
rabbia un lontano e misterioso spavento.
Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e, alzando la voce, per
troncar quella dell'infausto profeta, gridò: - escimi di tra' piedi, villano
temerario, poltrone incappucciato.
Queste parole così chiare acquietarono in un momento il padre Cristoforo.
All'idea di strapazzo e di villanià, era, nella sua mente, così bene, e da
tanto tempo, associata l'idea di sofferenza e di silenzio, che, a quel
complimento, gli cadde ogni spirito d'ira e d'entusiasmo, e non gli restò altra
risoluzione che quella d'udir tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse
d'aggiungere. Onde, ritirata placidamente la mano dagli artigli del gentiluomo,
abbassò il capo, e rimase immobile, come, al cader del vento, nel forte della
burrasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e riceve la
grandine come il ciel la manda.
- Villano rincivilito! - proseguì don Rodrigo: - tu tratti da par tuo. Ma
ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva dalle
carezze che si fanno a' tuoi pari, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue
gambe, per questa volta; e la vedremo. Così dicendo, additò, con impero
sprezzante, un uscio in faccia a quello per cui erano entrati; il padre
Cristoforo chinò il capo, e se n'andò, lasciando don Rodrigo a misurare, a
passi infuriati, il campo di battaglia.
Quando il frate ebbe serrato l'uscio dietro a sé, vide nell'altra stanza
dove entrava, un uomo ritirarsi pian piano, strisciando il muro, come per non
esser veduto dalla stanza del colloquio; e riconobbe il vecchio servitore ch'era
venuto a riceverlo alla porta di strada. Era costui in quella casa, forse da
quarant'anni, cioè prima che nascesse don Rodrigo; entratovi al servizio del
padre, il quale era stato tutt'un'altra cosa. Morto lui, il nuovo padrone, dando
lo sfratto a tutta la famiglia, e facendo brigata nuova, aveva però ritenuto
quel servitore, e per esser già vecchio, e perché, sebben di massime e di
costume diverso interamente dal suo, compensava però questo difetto con due
qualità: un'alta opinione della dignità della casa, e una gran pratica del
cerimoniale, di cui conosceva, meglio d'ogni altro, le più antiche tradizioni,
e i più minuti particolari. In faccia al signore, il povero vecchio non si
sarebbe mai arrischiato d'accennare, non che d'esprimere la sua disapprovazione
di ciò che vedeva tutto il giorno: appena ne faceva qualche esclamazione,
qualche rimprovero tra i denti a' suoi colleghi di servizio; i quali se ne
ridevano, e prendevano anzi piacere qualche volta a toccargli quel tasto, per
fargli dir di più che non avrebbe voluto, e per sentirlo ricantar le lodi
dell'antico modo di vivere in quella casa. Le sue censure non arrivavano agli
orecchi del padrone che accompagnate dal racconto delle risa che se n'eran
fatte; dimodoché riuscivano anche per lui un soggetto di scherno, senza
risentimento. Ne' giorni poi d'invito e di ricevimento, il vecchio diventava un
personaggio serio e d'importanza.
Il padre Cristoforo lo guardò, passando, lo salutò, e seguitava la sua
strada; ma il vecchio se gli accostò misteriosamente, mise il dito alla bocca,
e poi, col dito stesso, gli fece un cenno, per invitarlo a entrar con lui in un
andito buio. Quando furon lì, gli disse sotto voce: - padre, ho sentito tutto,
e ho bisogno di parlarle.
- Dite presto, buon uomo.
- Qui no: guai se il padrone s'avvede... Ma io so molte cose; e vedrò di
venir domani al convento.
- C'è qualche disegno?
- Qualcosa per aria c'è di sicuro: già me ne son potuto accorgere. Ma ora
starò sull'intesa, e spero di scoprir tutto. Lasci fare a me. Mi tocca a vedere
e a sentir cose...! cose di fuoco! Sono in una casa...! Ma io vorrei salvar
l'anima mia.
- Il Signore vi benedica! - e, proferendo sottovoce queste parole, il frate
mise la mano sul capo bianco del servitore, che, quantunque più vecchio di lui,
gli stava curvo dinanzi, nell'attitudine d'un figliuolo. - Il Signore vi
ricompenserà, - proseguì il frate: - non mancate di venir domani.
- Verrò, - rispose il servitore: - ma lei vada via subito e... per amor del
cielo... non mi nomini -. Così dicendo, e guardando intorno, uscì, per l'altra
parte dell'andito, in un salotto, che rispondeva nel cortile; e, visto il campo
libero, chiamò fuori il buon frate, il volto del quale rispose a quell'ultima
parola più chiaro che non avrebbe potuto fare qualunque protesta. Il servitore
gli additò l'uscita; e il frate, senza dir altro, partì.
Quell'uomo era stato a sentire all'uscio del suo padrone: aveva fatto bene? E
fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di ciò? Secondo le regole più comuni e
men contraddette, è cosa molto brutta; ma quel caso non poteva riguardarsi come
un'eccezione? E ci sono dell'eccezioni alle regole più comuni e men
contraddette? Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sé, se ne
ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d'aver dei fatti da
raccontare.
Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casaccia, fra Cristoforo respirò
più liberamente, e s'avviò in fretta per la scesa, tutto infocato in volto,
commosso e sottosopra, come ognuno può immaginarsi, per quel che aveva sentito,
e per quel che aveva detto. Ma quella così inaspettata esibizione del vecchio
era stata un gran ristorativo per lui: gli pareva che il cielo gli avesse dato
un segno visibile della sua protezione. "Ecco un filo, - pensava, - un
filo che la provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza
ch'io sognassi neppure di cercarlo!" Così ruminando, alzò gli occhi
verso l'occidente, vide il sole inclinato, che già già toccava la cima del
monte, e pensò che rimaneva ben poco del giorno. Allora, benché sentisse le
ossa gravi e fiaccate da' vari strapazzi di quella giornata, pure studiò di
più il passo, per poter riportare un avviso, qual si fosse, a' suoi protetti, e
arrivar poi al convento, prima di notte: che era una delle leggi più precise, e
più severamente mantenute del codice cappuccinesco.
Intanto, nella casetta di Lucia, erano stati messi in campo e ventilati
disegni, de' quali ci conviene informare il lettore. Dopo la partenza del frate,
i tre rimasti erano stati qualche tempo in silenzio; Lucia preparando
tristamente il desinare; Renzo sul punto d'andarsene ogni momento, per levarsi
dalla vista di lei così accorata, e non sapendo staccarsi; Agnese tutta
intenta, in apparenza, all'aspo che faceva girare. Ma, in realtà, stava
maturando un progetto; e, quando le parve maturo, ruppe il silenzio in questi
termini:
- Sentite, figliuoli! Se volete aver cuore e destrezza, quanto bisogna, se vi
fidate di vostra madre, - a quel vostra Lucia si riscosse, - io m'impegno di
cavarvi di quest'impiccio, meglio forse, e più presto del padre Cristoforo,
quantunque sia quell'uomo che è -. Lucia rimase lì, e la guardò con un volto
ch'esprimeva più maraviglia che fiducia in una promessa tanto magnifica; e
Renzo disse subitamente: - cuore? destrezza? dite, dite pure quel che si può
fare.
- Non è vero, - proseguì Agnese, - che, se foste maritati, si sarebbe già
un pezzo avanti? E che a tutto il resto si troverebbe più facilmente ripiego?
- C'è dubbio? - disse Renzo: - maritati che fossimo... tutto il mondo è
paese; e, a due passi di qui, sul bergamasco, chi lavora seta è ricevuto a
braccia aperte. Sapete quante volte Bortolo mio cugino m'ha fatto sollecitare
d'andar là a star con lui, che farei fortuna, com'ha fatto lui: e se non gli ho
mai dato retta, gli è... che serve? perché il mio cuore era qui. Maritati, si
va tutti insieme, si mette su casa là, si vive in santa pace, fuor dell'unghie
di questo ribaldo, lontano dalla tentazione di fare uno sproposito. N'è vero,
Lucia?
- Sì, - disse Lucia: - ma come...?
- Come ho detto io, - riprese la madre: - cuore e destrezza; e la cosa è
facile.
- Facile! - dissero insieme que' due, per cui la cosa era divenuta tanto
stranamente e dolorosamente difficile.
- Facile, a saperla fare, - replicò Agnese. - Ascoltatemi bene, che vedrò
di farvela intendere. Io ho sentito dire da gente che sa, e anzi ne ho veduto io
un caso, che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì il curato, ma non è
necessario che voglia; basta che ci sia.
- Come sta questa faccenda? - domandò Renzo.
- Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben
d'accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all'improvviso, che non
abbia tempo di scappare. L'uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la
donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta,
che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell'e fatto, sacrosanto come se
l'avesse fatto il papa. Quando le parole son dette, il curato può strillare,
strepitare, fare il diavolo; è inutile; siete marito e moglie.
- Possibile? - esclamò Lucia.
- Come! - disse Agnese: - state a vedere che, in trent'anni che ho passati in
questo mondo, prima che nasceste voi altri, non avrò imparato nulla. La cosa è
tale quale ve la dico: per segno tale che una mia amica, che voleva prender uno
contro la volontà de' suoi parenti, facendo in quella maniera, ottenne il suo
intento. Il curato, che ne aveva sospetto, stava all'erta; ma i due diavoli
seppero far così bene, che lo colsero in un punto giusto, dissero le parole, e
furon marito e moglie: benché la poveretta se ne pentì poi, in capo a tre
giorni.
Agnese diceva il vero, e riguardo alla possibilità, e riguardo al pericolo
di non ci riuscire: ché, siccome non ricorrevano a un tale espediente, se non
persone che avesser trovato ostacolo o rifiuto nella via ordinaria, così i
parrochi mettevan gran cura a scansare quella cooperazione forzata; e, quando un
d'essi venisse pure sorpreso da una di quelle coppie, accompagnata da testimoni,
faceva di tutto per iscapolarsene, come Proteo dalle mani di coloro che volevano
farlo vaticinare per forza.
- Se fosse vero, Lucia! - disse Renzo, guardandola con un'aria d'aspettazione
supplichevole.
- Come! se fosse vero! - disse Agnese. - Anche voi credete ch'io dica
fandonie. Io m'affanno per voi, e non sono creduta: bene bene; cavatevi
d'impiccio come potete: io me ne lavo le mani.
- Ah no! non ci abbandonate, - disse Renzo. - Parlo così, perché la cosa mi
par troppo bella. Sono nelle vostre mani; vi considero come se foste proprio mia
madre.
Queste parole fecero svanire il piccolo sdegno d'Agnese, e dimenticare un
proponimento che, per verità, non era stato serio.
- Ma perché dunque, mamma, - disse Lucia, con quel suo contegno sommesso, -
perché questa cosa non è venuta in mente al padre Cristoforo?
- In mente? - rispose Agnese: - pensa se non gli sarà venuta in mente! Ma
non ne avrà voluto parlare.
- Perché? - domandarono a un tratto i due giovani.
- Perché... perché, quando lo volete sapere, i religiosi dicono che
veramente è cosa che non istà bene.
- Come può essere che non istia bene, e che sia ben fatta, quand'è fatta? -
disse Renzo.
- Che volete ch'io vi dica? - rispose Agnese. - La legge l'hanno fatta loro,
come gli è piaciuto; e noi poverelli non possiamo capir tutto. E poi quante
cose... Ecco; è come lasciar andare un pugno a un cristiano. Non istà bene;
ma, dato che gliel abbiate, né anche il papa non glielo può levare.
- Se è cosa che non istà bene, - disse Lucia, - non bisogna farla.
- Che! - disse Agnese, - ti vorrei forse dare un parere contro il timor di
Dio? Se fosse contro la volontà de' tuoi parenti, per prendere un rompicollo...
ma, contenta me, e per prender questo figliuolo; e chi fa nascer tutte le
difficoltà è un birbone; e il signor curato...
- L'è chiara, che l'intenderebbe ognuno, - disse Renzo.
- Non bisogna parlarne al padre Cristoforo, prima di far la cosa, - proseguì
Agnese: - ma, fatta che sia, e ben riuscita, che pensi tu che ti dirà il padre?
"Ah figliuola! è una scappata grossa; me l'avete fatta". I
religiosi devon parlar così. Ma credi pure che, in cuor suo, sarà contento
anche lui.
Lucia, senza trovar che rispondere a quel ragionamento, non ne sembrava però
capacitata: ma Renzo, tutto rincorato, disse: - quand'è così, la cosa è
fatta.
- Piano, - disse Agnese. - E i testimoni? Trovar due che vogliano, e che
intanto sappiano stare zitti! E poter cogliere il signor curato che, da due
giorni, se ne sta rintanato in casa? E farlo star lì? ché, benché sia pesante
di sua natura, vi so dir io che, al vedervi comparire in quella conformità,
diventerà lesto come un gatto, e scapperà come il diavolo dall'acqua santa.
- L'ho trovato io il verso, l'ho trovato, - disse Renzo, battendo il pugno
sulla tavola, e facendo balzellare le stoviglie apparecchiate per il desinare. E
seguitò esponendo il suo pensiero, che Agnese approvò in tutto e per tutto.
- Son imbrogli, - disse Lucia: - non son cose lisce. Finora abbiamo operato
sinceramente: tiriamo avanti con fede, e Dio ci aiuterà: il padre Cristoforo
l'ha detto. Sentiamo il suo parere.
- Lasciati guidare da chi ne sa più di te, - disse Agnese, con volto grave.
- Che bisogno c'è di chieder pareri? Dio dice: aiutati, ch'io t'aiuto. Al padre
racconteremo tutto, a cose fatte.
- Lucia, - disse Renzo, - volete voi mancarmi ora? Non avevamo noi fatto
tutte le cose da buon cristiani? Non dovremmo esser già marito e moglie? Il
curato non ci aveva fissato lui il giorno e l'ora? E di chi è la colpa, se
dobbiamo ora aiutarci con un po' d'ingegno? No, non mi mancherete. Vado e torno
con la risposta -. E, salutando Lucia, con un atto di preghiera, e Agnese, con
un'aria d'intelligenza, partì in fretta.
Le tribolazioni aguzzano il cervello: e Renzo il quale, nel sentiero retto e
piano di vita percorso da lui fin allora, non s'era mai trovato nell'occasione
d'assottigliar molto il suo, ne aveva, in questo caso, immaginata una, da far
onore a un giureconsulto. Andò addirittura, secondo che aveva disegnato, alla
casetta d'un certo Tonio, ch'era lì poco distante; e lo trovò in cucina, che,
con un ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano, l'orlo
d'un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col matterello ricurvo, una
piccola polenta bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello, la moglie di
Tonio, erano a tavola; e tre o quattro ragazzetti, ritti accanto al babbo,
stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di
scodellare. Ma non c'era quell'allegria che la vista del desinare suol pur dare
a chi se l'è meritato con la fatica. La mole della polenta era in ragion
dell'annata, e non del numero e della buona voglia de' commensali: e ognun
d'essi, fissando, con uno sguardo bieco d'amor rabbioso, la vivanda comune,
pareva pensare alla porzione d'appetito che le doveva sopravvivere. Mentre Renzo
barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa
di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccola luna, in un
gran cerchio di vapori. Nondimeno le donne dissero cortesemente a Renzo : -
volete restar servito? -, complimento che il contadino di Lombardia, e chi sa di
quant'altri paesi! non lascia mai di fare a chi lo trovi a mangiare, quand'anche
questo fosse un ricco epulone alzatosi allora da tavola, e lui fosse all'ultimo
boccone.
- Vi ringrazio, - rispose Renzo: - venivo solamente per dire una parolina a
Tonio; e, se vuoi, Tonio, per non disturbar le tue donne, possiamo andar a
desinare all'osteria, e lì parleremo -. La proposta fu per Tonio tanto più
gradita, quanto meno aspettata; e le donne, e anche i bimbi (giacché, su questa
materia, principian presto a ragionare) non videro mal volentieri che si
sottraesse alla polenta un concorrente, e il più formidabile. L'invitato non
istette a domandar altro, e andò con Renzo.
Giunti all'osteria del villaggio; seduti, con tutta libertà, in una perfetta
solitudine, giacché la miseria aveva divezzati tutti i frequentatori di quel
luogo di delizie; fatto portare quel poco che si trovava; votato un boccale di
vino; Renzo, con aria di mistero, disse a Tonio: - se tu vuoi farmi un piccolo
servizio, io te ne voglio fare uno grande.
- Parla, parla; comandami pure, - rispose Tonio, mescendo.
- Oggi mi butterei nel fuoco per te.
- Tu hai un debito di venticinque lire col signor curato, per fitto del suo
campo, che lavoravi, l'anno passato.
- Ah, Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con che cosa mi vieni fuori?
M'hai fatto andar via il buon umore.
- Se ti parlo del debito, - disse Renzo, - è perché, se tu vuoi, io intendo
di darti il mezzo di pagarlo.
- Dici davvero?
- Davvero. Eh? saresti contento?
- Contento? Per diana. se sarei contento! Se non foss'altro, per non veder
più que' versacci, e que' cenni col capo, che mi fa il signor curato, ogni
volta che c'incontriamo. E poi sempre: Tonio, ricordatevi: Tonio, quando ci
vediamo, per quel negozio? A tal segno che quando, nel predicare, mi fissa
quegli occhi addosso, io sto quasi in timore che abbia a dirmi, lì in pubblico:
quelle venticinque lire! Che maledette siano le venticinque lire! E poi,
m'avrebbe a restituir la collana d'oro di mia moglie, che la baratterei in tanta
polenta. Ma...
- Ma, ma, se tu mi vuoi fare un servizietto, le venticinque lire son
preparate.
- Di' su.
- Ma...! - disse Renzo, mettendo il dito alla bocca.
- Fa bisogno di queste cose? tu mi conosci.
- Il signor curato va cavando fuori certe ragioni senza sugo, per tirare in
lungo il mio matrimonio; e io in vece vorrei spicciarmi. Mi dicon di sicuro che,
presentandosegli davanti i due sposi, con due testimoni, e dicendo io: questa è
mia moglie, e Lucia: questo è mio marito, il matrimonio è bell'e fatto. M'hai
tu inteso?
- Tu vuoi ch'io venga per testimonio?
- Per l'appunto.
- E pagherai per me le venticinque lire?
- Così l'intendo.
- Birba chi manca.
- Ma bisogna trovare un altro testimonio.
- L'ho trovato. Quel sempliciotto di mio fratel Gervaso farà quello che gli
dirò io. Tu gli pagherai da bere?
- E da mangiare, - rispose Renzo. - Lo condurremo qui a stare allegro con
noi. Ma saprà fare?
- Gl'insegnerò io: tu sai bene ch'io ho avuta anche la sua parte di
cervello.
- Domani...
Bene.
- Verso sera...
- Benone.
- Ma...! - disse Renzo, mettendo di nuovo il dito alla bocca.
- Poh...! - rispose Tonio, piegando il capo sulla spalla destra, e alzando la
mano sinistra, con un viso che diceva: mi fai torto.
- Ma, se tua moglie ti domanda, come ti domanderà, senza dubbio...
- Di bugie, sono in debito io con mia moglie, e tanto tanto, che non so se
arriverò mai a saldare il conto. Qualche pastocchia la troverò, da metterle il
cuore in pace.
- Domattina, - disse Renzo, - discorreremo con più comodo, per intenderci
bene su tutto.
Con questo, uscirono dall'osteria, Tonio avviandosi a casa, e studiando la
fandonia che racconterebbe alle donne, e Renzo, a render conto de' concerti
presi.
In questo tempo Agnese, s'era affaticata invano a persuader la figliuola.
Questa andava opponendo a ogni ragione, ora l'una, ora l'altra parte del suo
dilemma: o la cosa è cattiva, e non bisogna farla; o non è, e perché non
dirla al padre Cristoforo?
Renzo arrivò tutto trionfante, fece il suo rapporto, e terminò con un ahn?
interiezione che significa: sono o non sono un uomo io? si poteva trovar di
meglio? vi sarebbe venuta in mente? e cento cose simili.
Lucia tentennava mollemente il capo; ma i due infervorati le badavan poco,
come si suol fare con un fanciullo, al quale non si spera di far intendere tutta
la ragione d'una cosa, e che s'indurrà poi, con le preghiere e con l'autorità,
a ciò che si vuol da lui.
- Va bene, - disse Agnese: - va bene; ma... non avete pensato a tutto.
- Cosa ci manca? - rispose Renzo.
- E Perpetua? non avete pensato a Perpetua. Tonio e suo fratello, li lascerà
entrare; ma voi! voi due! pensate! avrà ordine di tenervi lontani, più che un
ragazzo da un pero che ha le frutte mature.
- Come faremo? - disse Renzo, un po' imbrogliato.
- Ecco: ci ho pensato io. Verrò io con voi; e ho un segreto per attirarla, e
per incantarla di maniera che non s'accorga di voi altri, e possiate entrare. La
chiamerò io, e le toccherò una corda... vedrete.
- Benedetta voi! - esclamò Renzo: - l'ho sempre detto che siete nostro aiuto
in tutto.
- Ma tutto questo non serve a nulla, - disse Agnese, - se non si persuade
costei, che si ostina a dire che è peccato.
Renzo mise in campo anche lui la sua eloquenza; ma Lucia non sl lasciava
smovere.
- Io non so che rispondere a queste vostre ragioni, - diceva: - ma vedo che,
per far questa cosa, come dite voi, bisogna andar avanti a furia di sotterfugi,
di bugie, di finzioni. Ah Renzo! non abbiam cominciato così. Io voglio esser
vostra moglie, - e non c'era verso che potesse proferir quella parola, e spiegar
quell'intenzione, senza fare il viso rosso: - io voglio esser vostra moglie, ma
per la strada diritta, col timor di Dio, all'altare. Lasciamo fare a Quello
lassù. Non volete che sappia trovar Lui il bandolo d'aiutarci, meglio che non
possiamo far noi, con tutte codeste furberie? E perché far misteri al padre
Cristoforo?
La disputa durava tuttavia, e non pareva vicina a finire, quando un
calpestìo affrettato di sandali, e un rumore di tonaca sbattuta, somigliante a
quello che fanno in una vela allentata i soffi ripetuti del vento, annunziarono
il padre Cristoforo. Si chetaron tutti; e Agnese ebbe appena tempo di susurrare
all'orecchio di Lucia: - bada bene, ve', di non dirgli nulla.
CAPITOLO VII
Il padre Cristoforo arrivava nell'attitudine d'un buon capitano che, perduta,
senza sua colpa, una battaglia importante, afflitto ma non scoraggito, sopra
pensiero ma non sbalordito, di corsa e non in fuga, si porta dove il bisogno lo
chiede, a premunire i luoghi minacciati, a raccoglier le truppe, a dar nuovi
ordini.
- La pace sia con voi, - disse, nell'entrare. - Non c'è nulla da sperare
dall'uomo: tanto più bisogna confidare in Dio: e già ho qualche pegno della
sua protezione.
Sebbene nessuno dei tre sperasse molto nel tentativo del padre Cristoforo,
giacché il vedere un potente ritirarsi da una soverchieria, senza esserci
costretto, e per mera condiscendenza a preghiere disarmate, era cosa piùttosto
inaudita che rara; nulladimeno la trista certezza fu un colpo per tutti. Le
donne abbassarono il capo; ma nell'animo di Renzo, l'ira prevalse
all'abbattimento. Quell'annunzio lo trovava già amareggiato da tante sorprese
dolorose, da tanti tentativi andati a vòto, da tante speranze deluse, e, per di
più, esacerbato, in quel momento, dalle ripulse di Lucia.
- Vorrei sapere, - gridò, digrignando i denti, e alzando la voce, quanto non
aveva mai fatto prima d'allora, alla presenza del padre Cristoforo; - vorrei
sapere che ragioni ha dette quel cane, per sostenere... per sostenere che la mia
sposa non dev'essere la mia sposa.
- Povero Renzo! - rispose il frate, con una voce grave e pietosa, e con uno
sguardo che comandava amorevolmente la pacatezza : - se il potente che vuol
commettere l'ingiustizia fosse sempre obbligato a dir le sue ragioni, le cose
non anderebbero come vanno.
- Ha detto dunque quel cane, che non vuole, perché non vuole?
Non ha detto nemmen questo, povero Renzo! Sarebbe ancora un vantaggio se, per
commetter l'iniquità, dovessero confessarla apertamente.
- Ma qualcosa ha dovuto dire: cos'ha detto quel tizzone d'inferno?
- Le sue parole, io l'ho sentite, e non te le saprei ripetere. Le parole
dell'iniquo che è forte, penetrano e sfuggono. Può adirarsi che tu mostri
sospetto di lui, e, nello stesso tempo, farti sentire che quello di che tu
sospetti è certo: può insultare e chiamarsi offeso, schernire e chieder
ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile. Non chieder
più in là. Colui non ha proferito il nome di questa innocente, né il tuo; non
ha figurato nemmen di conoscervi, non ha detto di pretender nulla; ma... ma pur
troppo ho dovuto intendere ch'è irremovibile. Nondimeno, confidenza in Dio!
Voi, poverette, non vi perdete d'animo; e tu, Renzo... oh! credi pure, ch'io so
mettermi ne' tuoi panni, ch'io sento quello che passa nel tuo cuore. Ma,
pazienza! È una magra parola, una parola amara, per chi non crede; ma tu...!
non vorrai tu concedere a Dio un giorno, due giorni, il tempo che vorrà
prendere, per far trionfare la giustizia? Il tempo è suo; e ce n'ha promesso
tanto! Lascia fare a Lui, Renzo; e sappi... sappiate tutti ch'io ho già in mano
un filo, per aiutarvi. Per ora, non posso dirvi di più. Domani io non verrò
quassù; devo stare al convento tutto il giorno, per voi. Tu, Renzo, procura di
venirci: o se, per caso impensato, tu non potessi, mandate un uomo fidato, un
garzoncello di giudizio, per mezzo del quale io possa farvi sapere quello che
occorrerà. Si fa buio; bisogna ch'io corra al convento. Fede, coraggio; e
addio.
Detto questo, uscì in fretta, e se n'andò, correndo, e quasi saltelloni,
giù per quella viottola storta e sassosa, per non arrivar tardi al convento, a
rischio di buscarsi una buona sgridata, o quel che gli sarebbe pesato ancor
più, una penitenza, che gl'impedisse, il giorno dopo, di trovarsi pronto e
spedito a ciò che potesse richiedere il bisogno de' suoi protetti.
- Avete sentito cos'ha detto d'un non so che... d'un filo che ha, per
aiutarci? - disse Lucia. - Convien fidarsi a lui; è un uomo che, quando
promette dieci...
- Se non c'è altro...! - interruppe Agnese. - Avrebbe dovuto parlar più
chiaro, o chiamar me da una parte, e dirmi cosa sia questo...
- Chiacchiere! la finirò io: io la finirò! - interruppe Renzo, questa
volta, andando in su e in giù per la stanza, e con una voce, con un viso, da
non lasciar dubbio sul senso di quelle parole.
- Oh Renzo! - esclamò Lucia.
- Cosa volete dire? - esclamò Agnese.
- Che bisogno c'è di dire? La finirò io. Abbia pur cento, mille diavoli
nell'anima, finalmente è di carne e ossa anche lui...
- No, no, per amor del cielo...! - cominciò Lucia; ma il pianto le troncò
la voce.
- Non son discorsi da farsi, neppur per burla, - disse Agnese.
- Per burla? - gridò Renzo, fermandosi ritto in faccia ad Agnese seduta, e
piantandole in faccia due occhi stralunati. - Per burla! vedrete se sarà burla.
- Oh Renzo! - disse Lucia, a stento, tra i singhiozzi: - non v'ho mai visto
così.
- Non dite queste cose, per amor del cielo, - riprese ancora in fretta
Agnese, abbassando la voce. - Non vi ricordate quante braccia ha al suo comando
colui? E quand'anche... Dio liberi!... contro i poveri c'è sempre giustizia.
- La farò io, la giustizia, io! È ormai tempo. La cosa non è facile: lo so
anch'io. Si guarda bene, il cane assassino: sa come sta; ma non importa.
Risoluzione e pazienza... e il momento arriva. Sì, la farò io, la giustizia:
lo libererò io, il paese: quanta gente mi benedirà...! e poi in tre salti...!
L'orrore che Lucia sentì di queste più chiare parole, le sospese il pianto,
e le diede forza di parlare. Levando dalle palme il viso lagrimoso, disse a
Renzo, con voce accorata, ma risoluta: - non v'importa più dunque d'avermi per
moglie. Io m'era promessa a un giovine che aveva il timor di Dio; ma un uomo che
avesse... Fosse al sicuro d'ogni giustizia e d'ogni vendetta, foss'anche il
figlio del re...
E bene! - gridò Renzo, con un viso più che mai stravolto: - io non v'avrò;
ma non v'avrà né anche lui. Io qui senza di voi, e lui a casa del...
- Ah no! per carità, non dite così, non fate quegli occhi: no, non posso
vedervi così, - esclamò Lucia, piangendo, supplicando, con le mani giunte;
mentre Agnese chiamava e richiamava il giovine per nome, e gli palpava le
spalle, le braccia, le mani, per acquietarlo. Stette egli immobile e pensieroso,
qualche tempo, a contemplar quella faccia supplichevole di Lucia; poi, tutt'a un
tratto, la guardò torvo, diede addietro, tese il braccio e l'indice verso di
essa, e gridò: - questa! sì questa egli vuole. Ha da morire!
- E io che male v'ho fatto, perché mi facciate morire? - disse Lucia,
buttandosegli inginocchioni davanti.
- Voi! - rispose, con una voce ch'esprimeva un'ira ben diversa, ma un'ira
tuttavia: - voi! Che bene mi volete voi? Che prova m'avete data? Non v'ho io
pregata, e pregata, e pregata? E voi: no! no!
- Sì sì, - rispose precipitosamente Lucia: - verrò dal curato, domani,
ora, se volete; verrò. Tornate quello di prima; verrò.
- Me lo promettete? - disse Renzo, con una voce e con un viso divenuto,
tutt'a un tratto, più umano.
- Ve lo prometto.
- Me l'avete promesso.
- Signore, vi ringrazio! - esclamò Agnese, doppiamente contenta.
In mezzo a quella sua gran collera, aveva Renzo pensato di che profitto
poteva esser per lui lo spavento di Lucia? E non aveva adoperato un po'
d'artifizio a farlo crescere, per farlo fruttare? Il nostro autore protesta di
non ne saper nulla; e io credo che nemmen Renzo non lo sapesse bene. Il fatto
sta ch'era realmente infuriato contro don Rodrigo, e che bramava ardentemente il
consenso di Lucia; e quando due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor
d'un uomo, nessuno, neppure il paziente, può sempre distinguer chiaramente una
voce dall'altra, e dir con sicurezza qual sia quella che predomini.
- Ve l'ho promesso, - rispose Lucia, con un tono di rimprovero timido e
affettuoso: - ma anche voi avevate promesso di non fare scandoli, di
rimettervene al padre...
- Oh via! per amor di chi vado in furia? Volete tornare indietro, ora? e
farmi fare uno sproposito?
- No no, - disse Lucia, cominciando a rispaventarsi. - Ho promesso, e non mi
ritiro. Ma vedete voi come mi avete fatto promettere. Dio non voglia...
- Perché volete far de' cattivi augùri, Lucia? Dio sa che non facciam male
a nessuno.
- Promettetemi almeno che questa sarà l'ultima.
- Ve lo prometto, da povero figliuolo.
- Ma, questa volta, mantenete poi, - disse Agnese.
Qui l'autore confessa di non sapere un'altra cosa: se Lucia fosse, in tutto e
per tutto, malcontenta d'essere stata spinta ad acconsentire. Noi lasciamo, come
lui, la cosa in dubbio.
Renzo avrebbe voluto prolungare il discorso, e fissare, a parte a parte,
quello che si doveva fare il giorno dopo; ma era già notte, e le donne
gliel'augurarono buona; non parendo loro cosa conveniente che, a quell'ora, si
trattenesse più a lungo.
La notte però fu a tutt'e tre così buona come può essere quella che
succede a un giorno pieno d'agitazione e di guai, e che ne precede uno destinato
a un'impresa importante, e d'esito incerto. Renzo si lasciò veder di buon'ora,
e concertò con le donne, o piuttosto con Agnese, la grand'operazione della
sera, proponendo e sciogliendo a vicenda difficoltà, antivedendo contrattempi,
e ricominciando, ora l'uno ora l'altra, a descriver la faccenda, come si
racconterebbe una cosa fatta. Lucia ascoltava; e, senza approvar con parole ciò
che non poteva approvare in cuor suo, prometteva di far meglio che saprebbe.
- Anderete voi giù al convento, per parlare al padre Cristoforo, come v'ha
detto ier sera? - domandò Agnese a Renzo.
- Le zucche! - rispose questo: - sapete che diavoli d'occhi ha il padre: mi
leggerebbe in viso, come sur un libro, che c'è qualcosa per aria; e se
cominciasse a farmi dell'interrogazioni, non potrei uscirne a bene. E poi, io
devo star qui, per accudire all'affare. Sarà meglio che mandiate voi
qualcheduno.
- Manderò Menico.
- Va bene, - rispose Renzo; e partì, per accudire all'affare, come aveva
detto.
Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, ch'era un ragazzetto di
circa dodici anni, sveglio la sua parte, e che, per via di cugini e di cognati,
veniva a essere un po' suo nipote. Lo chiese ai parenti, come in prestito, per
tutto quel giorno, - per un certo servizio, - diceva. Avutolo, lo condusse nella
sua cucina, gli diede da colazione, e gli disse che andasse a Pescarenico, e si
facesse vedere al padre Cristoforo, il quale lo rimanderebbe poi, con una
risposta, quando sarebbe tempo. - Il padre Cristoforo, quel bel vecchio, tu sai,
con la barba bianca, quello che chiamano il santo...
- Ho capito, - disse Menico: - quello che ci accarezza sempre, noi altri
ragazzi, e ci dà, ogni tanto, qualche santino.
- Appunto, Menico. E se ti dirà che tu aspetti qualche poco, lì vicino al
convento, non ti sviare: bada di non andar, con de' compagni, al lago, a veder
pescare, né a divertirti con le reti attaccate al muro ad asciugare, né a far
quell'altro tuo giochetto solito...
Bisogna saper che Menico era bravissimo per fare a rimbalzello; e si sa che
tutti, grandi e piccoli, facciam volentieri le cose alle quali abbiamo abilità:
non dico quelle sole.
- Poh! zia; non son poi un ragazzo.
- Bene, abbi giudizio; e, quando tornerai con la risposta... guarda; queste
due belle parpagliole nuove son per te.
- Datemele ora, ch'è lo stesso.
- No, no, tu le giocheresti. Va, e portati bene; che n'avrai anche di più.
Nel rimanente di quella lunga mattinata, si videro certe novità che misero
non poco in sospetto l'animo già conturbato delle donne. Un mendico, né
rifinito né cencioso come i suoi pari, e con un non so che d'oscuro e di
sinistro nel sembiante, entrò a chieder la carità, dando in qua e in là
cert'occhiate da spione. Gli fu dato un pezzo di pane, che ricevette e ripose,
con un'indifferenza mal dissimulata. Si trattenne poi, con una certa
sfacciataggine, e, nello stesso tempo, con esitazione, facendo molte domande,
alle quali Agnese s'affrettò di risponder sempre il contrario di quello che
era. Movendosi, come per andar via, finse di sbagliar l'uscio, entrò in quello
che metteva alla scala, e lì diede un'altra occhiata in fretta, come poté.
Gridatogli dietro: - ehi ehi! dove andate galantuomo? di qua! di qua! - tornò
indietro, e uscì dalla parte che gli veniva indicata, scusandosi, con una
sommissione, con un'umiltà affettata, che stentava a collocarsi nei lineamenti
duri di quella faccia. Dopo costui, continuarono a farsi vedere, di tempo in
tempo, altre strane figure. Che razza d'uomini fossero, non si sarebbe potuto
dir facilmente; ma non si poteva creder neppure che fossero quegli onesti
viandanti che volevan parere. Uno entrava col pretesto di farsi insegnar la
strada; altri, passando davanti all'uscio, rallentavano il passo, e guardavan
sott'occhio nella stanza, a traverso il cortile, come chi vuol vedere senza dar
sospetto. Finalmente, verso il mezzogiorno, quella fastidiosa processione finì.
Agnese s'alzava ogni tanto, attraversava il cortile, s'affacciava all'uscio di
strada, guardava a destra e a sinistra, e tornava dicendo: - nessuno - : parola
che proferiva con piacere, e che Lucia con piacere sentiva, senza che né l'una
né l'altra ne sapessero ben chiaramente il perché. Ma ne rimase a tutt'e due
una non so quale inquietudine, che levò loro, e alla figliuola principalmente,
una gran parte del coraggio che avevan messo in serbo per la sera.
Convien però che il lettore sappia qualcosa di più preciso, intorno a que'
ronzatori misteriosi: e, per informarlo di tutto, dobbiam tornare un passo
indietro, e ritrovar don Rodrigo, che abbiam lasciato ieri, solo in una sala del
suo palazzotto, al partir del padre Cristoforo.
Don Rodrigo, come abbiam detto, misurava innanzi e indietro, a passi lunghi,
quella sala, dalle pareti della quale pendevano ritratti di famiglia, di varie
generazioni. Quando si trovava col viso a una parete, e voltava, si vedeva in
faccia un suo antenato guerriero, terrore de' nemici e de' suoi soldati, torvo
nella guardatura, co' capelli corti e ritti, co' baffi tirati e a punta, che
sporgevan dalle guance, col mento obliquo: ritto in piedi l'eroe, con le
gambiere, co' cosciali, con la corazza, co' bracciali, co' guanti, tutto di
ferro; con la destra sul fianco, e la sinistra sul pomo della spada. Don Rodrigo
lo guardava; e quando gli era arrivato sotto, e voltava, ecco in faccia un altro
antenato, magistrato, terrore de' litiganti e degli avvocati, a sedere sur una
gran seggiola coperta di velluto rosso, ravvolto in un'ampia toga nera; tutto
nero, fuorché un collare bianco, con due larghe facciole, e una fodera di
zibellino arrovesciata (era il distintivo de' senatori, e non lo portavan che
l'inverno, ragion per cui non si troverà mai un ritratto di senatore vestito
d'estate); macilento, con le ciglia aggrottate: teneva in mano una supplica, e
pareva che dicesse: vedremo. Di qua una matrona, terrore delle sue cameriere; di
là un abate, terrore de' suoi monaci: tutta gente in somma che aveva fatto
terrore, e lo spirava ancora dalle tele. Alla presenza di tali memorie, don
Rodrigo tanto più s'arrovellava, si vergognava, non poteva darsi pace, che un
frate avesse osato venirgli addosso, con la prosopopea di Nathan. Formava un
disegno di vendetta, l'abbandonava, pensava come soddisfare insieme alla
passione, e a ciò che chiamava onore; e talvolta (vedete un poco!) sentendosi
fischiare ancora agli orecchi quell'esordio di profezia, si sentiva venir, come
si dice, i bordoni, e stava quasi per deporre il pensiero delle due
soddisfazioni. Finalmente, per far qualche cosa, chiamò un servitore, e gli
ordinò che lo scusasse con la compagnia, dicendo ch'era trattenuto da un affare
urgente. Quando quello tornò a riferire che que' signori eran partiti,
lasciando i loro rispetti: - e il conte Attilio? - domandò, sempre camminando,
don Rodrigo.
- È uscito con que' signori, illustrissimo.
- Bene: sei persone di seguito, per la passeggiata: subito. La spada, la
cappa, il cappello: subito.
Il servitore partì, rispondendo con un inchino; e, poco dopo, tornò,
portando la ricca spada, che il padrone si cinse; la cappa, che si buttò sulle
spalle; il cappello a gran penne, che mise e inchiodò, con una manata,
fieramente sul capo: segno di marina torbida. Si mosse, e, alla porta, trovò i
sei ribaldi tutti armati, i quali, fatto ala, e inchinatolo, gli andaron dietro.
Più burbero, più superbioso, più accigliato del solito, uscì, e andò
passeggiando verso Lecco. I contadini, gli artigiani, al vederlo venire, si
ritiravan rasente al muro, e di lì facevano scappellate e inchini profondi, ai
quali non rispondeva. Come inferiori, l'inchinavano anche quelli che da questi
eran detti signori; ché, in que' contorni, non ce n'era uno che potesse, a
mille miglia, competer con lui, di nome, di ricchezze, d'aderenze e della voglia
di servirsi di tutto ciò, per istare al di sopra degli altri. E a questi
corrispondeva con una degnazione contegnosa. Quel giorno non avvenne, ma quando
avveniva che s'incontrasse col signor castellano spagnolo, l'inchino allora era
ugualmente profondo dalle due parti; la cosa era come tra due potentati, i quali
non abbiano nulla da spartire tra loro; ma, per convenienza, fanno onore al
grado l'uno dell'altro. Per passare un poco la mattana, e per contrapporre
all'immagine del frate che gli assediava la fantasia, immagini in tutto diverse,
don Rodrigo entrò, quel giorno, in una casa, dove andava, per il solito, molta
gente, e dove fu ricevuto con quella cordialità affaccendata e rispettosa,
ch'è riserbata agli uomini che si fanno molto amare o molto temere; e, a notte
già fatta, tornò al suo palazzotto. Il conte Attilio era anche lui tornato in
quel momento; e fu messa in tavola la cena, durante la quale, don Rodrigo fu
sempre sopra pensiero, e parlò poco.
- Cugino, quando pagate questa scommessa? - disse, con un fare di malizia e
di scherno, il conte Attilio, appena sparecchiato, e andati via i servitori.
- San Martino non è ancor passato.
- Tant'è che la paghiate subito; perché passeranno tutti i santi del
lunario, prima che...
- Questo è quel che si vedrà.
- Cugino, voi volete fare il politico; ma io ho capito tutto, e son tanto
certo d'aver vinta la scommessa, che son pronto a farne un'altra.
- Sentiamo.
- Che il padre... il padre... che so io? quel frate in somma v'ha convertito.
- Eccone un'altra delle vostre.
- Convertito, cugino; convertito, vi dico. Io per me, ne godo. Sapete che
sarà un bello spettacolo vedervi tutto compunto, e con gli occhi bassi! E che
gloria per quel padre! Come sarà tornato a casa gonfio e pettoruto! Non son
pesci che si piglino tutti i giorni, né con tutte le reti. Siate certo che vi
porterà per esempio; e, quando anderà a far qualche missione un po' lontano,
parlerà de' fatti vostri. Mi par di sentirlo -. E qui, parlando col naso,
accompagnando le parole con gesti caricati, continuò, in tono di predica: - in
una parte di questo mondo, che, per degni rispetti, non nomino, viveva, uditori
carissimi, e vive tuttavia, un cavaliere scapestrato, più amico delle femmine,
che degli uomini dabbene, il quale, avvezzo a far d'ogni erba un fascio, aveva
messo gli occhi...
- Basta, basta, - interruppe don Rodrigo, mezzo sogghignando, e mezzo
annoiato. - Se volete raddoppiar la scommessa, son pronto anch'io.
- Diavolo! che aveste voi convertito il padre!
- Non mi parlate di colui: e in quanto alla scommessa, san Martino deciderà
-. La curiosità del conte era stuzzicata; non gli risparmiò interrogazioni, ma
don Rodrigo le seppe eluder tutte, rimettendosi sempre al giorno della
decisione, e non volendo comunicare alla parte avversa disegni che non erano né
incamminati, né assolutamente fissati.
La mattina seguente, don Rodrigo si destò don Rodrigo. L'apprensione che
quel verrà un giorno gli aveva messa in corpo, era svanita del tutto,
co' sogni della notte; e gli rimaneva la rabbia sola, esacerbata anche dalla
vergogna di quella debolezza passeggiera. L'immagini più recenti della
passeggiata trionfale, degl'inchini, dell'accoglienze, e il canzonare del
cugino, avevano contribuito non poco a rendergli l'animo antico. Appena alzato,
fece chiamare il Griso. "Cose grosse", disse tra sé il servitore a
cui fu dato l'ordine; perché l'uomo che aveva quel soprannome, non era niente
meno che il capo de' bravi, quello a cui s'imponevano le imprese più rischiose
e più inique, il fidatissimo del padrone, l'uomo tutto suo, per gratitudine e
per interesse. Dopo aver ammazzato uno, di giorno, in piazza, era andato ad
implorar la protezione di don Rodrigo; e questo, vestendolo della sua livrea,
l'aveva messo al coperto da ogni ricerca della giustizia. Cosi, impegnandosi a
ogni delitto che gli venisse comandato, colui si era assicurata l'impunità del
primo. Per don Rodrigo, l'acquisto non era stato di poca importanza; perché il
Griso, oltre all'essere, senza paragone, il più valente della famiglia, era
anche una prova di ciò che il suo padrone aveva potuto attentar felicemente
contro le leggi; di modo che la sua potenza ne veniva ingrandita, nel fatto e
nell'opinione.
- Griso! - disse don Rodrigo: - in questa congiuntura, si vedrà quel che tu
vali. Prima di domani, quella Lucia deve trovarsi in questo palazzo.
- Non si dirà mai che il Griso si sia ritirato da un comando
dell'illustrissimo signor padrone.
- Piglia quanti uomini ti possono bisognare, ordina e disponi, come ti par
meglio; purché la cosa riesca a buon fine. Ma bada sopra tutto, che non le sia
fatto male.
- Signore, un po' di spavento, perché la non faccia troppo strepito... non
si potrà far di meno.
- Spavento... capisco... è inevitabile. Ma non le si torca un capello; e
sopra tutto, le si porti rispetto in ogni maniera. Hai inteso?
- Signore, non si può levare un fiore dalla pianta, e portarlo a
vossignoria, senza toccarlo. Ma non si farà che il puro necessario.
- Sotto la tua sicurtà. E... come farai?
- Ci stavo pensando, signore. Siam fortunati che la casa è in fondo al
paese. Abbiam bisogno d'un luogo per andarci a postare. e appunto c'è, poco
distante di là, quel casolare disabitato e solo, in mezzo ai campi, quella
casa... vossignoria non saprà niente di queste cose... una casa che bruciò,
pochi anni sono, e non hanno avuto danari da riattarla, e l'hanno abbandonata, e
ora ci vanno le streghe: ma non è sabato, e me ne rido. Questi villani, che son
pieni d'ubbie, non ci bazzicherebbero, in nessuna notte della settimana, per
tutto l'oro del mondo: sicché possiamo andare a fermarci là, con sicurezza che
nessuno verrà a guastare i fatti nostri.
- Va bene; e poi?
Qui, il Griso a proporre, don Rodrigo a discutere, finché d'accordo ebbero
concertata la maniera di condurre a fine l'impresa, senza che rimanesse traccia
degli autori, la maniera anche di rivolgere, con falsi indizi, i sospetti
altrove, d'impor silenzio alla povera Agnese, d'incutere a Renzo tale spavento,
da fargli passare il dolore, e il pensiero di ricorrere alla giustizia, e anche
la volontà di lagnarsi; e tutte l'altre bricconerie necessarie alla riuscita
della bricconeria principale. Noi tralasciamo di riferir que' concerti, perché,
come il lettore vedrà, non son necessari all'intelligenza della storia; e siam
contenti anche noi di non doverlo trattener più lungamente a sentir
parlamentare que' due fastidiosi ribaldi. Basta che, mentre il Griso se
n'andava, per metter mano all'esecuzione, don Rodrigo lo richiamò, e gli disse:
- senti: se per caso, quel tanghero temerario vi desse nell'unghie questa sera,
non sarà male che gli sia dato anticipatamente un buon ricordo sulle spalle.
Così, l'ordine che gli verrà intimato domani di stare zitto, farà più
sicuramente l'effetto. Ma non l'andate a cercare, per non guastare quello che
più importa: tu m'hai inteso.
- Lasci fare a me, - rispose il Griso, inchinandosi, con un atto d'ossequio e
di millanteria; e se n'andò. La mattina fu spesa in giri, per riconoscere il
paese. Quel falso pezzente che s'era inoltrato a quel modo nella povera casetta,
non era altro che il Griso, il quale veniva per levarne a occhio la pianta: i
falsi viandanti eran suoi ribaldi, ai quali, per operare sotto i suoi ordini,
bastava una cognizione più superficiale del luogo. E, fatta la scoperta, non
s'eran più lasciati vedere, per non dar troppo sospetto.
Tornati che furon tutti al palazzotto, il Griso rese conto, e fissò
definitivamente il disegno dell'impresa; assegnò le parti, diede istruzioni.
Tutto ciò non si poté fare, senza che quel vecchio servitore, il quale stava a
occhi aperti, e a orecchi tesi, s'accorgesse che qualche gran cosa si
macchinava. A forza di stare attento e di domandare; accattando una mezza
notizia di qua, una mezza di là, commentando tra sé una parola oscura,
interpretando un andare misterioso, tanto fece, che venne in chiaro di ciò che
si doveva eseguir quella notte. Ma quando ci fu riuscito, essa era già poco
lontana, e già una piccola vanguardia di bravi era andata a imboscarsi in quel
casolare diroccato. Il povero vecchio, quantunque sentisse bene a che rischioso
giuoco giocava, e avesse anche paura di portare il soccorso di Pisa, pure non
volle mancare: uscì, con la scusa di prendere un po' d'aria, e s'incamminò in
fretta in fretta al convento, per dare al padre Cristoforo l'avviso promesso.
Poco dopo, si mossero gli altri bravi, e discesero spicciolati, per non parere
una compagnia: il Griso venne dopo; e non rimase indietro che una bussola, la
quale doveva esser portata al casolare, a sera inoltrata; come fu fatto.
Radunati che furono in quel luogo, il Griso spedì tre di coloro all'osteria del
paesetto; uno che si mettesse sull'uscio, a osservar ciò che accadesse nella
strada, e a veder quando tutti gli abitanti fossero ritirati: gli altri due che
stessero dentro a giocare e a bere, come dilettanti; e attendessero intanto a
spiare, se qualche cosa da spiare ci fosse. Egli, col grosso della truppa,
rimase nell'agguato ad aspettare.
Il povero vecchio trottava ancora; i tre esploratori arrivavano al loro
posto; il sole cadeva; quando Renzo entrò dalle donne, e disse: - Tonio e
Gervaso m'aspettan fuori: vo con loro all'osteria, a mangiare un boccone; e,
quando sonerà l'ave maria, verremo a prendervi. Su, coraggio, Lucia! tutto
dipende da un momento -. Lucia sospirò, e ripeté: - coraggio, - con una voce
che smentiva la parola.
Quando Renzo e i due compagni giunsero all'osteria, vi trovaron quel tale
già piantato in sentinella, che ingombrava mezzo il vano della porta,
appoggiata con la schiena a uno stipite, con le braccia incrociate sul petto; e
guardava e riguardava, a destra e a sinistra, facendo lampeggiare ora il bianco,
ora il nero di due occhi grifagni. Un berretto piatto di velluto chermisi, messo
storto, gli copriva la metà del ciuffo, che, dividendosi sur una fronte fosca,
girava, da una parte e dall'altra, sotto gli orecchi, e terminava in trecce,
fermate con un pettine sulla nuca. Teneva sospeso in una mano un grosso
randello; arme propriamente, non ne portava in vista; ma, solo a guardargli in
viso, anche un fanciullo avrebbe pensato che doveva averne sotto quante ce ne
poteva stare. Quando Renzo, ch'era innanzi agli altri, fu lì per entrare,
colui, senza scomodarsi, lo guardò fisso fisso; ma il giovine, intento a
schivare ogni questione, come suole ognuno che abbia un'impresa scabrosa alle
mani, non fece vista d'accorgersene, non disse neppure: fatevi in là; e,
rasentando l'altro stipite, passò per isbieco, col fianco innanzi, per
l'apertura lasciata da quella cariatide. I due compagni dovettero far la stessa
evoluzione, se vollero entrare. Entrati, videro gli altri, de' quali avevan già
sentita la voce, cioè que' due bravacci, che seduti a un canto della tavola,
giocavano alla mora, gridando tutt'e due insieme (lì, è il giuoco che lo
richiede), e mescendosi or l'uno or l'altro da bere, con un gran fiasco ch'era
tra loro. Questi pure guardaron fisso la nuova compagnia; e un de' due
specialmente, tenendo una mano in aria, con tre ditacci tesi e allargati, e
avendo la bocca ancora aperta, per un gran "sei" che n'era scoppiato
fuori in quel momento, squadrò Renzo da capo a piedi; poi diede d'occhio al
compagno, poi a quel dell'uscio, che rispose con un cenno del capo. Renzo
insospettito e incerto guardava ai suoi due convitati, come se volesse cercare
ne' loro aspetti un'interpretazione di tutti que' segni: ma i loro aspetti non
indicavano altro che un buon appetito. L'oste guardava in viso a lui, come per
aspettar gli ordini: egli lo fece venir con sé in una stanza vicina, e ordinò
la cena.
- Chi sono que' forestieri? - gli domandò poi a voce bassa, quando quello
tornò, con una tovaglia grossolana sotto il braccio, e un fiasco in mano.
- Non li conosco, - rispose l'oste, spiegando la tovaglia.
- Come? né anche uno?
- Sapete bene, - rispose ancora colui, stirando, con tutt'e due le mani, la
tovaglia sulla tavola, - che la prima regola del nostro mestiere, è di non
domandare i fatti degli altri: tanto che, fin le nostre donne non son curiose.
Si starebbe freschi, con tanta gente che va e viene: è sempre un porto di mare:
quando le annate son ragionevoli, voglio dire; ma stiamo allegri, che tornerà
il buon tempo. A noi basta che gli avventori siano galantuomini: chi siano poi,
o chi non siano, non fa niente. E ora vi porterò un piatto di polpette, che le
simili non le avete mai mangiate.
- Come potete sapere...? - ripigliava Renzo; ma l'oste, già avviato alla
cucina, seguitò la sua strada. E lì, mentre prendeva il tegame delle polpette
summentovate, gli s'accostò pian piano quel bravaccio che aveva squadrato il
nostro giovine, e gli disse sottovoce: - Chi sono que' galantuomini?
- Buona gente qui del paese, - rispose l'oste, scodellando le polpette nel
piatto.
- Va bene; ma come si chiamano? chi sono? - insistette colui, con voce
alquanto sgarbata.
- Uno si chiama Renzo, - rispose l'oste, pur sottovoce: - un buon giovine,
assestato; filatore di seta, che sa bene il suo mestiere. L'altro è un
contadino che ha nome Tonio: buon camerata, allegro: peccato che n'abbia pochi;
che gli spenderebbe tutti qui. L'altro è un sempliciotto, che mangia però
volentieri, quando gliene danno. Con permesso.
E, con uno sgambetto, uscì tra il fornello e l'interrogante; e ando a
portare il piatto a chi si doveva. - Come potete sapere, - riattaccò Renzo,
quando lo vide ricomparire, - che siano galantuomini, se non li conoscete?
- Le azioni, caro mio: l'uomo si conosce all'azioni. Quelli che bevono il
vino senza criticarlo, che pagano il conto senza tirare, che non metton su lite
con gli altri avventori, e se hanno una coltellata da consegnare a uno, lo vanno
ad aspettar fuori, e lontano dall'osteria, tanto che il povero oste non ne vada
di mezzo, quelli sono i galantuomini. Però, se si può conoscer la gente bene,
come ci conosciamo tra noi quattro, è meglio. E che diavolo vi vien voglia di
saper tante cose, quando siete sposo, e dovete aver tutt'altro in testa? e con
davanti quelle polpette, che farebbero resuscitare un morto? - Così dicendo, se
ne tornò in cucina.
Il nostro autore, osservando al diverso modo che teneva costui nel soddisfare
alle domande, dice ch'era un uomo così fatto, che, in tutti i suoi discorsi,
faceva professione d'esser molto amico de' galantuomini in generale; ma, in atto
pratico, usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o
sembianza di birboni. Che carattere singolare! eh?
La cena non fu molto allegra. I due convitati avrebbero voluto godersela con
tutto loro comodo; ma l'invitante, preoccupato di ciò che il lettore sa, e
infastidito, e anche un po' inquieto del contegno strano di quegli sconosciuti,
non vedeva l'ora d'andarsene. Si parlava sottovoce, per causa loro; ed eran
parole tronche e svogliate.
- Che bella cosa, - scappò fuori di punto in bianco Gervaso, - che Renzo
voglia prender moglie, e abbia bisogno...! - Renzo gli fece un viso brusco. -
Vuoi stare zitto, bestia? - gli disse Tonio, accompagnando il titolo con una
gomitata. La conversazione fu sempre più fredda, fino alla fine. Renzo, stando
indietro nel mangiare, come nel bere, attese a mescere ai due testimoni, con
discrezione, in maniera di dar loro un po' di brio, senza farli uscir di
cervello. Sparecchiato, pagato il conto da colui che aveva fatto men guasto,
dovettero tutti e tre passar novamente davanti a quelle facce, le quali tutte si
voltarono a Renzo, come quand'era entrato. Questo, fatti ch'ebbe pochi passi
fuori dell'osteria, si voltò indietro, e vide che i due che aveva lasciati
seduti in cucina, lo seguitavano: si fermò allora, co' suoi compagni, come se
dicesse: vediamo cosa voglion da me costoro. Ma i due, quando s'accorsero
d'essere osservati, si fermarono anch'essi, si parlaron sottovoce, e tornarono
indietro. Se Renzo fosse stato tanto vicino da sentir le loro parole, gli
sarebbero parse molto strane. - Sarebbe però un bell'onore, senza contar la
mancia, - diceva uno de' malandrini, - se, tornando al palazzo, potessimo
raccontare d'avergli spianate le costole in fretta in fretta, e così da noi,
senza che il signor Griso fosse qui a regolare.
- E guastare il negozio principale! - rispondeva l'altro. - Ecco: s'è
avvisto di qualche cosa; si ferma a guardarci. Ih! se fosse più tardi! Torniamo
indietro, per non dar sospetto. Vedi che vien gente da tutte le parti:
lasciamoli andar tutti a pollaio.
C'era in fatti quel brulichìo, quel ronzìo che si sente in un villaggio,
sulla sera, e che, dopo pochi momenti, dà luogo alla quiete solenne della
notte. Le donne venivan dal campo, portandosi in collo i bambini, e tenendo per
la mano i ragazzi più grandini, ai quali facevan dire le divozioni della sera;
venivan gli uomini, con le vanghe, e con le zappe sulle spalle. All'aprirsi
degli usci, si vedevan luccicare qua e là i fuochi accesi per le povere cene:
si sentiva nella strada barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità
della raccolta, e sulla miseria dell'annata; e più delle parole, si sentivano i
tocchi misurati e sonori della campana, che annunziava il finir del giorno.
Quando Renzo vide che i due indiscreti s'eran ritirati, continuò la sua strada
nelle tenebre crescenti, dando sottovoce ora un ricordo, ora un altro, ora
all'uno, ora all'altro fratello. Arrivarono alla casetta di Lucia, ch'era già
notte.
Tra il primo pensiero d'una impresa terribile, e l'esecuzione di essa (ha
detto un barbaro che non era privo d'ingegno), l'intervallo è un sogno, pieno
di fantasmi e di paure. Lucia era, da molte ore, nell'angosce d'un tal sogno: e
Agnese, Agnese medesima, l'autrice del consiglio, stava sopra pensiero, e
trovava a stento parole per rincorare la figlia. Ma, al momento di destarsi, al
momento cioè di dar principio all'opera, l'animo si trova tutto trasformato. Al
terrore e al coraggio che vi contrastavano, succede un altro terrore e un altro
coraggio: l'impresa s'affaccia alla mente, come una nuova apparizione: ciò che
prima spaventava di più, sembra talvolta divenuto agevole tutt'a un tratto:
talvolta comparisce grande l'ostacolo a cui s'era appena badato; l'immaginazione
dà indietro sgomentata; le membra par che ricusino d'ubbidire; e il cuore manca
alle promesse che aveva fatte con più sicurezza. Al picchiare sommesso di
Renzo, Lucia fu assalita da tanto terrore, che risolvette, in quel momento, di
soffrire ogni cosa, di star sempre divisa da lui, piùttosto ch'eseguire quella
risoluzione; ma quando si fu fatto vedere, ed ebbe detto: - son qui, andiamo -;
quando tutti si mostraron pronti ad avviarsi, senza esitazione, come a cosa
stabilita, irrevocabile; Lucia non ebbe tempo né forza di far difficoltà, e,
come strascinata, prese tremando un braccio della madre, un braccio del promesso
sposo, e si mosse con la brigata avventuriera.
Zitti zitti, nelle tenebre, a passo misurato, usciron dalla casetta, e preser
la strada fuori del paese. La più corta sarebbe stata d'attraversarlo: che
s'andava diritto alla casa di don Abbondio; ma scelsero quella, per non esser
visti. Per viottole, tra gli orti e i campi, arrivaron vicino a quella casa, e
lì si divisero. I due promessi rimaser nascosti dietro l'angolo di essa; Agnese
con loro, ma un po' più innanzi, per accorrere in tempo a fermar Perpetua, e a
impadronirsene; Tonio, con lo scempiato di Gervaso, che non sapeva far nulla da
sé, e senza il quale non si poteva far nulla, s'affacciaron bravamente alla
porta, e picchiarono.
- Chi è, a quest'ora? - gridò una voce dalla finestra, che s'aprì in quel
momento: era la voce di Perpetua. - Ammalati non ce n'è, ch'io sappia. È forse
accaduta qualche disgrazia?
- Son io, - rispose Tonio, - con mio fratello, che abbiam bisogno di parlare
al signor curato.
- È ora da cristiani questa? - disse bruscamente Perpetua. - Che
discrezione? Tornate domani.
- Sentite: tornerò o non tornerò: ho riscosso non so che danari, e venivo a
saldar quel debituccio che sapete: aveva qui venticinque belle berlinghe nuove;
ma se non si può, pazienza: questi, so come spenderli, e tornerò quando
n'abbia messi insieme degli altri.
- Aspettate, aspettate: vo e torno. Ma perché venire a quest'ora?
- Gli ho ricevuti, anch'io, poco fa; e ho pensato, come vi dico, che, se li
tengo a dormir con me, non so di che parere sarò domattina. Però, se l'ora non
vi piace, non so che dire: per me, son qui; e se non mi volete, me ne vo.
- No, no, aspettate un momento: torno con la risposta. Così dicendo,
richiuse la finestra. A questo punto, Agnese si staccò dai promessi, e, detto
sottovoce a Lucia: - coraggio; è un momento; è come farsi cavar un dente, - si
riunì ai due fratelli, davanti all'uscio; e si mise a ciarlare con Tonio, in
maniera che Perpetua, venendo ad aprire, dovesse credere che si fosse abbattuta
lì a caso, e che Tonio l'avesse trattenuta un momento.
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