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CAPITOLO XVI
- Scappa, scappa, galantuomo: lì c'è un convento, ecco là una chiesa; di
qui, di là, - si grida a Renzo da ogni parte. In quanto allo scappare, pensate
se aveva bisogno di consigli. Fin dal primo momento che gli era balenato in
mente una speranza d'uscir da quell'unghie, aveva cominciato a fare i suoi
conti, e stabilito, se questo gli riusciva, d'andare senza fermarsi, fin che non
fosse fuori, non solo della città, ma del ducato. "Perché", aveva
pensato, "il mio nome l'hanno su' loro libracci, in qualunque maniera
l'abbiano avuto; e col nome e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono". E in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che quando avesse
avuto i birri alle spalle. "Perché, se posso essere uccel di bosco", aveva anche pensato, "non voglio diventare uccel di gabbia".
Aveva dunque disegnato per suo rifugio quel paese nel territorio di Bergamo,
dov'era accasato quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentate, che più volte
l'aveva invitato a andar là. Ma trovar la strada, lì stava il male. Lasciato
in una parte sconosciuta d'una città si può dire sconosciuta, Renzo non sapeva
neppure da che porta s'uscisse per andare a Bergamo; e quando l'avesse saputo,
non sapeva poi andare alla porta. Fu lì lì per farsi insegnar la strada da
qualcheduno de' suoi liberatori; ma siccome nel poco tempo che aveva avuto per
meditare su' casi suoi, gli eran passate per la mente certe idee su quello
spadaio così obbligante, padre di quattro figliuoli, così, a buon conto, non
volle manifestare i suoi disegni a una gran brigata, dove ce ne poteva essere
qualche altro di quel conio; e risolvette subito d'allontanarsi in fretta di
lì: che la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo dove nessuno sapesse
chi era, né il perché la domandasse. Disse a' suoi liberatori: - grazie tante,
figliuoli: siate benedetti, - e, uscendo per il largo che gli fu fatto
immediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una
stradetta, galoppò un pezzo, senza saper dove. Quando gli parve d'essersi
allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non dar sospetto; e cominciò a
guardare in qua e in là, per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una
faccia che ispirasse confidenza. Ma anche qui c'era dell'imbroglio. La domanda
per sé era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena liberati da quel
piccolo intoppo, dovevan senza dubbio essersi rimessi in traccia del loro
fuggitivo; la voce di quella fuga poteva essere arrivata fin là; e in tali
strette, Renzo dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, prima di trovar la
figura che gli paresse a proposito. Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia
della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro, con la pancia in
fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia, e che, non
avendo altro che fare, andava alternativamente sollevando sulla punta de' piedi
la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva un viso di
cicalone curioso, che, in vece di dar delle risposte, avrebbe fatto delle
interrogazioni. Quell'altro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col
labbro in fuori, non che insegnar presto e bene la strada a un altro, appena
pareva conoscer la sua. Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava d'esser
molto sveglio, mostrava però d'essere anche più malizioso; e probabilmente
avrebbe avuto un gusto matto a far andare un povero contadino dalla parte
opposta a quella che desiderava. Tant'è vero che all'uomo impicciato, quasi
ogni cosa è un nuovo impiccio! Visto finalmente uno che veniva in fretta,
pensò che questo, avendo probabilmente qualche affare pressante, gli
risponderebbe subito, senz'altre chiacchiere; e sentendolo parlar da sé,
giudicò che dovesse essere un uomo sincero. Gli s'accostò, e disse: - di
grazia, quel signore, da che parte si va per andare a Bergamo?
- Per andare a Bergamo? Da porta orientale.
- Grazie tante; e per andare a porta orientale?
- Prendete questa strada a mancina; vi troverete sulla piazza del duomo;
poi...
- Basta, signore; il resto lo so. Dio gliene renda merito -. E diviato
s'incamminò dalla parte che gli era stata indicata. L'altro gli guardò dietro
un momento, e, accozzando nel suo pensiero quella maniera di camminare con la
domanda, disse tra sé: "o n'ha fatta una, o qualcheduno la vuol fare a
lui".
Renzo arriva sulla piazza del duomo; l'attraversa, passa accanto a un mucchio
di cenere e di carboni spenti, e riconosce gli avanzi del falò di cui era stato
spettatore il giorno avanti; costeggia gli scalini del duomo, rivede il forno
delle grucce, mezzo smantellato, e guardato da soldati; e tira diritto per la
strada da cui era venuto insieme con la folla; arriva al convento de'
cappuccini; dà un'occhiata a quella piazza e alla porta della chiesa, e dice
tra sé, sospirando: "m'aveva però dato un buon parere quel frate di
ieri: che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un po' di bene".
Qui, essendosi fermato un momento a guardare attentamente alla porta per cui
doveva passare, e vedendovi, così da lontano, molta gente a guardia, e avendo
la fantasia un po' riscaldata (bisogna compatirlo; aveva i suoi motivi), provò
una certa ripugnanza ad affrontare quel passo. Si trovava così a mano un luogo
d'asilo, e dove, con quella lettera, sarebbe ben raccomandato; fu tentato
fortemente d'entrarvi. Ma, subito ripreso animo, pensò: "uccel di bosco,
fin che si può. Chi mi conosce? Di ragione, i birri non si saran fatti in
pezzi, per andarmi ad aspettare a tutte le porte". Si voltò, per vedere
se mai venissero da quella parte: non vide né quelli, né altri che paressero
occuparsi di lui. Va innanzi; rallenta quelle gambe benedette, che volevan
sempre correre, mentre conveniva soltanto camminare; e adagio adagio, fischiando
in semitono, arriva alla porta.
C'era, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e, per rinforzo, anche de'
micheletti spagnoli; ma stavan tutti attenti verso il di fuori, per non lasciare
entrar di quelli che, alla notizia d'una sommossa, v'accorrono, come i corvi al
campo dove è stata data battaglia; di maniera che Renzo, con un'aria
indifferente, con gli occhi bassi, e con un andare così tra il viandante e uno
che vada a spasso, uscì, senza che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di
dentro faceva un gran battere. Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella,
per evitare la strada maestra; e camminò un pezzo prima di voltarsi neppure
indietro.
Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi, tira innanzi senza
domandarne il nome; è certo d'allontanarsi da Milano, spera d'andar verso
Bergamo; questo gli basta per ora. Ogni tanto, si voltava indietro; ogni tanto,
andava anche guardando e strofinando or l'uno or l'altro polso, ancora un po'
indolenziti, e segnati in giro d'una striscia rosseggiante, vestigio della
cordicella. I suoi pensieri erano, come ognuno può immaginarsi, un guazzabuglio
di pentimenti, d'inquietudini, di rabbie, di tenerezze; era uno studio faticoso
di raccapezzare le cose dette e fatte la sera avanti, di scoprir la parte
segreta della sua dolorosa storia, e sopra tutto come avean potuto risapere il
suo nome. I suoi sospetti cadevan naturalmente sullo spadaio, al quale si
rammentava bene d'averlo spiattellato. E ripensando alla maniera con cui gliel
aveva cavato di bocca, e a tutto il fare di colui, e a tutte quell'esibizioni
che riuscivan sempre a voler saper qualcosa, il sospetto diveniva quasi
certezza. Se non che si rammentava poi anche, in confuso, d'aver, dopo la
partenza dello spadaio, continuato a cicalare; con chi, indovinala grillo; di
cosa, la memoria, per quanto venisse esaminata, non lo sapeva dire: non sapeva
dir altro che d'essersi in quel tempo trovata fuor di casa. Il poverino si
smarriva in quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli
bianchi, e gli ha affidati a uno che credeva il fior de' galantuomini; e
scoprendolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato de' suoi affari: che
conoscere? è un caos. Un altro studio penoso era quello di far sull'avvenire un
disegno che gli potesse piacere: quelli che non erano in aria, eran tutti
malinconici.
Ma ben presto, lo studio più penoso fu quello di trovar la strada. Dopo aver
camminato un pezzo, si può dire, alla ventura, vide che da sé non ne poteva
uscire. Provava bensì una certa ripugnanza a metter fuori quella parola
Bergamo, come se avesse un non so che di sospetto, di sfacciato; ma non si
poteva far di meno. Risolvette dunque di rivolgersi, come aveva fatto in Milano,
al primo viandante la cui fisonomia gli andasse a genio; e così fece.
- Siete fuor di strada, - gli rispose questo; e, pensatoci un poco, parte con
parole, parte co' cenni, gl'indicò il giro che doveva fare, per rimettersi
sulla strada maestra. Renzo lo ringraziò, fece le viste di far come gli era
stato detto, prese in fatti da quella parte, con intenzione però d'avvicinarsi
bensì a quella benedetta strada maestra, di non perderla di vista, di
costeggiarla più che fosse possibile; ma senza mettervi piede. Il disegno era
più facile da concepirsi che da eseguirsi. La conclusione fu che, andando così
da destra a sinistra, e, come si dice, a zig zag, parte seguendo l'altre
indicazioni che si faceva coraggio a pescar qua e là, parte correggendole
secondo i suoi lumi, e adattandole al suo intento, parte lasciandosi guidar
dalle strade in cui si trovava incamminato, il nostro fuggitivo aveva fatte
forse dodici miglia, che non era distante da Milano più di sei; e in quanto a
Bergamo, era molto se non se n'era allontanato. Cominciò a persuadersi che,
anche in quella maniera, non se n'usciva a bene; e pensò a trovar qualche altro
ripiego. Quello che gli venne in mente, fu di scovar, con qualche astuzia, il
nome di qualche paese vicino al confine, e al quale si potesse andare per
istrade comunali: e domandando di quello, si farebbe insegnar la strada, senza
seminar qua e là quella domanda di Bergamo, che gli pareva puzzar tanto di
fuga, di sfratto, di criminale.
Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle notizie, senza dar sospetto,
vede pendere una frasca da una casuccia solitaria, fuori d'un paesello. Da
qualche tempo, sentiva anche crescere il bisogno di ristorar le sue forze;
pensò che lì sarebbe il luogo di fare i due servizi in una volta; entrò. Non
c'era che una vecchia, con la rocca al fianco, e col fuso in mano. Chiese un
boccone; gli fu offerto un po' di stracchino e del vin buono: accettò lo
stracchino, del vino la ringraziò (gli era venuto in odio, per quello scherzo
che gli aveva fatto la sera avanti); e si mise a sedere, pregando la donna che
facesse presto. Questa, in un momento, ebbe messo in tavola; e subito dopo
cominciò a tempestare il suo ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran
fatti di Milano: ché la voce n'era arrivata fin là. Renzo, non solo seppe
schermirsi dalle domande, con molta disinvoltura; ma, approfittandosi della
difficoltà medesima, fece servire al suo intento la curiosità della vecchia,
che gli domandava dove fosse incamminato.
- Devo andare in molti luoghi, - rispose: - e, se trovo un ritaglio di tempo,
vorrei anche passare un momento da quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di
Bergamo, vicino al confine, però nello stato di Milano... Come si chiama? -
"Qualcheduno ce ne sarà", pensava intanto tra sé.
- Gorgonzola, volete dire, - rispose la vecchia.
- Gorgonzola! - ripeté Renzo, quasi per mettersi meglio in mente la parola.
- È molto lontano di qui? - riprese poi.
- Non lo so precisamente: saranno dieci, saranno dodici miglia. Se ci fosse
qualcheduno de' miei figliuoli, ve lo saprebbe dire.
- E credete che ci si possa andare per queste belle viottole, senza prender
la strada maestra? dove c'è una polvere, una polvere! Tanto tempo che non
piove!
- A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando
a diritta -. E glielo nominò.
- Va bene; - disse Renzo; s'alzò, prese un pezzo di pane che gli era
avanzato della magra colazione, un pane ben diverso da quello che aveva trovato,
il giorno avanti, appiè della croce di san Dionigi; pagò il conto, uscì, e
prese a diritta. E, per non ve l'allungar più del bisogno, col nome di
Gorgonzola in bocca, di paese in paese, ci arrivò, un'ora circa prima di sera.
Già cammin facendo, aveva disegnato di far lì un'altra fermatina, per fare
un pasto un po' più sostanzioso. Ilcorpo avrebbe anche gradito un po' di letto;
ma prima che contentarlo in questo, Renzo l'avrebbe lasciato cader rifinito
sulla strada. Il suo proposito era d'informarsi all'osteria, della distanza
dell'Adda, di cavar destramente notizia di qualche traversa che mettesse là, e
di rincamminarsi da quella parte, subito dopo essersi rinfrescato. Nato e
cresciuto alla seconda sorgente, per dir così, di quel fiume, aveva sentito dir
più volte, che, a un certo punto, e per un certo tratto, esso faceva confine
tra lo stato milanese e il veneto: del punto e del tratto non aveva un'idea
precisa; ma, allora come allora, l'affar più urgente era di passarlo, dovunque
si fosse. Se non gli riusciva in quel giorno, era risoluto di camminare fin che
l'ora e la lena glielo permettessero: e d'aspettar poi l'alba, in un campo, in
un deserto; dove piacesse a Dio; pur che non fosse un'osteria.
Fatti alcuni passi in Gorgonzola, vide un'insegna, entrò; e all'oste, che
gli venne incontro, chiese un boccone, e una mezzetta di vino: le miglia di
più, e il tempo gli avevan fatto passare quell'odio così estremo e fanatico. -
Vi prego di far presto, soggiunse: - perché ho bisogno di rimettermi subito in
istrada -. E questo lo disse, non solo perché era vero, ma anche per paura che
l'oste, immaginandosi che volesse dormir lì, non gli uscisse fuori a domandar
del nome e del cognome, e donde veniva, e per che negozio... Alla larga!
L'oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in
fondo della tavola, vicino all'uscio: il posto de' vergognosi.
C'erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver
discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si
struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno; tanto più
che quelle prime eran più atte a stuzzicar la curiosità, che a soddisfarla:
una sollevazione, né soggiogata né vittoriosa, sospesa più che terminata
dalla notte; una cosa tronca, la fine d'un atto piuttosto che d'un dramma. Un di
coloro si staccò dalla brigata, s'accostò al soprarrivato, e gli domandò se
veniva da Milano.
- Io? - disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere.
- Voi, se la domanda è lecita.
Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono
inarticolato, disse: - Milano, da quel che ho sentito dire... non dev'essere un
luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessità.
- Continua dunque anche oggi il fracasso? - domandò, con più istanza, il
curioso.
- Bisognerebbe esser là, per saperlo, - disse Renzo.
- Ma voi, non venite da Milano?
- Vengo da Liscate, - rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la
sua risposta. Ne veniva in fatti, a rigor di termini, perché c'era passato; e
il nome l'aveva saputo, a un certo punto della strada, da un viandante che gli
aveva indicato quel paese come il primo che doveva attraversare, per arrivare a
Gorgonzola.
- Oh! - disse l'amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da
Milano, ma pazienza. - E a Liscate, - soggiunse, - non si sapeva niente di
Milano?
- Potrebb'essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualche cosa, -
rispose il montanaro: - ma io non ho sentito dir nulla.
E queste parole le proferì in quella maniera particolare che par che voglia
dire: ho finito. Il curioso ritornò al suo posto; e, un momento dopo, l'oste
venne a mettere in tavola.
- Quanto c'è di qui all'Adda? - gli disse Renzo, mezzo tra' denti, con un
fare da addormentato, che gli abbiam visto qualche altra volta.
- All'Adda, per passare? - disse l'oste.
- Cioè... sì... all'Adda.
- Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?
- Dove si sia... Domando così per curiosità.
- Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini,
la gente che può dar conto di sé.
- Va bene: e quanto c'è?
- Fate conto che, tanto a un luogo, come all'altro, poco più, poco meno, ci
sarà sei miglia.
- Sei miglia! non credevo tanto, - disse Renzo. - E già, - e già, chi
avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter
passare?
- Ce n'è sicuro, - rispose l'oste, ficcandogli in viso due occhi pieni d'una
curiosità maliziosa. Bastò questo per far morir tra' denti al giovine l'altre
domande che aveva preparate. Si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta
che l'oste aveva posata, insieme con quello, sulla tavola, disse: - il vino è
sincero?
Come l'oro, - disse l'oste: - domandatene pure a tutta la gente del paese e
del contorno, che se n'intende: e poi, lo sentirete -. E così dicendo, tornò
verso la brigata.
"Maledetti gli osti!" esclamò Renzo tra sé: "più ne
conosco, peggio li trovo". Non ostante, si mise a mangiare con
grand'appetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi, senza che paresse suo
fatto, per veder di scoprir paese, di rilevare come si pensasse colà sul
grand'avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola parte, e d'osservare
specialmente se, tra que' parlatori, ci fosse qualche galantuomo, a cui un
povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada, senza timore d'esser
messo alle strette, e forzato a ciarlare de' fatti suoi.
- Ma! - diceva uno: - questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto
far davvero. Basta; domani al più tardi, si saprà qualcosa.
- Mi pento di non esser andato a Milano stamattina, - diceva un altro.
- Se vai domani, vengo anch'io, - disse un terzo; poi un altro, poi un altro.
- Quel che vorrei sapere, - riprese il primo, - è se que' signori di Milano
penseranno anche alla povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona
solamente per loro. Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli
altri, come se non ci fossero.
- La bocca l'abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra
ragione, - disse un altro, con voce tanto più modesta, quanto più la
proposizione era avanzata: - e quando la cosa sia incamminata... - Ma credette
meglio di non finir la frase.
- Del grano nascosto, non ce n'è solamente in Milano, - cominciava un altro,
con un'aria cupa e maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron
tutti all'uscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un
mercante di Milano, che, andando più volte l'anno a Bergamo, per i suoi
traffichi, era solito passar la notte in quell'osteria; e siccome ci trovava
quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti. Gli s'affollano intorno;
uno prende la briglia, un altro la staffa. - Ben arrivato, ben arrivato!
- Ben trovati.
- Avete fatto buon viaggio?
- Bonissimo; e voi altri, come state?
- Bene, bene. Che nuove ci portate di Milano?
- Ah! ecco quelli delle novità, - disse il mercante, smontando, e lasciando
il cavallo in mano d'un garzone. - E poi, e poi, continuò, entrando con la
compagnia, - a quest'ora le saprete forse meglio di me.
- Non sappiamo nulla, davvero, - disse più d'uno, mettendosi la mano al
petto.
- Possibile? - disse il mercante. - Dunque ne sentirete delle belle... o
delle brutte. Ehi, oste, il mio letto solito è in libertà? Bene: un bicchier
di vino, e il mio solito boccone, subito; perché voglio andare a letto presto,
per partir presto domattina, e arrivare a Bergamo per l'ora del desinare. E voi
altri, - continuò, mettendosi a sedere, dalla parte opposta a quella dove stava
Renzo, zitto e attento, - voi altri non sapete di tutte quelle diavolerie di
ieri?
- Di ieri sì.
- Vedete dunque, - riprese il mercante, - se le sapete le novità. Lo dicevo
io che, stando qui sempre di guardia, per frugar quelli che passano...
- Ma oggi, com'è andata oggi?
- Ah oggi. Non sapete niente d'oggi?
- Niente affatto: non è passato nessuno.
- Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò le cose d'oggi.
Sentirete -. Empì il bicchiere, lo prese con una mano, poi con le prime due
dita dell'altra sollevò i baffi, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese: -
oggi, amici cari, ci mancò poco, che non fosse una giornata brusca come ieri, o
peggio. E non mi par quasi vero d'esser qui a chiacchierar con voi altri;
perché avevo già messo da parte ogni pensiero di viaggio, per restare a
guardar la mia povera bottega.
- Che diavolo c'era? - disse uno degli ascoltanti.
- Proprio il diavolo: sentirete -. E trinciando la pietanza che gli era stata
messa davanti, e poi mangiando, continuò il suo racconto. I compagni, ritti di
qua e di là della tavola, lo stavano a sentire, con la bocca aperta; Renzo, al
suo posto, senza che paresse suo fatto, stava attento, forse più di tutti,
masticando adagio adagio gli ultimi suoi bocconi.
- Stamattina dunque que' birboni che ieri avevano fatto quel chiasso orrendo,
si trovarono a' posti convenuti (già c'era un'intelligenza: tutte cose
preparate); si riunirono, e ricominciarono quella bella storia di girare di
strada in strada, gridando per tirar altra gente. Sapete che è come quando si
spazza, con riverenza parlando, la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa
quanto più va avanti. Quando parve loro d'esser gente abbastanza, s'avviarono
verso la casa del signor vicario di provvisione; come se non bastassero le
tirannie che gli hanno fatte ieri: a un signore di quella sorte! oh che birboni!
E la roba che dicevan contro di lui! Tutte invenzioni: un signor dabbene,
puntuale; e io lo posso dire, che son tutto di casa, e lo servo di panno per le
livree della servitù. S'incamminaron dunque verso quella casa: bisognava veder
che canaglia, che facce: figuratevi che son passati davanti alla mia bottega:
facce che... i giudei della Via Crucis non ci son per nulla. E le cose
che uscivan da quelle bocche! da turarsene gli orecchi, se non fosse stato che
non tornava conto di farsi scorgere. Andavan dunque con la buona intenzione di
dare il sacco; ma... - E qui, alzata in aria, e stesa la mano sinistra, si mise
la punta del pollice alla punta del naso.
- Ma? - dissero forse tutti gli ascoltatori.
- Ma, - continuò il mercante, - trovaron la strada chiusa con travi e con
carri, e, dietro quella barricata, una bella fila di micheletti, con gli
archibusi spianati, per riceverli come si meritavano. Quando videro questo
bell'apparato... Cosa avreste fatto voi altri?
- Tornare indietro.
- Sicuro; e così fecero. Ma vedete un poco se non era il demonio che li
portava. Son lì sul Cordusio, vedon lì quel forno che fin da ieri, avevan
voluto saccheggiare; e cosa si faceva in quella bottega? si distribuiva il pane
agli avventori; c'era de' cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto
andasse bene; e costoro (avevano il diavolo addosso vi dico, e poi c'era chi gli
aizzava), costoro, dentro come disperati; piglia tu, che piglio anch'io: in un
batter d'occhio, cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie,
casse, sacchi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra.
- E i micheletti?
- I micheletti avevan la casa del vicario da guardare: non si può cantare e
portar la croce. Fu in un batter d'occhio, vi dico: piglia piglia; tutto ciò
che c'era buono a qualcosa, fu preso. E poi torna in campo quel bel ritrovato di
ieri, di portare il resto sulla piazza, e di farne una fiammata. E già
cominciavano, i manigoldi, a tirar fuori roba; quando uno più manigoldo degli
altri, indovinate un po' con che bella proposta venne fuori.
- Con che cosa?
- Di fare un mucchio di tutto nella bottega, e di dar fuoco al mucchio e alla
casa insieme. Detto fatto...
- Ci han dato fuoco?
- Aspettate. Un galantuomo del vicinato ebbe un'ispirazione dal cielo. Corse
su nelle stanze, cercò d'un Crocifisso, lo trovò, l'attaccò all'archetto
d'una finestra, prese da capo d'un letto due candele benedette, le accese, e le
mise sul davanzale, a destra e a sinistra del Crocifisso. La gente guarda in su.
In un Milano, bisogna dirla, c'è ancora del timor di Dio; tutti tornarono in
sé. La più parte, voglio dire; c'era bensì de' diavoli che, per rubare,
avrebbero dato fuoco anche al paradiso; ma visto che la gente non era del loro
parere, dovettero smettere, e star cheti. Indovinate ora chi arrivò
all'improvviso. Tutti i monsignori del duomo, in processione, a croce alzata, in
abito corale; e monsignor Mazenta, arciprete, comincio a predicare da una parte,
e monsignor Settala, penitenziere, da un'altra, e gli altri anche loro: ma,
brava gente! ma cosa volete fare? ma è questo l'esempio che date a' vostri
figliuoli? ma tornate a casa; ma non sapete che il pane è a buon mercato, più
di prima? ma andate a vedere, che c'è l'avviso sulle cantonate.
- Era vero?
- Diavolo! Volete che i monsignori del duomo venissero in cappa magna a dir
delle fandonie?
- E la gente cosa fece?
- A poco a poco se n'andarono; corsero alle cantonate; e, chi sapeva leggere,
la c'era proprio la meta. Indovinate un poco: un pane d'ott'once, per un soldo.
- Che bazza!
- La vigna è bella; pur che la duri. Sapete quanta farina hanno mandata a
male, tra ieri e stamattina? Da mantenerne il ducato per due mesi.
- E per fuori di Milano, non s'è fatta nessuna legge buona?
- Quel che s'è fatto per Milano, è tutto a spese della città. Non so che
vi dire: per voi altri sarà quel che Dio vorrà. A buon conto, i fracassi son
finiti. Non v'ho detto tutto; ora viene il buono.
- Cosa c'è ancora?
- C'è che, ier sera o stamattina che sia, ne sono stati agguantati molti; e
subito s'è saputo che i capi saranno impiccati. Appena cominciò a spargersi
questa voce, ognuno andava a casa per la più corta, per non arrischiare d'esser
nel numero. Milano, quand'io ne sono uscito, pareva un convento di frati.
- Gl'impiccheranno poi davvero?
- Eccome! e presto, - rispose il mercante.
- E la gente cosa farà? - domandò ancora colui che aveva fatta l'altra
domanda.
- La gente? anderà a vedere, - disse il mercante. - Avevan tanta voglia di
veder morire un cristiano all'aria aperta, che volevano, birboni! far la festa
al signor vicario di provvisione. In vece sua, avranno quattro tristi, serviti
con tutte le formalità, accompagnati da' cappuccini, e da' confratelli della
buona morte; e gente che se l'è meritato. È una provvidenza, vedete; era una
cosa necessaria. Cominciavan già a prender il vizio d'entrar nelle botteghe, e
di servirsi, senza metter mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane
sarebbero venuti al vino, e così di mano in mano... Pensate se coloro volevano
smettere, di loro spontanea volontà, una usanza così comoda. E vi so dir io
che, per un galantuomo che ha bottega aperta, era un pensier poco allegro.
- Davvero, - disse uno degli ascoltatori. - Davvero, - ripeteron gli altri, a
una voce.
- E, - continuò il mercante, asciugandosi la barba col tovagliolo, - l'era
ordita da un pezzo: c'era una lega, sapete?
- C'era una lega?
- C'era una lega. Tutte cabale ordite da' navarrini, da quel cardinale là di
Francia, sapete chi voglio dire, che ha un certo nome mezzo turco, e che ogni
giorno ne pensa una, per far qualche dispetto alla corona di Spagna. Ma sopra
tutto, tende a far qualche tiro a Milano; perché vede bene, il furbo, che qui
sta la forza del re.
- Già.
- Ne volete una prova? Chi ha fatto il più gran chiasso, eran forestieri;
andavano in giro facce, che in Milano non s'eran mai vedute. Anzi mi dimenticavo
di dirvene una che m'è stata data per certa. La giustizia aveva acchiappato uno
in un'osteria... - Renzo, il quale non perdeva un ette di quel discorso, al
tocco di questa corda, si sentì venir freddo, e diede un guizzo, prima che
potesse pensare a contenersi. Nessuno però se n'avvide; e il dicitore, senza
interrompere il filo del racconto, seguitò: - uno che non si sa bene ancora da
che parte fosse venuto, da chi fosse mandato, né che razza d'uomo si fosse; ma
certo era uno de' capi. Già ieri, nel forte del baccano, aveva fatto il
diavolo; e poi, non contento di questo, s'era messo a predicare, e a proporre,
così una galanteria, che s'ammazzassero tutti i signori. Birbante! Chi farebbe
viver la povera gente, quando i signori fossero ammazzati? La giustizia, che
l'aveva appostato, gli mise l'unghie addosso; gli trovarono un fascio di
lettere; e lo menavano in gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda
intorno all'osteria, vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigoldo.
- E cosa n'è stato?
- Non si sa; sarà scappato, o sarà nascosto in Milano: son gente che non ha
né casa né tetto, e trovan per tutto da alloggiare e da rintanarsi: però
finché il diavolo può, e vuole aiutarli: ci dan poi dentro quando meno se lo
pensano; perché, quando la pera è matura, convien che caschi. Per ora si sa di
sicuro che le lettere son rimaste in mano della giustizia, e che c'è descritta
tutta la cabala; e si dice che n'anderà di mezzo molta gente. Peggio per loro;
che hanno messo a soqquadro mezzo Milano, e volevano anche far peggio. Dicono
che i fornai son birboni. Lo so anch'io; ma bisogna impiccarli per via di
giustizia. C'è del grano nascosto. Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a
tener buone spie, e andarlo a disotterrare, e mandare anche gl'incettatori a dar
calci all'aria, in compagnia de' fornai. E se chi comanda non fa nulla, tocca
alla città a ricorrere; e se non dànno retta alla prima, ricorrere ancora;
ché a forza di ricorrere s'ottiene; e non metter su un'usanza così scellerata
d'entrar nelle botteghe e ne' fondachi, a prender la roba a man salva.
A Renzo quel poco mangiare era andato in tanto veleno. Gli pareva mill'anni
d'esser fuori e lontano da quell'osteria, da quel paese; e più di dieci volte
aveva detto a sé stesso: andiamo, andiamo. Ma quella paura di dar sospetto,
cresciuta allora oltremodo, e fatta tiranna di tutti i suoi pensieri, l'aveva
tenuto sempre inchiodato sulla panca. In quella perplessità, pensò che il
ciarlone doveva poi finire di parlar di lui; e concluse tra sé, di moversi,
appena sentisse attaccare qualche altro discorso.
- E per questo, - disse uno della brigata, - io che so come vanno queste
faccende, e che ne' tumulti i galantuomini non ci stanno bene, non mi son
lasciato vincere dalla curiosità, e son rimasto a casa mia.
- E io, mi son mosso? - disse un altro.
- Io? - soggiunse un terzo: - se per caso mi fossi trovato in Milano, avrei
lasciato imperfetto qualunque affare, e sarei tornato subito a casa mia. Ho
moglie e figliuoli; e poi, dico la verità, i baccani non mi piacciono.
A questo punto, l'oste, ch'era stato anche lui a sentire, andò verso l'altra
cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero. Renzo colse
l'occasione, chiamò l'oste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza
tirare, quantunque l'acque fossero molto basse; e, senza far altri discorsi,
andò diritto all'uscio, passò la soglia, e, a guida della Provvidenza,
s'incamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto.
CAPITOLO XVII
Basta spesso una voglia, per non lasciar ben avere un uomo; pensate poi due
alla volta, l'una in guerra coll'altra. Il povero Renzo n'aveva, da molte ore,
due tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto:
e le sciagurate parole del mercante gli avevano accresciuta oltremodo l'una e
l'altra a un colpo. Dunque la sua avventura aveva fatto chiasso; dunque lo
volevano a qualunque patto; chi sa quanti birri erano in campo per dargli la
caccia! quali ordini erano stati spediti di frugar ne' paesi, nell'osterie, per
le strade! Pensava bensì che finalmente i birri che lo conoscevano, eran due
soli, e che il nome non lo portava scritto in fronte; ma gli tornavano in mente
certe storie che aveva sentite raccontare, di fuggitivi colti e scoperti per
istrane combinazioni, riconosciuti all'andare, all'aria sospettosa, ad altri
segnali impensati: tutto gli faceva ombra. Quantunque, nel momento che usciva di
Gorgonzola, scoccassero le ventiquattro, e le tenebre che venivano innanzi,
diminuissero sempre più que' pericoli, ciò non ostante prese contro voglia la
strada maestra, e si propose d'entrar nella prima viottola che gli paresse
condur dalla parte dove gli premeva di riuscire. Sul principio, incontrava
qualche viandante; ma, pieno la fantasia di quelle brutte apprensioni, non ebbe
cuore d'abbordarne nessuno, per informarsi della strada. "Ha detto sei
miglia, colui, - pensava: - se andando fuor di strada, dovessero anche diventar
otto o dieci, le gambe che hanno fatte l'altre, faranno anche queste. Verso
Milano non vo di certo; dunque vo verso l'Adda. Cammina, cammina, o presto o
tardi ci arriverò. L'Adda ha buona voce; e, quando le sarò vicino, non ho più
bisogno di chi me l'insegni. Se qualche barca c'è, da poter passare, passo
subito, altrimenti mi fermerò fino alla mattina, in un campo, sur una pianta,
come le passere: meglio sur una pianta, che in prigione".
Ben presto vide aprirsi una straducola a mancina; e v'entrò. A quell'ora, se
si fosse abbattuto in qualcheduno, non avrebbe più fatte tante cerimonie per
farsi insegnar la strada; ma non sentiva anima vivente. Andava dunque dove la
strada lo conduceva; e pensava.
"Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di
lettere, io! I miei compagni che mi stavano a far la guardia! Pagherei qualche
cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercante, di là dall'Adda (ah quando
l'avrò passata quest'Adda benedetta!), e fermarlo, e domandargli con comodo
dov'abbia pescate tutte quelle belle notizie. Sappiate ora, mio caro signore,
che la cosa è andata così e così, e che il diavolo ch'io ho fatto, è stato
d'aiutar Ferrer, come se fosse stato un mio fratello; sappiate che que' birboni
che, a sentir voi, erano i miei amici, perché, in un certo momento, io dissi
una parola da buon cristiano, mi vollero fare un brutto scherzo; sappiate che,
intanto che voi stavate a guardar la vostra bottega, io mi faceva schiacciar le
costole, per salvare il vostro signor vicario di provvisione, che non l'ho mai
né visto né conosciuto. Aspetta che mi mova un'altra volta, per aiutar
signori... È vero che bisogna farlo per l'anima: son prossimo anche loro. E
quel gran fascio di lettere, dove c'era tutta la cabala, e che adesso è in mano
della giustizia, come voi sapete di certo; scommettiamo che ve lo fo comparir
qui, senza l'aiuto del diavolo? Avreste curiosità di vederlo quel fascio?
Eccolo qui... Una lettera sola?... Sì signore, una lettera sola; e questa
lettera, se lo volete sapere, l'ha scritta un religioso che vi può insegnar la
dottrina, quando si sia; un religioso che, senza farvi torto, val più un pelo
della sua barba che tutta la vostra; e è scritta, questa lettera, come vedete,
a un altro religioso, un uomo anche lui... Vedete ora quali sono i furfanti miei
amici. E imparate a parlare un'altra volta; principalmente quando si tratta del
prossimo".
Ma dopo qualche tempo, questi pensieri ed altri simili cessarono affatto: le
circostanze presenti occupavan tutte le facoltà del povero pellegrino. La paura
d'essere inseguito o scoperto, che aveva tanto amareggiato il viaggio in pieno
giorno, non gli dava ormai più fastidio; ma quante cose rendevan questo molto
più noioso! Le tenebre, la solitudine, la stanchezza cresciuta, e ormai
dolorosa; tirava una brezzolina sorda, uguale, sottile, che doveva far poco
servizio a chi si trovava ancora indosso quegli stessi vestiti che s'era messi
per andare a nozze in quattro salti, e tornare subito trionfante a casa sua; e,
ciò che rendeva ogni cosa più grave, quell'andare alla ventura, e, per dir
così, al tasto, cercando un luogo di riposo e di sicurezza.
Quando s'abbatteva a passare per qualche paese, andava adagio adagio,
guardando però se ci fosse ancora qualche uscio aperto; ma non vide mai altro
segno di gente desta, che qualche lumicino trasparente da qualche impannata.
Nella strada fuor dell'abitato, si soffermava ogni tanto; stava in orecchi, per
veder se sentiva quella benedetta voce dell'Adda; ma invano. Altre voci non
sentiva, che un mugolìo di cani, che veniva da qualche cascina isolata, vagando
per l'aria, lamentevole insieme e minaccioso. Al suo avvicinarsi a qualcheduna
di quelle, il mugolìo si cambiava in un abbaiar frettoloso e rabbioso: nel
passar davanti alla porta, sentiva, vedeva quasi, il bestione, col muso al
fessolino della porta, raddoppiar gli urli: cosa che gli faceva andar via la
tentazione di picchiare, e di chieder ricovero. E forse, anche senza i cani, non
ci si sarebbe risolto. "Chi è là? - pensava: - cosa volete a quest'ora?
Come siete venuto qui? Fatevi conoscere. Non c'è osterie da alloggiare? Ecco,
andandomi bene, quel che mi diranno, se picchio: quand'anche non ci dorma
qualche pauroso che, a buon conto, si metta a gridare: aiuto! al ladro! Bisogna
aver subito qualcosa di chiaro da rispondere: e cosa ho da rispondere io? Chi
sente un rumore la notte, non gli viene in testa altro che ladri, malviventi,
trappole: non si pensa mai che un galantuomo possa trovarsi in istrada di notte,
se non è un cavaliere in carrozza". Allora serbava quel partito
all'estrema necessità, e tirava innanzi, con la speranza di scoprire almeno
l'Adda, se non passarla, in quella notte; e di non dover andarne alla cerca, di
giorno chiaro.
Cammina, cammina; arrivò dove la campagna coltivata moriva in una sodaglia
sparsa di felci e di scope. Gli parve, se non indizio, almeno un certo qual
argomento di fiume vicino, e s'inoltrò per quella, seguendo un sentiero che
l'attraversava. Fatti pochi passi, si fermò ad ascoltare; ma ancora invano. La
noia del viaggio veniva accresciuta dalla salvatichezza del luogo, da quel non
veder più né un gelso, né una vite, né altri segni di coltura umana, che
prima pareva quasi che gli facessero una mezza compagnia. Ciò non ostante andò
avanti; e siccome nella sua mente cominciavano a suscitarsi certe immagini,
certe apparizioni, lasciatevi in serbo dalle novelle sentite raccontar da
bambino, così, per discacciarle, o per acquietarle, recitava, camminando,
dell'orazioni per i morti.
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di
marruche. Seguitando a andare avanti, e allungando il passo, con più impazienza
che voglia, cominciò a veder tra le macchie qualche albero sparso; e andando
ancora, sempre per lo stesso sentiero, s'accorse d'entrare in un bosco. Provava
un certo ribrezzo a inoltrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia andò avanti; ma
più che s'inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava
fastidio. Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane,
deformi, mostruose; l'annoiava l'ombra delle cime leggermente agitate, che
tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scrosciar
delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo
orecchio un non so che d'odioso. Le gambe provavano come una smania, un impulso
di corsa, e nello stesso tempo pareva che durassero fatica a regger la persona.
Sentiva la brezza notturna batter più rigida e maligna sulla fronte e sulle
gote; se la sentiva scorrer tra i panni e le carni, e raggrinzarle, e penetrar
più acuta nelle ossa rotte dalla stanchezza, e spegnervi quell'ultimo
rimasuglio di vigore. A un certo punto, quell'uggia, quell'orrore indefinito con
cui l'animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse.
Era per perdersi affatto; ma atterrito, più che d'ogni altra cosa, del suo
terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti, e gli comandò che reggesse.
Così rinfrancato un momento, si fermò su due piedi a deliberare; risolveva
d'uscir subito di lì per la strada già fatta, d'andar diritto all'ultimo paese
per cui era passato, di tornar tra gli uomini, e di cercare un ricovero, anche
all'osteria. E stando così fermo, sospeso il fruscìo de' piedi nel fogliame,
tutto tacendo d'intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un
mormorìo d'acqua corrente. Sta in orecchi; n'è certo; esclama: - è l'Adda! -
Fu il ritrovamento d'un amico, d'un fratello, d'un salvatore. La stanchezza
quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tepido
per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de' pensieri, e svanire in gran
parte quell'incertezza e gravità delle cose; e non esitò a internarsi sempre
più nel bosco, dietro all'amico rumore.
Arrivò in pochi momenti all'estremità del piano, sull'orlo d'una riva
profonda; e guardando in giù tra le macchie che tutta la rivestivano, vide
l'acqua luccicare e correre. Alzando poi lo sguardo, vide il vasto piano
dell'altra riva, sparso di paesi, e al di là i colli, e sur uno di quelli una
gran macchia biancastra, che gli parve dover essere una città, Bergamo
sicuramente. Scese un po' sul pendìo, e, separando e diramando, con le mani e
con le braccia, il prunaio, guardò giù, se qualche barchetta si movesse nel
fiume, ascoltò se sentisse batter de' remi; ma non vide né sentì nulla. Se
fosse stato qualcosa di meno dell'Adda, Renzo scendeva subito, per tentarne il
guado; ma sapeva bene che l'Adda non era fiume da trattarsi così in confidenza.
Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo, sul partito da
prendere. Arrampicarsi sur una pianta, e star lì a aspettar l'aurora, per forse
sei ore che poteva ancora indugiare, con quella brezza, con quella brina,
vestito così, c'era più che non bisognasse per intirizzir davvero. Passeggiare
innanzi e indietro, tutto quel tempo, oltre che sarebbe stato poco efficace
aiuto contro il rigore del sereno, era un richieder troppo da quelle povere
gambe, che già avevano fatto più del loro dovere. Gli venne in mente d'aver
veduto, in uno de' campi più vicini alla sodaglia, una di quelle capanne
coperte di paglia, costrutte di tronchi e di rami, intonacati poi con la mota,
dove i contadini del milanese usan, l'estate, depositar la raccolta, e ripararsi
la notte a guardarla: nell'altre stagioni, rimangono abbandonate. La disegnò
subito per suo albergo; si rimise sul sentiero, ripassò il bosco, le macchie,
la sodaglia; e andò verso la capanna. Un usciaccio intarlato e sconnesso, era
rabbattuto, senza chiave né catenaccio; Renzo l'aprì, entrò; vide sospeso per
aria, e sostenuto da ritorte di rami, un graticcio, a foggia d'hamac; ma non sl
curò di salirvi. Vide in terra un po' di paglia; e pensò che, anche lì, una
dormitina sarebbe ben saporita.
Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva
preparato, vi s'inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di tutta
l'assistenza che aveva avuta da essa, in quella terribile giornata. Disse poi le
sue solite divozioni; e per di più, chiese perdono a Domeneddio di non averle
dette la sera avanti; anzi, per dir le sue parole, d'essere andato a dormire
come un cane, e peggio. "E per questo, - soggiunse poi tra sé;
appoggiando le mani sulla paglia, e d'inginocchioni mettendosi a giacere: - per
questo, m'è toccata, la mattina, quella bella svegliata". Raccolse poi
tutta la paglia che rimaneva all'intorno, e se l'accomodò addosso, facendosene,
alla meglio, una specie di coperta, per temperare il freddo, che anche là
dentro si faceva sentir molto bene; e vi si rannicchiò sotto, con l'intenzione
di dormire un bel sonno, parendogli d'averlo comprato anche più caro del
dovere.
Ma appena ebbe chiusi gli occhi, cominciò nella sua memoria o nella sua
fantasia (il luogo preciso non ve lo saprei dire), cominciò, dico, un andare e
venire di gente, così affollato, così incessante, che addio sonno. Il
mercante, il notaio, i birri, lo spadaio, l'oste, Ferrer, il vicario, la brigata
dell'osteria, tutta quella turba delle strade, poi don Abbondio, poi don
Rodrigo: tutta gente con cui Renzo aveva che dire.
Tre sole immagini gli si presentavano non accompagnate da alcuna memoria
amara, nette d'ogni sospetto, amabili in tutto; e due principalmente, molto
differenti al certo, ma strettamente legate nel cuore del giovine: una treccia
nera e una barba bianca. Ma anche la consolazione che provava nel fermare sopra
di esse il pensiero, era tutt'altro che pretta e tranquilla. Pensando al buon
frate, sentiva più vivamente la vergogna delle proprie scappate, della turpe
intemperanza, del bel caso che aveva fatto de' paterni consigli di lui; e
contemplando l'immagine di Lucia! non ci proveremo a dire ciò che sentisse: il
lettore conosce le circostanze; se lo figuri. E quella povera Agnese, come
l'avrebbe potuta dimenticare? Quell'Agnese, che l'aveva scelto, che l'aveva già
considerato come una cosa sola con la sua unica figlia, e prima di ricever da
lui il titolo di madre, n'aveva preso il linguaggio e il cuore, e dimostrata co'
fatti la premura. Ma era un dolore di più, e non il meno pungente, quel
pensiero, che, in grazia appunto di così amorevoli intenzioni, di tanto bene
che voleva a lui, la povera donna si trovava ora snidata, quasi raminga, incerta
dell'avvenire, e raccoglieva guai e travagli da quelle cose appunto da cui aveva
sperato il riposo e la giocondità degli ultimi suoi anni. Che notte, povero
Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle sue nozze! Che stanza! Che letto
matrimoniale! E dopo qual giornata! E per arrivare a qual domani, a qual serie
di giorni! "Quel che Dio vuole, - rispondeva ai pensieri che gli davan
più noia: - quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c'è anche per noi. Vada
tutto in isconto de' miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla
patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!"
Tra questi pensieri, e disperando ormai d'attaccar sonno, e facendosegli il
freddo sentir sempre più, a segno ch'era costretto ogni tanto a tremare e a
battere i denti, sospirava la venuta del giorno, e misurava con impazienza il
lento scorrer dell'ore. Dico misurava, perché, ogni mezz'ora, sentiva in quel
vasto silenzio, rimbombare i tocchi d'un orologio: m'immagino che dovesse esser
quello di Trezzo. E la prima volta che gli ferì gli orecchi quello scocco,
così inaspettato, senza che potesse avere alcuna idea del luogo donde venisse,
gli fece un senso misterioso e solenne, come d'un avvertimento che venisse da
persona non vista, con una voce sconosciuta.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici tocchi, ch'era l'ora
disegnata da Renzo per levarsi, s'alzò mezzo intirizzito, si mise
inginocchioni, disse, e con più fervore del solito, le divozioni della mattina,
si rizzò, si stirò in lungo e in largo, scosse la vita e le spalle, come per
mettere insieme tutte le membra, che ognuno pareva che facesse da sé, soffiò
in una mano, poi nell'altra, se le stropicciò, aprì l'uscio della capanna; e,
per la prima cosa, diede un'occhiata in qua e in là, per veder se c'era
nessuno. E non vedendo nessuno, cercò con l'occhio il sentiero della sera
avanti; lo riconobbe subito, e prese per quello.
Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto, pallida e senza
raggio, pure spiccava nel campo immenso d'un bigio ceruleo, che, giù giù verso
l'oriente, s'andava sfumando leggermente in un giallo roseo. Più giù,
all'orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali, poche nuvole, tra
l'azzurro e il bruno, le più basse orlate al di sotto d'una striscia quasi di
fuoco, che di mano in mano si faceva più viva e tagliente: da mezzogiorno,
altre nuvole ravvolte insieme, leggieri e soffici, per dir così, s'andavan
lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello
quand'è bello, così splendido, così in pace. Se Renzo si fosse trovato lì
andando a spasso, certo avrebbe guardato in su, e ammirato quell'albeggiare
così diverso da quello ch'era solito vedere ne' suoi monti; ma badava alla sua
strada, e camminava a passi lunghi, per riscaldarsi, e per arrivar presto. Passa
i campi, passa la sodaglia, passa le macchie, attraversa il bosco, guardando in
qua e in là, e ridendo e vergognandosi nello stesso tempo, del ribrezzo che vi
aveva provato poche ore prima; è sul ciglio della riva, guarda giù; e, di tra
i rami, vede una barchetta di pescatore, che veniva adagio, contr'acqua, radendo
quella sponda. Scende subito per la più corta, tra i pruni; è sulla riva; dà
una voce leggiera leggiera al pescatore; e, con l'intenzione di far come se
chiedesse un servizio di poca importanza, ma, senza avvedersene, in una maniera
mezzo supplichevole, gli accenna che approdi. Il pescatore gira uno sguardo
lungo la riva, guarda attentamente lungo l'acqua che viene, si volta a guardare
indietro, lungo l'acqua che va, e poi dirizza la prora verso Renzo, e approda.
Renzo che stava sull'orlo della riva, quasi con un piede nell'acqua, afferra la
punta del battello, ci salta dentro, e dice: - mi fareste il servizio, col
pagare, di tragittarmi di là? - Il pescatore l'aveva indovinato, e già voltava
da quella parte. Renzo, vedendo sul fondo della barca un altro remo, si china, e
l'afferra.
- Adagio, adagio, - disse il padrone; ma nel veder poi con che garbo il
giovine aveva preso lo strumento, e sl disponeva a maneggiarlo, - ah, ah, -
riprese: - siete del mestiere.
- Un pochino, - rispose Renzo, e ci si mise con un vigore e con una maestria,
più che da dilettante. E senza mai rallentare, dava ogni tanto un'occhiata
ombrosa alla riva da cui s'allontanavano, e poi una impaziente a quella dov'eran
rivolti, e si coceva di non poterci andar per la più corta; ché la corrente
era, in quel luogo, troppo rapida, per tagliarla direttamente; e la barca, parte
rompendo, parte secondando il filo dell'acqua, doveva fare un tragitto
diagonale. Come accade in tutti gli affari un po' imbrogliati, che le
difficoltà alla prima si presentino all'ingrosso, e nell'eseguire poi, vengan
fuori per minuto, Renzo, ora che l'Adda era, si può dir, passata, gli dava
fastidio il non saper di certo se lì essa fosse confine, o se, superato
quell'ostacolo, gliene rimanesse un altro da superare. Onde, chiamato il
pescatore, e accennando col capo quella macchia biancastra che aveva veduta la
notte avanti, e che allora gli appariva ben più distinta, disse: - è Bergamo,
quel paese?
- La città di Bergamo, - rispose il pescatore.
- E quella riva lì, è bergamasca?
- Terra di san Marco.
- Viva san Marco! - esclamò Renzo. Il pescatore non disse nulla.
Toccano finalmente quella riva; Renzo vi si slancia; ringrazia Dio tra sé, e
poi con la bocca il barcaiolo; mette le mani in tasca, tira fuori una berlinga,
che, attese le circostanze, non fu un piccolo sproprio, e la porge al
galantuomo; il quale, data ancora una occhiata alla riva milanese, e al fiume di
sopra e di sotto, stese la mano, prese la mancia, la ripose, poi strinse le
labbra, e per di più ci mise il dito in croce, accompagnando quel gesto con
un'occhiata espressiva; e disse poi : - buon viaggio - , e tornò indietro.
Perché la così pronta e discreta cortesia di costui verso uno sconosciuto
non faccia troppo maravigliare il lettore, dobbiamo informarlo che quell'uomo,
pregato spesso d'un simile servizio da contrabbandieri e da banditi, era avvezzo
a farlo; non tanto per amore del poco e incerto guadagno che gliene poteva
venire, quanto per non farsi de' nemici in quelle classi. Lo faceva, dico, ogni
volta che potesse esser sicuro che non lo vedessero né gabellieri, né birri,
né esploratori. Così, senza voler più bene ai primi che ai secondi, cercava
di soddisfarli tutti, con quell'imparzialità, che è la dote ordinaria di chi
è obbligato a trattar con cert'uni, e soggetto a render conto a cert'altri.
Renzo si fermò un momentino sulla riva a contemplar la riva opposta, quella
terra che poco prima scottava tanto sotto i suoi piedi. "Ah! ne son
proprio fuori! - fu il suo primo pensiero. - Sta' lì, maledetto paese",
fu il secondo, l'addio alla patria. Ma il terzo corse a chi lasciava in quel
paese. Allora incrociò le braccia sul petto, mise un sospiro, abbassò gli
occhi sull'acqua che gli scorreva a' piedi, e pensò "è passata sotto il
ponte!" Così, all'uso del suo paese, chiamava, per antonomasia, quello di
Lecco. "Ah mondo birbone! Basta; quel che Dio vuole".
Voltò le spalle a que' tristi oggetti, e s'incamminò, prendendo per punto
di mira la macchia biancastra sul pendìo del monte, finché trovasse
qualcheduno da farsi insegnar la strada giusta. E bisognava vedere con che
disinvoltura s'accostava a' viandanti, e, senza tanti rigiri, nominava il paese
dove abitava quel suo cugino. Dal primo a cui si rivolse, seppe che gli
rimanevano ancor nove miglia da fare.
Quel viaggio non fu lieto. Senza parlare de' guai che Renzo portava con sé,
il suo occhio veniva ogni momento rattristato da oggetti dolorosi, da' quali
dovette accorgersi che troverebbe nel paese in cui s'inoltrava, la penuria che
aveva lasciata nel suo. Per tutta la strada, e più ancora nelle terre e ne'
borghi, incontrava a ogni passo poveri, che non eran poveri di mestiere, e
mostravan la miseria più nel viso che nel vestiario: contadini, montanari,
artigiani, famiglie intere; e un misto ronzìo di preghiere, di lamenti e di
vagiti. Quella vista, oltre la compassione e la malinconia, lo metteva anche in
pensiero de' casi suoi.
"Chi sa, - andava meditando, - se trovo da far bene? se c'è lavoro,
come negli anni passati? Basta; Bortolo mi voleva bene, è un buon figliuolo, ha
fatto danari, m'ha invitato tante volte; non m'abbandonerà. E poi, la
Provvidenza m'ha aiutato finora; m'aiuterà anche per l'avvenire".
Intanto l'appetito, risvegliato già da qualche tempo, andava crescendo di
miglio in miglio; e quantunque Renzo, quando cominciò a dargli retta, sentisse
di poter reggere, senza grand'incomodo, per quelle due o tre che gli potevan
rimanere; pensò, da un'altra parte, che non sarebbe una bella cosa di
presentarsi al cugino, come un pitocco, e dirgli, per primo complimento: dammi
da mangiare. Si levò di tasca tutte le sue ricchezze, le fece scorrere sur una
mano, tirò la somma. Non era un conto che richiedesse una grande aritmetica; ma
però c'era abbondantemente da fare una mangiatina. Entrò in un'osteria a
ristorarsi lo stomaco; e in fatti, pagato che ebbe, gli rimase ancor qualche
soldo.
Nell'uscire, vide, accanto alla porta, che quasi v'inciampava, sdraiate in
terra, più che sedute, due donne, una attempata, un'altra più giovine, con un
bambino, che, dopo aver succhiata invano l'una e l'altra mammella, piangeva,
piangeva; tutti del color della morte: e ritto, vicino a loro, un uomo, nel viso
del quale e nelle membra, si potevano ancora vedere i segni d'un'antica
robustezza, domata e quasi spenta dal lungo disagio. Tutt'e tre stesero la mano
verso colui che usciva con passo franco, e con l'aspetto rianimato: nessuno
parlò; che poteva dir di più una preghiera?
- La c'è la Provvidenza! - disse Renzo; e, cacciata subito la mano in tasca,
la votò di que' pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più vicina, e
riprese la sua strada.
La refezione e l'opera buona (giacché siam composti d'anima e di corpo)
avevano riconfortati e rallegrati tutti i suoi pensieri. Certo, dall'essersi
così spogliato degli ultimi danari, gli era venuto più di confidenza per
l'avvenire, che non gliene avrebbe dato il trovarne dieci volte tanti. Perché,
se a sostenere in quel giorno que' poverini che mancavano sulla strada, la
Provvidenza aveva tenuti in serbo proprio gli ultimi quattrini d'un estraneo,
fuggitivo, incerto anche lui del come vivrebbe; chi poteva credere che volesse
poi lasciare in secco colui del quale s'era servita a ciò, e a cui aveva dato
un sentimento così vivo di sé stessa, così efficace, così risoluto? Questo
era, a un di presso, il pensiero del giovine; però men chiaro ancora di quello
ch'io l'abbia saputo esprimere. Nel rimanente della strada, ripensando a' casi
suoi, tutto gli si spianava. La carestia doveva poi finire: tutti gli anni si
miete: intanto aveva il cugino Bortolo e la propria abilità: aveva, per di
più, a casa un po' di danaro, che si farebbe mandar subito. Con quello, alla
peggio, camperebbe, giorno per giorno, finché tornasse l'abbondanza. "Ecco poi tornata finalmente l'abbondanza, - proseguiva Renzo nella sua fantasia:
- rinasce la furia de' lavori: i padroni fanno a gara per aver degli operai
milanesi, che son quelli che sanno bene il mestiere; gli operai milanesi alzan
la cresta; chi vuol gente abile, bisogna che la paghi; si guadagna da vivere per
più d'uno, e da metter qualcosa da parte; e si fa scrivere alle donne che
vengano... E poi, perché aspettar tanto? Non è vero che, con quel poco che
abbiamo in serbo, si sarebbe campati là, anche quest'inverno? Così camperemo
qui. De' curati ce n'è per tutto. Vengono quelle due care donne: si mette su
casa. Che piacere, andar passeggiando su questa stessa strada tutti insieme!
andar fino all'Adda in baroccio, e far merenda sulla riva, proprio sulla riva, e
far vedere alle donne il luogo dove mi sono imbarcato, il prunaio da cui sono
sceso, quel posto dove sono stato a guardare se c'era un battello".
Arriva al paese del cugino; nell'entrare, anzi prima di mettervi piede,
distingue una casa alta alta, a più ordini di finestre lunghe lunghe; riconosce
un filatoio, entra, domanda ad alta voce, tra il rumore dell'acqua cadente e
delle rote, se stia lì un certo Bortolo Castagneri.
- Il signor Bortolo! Eccolo là.
"Signore? buon segno", pensa Renzo; vede il cugino, gli corre
incontro. Quello si volta, riconosce il giovine, che gli dice: - son qui -. Un
oh! di sorpresa, un alzar di braccia, un gettarsele al collo scambievolmente.
Dopo quelle prime accoglienze, Bortolo tira il nostro giovine lontano dallo
strepito degli ordigni, e dagli occhi de' curiosi, in un'altra stanza, e gli
dice: - ti vedo volentieri; ma sei un benedetto figliuolo. T'avevo invitato
tante volte; non sei mai voluto venire; ora arrivi in un momento un po' critico.
- Se te lo devo dire, non sono venuto via di mia volontà, disse Renzo; e,
con la più gran brevità, non però senza molta commozione, gli raccontò la
dolorosa storia.
È un altro par di maniche, - disse Bortolo. - Oh povero Renzo! Ma tu hai
fatto capitale di me; e io non t'abbandonerò. Veramente, ora non c'è ricerca
d'operai; anzi appena appena ognuno tiene i suoi, per non perderli e disviare il
negozio; ma il padrone mi vuol bene, e ha della roba. E, a dirtela, in gran
parte la deve a me, senza vantarmi: lui il capitale, e io quella poca abilità.
Sono il primo lavorante, sai? e poi, a dirtela, sono il factotum. Povera
Lucia Mondella! Me ne ricordo, come se fosse ieri: una buona ragazza! sempre la
più composta in chiesa; e quando si passava da quella sua casuccia... Mi par di
vederla, quella casuccia, appena fuor del paese, con un bel fico che passava il
muro...
- No, no; non ne parliamo.
- Volevo dire che, quando si passava da quella casuccia, sempre si sentiva
quell'aspo, che girava, girava, girava. E quel don Rodrigo! già, anche al mio
tempo, era per quella strada; ma ora fa il diavolo affatto, a quel che vedo: fin
che Dio gli lascia la briglia sul collo. Dunque, come ti dicevo, anche qui si
patisce un po' la fame... A proposito, come stai d'appetito?
- Ho mangiato poco fa, per viaggio.
- E a danari, come stiamo?
Renzo stese una mano, l'avvicinò alla bocca, e vi fece scorrer sopra un
piccol soffio.
- Non importa, - disse Bortolo: - n'ho io: e non ci pensare, che, presto
presto, cambiandosi le cose, se Dio vorrà, me li renderai, e te n'avanzerà
anche per te.
- Ho qualcosina a casa; e me li farò mandare.
- Va bene; e intanto fa' conto di me. Dio m'ha dato del bene, perché faccia
del bene; e se non ne fo a' parenti e agli amici, a chi ne farò?
- L'ho detto io della Provvidenza! - esclamò Renzo, stringendo
affettuosamente la mano al buon cugino.
- Dunque, - riprese questo, - in Milano hanno fatto tutto quel chiasso. Mi
paiono un po' matti coloro. Già, n'era corsa la voce anche qui; ma voglio che
tu mi racconti poi la cosa più minutamente. Eh! n'abbiamo delle cose da
discorrere. Qui però, vedi, la va più quietamente, e si fanno le cose con un
po' più di giudizio. La citta ha comprate duemila some di grano da un mercante
che sta a Venezia: grano che vien di Turchia; ma, quando si tratta di mangiare,
la non si guarda tanto per il sottile. Ora senti un po' cosa nasce: nasce che i
rettori di Verona e di Brescia chiudono i passi, e dicono: di qui non passa
grano. Che ti fanno i bergamaschi? Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un
dottore, ma di quelli! È partito in fretta, s'è presentato al doge, e ha
detto: che idea è venuta a que' signori rettori? Ma un discorso! un discorso,
dicono, da dare alle stampe. Cosa vuol dire avere un uomo che sappia parlare!
Subito un ordine che si lasci passare il grano; e i rettori, non solo lasciarlo
passare, ma bisogna che lo facciano scortare; ed è in viaggio. E s'è pensato
anche al contado. Giovanbatista Biava, nunzio di Bergamo in Venezia (un uomo
anche quello!) ha fatto intendere al senato che, anche in campagna, si pativa la
fame; e il senato ha concesso quattro mila staia di miglio. Anche questo aiuta a
far pane. E poi, lo vuoi sapere? se non ci sarà pane, mangeremo del
companatico. Il Signore m'ha dato del bene, come ti dico. Ora ti condurrò dal
mio padrone: gli ho parlato di te tante volte, e ti farà buona accoglienza. Un
buon bergamascone all'antica, un uomo di cuor largo. Veramente, ora non
t'aspettava; ma quando sentirà la storia... E poi gli operai sa tenerli di
conto, perché la carestia passa, e il negozio dura. Ma prima di tutto, bisogna
che t'avverta d'una cosa. Sai come ci chiamano in questo paese, noi altri dello
stato di Milano?
- Come ci chiamano?
- Ci chiaman baggiani.
- Non è un bel nome.
- Tant'è: chi è nato nel milanese, e vuol vivere nel bergamasco, bisogna
prenderselo in santa pace. Per questa gente, dar del baggiano a un milanese, è
come dar dell'illustrissimo a un cavaliere.
- Lo diranno, m'immagino, a chi se lo vorrà lasciar dire.
- Figliuolo mio, se tu non sei disposto a succiarti del baggiano a tutto
pasto, non far conto di poter viver qui. Bisognerebbe esser sempre col coltello
in mano: e quando, supponiamo, tu n'avessi ammazzati due, tre, quattro, verrebbe
poi quello che ammazzerebbe te: e allora, che bel gusto di comparire al tribunal
di Dio, con tre o quattro omicidi sull'anima!
- E un milanese che abbia un po' di... - e qui picchiò la fronte col dito,
come aveva fatto nell'osteria della luna piena. - Voglio dire, uno che sappia
bene il suo mestiere?
- Tutt'uno: qui è un baggiano anche lui. Sai come dice il mio padrone,
quando parla di me co' suoi amici? "Quel baggiano è stato la man di Dio,
per il mio negozio; se non avessi quel baggiano, sarei ben impicciato".
L'è usanza così.
- L'è un'usanza sciocca. E vedendo quello che sappiam fare (ché finalmente
chi ha portata qui quest'arte, e chi la fa andare, siamo noi), possibile che non
si sian corretti?
- Finora no: col tempo può essere; i ragazzi che vengon su; ma gli uomini
fatti, non c'è rimedio: hanno preso quel vizio; non lo smetton più. Cos'è poi
finalmente? Era ben un'altra cosa quelle galanterie che t'hanno fatte, e il di
più che ti volevan fare i nostri cari compatriotti.
- Già, è vero: se non c'è altro di male...
- Ora che sei persuaso di questo, tutto anderà bene. Vieni dal padrone, e
coraggio.
Tutto in fatti andò bene, e tanto a seconda delle promesse di Bortolo, che
crediamo inutile di farne particolar relazione. E fu veramente provvidenza;
perché la roba e i quattrini che Renzo aveva lasciati in casa, vedremo or ora
quanto fosse da farci assegnamento.
CAPITOLO XVIII
Quello stesso giorno, 13 di novembre, arriva un espresso al signor podestà
di Lecco, e gli presenta un dispaccio del signor capitano di giustizia,
contenente un ordine di fare ogni possibile e più opportuna inquisizione, per
iscoprire se un certo giovine nominato Lorenzo Tramaglino, filatore di seta,
scappato dalle forze praedicti egregii domini capitanei, sia tornato, palam
vel clam, al suo paese, ignotum quale per l'appunto, verum in
territorio Leuci: quod si compertum fuerit sic esse, cerchi il detto signor
podestà, quanta maxima diligentia fieri poterit, d'averlo nelle mani, e,
legato a dovere, videlizet con buone manette, attesa l'esperimentata
insufficienza de' manichini per il nominato soggetto, lo faccia condurre nelle
carceri, e lo ritenga lì, sotto buona custodia, per farne consegna a chi sarà
spedito a prenderlo; e tanto nel caso del sì, come nel caso del no, accedatis
ad domum praedicti Laurentii Tramaliini; et, facta debita diligentia, quidquid
ad rem repertum fuerit auferatis; et informationes de illius prava qualitate,
vita, et complicibus sumatis; e di tutto il detto e il fatto, il trovato e
il non trovato, il preso e il lasciato, diligenter referatis. Il signor
podestà, dopo essersi umanamente cerziorato che il soggetto non era tornato in
paese, fa chiamare il console del villaggio, e si fa condur da lui alla casa
indicata, con gran treno di notaio e di birri. La casa è chiusa; chi ha le
chiavi non c'è, o non si lascia trovare. Si sfonda l'uscio; si fa la debita
diligenza, vale a dire che si fa come in una città presa d'assalto. La voce di
quella spedizione si sparge immediatamente per tutto il contorno; viene agli
orecchi del padre Cristoforo; il quale, attonito non meno che afflitto, domanda
al terzo e al quarto, per aver qualche lume intorno alla cagione d'un fatto
così inaspettato; ma non raccoglie altro che congetture in aria, e scrive
subito al padre Bonaventura, dal quale spera di poter ricevere qualche notizia
più precisa. Intanto i parenti e gli amici di Renzo vengono citati a deporre
ciò che posson sapere della sua prava qualità: aver nome Tramaglino è
una disgrazia, una vergogna, un delitto: il paese è sottosopra. A poco a poco,
si viene a sapere che Renzo è scappato dalla giustizia, nel bel mezzo di
Milano, e poi scomparso; corre voce che abbia fatto qualcosa di grosso; ma la
cosa poi non si sa dire, o si racconta in cento maniere. Quanto più è grossa,
tanto meno vien creduta nel paese, dove Renzo è conosciuto per un bravo
giovine: i più presumono, e vanno susurrandosi agli orecchi l'uno con l'altro,
che è una macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per rovinare il suo
povero rivale. Tant'è vero che, a giudicar per induzione, e senza la necessaria
cognizione de' fatti, si fa alle volte gran torto anche ai birbanti.
Ma noi, co' fatti alla mano, come si suol dire, possiamo affermare che, se
colui non aveva avuto parte nella sciagura di Renzo, se ne compiacque però,
come se fosse opera sua, e ne trionfò co' suoi fidati, e principalmente col
conte Attilio. Questo, secondo i suoi primi disegni, avrebbe dovuto a quell'ora
trovarsi già in Milano; ma, alle prime notizie del tumulto, e della canaglia
che girava per le strade, in tutt'altra attitudine che di ricever bastonate,
aveva creduto bene di trattenersi in campagna, fino a cose quiete. Tanto più
che, avendo offeso molti, aveva qualche ragion di temere che alcuno de' tanti,
che solo per impotenza stavano cheti, non prendesse animo dalle circostanze, e
giudicasse il momento buono da far le vendette di tutti. Questa sospensione non
fu di lunga durata: l'ordine venuto da Milano dell'esecuzione da farsi contro
Renzo era già un indizio che le cose avevan ripreso il corso ordinario; e,
quasi nello stesso tempo, se n'ebbe la certezza positiva. Il conte Attilio
partì immediatamente, animando il cugino a persister nell'impresa, a spuntar
l'impegno, e promettendogli che, dal canto suo, metterebbe subito mano a
sbrigarlo dal frate; al qual affare, il fortunato accidente dell'abietto rivale
doveva fare un gioco mirabile. Appena partito Attilio, arrivò il Griso da Monza
sano e salvo, e riferì al suo padrone ciò che aveva potuto raccogliere: che
Lucia era ricoverata nel tal monastero, sotto la protezione della tal signora; e
stava sempre nascosta, come se fosse una monaca anche lei, non mettendo mai
piede fuor della porta, e assistendo alle funzioni di chiesa da una finestrina
con la grata: cosa che dispiaceva a molti, i quali avendo sentito motivar non so
che di sue avventure, e dir gran cose del suo viso, avrebbero voluto un poco
vedere come fosse fatto.
Questa relazione mise il diavolo addosso a don Rodrigo, o, per dir meglio,
rendé più cattivo quello che già ci stava di casa. Tante circostanze
favorevoli al suo disegno infiammavano sempre più la sua passione, cioè quel
misto di puntiglio, di rabbia e d'infame capriccio, di cui la sua passione era
composta. Renzo assente, sfrattato, bandito, di maniera che ogni cosa diventava
lecita contro di lui, e anche la sua sposa poteva esser considerata, in certo
modo, come roba di rubello: il solo uomo al mondo che volesse e potesse prender
le sue parti, e fare un rumore da esser sentito anche lontano e da persone alte,
l'arrabbiato frate, tra poco sarebbe probabilmente anche lui fuor del caso di
nuocere. Ed ecco che un nuovo impedimento, non che contrappesare tutti que'
vantaggi, li rendeva, si può dire, inutili. Un monastero di Monza, quand'anche
non ci fosse stata una principessa, era un osso troppo duro per i denti di don
Rodrigo; e per quanto egli ronzasse con la fantasia intorno a quel ricovero, non
sapeva immaginar né via né verso d'espugnarlo, né con la forza, né per
insidie. Fu quasi quasi per abbandonar l'impresa; fu per risolversi d'andare a
Milano, allungando anche la strada, per non passar neppure da Monza; e a Milano,
gettarsi in mezzo agli amici e ai divertimenti, per discacciar, con pensieri
affatto allegri, quel pensiero divenuto ormai tutto tormentoso. Ma, ma, ma, gli
amici; piano un poco con questi amici. In vece d'una distrazione, poteva
aspettarsi di trovar nella loro compagnia, nuovi dispiaceri: perché Attilio
certamente avrebbe già preso la tromba, e messo tutti in aspettativa. Da ogni
parte gli verrebbero domandate notizie della montanara: bisognava render
ragione. S'era voluto, s'era tentato; cosa s'era ottenuto? S'era preso un
impegno: un impegno un po' ignobile, a dire il vero: ma, via, uno non può alle
volte regolare i suoi capricci; il punto è di soddisfarli; e come s'usciva da
quest'impegno? Dandola vinta a un villano e a un frate! Uh! E quando una buona
sorte inaspettata, senza fatica del buon a nulla, aveva tolto di mezzo l'uno, e
un abile amico l'altro, il buon a nulla non aveva saputo valersi della
congiuntura, - e si ritirava vilmente dall'impresa. Ce n'era più del bisogno,
per non alzar mai più il viso tra i galantuomini, o avere ogni momento la spada
alle mani. E poi, come tornare, o come rimanere in quella villa, in quel paese,
dove, lasciando da parte i ricordi incessanti e pungenti della passione, si
porterebbe lo sfregio d'un colpo fallito? dove, nello stesso tempo, sarebbe
cresciuto l'odio pubblico, e scemata la riputazion del potere? dove sul viso
d'ogni mascalzone, anche in mezzo agl'inchini, si potrebbe leggere un amaro:
l'hai ingoiata, ci ho gusto? La strada dell'iniquità, dice qui il manoscritto,
è larga; ma questo non vuol dire che sia comoda: ha i suoi buoni intoppi, i
suoi passi scabrosi; è noiosa la sua parte, e faticosa, benché vada
all'ingiù.
A don Rodrigo, il quale non voleva uscirne, né dare addietro, né fermarsi,
e non poteva andare avanti da sé, veniva bensì in mente un mezzo con cui
potrebbe: ed era di chieder l'aiuto d'un tale, le cui mani arrivavano spesso
dove non arrivava la vista degli altri: un uomo o un diavolo, per cui la
difficoltà dell'imprese era spesso uno stimolo a prenderle sopra di sé. Ma
questo partito aveva anche i suoi inconvenienti e i suoi rischi, tanto più
gravi quanto meno si potevano calcolar prima; giacché nessuno avrebbe saputo
prevedere fin dove anderebbe, una volta che si fosse imbarcato con quell'uomo,
potente ausiliario certamente, ma non meno assoluto e pericoloso condottiere.
Tali pensieri tennero per più giorni don Rodrigo tra un sì e un no, l'uno e
l'altro più che noiosi. Venne intanto una lettera del cugino, la quale diceva
che la trama era ben avviata. Poco dopo il baleno, scoppiò il tuono; vale a
dire che, una bella mattina, si sentì che il padre Cristoforo era partito dal
convento di Pescarenico. Questo buon successo così pronto, la lettera d'Attilio
che faceva un gran coraggio, e minacciava di gran canzonature, fecero inclinar
sempre più don Rodrigo al partito rischioso: ciò che gli diede l'ultima
spinta, fu la notizia inaspettata che Agnese era tornata a casa sua: un
impedimento di meno vicino a Lucia. Rendiam conto di questi due avvenimenti,
cominciando dall'ultimo.
Le due povere donne s'erano appena accomodate nel loro ricovero, che si
sparse per Monza, e per conseguenza anche nel monastero, la nuova di quel gran
fracasso di Milano; e dietro alla nuova grande, una serie infinita di
particolari, che andavano crescendo e variandosi ogni momento. La fattoressa,
che, dalla sua casa, poteva tenere un orecchio alla strada, e uno al monastero,
raccoglieva notizie di qui, notizie di lì, e ne faceva parte all'ospiti.
- Due, sei, otto, quattro, sette ne hanno messi in prigione;
gl'impiccheranno, parte davanti al forno delle grucce, parte in cima alla strada
dove c'è la casa del vicario di provvisione... Ehi, ehi, sentite questa! n'è
scappato uno, che è di Lecco, o di quelle parti. Il nome non lo so; ma verrà
qualcheduno che me lo saprà dire; per veder se lo conoscete.
Quest'annunzio, con la circostanza d'esser Renzo appunto arrivato in Milano
nel giorno fatale, diede qualche inquietudine alle donne, e principalmente a
Lucia; ma pensate cosa fu quando la fattoressa venne a dir loro: - e proprio del
vostro paese quello che se l'è battuta, per non essere impiccato; un filatore
di seta, che si chiama Tramaglino: lo conoscete?
A Lucia, ch'era a sedere, orlando non so che cosa, cadde il lavoro di mano;
impallidì, si cambiò tutta, di maniera che la fattoressa se ne sarebbe avvista
certamente, se le fosse stata più vicina. Ma era ritta sulla soglia con Agnese;
la quale, conturbata anche lei, però non tanto, poté star forte; e, per
risponder qualcosa, disse che, in un piccolo paese, tutti si conoscono, e che lo
conosceva; ma che non sapeva pensare come mai gli fosse potuta seguire una cosa
simile; perché era un giovine posato. Domandò poi se era scappato di certo, e
dove.
- Scappato, lo dicon tutti; dove, non si sa; può essere che l'accalappino
ancora, può essere che sia in salvo; ma se gli torna sotto l'unghie, il vostro
giovine posato...
Qui, per buona sorte, la fattoressa fu chiamata, e se n'andò: figuratevi
come rimanessero la madre e la figlia. Più d'un giorno, dovettero la povera
donna e la desolata fanciulla stare in una tale incertezza, a mulinare sul come,
sul perché, sulle conseguenze di quel fatto doloroso, a commentare, ognuna tra
sé, o sottovoce tra loro, quando potevano, quelle terribili parole.
Un giovedì finalmente, capitò al monastero un uomo a cercar d'Agnese. Era
un pesciaiolo di Pescarenico, che andava a Milano, secondo l'ordinario, a
spacciar la sua mercanzia; e il buon frate Cristoforo l'aveva pregato che,
passando per Monza, facesse una scappata al monastero, salutasse le donne da
parte sua, raccontasse loro quel che si sapeva del tristo caso di Renzo,
raccomandasse loro d'aver pazienza, e confidare in Dio; e che lui povero frate
non si dimenticherebbe certamente di loro, e spierebbe l'occasione di poterle
aiutare; e intanto non mancherebbe, ogni settimana, di far loro saper le sue
nuove, per quel mezzo, o altrimenti. Intorno a Renzo, il messo non seppe dir
altro di nuovo e di certo, se non la visita fattagli in casa, e le ricerche per
averlo nelle mani; ma insieme ch'erano andate tutte a voto, e si sapeva di certo
che s'era messo in salvo sul bergamasco. Una tale certezza, e non fa bisogno di
dirlo, fu un gran balsamo per Lucia: d'allora in poi le sue lacrime scorsero
più facili e più dolci; provò maggior conforto negli sfoghi segreti con la
madre; e in tutte le sue preghiere, c'era mescolato un ringraziamento.
Gertrude la faceva venire spesso in un suo parlatorio privato, e la
tratteneva talvolta lungamente, compiacendosi dell'ingenuità e della dolcezza
della poverina, e nel sentirsi ringraziare e benedire ogni momento. Le
raccontava anche, in confidenza, una parte (la parte netta) della sua storia, di
ciò che aveva patito, per andar lì a patire; e quella prima maraviglia
sospettosa di Lucia s'andava cambiando in compassione. Trovava in quella storia
ragioni più che sufficienti a spiegar ciò che c'era d'un po' strano nelle
maniere della sua benefattrice; tanto più con l'aiuto di quella dottrina
d'Agnese su' cervelli de' signori. Per quanto però si sentisse portata a
contraccambiare la confidenza che Gertrude le dimostrava, non le passò neppur
per la testa di parlarle delle sue nuove inquietudini, della sua nuova
disgrazia, di dirle chi fosse quel filatore scappato; per non rischiare di
spargere una voce così piena di dolore e di scandolo. Si schermiva anche,
quanto poteva, dal rispondere alle domande curiose di quella, sulla storia
antecedente alla promessa; ma qui non eran ragioni di prudenza. Era perché alla
povera innocente quella storia pareva più spinosa, più difficile da
raccontarsi, di tutte quelle che aveva sentite, e che credesse di poter sentire
dalla signora. In queste c'era tirannia, insidie, patimenti; cose brutte e
dolorose, ma che pur si potevan nominare: nella sua c'era mescolato per tutto un
sentimento, una parola, che non le pareva possibile di proferire, parlando di
sé; e alla quale non avrebbe mai trovato da sostituire una perifrasi che non le
paresse sfacciata: l'amore!
Qualche volta, Gertrude quasi s'indispettiva di quello star così sulle
difese; ma vi traspariva tanta amorevolezza, tanto rispetto, tanta riconoscenza,
e anche tanta fiducia! Qualche volta forse, quel pudore così delicato, così
ombroso, le dispiaceva ancor più per un altro verso; ma tutto si perdeva nella
soavità d'un pensiero che le tornava ogni momento, guardando Lucia: "a
questa fo del bene". Ed era vero; perché, oltre il ricovero, que'
discorsi, quelle carezze famigliari erano di non poco conforto a Lucia. Un altro
ne trovava nel lavorar di continuo; e pregava sempre che le dessero qualcosa da
fare: anche nel parlatorio, portava sempre qualche lavoro da tener le mani in
esercizio: ma, come i pensieri dolorosi si caccian per tutto! cucendo, cucendo,
ch'era un mestiere quasi nuovo per lei, le veniva ogni poco in mente il suo
aspo; e dietro all'aspo, quante cose!
Il secondo giovedì, tornò quel pesciaiolo o un altro messo, co' saluti del
padre Cristoforo, e con la conferma della fuga felice di Renzo. Notizie più
positive intorno a' suoi guai, nessuna; perché, come abbiam detto al lettore,
il cappuccino aveva sperato d'averle dal suo confratello di Milano, a cui
l'aveva raccomandato; e questo rispose di non aver veduto né la persona, né la
lettera; che uno di campagna era bensì venuto al convento, a cercar di lui; ma
che, non avendocelo trovato, era andato via, e non era più comparso.
Il terzo giovedì, non si vide nessuno; e, per le povere donne, fu non solo
una privazione d'un conforto desiderato e sperato, ma, come accade per ogni
piccola cosa a chi è afflitto e impicciato, una cagione d'inquietudine, di
cento sospetti molesti. Già prima d'allora, Agnese aveva pensato a fare una
scappata a casa; questa novità di non vedere l'ambasciatore promesso, la fece
risolvere. Per Lucia era una faccenda seria il rimanere distaccata dalla
gonnella della madre; ma la smania di saper qualche cosa, e la sicurezza che
trovava in quell'asilo così guardato e sacro, vinsero le sue ripugnanze. E fu
deciso tra loro che Agnese anderebbe il giorno seguente ad aspettar sulla strada
il pesciaiolo che doveva passar di lì, tornando da Milano; e gli chiederebbe in
cortesia un posto sul baroccio, per farsi condurre a' suoi monti. Lo trovò in
fatti, gli domandò se il padre Cristoforo non gli aveva data qualche
commissione per lei: il pesciaiolo, tutto il giorno avanti la sua partenza era
stato a pescare, e non aveva saputo niente del padre. La donna non ebbe bisogno
di pregare, per ottenere il piacere che desiderava: prese congedo dalla signora
e dalla figlia, non senza lacrime, promettendo di mandar subito le sue nuove, e
di tornar presto; e partì.
Nel viaggio, non accadde nulla di particolare. Riposarono parte della notte
in un'osteria, secondo il solito; ripartirono innanzi giorno; e arrivaron di
buon'ora a Pescarenico. Agnese smontò sulla piazzetta del convento, lasciò
andare il suo conduttore con molti: Dio ve ne renda merito; e giacché era lì,
volle, prima d'andare a casa, vedere il suo buon frate benefattore. Sonò il
campanello; chi venne a aprire, fu fra Galdino, quel delle noci.
- Oh! la mia donna, che vento v'ha portata?
- Vengo a cercare il padre Cristoforo.
- Il padre Cristoforo? Non c'è.
- Oh! starà molto a tornare?
- Ma...? - disse il frate, alzando le spalle, e ritirando nel cappuccio la
testa rasa.
- Dov'è andato?
- A Rimini.
- A?
- A Rimini.
- Dov'è questo paese?
- Eh eh eh! - rispose il frate, trinciando verticalmente l'aria con la mano
distesa, per significare una gran distanza.
- Oh povera me! Ma perché è andato via così all'improvviso?
- Perché ha voluto così il padre provinciale.
- E perché mandarlo via? che faceva tanto bene qui? Oh Signore!
- Se i superiori dovessero render conto degli ordini che dànno, dove sarebbe
l'ubbidienza, la mia donna?
- Sì; ma questa e la mia rovina.
- Sapete cosa sarà? Sarà che a Rimini avranno avuto bisogno d'un buon
predicatore (ce n'abbiamo per tutto; ma alle volte ci vuol quell'uomo fatto
apposta); il padre provinciale di là avrà scritto al padre provinciale di qui,
se aveva un soggetto così e così; e il padre provinciale avrà detto: qui ci
vuole il padre Cristoforo. Dev'esser proprio così, vedete.
- Oh poveri noi! Ouand'è partito?
- Ierlaltro.
- Ecco! s'io davo retta alla mia ispirazione di venir via qualche giorno
prima! E non si sa quando possa tornare? così a un di presso?
- Eh la mia donna! lo sa il padre provinciale; se lo sa anche lui. Quando un
nostro padre predicatore ha preso il volo, non si può prevedere su che ramo
potrà andarsi a posare. Li cercan di qua, li cercan di là: e abbiamo conventi
in tutte le quattro parti del mondo. Supponete che, a Rimini, il padre
Cristoforo faccia un gran fracasso col suo quaresimale: perché non predica
sempre a braccio, come faceva qui, per i pescatori e i contadini: per i pulpiti
delle città, ha le sue belle prediche scritte; e fior di roba. Si sparge la
voce, da quelle parti, di questo gran predicatore; e lo possono cercare da... da
che so io? E allora, bisogna mandarlo; perché noi viviamo della carità di
tutto il mondo, ed è giusto che serviamo tutto il mondo.
Oh Signore! Signore! - esclamò di nuovo Agnese, quasi piangendo: - come devo
fare, senza quell'uomo? Era quello che ci faceva da padre! Per noi è una
rovina.
- Sentite, buona donna; il padre Cristoforo era veramente un uomo; ma ce
n'abbiamo degli altri, sapete? pieni di carità e di talento, e che sanno
trattare ugualmente co' signori e co' poveri. Volete il padre Atanasio? volete
il padre Girolamo? volete il padre Zaccaria? È un uomo di vaglia, vedete, il
padre Zaccaria. E non istate a badare, come fanno certi ignoranti, che sia così
mingherlino, con una vocina fessa, e una barbetta misera misera: non dico per
predicare, perché ognuno ha i suoi doni; ma per dar pareri, è un uomo, sapete?
- Oh per carità! - esclamò Agnese, con quel misto di gratitudine e
d'impazienza, che si prova a un'esibizione in cui si trovi più la buona
volontà altrui, che la propria convenienza: - cosa m'importa a me che uomo sia
o non sia un altro, quando quel pover'uomo che non c'è più, era quello che
sapeva le nostre cose, e aveva preparato tutto per aiutarci?
- Allora, bisogna aver pazienza.
- Questo lo so, - rispose Agnese: - scusate dell'incomodo.
- Di che cosa, la mia donna? mi dispiace per voi. E se vi risolvete di cercar
qualcheduno de' nostri padri, il convento è qui che non si move. Ehi, mi
lascerò poi veder presto, per la cerca dell'olio.
- State bene, - disse Agnese; e s'incamminò verso il suo paesetto, desolata,
confusa, sconcertata, come il povero cieco che avesse perduto il suo bastone.
Un po' meglio informati che fra Galdino, noi possiamo dire come andò
veramente la cosa. Attilio, appena arrivato a Milano, andò, come aveva promesso
a don Rodrigo, a far visita al loro comune zio del Consiglio segreto. (Era una
consulta, composta allora di tredici personaggi di toga e di spada, da cui il
governatore prendeva parere, e che, morendo uno di questi, o venendo mutato,
assumeva temporaneamente il governo). Il conte zio, togato, e uno degli anziani
del consiglio, vi godeva un certo credito; ma nel farlo valere, e nel farlo
rendere con gli altri, non c'era il suo compagno. Un parlare ambiguo, un tacere
significativo, un restare a mezzo, uno stringer d'occhi che esprimeva: non posso
parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia; tutto era
diretto a quel fine; e tutto, o più o meno, tornava in pro. A segno che fino a
un: io non posso niente in questo affare: detto talvolta per la pura verità, ma
detto in modo che non gli era creduto, serviva ad accrescere il concetto, e
quindi la realtà del suo potere: come quelle scatole che si vedono ancora in
qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c'è nulla;
ma servono a mantenere il credito alla bottega. Quello del conte zio, che, da
gran tempo, era sempre andato crescendo a lentissimi gradi, ultimamente aveva
fatto in una volta un passo, come si dice, di gigante, per un'occasione
straordinaria, un viaggio a Madrid, con una missione alla corte; dove, che
accoglienza gli fosse fatta, bisognava sentirlo raccontar da lui. Per non dir
altro, il conte duca l'aveva trattato con una degnazione particolare, e ammesso
alla sua confidenza, a segno d'avergli una volta domandato, in presenza, si può
dire, di mezza la corte come gli piacesse Madrid, e d'avergli un'altra volta
detto a quattr'occhi, nel vano d'una finestra, che il duomo di Milano era il
tempio più grande che fosse negli stati del re.
Fatti i suoi complimenti al conte zio, e presentatigli quelli del cugino,
Attilio, con un suo contegno serio, che sapeva prendere a tempo, disse: - credo
di fare il mio dovere, senza mancare alla confidenza di Rodrigo, avvertendo il
signore zio d'un affare che, se lei non ci mette una mano, può diventar serio,
e portar delle conseguenze...
- Qualcheduna delle sue, m'immagino.
- Per giustizia, devo dire che il torto non è dalla parte di mio cugino. Ma
è riscaldato; e, come dico, non c'è che il signore zio, che possa...
- Vediamo, vediamo.
- C'è da quelle parti un frate cappuccino che l'ha con Rodrigo e la cosa è
arrivata a un punto che...
- Quante volte v'ho detto, all'uno e all'altro, che i frati bisogna lasciarli
cuocere nel loro brodo? Basta il da fare che dànno a chi deve... a chi tocca...
- E qui soffiò. - Ma voi altri che potete scansarli...
- Signore zio, in questo, è mio dovere di dirle che Rodrigo l'avrebbe
scansato, se avesse potuto. E il frate che l'ha con lui, che l'ha preso a
provocarlo in tutte la maniere...
- Che diavolo ha codesto frate con mio nipote?
- Prima di tutto, è una testa inquieta, conosciuto per tale, e che fa
professione di prendersela coi cavalieri. Costui protegge, dirige, che so io?
una contadinotta di là; e ha per questa creatura una carità, una carità...
non dico pelosa, ma una carità molto gelosa, sospettosa, permalosa.
- Intendo, - disse il conte zio; e sur un certo fondo di goffaggine,
dipintogli in viso dalla natura, velato poi e ricoperto, a più mani, di
politica, balenò un raggio di malizia, che vi faceva un bellissimo vedere.
- Ora, da qualche tempo, - continuò Attilio, - s'è cacciato in testa questo
frate, che Rodrigo avesse non so che disegni sopra questa...
- S'è cacciato in testa, s'è cacciato in testa: lo conosco anch'io il
signor don Rodrigo; e ci vuol altro avvocato che vossignoria, per giustificarlo
in queste materie.
- Signore zio, che Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo a quella
creatura, incontrandola per la strada, non sarei lontano dal crederlo: è
giovine, e finalmente non è cappuccino; ma queste son bazzecole da non
trattenerne il signore zio; il serio è che il frate s'è messo a parlar di
Rodrigo come si farebbe d'un mascalzone, cerca d'aizzargli contro tutto il
paese...
- E gli altri frati?
- Non se ne impicciano, perché lo conoscono per una testa calda, e hanno
tutto il rispetto per Rodrigo; ma, dall'altra parte, questo frate ha un gran
credito presso i villani, perché fa poi anche il santo, e...
- M'immagino che non sappia che Rodrigo è mio nipote.
- Se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più il diavolo addosso.
- Come? Come?
- Perché, e lo va dicendo lui, ci trova più gusto a farla vedere a Rodrigo,
appunto perché questo ha un protettor naturale, di tanta autorita come
vossignoria: e che lui se la ride de' grandi e de' politici, e che il cordone di
san Francesco tien legate anche le spade, e che...
- Oh frate temerario! Come si chiama costui?
- Fra Cristoforo da *** - disse Attilio; e il conte zio, preso da una
cassetta del suo tavolino, un libriccino di memorie, vi scrisse, soffiando,
soffiando, quel povero nome. Intanto Attilio seguitava: - è sempre stato di
quell'umore, costui: si sa la sua vita. Era un plebeo che, trovandosi aver
quattro soldi, voleva competere coi cavalieri del suo paese; e, per rabbia di
non poterla vincer con tutti, ne ammazzò uno; onde, per iscansar la forca, si
fece frate.
- Ma bravo! ma bene! La vedremo, la vedremo, - diceva il conte zio,
seguitando a soffiare.
- Ora poi, - continuava Attilio, - è più arrabbiato che mai, perché gli è
andato a monte un disegno che gli premeva molto molto: e da questo il signore
zio capirà che uomo sia. Voleva costui maritare quella sua creatura: fosse per
levarla dai pericoli del mondo, lei m'intende, o per che altro si fosse, la
voleva maritare assolutamente; e aveva trovato il... l'uomo: un'altra sua
creatura, un soggetto, che, forse e senza forse, anche il signore zio lo
conoscerà di nome; perché tengo per certo che il Consiglio segreto avrà
dovuto occuparsi di quel degno soggetto.
- Chi è costui?
- Un filatore di seta, Lorenzo Tramaglino, quello che...
- Lorenzo Tramaglino! - esclamò il conte zio. - Ma bene! ma bravo, padre!
Sicuro... infatti..., aveva una lettera per un... Peccato che... Ma non importa;
va bene. E perché il signor don Rodrigo non mi dice nulla di tutto questo?
perché lascia andar le cose tant'avanti, e non si rivolge a chi lo può e vuole
dirigere e sostenere?
- Dirò il vero anche in questo, - proseguiva Attilio. - Da una parte,
sapendo quante brighe, quante cose ha per la testa il signore zio... - (questo,
soffiando, vi mise la mano, come per significare la gran fatica ch'era a farcele
star tutte) - s'è fatto scrupolo di darle una briga di più. E poi, dirò
tutto: da quello che ho potuto capire, è così irritato, così fuor de'
gangheri, così stucco delle villanie di quel frate, che ha più voglia di farsi
giustizia da sé, in qualche maniera sommaria, che d'ottenerla in una maniera
regolare, dalla prudenza e dal braccio del signore zio. Io ho cercato di
smorzare; ma vedendo che la cosa andava per le brutte, ho creduto che fosse mio
dovere d'avvertir di tutto il signore zio, che alla fine è il capo e la colonna
della casa...
- Avresti fatto meglio a parlare un poco prima.
- È vero; ma io andavo sperando che la cosa svanirebbe da sé, o che il
frate tornerebbe finalmente in cervello, o che se n'anderebbe da quel convento,
come accade di questi frati, che ora sono qua, ora sono là; e allora tutto
sarebbe finito. Ma...
- Ora toccherà a me a raccomodarla.
- Così ho pensato anch'io. Ho detto tra me: il signore zio, con la sua
avvedutezza, con la sua autorità, saprà lui prevenire uno scandolo, e insieme
salvar l'onore di Rodrigo, che è poi anche il suo. Questo frate, dicevo io,
l'ha sempre col cordone di san Francesco; ma per adoprarlo a proposito, il
cordone di san Francesco, non è necessario d'averlo intorno alla pancia. Il
signore zio ha cento mezzi ch'io non conosco: so che il padre provinciale ha,
com'è giusto, una gran deferenza per lui; e se il signore zio crede che in
questo caso il miglior ripiego sia di far cambiar aria al frate, lui con due
parole...
- Lasci il pensiero a chi tocca, vossignoria, - disse un po' ruvidamente il
conte zio.
- Ah è vero! - esclamò Attilio, con una tentennatina di testa, e con un
sogghigno di compassione per sé stesso. - Son io l'uomo da dar pareri al
signore zio! Ma è la passione che ho della riputazione del casato che mi fa
parlare. E ho anche paura d'aver fatto un altro male, - soggiunse con un'aria
pensierosa: - ho paura d'aver fatto torto a Rodrigo nel concetto del signore
zio. Non mi darei pace, se fossi cagione di farle pensare che Rodrigo non abbia
tutta quella fede in lei, tutta quella sommissione che deve avere. Creda,
signore zio, che in questo caso è proprio...
- Via, via; che torto, che torto tra voi altri due? che sarete sempre amici,
finché l'uno non metta giudizio. Scapestrati, scapestrati, che sempre ne fate
una; e a me tocca di rattopparle: che... mi fareste dire uno sproposito, mi date
più da pensare voi altri due, che, - e qui immaginatevi che soffio mise, -
tutti questi benedetti affari di stato.
Attilio fece ancora qualche scusa, qualche promessa, qualche complimento; poi
si licenziò, e se n'andò, accompagnato da un - e abbiamo giudizio, - ch'era la
formola di commiato del conte zio per i suoi nipoti.
CAPITOLO XIX
Chi, vedendo in un campo mal coltivato, un'erbaccia, per esempio un bel
lapazio, volesse proprio sapere se sia venuto da un seme maturato nel campo
stesso, o portatovi dal vento, o lasciatovi cader da un uccello, per quanto ci
pensasse, non ne verrebbe mai a una conclusione. Così anche noi non sapremmo
dire se dal fondo naturale del suo cervello, o dall'insinuazione d'Attilio,
venisse al conte zio la risoluzione di servirsi del padre provinciale per
troncare nella miglior maniera quel nodo imbrogliato. Certo è che Attilio non
aveva detta a caso quella parola; e quantunque dovesse aspettarsi che, a un
suggerimento così scoperto, la boria ombrosa del conte zio avrebbe
ricalcitrato, a ogni modo volle fargli balenar dinanzi l'idea di quel ripiego, e
metterlo sulla strada, dove desiderava che andasse. Dall'altra parte, il ripiego
era talmente adattato all'umore del conte zio, talmente indicato dalle
circostanze, che, senza suggerimento di chi si sia, si può scommettere che
l'avrebbe trovato da sé. Si trattava che, in una guerra pur troppo aperta, uno
del suo nome, un suo nipote, non rimanesse al di sotto: punto essenzialissimo
alla riputazione del potere che gli stava tanto a cuore. La soddisfazione che il
nipote poteva prendersi da sé, sarebbe stata un rimedio peggior del male, una
sementa di guai; e bisognava impedirla, in qualunque maniera, e senza perder
tempo. Comandargli che partisse in quel momento dalla sua villa; già non
avrebbe ubbidito; e quand'anche avesse, era un cedere il campo, una ritirata
della casa dinanzi a un convento. Ordini, forza legale, spauracchi di tal
genere, non valevano contro un avversario di quella condizione: il clero
regolare e secolare era affatto immune da ogni giurisdizione laicale; non solo
le persone, ma i luoghi ancora abitati da esso: come deve sapere anche chi non
avesse letta altra storia che la presente; che starebbe fresco. Tutto quel che
si poteva contro un tale avversario era cercar d'allontanarlo, e il mezzo a ciò
era il padre provinciale, in arbitrio del quale era l'andare e lo stare di
quello.
Ora, tra il padre provinciale e il conte zio passava un'antica conoscenza:
s'eran veduti di rado, ma sempre con gran dimostrazioni d'amicizia, e con
esibizioni sperticate di servizi. E alle volte, è meglio aver che fare con uno
che sia sopra a molti individui, che con un solo di questi, il quale non vede
che la sua causa, non sente che la sua passione, non cura che il suo punto;
mentre l'altro vede in un tratto cento relazioni, cento conseguenze, cento
interessi, cento cose da scansare, cento cose da salvare; e si può quindi
prendere da cento parti.
Tutto ben ponderato, il conte zio invitò un giorno a pranzo il padre
provinciale, e gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un
intendimento sopraffino. Oualche parente de' più titolati, di quelli il cui
solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa
sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con
termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e
rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza; e alcuni
clienti legati alla casa per una dipendenza ereditaria, e al personaggio per una
servitù di tutta la vita; i quali, cominciando dalla minestra a dir di sì, con
la bocca, con gli occhi, con gli orecchi, con tutta la testa, con tutto il
corpo, con tutta l'anima, alle frutte v'avevan ridotto un uomo a non ricordarsi
più come si facesse a dir di no.
A tavola, il conte padrone fece cader ben presto il discorso sul tema di
Madrid. A Roma si va per più strade; a Madrid egli andava per tutte. Parlò
della corte, del conte duca, de' ministri, della famiglia del governatore; delle
cacce del toro, che lui poteva descriver benissimo, perché le aveva godute da
un posto distinto; dell'Escuriale di cui poteva render conto a un puntino,
perché un creato del conte duca l'aveva condotto per tutti i buchi. Per qualche
tempo, tutta la compagnia stette, come un uditorio, attenta a lui solo, poi si
divise in colloqui particolari; e lui allora continuò a raccontare altre di
quelle belle cose, come in confidenza, al padre provinciale che gli era accanto,
e che lo lasciò dire, dire e dire. Ma a un certo punto, diede una giratina al
discorso, lo staccò da Madrid, e di corte in corte, di dignità in dignità, lo
tirò sul cardinal Barberini, ch'era cappuccino, e fratello del papa allora
sedente, Urbano VIII: niente meno. Il conte zio dovette anche lui lasciar
parlare un poco, e stare a sentire, e ricordarsi che finalmente, in questo
mondo, non c'era soltanto i personaggi che facevan per lui. Poco dopo alzati da
tavola, pregò il padre provinciale di passar con lui in un'altra stanza.
Due potestà, due canizie, due esperienze consumate si trovavano a fronte. Il
magnifico signore fece sedere il padre molto reverendo, sedette anche lui, e
cominciò: - stante l'amicizia che passa tra di noi, ho creduto di far parola a
vostra paternità d'un affare di comune interesse, da concluder tra di noi,
senz'andar per altre strade, che potrebbero... E perciò, alla buona, col cuore
in mano, le dirò di che si tratta; e in due parole son certo che anderemo
d'accordo. Mi dica: nel loro convento di Pescarenico c'è un padre Cristoforo da
***?
Il provinciale fece cenno di sì.
- Mi dica un poco vostra paternità, schiettamente, da buon amico... questo
soggetto... questo padre... Di persona io non lo conosco; e sì che de' padri
cappuccini ne conosco parecchi: uomini d'oro, zelanti, prudenti, umili: sono
stato amico dell'ordine fin da ragazzo... Ma in tutte le famiglie un po'
numerose... c'è sempre qualche individuo, qualche testa... E questo padre
Cristoforo, so da certi ragguagli che è un uomo... un po' amico de'
contrasti... che non ha tutta quella prudenza, tutti que' riguardi...
Scommetterei che ha dovuto dar più d'una volta da pensare a vostra paternità.
"Ho inteso: è un impegno, - pensava intanto il provinciale: - colpa
mia; lo sapevo che quel benedetto Cristoforo era un soggetto da farlo girare di
pulpito in pulpito, e non lasciarlo fermare mesi in un luogo, specialmente in
conventi di campagna".
- Oh! - disse poi: - mi dispiace davvero di sentire che vostra magnificenza
abbia in un tal concetto il padre Cristoforo; mentre, per quanto ne so io, è un
religioso... esemplare in convento, e tenuto in molta stima anche di fuori.
- Intendo benissimo; vostra paternità deve... Però, però, da amico
sincero, voglio avvertirla d'una cosa che le sarà utile di sapere; e se anche
ne fosse già informata, posso, senza mancare ai miei doveri, metterle
sott'occhio certe conseguenze... possibili: non dico di più. Questo padre
Cristoforo, sappiamo che proteggeva un uomo di quelle parti, un uomo... vostra
paternità n'avrà sentito parlare; quello che, con tanto scandolo, scappò
dalle mani della giustizia, dopo aver fatto, in quella terribile giornata di san
Martino, cose... cose... Lorenzo Tramaglino!
"Ahi!" pensò il provinciale; e disse: - questa circostanza mi
riesce nuova; ma vostra magnificenza sa bene che una parte del nostro ufizio è
appunto d'andare in cerca de' traviati, per ridurli...
- Va bene; ma la protezione de' traviati d'una certa specie...! Son cose
spinose, affari delicati... - E qui, in vece di gonfiar le gote e di soffiare,
strinse le labbra, e tirò dentro tant'aria quanta ne soleva mandar fuori,
soffiando. E riprese: - ho creduto bene di darle un cenno su questa circostanza,
perche se mai sua eccellenza... Potrebbe esser fatto qualche passo a Roma... non
so niente... e da Roma venirle...
- Son ben tenuto a vostra magnificenza di codesto avviso; però son certo
che, se si prenderanno informazioni su questo proposito, si troverà che il
padre Cristoforo non avrà avuto che fare con l'uomo che lei dice, se non a fine
di mettergli il cervello a partito. Il padre Cristoforo, lo conosco.
- Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al secolo, le cosette che ha
fatte in gioventù.
- È la gloria dell'abito questa, signor conte, che un uomo, il quale al
secolo ha potuto far dir di sé, con questo indosso, diventi un altro. E da che
il padre Cristoforo porta quest'abito...
- Vorrei crederlo: lo dico di cuore: vorrei crederlo; ma alle volte, come
dice il proverbio... l'abito non fa il monaco.
Il proverbio non veniva in taglio esattamente; ma il conte l'aveva sostituito
in fretta a un altro che gli era venuto sulla punta della lingua: il lupo cambia
il pelo, ma non il vizio.
- Ho de' riscontri, - continuava, - ho de' contrassegni...
- Se lei sa positivamente, - disse il provinciale, - che questo religioso
abbia commesso qualche errore (tutti si può mancare), avrò per un vero favore
l'esserne informato. Son superiore: indegnamente; ma lo sono appunto per
correggere, per rimediare.
- Le dirò: insieme con questa circostanza dispiacevole della protezione
aperta di questo padre per chi le ho detto, c'è un'altra cosa disgustosa, e che
potrebbe... Ma, tra di noi, accomoderemo tutto in una volta. C'è, dico, che lo
stesso padre Cristoforo ha preso a cozzare con mio nipote, don Rodrigo ***.
- Oh! questo mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace davvero.
- Mio nipote è giovine, vivo, si sente quello che è, non è avvezzo a esser
provocato...
- Sarà mio dovere di prender buone informazioni d'un fatto simile. Come ho
già detto a vostra magnificenza, e parlo con un signore che non ha meno
giustizia che pratica di mondo, tutti siamo di carne, soggetti a sbagliare...
tanto da una parte, quanto dall'altra: e se il padre Cristoforo avrà mancato...
- Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi,
da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo... si fa peggio. Lei sa cosa
segue: quest'urti, queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e
vanno avanti, vanno avanti... A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a
capo, o vengon fuori cent'altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto
reverendo: troncare, sopire. Mio nipote è giovine; il religioso, da quel che
sento, ha ancora tutto lo spirito, le... inclinazioni d'un giovine: e tocca a
noi, che abbiamo i nostri anni... pur troppo eh, padre molto reverendo?...
Chi fosse stato lì a vedere, in quel punto, fu come quando, nel mezzo
d'un'opera seria, s'alza, per isbaglio, uno scenario, prima del tempo, e si vede
un cantante che, non pensando, in quel momento, che ci sia un pubblico al mondo,
discorre alla buona con un suo compagno. Il viso, l'atto, la voce del conte zio,
nel dir quel pur troppo!, tutto fu naturale: lì non c'era politica: era
proprio vero che gli dava noia d'avere i suoi anni. Non già che piangesse i
passatempi, il brio, l'avvenenza della gioventù: frivolezze, sciocchezze,
miserie! La cagion del suo dispiacere era ben più soda e importante: era che
sperava un certo posto più alto, quando fosse vacato; e temeva di non arrivare
a tempo. Ottenuto che l'avesse, si poteva esser certi che non si sarebbe più
curato degli anni, non avrebbe desiderato altro, e sarebbe morto contento, come
tutti quelli che desideran molto una cosa, assicurano di voler fare, quando
siano arrivati a ottenerla.
Ma per lasciarlo parlar lui, - tocca a noi, - continuò, - a aver giudizio
per i giovani, e a rassettar le loro malefatte. Per buona sorte, siamo ancora a
tempo; la cosa non ha fatto chiasso; è ancora il caso d'un buon principiis
obsta. Allontanare il fuoco dalla paglia. Alle volte un soggetto che, in un
luogo, non fa bene, o che può esser causa di qualche inconveniente, riesce a
maraviglia in un altro. Vostra paternità saprà ben trovare la nicchia
conveniente a questo religioso. C'è giusto anche l'altra circostanza, che possa
esser caduto in sospetto di chi... potrebbe desiderare che fosse rimosso: e,
collocandolo in qualche posto un po' lontanetto, facciamo un viaggio e due
servizi; tutto s'accomoda da sé, o per dir meglio, non c'è nulla di guasto.
Questa conclusione, il padre provinciale se l'aspettava fino dal principio
del discorso. "Eh già! - pensava tra sé: - vedo dove vuoi andar a
parare: delle solite; quando un povero frate è preso a noia da voi altri, o da
uno di voi altri, o vi dà ombra, subito, senza cercar se abbia torto o ragione,
il superiore deve farlo sgomberare".
E quando il conte ebbe finito, e messo un lungo soffio, che equivaleva a un
punto fermo, - intendo benissimo, - disse il provinciale, - quel che il signor
conte vuol dire; ma prima di fare un passo...
È un passo e non è un passo, padre molto reverendo: è una cosa naturale,
una cosa ordinaria; e se non si prende questo ripiego, e subito, prevedo un
monte di disordini, un'iliade di guai. Uno sproposito... mio nipote non
crederei... ci son io, per questo... Ma, al punto a cui la cosa è arrivata, se
non la tronchiamo noi, senza perder tempo, con un colpo netto, non è possibile
che si fermi, che resti segreta... e allora non è più solamente mio nipote...
Si stuzzica un vespaio, padre molto reverendo. Lei vede; siamo una casa, abbiamo
attinenze...
- Cospicue.
- Lei m'intende: tutta gente che ha sangue nelle vene, e che, a questo
mondo... è qualche cosa. C'entra il puntiglio; diviene un affare comune; e
allora... anche chi è amico della pace... Sarebbe un vero crepacuore per me, di
dovere... di trovarmi... io che ho sempre avuta tanta propensione per i padri
cappuccini...! Loro padri, per far del bene, come fanno con tanta edificazione
del pubblico, hanno bisogno di pace, di non aver contese, di stare in buona
armonia con chi... E poi, hanno de' parenti al secolo... e questi affaracci di
puntiglio, per poco che vadano in lungo, s'estendono, si ramificano, tiran
dentro... mezzo mondo. Io mi trovo in questa benedetta carica, che m'obbliga a
sostenere un certo decoro... Sua eccellenza... i miei signori colleghi... tutto
diviene affar di corpo... tanto più con quell'altra circostanza... Lei sa come
vanno queste cose.
- Veramente, - disse il padre provinciale, - il padre Cristoforo è
predicatore; e avevo già qualche pensiero... Mi si richiede appunto... Ma in
questo momento, in tali circostanze, potrebbe parere una punizione; e una
punizione prima d'aver ben messo in chiaro...
- No punizione, no: un provvedimento prudenziale, un ripiego di comune
convenienza, per impedire i sinistri che potrebbero... mi sono spiegato.
- Tra il signor conte e me, la cosa rimane in questi termini; intendo. Ma,
stando il fatto come fu riferito a vostra magnificenza, è impossibile, mi pare,
che nel paese non sia traspirato qualcosa. Per tutto c'è degli aizzatori, de'
mettimale, o almeno de' curiosi maligni che, se posson vedere alle prese signori
e religiosi, ci hanno un gusto matto; e fiutano, interpretano, ciarlano...
Ognuno ha il suo decoro da conservare; e io poi, come superiore (indegno), ho un
dovere espresso... L'onor dell'abito... non è cosa mia... è un deposito del
quale... Il suo signor nipote, giacché è così alterato, come dice vostra
magnificenza, potrebbe prender la cosa come una soddisfazione data a lui, e...
non dico vantarsene, trionfarne, ma...
- Le pare, padre molto reverendo? Mio nipote è un cavaliere che nel mondo è
considerato... secondo il suo grado e il dovere: ma davanti a me è un ragazzo;
e non farà né più né meno di quello che gli prescriverò io. Le dirò di
più: mio nipote non ne saprà nulla. Che bisogno abbiamo noi di render conto?
Son cose che facciamo tra di noi, da buoni amici; e tra di noi hanno da
rimanere. Non si dia pensiero di ciò. Devo essere avvezzo a non parlare -. E
soffiò. - In quanto ai cicaloni, - riprese, - che vuol che dicano? Un religioso
che vada a predicare in un altro paese, è cosa così ordinaria! E poi, noi che
vediamo... noi che prevediamo... noi che ci tocca... non dobbiamo poi curarci
delle ciarle.
- Però, affine di prevenirle, sarebbe bene che, in quest'occasione, il suo
signor nipote facesse qualche dimostrazione, desse qualche segno palese
d'amicizia, di riguardo... non per noi, ma per l'abito...
- Sicuro, sicuro; quest'è giusto... Però non c'è bisogno: so che i
cappuccini son sempre accolti come si deve da mio nipote. Lo fa per
inclinazione: è un genio in famiglia: e poi sa di far cosa grata a me. Del
resto, in questo caso... qualcosa di straordinario... è troppo giusto. Lasci
fare a me, padre molto reverendo; che comanderò a mio nipote... Cioè
bisognerà insinuargli con prudenza, affinché non s'avveda di quel che è
passato tra di noi. Perché non vorrei alle volte che mettessimo un impiastro
dove non c'è ferita. E per quel che abbiamo concluso, quanto più presto sarà,
meglio. E se si trovasse qualche nicchia un po' lontana... per levar proprio
ogni occasione...
- Mi vien chiesto per l'appunto un predicatore da Rimini; e fors'anche,
senz'altro motivo, avrei potuto metter gli occhi...
- Molto a proposito, molto a proposito. E quando...?
- Giacché la cosa si deve fare, si farà presto.
- Presto, presto, padre molto reverendo: meglio oggi che domani. E, -
continuava poi, alzandosi da sedere, - se posso qualche cosa, tanto io, come la
mia famiglia, per i nostri buoni padri cappuccini...
- Conosciamo per prova la bontà della casa, - disse il padre provinciale,
alzatosi anche lui, e avviandosi verso l'uscio, dietro al suo vincitore.
- Abbiamo spento una favilla, - disse questo, soffermandosi, - una favilla,
padre molto reverendo, che poteva destare un grand'incendio. Tra buoni amici,
con due parole s'accomodano di gran cose.
Arrivato all'uscio, lo spalancò, e volle assolutamente che il padre
provinciale andasse avanti: entrarono nell'altra stanza, e si riunirono al resto
della compagnia.
Un grande studio, una grand'arte, di gran parole, metteva quel signore nel
maneggio d'un affare; ma produceva poi anche effetti corrispondenti. Infatti,
col colloquio che abbiam riferito, riuscì a far andar fra Cristoforo a piedi da
Pescarenico a Rimini, che è una bella passeggiata.
Una sera, arriva a Pescarenico un cappuccino di Milano, con un plico per il
padre guardiano. C'è dentro l'obbedienza per fra Cristoforo, di portarsi a
Rimini, dove predicherà la quaresima. La lettera al guardiano porta
l'istruzione d'insinuare al detto frate che deponga ogni pensiero d'affari che
potesse avere avviati nel paese da cui deve partire, e che non vi mantenga
corrispondenze: il frate latore dev'essere il compagno di viaggio. Il guardiano
non dice nulla la sera; la mattina, fa chiamar fra Cristoforo, gli fa vedere
l'obbedienza, gli dice che vada a prender la sporta, il bastone, il sudario e la
cintura, e con quel padre compagno che gli presenta, si metta poi subito in
viaggio.
Se fu un colpo per il nostro frate, lo lascio pensare a voi. Renzo, Lucia,
Agnese, gli vennero subito in mente; e esclamò, per dir così, dentro di sé:
"oh Dio! cosa faranno que' meschini, quando io non sarò più qui!"
Ma alzò gli occhi al cielo, e s'accusò d'aver mancato di fiducia, d'essersi
creduto necessario a qualche cosa. Mise le mani in croce sul petto, in segno
d'ubbidienza, e chinò la testa davanti al padre guardiano; il quale lo tirò
poi in disparte, e gli diede quell'altro avviso, con parole di consiglio, e con
significazione di precetto. Fra Cristoforo andò alla sua cella, prese la
sporta, vi ripose il breviario, il suo quaresimale, e il pane del perdono,
s'allacciò la tonaca con la sua cintura di pelle, si licenziò da' suoi
confratelli che si trovavano in convento, andò da ultimo a prender la
benedizione del guardiano, e col compagno, prese la strada che gli era stata
prescritta.
Abbiamo detto che don Rodrigo, intestato più che mai di venire a fine della
sua bella impresa, s'era risoluto di cercare il soccorso d'un terribile uomo. Di
costui non possiam dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno
una congettura sopra nulla di tutto ciò: cosa tanto più strana, che del
personaggio troviamo memoria in più d'un libro (libri stampati, dico) di quel
tempo. Che il personaggio sia quel medesimo, l'identità de' fatti non lascia
luogo a dubitarne; ma per tutto un grande studio a scansarne il nome, quasi
avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore. Francesco Rivola, nella
vita del cardinal Federigo Borromeo, dovendo parlar di quell'uomo, lo chiama
"un signore altrettanto potente per ricchezze, quanto nobile per nascita", e fermi lì. Giuseppe Ripamonti, che, nel quinto libro della quinta
decade della sua Storia Patria, ne fa più distesa menzione, lo nomina
uno, costui, colui, quest'uomo, quel personaggio. "Riferirò", dice,
nel suo bel latino, da cui traduciamo come ci riesce, "il caso d'un tale
che, essendo de' primi tra i grandi della città, aveva stabilita la sua dimora
in una campagna, situata sul confine; e lì, assicurandosi a forza di delitti,
teneva per niente i giudizi, i giudici, ogni magistratura, la sovranità; menava
una vita affatto indipendente; ricettatore di forusciti, foruscito un tempo
anche lui; poi tornato, come se niente fosse..." Da questo scrittore
prenderemo qualche altro passo, che ci venga in taglio per confermare e per
dilucidare il racconto del nostro anonimo; col quale tiriamo avanti
Fare ciò ch'era vietato dalle leggi, o impedito da una forza qualunque;
esser arbitro, padrone negli affari altrui, senz'altro interesse che il gusto di
comandare; esser temuto da tutti, aver la mano da coloro ch'eran soliti averla
dagli altri; tali erano state in ogni tempo le passioni principali di costui.
Fino dall'adolescenza, allo spettacolo e al rumore di tante prepotenze, di tante
gare, alla vista di tanti tiranni, provava un misto sentimento di sdegno e
d'invidia impaziente. Giovine, e vivendo in città, non tralasciava occasione,
anzi n'andava in cerca, d'aver che dire co' più famosi di quella professione,
d'attraversarli, per provarsi con loro, e farli stare a dovere, o tirarli a
cercare la sua amicizia. Superiore di ricchezze e di seguito alla più parte, e
forse a tutti d'ardire e di costanza, ne ridusse molti a ritirarsi da ogni
rivalità, molti ne conciò male, molti n'ebbe amici; non già amici del pari,
ma, come soltanto potevan piacere a lui, amici subordinati, che si
riconoscessero suoi inferiori, che gli stessero alla sinistra. Nel fatto però,
veniva anche lui a essere il faccendiere, lo strumento di tutti coloro: essi non
mancavano di richiedere ne' loro impegni l'opera d'un tanto ausiliario; per lui,
tirarsene indietro sarebbe stato decadere dalla sua riputazione, mancare al suo
assunto. Di maniera che, per conto suo, e per conto d'altri, tante ne fece che,
non bastando né il nome, né il parentado, né gli amici, né la sua audacia a
sostenerlo contro i bandi pubblici, e contro tante animosità potenti, dovette
dar luogo, e uscir dallo stato. Credo che a questa circostanza si riferisca un
tratto notabile raccontato dal Ripamonti. "Una volta che costui ebbe a
sgomberare il paese, la segretezza che usò, il rispetto, la timidezza, furon
tali: attraversò la città a cavallo, con un seguito di cani, a suon di tromba;
e passando davanti al palazzo di corte, lasciò alla guardia un'imbasciata
d'impertinenze per il governatore".
Nell'assenza, non ruppe le pratiche, né tralasciò le corrispondenze con
que' suoi tali amici, i quali rimasero uniti con lui, per tradurre letteralmente
dal Ripamonti, "in lega occulta di consigli atroci, e di cose funeste". Pare anzi che allora contraesse con più alte persone, certe nuove
terribili pratiche, delle quali lo storico summentovato parla con una brevità
misteriosa. "Anche alcuni principi esteri, - dice, - si valsero più volte
dell'opera sua, per qualche importante omicidio, e spesso gli ebbero a mandar da
lontano rinforzi di gente che servisse sotto i suoi ordini".
Finalmente (non si sa dopo quanto tempo), o fosse levato il bando, per
qualche potente intercessione, o l'audacia di quell'uomo gli tenesse luogo
d'immunità, si risolvette di tornare a casa, e vi tornò difatti; non però in
Milano, ma in un castello confinante col territorio bergamasco, che allora era,
come ognun sa, stato veneto. "Quella casa - cito ancora il Ripamonti, -
era come un'officina di mandati sanguinosi: servitori, la cui testa era messa a
taglia, e che avevan per mestiere di troncar teste: né cuoco, né sguattero
dispensati dall'omicidio: le mani de' ragazzi insanguinate". Oltre questa
bella famiglia domestica, n'aveva, come afferma lo stesso storico, un'altra di
soggetti simili, dispersi e posti come a quartiere in vari luoghi de' due stati
sul lembo de' quali viveva, e pronti sempre a' suoi ordini.
Tutti i tiranni, per un bel tratto di paese all'intorno, avevan dovuto, chi
in un'occasione e chi in un'altra, scegliere tra l'amicizia e l'inimicizia di
quel tiranno straordinario. Ma ai primi che avevano voluto provar di
resistergli, la gli era andata così male, che nessuno si sentiva più di
mettersi a quella prova. E neppur col badare a' fatti suoi, con lo stare a sé,
uno non poteva rimanere indipendente da lui. Capitava un suo messo a intimargli
che abbandonasse la tale impresa, che cessasse di molestare il tal debitore, o
cose simili: bisognava rispondere sì o no. Quando una parte, con un omaggio
vassallesco, era andata a rimettere in lui un affare qualunque, l'altra parte si
trovava a quella dura scelta, o di stare alla sua sentenza, o di dichiararsi suo
nemico; il che equivaleva a esser, come si diceva altre volte, tisico in terzo
grado. Molti, avendo il torto, ricorrevano a lui per aver ragione in effetto;
molti anche, avendo ragione, per preoccupare un così gran patrocinio, e
chiuderne l'adito all'avversario: gli uni e gli altri divenivano più
specialmente suoi dipendenti. Accadde qualche volta che un debole oppresso,
vessato da un prepotente, si rivolse a lui; e lui, prendendo le parti del
debole, forzò il prepotente a finirla, a riparare il mal fatto, a chiedere
scusa; o, se stava duro, gli mosse tal guerra, da costringerlo a sfrattar dai
luoghi che aveva tiranneggiati, o gli fece anche pagare un più pronto e più
terribile fio. E in quei casi, quel nome tanto temuto e abborrito era stato
benedetto un momento: perché, non dirò quella giustizia, ma quel rimedio, quel
compenso qualunque, non si sarebbe potuto, in que' tempi, aspettarlo da
nessun'altra forza né privata, né pubblica. Più spesso, anzi per l'ordinario,
la sua era stata ed era ministra di voleri iniqui, di soddisfazioni atroci, di
capricci superbi. Ma gli usi così diversi di quella forza producevan sempre
l'effetto medesimo, d'imprimere negli animi una grand'idea di quanto egli
potesse volere e eseguire in onta dell'equità e dell'iniquità, quelle due cose
che metton tanti ostacoli alla volontà degli uomini, e li fanno così spesso
tornare indietro. La fama de' tiranni ordinari rimaneva per lo più ristretta in
quel piccolo tratto di paese dov'erano i più ricchi e i più forti: ogni
distretto aveva i suoi; e si rassomigliavan tanto, che non c'era ragione che la
gente s'occupasse di quelli che non aveva a ridosso. Ma la fama di questo nostro
era già da gran tempo diffusa in ogni parte del milanese: per tutto, la sua
vita era un soggetto di racconti popolari; e il suo nome significava qualcosa
d'irresistibile, di strano, di favoloso. Il sospetto che per tutto s'aveva de'
suoi collegati e de' suoi sicari, contribuiva anch'esso a tener viva per tutto
la memoria di lui. Non eran più che sospetti; giacché chi avrebbe confessata
apertamente una tale dipendenza? ma ogni tiranno poteva essere un suo collegato,
ogni malandrino, uno de' suoi; e l'incertezza stessa rendeva più vasta
l'opinione, e più cupo il terrore della cosa. E ogni volta che in qualche parte
si vedessero comparire figure di bravi sconosciute e più brutte dell'ordinario,
a ogni fatto enorme di cui non si sapesse alla prima indicare o indovinar
l'autore, si proferiva, si mormorava il nome di colui che noi, grazie a quella
benedetta, per non dir altro, circospezione de' nostri autori, saremo costretti
a chiamare l'innominato.
Dal castellaccio di costui al palazzotto di don Rodrigo, non c'era più di
sette miglia: e quest'ultimo, appena divenuto padrone e tiranno, aveva dovuto
vedere che, a così poca distanza da un tal personaggio, non era possibile far
quel mestiere senza venire alle prese, o andar d'accordo con lui. Gli s'era
perciò offerto e gli era divenuto amico, al modo di tutti gli altri, s'intende;
gli aveva reso più d'un servizio (il manoscritto non dice di più); e n'aveva
riportate ogni volta promesse di contraccambio e d'aiuto, in qualunque
occasione. Metteva però molta cura a nascondere una tale amicizia, o almeno a
non lasciare scorgere quanto stretta, e di che natura fosse. Don Rodrigo voleva
bensì fare il tiranno, ma non il tiranno salvatico: la professione era per lui
un mezzo, non uno scopo: voleva dimorar liberamente in città, godere i comodi,
gli spassi, gli onori della vita civile; e perciò bisognava che usasse certi
riguardi, tenesse di conto parenti, coltivasse l'amicizia di persone alte,
avesse una mano sulle bilance della giustizia, per farle a un bisogno traboccare
dalla sua parte, o per farle sparire, o per darle anche, in qualche occasione,
sulla testa di qualcheduno che in quel modo si potesse servir più facilmente
che con l'armi della violenza privata. Ora, l'intrinsichezza, diciam meglio, una
lega con un uomo di quella sorte, con un aperto nemico della forza pubblica, non
gli avrebbe certamente fatto buon gioco a ciò, specialmente presso il conte
zio. Però quel tanto d'una tale amicizia che non era possibile di nascondere,
poteva passare per una relazione indispensabile con un uomo la cui inimicizia
era troppo pericolosa; e così ricevere scusa dalla necessità: giacché chi ha
l'assunto di provvedere, e non n'ha la volontà, o non ne trova il verso, alla
lunga acconsente che altri provveda da sé, fino a un certo segno, a' casi suoi;
e se non acconsente espressamente, chiude un occhio.
Una mattina, don Rodrigo uscì a cavallo, in treno da caccia, con una piccola
scorta di bravi a piedi; il Griso alla staffa, e quattro altri in coda; e
s'avviò al castello dell'innominato.
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