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I promessi sposi, di Alessandro ManzoniLiber Liber
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CAPITOLO XII

Era quello il second'anno di raccolta scarsa. Nell'antecedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia. Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell'ordinario rimanevano incolti e abbandonati da' contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli altri, eran costretti d'andare ad accattarlo per carità. Ho detto: più dell'ordinario; perché le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e con un'insensatezza del pari sterminate, la condotta abituale, anche in piena pace, delle truppe alloggiate ne' paesi, condotta che i dolorosi documenti di que' tempi uguagliano a quella d'un nemico invasore, altre cagioni che non è qui il luogo di mentovare, andavano già da qualche tempo operando lentamente quel tristo effetto in tutto il milanese: le circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione d'un mal cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisioni per l'esercito, e lo sciupinìo che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal vòto, che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.

Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un'opinione ne' molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, predetta; si suppone tutt'a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza. Gl'incettatori di grano, reali o immaginari, i possessori di terre, che non lo vendevano tutto in un giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne avessero o poco o assai, o che avessero il nome d'averne, a questi si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio del lamento universale, l'abbominio della moltitudine male e ben vestita. Si diceva di sicuro dov'erano i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati; s'indicava il numero de' sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell'immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; ne' quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano. S'imploravan da' magistrati que' provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, e a far ritornar l'abbondanza. I magistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo d'alcune derrate, d'intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d'attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva. La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza de' rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de' più generosi e decisivi. E per sua sventura, trovò l'uomo secondo il suo cuore.

Nell'assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, che comandava l'assedio di Casale del Monferrato, faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Ferrer, pure spagnolo. Costui vide, e chi non l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta (così chiamano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto trentatre lire il moggio: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo.

Ordini meno insensati e meno iniqui eran, più d'una volta, per la resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma all'esecuzione di questo vegliava la moltitudine, che, vedendo finalmente convertito in legge il suo desiderio, non avrebbe sofferto che fosse per celia. Accorse subito ai forni, a chieder pane al prezzo tassato; e lo chiese con quel fare di risolutezza e di minaccia, che dànno la passione, la forza e la legge riunite insieme. Se i fornai strillassero, non lo domandate. Intridere, dimenare, infornare e sfornare senza posa; perché il popolo, sentendo in confuso che l'era una cosa violenta, assediava i forni di continuo, per goder quella cuccagna fin che durava; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito, per iscapitarci, ognun vede che bel piacere dovesse essere. Ma, da una parte i magistrati che intimavan pene, dall'altra il popolo che voleva esser servito, e, punto punto che qualche fornaio indugiasse, pressava e brontolava, con quel suo vocione, e minacciava una di quelle sue giustizie, che sono delle peggio che si facciano in questo mondo; non c'era redenzione, bisognava rimenare, infornare, sfornare e vendere. Però, a farli continuare in quell'impresa, non bastava che fosse lor comandato, né che avessero molta paura; bisognava potere: e un po' più che la cosa fosse durata, non avrebbero più potuto. Facevan vedere ai magistrati l'iniquità e l'insopportabilità del carico imposto loro, protestavano di voler gettar la pala nel forno, e andarsene; e intanto tiravano avanti come potevano, sperando, sperando che, una volta o l'altra, il gran cancelliere avrebbe inteso la ragione. Ma Antonio Ferrer, il quale era quel che ora si direbbe un uomo di carattere, rispondeva che i fornai s'erano avvantaggiati molto e poi molto nel passato, che s'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza; che anche si vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero ancora avanti. O fosse veramente persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altri, o che, anche conoscendo dagli effetti l'impossibilità di mantener quel suo editto, volesse lasciare agli altri l'odiosità di rivocarlo; giacché, chi può ora entrar nel cervello d'Antonio Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò che aveva stabilito. Finalmente i decurioni (un magistrato municipale composto di nobili, che durò fino al novantasei del secolo scorso) informaron per lettera il governatore, dello stato in cui eran le cose: trovasse lui qualche ripiego, che le facesse andare.

Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerra, fece ciò che il lettore s'immagina certamente: nominò una giunta, alla quale conferì l'autorità di stabilire al pane un prezzo che potesse correre; una cosa da poterci campar tanto una parte che l'altra. I deputati si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d'allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti, sapendo bene che giocavano una gran carta, ma convinti che non c'era da far altro, conclusero di rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il popolo imbestialì.

La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Milano, le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionati, c'eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla di più, con que' ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca. Migliaia d'uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe. Avanti giorno, le strade eran di nuovo sparse di crocchi: fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli altri applaudivano; questo faceva al più vicino la stessa domanda ch'era allora stata fatta a lui; quest'altro ripeteva l'esclamazione che s'era sentita risonare agli orecchi; per tutto lamenti, minacce, maraviglie: un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi.

Non mancava altro che un'occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò molto. Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un crocchio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso in una polveriera. - Ecco se c'è il pane! - gridarono cento voci insieme. - Sì, per i tiranni, che notano nell'abbondanza, e voglion far morir noi di fame, - dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla, dà una stratta, e dice: - lascia vedere -. Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne. - Giù quella gerla, - si grida intanto. Molte mani l'afferrano a un tempo: è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza si diffonde all'intorno. - Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi, - dice il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'addenta: mani alla gerla, pani per aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non era toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla facilità dell'impresa, si mossero a branchi, in cerca d'altre gerle: quante incontrate, tante svaligiate. E non c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico, e via a gambe. Con tutto ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati poi con gli uni e con gli altri, c'eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fiocchi. - Al forno! al forno! - si grida.

Nella strada chiamata la Corsia de' Servi, c'era, e c'è tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome; nome che in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così salvatiche, che l'alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono (El prestin di scansc.). A quella parte s'avventò la gente. Quelli della bottega stavano interrogando il garzone tornato scarico, il quale, tutto sbigottito e abbaruffato, riferiva balbettando la sua trista avventura; quando si sente un calpestìo e un urlìo insieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della masnada.

Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere aiuto al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta la bottega, e appuntellano i battenti. La gente comincia a affollarsi di fuori, e a gridare: - pane! pane! aprite! aprite!

Pochi momenti dopo, arriva il capitano di giustizia, con una scorta d'alabardieri. - Largo, largo, figliuoli: a casa, a casa; fate luogo al capitano di giustizia, - grida lui e gli alabardieri. La gente, che non era ancor troppo fitta, fa un po' di luogo; dimodoche quelli poterono arrivare, e postarsi, insieme, se non in ordine, davanti alla porta della bottega.

- Ma figliuoli, - predicava di lì il capitano, - che fate qui? A casa, a casa. Dov'è il timor di Dio? Che dirà il re nostro signore? Non vogliam farvi male; ma andate a casa. Da bravi! Che diamine volete far qui, così ammontati? Niente di bene, ne per l'anima, né per il corpo. A casa, a casa.

Ma quelli che vedevan la faccia del dicitore, e sentivan le sue parole, quand'anche avessero voluto ubbidire, dite un poco in che maniera avrebber potuto, spinti com'erano, e incalzati da quelli di dietro, spinti anch'essi da altri, come flutti da flutti, via via fino al l'estremità della folla, che andava sempre crescendo. Al capitano, cominciava a mancargli il respiro. - Fateli dare addietro ch'io possa riprender fiato, - diceva agli alabardieri: - ma non fate male a nessuno. Vediamo d'entrare in bottega: picchiate; fateli stare indietro.

- Indietro! indietro! - gridano gli alabardieri, buttandosi tutti insieme addosso ai primi, e respingendoli con l'aste dell'alabarde. Quelli urlano, si tirano indietro, come possono; dànno con le schiene ne' petti, co' gomiti nelle pance, co' calcagni sulle punte de' piedi a quelli che son dietro a loro: si fa un pigìo, una calca, che quelli che si trovavano in mezzo, avrebbero pagato qualcosa a essere altrove. Intanto un po' di vòto s'è fatto davanti alla porta: il capitano picchia, ripicchia, urla che gli aprano: quelli di dentro vedono dalle finestre, scendon di corsa, aprono; il capitano entra, chiama gli alabardieri, che si ficcan dentro anch'essi l'un dopo l'altro, gli ultimi rattenendo la folla con l'alabarde. Quando sono entrati tutti, si mette tanto di catenaccio, si riappuntella; il capitano sale di corsa, e s'affaccia a una finestra. Uh, che formicolaio!

- Figliuoli, - grida: molti si voltano in su; - figliuoli, andate a casa. Perdono generale a chi torna subito a casa.

- Pane! pane! aprite! aprite! - eran le parole più distinte nell'urlìo orrendo, che la folla mandava in risposta.

- Giudizio, figliuoli! badate bene! siete ancora a tempo. Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è questa la maniera. Eh!... eh! che fate laggiu! Eh! a quella porta! Oibò oibò! Vedo, vedo: giudizio! badate bene! è un delitto grosso. Or ora vengo io. Eh! eh! smettete con que' ferri; giu quelle mani. Vergogna! Voi altri milanesi, che, per la bontà, siete nominati in tutto il mondo! Sentite, sentite: siete sempre stati buoni fi... Ah canaglia!

Questa rapida mutazione di stile fu cagionata da una pietra che, uscita dalle mani d'uno di que' buoni figliuoli, venne a batter nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica. - Canaglia! canaglia! - continuava a gridare, chiudendo presto presto la finestra, e ritirandosi. Ma quantunque avesse gridato quanto n'aveva in canna, le sue parole, buone e cattive, s'eran tutte dileguate e disfatte a mezz'aria, nella tempesta delle grida che venivan di giù. Quello poi che diceva di vedere, era un gran lavorare di pietre, di ferri (i primi che coloro avevano potuto procacciarsi per la strada), che si faceva alla porta, per sfondarla, e alle finestre, per svellere l'inferriate: e già l'opera era molto avanzata.

Intanto, padroni e garzoni della bottega, ch'erano alle finestre de' piani di sopra, con una munizione di pietre (avranno probabilmente disselciato un cortile), urlavano e facevan versacci a quelli di giù, perché smettessero; facevan vedere le pietre, accennavano di volerle buttare. Visto ch'era tempo perso, cominciarono a buttarle davvero. Neppur una ne cadeva in fallo; giacché la calca era tale, che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in terra.

- Ah birboni! ah furfantoni! È questo il pane, che date alla povera gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Ora, ora! - s'urlava di giù. Più d'uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti. Il furore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l'inferriate, svelte; e il torrente penetrò per tutti i varchi. Quelli di dentro, vedendo la mala parata, scapparono in soffitta: il capitano, gli alabardieri, e alcuni della casa stettero lì rannicchiati ne' cantucci; altri, uscendo per gli abbaini, andavano su pe' tetti, come i gatti.

La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni di vendette sanguinose. Si slanciano ai cassoni; il pane è messo a ruba. Qualcheduno in vece corre al banco, butta giù la serratura, agguanta le ciotole, piglia a manate, intasca, ed esce carico di quattrini, per tornar poi a rubar pane, se ne rimarrà. La folla si sparge ne' magazzini. Metton mano ai sacchi, li strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambe, gli scioglie la bocca, e, per ridurlo a un carico da potersi portare, butta via una parte della farina: chi, gridando: - aspetta, aspetta, - si china a parare il grembiule, un fazzoletto, il cappello, per ricever quella grazia di Dio; uno corre a una madia, e prende un pezzo di pasta, che s'allunga, e gli scappa da ogni parte; un altro, che ha conquistato un burattello, lo porta per aria: chi va, chi viene: uomini, donne, fanciulli, spinte, rispinte, urli, e un bianco polverìo che per tutto si posa, per tutto si solleva, e tutto vela e annebbia. Di fuori, una calca composta di due processioni opposte, che si rompono e s'intralciano a vicenda, di chi esce con la preda, e di chi vuol entrare a farne.

Mentre quel forno veniva così messo sottosopra, nessun altro della città era quieto e senza pericolo. Ma a nessuno la gente accorse in numero tale da potere intraprender tutto; in alcuni, i padroni avevan raccolto degli ausiliari, e stavan sulle difese; altrove, trovandosi in pochi, venivano in certo modo a patti: distribuivan pane a quelli che s'eran cominciati a affollare davanti alle botteghe, con questo che se n'andassero. E quelli se n'andavano, non tanto perché fosser soddisfatti, quanto perché gli alabardieri e la sbirraglia, stando alla larga da quel tremendo forno delle grucce, si facevan però vedere altrove, in forza bastante a tenere in rispetto i tristi che non fossero una folla. Così il trambusto andava sempre crescendo a quel primo disgraziato forno; perché tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far qualche bell'impresa, correvan là, dove gli amici erano i più forti, e l'impunità sicura.

A questo punto eran le cose, quando Renzo, avendo ormai sgranocchiato il suo pane, veniva avanti per il borgo di porta orientale, e s'avviava, senza saperlo, proprio al luogo centrale del tumulto. Andava, ora lesto, ora ritardato dalla folla; e andando, guardava e stava in orecchi, per ricavar da quel ronzìo confuso di discorsi qualche notizia più positiva dello stato delle cose. Ed ecco a un di presso le parole che gli riuscì di rilevare in tutta la strada che fece.

- Ora è scoperta, - gridava uno, - l'impostura infame di que' birboni, che dicevano che non c'era né pane, né farina, né grano. Ora si vede la cosa chiara e lampante; e non ce la potranno più dare ad intendere. Viva l'abbondanza!

- Vi dico io che tutto questo non serve a nulla, - diceva un altro: - è un buco nell'acqua; anzi sarà peggio, se non si fa una buona giustizia. Il pane verrà a buon mercato, ma ci metteranno il veleno, per far morir la povera gente, come mosche. Già lo dicono che siam troppi; l'hanno detto nella giunta; e lo so di certo, per averlo sentito dir io, con quest'orecchi, da una mia comare, che è amica d'un parente d'uno sguattero d'uno di que' signori.

Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca, un altro, che teneva con una mano un cencio di fazzoletto su' capelli arruffati e insanguinati. E qualche vicino, come per consolarlo, gli faceva eco.

- Largo, largo, signori, in cortesia; lascin passare un povero padre di famiglia, che porta da mangiare a cinque figliuoli -. Così diceva uno che veniva barcollando sotto un gran sacco di farina; e ognuno s'ingegnava di ritirarsi, per fargli largo.

- Io? - diceva un altro, quasi sottovoce, a un suo compagno: - io me la batto. Son uomo di mondo, e so come vanno queste cose. Questi merlotti che fanno ora tanto fracasso, domani o doman l'altro, se ne staranno in casa, tutti pieni di paura. Ho già visto certi visi, certi galantuomini che giran, facendo l'indiano, e notano chi c'è e chi non c'è: quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca, tocca.

- Quello che protegge i fornai, - gridava una voce sonora, che attirò l'attenzione di Renzo, - è il vicario di provvisione.

- Son tutti birboni, - diceva un vicino.

- Sì; ma il capo è lui, - replicava il primo.

Il vicario di provvisione, eletto ogn'anno dal governatore tra sei nobili proposti dal Consiglio de' decurioni, era il presidente di questo, e del tribunale di provvisione; il quale, composto di dodici, anche questi nobili, aveva, con altre attribuzioni, quella principalmente dell'annona. Chi occupava un tal posto doveva necessariamente, in tempi di fame e d'ignoranza, esser detto l'autore de' mali: meno che non avesse fatto ciò che fece Ferrer; cosa che non era nelle sue facoltà, se anche fosse stata nelle sue idee.

- Scellerati! - esclamava un altro: - si può far di peggio? sono arrivati a dire che il gran cancelliere è un vecchio rimbambito, per levargli il credito, e comandar loro soli. Bisognerebbe fare una gran stia, e metterli dentro, a viver di vecce e di loglio, come volevano trattar noi.

- Pane eh? - diceva uno che cercava d'andar in fretta: - sassate di libbra: pietre di questa fatta, che venivan giù come la grandine. E che schiacciata di costole! Non vedo l'ora d'essere a casa mia.

Tra questi discorsi, dai quali non saprei dire se fosse più informato o sbalordito, e tra gli urtoni, arrivò Renzo finalmente davanti a quel forno. La gente era già molto diradata, dimodoché poté contemplare il brutto e recente soqquadro. Le mura scalcinate e ammaccate da sassi, da mattoni, le finestre sgangherate, diroccata la porta.

"Questa poi non è una bella cosa", disse Renzo tra sé: "se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne' pozzi?"

Ogni tanto, usciva dalla bottega qualcheduno che portava un pezzo di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d'una gramola, una panca, una paniera, un libro di conti, qualche cosa in somma di quel povero forno; e gridando: - largo, largo, - passava tra la gente. Tutti questi s'incamminavano dalla stessa parte, e a un luogo convenuto, si vedeva. "Cos'è quest'altra storia?" pensò di nuovo Renzo; e andò dietro a uno che, fatto un fascio d'asse spezzate e di schegge, se lo mise in ispalla, avviandosi, come gli altri, per la strada che costeggia il fianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli scalini che c'erano, e da poco in qua non ci son più. La voglia d'osservar gli avvenimenti non poté fare che il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su, con la bocca aperta. Studiò poi il passo, per raggiunger colui che aveva preso come per guida; voltò il canto, diede un'occhiata anche alla facciata del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il mezzo della piazza. La gente era più fitta quanto più s'andava avanti, ma al portatore gli si faceva largo: egli fendeva l'onda del popolo, e Renzo, standogli sempre attaccato, arrivò con lui al centro della folla. Lì c'era uno spazio vòto, e in mezzo, un mucchio di brace, reliquie degli attrezzi detti di sopra. All'intorno era un batter di mani e di piedi, un frastono di mille grida di trionfo e d'imprecazione.

L'uomo del fascio lo buttò su quel mucchio; un altro, con un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco: il fumo cresce e s'addensa; la fiamma si ridesta; con essa le grida sorgon più forti. - Viva l'abbondanza! Moiano gli affamatori! Moia la carestia! Crepi la Provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane!

Veramente, la distruzion de' frulloni e delle madie, la devastazion de' forni, e lo scompiglio de' fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva. Però, senza essere un gran metafisico, un uomo ci arriva talvolta alla prima, finch'è nuovo nella questione; e solo a forza di parlarne, e di sentirne parlare, diventerà inabile anche a intenderle. A Renzo in fatti quel pensiero gli era venuto, come abbiam visto, da principio, e gli tornava ogni momento. Lo tenne per altro in sé; perché, di tanti visi, non ce n'era uno che sembrasse dire: fratello, se fallo, correggimi, che l'avrò caro.

Già era di nuovo finita la fiamma; non si vedeva più venir nessuno con altra materia, e la gente cominciava a annoiarsi; quando si sparse la voce, che, al Cordusio (una piazzetta o un crocicchio non molto distante di lì), s'era messo l'assedio a un forno. Spesso, in simili circostanze, l'annunzio d'una cosa la fa essere. Insieme con quella voce, si diffuse nella moltitudine una voglia di correr là: - io vo; tu, vai? vengo; andiamo, - si sentiva per tutto: la calca si rompe, e diventa una processione. Renzo rimaneva indietro, non movendosi quasi, se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva intanto consiglio in cuor suo, se dovesse uscir dal baccano, e ritornare al convento, in cerca del padre Bonaventura, o andare a vedere anche quest'altra. Prevalse di nuovo la curiosità. Però risolvette di non cacciarsi nel fitto della mischia, a farsi ammaccar l'ossa, o a risicar qualcosa di peggio; ma di tenersi in qualche distanza, a osservare. E trovandosi già un poco al largo, si levò di tasca il secondo pane, e attaccandoci un morso, s'avviò alla coda dell'esercito tumultuoso.

Questo, dalla piazza, era già entrato nella strada corta e stretta di Pescheria vecchia, e di là, per quell'arco a sbieco, nella piazza de' Mercanti. E lì eran ben pochi quelli che, nel passar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell'edifizio chiamato allora il collegio de' dottori, non dessero un'occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo II, che, anche dal marmo, imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse lì per dire: ora vengo io, marmaglia.

Quella statua non c'è più, per un caso singolare. Circa cento settant'anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto. Così accomodata stette forse un par d'anni; ma, una mattina, certuni che non avevan simpatia con Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la ruzzolarono non so dove. Chi l'avesse detto a Andrea Biffi, quando la scolpiva!

Dalla piazza de' Mercanti, la marmaglia insaccò, per quell'altr'arco, nella via de' fustagnai, e di lì si sparpagliò nel Cordusio. Ognuno, al primo sboccarvi, guardava subito verso il forno ch'era stato indicato. Ma in vece della moltitudine d'amici che s'aspettavano di trovar lì già al lavoro, videro soltanto alcuni starsene, come esitando, a qualche distanza della bottega, la quale era chiusa, e alle finestre gente armata, in atto di star pronti a difendersi. A quella vista, chi si maravigliava, chi sagrava, chi rideva; chi si voltava, per informar quelli che arrivavan via via; chi si fermava, chi voleva tornare indietro, chi diceva: - avanti, avanti -. C'era un incalzare e un rattenere, come un ristagno, una titubazione, un ronzìo confuso di contrasti e di consulte. In questa, scoppiò di mezzo alla folla una maledetta voce: - c'è qui vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far giustizia, e a dare il sacco -. Parve il rammentarsi comune d'un concerto preso, piuttosto che l'accettazione d'una proposta. - Dal vicario! dal vicario! - è il solo grido che si possa sentire. La turba si move, tutta insieme, verso la strada dov'era la casa nominata in un così cattivo punto.

CAPITOLO XIII

Lo sventurato vicario stava, in quel momento, facendo un chilo agro e stentato d'un desinare biascicato senza appetito, e senza pan fresco, e attendeva, con gran sospensione, come avesse a finire quella burrasca, lontano però dal sospettar che dovesse cader così spaventosamente addosso a lui. Qualche galantuomo precorse di galoppo la folla, per avvertirlo di quel che gli sovrastava. I servitori, attirati già dal rumore sulla porta, guardavano sgomentati lungo la strada, dalla parte donde il rumore veniva avvicinandosi. Mentre ascoltan l'avviso, vedon comparire la vanguardia: in fretta e in furia, si porta l'avviso al padrone: mentre questo pensa a fuggire, e come fuggire, un altro viene a dirgli che non è più a tempo. I servitori ne hanno appena tanto che basti per chiuder la porta. Metton la stanga, metton puntelli, corrono a chiuder le finestre, come quando si vede venire avanti un tempo nero, e s'aspetta la grandine, da un momento all'altro. L'urlìo crescente, scendendo dall'alto come un tuono, rimbomba nel vòto cortile; ogni buco della casa ne rintrona: e di mezzo al vasto e confuso strepito, si senton forti e fitti colpi di pietre alla porta.

- Il vicario! Il tiranno! L'affamatore! Lo vogliamo! vivo o morto!

Il meschino girava di stanza in stanza, pallido, senza fiato, battendo palma a palma, raccomandandosi a Dio, e a' suoi servitori, che tenessero fermo, che trovassero la maniera di farlo scappare. Ma come, e di dove? Salì in soffitta; da un pertugio, guardò ansiosamente nella strada, e la vide piena zeppa di furibondi; sentì le voci che chiedevan la sua morte; e più smarrito che mai, si ritirò, e andò a cercare il più sicuro e riposto nascondiglio. Lì rannicchiato, stava attento, attento, se mai il funesto rumore s'affievolisse, se il tumulto s'acquietasse un poco; ma sentendo in vece il muggito alzarsi più feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso da un nuovo soprassalto al cuore, si turava gli orecchi in fretta. Poi, come fuori di sé, stringendo i denti, e raggrinzando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pugni, come se volesse tener ferma la porta... Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo; e la storia è costretta a indovinare. Fortuna che c'è avvezza.

Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrore pretto e immediato. E quantunque, per quella funesta docilità degli animi appassionati all'affermare appassionato di molti, fosse persuasissimo che il vicario era la cagion principale della fame, il nemico de' poveri, pure, avendo, al primo moversi della turba, sentita a caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni sforzo per salvarlo, s'era subito proposto d'aiutare anche lui un'opera tale; e, con quest'intenzione, s'era cacciato, quasi fino a quella porta, che veniva travagliata in cento modi. Chi con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s'ingegnavano di levare i mattoni, e fare una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de' lavoranti: giacché, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un impedimento.

I magistrati ch'ebbero i primi l'avviso di quel che accadeva, spediron subito a chieder soccorso al comandante del castello, che allora si diceva di porta Giovia; il quale mandò alcuni soldati. Ma, tra l'avviso, e l'ordine, e il radunarsi, e il mettersi in cammino, e il cammino, essi arrivarono che la casa era già cinta di vasto assedio; e fecero alto lontano da quella, all'estremità della folla. L'ufiziale che li comandava, non sapeva che partito prendere. Lì non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso, che stava a vedere. All'intimazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi, e di dar luogo, rispondevano con un cupo e lungo mormorìo; nessuno si moveva. Far fuoco sopra quella ciurma, pareva all'ufiziale cosa non solo crudele, ma piena di pericolo; cosa che, offendendo i meno terribili, avrebbe irritato i molti violenti: e del resto, non aveva una tale istruzione. Aprire quella prima folla, rovesciarla a destra e a sinistra, e andare avanti a portar la guerra a chi la faceva, sarebbe stata la meglio; ma riuscirvi, lì stava il punto. Chi sapeva se i soldati avrebber potuto avanzarsi uniti e ordinati? Che se, in vece di romper la folla, si fossero sparpagliati loro tra quella, si sarebber trovati a sua discrezione, dopo averla aizzata. L'irresolutezza del comandante e l'immobilità de' soldati parve, a diritto o a torto, paura. La gente che si trovavan vicino a loro, si contentavano di guardargli in viso, con un'aria, come si dice, di me n'impipo; quelli ch'erano un po' più lontani, non se ne stavano di provocarli, con visacci e con grida di scherno; più in là, pochi sapevano o si curavano che ci fossero; i guastatori seguitavano a smurare, senz'altro pensiero che di riuscir presto nell'impresa; gli spettatori non cessavano d'animarla con gli urli.

Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un vecchio mal vissuto, che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse.

- Oibò! vergogna! - scappò fuori Renzo, inorridito a quelle parole, alla vista di tant'altri visi che davan segno d'approvarle, e incoraggito dal vederne degli altri, sui quali, benché muti, traspariva lo stesso orrore del quale era compreso lui. - Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de' fulmini, e non del pane!

- Ah cane! ah traditor della patria! - gridò, voltandosi a Renzo, con un viso da indemoniato, un di coloro che avevan potuto sentire tra il frastono quelle sante parole. - Aspetta, aspetta! È un servitore del vicario, travestito da contadino: è una spia: dàlli, dàlli! - Cento voci si spargono all'intorno. - Cos'è? dov'è? chi è? Un servitore del vicario. Una spia. Il vicario travestito da contadino, che scappa. Dov'è? dov'è? dàlli, dàlli!

Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe sparire; alcuni suoi vicini lo prendono in mezzo; e con alte e diverse grida cercano di confondere quelle voci nemiche e omicide. Ma ciò che più di tutto lo servì fu un - largo, largo, - che si sentì gridar lì vicino: - largo! è qui l'aiuto: largo, ohe!

Cos'era? Era una lunga scala a mano, che alcuni portavano, per appoggiarla alla casa, e entrarci da una finestra. Ma per buona sorte, quel mezzo, che avrebbe resa la cosa facile, non era facile esso a mettere in opera. I portatori, all'una e all'altra cima, e di qua e di là della macchina, urtati, scompigliati, divisi dalla calca, andavano a onde: uno, con la testa tra due scalini, e gli staggi sulle spalle, oppresso come sotto un giogo scosso, mugghiava; un altro veniva staccato dal carico con una spinta; la scala abbandonata picchiava spalle, braccia, costole: pensate cosa dovevan dire coloro de' quali erano. Altri sollevano con le mani il peso morto, vi si caccian sotto, se lo mettono addosso, gridando: - animo! andiamo! - La macchina fatale s'avanza balzelloni, e serpeggiando. Arrivò a tempo a distrarre e a disordinare i nemici di Renzo, il quale profittò della confusione nata nella confusione; e, quatto quatto sul principio, poi giocando di gomita a più non posso, s'allontanò da quel luogo, dove non c'era buon'aria per lui, con l'intenzione anche d'uscire, più presto che potesse, dal tumulto, e d'andar davvero a trovare o a aspettare il padre Bonaventura.

Tutt'a un tratto, un movimento straordinario cominciato a una estremità, si propaga per la folla, una voce si sparge, viene avanti di bocca in bocca: - Ferrer! Ferrer! - Una maraviglia, una gioia, una rabbia, un'inclinazione, una ripugnanza, scoppiano per tutto dove arriva quel nome; chi lo grida, chi vuol soffogarlo; chi afferma, chi nega, chi benedice, chi bestemmia.

- È qui Ferrer! - Non è vero, non è vero! - Sì, sì; viva Ferrer! quello che ha messo il pane a buon mercato. - No, no! - E qui, è qui in carrozza. - Cosa importa? che c'entra lui? non vogliamo nessuno! - Ferrer! viva Ferrer! l'amico della povera gente! viene per condurre in prigione il vicario. - No, no: vogliamo far giustizia noi: indietro, indietro! - Sì, sì: Ferrer! venga Ferrer! in prigione il vicario!

E tutti, alzandosi in punta di piedi, si voltano a guardare da quella parte donde s'annunziava l'inaspettato arrivo. Alzandosi tutti, vedevano né più né meno che se fossero stati tutti con le piante in terra; ma tant'è, tutti s'alzavano.

In fatti, all'estremità della folla, dalla parte opposta a quella dove stavano i soldati, era arrivato in carrozza Antonio Ferrer, il gran cancelliere; il quale, rimordendogli probabilmente la coscienza d'essere co' suoi spropositi e con la sua ostinazione, stato causa, o almeno occasione di quella sommossa, veniva ora a cercar d'acquietarla, e d'impedirne almeno il più terribile e irreparabile effetto: veniva a spender bene una popolarità mal acquistata.

Ne' tumulti popolari c'è sempre un certo numero d'uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio; propongono o promovono i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura. Ma per contrappeso, c'è sempre anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari, s'adoprano per produr l'effetto contrario: taluni mossi da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri senz'altro impulso che d'un pio e spontaneo orrore del sangue e de' fatti atroci. Il cielo li benedica. In ciascuna di queste due parti opposte, anche quando non ci siano concerti antecedenti, l'uniformità de' voleri crea un concerto istantaneo nell'operazioni. Chi forma poi la massa, e quasi il materiale del tumulto, è un miscuglio accidentale d'uomini, che, più o meno, per gradazioni indefinite, tengono dell'uno e dell'altro estremo: un po' riscaldati, un po' furbi, un po' inclinati a una certa giustizia, come l'intendon loro, un po' vogliosi di vederne qualcheduna grossa, pronti alla ferocia e alla misericordia, a detestare e ad adorare, secondo che si presenti l'occasione di provar con pienezza l'uno o l'altro sentimento; avidi ogni momento di sapere, di credere qualche cosa grossa, bisognosi di gridare, d'applaudire a qualcheduno, o d'urlargli dietro. Viva e moia, son le parole che mandan fuori più volentieri; e chi è riuscito a persuaderli che un tale non meriti d'essere squartato, non ha bisogno di spender più parole per convincerli che sia degno d'esser portato in trionfo: attori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento; pronti anche a stare zitti, quando non sentan più grida da ripetere, a finirla, quando manchino gl'istigatori, a sbandarsi, quando molte voci concordi e non contraddette abbiano detto: andiamo; e a tornarsene a casa, domandandosi l'uno con l'altro: cos'è stato? Siccome però questa massa, avendo la maggior forza, la può dare a chi vuole, così ognuna delle due parti attive usa ogni arte per tirarla dalla sua, per impadronirsene: sono quasi due anime nemiche, che combattono per entrare in quel corpaccio, e farlo movere. Fanno a chi saprà sparger le voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a favore dell'uno o dell'altro intento; a chi saprà più a proposito trovare le nuove che riaccendano gli sdegni, o gli affievoliscano, risveglino le speranze o i terrori; a chi saprà trovare il grido, che ripetuto dai più e più forte, esprima, attesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralità, per l'una o per l'altra parte.

Tutta questa chiacchierata s'è fatta per venire a dire che, nella lotta tra le due parti che si contendevano il voto della gente affollata alla casa del vicario, l'apparizione d'Antonio Ferrer diede, quasi in un momento, un gran vantaggio alla parte degli umani, la quale era manifestamente al di sotto, e, un po' più che quel soccorso fosse tardato, non avrebbe avuto più, né forza, né motivo di combattere. L'uomo era gradito alla moltitudine, per quella tariffa di sua invenzione così favorevole a' compratori, e per quel suo eroico star duro contro ogni ragionamento in contrario. Gli animi già propensi erano ora ancor più innamorati dalla fiducia animosa del vecchio che, senza guardie, senza apparato, veniva così a trovare, ad affrontare una moltitudine irritata e procellosa. Faceva poi un effetto mirabile il sentire che veniva a condurre in prigione il vicario: così il furore contro costui, che si sarebbe scatenato peggio, chi l'avesse preso con le brusche, e non gli avesse voluto conceder nulla, ora, con quella promessa di soddisfazione, con quell'osso in bocca, s'acquietava un poco, e dava luogo agli altri opposti sentimenti, che sorgevano in una gran parte degli animi.

I partigiani della pace, ripreso fiato, secondavano Ferrer in cento maniere: quelli che si trovavan vicini a lui, eccitando e rieccitando col loro il pubblico applauso, e cercando insieme di far ritirare la gente, per aprire il passo alla carrozza; gli altri, applaudendo, ripetendo e facendo passare le sue parole, o quelle che a lor parevano le migliori che potesse dire, dando sulla voce ai furiosi ostinati, e rivolgendo contro di loro la nuova passione della mobile adunanza. - Chi è che non vuole che si dica: viva Ferrer? Tu non vorresti eh, che il pane fosse a buon mercato? Son birboni che non vogliono una giustizia da cristiani: e c'è di quelli che schiamazzano più degli altri, per fare scappare il vicario. In prigione il vicario! Viva Ferrer! Largo a Ferrer! - E crescendo sempre più quelli che parlavan così, s'andava a proporzione abbassando la baldanza della parte contraria; di maniera che i primi dal predicare vennero anche a dar sulle mani a quelli che diroccavano ancora, a cacciarli indietro, a levar loro dall'unghie gli ordigni. Questi fremevano, minacciavano anche, cercavan di rifarsi; ma la causa del sangue era perduta: il grido che predominava era: prigione, giustizia, Ferrer! Dopo un po' di dibattimento, coloro furon respinti: gli altri s'impadroniron della porta, e per tenerla difesa da nuovi assalti, e per prepararvi l'adito a Ferrer; e alcuno di essi, mandando dentro una voce a quelli di casa (fessure non ne mancava), gli avvisò che arrivava soccorso, e che facessero star pronto il vicario, - per andar subito... in prigione: ehm, avete inteso?

- È quel Ferrer che aiuta a far le gride? - domandò a un nuovo vicino il nostro Renzo, che si rammentò del vidit Ferrer che il dottore gli aveva gridato all'orecchio, facendoglielo vedere in fondo di quella tale.

- Già: il gran cancelliere - gli fu risposto.

- È un galantuomo, n'è vero?

- Eccome se è un galantuomo! è quello che aveva messo il pane a buon mercato; e gli altri non hanno voluto; e ora viene a condurre in prigione il vicario, che non ha fatto le cose giuste.

Non fa bisogno di dire che Renzo fu subito per Ferrer. Volle andargli incontro addirittura: la cosa non era facile; ma con certe sue spinte e gomitate da alpigiano, riuscì a farsi far largo, e a arrivare in prima fila, proprio di fianco alla carrozza.

Era questa già un po' inoltrata nella folla; e in quel momento stava ferma, per uno di quegl'incagli inevitabili e frequenti, in un'andata di quella sorte. Il vecchio Ferrer presentava ora all'uno, ora all'altro sportello, un viso tutto umile, tutto ridente, tutto amoroso, un viso che aveva tenuto sempre in serbo per quando si trovasse alla presenza di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderlo anche in quest'occasione. Parlava anche; ma il chiasso e il ronzlo di tante voci, gli evviva stessi che si facevano a lui, lasciavano ben poco e a ben pochi sentir le sue parole. S'aiutava dunque co' gesti, ora mettendo la punta delle mani sulle labbra, a prendere un bacio che le mani, separandosi subito, distribuivano a destra e a sinistra in ringraziamento alla pubblica benevolenza; ora stendendole e movendole lentamente fuori d'uno sportello, per chiedere un po' di luogo; ora abbassandole garbatamente, per chiedere un po' di silenzio. Quando n'aveva ottenuto un poco, i più vicini sentivano e ripetevano le sue parole: - pane, abbondanza: vengo a far giustizia: un po' di luogo di grazia -. Sopraffatto poi e come soffogato dal fracasso di tante voci, dalla vista di tanti visi fitti, di tant'occhi addosso a lui, si tirava indietro un momento, gonfiava le gote, mandava un gran soffio, e diceva tra sé: "por mi vida' que de gente!" - Viva Ferrer! Non abbia paura. Lei è un galantuomo. Pane, pane!

- Sì; pane, pane, - rispondeva Ferrer: - abbondanza; lo prometto io, - e metteva la mano al petto.

- Un po' di luogo, - aggiungeva subito: - vengo per condurlo in prigione, per dargli il giusto gastigo che si merita: - e soggiungeva sottovoce: - si es culpable-. Chinandosi poi innanzi verso il cocchiere, gli diceva in fretta: - adelante' Pedro' si puedes.

Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine, con una grazia affettuosa, come se fosse stato un gran personaggio; e con un garbo ineffabile, dimenava adagio adagio la frusta, a destra e a sinistra, per chiedere agl'incomodi vicini che si ristringessero e si ritirassero un poco. - Di grazia, - diceva anche lui, - signori miei, un po' di luogo, un pochino; appena appena da poter passare.

Intanto i benevoli più attivi s'adopravano a far fare il luogo chiesto così gentilmente. Alcuni davanti ai cavalli facevano ritirar le persone, con buone parole, con un mettere le mani sui petti, con certe spinte soavi: - in là, via, un po' di luogo, signori -; alcuni facevan lo stesso dalle due parti della carrozza, perché potesse passare senza arrotar piedi, né ammaccar mostacci; che, oltre il male delle persone, sarebbe stato porre a un gran repentaglio l'auge d'Antonio Ferrer.

Renzo, dopo essere stato qualche momento a vagheggiare quella decorosa vecchiezza, conturbata un po' dall'angustia, aggravata dalla fatica, ma animata dalla sollecitudine, abbellita, per dir così, dalla speranza di togliere un uomo all'angosce mortali, Renzo, dico, mise da parte ogni pensiero d'andarsene; e si risolvette d'aiutare Ferrer, e di non abbandonarlo, fin che non fosse ottenuto l'intento. Detto fatto, si mise con gli altri a far far largo; e non era certo de' meno attivi. Il largo si fece; - venite pure avanti, - diceva più d'uno al cocchiere, ritirandosi o andando a fargli un po' di strada più innanzi. - Adelante, presto, con juicio, - gli disse anche il padrone; e la carrozza si mosse. Ferrer, in mezzo ai saluti che scialacquava al pubblico in massa, ne faceva certi particolari di ringraziamento, con un sorriso d'intelligenza, a quelli che vedeva adoprarsi per lui: e di questi sorrisi ne toccò più d'uno a Renzo, il quale per verità se li meritava, e serviva in quel giorno il gran cancelliere meglio che non avrebbe potuto fare il più bravo de' suoi segretari. Al giovane montanaro invaghito di quella buona grazia, pareva quasi d'aver fatto amicizia con Antonio Ferrer.

La carrozza, una volta incamminata, seguitò poi, più o meno adagio, e non senza qualche altra fermatina. Il tragitto non era forse più che un tiro di schioppo; ma riguardo al tempo impiegatovi, avrebbe potuto parere un viaggetto, anche a chi non avesse avuto la santa fretta di Ferrer. La gente si moveva, davanti e di dietro, a destra e a sinistra della carrozza, a guisa di cavalloni intorno a una nave che avanza nel forte della tempesta. Più acuto, più scordato, più assordante di quello della tempesta era il frastono. Ferrer, guardando ora da una parte, ora dall'altra; atteggiandosi e gestendo insieme, cercava d'intender qualche cosa, per accomodar le risposte al bisogno; voleva far alla meglio un po' di dialogo con quella brigata d'amici; ma la cosa era difficile, la più difficile forse che gli fosse ancora capitata, in tant'anni di gran-cancellierato. Ogni tanto però, qualche parola, anche qualche frase, ripetuta da un crocchio nel suo passaggio, gli si faceva sentire, come lo scoppio d'un razzo più forte si fa sentire nell'immenso scoppiettìo d'un fuoco artifiziale. E lui, ora ingegnandosi di rispondere in modo soddisfacente a queste grida, ora dicendo a buon conto le parole che sapeva dover esser più accette, o che qualche necessità istantanea pareva richiedere, parlò anche lui per tutta la strada. - Sì, signori; pane, abbondanza. Lo condurrò io in prigione: sarà gastigato... si es culpable. Sì, sì, comanderò io: il pane a buon mercato. Asi es... così è, voglio dire: il re nostro signore non vuole che codesti fedelissimi vassalli patiscan la fame. Ox! ox! guardaos: non si facciano male, signori. Pedro' adelante con juicio. Abbondanza, abbondanza. Un po' di luogo, per carità. Pane, pane. In prigione, in prigione. Cosa? - domandava poi a uno che s'era buttato mezzo dentro lo sportello, a urlargli qualche suo consiglio o preghiera o applauso che fosse. Ma costui, senza poter neppure ricevere il "cosa?" era stato tirato indietro da uno che lo vedeva lì lì per essere schiacciato da una rota. Con queste botte e risposte, tra le incessanti acclamazioni, tra qualche fremito anche d'opposizione, che si faceva sentire qua e là, ma era subito soffogato, ecco alla fine Ferrer arrivato alla casa, per opera principalmente di que' buoni ausiliari.

Gli altri che, come abbiam detto, eran già lì con le medesime buone intenzioni, avevano intanto lavorato a fare e a rifare un po' di piazza. Prega, esorta, minaccia; pigia, ripigia, incalza di qua e di là, con quel raddoppiare di voglia, e con quel rinnovamento di forze che viene dal veder vicino il fine desiderato; gli era finalmente riuscito di divider la calca in due, e poi di spingere indietro le due calche; tanto che, tra la porta e la carrozza, che vi si fermò davanti, v'era un piccolo spazio voto. Renzo, che, facendo un po' da battistrada, un po' da scorta, era arrivato con la carrozza, poté collocarsi in una di quelle due frontiere di benevoli, che facevano, nello stesso tempo, ala alla carrozza e argine alle due onde prementi di popolo. E aiutando a rattenerne una con le poderose sue spalle, si trovò anche in un bel posto per poter vedere.

Ferrer mise un gran respiro, quando vide quella piazzetta libera, e la porta ancor chiusa. Chiusa qui vuol dire non aperta; del resto i gangheri eran quasi sconficcati fuor de' pilastri: i battenti scheggiati, ammaccati, sforzati e scombaciati nel mezzo lasciavano veder fuori da un largo spiraglio un pezzo di catenaccio storto, allentato, e quasi divelto, che, se vogliam dir così, li teneva insieme. Un galantuomo s'era affacciato a quel fesso, a gridar che aprissero; un altro spalancò in fretta lo sportello della carrozza: il vecchio mise fuori la testa, s'alzò, e afferrando con la destra il braccio di quel galantuomo, uscì, e scese sul predellino.

La folla, da una parte e dall'altra, stava tutta in punta di piedi per vedere: mille visi, mille barbe in aria: la curiosità e l'attenzione generale creò un momento di generale silenzio. Ferrer, fermatosi quel momento sul predellino, diede un'occhiata in giro, salutò con un inchino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la mano sinistra al petto, gridò: - pane e giustizia -; e franco, diritto, togato, scese in terra, tra l'acclamazioni che andavano alle stelle. Intanto quelli di dentro avevano aperto, ossia avevan finito d'aprire, tirando via il catenaccio insieme con gli anelli già mezzi sconficcati, e allargando lo spiraglio, appena quanto bastava per fare entrare il desideratissimo ospite. - Presto, presto, - diceva lui: - aprite bene, ch'io possa entrare: e voi, da bravi, tenete indietro la gente; non mi lasciate venire addosso... per l'amor del cielo! Serbate un po' di largo per tra poco. Ehi! ehi! signori, un momento, - diceva poi ancora a quelli di dentro: - adagio con quel battente, lasciatemi passare: eh! le mie costole; vi raccomando le mie costole. Chiudete ora: no; eh! eh! la toga! la toga! - Sarebbe in fatti rimasta presa tra i battenti, se Ferrer non n'avesse ritirato con molta disinvoltura lo strascico, che disparve come la coda d'una serpe, che si rimbuca inseguita.

Riaccostati i battenti, furono anche riappuntellati alla meglio. Di fuori, quelli che s'eran costituiti guardia del corpo di Ferrer, lavoravano di spalle, di braccia e di grida, a mantener la piazza vota, pregando in cuor loro il Signore che lo facesse far presto.

- Presto, presto, - diceva anche Ferrer di dentro, sotto il portico, ai servitori, che gli si eran messi d'intorno ansanti, gridando: - sia benedetto! ah eccellenza! oh eccellenza! uh eccellenza!

- Presto, presto, - ripeteva Ferrer: - dov'è questo benedett'uomo?

Il vicario scendeva le scale, mezzo strascicato e mezzo portato da altri suoi servitori, bianco come un panno lavato. Quando vide il suo aiuto, mise un gran respiro; gli tornò il polso, gli scorse un po' di vita nelle gambe, un po' di colore sulle gote; e corse, come poté, verso Ferrer, dicendo: - sono nelle mani di Dio e di vostra eccellenza. Ma come uscir di qui? Per tutto c'è gente che mi vuol morto.

- Venga usted con migo, e si faccia coraggio: qui fuori c'è la mia carrozza; presto, presto -. Lo prese per la mano, e lo condusse verso la porta, facendogli coraggio tuttavia; ma diceva intanto tra sé: "aqui està el busilis; Dios nos valga!"

La porta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietro, rannicchiato, attaccato, incollato alla toga salvatrice, come un bambino alla sottana della mamma. Quelli che avevan mantenuta la piazza vota, fanno ora, con un alzar di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per sottrarre alla vista pericolosa della moltitudine il vicario; il quale entra il primo nella carrozza, e vi si rimpiatta in un angolo. Ferrer sale dopo; lo sportello vien chiuso. La moltitudine vide in confuso, riseppe, indovinò quel ch'era accaduto; e mandò un urlo d'applausi e d'imprecazioni.

La parte della strada che rimaneva da farsi, poteva parer la più difficile e la più pericolosa. Ma il voto pubblico era abbastanza spiegato per lasciar andare in prigione il vicario; e nel tempo della fermata, molti di quelli che avevano agevolato l'arrivo di Ferrer, s'eran tanto ingegnati a preparare e a mantener come una corsìa nel mezzo della folla, che la carrozza poté, questa seconda volta, andare un po' più lesta, e di seguito. Di mano in mano che s'avanzava, le due folle rattenute dalle parti, si ricadevano addosso e si rimischiavano, dietro a quella.

Ferrer, appena seduto, s'era chinato per avvertire il vicario, che stesse ben rincantucciato nel fondo, e non si facesse vedere, per l'amor del cielo; ma l'avvertimento era superfluo. Lui, in vece, bisognava che si facesse vedere, per occupare e attirare a sé tutta l'attenzione del pubblico. E per tutta questa gita, come nella prima, fece al mutabile uditorio un discorso, il più continuo nel tempo, e il più sconnesso nel senso, che fosse mai; interrompendolo però ogni tanto con qualche parolina spagnola, che in fretta in fretta si voltava a bisbigliar nell'orecchio del suo acquattato compagno. - Sì, signori; pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia guardia. Grazie, grazie, grazie tante. No, no: non iscapperà. Por ablandarlos. E troppo giusto; s'esaminerà, si vedrà. Anch'io voglio bene a lor signori. Un gastigo severo. Esto lo digo por su bien. Una meta giusta, una meta onesta, e gastigo agli affamatori. Si tirin da parte, di grazia. Sì, sì; io sono un galantuomo, amico del popolo. Sarà gastigato: è vero, è un birbante, uno scellerato. Perdone, usted. La passerà male, la passerà male... si es culpable. Sì, sì, li faremo rigar diritto i fornai. Viva il re, e i buoni milanesi, suoi fedelissimi vassalli! Sta fresco, sta fresco. Animo; estamos ya quasi fuera.

Avevano in fatti attraversata la maggior calca, e già eran vicini a uscir al largo, del tutto. Lì Ferrer, mentre cominciava a dare un po' di riposo a' suoi polmoni, vide il soccorso di Pisa, que' soldati spagnoli, che però sulla fine non erano stati affatto inutili, giacché sostenuti e diretti da qualche cittadino, avevano cooperato a mandare in pace un po' di gente, e a tenere il passo libero all'ultima uscita. All'arrivar della carrozza, fecero ala, e presentaron l'arme al gran cancelliere, il quale fece anche qui un saluto a destra, un saluto a sinistra; e all'ufiziale, che venne più vicino a fargli il suo, disse, accompagnando le parole con un cenno della destra: - beso a usted las manos-: parole che l'ufiziale intese per quel che volevano dir realmente, cioè: m'avete dato un bell'aiuto! In risposta, fece un altro saluto, e si ristrinse nelle spalle. Era veramente il caso di dire: cedant arma togae; ma Ferrer non aveva in quel momento la testa a citazioni: e del resto sarebbero state parole buttate via, perché l'ufiziale non intendeva il latino.

A Pedro, nel passar tra quelle due file di micheletti, tra que' moschetti così rispettosamente alzati, gli tornò in petto il cuore antico. Si riebbe affatto dallo sbalordimento, si rammentò chi era, e chi conduceva; e gridando: - ohe! ohe! - senz'aggiunta d'altre cerimonie, alla gente ormai rada abbastanza per poter esser trattata così, e sferzando i cavalli, fece loro prender la rincorsa verso il castello.

- Levantese' levantese; estàmos ya fuera, - disse Ferrer al vicario; il quale, rassicurato dal cessar delle grida, e dal rapido moto della carrozza, e da quelle parole, si svolse, si sgruppò, s'alzò; e riavutosi alquanto, cominciò a render grazie, grazie e grazie al suo liberatore. Questi, dopo essersi condoluto con lui del pericolo e rallegrato della salvezza: - ah! - esclamò, battendo la mano sulla sua zucca monda, - que dirà de esto su excelencia, che ha già tanto la luna a rovescio, per quel maledetto Casale, che non vuole arrendersi? Que dirà el conde duque, che piglia ombra se una foglia fa più rumore del solito? Que dirà el rey nuestro señor, che pur qualche cosa bisognerà che venga a risapere d'un fracasso così? E sarà poi finito? Dios lo sabe. - Ah! per me, non voglio più impicciarmene, - diceva il vicario: - me ne chiamo fuori; rassegno la mia carica nelle mani di vostra eccellenza, e vo a vivere in una grotta, sur una montagna, a far l'eremita, lontano, lontano da questa gente bestiale.

- Usted farà quello che sarà più conveniente por el servicio de su magestad, - rispose gravemente il gran cancelliere.

- Sua maestà non vorrà la mia morte, - replicava il vicario: - in una grotta, in una grotta; lontano da costoro.

Che avvenisse poi di questo suo proponimento non lo dice il nostro autore, il quale, dopo avere accompagnato il pover'uomo in castello, non fa più menzione de' fatti suoi.

CAPITOLO XIV

La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. Accosto a quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una fine così fredda e così imperfetta d'un così grand'apparato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata alla meglio. All'arrivar del drappello, tutti coloro, chi diritto diritto, chi baloccandosi, e come a stento, se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' soldati, che lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e della strada. Ma tutte le strade del contorno erano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio si moveva insieme: era come quella nuvolaglia che talvolta rimane sparsa, e gira per l'azzurro del cielo, dopo una burrasca; e fa dire a chi guarda in su: questo tempo non è rimesso bene. Pensate poi che babilonia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi particolari che aveva visti; chi raccontava ciò che lui stesso aveva fatto; chi si rallegrava che la cosa fosse finita bene, e lodava Ferrer, e pronosticava guai seri per il vicario; chi, sghignazzando, diceva: - non abbiate paura, che non l'ammazzeranno: il lupo non mangia la carne del lupo -; chi più stizzosamente mormorava che non s'eran fatte le cose a dovere, ch'era un inganno, e ch'era stata una pazzia il far tanto chiasso, per lasciarsi poi canzonare in quella maniera.

Intanto il sole era andato sotto, le cose diventavan tutte d'un colore; e molti, stanchi della giornata e annoiati di ciarlare al buio, tornavano verso casa. Il nostro giovine, dopo avere aiutato il passaggio della carrozza, finché c'era stato bisogno d'aiuto, e esser passato anche lui dietro a quella, tra le file de' soldati, come in trionfo, si rallegrò quando la vide correr liberamente, e fuor di pericolo; fece un po' di strada con la folla, e n'uscì, alla prima cantonata, per respirare anche lui un po' liberamente. Fatto ch'ebbe pochi passi al largo, in mezzo all'agitazione di tanti sentimenti, di tante immagini, recenti e confuse, sentì un gran bisogno di mangiare e di riposarsi; e cominciò a guardare in su, da una parte e dall'altra, cercando un'insegna d'osteria; giacché, per andare al convento de' cappuccini, era troppo tardi. Camminando così con la testa per aria, si trovò a ridosso a un crocchio; e fermatosi, sentì che vi discorrevan di congetture, di disegni, per il giorno dopo. Stato un momento a sentire, non poté tenersi di non dire anche lui la sua; parendogli che potesse senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto tanto. E persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quel giorno, che ormal, per mandare a effetto una cosa, bastasse farla entrare in grazia a quelli che giravano per le strade, - signori miei! - gridò, in tono d'esordio: - devo dire anch'io il mio debol parere? Il mio debol parere è questo: che non è solamente nell'affare del pane che si fanno delle bricconerie: e giacché oggi s'è visto chiaro che, a farsi sentire, s'ottiene quel che è giusto; bisogna andar avanti così, fin che non si sia messo rimedio a tutte quelle altre scelleratezze, e che il mondo vada un po' più da cristiani. Non è vero, signori miei, che c'è una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più grossa del solito, camminano con la testa più alta, che par che gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce ne dev'essere la sua parte.

- Pur troppo, - disse una voce.

- Lo dicevo io, - riprese Renzo: - già le storie si raccontano anche da noi. E poi la cosa parla da sé. Mettiamo, per esempio, che qualcheduno di costoro che voglio dir io stia un po' in campagna, un po' in Milano: se è un diavolo là, non vorrà esser un angiolo qui; mi pare. Dunque mi dicano un poco, signori miei, se hanno mai visto uno di questi col muso all'inferriata. E quel che è peggio (e questo lo posso dir io di sicuro), è che le gride ci sono, stampate, per gastigarli: e non già gride senza costrutto; fatte benissimo, che noi non potremmo trovar niente di meglio; ci son nominate le bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon gastigo. E dice: sia chi si sia, vili e plebei, e che so io. Ora, andate a dire ai dottori, scribi e farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che canta la grida: vi dànno retta come il papa ai furfanti: cose da far girare il cervello a qualunque galantuomo. Si vede dunque chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birboni fossero gastigati; ma non se ne fa nulla, perché c'è una lega. Dunque bisogna romperla; bisogna andar domattina da Ferrer, che quello è un galantuomo, un signore alla mano; e oggi s'è potuto vedere com'era contento di trovarsi con la povera gente, e come cercava di sentir le ragioni che gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia. Bisogna andar da Ferrer, e dirgli come stanno le cose; e io, per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle; che ho visto io, co' miei occhi, una grida con tanto d'arme in cima, ed era stata fatta da tre di quelli che possono, che d'ognuno c'era sotto il suo nome bell'e stampato, e uno di questi nomi era Ferrer, visto da me, co' miei occhi: ora, questa grida diceva proprio le cose giuste per me; e un dottore al quale io gli dissi che dunque mi facesse render giustizia, com'era l'intenzione di que' tre signori, tra i quali c'era anche Ferrer, questo signor dottore, che m'aveva fatto veder la grida lui medesimo, che è il più bello, ah! ah! pareva che gli dicessi delle pazzie. Son sicuro che, quando quel caro vecchione sentirà queste belle cose; che lui non le può saper tutte, specialmente quelle di fuori; non vorrà più che il mondo vada così, e ci metterà un buon rimedio. E poi, anche loro, se fanno le gride, devono aver piacere che s'ubbidisca: che è anche un disprezzo, un pitaffio col loro nome, contarlo per nulla. E se i prepotenti non vogliono abbassar la testa, e fanno il pazzo, siam qui noi per aiutarlo, come s'è fatto oggi. Non dico che deva andar lui in giro, in carrozza, ad acchiappar tutti i birboni, prepotenti e tiranni: sì; ci vorrebbe l'arca di Noè. Bisogna che lui comandi a chi tocca, e non solamente in Milano, ma per tutto, che faccian le cose conforme dicon le gride; e formare un buon processo addosso a tutti quelli che hanno commesso di quelle bricconerie; e dove dice prigione, prigione; dove dice galera, galera; e dire ai podestà che faccian davvero; se no, mandarli a spasso, e metterne de' meglio: e poi, come dico, ci saremo anche noi a dare una mano. E ordinare a' dottori che stiano a sentire i poveri e parlino in difesa della ragione. Dico bene, signori miei?

Renzo aveva parlato tanto di cuore, che, fin dall'esordio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro discorso, s'eran rivoltati a lui; e, a un certo punto, tutti erano divenuti suoi uditori. Un grido confuso d'applausi, di - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo, - fu come la risposta dell'udienza. Non mancaron però i critici. - Eh sì, - diceva uno: - dar retta a' montanari: son tutti avvocati -; e se ne andava. - Ora, - mormorava un altro, - ogni scalzacane vorrà dir la sua; e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a buon mercato; che è quello per cui ci siam mossi -. Renzo però non sentì che i complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra. - A rivederci a domani. - Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Va bene. - E qualcosa si farà. - E qualcosa si farà.

- Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da povero figliuolo? - disse Renzo.

- Son qui io a servirvi, quel bravo giovine, - disse uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e non aveva detto ancor nulla. - Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro; e vi raccomanderò al padrone, che è mio amico, e galantuomo.

- Qui vicino? - domandò Renzo. - Poco distante, - rispose colui.

La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto, ringraziandolo della sua cortesia.

- Di che cosa? - diceva colui: - una mano lava l'altra, e tutt'e due lavano il viso. Non siamo obbligati a far servizio al prossimo? - E camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un'altra domanda. - Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?

- Vengo, - rispose Renzo, - fino, fino da Lecco.

- Fin da Lecco? Di Lecco siete?

- Di Lecco... cioè del territorio.

- Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da' vostri discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.

- Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po' di politica, per non dire in pubblico i fatti miei; ma... basta, qualche giorno si saprà; e allora... Ma qui vedo un'insegna d'osteria; e, in fede mia, non ho voglia d'andar più lontano.

- No, no! venite dov'ho detto io, che c'è poco, - disse la guida: - qui non istareste bene.

- Eh, sì; - rispose il giovine: - non sono un signorino avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da mettere in castello, e un saccone, mi basta: quel che mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro. Alla provvidenza! - Ed entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva l'insegna della luna piena. - Bene; vi condurrò qui, giacché vi piace così, - disse lo sconosciuto; e gli andò dietro.

- Non occorre che v'incomodiate di più, - rispose Renzo. - Però, - soggiunse, - se venite a bere un bicchiere con me, mi fate piacere.

- Accetterò le vostre grazie, - rispose colui; e andò, come più pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un cortiletto; s'accostò all'uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi, aprì, e v'entrò col suo compagno. Due lumi a mano, pendenti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi spandevano una mezza luce. Molta gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anche correre berlinghe, reali e parpagliole, che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: "noi eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle tasche di qualche spettatore del tumulto, che tutt'intento a vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole private". Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l'oste era a sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui. S'alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista ch'ebbe la guida, "maledetto!" disse tra sé: "che tu m'abbia a venir sempre tra' piedi, quando meno ti vorrei!" Data poi un'occhiata in fretta a Renzo, disse, ancora tra sé: "non ti conosco; ma venendo con un tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando avrai detto due parole, ti conoscerò". Però, di queste riflessioni nulla trasparve sulla faccia dell'oste, la quale stava immobile come un ritratto: una faccia pienotta e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e fissi.

- Cosa comandan questi signori? - disse ad alta voce.

- Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, - disse Renzo: - e poi un boccone -. Così dicendo, si buttò a sedere sur una panca, verso la cima della tavola, e mandò un - ah! - sonoro, come se volesse dire: fa bene un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in faccende. Ma gli venne subito in mente quella panca e quella tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con Lucia e con Agnese: e mise un sospiro. Scosse poi la testa, come per iscacciar quel pensiero: e vide venir l'oste col vino. Il compagno s'era messo a sedere in faccia a Renzo. Questo gli mescé subito da bere, dicendo: per bagnar le labbra -. E riempito l'altro bicchiere, lo tracannò in un sorso.

- Cosa mi darete da mangiare? - disse poi all'oste.

- Ho dello stufato: vi piace? - disse questo.

- Sì, bravo; dello stufato.

- Sarete servito, - disse l'oste a Renzo; e al garzone: - servite questo forestiero -. E s'avviò verso il cammino. - Ma... - riprese poi, tornando verso Renzo: - ma pane, non ce n'ho in questa giornata.

- Al pane, - disse Renzo, ad alta voce e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza -. E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane della provvidenza!

All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato!

- A buon mercato? - disse Renzo: - gratis et amore.

- Meglio, meglio.

- Ma, - soggiunse subito Renzo, - non vorrei che lor signori pensassero a male. Non è ch'io l'abbia, come si suol dire, sgraffignato. L'ho trovato in terra; e se potessi trovare anche il padrone, son pronto a pagarglielo.

- Bravo! bravo! - gridarono, sghignazzando più forte, i compagnoni; a nessuno de' quali passò per la mente che quelle parole fossero dette davvero.

- Credono ch'io canzoni; ma l'è proprio così, - disse Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel pane, soggiunse: - vedete come l'hanno accomodato; pare una schiacciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si trovavan di quelli che han l'ossa un po' tenere, saranno stati freschi -. E subito, divorati tre o quattro bocconi di quel pane, gli mandò dietro un secondo bicchier di vino; e soggiunse: - da sé non vuol andar giù questo pane. Non ho avuto mai la gola tanto secca. S'è fatto un gran gridare!

- Preparate un buon letto a questo bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.

- Volete dormir qui? - domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.

- Sicuro, - rispose Renzo: - un letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; perché son povero figliuolo, ma avvezzo alla pulizia.

- Oh, in quanto a questo! - disse l'oste: andò al banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con un calamaio e un pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna nell'altra.

- Cosa vuol dir questo? - esclamò Renzo, ingoiando un boccone dello stufato che il garzone gli aveva messo davanti, e sorridendo poi con maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di bucato, codesto?

L'oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.

- Cosa? - disse Renzo: - cosa c'entrano codeste storie col letto?

- Io fo il mio dovere, - disse l'oste, guardando in viso alla guida: - noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi... quanto tempo ha di fermarsi in questa città... Son parole della grida.

Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li potremo più contare. Poi disse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so subito che caso si fa delle gride.

- Dico davvero, - disse l'oste, sempre guardando il muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlo davanti agli occhi di Renzo.

- Ah! ecco! - esclamò questo, alzando con una mano il bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo subito, e stendendo poi l'altra mano, con un dito teso, verso la grida: - ecco quel bel foglio di messale. Me ne rallegro moltissimo. La conosco quell'arme; so cosa vuol dire quella faccia d'ariano, con la corda al collo -. (In cima alle gride si metteva allora l'arme del governatore; e in quella di don Gonzalo Fernandez de Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola). - Vuol dire, quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole. Quando questa faccia avrà fatto andare in galera il signor don... basta, lo so io; come dice in un altro foglio di messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera che un giovine onesto possa sposare una giovine onesta che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a questa faccia; le darò anche un bacio per di più. Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo comando una mano d'altri furfanti: perché se fosse solo... - e qui finì la frase con un gesto: - se un furfantone volesse saper dov'io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.

L'oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: - ti porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti quest'imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perché questo è fesso -. Così dicendo, lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: - senti, senti, oste, come crocchia.

Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata l'attenzione di quelli che gli stavan d'intorno: e anche questa volta, fu applaudito dal suo uditorio.

- Cosa devo fare? - disse l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.

- Via, via, - gridaron molti di que' compagnoni: - ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova Oggi, legge nuova. In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata di rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta, disse: - lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene.

- Ho fatto il mio dovere, - disse l'oste, forte; e poi tra se: "ora ho le spalle al muro". E prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.

- Porta del medesimo, - disse Renzo: - che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l'altro, senza domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa città.

- Del medesimo, - disse l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino. "Altro che lepre!" pensava, istoriando di nuovo la cenere: "e in che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie".

Renzo ringraziò la guida, e tutti quegli altri che avevan prese le sue parti. - Bravi amici! - disse: - ora vedo proprio che i galantuomini si dànno la mano, e si sostengono -. Poi, spianando la destra per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore, - gran cosa, - esclamò, - che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania che hanno que' signori d'adoprar la penna!

- Ehi, quel galantuomo di campagna! volete saperne la ragione? - disse ridendo uno di que' giocatori, che vinceva.

- Sentiamo un poco, - rispose Renzo.

- La ragione è questa, - disse colui: - che que' signori son loro che mangian l'oche, e si trovan lì tante penne, tante penne, che qualcosa bisogna che ne facciano.

Tutti si misero a ridere, fuor che il compagno che perdeva.

- To', - disse Renzo: - è un poeta costui. Ce n'è anche qui de' poeti: già ne nasce per tutto. N'ho una vena anch'io, e qualche volta ne dico delle curiose... ma quando le cose vanno bene.

Per capire questa baggianata del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti, abbia più dell'arguto e del singolare che del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far dir loro le cose più lontane dal loro legittimo significato! Perché, vi domando io, cosa ci ha che fare poeta con cervello balzano?

- Ma la ragione giusta la dirò io, - soggiunse Renzo: - è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi anche un'altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po' di... so io quel che voglio dire... - e, per farsi intendere, andava picchiando, e come arietando la fronte con la punta dell'indice; - e s'accorgono che comincia a capir l'imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se ne deve smetter dell'usanze! Oggi, a buon conto, s'è fatto tutto in volgare, e senza carta, penna e calamaio; e domani, se la gente saprà regolarsi, se ne farà anche delle meglio: senza torcere un capello a nessuno, però; tutto per via di giustizia.

Intanto alcuni di que' compagnoni s'eran rimessi a giocare, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni se n'andavano; altra gente arrivava; l'oste badava agli uni e agli altri: tutte cose che non hanno che fare con la nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva l'ora d'andarsene; non aveva, a quel che paresse, nessun affare in quel luogo; eppure non voleva partire prima d'aver chiacchierato un altro poco con Renzo in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il discorso del pane; e dopo alcune di quelle frasi che, da qualche tempo, correvano per tutte le bocche, venne a metter fuori un suo progetto. - Eh! se comandassi io, - disse, - lo troverei il verso di fare andar le cose bene.

- Come vorreste fare? - domandò Renzo, guardandolo con due occhietti brillanti più del dovere, e storcendo un po' la bocca, come per star più attento.

- Come vorrei fare? - disse colui: - vorrei che ci fosse pane per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi.

- Ah! così va bene, - disse Renzo.

- Ecco come farei. Una meta onesta, che tutti ci potessero campare. E poi, distribuire il pane in ragione delle bocche: perché c'è degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa raffa, pigliano a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente. Dunque dividere il pane. E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane dal fornaio. A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche. A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto per... il vostro nome?

- Lorenzo Tramaglino, - disse il giovine; il quale, invaghito del progetto, non fece attenzione ch'era tutto fondato su carta, penna e calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere di raccogliere i nomi delle persone.

- Benissimo, - disse lo sconosciuto: - ma avete moglie e figliuoli?

- Dovrei bene... figliuoli no... troppo presto... ma la moglie... se il mondo andasse come dovrebbe andare...

- Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una porzione più piccola.

- È giusto; ma se presto, come spero... e con l'aiuto di Dio.. Basta; quando avessi moglie anch'io?

- Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione. Come v'ho detto; sempre in ragion delle bocche, - disse lo sconosciuto, alzandosi.

- Così va bene, - gridò Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non la fanno una legge così?

- Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne vo; perché penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno da un pezzo.

- Un altro gocciolino, un altro gocciolino, - gridava Renzo, riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e subito alzatosi, e acchiappatolo per una falda del farsetto, tirava forte, per farlo seder di nuovo. - Un altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.

Ma l'amico, con una stratta, si liberò, e lasciando Renzo fare un guazzabuglio d'istanze e di rimproveri, disse di nuovo: - buona notte, - e se n'andò. Renzo seguitava ancora a predicargli, che quello era già in istrada; e poi ripiombò sulla panca. Fissò gli occhi su quel bicchiere che aveva riempito; e, vedendo passar davanti alla tavola il garzone, gli accennò di fermarsi, come se avesse qualche affare da comunicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una pronunzia lenta e solenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse: - ecco, l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno raso, proprio da amico; ma non l'ha voluto. Alle volte, la gente ha dell'idee curiose. Io non ci ho colpa: il mio buon cuore l'ho fatto vedere. Ora, giacché la cosa è fatta, non bisogna lasciarlo andare a male -. Così detto, lo prese, e lo votò in un sorso.

- Ho inteso, - disse il garzone, andandosene.

- Ah! avete inteso anche voi, - riprese Renzo: - dunque è vero. Quando le ragioni son giuste...!

Qui è necessario tutto l'amore, che portiamo alla verità, per farci proseguire fedelmente un racconto di così poco onore a un personaggio tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della nostra storia. Per questa stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però anche avvertire ch'era la prima volta, che a Renzo avvenisse un caso simile: e appunto questo suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran parte che il primo gli riuscisse così fatale. Que' pochi bicchieri che aveva buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito, parte per quell'arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione d'animo, che non gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito alla testa: a un bevitore un po' esercitato non avrebbero fatto altro che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le abitudini temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n'allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola.

Comunque sia, quando que' primi fumi furono saliti alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare, l'uno in giù e l'altre in su, senza misura né regola: e, al punto a cui l'abbiam lasciato, stava già come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non ne mancava; e, per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare, e s'eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a poco a poco, quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente difficile. Il pensiero, che s'era presentato vivo e risoluto alla sua mente, s'annebbiava e svaniva tutt'a un tratto; e la parola, dopo essersi fatta aspettare un pezzo, non era quella che fosse al caso. In queste angustie, per uno di que' falsi istinti che, in tante cose, rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto fiasco. Ma di che aiuto gli potesse essere il fiasco, in una tale circostanza, chi ha fior di senno lo dica.

Noi riferiremo soltanto alcune delle moltissime parole che mandò fuori, in quella sciagurata sera: le molte più che tralasciamo, disdirebbero troppo; perché, non solo non hanno senso, ma non fanno vista d'averlo: condizione necessaria in un libro stampato.

- Ah oste, oste! - ricominciò, accompagnandolo con l'occhio intorno alla tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta fissandolo dove non era, e parlando sempre in mezzo al chiasso della brigata: - oste che tu sei! Non posso mandarla giù... quel tiro del nome, cognome e negozio. A un figliuolo par mio...! Non ti sei portato bene. Che soddisfazione, che sugo, che gusto... di mettere in carta un povero figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de' buoni figliuoli... Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone... per la ragione... Ridono eh? Ho un po' di brio, sì... ma le ragioni le dico giuste. Dimmi un poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri figliuoli, n'è vero? dico bene? Guarda un po' se que' signori delle gride vengono mai da te a bere un bicchierino.

- Tutta gente che beve acqua, - disse un vicino di Renzo.

- Vogliono stare in sé, - soggiunse un altro, - per poter dir le bugie a dovere.

- Ah! - gridò Renzo: - ora è il poeta che ha parlato. Dunque intendete anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dunque, oste: e Ferrer, che è il meglio di tutti, è mai venuto qui a fare un brindisi, e a spendere un becco d'un quattrino? E quel cane assassino di don...? Sto zitto, perché sono in cervello anche troppo. Ferrer e il padre Crrr... so io, son due galantuomini; ma ce n'è pochi de' galantuomini. I vecchi peggio de' giovani; e i giovani... peggio ancora de' vecchi. Però, son contento che non si sia fatto sangue: oibò; barbarie, da lasciarle fare al boia. Pane; oh questo sì. Ne ho ricevuti degli urtoni; ma... ne ho anche dati. Largo! abbondanza! viva!... Eppure, anche Ferrer... qualche parolina in latino... siés baraòs trapolorum... Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le parole giuste!... Là ci volevano que' galantuomini... quando scappò fuori quel maledetto ton ton ton, e poi ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve', allora. Tenerlo lì quel signor curato... So io a chi penso!

A questa parola, abbassò la testa, e stette qualche tempo, come assorto in un pensiero: poi mise un gran sospiro, e alzò il viso, con due occhi inumiditi e lustri, con un certo accoramento così svenevole, così sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo un momento. Ma quegli omacci che già avevan cominciato a prendersi spasso dell'eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto più se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano agli altri: guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello della brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon senno, o nel loro qual si fosse senno ordinario; ma, per dire il vero, nessuno n'era tanto uscito, quanto il povero Renzo: e per di più era contadino. Si misero, or l'uno or l'altro, a stuzzicarlo con domande sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie. Renzo, ora dava segno d'averselo per male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava di tutt'altro, ora rispondeva, ora interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito. Per buona sorte, in quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodoché anche quello che doveva esser più altamente fitto nella sua memoria, non fu proferito: ché troppo ci dispiacerebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce, fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.

CAPITOLO XV

L'oste, vedendo che il gioco andava in lungo, s'era accostato a Renzo; e pregando, con buona grazia, quegli altri che lo lasciassero stare, l'andava scotendo per un braccio, e cercava di fargli intendere e di persuaderlo che andasse a dormire. Ma Renzo tornava sempre da capo col nome e cognome, e con le gride, e co' buoni figliuoli. Però quelle parole: letto e dormire, ripetute al suo orecchio, gli entraron finalmente in testa; gli fecero sentire un po' più distintamente il bisogno di ciò che significavano, e produssero un momento di lucido intervallo. Quel po' di senno che gli tornò, gli fece in certo modo capire che il più se n'era andato: a un di presso come l'ultimo moccolo rimasto acceso d'un'illuminazione, fa vedere gli altri spenti. Si fece coraggio; stese le mani, e le appuntellò sulla tavola; tentò, una e due volte, d'alzarsi; sospirò, barcollò; alla terza, sorretto dall'oste, si rizzò. Quello, reggendolo tuttavia, lo fece uscire di tra la tavola e la panca; e, preso con una mano un lume, con l'altra, parte lo condusse, parte lo tirò, alla meglio, verso l'uscio di scala. Lì Renzo, al chiasso de' saluti che coloro gli urlavan dietro, si voltò in fretta; e se il suo sostenitore non fosse stato ben lesto a tenerlo per un braccio, la voltata sarebbe stata un capitombolo; si voltò dunque, e, con l'altro braccio che gli rimaneva libero, andava trinciando e iscrivendo nell'aria certi saluti, a guisa d'un nodo di Salomone.

- Andiamo a letto, a letto, - disse l'oste, strascicandolo; gli fece imboccar l'uscio; e con più fatica ancora, lo tirò in cima di quella scaletta, e poi nella camera che gli aveva destinata. Renzo, visto il letto che l'aspettava, si rallegrò; guardò amorevolmente l'oste, con due occhietti che ora scintillavan più che mai, ora s'eclissavano, come due lucciole; cercò d'equilibrarsi sulle gambe; e stese la mano al viso dell'oste, per prendergli il ganascino, in segno d'amicizia e di riconoscenza; ma non gli riuscì. - Bravo oste! - gli riuscì però di dire: - ora vedo che sei un galantuomo: questa è un'opera buona, dare un letto a un buon figliuolo; ma quella figura che m'hai fatta, sul nome e cognome, quella non era da galantuomo. Per buona sorte che anch'io son furbo la mia parte...

L'oste, il quale non pensava che colui potesse ancor tanto connettere; l'oste che, per lunga esperienza, sapeva quanto gli uomini, in quello stato, sian più soggetti del solito a cambiar di parere, volle approfittare di quel lucido intervallo, per fare un altro tentativo. - Figliuolo caro, - disse, con una voce e con un fare tutto gentile: - non l'ho fatto per seccarvi, né per sapere i fatti vostri. Cosa volete? è legge: anche noi bisogna ubbidire; altrimenti siamo i primi a portarne la pena. È meglio contentarli, e... Di che si tratta finalmente? Gran cosa! dir due parole. Non per loro, ma per fare un piacere a me: via; qui tra noi, a quattr'occhi, facciam le nostre cose; ditemi il vostro nome, e... e poi andate a letto col cuor quieto.

- Ah birbone! - esclamò Renzo: - mariolo! tu mi torni ancora in campo con quell'infamità del nome, cognome e negozio!

- Sta' zitto, buffone; va' a letto, - diceva l'oste.

Ma Renzo continuava più forte: - ho inteso: sei della lega anche tu. Aspetta, aspetta, che t'accomodo io -. E voltando la testa verso la scaletta, cominciava a urlare più forte ancora: - amici! l'oste è della...

- Ho detto per celia, - gridò questo sul viso di Renzo, spingendolo verso il letto: - per celia; non hai inteso che ho detto per celia?

- Ah! per celia: ora parli bene. Quando hai detto per celia... Son proprio celie -. E cadde bocconi sul letto.

- Animo; spogliatevi; presto, - disse l'oste, e al consiglio aggiunse l'aiuto; che ce n'era bisogno. Quando Renzo si fu levato il farsetto (e ce ne volle), l'oste l'agguantò subito, e corse con le mani alle tasche, per vedere se c'era il morto. Lo trovò: e pensando che, il giorno dopo, il suo ospite avrebbe avuto a fare i conti con tutt'altri

E che con lui, e che quel morto sarebbe probabilmente caduto in mani di dove un oste non avrebbe potuto farlo uscire; volle provarsi se almeno gli riusciva di concluder quest'altro affare.

- Voi siete un buon figliuolo, un galantuomo; n'è vero? - disse.

- Buon figliuolo, galantuomo, - rispose Renzo, facendo tuttavia litigar le dita co' bottoni de' panni che non s'era ancor potuto levare.

- Bene, - replicò l'oste: - saldate ora dunque quel poco conticino, perché domani io devo uscire per certi miei affari...

- Quest'è giusto, - disse Renzo. - Son furbo, ma galantuomo... Ma i danari? Andare a cercare i danari ora!

- Eccoli qui, - disse l'oste: e, mettendo in opera tutta la sua pratica, tutta la sua pazienza, tutta la sua destrezza, gli riuscì di fare il conto con Renzo, e di pagarsi.

- Dammi una mano, ch'io possa finir di spogliarmi, oste, - disse Renzo. - Lo vedo anch'io, ve', che ho addosso un gran sonno.

L'oste gli diede l'aiuto richiesto; gli stese per di più la coperta addosso, e gli disse sgarbatamente - buona notte, - che già quello russava. Poi, per quella specie d'attrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggetto d'amore, e che forse non è altro che il desiderio di conoscere ciò che opera fortemente sull'animo nostro, si fermò un momento a contemplare l'ospite così noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi, con la mano stesa, ribatter sopra la luce; in quell'atto a un di presso che vien dipinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente le forme del consorte sconosciuto. - Pezzo d'asino! - disse nella sua mente al povero addormentato: - sei andato proprio a cercartela. Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci avrai. Tangheri, che volete girare il mondo, senza saper da che parte si levi il sole; per imbrogliar voi e il prossimo.

Così detto o pensato, ritirò il lume, si mosse, uscì dalla camera, e chiuse l'uscio a chiave. Sul pianerottolo della scala, chiamò l'ostessa; alla quale disse che lasciasse i figliuoli in guardia a una loro servetta, e scendesse in cucina, a far le sue veci. - Bisogna ch'io vada fuori, in grazia d'un forestiero capitato qui, non so come diavolo, per mia disgrazia, - soggiunse; e le raccontò in compendio il noioso accidente. Poi soggiunse ancora: - occhio a tutto; e sopra tutto prudenza, in questa maledetta giornata. Abbiamo laggiù una mano di scapestrati che, tra il bere, e tra che di natura sono sboccati, ne dicon di tutti i colori. Basta, se qualche temerario...

- Oh! non sono una bambina, e so anch'io quel che va fatto. Finora, mi pare che non si possa dire...

- Bene, bene; e badar che paghino; e tutti que' discorsi che fanno, sul vicario di provvisione e il governatore e Ferrer e i decurioni e i cavalieri e Spagna e Francia e altre simili corbellerie, far vista di non sentire; perché, se si contraddice, la può andar male subito; e se si dà ragione, la può andar male in avvenire: e già sai anche tu che qualche volta quelli che le dicon più grosse... Basta; quando si senton certe proposizioni, girar la testa, e dire: vengo; come se qualcheduno chiamasse da un'altra parte. Io cercherò di tornare più presto che posso.

Ciò detto, scese con lei in cucina, diede un'occhiata in giro, per veder se c'era novità di rilievo; staccò da un cavicchio il cappello e la cappa, prese un randello da un cantuccio, ricapitolò, con un'altra occhiata alla moglie, l'istruzioni che le aveva date; e uscì. Ma, già nel far quelle operazioni, aveva ripreso, dentro di sé, il filo dell'apostrofe cominciata al letto del povero Renzo; e la proseguiva, camminando in istrada.

"Testardo d'un montanaro!" Ché, per quanto Renzo avesse voluto tener nascosto l'esser suo, questa qualità si manifestava da sé, nelle parole, nella pronunzia, nell'aspetto e negli atti. "Una giornata come questa, a forza di politica, a forza d'aver giudizio, io n'uscivo netto; e dovevi venir tu sulla fine, a guastarmi l'uova nel paniere. Manca osterie in Milano, che tu dovessi proprio capitare alla mia? Fossi almeno capitato solo; che avrei chiuso un occhio, per questa sera; e domattina t'avrei fatto intender la ragione. Ma no signore; in compagnia ci vieni; e in compagnia d'un bargello, per far meglio!"

A ogni passo, l'oste incontrava o passeggieri scompagnati, o coppie, o brigate di gente, che giravano susurrando. A questo punto della sua muta allocuzione, vide venire una pattuglia di soldati; e tirandosi da parte, per lasciarli passare, li guardò con la coda dell'occhio, e continuò tra sé: "eccoli i gastigamatti. E tu, pezzo d'asino, per aver visto un po' di gente in giro a far baccano, ti sei cacciato in testa che il mondo abbia a mutarsi. E su questo bel fondamento, ti sei rovinato te, e volevi anche rovinar me; che non è giusto. Io facevo di tutto per salvarti; e tu, bestia, in contraccambio, c'è mancato poco che non m'hai messo sottosopra l'osteria. Ora toccherà a te a levarti d'impiccio: per me ci penso io. Come se io volessi sapere il tuo nome per una mia curiosità! Cosa m'importa a me che tu ti chiami Taddeo o Bartolommeo? Ci ho un bel gusto anch'io a prender la penna in mano! ma non siete voi altri soli a voler le cose a modo vostro. Lo so anch'io che ci son delle gride che non contan nulla: bella novità, da venircela a dire un montanaro! Ma tu non sai che le gride contro gli osti contano. E pretendi girare il mondo, e parlare; e non sai che, a voler fare a modo suo, e impiparsi delle gride, la prima cosa è di parlarne con gran riguardo. E per un povero oste che fosse del tuo parere, e non domandasse il nome di chi capita a favorirlo, sai tu, bestia, cosa c'è di bello? Sotto pena a qual si voglia dei detti osti, tavernai ed altri, come sopra, di trecento scudi: sì, son lì che covano trecento scudi; e per ispenderli così bene; da esser applicati, per i due terzi alla regia Camera, e l'altro all'accusatore o delatore: quel bel cecino! Ed in caso di inabilità, cinque anni di galera, e maggior pena, pecuniaria o corporale, all'arbitrio di sua eccellenza. Obbligatissimo alle sue grazie".

A queste parole, l'oste toccava la soglia del palazzo di giustizia.

Lì, come a tutti gli altri ufizi, c'era un gran da fare: per tutto s'attendeva a dar gli ordini che parevan più atti a preoccupare il giorno seguente, a levare i pretesti e l'ardire agli animi vogliosi di nuovi tumulti, ad assicurare la forza nelle mani solite a adoprarla. S'accrebbe la soldatesca alla casa del vicario; gli sbocchi della strada furono sbarrati di travi, trincerati di carri. S'ordinò a tutti i fornai che facessero pane senza intermissione; si spedirono staffette a' paesi circonvicini, con ordini di mandar grano alla città; a ogni forno furono deputati nobili, che vi si portassero di buon mattino, a invigilare sulla distribuzione e a tenere a freno gl'inquieti, con l'autorità della presenza, e con le buone parole. Ma per dar, come si dice, un colpo al cerchio e uno alla botte, e render più efficaci i consigli con un po' di spavento, si pensò anche a trovar la maniera di metter le mani addosso a qualche sedizioso: e questa era principalmente la parte del capitano di giustizia; il quale, ognuno può pensare che sentimenti avesse per le sollevazioni e per i sollevati, con una pezzetta d'acqua vulneraria sur uno degli organi della profondità metafisica. I suoi bracchi erano in campo fino dal principio del tumulto: e quel sedicente Ambrogio Fusella era, come ha detto l'oste, un bargello travestito, mandato in giro appunto per cogliere sul fatto qualcheduno da potersi riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiapparlo poi, a notte affatto quieta, o il giorno dopo. Sentite quattro parole di quella predica di Renzo, colui gli aveva fatto subito assegnamento sopra; parendogli quello un reo buon uomo, proprio quel che ci voleva. Trovandolo poi nuovo affatto del paese, aveva tentato il colpo maestro di condurlo caldo caldo alle carceri, come alla locanda più sicura della città; ma gli andò fallito, come avete visto. Poté però portare a casa la notizia sicura del nome, cognome e patria, oltre cent'altre belle notizie congetturali; dimodoché, quando l'oste capitò lì, a dir ciò che sapeva intorno a Renzo, ne sapevan già più di lui. Entrò nella solita stanza, e fece la sua deposizione: come era giunto ad alloggiar da lui un forestiero, che non aveva mai voluto manifestare il suo nome.

- Avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia -; disse un notaio criminale, mettendo giu la penna, - ma già lo sapevamo.

"Bel segreto!" pensò l'oste: "ci vuole un gran talento!" - E sappiamo anche, - continuò il notaio, - quel riverito nome.

"Diavolo! il nome poi, com'hanno fatto?" pensò l'oste questa volta.

- Ma voi, - riprese l'altro, con volto serio, - voi non dite tutto sinceramente.

- Cosa devo dire di più?

- Ah! ah! sappiamo benissimo che colui ha portato nella vostra osteria una quantità di pane rubato, e rubato con violenza, per via di saccheggio e di sedizione.

- Vien uno con un pane in tasca; so assai dov'è andato a prenderlo. Perché, a parlar come in punto di morte, posso dire di non avergli visto che un pane solo.

- Già; sempre scusare, difendere: chi sente voi altri, son tutti galantuomini. Come potete provare che quel pane fosse di buon acquisto?

- Cosa ho da provare io? io non c'entro: io fo l'oste.

- Non potrete però negare che codesto vostro avventore non abbia avuta la temerità di proferir parole ingiuriose contro le gride, e di fare atti mali e indecenti contro l'arme di sua eccellenza.

- Mi faccia grazia, vossignoria: come può mai essere mio avventore, se lo vedo per la prima volta? È il diavolo, con rispetto parlando, che l'ha mandato a casa mia: e se lo conoscessi, vossignoria vede bene che non avrei avuto bisogno di domandargli il suo nome.

- Però, nella vostra osteria, alla vostra presenza, si son dette cose di fuoco: parole temerarie, proposizioni sediziose, mormorazioni, strida, clamori.

- Come vuole vossignoria ch'io badi agli spropositi che posson dire tanti urloni che parlan tutti insieme? Io devo attendere a' miei interessi, che sono un pover'uomo. E poi vossignoria sa bene che chi è di lingua sciolta, per il solito è anche lesto di mano, tanto più quando sono una brigata, e...

- Sì, sì; lasciateli fare e dire: domani, domani, vedrete se gli sarà passato il ruzzo. Cosa credete?

- Io non credo nulla.

- Che la canaglia sia diventata padrona di Milano?

- Oh giusto!

- Vedrete, vedrete.

- Intendo benissimo: il re sarà sempre il re; ma chi avrà riscosso, avrà riscosso: e naturalmente un povero padre di famiglia non ha voglia di riscotere. Lor signori hanno la forza: a lor signori tocca.

- Avete ancora molta gente in casa?

- Un visibilio.

- E quel vostro avventore cosa fa? Continua a schiamazzare, a metter su la gente, a preparar tumulti per domani?

- Quel forestiero, vuol dire vossignoria: è andato a letto.

- Dunque avete molta gente... Basta; badate a non lasciarlo scappare.

"Che devo fare il birro io?" pensò l'oste; ma non disse né sì né no.

- Tornate pure a casa; e abbiate giudizio, - riprese il notaio.

- Io ho sempre avuto giudizio. Vossignoria può dire se ho mai dato da fare alla giustizia.

- E non crediate che la giustizia abbia perduta la sua forza.

- Io? per carità! io non credo nulla: abbado a far l'oste.

- La solita canzone: non avete mai altro da dire.

- Che ho da dire altro? La verità è una sola.

- Basta; per ora riteniamo ciò che avete deposto; se verrà poi il caso, informerete più minutamente la giustizia, intorno a ciò che vi potrà venir domandato.

- Cosa ho da informare? io non so nulla; appena appena ho la testa da attendere ai fatti miei.

- Badate a non lasciarlo partire.

- Spero che l'illustrissimo signor capitano saprà che son venuto subito a fare il mio dovere. Bacio le mani a vossignoria.

Allo spuntar del giorno, Renzo russava da circa sett'ore, ed era ancora, poveretto! sul più bello, quando due forti scosse alle braccia, e una voce che dappiè del letto gridava : - Lorenzo Tramaglino! - , lo fecero riscotere. Si risentì, ritirò le braccia, aprì gli occhi a stento; e vide ritto appiè del letto un uomo vestito di nero, e due armati, uno di qua, uno di là del capezzale. E, tra la sorpresa, e il non esser desto bene, e la spranghetta di quel vino che sapete, rimase un momento come incantato; e credendo di sognare, e non piacendogli quel sogno, si dimenava, come per isvegliarsi affatto.

- Ah! avete sentito una volta, Lorenzo Tramaglino? - disse l'uomo dalla cappa nera, quel notaio medesimo della sera avanti. - Animo dunque; levatevi, e venite con noi.

- Lorenzo Tramaglino! - disse Renzo Tramaglino: - cosa vuol dir questo? Cosa volete da me? Chi v'ha detto il mio nome?

- Meno ciarle, e fate presto, - disse uno de' birri che gli stavano a fianco, prendendogli di nuovo il braccio.

- Ohe! che prepotenza è questa? - gridò Renzo, ritirando il braccio. - Oste! o l'oste!

- Lo portiam via in camicia? - disse ancora quel birro, voltandosi al notaio.

- Avete inteso? - disse questo a Renzo: - si farà così, se non vi levate subito subito, per venir con noi.

- E perché? - domandò Renzo.

- Il perché lo sentirete dal signor capitano di giustizia.

- Io? Io sono un galantuomo: non ho fatto nulla; e mi maraviglio...

- Meglio per voi, meglio per voi; così, in due parole sarete spicciato, e potrete andarvene per i fatti vostri.

- Mi lascino andare ora, - disse Renzo: - io non ho che far nulla con la giustizia.

- Orsù, finiamola! - disse un birro.

- Lo portiamo via davvero? - disse l'altro.

- Lorenzo Tramaglino! - disse il notaio.

- Come sa il mio nome, vossignoria?

- Fate il vostro dovere, - disse il notaio a' birri; i quali misero subito le mani addosso a Renzo, per tirarlo fuori del letto.

- Eh! non toccate la carne d'un galantuomo, che...! Mi so vestir da me.

- Dunque vestitevi subito, - disse il notaio.

- Mi vesto, - rispose Renzo; e andava di fatti raccogliendo qua e là i panni sparsi sul letto, come gli avanzi d'un naufragio sul lido. E cominciando a metterseli, proseguiva tuttavia dicendo: - ma io non ci voglio andare dal capitano di giustizia. Non ho che far nulla con lui. Giacché mi si fa quest'affronto ingiustamente, voglio esser condotto da Ferrer. Quello lo conosco, so che è un galantuomo; e m'ha dell'obbligazioni.

- Sì, sì, figliuolo, sarete condotto da Ferrer, - rispose il notaio. In altre circostanze, avrebbe riso, proprio di gusto, d'una richiesta simile; ma non era momento da ridere. Già nel venire, aveva visto per le strade un certo movimento, da non potersi ben definire se fossero rimasugli d'una sollevazione non del tutto sedata, o princìpi d'una nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un andare a brigate, un far crocchi. E ora, senza farne sembiante, o cercando almeno di non farlo, stava in orecchi, e gli pareva che il ronzìo andasse crescendo. Desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via Renzo d'amore e d'accordo; giacché, se si fosse venuti a guerra aperta con lui, non poteva esser certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr'uno. Perciò dava d'occhio a' birri, che avessero pazienza, e non inasprissero il giovine; e dalla parte sua, cercava di persuaderlo con buone parole. Il giovine intanto, mentre si vestiva adagino adagino, richiamandosi, come poteva, alla memoria gli avvenimenti del giorno avanti, indovinava bene, a un di presso, che le gride e il nome e il cognome dovevano esser la causa di tutto; ma come diamine colui lo sapeva quel nome? E che diamine era accaduto in quella notte, perché la giustizia avesse preso tant'animo, da venire a colpo sicuro, a metter le mani addosso a uno de' buoni figliuoli che, il giorno avanti, avevan tanta voce in capitolo? e che non dovevano esser tutti addormentati, poiché Renzo s'accorgeva anche lui d'un ronzìo crescente nella strada. Guardando poi in viso il notaio, vi scorgeva in pelle in pelle la titubazione che costui si sforzava invano di tener nascosta. Onde, così per venire in chiaro delle sue congetture, e scoprir paese, come per tirare in lungo, e anche per tentare un colpo, disse: - vedo bene cos'è l'origine di tutto questo: gli è per amor del nome e del cognome. Ier sera veramente ero un po' allegro: questi osti alle volte hanno certi vini traditori; e alle volte, come dico, si sa, quando il vino è giù, è lui che parla. Ma, se non si tratta d'altro, ora son pronto a darle ogni soddisfazione. E poi, già lei lo sa il mio nome. Chi diamine gliel ha detto?

- Bravo, figliuolo, bravo! - rispose il notaio, tutto manieroso: - vedo che avete giudizio; e, credete a me che son del mestiere, voi siete più furbo che tant'altri. È la miglior maniera d'uscirne presto e bene: con codeste buone disposizioni, in due parole siete spicciato, e lasciato in libertà. Ma io, vedete figliuolo, ho le mani legate, non posso rilasciarvi qui, come vorrei. Via, fate presto, e venite pure senza timore; che quando vedranno chi siete; e poi io dirò... Lasciate fare a me... Basta; sbrigatevi, figliuolo.

- Ah! lei non può: intendo, - disse Renzo; e continuava a vestirsi, rispingendo con de' cenni i cenni che i birri facevano di mettergli le mani addosso, per farlo spicciare.

- Passeremo dalla piazza del duomo? - domandò poi al notaio.

- Di dove volete; per la più corta, affine di lasciarvi più presto in libertà, - disse quello, rodendosi dentro di sé, di dover lasciar cadere in terra quella domanda misteriosa di Renzo, che poteva divenire un tema di cento interrogazioni. "Quando uno nasce disgraziato!" pensava. "Ecco; mi viene alle mani uno che, si vede, non vorrebbe altro che cantare; e, un po' di respiro che s'avesse, così extra formam, accademicamente, in via di discorso amichevole, gli si farebbe confessar, senza corda, quel che uno volesse; un uomo da condurlo in prigione già bell'e esaminato, senza che se ne fosse accorto: e un uomo di questa sorte mi deve per l'appunto capitare in un momento così angustiato. Eh! non c'è scampo", continuava a pensare, tendendo gli orecchi, e piegando la testa all'indietro: "non c'è rimedio; e' risica d'essere una giornata peggio di ieri". Ciò che lo fece pensar così, fu un rumore straordinario che si sentì nella strada: e non poté tenersi di non aprir l'impannata, per dare un'occhiatina. Vide ch'era un crocchio di cittadini, i quali, all'intimazione di sbandarsi, fatta loro da una pattuglia, avevan da principio risposto con cattive parole, e finalmente si separavan continuando a brontolare; e quel che al notaio parve un segno mortale, i soldati eran pieni di civiltà. Chiuse l'impannata, e stette un momento in forse, se dovesse condur l'impresa a termine, o lasciar Renzo in guardia de' due birri, e correr dal capitano di giustizia, a render conto di ciò che accadeva. "Ma", pensò subito, "mi si dirà che sono un buon a nulla, un pusillanime, e che dovevo eseguir gli ordini. Siamo in ballo; bisogna ballare. Malannaggia la furia! Maledetto il mestiere!"

Renzo era levato; i due satelliti gli stavano a' fianchi. Il notaio accennò a costoro che non lo sforzasser troppo, e disse a lui: - da bravo, figliuolo; a noi, spicciatevi.

Anche Renzo sentiva, vedeva e pensava. Era ormai tutto vestito, salvo il farsetto, che teneva con una mano, frugando con l'altra nelle tasche. - Ohe! - disse, guardando il notaio, con un viso molto significante: - qui c'era de' soldi e una lettera. Signor mio!

- Vi sarà dato ogni cosa puntualmente, - disse il notaio, dopo adempite quelle poche formalità. Andiamo, andiamo.

- No, no, no, - disse Renzo, tentennando il capo: - questa non mi va: voglio la roba mia, signor mio. Renderò conto delle mie azioni; ma voglio la roba mia.

- Voglio farvi vedere che mi fido di voi: tenete, e fate presto, - disse il notaio, levandosi di seno, e consegnando, con un sospiro, a Renzo le cose sequestrate. Questo, riponendole al loro posto, mormorava tra' denti: - alla larga! bazzicate tanto co' ladri, che avete un poco imparato il mestiere -. I birri non potevan più stare alle mosse; ma il notaio li teneva a freno con gli occhi, e diceva intanto tra sé: "se tu arrivi a metter piede dentro quella soglia, l'hai da pagar con usura, l'hai da pagare".

Mentre Renzo si metteva il farsetto, e prendeva il cappello, il notaio fece cenno a un de' birri, che s'avviasse per la scala; gli mandò dietro il prigioniero, poi l'altro amico; poi si mosse anche lui. In cucina che furono, mentre Renzo dice: - e quest'oste benedetto dove s'è cacciato? - il notaio fa un altro cenno a' birri; i quali afferrano, l'uno la destra, l'altro la sinistra del giovine, e in fretta in fretta gli legano i polsi con certi ordigni, per quell'ipocrita figura d'eufemismo, chiamati manichini. Consistevano questi (ci dispiace di dover dlscendere a particolari indegni della gravità storica; ma la chiarezza lo richiede), consistevano in una cordicella lunga un po' più che il giro d'un polso ordinario, la quale aveva nelle cime due pezzetti di legno, come due piccole stanghette. La cordicella circondava il polso del paziente; i legnetti, passati tra il medio e l'anulare del prenditore, gli rimanevano chiusi in pugno, di modo che, girandoli, ristringeva la legatura, a volontà; e con ciò aveva mezzo, non solo d'assicurare la presa, ma anche di martirizzare un ricalcitrante: e a questo fine, la cordicella era sparsa di nodi.

Renzo si divincola, grida: - che tradimento è questo? A un galantuomo...! - Ma il notaio, che per ogni tristo fatto aveva le sue buone parole, - abbiate pazienza, - diceva: - fanno il loro dovere. Cosa volete? son tutte formalità; e anche noi non possiamo trattar la gente a seconda del nostro cuore. Se non si facesse quello che ci vien comandato, staremmo freschi noi altri, peggio di voi. Abbiate pazienza.

Mentre parlava, i due a cui toccava a fare, diedero una girata a' legnetti. Renzo s'acquietò, come un cavallo bizzarro che si sente il labbro stretto tra le morse, e esclamò: - pazienza!

- Bravo figliuolo! - disse il notaio: - questa è la vera maniera d'uscirne a bene. Cosa volete? è una seccatura; lo vedo anch'io; ma, portandovi bene, in un momento ne siete fuori. E giacché vedo che siete ben disposto, e io mi sento inclinato a aiutarvi, voglio darvi anche un altro parere, per vostro bene. Credete a me, che son pratico di queste cose: andate via diritto diritto, senza guardare in qua e in là, senza farvi scorgere: così nessuno bada a voi, nessuno s'avvede di quel che è; e voi conservate il vostro onore. Di qui a un'ora voi siete in libertà: c'è tanto da fare, che avranno fretta anche loro di sbrigarvi: e poi parlerò io... Ve n'andate per i fatti vostri; e nessuno saprà che siete stato nelle mani della giustizia. E voi altri, - continuò poi, voltandosi a' birri, con un viso severo: - guardate bene di non fargli male, perché lo proteggo io: il vostro dovere bisogna che lo facciate; ma ricordatevi che è un galantuomo, un giovine civile, il quale, di qui a poco, sarà in libertà; e che gli deve premere il suo onore. Andate in maniera che nessuno s'avveda di nulla: come se foste tre galantuomini che vanno a spasso -. E, con tono imperativo, e con sopracciglio minaccioso, concluse: - m'avete inteso -. Voltatosi poi a Renzo, col sopracciglio spianato, e col viso divenuto a un tratto ridente, che pareva volesse dire: oh noi sì che siamo amici!, gli bisbigliò di nuovo: - giudizio; fate a mio modo: andate raccolto e quieto; fidatevi di chi vi vuol bene: andiamo -. E la comitiva s'avviò.

Però, di tante belle parole Renzo, non ne credette una: né che il notaio volesse più bene a lui che a' birri, né che prendesse tanto a cuore la sua riputazione, né che avesse intenzion d'aiutarlo: capì benissimo che il galantuomo, temendo che si presentasse per la strada qualche buona occasione di scappargli dalle mani, metteva innanzi que' bei motivi, per istornar lui dallo starci attento e da approfittarne. Dimodoché tutte quelle esortazioni non servirono ad altro che a confermarlo nel disegno che già aveva in testa, di far tutto il contrario.

Nessuno concluda da ciò che il notaio fosse un furbo inesperto e novizio; perché s'ingannerebbe. Era un furbo matricolato, dice il nostro storico, il quale pare che fosse nel numero de' suoi amici: ma, in quel momento, si trovava con l'animo agitato. A sangue freddo, vi so dir io come si sarebbe fatto beffe di chi, per indurre un altro a fare una cosa per sé sospetta, fosse andato suggerendogliela e inculcandogliela caldamente, con quella miserabile finta di dargli un parere disinteressato, da amico. Ma è una tendenza generale degli uomini, quando sono agitati e angustiati, e vedono ciò che un altro potrebbe fare per levarli d'impiccio, di chiederglielo con istanza e ripetutamente e con ogni sorte di pretesti; e i furbi, quando sono angustiati e agitati, cadono anche loro sotto questa legge comune. Quindi è che, in simili circostanze, fanno per lo più una così meschina figura. Que' ritrovati maestri, quelle belle malizie, con le quali sono avvezzi a vincere, che son diventate per loro quasi una seconda natura, e che, messe in opera a tempo, e condotte con la pacatezza d'animo, con la serenità di mente necessarie, fanno il colpo così bene e così nascostamente, e conosciute anche, dopo la riuscita, riscotono l'applauso universale; i poverini quando sono alle strette, le adoprano in fretta, all'impazzata, senza garbo né grazia. Di maniera che a uno che li veda ingegnarsi e arrabattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa, e l'uomo che pretendono allora di mettere in mezzo, quantunque meno accorto di loro, scopre benissimo tutto il loro gioco, e da quegli artifizi ricava lume per sé, contro di loro. Perciò non si può mai abbastanza raccomandare a' furbi di professione di conservar sempre il loro sangue freddo, o d'esser sempre i più forti, che è la più sicura.

Renzo adunque, appena furono in istrada, cominciò a girar gli occhi in qua e in là, a sporgersi con la persona, a destra e a sinistra, a tender gli orecchi. Non c'era però concorso straordinario; e benché sul viso di più d'un passeggiero si potesse legger facilmente un certo non so che di sedizioso, pure ognuno andava diritto per la sua strada; e sedizione propriamente detta, non c'era.

- Giudizio, giudizio! - gli susurrava il notaio dietro le spalle: - il vostro onore; l'onore, figliuolo -. Ma quando Renzo, badando attentamente a tre che venivano con visi accesi, sentì che parlavan d'un forno, di farina nascosta, di giustizia, cominciò anche a far loro de' cenni col viso, e a tossire in quel modo che indica tutt'altro che un raffreddore. Quelli guardarono più attentamente la comitiva, e si fermarono; con loro si fermarono altri che arrivavano; altri, che gli eran passati davanti, voltatisi al bisbiglìo, tornavano indietro, e facevan coda.

- Badate a voi; giudizio, figliuolo; peggio per voi vedete; non guastate i fatti vostri; l'onore, la riputazione, - continuava a susurrare il notaio. Renzo faceva peggio. I birri, dopo essersi consultati con l'occhio, pensando di far bene (ognuno è soggetto a sbagliare), gli diedero una stretta di manichini.

- Ahi! ahi! ahi! - grida il tormentato: al grido, la gente s'affolla intorno; n'accorre da ogni parte della strada: la comitiva si trova incagliata. - È un malvivente, - bisbigliava il notaio a quelli che gli erano a ridosso: - è un ladro colto sul fatto. Si ritirino, lascin passar la giustizia -. Ma Renzo, visto il bel momento, visti i birri diventar bianchi, o almeno pallidi, "se non m'aiuto ora, pensò, mio danno". E subito alzò la voce: - figliuoli! mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli!

Un mormorìo favorevole, voci più chiare di protezione s'alzano in risposta: i birri sul principio comandano, poi chiedono, poi pregano i più vicini d'andarsene, e di far largo: la folla in vece incalza e pigia sempre più. Quelli, vista la mala parata, lascian andare i manichini, e non si curan più d'altro che di perdersi nella folla, per uscirne inosservati. Il notaio desiderava ardentemente di far lo stesso; ma c'era de' guai, per amor della cappa nera. Il pover'uomo, pallido e sbigottito, cercava di farsi piccino piccino, s'andava storcendo, per isgusciar fuor della folla; ma non poteva alzar gli occhi, che non se ne vedesse venti addosso. Studiava tutte le maniere di comparire un estraneo che, passando di lì a caso, si fosse trovato stretto nella calca, come una pagliucola nel ghiaccio; e riscontrandosi a viso a viso con uno che lo guardava fisso, con un cipiglio peggio degli altri, lui, composta la bocca al sorriso, con un suo fare sciocco, gli domandò: - cos'è stato?

- Uh corvaccio! - rispose colui. - Corvaccio! corvaccio! - risonò all'intorno. Alle grida s'aggiunsero gli urtoni; di maniera che, in poco tempo, parte con le gambe proprie, parte con le gomita altrui, ottenne ciò che più gli premeva in quel momento, d'esser fuori di quel serra serra.

 

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